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Appunti di Analisi Matematica (1)

Docente: Klaus Engel

Universit`a degli Studi dellAquila


A.A. 2015/16

http://univaq.it/x
~engel

( = %7E)

(Versione del 2 settembre 2015)

Note scritte in collaborazione con il prof. Fabio Camilli, Universit`a La Sapienza, Roma

iii

Lanalisi matematica `e un ramo della matematica che si occupa tra laltro


dei numeri reali,
dei limiti di successioni
delle serie numeriche,
delle funzioni reali e della loro continuit`a,
del calcolo differenziale ed integrale.

Indice
Capitolo 0. Concetti Fondamentali
Insiemi
Propriet`
a dei Numeri Reali R
Funzioni
Fattoriale e Coefficienti Binomiali
Formula del Binomio di Newton
Principio di Induzione

1
1
2
4
5
6
7

Capitolo 1. Successioni Numeriche


Convergenza, Divergenza e Irregolarit`a per Successioni
Regole per il Calcolo dei Limiti
Limiti e Ordinamento
Confronto tra Successioni

10
10
12
15
18

Capitolo 2. Serie numeriche


Convergenza e prime Propriet`
a
Serie a Termini Positivi
Serie a Termini di Segno Variabili

20
20
23
26

Capitolo 3. Funzioni Reali di una Variabile Reale


Operazioni e Composizione tra Funzioni
Propriet`
a di Funzioni Reali
Funzioni Elementari
Limiti delle Funzioni Reali

29
29
30
32
36

Capitolo 4. Funzioni Continue di una Variabile Reale


Funzioni Continue
Funzioni Continue su Intervalli
Altre Funzioni Invertibili
Funzioni Continue su Intervalli Chiusi e Limitati

41
41
42
45
47

Capitolo 5. Calcolo Differenziale di Funzioni di una Variabile


Derivata: Definizione e prime Propriet`a
Regole per la Derivazione
Estremi Locali e il Teorema di Fermat
I Teoremi di Rolle e Lagrange
Conseguenze del Teorema di Lagrange
Le Regole di de lHospital
Approssimazione Lineare di Funzioni
La Formula di Taylor
Applicazioni della Formula di Taylor
Serie di Taylor
Studio di Funzione

48
48
51
55
58
60
63
64
66
71
80
81

Capitolo 6. Calcolo Integrale di Funzioni di una Variabile


Integrale: Definizione e prime Propriet`a

88
88

iv

INDICE

Il Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale


Metodi di Integrazione
Integrazione di Funzioni Razionali
Calcolo di Aree Piane
Calcolo della Lunghezza di una Curva
Calcolo di Volumi di Corpi di Rotazione
Integrali Impropri

92
95
103
106
107
108
109

Capitolo 7. Funzioni Reali di Pi`


u Variabili: limiti e continuit`a
La Struttura di RN
Funzioni Reali di pi`
u Variabili Reali: Prime Propriet`a
Limiti di Funzioni Reali di pi`
u Variabili Reali
Calcolo dei Limiti in RN
Continuit`
a

116
116
117
118
119
122

Capitolo 8. Calcolo Differenziale per Funzioni Reali di pi`


u Variabili
I Concetti di Derivabilit`
a in RN
Derivate di Ordine Superiore

123
123
128

Capitolo 9. Funzioni a Valori Vettoriali


Trasformazioni Regolari di Coordinate

130
131

Capitolo 10. Calcolo Integrale per Funzioni di pi`


u Variabili
Integrali Doppi: Definizione e prime Propriet`a
Teorema di FubiniTonelli
Cambiamento di Variabili negli Integrali Doppi
Integrali Tripli

135
135
137
140
144

Testi consigliati

150

Appendice A.

Tre Principali Modi di Dimostrazioni

151

Appendice B. Elenco di alcuni Limiti Notevoli


Limiti Notevoli: Successioni
Limiti Notevoli: Funzioni

152
152
153

Appendice C.

154

Definizione alternativa dei Limiti per Funzioni

Elenco delle figure

155

CAPITOLO 0

Concetti Fondamentali
In questo capitolo introduttivo raccoglieremo alcuni concetti di matematica che servono
successivamente ed inoltre stabiliremo le principale notazioni.
Insiemi
Intuitivamente un insieme `e una raccolta di oggetti (chiamati elementi ) distinguibili tra
di loro che formano una totalit`
a. Per indicare uninsieme si usano generalmente lettere
maiuscole A, B, C,. . . , X, Y , Z, per gli elementi invece lettere minuscole a, b, c,. . . , x,
y, z.
Prima di fare esempi introduciamo alcune
Notazioni.

Spesso useremo i cosiddetti quantificatori


= per ogni

= esiste

Per evidenziare che A = B per definizione scriviamo A := B oppure B =: A.


indica unimplicazione.
E indica una contraddizione.
indica il simbolo di appartenenza,
/ indica il simbolo di non-appartenenza.
, indicano i simboli di inclusione.

Per definire un insieme ci sono in pratica 2 possibilit`a:


elencando tutti gli elementi tra parentesi graffe, per esempio A := {1, 2, 3}, oppure
attraverso una propriet`
a che caratterizza tutti gli elementi dellinsieme, per esempio
P := {n : n `e un numero primo}
Consideriamo alcuni
Esempi.
Siano A := {1, 2, 3}, B := {2, 7, 8}, C := {1, 2, 3, 5, 7, 8}, allora 2 A,
5
/ B, A C, A
/ C, A
/ A.
Linsieme senza alcun elemento si chiama insieme vuoto e si usa la notazione :=
{}.
Questa vista semplificata di insiemi, che comunque `e sufficiente per i nostri scopi, porta
facilmente a problemi come si vede dal seguente
Esempio. Paradosso di Russell: Consideriamo linsieme
A := {X : X `e uninsieme tale che X
/ X}.
Ora per A stesso si deve verificare A A oppure il contrario A
/ A. Per`o
AAA
/ A E poiche A non verifica la condizione che definisce gli elementi X
di A, ma anche
A
/ A A A E poiche A per ipotesi verifica la condizione che definisce gli
elementi X di A.
Operazioni tra insiemi. Dati due insiemi A e B chiamiamo
A B := {x : x A oppure x B} lunione tra A e B,
A B := {x : x A e x B} lintersezione tra A e B,
A \ B := {x : x A e x
/ B} la differenza tra A e B,
1

0. CONCETTI FONDAMENTALI

A B := {(a, b) : a A e b B} il prodotto cartesiano tra A e B, gli elementi


(a, b) si chiamano coppie ordinate.
Osservazione. Se A e B sono insiemi, allora

vale sempre A B = B A e A B = B A;
in generale A \ B 6= B \ A e A B 6= B A;
se A ha n elementi e B ha m elementi, allora A B ha n m elementi;
definiamo A2 := A A.

Consideriamo un
Esempio. Se A := {1, 2, 3}, B := {2, 7, 8}, allora A B = {1, 2, 3, 7, 8}, A B = {2},
A \ B = {1, 3} =: C, A C = {(1, 1), (1, 3), (2, 1), (2, 3), (3, 1), (3, 3)} con 3 2 = 6
elementi.
Insiemi Numerici. Definiamo i seguenti insiemi numerici
N : = {n : n `e un numero naturale} = {0, 1, 2, 3, 4, 5, . . . } = insieme dei numeri naturali ,
Z : = {n : n `e un numero intero} = {. . . , 2, 1, 0, 1, 2, . . . } = insieme dei numeri interi ,
n
o
Q : = {r : r `e un numero razionale} = pq : p, q Z, q 6= 0 = insieme dei numeri razionali ,
R : = {x : x `e un numero reale}


= p, 0 1 2 3 . . . : p Z, k {0, 1, 2, . . . , 9} k N = insieme dei numeri reali.

Esempi.
2 R \ Q ( corso di Algebra e Geometria), 2 = 1, 414213 . . ., cio`e
qui abbiamo p = 1, 0 = 4, 1 = 1, 2 = 4, 3 = 2, 4 = 1, 5 = 3.
Oppure per R \ Q vale
= |{z}
3 , |{z}
1 |{z}
4 |{z}
1 |{z}
5 |{z}
9 |{z}
2 |{z}
6 ...
=p

=0 =1 =2 =3 =4 =5 =6

Propriet`
a dei Numeri Reali R
(1) In R valgono per le operazioni somma + e prodotto tutte le regole dellalgebra,
per esempio x, y, z R vale
x + y = y + x,

x (y z) = (x y) z,

x (y + z) = x y + x z.

Pi`
u precisamente si dice che (R, +, ) `e un campo corso di Algebra e Geometria.
(2) In R esiste unordinamento totale <, cio`e per x, y R vale una ed una sola delle
relazioni
x = y,

x<y

oppure y < x.

(3) R `e completo, cio`e la retta reale non ha buchi.


Prima di spiegare meglio la Propriet`a (3) di R facciamo alcune
anziche y < x scriviamo anche x > y, inoltre x y (o y x)
Osservazioni.
significa x < y oppure x = y.

