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Due libri tra sport e letteratura

Due libri stanno davanti a me sul tavolo da lavoro. Uno grosso e pesante, quasi panciuto.
Evidenti sono i segni del tempo e dell'uso, ma la rilegatura regge ancora bene. La costola per poco meno che scollata e manca quasi del tutto a un'estremit. L'altro piccolo e smilzo tanto che sfugge quasi di mano. L'uno ha sulla copertina un'immagine familiare a chi stato adolescente negli anni Settanta: la grafica essenziale di Pablo Echaurren, semplice e dinamica. Sulla sinistra in una lunga colonna stanno i nomi degli autori, sono esattamente trentotto. Trentotto dichiarazioni d'amore al calcio. Per quanto sia difficile rendere conto del contenuto di un libro del genere (Il calcio una scienza da amare intr. di W. Veltroni, Editori riuniti 1982) la descrizione del suo aspetto esteriore a distanza di ventitr anni parla ampiamente di quanto sia stata propriamente catturante la sua lettura. Sulla copertina del volumetto che invece mi accingo a prendere in mano e che uscito quest'anno, come dicevo pi di vent'anni dopo (Il portiere caduto alla difesa, Il calcio e il ciclismo nella letteratura italiana del Novecento, a c. di Folco Portinari, Manni San Cesario di Lecce, 2005) sta la maschera di Frank Swift, che difese la porta del Manchester City e della nazionale inglese negli anni Quaranta, i calzoncini candidi sono infangati, il maglione povero, il viso nello sforzo della presa solcato da rughe profonde. Si potrebbe dire che la copertina pi che un ingresso, una soglia, come dovrebbe, un sigillo di fatica e quasi di dolore. Che sia la suggestione? Nel maggio del 1948 a Torino la nazionale Inglese sconfisse l' Italia basata sul Grande Torino per quattro a zero. Chi c'era, narra che Swift indossava un maglione giallo. Comunque, a distanza di vent'anni non potrebbero immaginarsi due libri cos diversi, a partire dalla copertina, come abbiamo visto, che di solito non inganna. Il fatto che ci sono due modi per avvicinarsi a questo tema. Si pu scegliere la via memorialistica, della testimonianza. Da qui, dal racconto che in modi diversissimi, pu farsi della propria esperienza del calcio (dello sport in genere) si giunge inavvertitamente e imprevedibilmente alla letteratura. Accade spesso, Il calcio una scienza da amare, purtroppo fuori commercio, ne offre innumerevoli esempi, dal racconto che Lucio Lombardo Radice fa della finale mondiale 1934, intrecciata a quello del suo arresto per cospirazione antifascista qualche anno dopo, alla partita annuale dei redattori dell' Espresso raccontata magistralmente da Andrea Barbato. Alle pagine ineffabili, perfette, di Stefano Rodot. La testimonianza induce alla quantit, all'agio, alla apparente mancanza di pretese, ma non alla faciloneria, anzi, se i pezzi sono dentro i limiti del temperamento di chi scrive. Forse Giampiero Mughini non mai stato cos felice come qui, nella descrizione delle prodezze di Corso e di Bettega in due irripetibili partite. Il libro odierno sceglie appunto l'altra strada possibile per affrontare il tema. Quella astratta: possibile una letteratura sportiva o dello sport? Su questa strada quasi metafisica i dolori annunziati dalla smorfia dell'insuperabile Swift continuano anche all'interno del libro. Ai tempi d'oggi tale letteratura, semplicemente, non possibile, afferma Portinari, quindi le cento paginette

