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POMERIGGIO DI GUERRIGLIA

Era corso su per la salita del terrapieno, veloce, quasi senza toccare terra, come a volte capita nei
sogni quando si svolazza un po’ qua e un po’ là.
Sentiva il cuore pulsare nelle tempie e il petto bruciare, il sudore gli pizzicava l’interno delle
ginocchia e, all’ombra del platano che lo nascondeva, sentiva lieve una bava d’aria calda che gli
smuoveva appena i capelli dalla fronte.
Si concentrò per respirare silenziosamente, loro erano a pochi passi, più sotto, nel semicerchio di
mattoni del bastione, attorno all’albero che spiccava nel mezzo. Si sporse ad osservare, le biciclette
erano appoggiate tra loro, c’erano una decina di passi dal suo posto d’osservazione all’inizio della
discesa che portava al bastione, prima considerazione: loro stavano in basso, lui era in alto.
Vantaggio.
Seconda considerazione: cinque secondi per realizzare, altri cinque per districare le bici, una
ventina per risalire, trenta secondi di vantaggio.
Terza considerazione: vie di fuga coperte?
Nessuna. Il primo luogo coperto per non essere riconosciuto era a più di cento metri, era l’angolo
delle case popolari.
Doveva cambiare punto d’attacco, aggirare lateralmente colpire e scappare verso la breccia nel
fornice, calarsi dentro ed aspettare.
Tornò indietro, scese un paio di metri lungo il terrapieno, procedette lateralmente per una trentina di
metri, risalì e si rimise a scrutare il gruppo.
Problema: la sua via di fuga era allo stesso livello loro, l’effetto sorpresa sarebbe stato vanificato
dalla mancanza di barriere frapposte tra lui e gli altri.
Il dubbio: rischiare di essere visto o rischiare di essere preso? Meglio la prima.
Andò a ritroso nella sua postazione primitiva, si stese in terra, nella povere, tra le spighe matte, le
ginocchia gli bruciavano per il sudore e lo sporco, dal suo osservatorio poteva sentire tutto quello
che si dicevano, vedeva tutti i gesti che facevano.
Il suo obiettivo era laggiù, fiero ed atroce, i capelli unti tagliati all’umberta, era distaccato dal
gruppo dei suoi thugs, sputava per terra ripetutamente, a formare una piccola pozza di saliva nella
polvere, uno dei suoi aveva capovolto la bicicletta e stava risistemando il motore, una cartolina
piegata e fissata con una molletta di legno, gli altri quattro si erano calati le braghe e si esibivano in
una masturbazione di gruppo: era quello il momento, ora!
Sfilò la fionda dalla tasca, srotolò con una torsione del polso l’elastico fatto d’anelli rossi di camera
d’aria, caricò la biglia di vetro, s’inginocchiò e scoccò il tiro, un tiro solo, silenzioso se non per lo
schiocco di ritorno.
Il capo dei thugs si portò una mano al volto mentre ruotando sulle ginocchia si accasciava a terra.
Trenta secondi per fuggire, giù dal terrapieno, in diagonale verso il vialetto delle case popolari,
dentro il cancello sulla destra, a sinistra dietro l’angolo: al sicuro!
Era strisciato lungo il cortile contro il muro del retro del caseggiato, aveva sempre guardato in
direzione delle Mura ed era certo, certissimo di non essere stato visto da nessuno dei thugs,
sicuramente loro non avevano neanche compreso quello che accadeva al loro capo, impegnati
com’erano a tirarsi il pisello.
Era stata una gran giornata, ma che soddisfazione fu il ritorno a scuola il giorno dopo!
Il Fogli, quel mezzo-sangue Comacchiese non si era presentato in aula, alcune voci sostenevano che
questi rischiava di perdere un occhio.

1998

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