` DEI NUMERI REALI R


PROPRIETA

Usando lordinamento in R definiamo per a, b R i seguenti insiemi detti intervalli :


[a, b] : = {x R : a x b} = intervallo chiuso,
(a, b) : = {x R : a < x < b} = intervallo aperto,
[a, b) : = {x R : a x < b},
(a, b] : = {x R : a < x b},
(, b] : = {x R : x b} = intervallo chiuso,
[a, +) : = {x R : a x} = intervallo chiuso,
(, b) : = {x R : x < b} = intervallo aperto,
(a, +) : = {x R : a < x} = intervallo aperto.
(, +) : = R.
Valgono le seguenti regole:
Se a b e x y allora a + x b + y.
Se a b e x > 0 allora a x b x.
Attenzione: Se a b e x < 0 allora a x b x.
Se 0 < a b allora 0 < 1b a1 .
Le Propriet`
a (1) e (2) valgono anche in Q, cio`e anche Q `e un campo ordinato.
Per continuare servono i concetti di
Maggioranti ed Estremo Superiore. Sia =
6 A R.
(a) Se s R tale che a s per ogni a A, allora s si chiama maggiorante di A.
(b) Se s0 R `e un maggiorante di A tale che s0 s per ogni maggiorante s di A,
allora s0 si chiama estremo superiore di A. Notazione: sup A := s0 = maggiorante
pi`
u piccolo di A.
(c) se s0 = sup A A allora s0 si chiama anche massimo di A. Notazione: max A := s0 =
elemento pi`
u grande di A.
Osservazioni. Valgono le seguenti caratterizzazioni:
(
a s0 a A (cio`e s0 `e un maggiorante)
s0 = sup A
> 0 a A tale che s0 < a (cio`e s0 non `e pi`
u un maggiorante),
(
a s0 a A
s0 = max A
s0 A.
Esempi.
Se A = (0, 1], allora sup A = max A = 1.
Se A = (0, 1), allora sup A = 1
/ A e quindi max A non esiste.
Osservazione.
Non tutti gli insiemi hanno maggioranti, per esempio A = N non
ha maggiorante poiche non esiste s R tale che n s per ogni n N. In tal caso
si scrive sup A = +.
Nellipotesi che =
6 A R abbia un maggiorante (e in tal caso ne ha infiniti), allora
si dice che A `e superiormente limitato. Per esempio A = (0, 1) `e superiormente
limitato poiche s = 2 `e un maggiorante di A.
Dopo questo intermezzo torniamo alla Propriet`a 3, cio`e alla completezza di R.
LAssioma della Completezza. R `e completo, cio`e ogni insieme =
6 A R superiormente limitato ammette estremo superiore.
In altre termini, se A ha maggioranti, allora esiste sempre il maggiorante pi`
u piccolo.

0. CONCETTI FONDAMENTALI

Esempi.
A := {x R : x2 < 2} `e superiormente limitato. Per esempio, s = 1, 5 `e
un maggiorante poiche se x `e tale che
x > 1, 5 x2 > (1, 5)2 = 2, 25
cio`e x 6= A. Quindi la completezza
di R implica che esiste s0 = sup A. Ora si pu`o
verificareche s20 = 2, cio`e s0 = 2.
Sia A = 1 + n1 )n : n N, n 1 Q. Usando la formula del binomio di Newton
(cfr. pagina 6) si pu`
o verificare che s = 3 `e un maggiorante di A. Quindi esiste
s0 = sup A =: e.
Osservazioni.
e = 2, 7182818 . . .
/ Q viene chiamato numero di Nepero.
Il secondo esempio dimostra che in Q la propriet`a (3) non vale, cio`e Q non `e
completo. In
parole povere questo significa che la retta razionale ha buchi, per
esempio in 2 oppure in e.
Analogamente ai concetti di maggiorante ed estremo superiore possiamo introdurre i
concetti di
Minoranti ed Estremo Inferiore. Sia =
6 A R.
(a) Se r R tale che r a per ogni a A, allora r si chiama minorante di A.
(b) Se r0 R `e un minorante di A tale che r0 r per ogni minorante r di A, allora r0
si chiama estremo inferiore di A. Notazione: inf A := r0 = minorante pi`
u grande di
A.
(c) se r0 = inf A A allora r0 si chiama anche minimo di A. Notazione: min A := r0 =
elemento pi`
u piccolo di A.
Osservazioni. Valgono le seguenti caratterizzazioni:
(
r0 a a A (cio`e r0 `e un minorante)
r0 = inf A
> 0 a A tale che r0 + > a (cio`e r0 + non `e pi`
u un minorante),
(
r0 a a A
r0 = min A
r0 A.
Esempi.
Se A = [0, 1], allora inf A = min A = 0.
Se A = (0, 1], allora inf A = 0
/ A quindi min A non esiste.
Osservazione.
Non tutti gli insiemi hanno minoranti, per esempio A = Z non ha
minoranti poiche non esiste r R tale che r n per ogni n Z. In tal caso si
scrive inf A = .
Nellipotesi che =
6 A R abbia un minorante (e in tal caso ne ha infiniti), allora
si dice che A `e inferiormente limitato. Per esempio A = (0, +) `e inferiormente
limitato poiche s = 1 `e un minorante di A.
Se A `e superiormente e anche inferiormente limitato, allora si chiama limitato. Per
esempio A = (0, 1] [3, 5) `e limitato mentre N non lo `e.
Funzioni
Definizione 0.1. Se A, B 6= sono insiemi, allora una funzione da A a B `e una legge
(spesso in forma di una formula) che ad ogni a A associa un unico b B. In breve si
scrive
f : A B, f (a) = b.
Inoltre si chiama
A il dominio di f ,
B il codominio di f ,
f (A) := {f
di f ,
 (a) : a  A} limmagine

G(f ) := a, f (a) : a A A B il grafico di f .

FATTORIALE E COEFFICIENTI BINOMIALI

Esempio. Il modulo: Per x R definiamo il suo modulo (oppure valore assoluto) come
(
x se x 0,
|x| :=
x se x < 0.
Per esempio |3| = 3, | 4| = (4) = 4. Quindi f (x) := |x|, x R definisce una
funzione f : R R con immagine f (R) = [0, +). Il grafico G(f ) R2 `e riportato
nella Figura 1.
|x|
3
2
1
3

00

x
1

Figura 1. Il grafico del modulo.


Osservazioni. Per il modulo valgono le seguente relazioni importanti:
Se x, y, l R, allora
|x| 0,
|x| = 0 x = 0,
|x| < l l
< x < l,
| x| = |x| e |x| = |x|,

|x y| = |x| |y| e xy = |x|
|y| ,
|x + y| |x| + |y| (disuguaglianza triangolare),
|x| |y| |x y|.
Limportanza del modulo si basa in particolare sulla seguente
Osservazione. Per ogni x, y R,
|x y| = distanza tra x e y sulla retta reale

Figura 2. Modulo e distanze sulla retta reale


Quindi il modulo ci permette di misurare distanze.
Fattoriale e Coefficienti Binomiali
Definizione 0.2. Per n N definiamo il suo fattoriale
(
1
se n = 0,
n! :=
1 2 . . . n se n > 0.
Per esempio 4! = 1 2 3 4 = 24.
Osservazioni.
n! = numero di permutazioni di n oggetti distinti. Per esempio per
tre oggetti a, b, c esistono 3! = 6 permutazioni: abc, acb, bac, bca, cab, cba.
Se n 1 allora vale n! = n (n 1)!.
Definizione 0.3. Per n, k N con 0 k n definiamo il coefficiente binomiale
 
n
n!
:=
k
k! (n k)!

4
4!
24
= 22
= 6.
Per esempio 2 = 2!(42)!

0. CONCETTI FONDAMENTALI

Osservazioni. Per n, k N con 0 k n vale



nk N, cio`e i coefficienti binomiali sono sempre numeri naturali.
nk = numero di sottoinsiemi di {1, 2, 3, . . . , n} di k elementi. Per esempio linsie
me {1, 2, 3, . . . , 89, 90} ha 90
6 = 622.614.630 sottoinsiemi con 6 elementi. Quin1
di la probabilita di fare 6 al SuperEnalotto giocando una scheda `e 622.614.630
=
0.0000000016061
.
.
.

 43
4
12
nk = 1n(n1)(n2)...(nk+1)
2 3 ... (k1) k , per esempio 2 = 12 = 2 = 6.
Osservazioni. Per i coefficienti binomiali valgono le seguenti propriet`a.


n0 = nn = 1 per ogni n N.



n1
nk = n1
k1  +
k .

n
nk = nk
.

Le prime due regole si possono utilizzare per calcolare coefficienti binomiali con il triangolo di Tartaglia. La terza regola stabilisce la simmetria di questo triangolo.

n
k=0 =1 =2 =3 =4
k
n=0
1
1
1
=1



per esempio 21 + 22 = 32 .
1
2 + 1
=2
=3
=4

1
1

3
4

3
6

1
4

Formula del Binomio di Newton


Introduciamo dapprima il concetto di sommatoria: Se m, n N con m n e am , am+1 , . . . , an
R allora poniamo per la loro somma
n
X
ak := am + am+1 + . . . + an .
k=m

Per esempio

n
P

k = 1 + 2 + 3 + . . . + n.

k=1

Per le sommatorie valgono le seguente regole


n
n
n
X
X
X

ak =
ai = . . .
al .

k=m
n
X

ak =

k=m

n
X

k=m
n
X
k=m

l=m

ak1 .

k=m+1
n
X

ak =

k=m
n
X

i=m
n+1
X

ak =
ak +

r ak per ogni r R.

k=m
l
X
k=m
n
X
k=m

ak +
bk =

n
X

ak per ogni m l < n.

k=l+1
n
X

(ak + bk ).

k=m

Se inoltre definiamo a0 := 1 per ogni a R allora vale la


Proposizione 0.4 (Formula del Binomio di Newton). Se a, b R e n N, allora
n  
X
n k nk
n
(a + b) =
a b
.
k
k=0

PRINCIPIO DI INDUZIONE

Per esempio per n = 4 troviamo i coefficienti binomiali necessari nella 4. riga del triangolo
di Tartaglia e quindi risulta:
(a + b)4 = 1 a0 b4 + 4 a1 b3 + 6 a2 b2 + 4 a3 b1 + 1 a4 b0
= b4 + 4 ab3 + 6 a2 b2 + 4 a3 b + a4 .