del libro tanto piccolo che quasi sfugge di mano, sono invece moltissime, perch sono letteratura su un argomento che letteralmente non esiste (pi). Non esiste pi lo sport come attivit disinteressata, vi prevalgono troppo nettamente il professionismo e gli aspetti crudamente economici. Come fare letteratura di ci che non esiste? Quindi il lettore si accontenti di quello che passa il convento, almeno in prosa, mentre la poesia, sportiva per puro pretesto, parla in effetti d'altro, e nei limiti della ben nota avarizia della lirica italiana in fatto di quantit, offre qualcosa di davvero eccellente. L'impostazione che Portinari ha scelto per il suo libro dunque esattamente antitetica a quella memorialistica. Parte apparentemente da un problema astratto, lo discute e lo risolve non senza una certa dose di gravit autopunitiva. Si tratta di un atteggiamento che induce a un filtro assai selettivo nella scelta dei testi da includere nell'antologia, che viene al mondo gi in condizioni quasi disperate, prossime all'autonegazione. Questo non per il danno pi grave che l'astratto criterio di partenza fa a Portinari, ce n' uno forse peggiore, quello di stare troppo alle parole e di cercare la letteratura (sullo sport) dove dovrebbe essere, dove sta di casa, insomma, presso gli scrittori laureati. Riducendo la questione all'osso e limitandola per comodit al solo calcio si pu dire che i due criteri o approcci diversi si riducono a questo: si pu partire dal calcio e forse si arriver alla letteratura, si pu partire dalla letteratura propriamente detta, con il rischio di non incontrare mai il calcio. I contributi pi belli del libro curato vent'anni fa da Veltroni sono venuti da outsider difficilissimi da prevedere: insigni professori di diverse generazioni, autorevoli notisti politici (non sono da sottovalutare i contributi di Paolo Franchi e Giuliano Zincone), o ancor pi autorevoli registi e critici (Italo Moscati). Portinari, al contrario, partito, come dicevamo, dal presupposto di cercare la letteratura sullo sport popolare del Novecento italiano presso gli scrittori en titre, cio dove dovrebbe stare di casa. Non andata molto bene, almeno per la prosa. Mentre sono subito emerse alcune importantissime liriche: le cinque poesie per il gioco del calcio di Umberto Saba, giusto uno dei massimi poeti del nostro Novecento, ma anche, sparse o isolate, del non meno importante Vittorio Sereni, di Mario Luzi e di Montale sul ciclismo, senza trascurare Gatto, Giudici, Raboni, Cucchi e lo stesso curatore. I poeti italiani contemporanei hanno quasi tutti toccato, pi o meno occasionalmente, l'argomento. I prosatori, poco o niente. Portinari, guardatosi coscienziosamente in giro, si dovuto rivolgere con un p di delusione, ai soliti specialisti. Che per quanto bravi lo fanno per contratto, e poi non si possono mangiare Brera e Ghirelli a pranzo e a cena. Per sfuggire a questo doloroso imbarazzo il curatore si affidato alla teoria che abbiamo gi enunciato. La lirica sullo sport popolare in Italia si fatta perch lo sport per essa non che un pretesto. Narrativa non se ne fatta perch non si pu fare, dato lo snaturamento commerciale dello sport, massime del calcio e del ciclismo. In effetti presso gli scrittori laureati Portinari ha trovato ben poco. Una notissima pagina saggistica pasoliniana, una di Achille Campanile (cui si aggiunge nello stesso ambito umoristico il pi recente Benni) e, infine lo unico, autentico romanzo scritto da un romanziere, Azzurro tenebra, di Giovanni Arpino, che spiace non sia stato compreso nel suo recente Meridiano, e che da solo potrebbe bastare a contraddire l'assunto iniziale. Mentre non sembra che il romanzo sul tifo di Nanni Balestrini sia fra le sue cose migliori. Per concludere l'antologia registra doverosamente e succintamente alcuni esperimenti pi recenti, dovuti ad autori come Garlini o Argentina su cui non ancora possibile dare un giudizio sufficientemente sedimentato.

A torto o a ragione, comunque, questa antologia ha il grande merito di spegnere la luce e fare silenzio attorno alla grande lirica, di privarla del rumore di fondo di altre voci, che attorno ad essa appaiono rarefatte e affievolite. Rimane solo la inconfondibile cantilenante e immortale voce di Umberto Saba a dire alcune delle pi belle liriche del secolo. Tutto il resto passa in secondo piano.

Renato Calapso

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