Principio di Induzione
Passiamo a un principio che `e collegato ai numeri naturali. Dato un numero fisso n0 N
supponiamo che per ogni n N con n n0 sia data unaffermazione A(n).
Problema. Verificare che A(n) sia vera per ogni n n0 , cio`e verificare un numero
infinito di affermazioni.
Esempio. Per n 1 =: n0 sia A(n) laffermazione che vale la formula
1 + 2 + 3 + ... + n =

n (n + 1)
.
2

= 6 che `e vera. Abbiamo quindi dato un numero


Per esempio A(3): 1 + 2 + 3 = 3(3+1)
2
infinito di formule da verificare e ovviamente non si pu`o procedere verificandole una per
una.
Per risolvere questo problema useremo il seguente
Teorema 0.5 (Principio di Induzione). Se
(base dellinduzione) A(n0 ) `e vera, e
(passo induttivo) lipotesi
A(n) vera
| {z }

implica che anche A(n + 1) `e vera,

ipotesi dellinduzione

allora A(n) `e vera per ogni n n0 .


Esempio. Verifichiamo per induzione che 1 + 2 + 3 + . . . + n =

n(n+1)
2

per ogni n 1.

Base: Dobbiamo verificare A(1), cio`e che vale 1 = 1(1+1)


che `e vero.
2
Passo induttivo: Sotto lipotesi che A(n) sia vera per un certo n n0 (non per
tutti n, quello infatti `e da verificare!) dobbiamo verificare che anche laffermazione
successiva A(n + 1) vale. Allora per ipotesi vale
1 + 2 + 3 + ... + n =

n (n + 1)
2

quindi risulta
n (n + 1)
+ (n + 1)
2
(n + 1) (n + 2)
=
2

(1 + 2 + 3 + . . . + n) + (n + 1) =

che `e esattamente A(n + 1), cio`e la formula che si ottiene sostituendo in A(n) il
numero n con (n + 1).
In un certo senso il principio di induzione formalizza leffetto domino: La base fa cadere
il primo pezzo mentre il passo induttivo afferma che con un pezzo cade anche sempre
quello successivo. Quindi se facciamo cadere il primo pezzo alla fine cadranno tutti i
pezzi. Consideriamo altre due esempi.

0. CONCETTI FONDAMENTALI

Esempio (Disuguaglianza di Bernoulli). Se x 1, allora


(1 + x)n 1 + n x

per ogni n N.

Dimostrazione. Per induzione.


Base: Per n = 0 laffermazione diventa (1 + x)0 = 1 + 0 x che `e vera.
Passo induttivo: Supponiamo che per un certo n N vale
(1 + x)n 1 + n x.

()

Sotto questo ipotesi dobbiamo verificare la disuguaglianza che si ottiene sostituendo


n con n + 1. Perci`
o moltiplichiamo () con 1 + x 0
(1 + x)n+1 = (1 + x) (1 + x)n (1 + x) (1 + n x)
= 1 + (n + 1) x + n
x}2
| {z
0

1 + (n + 1) x
che era da verificare.

Esempio (Progressione Geometrica). Sia 1 6= q R, allora
n
X

qk =

k=0

1 q n+1
1q

per ogni n N.

Dimostrazione. Per induzione.


0
X

1 q 0+1
che `e vera.
1q
k=0
Passo induttivo: Supponiamo che per un certo n N vale

Base: Per n = 0 laffermazione diventa

n
X

(#)

qk =

k=0

qk = q0 =

1 q n+1
.
1q

Sotto questo ipotesi dobbiamo verificare la formula che si ottiene sostituendo n con
n + 1. Perci`
o sommiamo su entrambi i lati di (#) la quantit`a q n+1 e otteniamo
n+1
X

qk =

k=0

n
X

q k + q n+1 =

k=0

1 q n+1
+ q n+1
1q

1 q n+1 + q n+1 q n+2


1q
n+2
1q
=
1q
=

che era da verificare.


Esercizio. Verificare che per ogni n N, n 1, il numero n + n2 `e pari.
Concludiamo con la seguente domanda.

PRINCIPIO DI INDUZIONE

Dov`e lerrore? Tutti i cavalli sono bianchi.


Dimostrazione. Sia A(n) laffermazione tutti i cavalli in un insieme di n cavalli
hanno lo stesso colore.
Base: Per n = 1 laffermazione `e ovviamente vera.
Passo induttivo: Supponendo che in un insieme di n cavalli tutti hanno sempre
lo stesso colore dobbiamo verificare che anche in un insieme di n + 1 cavalli tutti
hanno lo stesso colore. Allora togliendo dallinsieme di n + 1 cavalli un cavallo
rimangono n cavalli che per ipotesi hanno lo stesso colore. Rimettiamo il cavallo
tolto dallinsieme e togliamo unaltro. Di nuovo rimane un insieme con n cavalli
che per ipotesi hanno lo stesso colore. Quindi per transitivit`a tutti i n + 1 cavalli
hanno lo stesso colore.
Inoltre laltro ieri ho visto un cavallo bianco in televisione e quindi tutti cavalli sono
bianchi.


CAPITOLO 1

Successioni Numeriche
Lo scopo di questo capitolo `e di studiare il comportamento di unespressione dipendente
da un parametro naturale n per n sempre pi`
u grande, cioe per n tendente a +.
Iniziamo con la definizione rigorosa di una successione.
Definizione 1.1. Una successione numerica `e una funzione a : N R, cio`e una regola
che fa corrispondere ad ogni n N ununico a(n) R.
Generalmente si usa la notazione an := a(n). Inoltre si rappresenta una successione
elencando tutti i valori assunti in ordine crescente oppure attraverso una formula che
definisce gli elementi an .
Esempio. a : N R, a(n) :=
come
(an )nN

1
n+1

definisce una successione che si pu`o rappresentare





1
1 1 1
oppure
(an )nN =
= 1, 2 , 3 , 4 , . . .
n + 1 nN

Pu`o accadere che una formula che definisce gli elementi an di una successione non ha
senso per alcuni valori di n, cio`e il dominio di a non `e tutto N = {0, 1, 2, 3, 4, . . .} ma
soltanto un sottoinsieme della forma {n0 , n0 + 1, n0 + 2, n0 + 3, . . .}. Comunque anche
in questo caso si parla di successioni.
1
Esempio. La formula an := n(n3)
definisce una successione a : {4, 5, 6, 7, . . .} R (il
problema `e che qui il denominatore si annulla per n = 0 e n = 3 e quindi non sono
definiti gli elementi a0 e a3 ). In questo caso si scrive


1
(an )n4 =
n (n 3) n4

Altri esempi di successioni sono


(2, 3, 5, 7,
n11,
 13, . . .) (successione dei numeri primi),
1 + n1
,
n1
n
0
(q )nN = (q , q 1 , q 2 , q 3 , . . .) per un q R fisso (successione geometrica).
Convergenza, Divergenza e Irregolarit`
a per Successioni
Come gi`
a accennato sopra vogliamo studiare il seguente
Problema. Studiare il comportamento degli elementi an di una successione (an )nN
per n sempre pi`
u grande.
Consideriamo alcuni


Esempi.
Per la successione (an )n1 = n1 n1 = 1, 12 , 13 , 14 , 15 , . . . gli elementi
tendono a l = 0 se n diventa sempre pi`
u grande.
Per la successione (an )nN = (n)nN = (0, 1, 2, 3, 4, 5, . . .) gli elementi superano
qualsiasi valore fissato se n diventa sempre pi`
u grande.
Per la successione (an )nN = ((1)n )nN = (+1, 1, +1, 1, +1, 1, . . .) gli elementi oscillano tra i valori 1 e 1.
Nelle seguenti definizioni formalizziamo questi tre tipi di comportamenti per le successioni.
10

` PER SUCCESSIONI
CONVERGENZA, DIVERGENZA E IRREGOLARITA

11

Definizione 1.2 (Successione convergente). (i) Si dice che la successione (an )nN `e
convergente al limite l R se per ogni > 0 esiste n0 N tale che
|l an | < per ogni n n0 .
In questo caso si scrive
lim an = l

n+

an l per n +

oppure

(ii) Se lim an = 0, allora (an )nN si chiama successione infinitesima.


n+

Esempio. Vogliamo verificare che


lim 1
n+ n

= 0.

Perci`o `e da verificare che per > 0 esiste n0 tale che per ogni n n0 segue che


0 1 = 1 < n > 1 .
n
n

1
Quindi, se scegliamo n0 N tale che n0 > allora


0 1 < per ogni n n0 ,
n

cio`e lim n1 = 0, in altre parole n1 n1 `e infinitesima.
n+

Proposizione 1.3 (Unicit`


a del limite). Il limite di una successione (an )nN , se esiste,
`e unico.
Dimostrazione. Per assurdo1 supponiamo che esiste una successione (an )nN tale che
lim an = l1

e lim an = l2

n+

con l1 , l2 R e l1 6= l2 . Allora :=

|l1 l2 |
4

n+

> 0 e quindi esistono n1 , n2 N tale che

|l1 an | < per ogni n n1

|l2 an | < per ogni n n2

Usando la disuguaglianza triangolare risulta per N := max{n1 , n2 }


|l1 l2 | = |(l1 aN ) + (aN l2 )| |l1 aN | + |aN l2 |
< + = 2 =
Dividendo per |l1 l2 | > 0 segue 1 <

1
2

|l1 l2 |
2 .

E. Quindi il limite `e unico.


n
n+ 2n+5

Esercizio. Utilizzando la definizione di convergenza verificare che lim

= 12 .

Definizione 1.4 (Successione divergente). Si dice che la successione (an )nN


diverge a +, se per ogni M > 0 esiste n0 N tale che an > M per ogni n n0
e in questo caso si scrive
lim an = +

n+

oppure

an + per n +;

diverge a , se per ogni M < 0 esiste n0 N tale che an < M per ogni n n0
e in questo caso si scrive
lim an =

n+

oppure

an per n +.

diverge se diverge a + oppure .


Per esempio lim n = +. Se (an )nN ammette limite finito (cio`e se converge) oppure
n+

infinito (cio`e se diverge), allora si dice regolare. Rimane quindi la classe delle successioni
che non ammettono limite.
1Per i tre principali modi di dimostrazioni cfr. pagina 151.

12

1. SUCCESSIONI NUMERICHE

Definizione 1.5 (Successione irregolare). Se la successione (an )nN non `e convergente


ne divergente allora si dice irregolare (oppure oscillante).
Per esempio la successione ((1)n )nN `e irregolare. Pi`
u in generale consideriamo il
seguente
Esempio (Successione geometrica). Per q R fisso definiamo an := q n . Allora la
successione geometrica (an )nN
(i) diverge a + se q > 1,
(ii) `e costante (cio`e an = a0 per ogni n N) se q = 1 e quindi lim an = a0 = 1,
n+
(iii) `e infinitesima se |q| < 1,
(iv) `e irregolare se q 1.
Dimostrazione. Verifichiamo soltanto (i). Per ipotesi q > 1 e quindi q 1 > 0. Per la
disuguaglianza di Bernoulli segue
n
q n = 1 + (q 1) 1 + n (q 1) per ogni n N.
Ora per M > 0 scegliamo n0 N con n0 >

M 1
q1 .

q n 1 + n (q 1) 1 + n0 (q 1) > 1 +

Allora risulta che

M 1
(q 1) = M
q1

per ogni n n0 .

Quindi lim q n = + per ogni q > 1.

n+

Consideriamo unaltra successione importante.


Esempio (Successione armonica). Per R fisso definiamo an := n . Allora la
successione armonica (an )n1
(i) diverge a + se > 0,
(ii) `e costante (cio`e an = a0 per ogni n N) se = 0 e quindi lim an = a1 = 1,
n+
(iii) `e infinitesima se < 0,
Il prossimo risultato d`
a una condizione necessaria per la convergenza di una successione.
Proposizione 1.6. Una successione convergente (an )nN `e limitata, cio`e esistono m, M
R tale che
m an M per ogni n N.
Dimostrazione. Se l := lim an allora per = 1 esiste n0 N tale che |l an | < 1 ,
n+

cio`e l 1 < an < l + 1, per ogni n n0 . Quindi per


m := min{l 1, a0 , a1 , . . . , an0 1 }

e M := max{l + 1, a0 , a1 , . . . , an0 1 }

segue m an M per ogni n N, cio`e (an )nN `e limitata.

Il contrario della proposizione precedente non vale, cio`e una successione limitata non
deve essere convergente, basta considerare la successione ((1)n )nN che `e limitata ma
non converge.
Cerchiamo ora modi per semplificare lo studio della convergenza di una successione senza
dover verificare direttamente la definizione.
Regole per il Calcolo dei Limiti
Problema. Data una successione complicata (an )nN , studiare la sua convergenza.
Una soluzione parziale per questo problema fornisce il seguente risultato
Proposizione 1.7 (Regole per il calcolo dei limiti ). Siano (an )nN , (bn )nN due successioni convergenti con an l1 e bn l2 per n +. Allora per n +
(i) an bn l1 l2 ;
(ii) an bn l1 l2 ;

REGOLE PER IL CALCOLO DEI LIMITI

13

(iii) abnn ll12 se l2 6= 0;


(iv) (an )bn l1 l2 se l1 > 0;
(v) |an | |l1 |.
Dimostrazione. Verifichiamo solo (ii) cio`e che an bn l1 l2 per n +:
Visto che (an )nN converge, per la proposizione precedente esiste M > 0 tale che |an |
M per ogni n N. Inoltre poiche an l1 e bn l2 , per ogni > 0 esiste n0 N tale
che
/2
/2
|l1 an | <
e
|l2 bn | <
n n0 .
M + |l2 |
M + |l2 |
Quindi con la disuguaglianza triangolare segue
=0

}|
{
z


|l1 l2 an bn | = (l1 l2 an l2 ) + (an l2 an bn )
| l1 l2 an l2 | + | an l2 an bn |
= |l1 an | |l2 | + |an | |l2 bn |
/2
/2
|l2 | + M
M + |l2 |
M + |l2 |
M
|l2 |
+ /2
= /2
M + |l |
M + |l |
| {z 2}
| {z 2}

/2 + /2 = n n0 ,
cio`e an bn l1 l2 per n +.
Esempi.

Calcolare, se esiste, il seguente limite

7n2 2n + 3
.
n+ 3n2 + n 1
Lespressione rappresenta il rapporto di due successioni ma scritto cos` non si pu`o
ancora utilizzare la regola per abnn poiche sia il numeratore sia il denominatore
divergono. Comunque basta mettere in evidenza nel numeratore e nel denominatore
la quantit`
a che cresce pi`
u rapidamente, in questo caso n2 . Utilizzando le regole per
somma, differenza, prodotto e rapporto otteniamo
lim

720+302 = 7

}|
{
2
3
(7 + 2 )
7n2 2n + 3
7
n n
=

2
1
1
3n + n 1
3
n2 (3 + 2 )
n
n
|
{z
}
n2

3+002 = 3

Calcolare, se esiste, il limite


lim

n+

n+3

n.

Non si pu`
o applicare direttamente la regola per le differenze poiche i due termini
divergono entrambi. Per procedere si sfrutta la formula (a b) (a + b) = a2 b2 :


n+3+ n
n+3 n=
n+3 n

n+3+ n
n+3n
3
3
=
=0
=

+
n+3+ n
n+3+ n
Qui lultimo passaggio viene giustificato dalla seguente

14

1. SUCCESSIONI NUMERICHE

Osservazione. Le regole per il calcolo dei limiti si possono estendere alle successioni
regolari se al limite si ottiene una delle seguenti forme determinate: Per ogni a R
definiamo
(
se a > 0
a
+ a :=
a :=
:= 0

se a < 0
() + () :=
(
+ se q > 1
q + :=
0
se 0 < q < 1

() () := +
(
0
se q > 1
q :=
+ se 0 < q < 1

() () :=
q 0 := 1 se q > 0

Per esempio, se an 3 e bn + allora an bn 3 (+) = oppure


an
3
bn + = 0.
a
Osservazione. La forma determinata
= 0 si pu`o generalizzare: Sia (an )nN limitata, cio`e esistono m, M R tale che m an M per ogni n N. Allora abnn 0
per ogni successione divergente (bn )nN e an cn 0 per ogni successione infinitesima
(cn )nN . Quindi possiamo definire altre 2 forme determinate

limitata
=0

limitata 0 = 0.

Esempi concreti sono dati da


sin(n)

cos(n2 )

in quanto 1 sin(x), cos(x) 1 per ogni x R,


1 n
3

0.

n + e


1 n
3

0 per n +.

Osservazione. Con le forme determinate abbiamo esteso le operazioni algebriche in


alcuni casi per gli elementi dei numeri reali estesi
R := R {, +}.
Non si possono per`
o definire tutte le operazioni tra elementi in R, per esempio le seguenti
operazioni rappresentano forme indeterminate:
() ()

0 ()

()0

a
per ogni a R
0
00

0
0
1

Quindi se per la composizione di due successioni (an )nN e (bn )nN al limite otteniamo una forma indeterminata, allora non si pu`o dire nulla sul comportamento della
composizione avendo soltanto informazioni sulla convergenza o divergenza di (an )nN e
(bn )nN .
Esempio. Verifichiamo che (+) (+) `e indeterminata, cio`e sapendo soltanto che
an + e bn + non si pu`
o dire nulla sul comportamento di an bn per n +.
Basta considerare bn := n e
an := n an bn = 0 0, cio`e la differenza converge;
an := n2 an bn = n2 n = n2 (1 n1 ) + 1 = +, cio`e la differenza
diverge;
an := n + (1)n an bn = (1)n , cio`e la differenza `e irregolare.
Le regole per il calcolo dei limiti manifestano che il concetto di limite `e compatibile con
le operazioni algebriche.

LIMITI E ORDINAMENTO

15

Esercizio. Calcolare il limite


lim n

n+

q

5 5 n2 .

(Risultato l =

5
5 ).

Continuiamo studiando il comportamento tra


Limiti e Ordinamento
Teorema. Se an l1 e bn l2 per n + con l1 , l2 R e an bn per ogni n N,
allora
l1 l2 (Teorema del Confronto);
se inoltre an cn bn per ogni n N e l1 = l2 , allora anche cn l1 per n +
(Teorema dei Carabinieri).
In particolare il Teorema dei Carabinieri `e molto utile per studiare successioni complicate
(cn )nN incastrandole tra 2 successioni (an )nN , (bn )nN pi`
u semplici (cio`e tra i due
carabinieri).
Esempi.

Vogliamo studiare la convergenza della successione (cn )nN con


n

1
.
cn :=
3 + cos(n2 )

Allora, 1 cos(n2 ) 1 2 = 3 1 3 + cos(n2 ) 3 + 1 = 4


 n 
n  n
1
1
1

per n +
2
4
3 + cos(n )
2
| {z }
| {z }
=:an 0

=:bn 0

e di conseguenza lim cn = 0.
n+

Verifichiamo che
lim

per ogni a > 0.

Consideriamo prima il caso a > 1 e poniamo dn := n a 1 > 0 cio`e n a = 1 + dn


per ogni n N. Per la disuguaglianza di Bernoulli segue
a1
(1 + dn )n 1 + n dn
dn |{z}
0
per n +.

| {z }
n }
| {z
n+

=a

a=1

Di conseguenza dn 0 e quindi n a = 1 + dn 1 + 0 = 1 per n +. Se


0 < a < 1 poniamo a
:= a1 > 1. Da sopra segue quindi

1
1
n
n
a
1

a=
=1
per n +.
n
1
a

Osservazione. Il concetto di limite per una successione (an )nN `e collegato al comportamento degli elementi an per n sempre pi`
u grande. Quindi i primi elementi non
influiscono sulla esistenza oppure sul valore del limite. Nel seguito diremo che una propriet`a per una successione vale definitivamente, se esiste un n0 tale che tale propriet`a
vale per n > n0 . Per esempio la successione (an )nN = (n 1000)nN `e positiva definitivamente poiche an > 0 per ogni n > 1000 =: n0 . Invece ((1)n )nN non `e positiva
definitivamente.
Osservazioni.
Dal teorema del confronto segue che per una successione (an )nN
convergente al limite l e con an [, ] definitivamente vale l [, ]. In particolare
segue il Teorema della permanenza del segno: Se (an )nN `e positiva definitivamente
e lim an = l allora l 0.
n+

16

1. SUCCESSIONI NUMERICHE

Non vale losservazione precedente per intervalli aperti oppure disuguaglianze strette. Per esempio, se an > 0 per ogni n N e lim an = l allora NON segue l > 0!!
n+

Come controesempio basta considerare


1
an :=
|{z}
0 =l
+ 1}
|n {z

per n +.

6>0

>0 nN

Abbiamo detto che a0 anche per a 6= 0 `e una forma indeterminata. Tuttavia si


potrebbe pensare che sia invece determinata con il valore . Il problema `e che non
si pu`
o decidere il segno dellinfinito. Si possono seguire 2 strade:
Si introduce un terzo infinito senza segno e si pone a0 := per ogni a 6= 0,
oppure
si considerano soltanto gli infiniti e + (come faremo nel seguito) e di
conseguenza a0 diventa una forma indeterminata come si vede dal seguente
n
esempio: an := (1)
0 ma a1n = (1)n n `e oscillante.
n
Il problema posto nellultima osservazione si pu`o risolvere parzialmente introducendoinfinitesimi con segno.
Definizione 1.8. Sia (an )nN una successione infinitesima, cio`e an 0 per n +.
Se
an 0 definitivamente, allora scriviamo an 0+ (oppure lim an = 0+ ),
n+

an 0 definitivamente, allora scriviamo an 0 (oppure lim an = 0 ).


n+

Cos` otteniamo altre due forme determinate


a
a
: = se a > 0,
: = se a < 0.

0
0
Inoltre abbiamo
a
a
: = 0 se a > 0,
: = 0 se a < 0.

Con queste definizioni le regole per il calcolo dei limiti restano validi. Per esempio
an 2, bn 0 abnn 02 = ,
1
an 1, bn + abnn +
= 0 .
Problema. Per studiare la convergenza di una successione abbiamo finora avuto bisogno di avere almeno un candidato per il suo limite.

Per esempio, come vedremo tra poco la successione (an )nN = (1 + n1 )n nN converge
ma ci`o non si pu`
o dimostrare usando la definizione oppure le regole per il calcolo dei
limiti.
Per risolvere questo problema cerchiamo quindi criteri che implicano la convergenza
senza fare riferimento al limite. Prima ci serve una
Definizione 1.9. Una successione (an )nN si dice
crescente, se an+1 an per ogni n N,
decrescente, se an+1 an per ogni n N,
monotona, se `e crescente oppure decrescente.
Il seguente risultato `e molto importante.
Teorema 1.10 (Regolarit`
a delle successione monotone). Se (an )nN `e monotona, allora
ammette limite. Questo limite `e finito, cio`e (an )nN converge, se e solo se (an )nN `e
limitata. Inoltre vale
(
sup{an : n N} se (an )nN `e crescente,
lim an =
n+
inf{an : n N}
se (an )nN `e decrescente.

LIMITI E ORDINAMENTO

17

Dimostrazione. Verifichiamo soltanto che una successione crescente e limitata converge. Per la completezza di R esiste l := sup{an : n N} R. Sia > 0. Allora usando la
caratterizzazione dellestremo superiore segue che
an l 0 l an n N
e
an0 tale che l < an0 l an0 < .
Usando inoltre la crescenza di (an )nN otteniamo
0 l an l an0 < per ogni n n0
e quindi |l an | < per ogni n n0 , cio`e lim an = l.

n+

Per dimostrare limportanza di questo risultato consideriamo due applicazioni. Inoltre


sar`a utilizzato per dimostrare il Teorema degli Zeri, cfr. pagina 42.
Il Metodo di Erone. Per a > 0, k N con k 2 definiamo la successione (xn )nN
come
x0 : = 1
1 
a 
xn+1 : = (k 1)xn + k1
k
xn
In questo caso non `e data una formula per calcolare direttamente xn per un valore n N,
ma una regola per calcolare il termine successivo xn+1 della successione conoscendo
quello precedente xn . Questo modo di definire una successione si dice per ricorrenza ed
`e legata al principio di induzione. Nel seguente grafico `e riportato come viene costruito
xn+1 da xn :
xk-- a

xn+1

xn

--a

Figura 3. Il metodo di Erone.


si traccia in x = xn la retta tangente al grafico della funzione f (x) = xk a che poi
interseca lasse-x in xn+1 (come verificheremo a pagina 51). In particolare si vede che
(xn )nN `e
definitivamente decrescente (per n 1), e
limitata (xn 0 per ogni n N).
Quindi per il teorema precedente il limite
lim xn =: r [0, +)

n+

converge. Per calcolare r notiamo che anche lim xn+1 = r e poi usiamo le regole per
n+

il calcolo dei limiti: Per n + vale


1 
a 
1 
a 
r xn+1 = (k 1) xn + k1 (k 1)r + k1 ,
|{z} xn
k
k
r
| {z }
r
rk1

quindi
r=

a 
1 
(k 1)r + k1
k
r

rk = a

18

1. SUCCESSIONI NUMERICHE

Cio`e abbiamo costruito


r =:

= radice k-esima di a.

Interesse Composte e il Numero e di Nepero. Se un capitale di 1 viene


investito a 100% di interesse annuale, allora dopo un anno il capitale `e di

1 n
,
an := 1 +
n
se linteresse viene pagato ogni n-esimo dellanno. Quindi ci si pu`o chiedere che cosa
succede se gli interessi vengono pagati dopo periodi sempre pi`
u brevi: per esempio dopo
ogni mese: n = 12 a12 = 2, 61303529 . . .,
ogni giorno: n = 365 a365 = 2, 71456748 . . .,
ogni ora: n = 8760 a8760 = 2, 71812669 . . .,
ogni secondo: n = 31536000 a31536000 = 2, 71828178 . . .
etc. Visto che per n crescente
si accumulano sempre pi`
u interessi composti, la successione

(an )nN = (1 + n1 )n nN `e crescente. Quindi (an )nN `e
crescente, e
limitata in quanto an [2, 3] per ogni n N (usare la formula del binomio di
Newton).
Quindi per il teorema precedente sulla convergenza delle successioni monotone (an )nN
converge e si pone

1 n
e := lim 1 +
= numero di Nepero.
n+
n
Per il teorema del confronto vale e [2, 3]. Si pu`o verificare che e
/Qe
e = 2, 718281828459045 . . .
Confronto tra Successioni
an
n+ bn

Definizione 1.11. Se per due successioni si ha lim

= 1, allora si dice che (an )nN

e (bn )nN sono asintotiche e si scrive an bn per n +.


Se an bn per n +, allora (an )nN e (bn )nN hanno lo stesso
Osservazioni.
comportamento asintotico, cio`e
(an )nN converge (bn )nN converge e in tal caso lim an = lim bn ;
n+

n+

(an )nN diverge (bn )nN diverge e in tal caso lim an = lim bn ;
n+

n+

(an )nN `e irregolare (bn )nN `e irregolare.


`e una relazione di equivalenza sullinsieme delle successioni, cio`e
an an per n + (riflessivita),
an bn bn an per n + (simmetria),
an bn e bn cn an cn per n + (transitivit`a).
Il seguente principio `e spesso utile per semplificare il calcolo dei limiti.
Teorema 1.12 (Principio di Sostituzione). Se an a0n , bn b0n e cn c0n per n +,
allora
an bn
a0 b0
n0 n
per n +.
cn
cn
In particolare an bn a0n b0n e

an
bn

a0n
b0n

per n +.

Quindi in prodotti e rapporti si possono sostituire successioni con altre successioni asintotiche senza cambiare il comportamento asintotico, in particolare senza cambiare il
limite se esiste.

CONFRONTO TRA SUCCESSIONI

Esempi.

19

2n3 5n2 3n + 11 2n3 per n + poiche

2n3 5n2 3n + 11
5
3
11
=1
2 + 3 100+0=1
per n +.
3
2n
2n 2n
2n
n + 5 n poiche n+5
= 1 + n5 1 per n +. Quindi per il principio di
n
sostituzione segue che (n + 5)3 n3 e
2n3 5n2 3n + 11
2n3
2n3 5n2 3n + 11

=
2

2
=
lim
.
n+
(n + 5)3
n3
(n + 5)3
` doveroso fare la seguente
E
Osservazione. Il principio di sostituzione !!! NON !!! vale per somme, differenze
o potenze, cio`e se an a0n e bn b0n allora
6 an + bn a0n + b0n per n +,
6 an bn a0n b0n per n +,
0
6 (an )bn (a0n )bn per n +,
Controesempi.
(per la somma) an := n + 1 n =: a0n e bn := n n =: b0n
ma an + bn = (n + 1) n = 1 e a0n + b0n = n n = 0 non sono asintotiche in quanto
ammettono limiti diversi.
(per la potenza) an := 1 + n1 1 =: a0n e bn := n n =: b0n ma (an )bn = (1 + n1 )n
0
e (a0n )bn = 1n = 1 non sono asintotiche sempre poiche ammettono limiti diversi.
Concludiamo questo capitolo con un criterio che `e utile per studiare limiti che coinvolgono radici n-esime.
Proposizione 1.13. Se (an )nN `e una successione tale che an > 0 definitivamente e
lim an+1 =: q esiste, allora segue che anche
n+ an

lim n an = q.
n+

Esempio. Sia an = n. Allora

an+1
an

Esercizio. Calcolare, se esiste,

n+1
n

= 1 + n1 1 e quindi

lim n n = 1.

n+

n
lim nn! .
n+

(Suggerimento: n =

nn )

CAPITOLO 2

Serie numeriche
Consideriamo il seguente
Problema. Sommare tutti gli elementi di una successione (an )nN , cio`e dare senso alla
somma infinita
+
X
a0 + a1 + a2 + a3 + . . . =
ak .
k=0

Lidea per risolvere questo problema `e di considerare prima le somme parziali (oppure
ridotte) n-esime
sn := a0 + a1 + a2 + . . . + an =

n
X

ak ,

nN

k=0

e poi mandare n +.
Convergenza e prime Propriet`
a
Definizione 2.1. Diremo che la serie numerica

+
P

ak

k=0

converge alla somma s R, se lim sn = s e in questo caso scriveremo


n+

+
P

ak = s;

k=0

diverge a , se lim sn = e in questo caso scriveremo


n+

+
P

ak = ;

k=0

`e irregolare (oppure oscillante), se (sn )nN `e irregolare.


Quindi studiare una serie

+
P

ak significa studiare la successione delle somme parziali

k=0

(sn )nN .
Esempi.

Serie geometrica. Se q R allora

1q
q k = 1 + q + q 2 + q 3 + q 4 + . . . = +

k=0
`e irregolare

+
X

se |q| < 1,
se q 1,
se q 1.

Dimostrazione. 1 caso q = 1: Se q = 1 allora q k = 1 per ogni k N e quindi


sn = 10 + 11 + 12 + . . . + 1n = n + 1 .
2 caso q 6= 1: In questo caso le somme parziali valgono (cfr. pagina 8)
sn = q 0 + q 1 + q 2 + . . . + q n =

1
q
1 q n+1
=

qn.
1q
1q 1q

La tesi ora segue dal comportamento della successione geometrica, cfr. pagina 12

20

`
CONVERGENZA E PRIME PROPRIETA

21

Serie armonica.
+
X
1 1 1 1
1
= 1 + + + + + . . . = +.
k
2 3 4 5
k=1

Idea della dimostrazione.



 
 

+
X
1
1 1 1 1
1
1
1 1
1
1
+
+
+...
=1+ +
+
+ + +
+
+ ... +
k
2
3 4
5 6 7 8
9 10
16
k=1
| {z } |
{z
} |
{z
}
2 14 = 21

1+

4 18 = 12

1
= 12
8 16

1 1 1 1
+ + + + . . . = +.
2 2 2 2


Osservazione. Useremo la divergenza della serie armonica per dimostrare che


(teoricamente) si pu`
o costruire una scala autoportante che superare qualsiasi distanza. Perci`
o consideriamo gradini della lunghezza l = 2 e del peso 1 che sistemiamo uno sul altro (senza usare colle o fissaggi) in maniera di superare una distanza
massima. Usando solo 2 gradini `e molto semplice: dobbiamo sistemare il gradino
sotto tale che lo spigolo capita esattamente sotto il (bari)centro del gradino sopra:
l=2

s
= baricentro

Figura 4. Scala autoportante: 2 gradini.


Continuiamo e sistemiamo un terzo gradino sotto i primi due:1 Se x indica lo sbalzo
del secondo al terzo gradino, dalla legge della leva (cfr. Figura 5)
baricentro 2 gradino: peso 1
1

baricentro 1 gradino: peso 1


= spigolo 2 gradino

1--x x

1--x x
spigolo 3 gradino

Figura 5. Scala autoportante: 3 gradini.


segue
1 (1 x) = 1 x x = 12 .
Continuando in questa maniera arriviamo al punto in cui dobbiamo sistemare il
(n + 1)-esimo gradino sotto quelli n precedenti. Come prima dobbiamo piazzare il
gradino sottostante in maniera che lo spigolo capita esattamente sotto il baricentro
del corpo fatto dai n = (n 1) + 1 gradini sovrastanti. Visto che
lo spigolo del n-esimo gradino capita esattamente sotto il baricentro del corpo
fatto dai primi (n 1) gradini (e quindi dal peso n 1) e
la distanza tra lo spigolo del n-esimo gradino e il suo baricentro `e 1
sempre per la legge della leva segue (cfr. Figura 6)
1sopra non si pu`
o aggiungere niente senza che crollasse tutto!

22

2. SERIE NUMERICHE

baricentro n gradino: peso 1


baricentro primi (n-1) gradini: peso n-1
= spigolo n gradino

1--x x
spigolo (n+1) gradino

Figura 6. Scala autoportante: n + 1 gradini.


1 (1 x) = (n 1) x x = n1 .
Cos` con n + 1 gradini abbiamo costruita una scala autoportante che supera la
distanza
sn := 1 + 12 + 13 + . . . + n1 + per n +.
1 gradino
2 gradino
1
3 gradino 1/2
4 gradino 1/3
5 gradino 1/4
6 gradino 1/5

(n-1) grad.
n gradino 1/(n-1)
(n+1) grad. 1/n

sn

Figura 7. Scala autoportante che supera (teoricamente) qualsiasi distanza.


Comunque, con 10.000 gradini di lunghezza l = 2m in questa maniera si superano
appena 9, 21m e per superare 10m servono addirittura 22028 gradini!
Serie di Mengoli.
+

X
1
1
1
1
1
+
+
+
... =
= 1.
12 23 34 45
k (k + 1)
k=1

Dimostrazione. Per induzione si pu`o dimostrare (Esercizio!)2 che


n
X
1
1
sn =
=1
1
per n +.
k (k + 1)
n+1
k=1


Solo in casi rari `e possibile trovare una formula esplicita semplice per le somme parziali
di una serie. Di conseguenza si pone il seguente
2In alternativa si pu`
o usare il seguente trucco:
=1

z
}|
{

n+1
n
n 
n
X
X
X
(k + 1) k
1
1
1 X1
1
sn =
=

=1
k (k + 1)
k
k+1
k
k
n+1
k=1
k=1
k=1
k=2
|
{z
}
=somma telescopica

SERIE A TERMINI POSITIVI

23

Problema. Come si pu`


o studiare la convergenza di una serie
una formula semplice per le somme parziali sn ?

+
P

ak senza conoscere

k=0

Evidenziamo che cos` non chiediamo pi`


u di calcolare la somma della serie ma soltanto
di verificare che la somma esiste e sia finita. Iniziamo con la seguente
Proposizione 2.2 (Condizione necessaria). Se

+
P

ak converge, allora lim ak = 0.


k+

k=0

Dimostrazione. Sia s :=

+
P

ak , cio`e s =

k=0

lim sn . Allora anche

n+

lim sn1 = s e

n+

quindi lim (sn sn1 ) = s s = 0. Cos` risulta


n+

sn sn1 = (a0 + a1 + a2 + . . . + an1 + an ) (a0 + a1 + a2 + . . . + an1 )


= an 0 per n +.

Evidentemente questa condizione `e soltanto necessaria ma non sufficiente per la convergenza come si vede dalla serie armonica. Come vedremo nel seguente paragrafo lordine
in R ci aiuta a risolvere il problema posto sopra.
Serie a Termini Positivi
Se ak 0 per ogni k N, allora sn+1 = sn + an+1 sn cio`e (sn )nN `e crescente. Quindi
possiamo usare il teorema sulla convergenza delle successioni monotone (cfr. pagina 16)
+
P
per studiare il comportamento della serie
ak . In questa maniera otteniamo
k=0

Teorema 2.3. Se ak 0 per ogni k N (basta anche ak 0 definitivamente), allora


(
+
X
converge
se e solo se (sn )nN `e limitata,
la serie
ak
diverge a + se e solo se (sn )nN non `e limitata.
k=0
Quindi per una serie a termini positivi basta verificare la limitatezza della successione
delle somme parziali per ottenere convergenza. Inoltre risulta che una serie a termini
positivi non pu`
o essere irregolare.
Esempio. Consideriamo la serie a termini positivi
+
X
1
k!

= serie esponenziale

k=0

Per verificare la convergenza osserviamo che per k 2 vale


k! = 1 2| 3 {z. . . k} 2k1

1
k!

1
2k1

=2


1 k
2

22...2=2k1

Questa relazione vale per`


o anche per k = 0 e k = 1 e quindi risulta che
sn =

n
X
k=0

1
k!

n
X
k=0


1 k
2

+
X


1 k
2

k=0

Quindi (sn )nN `e limitata e di conseguenza s :=

2
1

+
P
k=0

confronto segue che s 4.

1
k!

1
2

=4

converge. Inoltre dal teorema del

Osservazione. In seguito dimostreremo che s = e, cio`e


+
X
1
= e.
k!
k=0

per ogni n N.

24

2. SERIE NUMERICHE

Nellesempio precedente per dimostrare la convergenza della serie esponenziale labbiamo


confrontata con la serie geometrica con q = 12 . Nel seguente risultato generalizziamo
questa idea e consideriamo 2 serie qualsiasi.
Proposizione 2.4 (Criterio del confronto). Sia 0 ak bk definitivamente. Allora
+
X

+
X

converge

bk

k=0

converge

ak

k=0

| {z }

| {z }

maggiorante

minorante

oppure
+
X

ak

+
X

diverge

diverge

bk

{z }
|k=0

{z }
|k=0

minorante

maggiorante

Esempio. Consideriamo la serie


divergenza della serie armonica

+
X

1 .
k

k=1
+
X
1
k
k=1

Visto che

1
k

la divergenza di

+
X

1
k

per ogni k 1 segue dalla

1 .
k

k=1

Del criterio precedente esiste anche una versione asintotica.


Proposizione 2.5 (Criterio del confronto, versione asintotica). Sia ak 0 e bk > 0
definitivamente tali che esista
ak
lim
=: l R.
k+ bk
Allora
+
X

bk converge

k=0

+
X

ak converge

k=0

oppure
+
X

ak diverge

k=0

+
X

bk diverge

k=0

Se inoltre l 6= 0 (in particolare se ak bk per k +), allora valgono anche le


implicazioni opposte, cio`e
+
X

ak converge

k=0

+
X

bk converge

k=0

oppure
+
X

ak diverge

k=0

+
X

bk diverge

k=0

Esempio. Consideriamo la serie

+
X

1
.
k2

Per studiare la convergenza confrontiamola con

k=1

la serie di Mengoli

+
X

1
k(k+1) .

Allora

k=1
1
k2
1
k(k+1)

k (k + 1)
1
= 1 + 1 = l 6= 0
2
k
k

per k +.

SERIE A TERMINI POSITIVI

25

Quindi, visto che la serie di Mengoli converge, converge anche la serie

+
X

1
.
k2

k=1

Osservazione. Usando metodi pi`


u sofisticati si pu`o dimostrare che
+
X
2
1
=
k2
6
k=1

Problema. Data una serie, trovare una serie minorante divergente oppure una serie
maggiorante convergente per applicare il Criterio del Confronto.
Una possibilit`
a per affrontare questo problema `e di usare come seconda serie la serie
+
P k
q per q > 0. Sfruttando questa idea si possono dimostrare i seguenti due
geometrica
k=0

criteri.
Proposizione 2.6 (Criterio del Radice). Sia ak 0 definitivamente. Se esiste q :=
+
P

lim k ak , allora la serie


ak
k+

k=0

converge se q < 1,
diverge se q > 1,
non si pu`
o concludere nulla sul comportamento della serie se q = 1.
Esempio. Sia ak :=

ak
kk

per a > 0 fisso. Allora

e quindi la serie

+
P

ak =

a
0=q<1
k

per k +

ak converge.

k=0

Proposizione 2.7 (Criterio della Rapporto). Sia ak > 0 definitivamente. Se esiste


+
P
a
q := lim k+1
ak
ak , allora la serie
k+

k=0

converge se q < 1,
diverge se q > 1,
non si pu`
o concludere nulla sul comportamento della serie se q = 1.
Esempio (Serie Esponenziale). Sia ak :=
ak+1
=
ak

ak+1
(k+1)!
ak
k!

ak
k!

per a > 0 fisso. Allora

ak+1 k!
a
=
0=q<1
k
k+1
(k + 1)! a
| {z }

per k +

=k!(k+1)

e quindi la serie

+
P
k=0

ak
k!

converge.

Concludiamo questa sezione con un importante


Esempio (Serie Armonica Generalizzata). Sia ak :=
+
P
per il criterio del confronto che la serie
ak
k=0

diverge per = 1 diverge per ogni 1,


converge per = 2 converge per ogni 2

1
k

per R fisso. Allora sappiamo

26

2. SERIE NUMERICHE

dove le implicazioni seguono dal criterio del confronto:


1

1
k

1
k2

1
k

cio`e

1
k

cio`e

+
X

1
k

k=1
+
X

`e un minorante divergente,

1
k2

`e un maggiorante convergente

k=1

della serie armonica generalizzata.


Mancano per`
o i parametri (1, 2). Quindi si pone la domanda come si comporta
la serie armonica generalizzata per questi parametri. Come vedremo in seguito (cfr.
pagina 115) vale la seguente.
Proposizione 2.8.
+
X
1
k

converge

>1

k=1

Serie a Termini di Segno Variabili


Abbiamo visto che la serie armonica diverge:
+
X
1
1 1 1 1
= 1 + + + + + . . . = +.
k
2 3 4 5
k=1

Cio`e facendo un numero sufficientemente grande di passi di lunghezza


supera qualsiasi limite.

1
k

in avanti si

1
+ 12

+ 13

+ 41

+ 15

+ 16

! +1
0

Figura 8. Divergenza della serie armonica


Problema. Che cosa succede se dopo ogni passo invertiamo direzione o, in termini
matematici, se i termini cambiamo segno? Cio`e come si comporta la Serie di Leibniz
+
X
1 1 1 1
1
(1)k = 1 + + . . .
k
2 3 4 5

k=1

Per ottenere una idea tracciamo un grafico simile a quello precedente:


+ 21
+ 41
-1

:::

-1+ 21

- 31

-1

Figura 9. Convergenza della serie di Leibniz.


Dalla Figura 9 si pu`
o avere limpressione che la serie converge. Ci`o `e infatti vero per la

SERIE A TERMINI DI SEGNO VARIABILI

27

Proposizione 2.9 (Criterio di Leibniz ). Se la successione (ak )kN `e


decrescente, e
infinitesima
+
P
(1)k ak =: s R converge. Inoltre vale |ssn | an+1 per ogni n N,
allora la serie
k=0

cfr. Figura 10.


an+1

n + 1 pari

an+1

|ssn |
sn

|ssn |

n + 1 dispari
sn an+1 =sn+1

sn+1 =sn +an+1

sn

Figura 10. Criterio di Leibniz: Stima dellerrore.


Osservazione. Si pu`
o verificare che
+
X
1
(1)k = ln(2)
k
k=1

Esempio. Sia ak :=

1
k

per > 0. Allora (ak )kN `e decrescente e infinitesima e quindi

+
X
1
(1)k
k

converge per ogni > 0.

k=1

Confrontando la serie armonica con la serie di Leibniz ricaviamo unimportante


Osservazione. Se
+
X

+
X

ak converge

|k=0 {z
}
convergenza (semplice)
Infatti per ak = (1)k k1 la serie
+
X
k=1

+
P

|ak | converge

|k=0
{z
}
convergenza assoluta

ak converge mentre

k=1

X
+
X

+ 1
k 1

|ak | =
(1) k =
k
k=1

diverge.

k=1

Invece vale il contrario:


Proposizione 2.10. Se

+
P

|ak | converge, allora converge anche

k=0

+
P

ak , cio`e la conver-

k=0

genza assoluta implica la convergenza semplice.


Questa proposizione `e molto utile in quanto la serie

+
P

|ak | `e sempre a termini positivi e

k=0

quindi pu`
o essere studiata con i criteri per tale serie. Per esempio, applicando il criterio
+
P
del rapporto e della radice a
|ak | otteniamo la seguente
k=0

Proposizione 2.11. Se


ak+1

<1
q := lim
k+
ak
allora

+
P
k=0

oppure

q := lim

k+

p
k
|ak | < 1

ak converge assolutamente e quindi anche semplicemente.

28

2. SERIE NUMERICHE
k

Esempio (Serie Esponenziale). Sia ak := ak! per a R fisso. Allora




|a|k+1
ak+1
|a|
(k+1)!


ak = |a|k = k + 1 0 = q < 1
k!

e quindi la serie

+
P

ak converge.

k=0

Osservazione. In seguito (vedi pagina 80) dimostreremo che


+ k
X
a
k=0

k!

= ea

per ogni a R.

Concludiamo con unosservazione abbastanza sorprendente.


Osservazione. Mentre per una somma finita lordine degli addenti non influisce al
risultato, p.e.
1 + 2 + 3 + 4 = 10 = 4 + 1 + 3 + 2 = 3 + 1 + 2 + 4 = . . .
ci`o in generale non vale per le serie, cio`e per somme infinite.
Per esempio si pu`
o verificare che per qualsiasi s R esiste un riordinamento della
+
P
serie di Leibniz
(1)k k1 , cio`e unordine per sommare gli elementi della successione
k=1

(1)k k1 k1 , che converge esattamente alla somma s. In altre parole, sommando gli
elementi (1)k k1 , k = 1, 2, 3, 4, . . . nellordine giusto si pu`o avere qualsiasi somma. In
questo senso una somma infinita non `e pi`
u commutativa, cio`e indipendente dallordine
degli addendi.
Questo fenomeno, per`
o, si verifica solo per le serie che convergono ma non convergono assolutamente come per esempio la serie di Leibniz. Per una serie che converge
assolutamente invece ogni riordinamento converge alla stessa somma.

CAPITOLO 3

Funzioni Reali di una Variabile Reale


Definizione 3.1. Una funzione f : X R Y R si dice funzione reale di una
variabile reale.
In questo caso il grafico
G(f ) =

o

x, f (x) : x X R2 ,

cio`e si pu`
o disegnare nel piano xy.
Esempio. Definiamo A(r) := area di un cerchio di raggio r 0. Questa regola definisce
und funzione A : [0, +) R con immagine A([0, +)) = [0, +). Inoltre A(r) = r2
e quindi il grafico G(A) R2 `e dato da (parte di) una parabola:
A(r)
25
20
15
10
5
0

0.5

1.5

2.5

Figura 11. Grafico di A(r).

Operazioni e Composizione tra Funzioni


Somma, Differenza, Prodotto e Frazioni di Funzioni. Le operazioni algebriche si
possono facilmente estendere dai numeri alle funzioni.
Se f : X1 R R e g : X2 R R sono due funzioni allora definiamo per
X := X1 X2
la somma f + g : X R, (f + g)(x) := f (x) + g(x) per x X;
la differenza f g : X R, (f g)(x) := f (x) g(x) per x X;
la prodotto f g : X R, (f g)(x) := f (x) g(x) per x X;
(x)
la frazione fg : X0 R, fg (x) := fg(x)
per x X0 := {z X : g(z) 6= 0};
Un altro modo per costruire una nuova funzione da due funzioni date `e la
Composizione di funzioni. Se f : X Y e g : Y Z allora la funzione

g f : X Z, (g f )(x) := g f (x) , x X
si dice funzione composta di f e g.
Esempio. Se f (x) = |x| e g(x) = sin(x) allora (g f )(x) = sin |x|. In questo
esempio
possiamo anche considerare f g per il quale si ottiene (f g)(x) = sin(x) . Quindi in
generale f g 6= g f .
29

30

3. FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Propriet`
a di Funzioni Reali
Elenchiamo in seguito alcune propriet`a importanti di funzioni reali.
Funzioni Invertibili.
Definizione 3.2. Una funzione f : X Y si dice
iniettiva, se per ogni x1 , x2 X, x1 6= x2 si ha f (x1 ) 6= f (x2 ), cio`e se per ogni
y Y esiste al pi`
u un x X con f (x) = y;
suriettiva se per ogni y Y esiste almeno un x X con f (x) = y;
biettiva se f `e iniettiva e suriettiva, cio`e se per ogni y Y esiste un unico x X
con f (x) = y.
Esempio. Consideriamo la funzione fk : Xk Yk , fk (x) := x2 per diverse scelte di
Xk , Yk R (k = 1, 2, 3, 4):
(a) X1 = R, Y1 = R. In questo caso

per 0 < y Y1 esistono due x1 , x2 X1 , x1 = y 6= x2 = + y con


(x1 )2 = (x2 )2 = y e quindi f1 non `e iniettiva;
per y < 0 non esiste x X1 tale che f1 (x) = x2 = y e quindi f1 non `e suriettiva.
Riassumendo f1 non `e ne iniettiva ne suriettiva.
(b) X2 = R, Y2 = [0, +). In questo caso

per 0 < y Y2 esistono due x1 , x2 X2 , x1 = y 6= x2 = + y con


(x1 )2 = (x2 )2 e quindi f2 non `e iniettiva;

per y Y2 definiamo x := + y X2 che implica f2 (x) = x2 = y e quindi f1 `e


suriettiva.
Riassumendo f2 non `e iniettiva ma `e suriettiva.

(c) X3 = [0, +), Y3 = R. In questo caso per 0 y Y3 x := + y `e lunico x X3


con x2 = y mentre per 0 > y Y3 non esiste x X3 tale che f3 (x) = x2 = y. Quindi
f3 `e iniettiva;
f3 non `e suriettiva.
Riassumendo f3 `e iniettiva ma non `e suriettiva.

(d) X4 = [0, +), Y4 = [0, +). In questo caso per ogni y Y4 x := + y `e lunico
x X4 con x2 = y. Quindi
f4 `e iniettiva;
f4 `e suriettiva.
Riassumendo f4 `e biettiva.
Osservazioni.
Al livello del grafico G(f ) per una funzione reale f : X Y vale:
f `e iniettiva ogni retta orizzontale attraverso un punto y Y interseca
G(f ) al pi`
u una volta;
f `e suriettiva ogni retta orizzontale attraverso un punto y Y interseca
G(f ) almeno una volta;
f `e biettiva ogni retta orizzontale attraverso un punto y Y interseca
G(f ) ununica volta;
cfr. Figura 12
Una funzione f : X Y `e biettiva se e solo se esiste una funzione g : Y X tale
che

(g f )(x) = g f (x) = x per ogni x X, e
(f g)(y) = f g(y) = y per ogni y Y .
In questo caso g `e unica, si chiama funzione inversa di f e si scrive f 1 := g.
Dal fatto che f (x) = y x = f 1 (y) segue che i grafici G(f ) di f e G(f 1 ) di
f 1 sono simmetrici rispetto alla bisettrice y = x, cfr. Figura 13.
Esempio. Abbiamo visto nellesempio precedente che la funzione f : [0, +) [0, +),
f (x) := x2 `e invertibile.
In questo caso la funzione inversa f 1 : [0, +) [0, +) `e

1
1
data da f (x) = x. In particolare, f 1 (x) 6= f (x)
= x12 !!!

` DI FUNZIONI REALI
PROPRIETA

(a)

(c)

(b)

f1(x)

x2

x1

f4(x)
y>0

y>0

x2

(d)

f3(x)

f2(x)
y>0

x1

31

x2

y<0

y>0

y<0

Figura 12. Funzione (a) non iniettiva, non suriettiva; (b) non iniettiva
ma suriettiva; (c) iniettiva ma non suriettiva; (d) iniettiva e suriettiva
cio`e biettiva.
f (x) = x2

f 1 (x) =

Figura 13. Grafico di f (x) = x2 e f 1 (x) =

x.

Funzioni Limitate. Una funzione f : X R R si dice


limitata superiormente se esiste M R tale che f (x) M per ogni x X;
limitata inferiormente se esiste m R tale che m f (x) per ogni x X;
limitata se `e superiormente e inferiormente limitata, cio`e se esistono m, M R tale
che m f (x) M per ogni x X.
Esempi.
f (x) = x2 , x R `e inferiormente ma non superiormente limitata;
f (x) = x3 , x R non `e inferiormente ne superiormente limitata;
f (x) = sin(x), x R `e limitata, cfr. pagina 35.
Funzioni Simmetriche. Sia X R un dominio simmetrico rispetto a x = 0 (cio`e
x X x X). Allora f : X R si dice
pari, se f (x) = f (x) per ogni x X;
dispari, se f (x) = f (x) per ogni x X.
Osservazioni.
f `e pari il grafico di f `e simmetrico rispetto allasse y;
f `e dispari il grafico di f `e simmetrico rispetto allorigine, cfr. Figura 14
Se f `e dispari e 0 X (= dominio di f ) allora f (0) = 0.
Valgono le seguente regole per prodotto e rapporto tra funzioni pari (=p) e dispari
(=d):
f1 f2 opp.
f2 =p
=d

f1
f2

f1 =p
p
d

=d
d
p

Inoltre vale pari pari = pari e dispari dispari = dispari .


Esempi.
f (x) = x2 , x R `e pari, f (x) = x3 , x R `e dispari.
Pi`
u in generale si ha: f (x) = xn con n N `e

32

3. FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

f dispari

f pari

Figura 14. Funzione pari e dispari.


pari n `e pari,
dispari n `e dispari.
f (x) = 3x4 2x2 + 4 `e pari, g(x) = 5x3 2x `e dispari, quindi r(x) =
3x4 2x2 +4
5x3 2x

f (x)
g(x)

`e dispari.

Funzioni Monotone. Sia X R, x1 , x2 X con x1 < x2 . Allora f : X R si dice


crescente, se f (x1 ) f (x2 );
strettamente crescente, se f (x1 ) < f (x2 );
decrescente, se f (x1 ) f (x2 );
strettamente decrescente, se f (x1 ) > f (x2 ).
(strettamente) monotona, se `e (strettamente) crescente oppure (strettamente) decrescente.
f (x) = x3 , x R `e strettamente crescente;
Esempi.
f (x) = x2 , x R non `e monotona;
f (x) = x2 , x (, 0] `e decrescente.
Funzioni Periodiche. Sia X R e T > 0 tale che x + T X per ogni x X. Allora
f : X R si dice periodica di periodo T , se T `e il pi`
u piccolo numero > 0 tale che
f (x + T ) = f (x) per ogni x X.
Esempio. f (x) = sin(x) `e periodica di periodo T = 2.
Funzioni Elementari
Nel seguito iniziamo una lista di funzioni elementari che utilizzeremo nello svolgimento
del corso.
Polinomi. Se a0 , a1 , . . . , an R allora lespressione
p(x) := an xn + an1 xn1 + . . . + a1 x + a0

con x R

si dice polinomio. Se an 6= 0 allora n si dice grado di p. Un polinomio della forma


p(x) = axn si dice anche monomio.
Esempio. p(x) = 2x3 5x2 6x + 1 `e un polinomio di grado n = 3.
Funzioni Razionali. Se p e q 6= 0 sono due polinomi di grado n ed m rispettivamente,
lespressione
p(x)
r(x) =
q(x)
si chiama funzione razionale con grado n m. Il dominio X della funzione razionale r
`e data da X = {x R : q(x) 6= 0}.
2

2x 1
Esempio. r(x) = 2x5 10x
e una funzione razionale di grado 2 5 = 3 e con
3 +8x `
dominio X = R \ {2, 1, 0, 1, 2}.

FUNZIONI ELEMENTARI

33

Potenze ed Esponenziali.
Problema. Come si pu`
o definire ar per a > 0 e r R, per esempio quanto vale
2 = ?
Per risolvere questo problema, cio`e per dare una definizione rigorosa di ar , useremo
alcuni risultati del Capitolo 1 procedendo in 2 passi:
1 Passo: r = pq Q. Se p Z e 0 6= q N, allora usando le radici (introdotte con il
metodo di Erone a pagina 17) definiamo

p
1
p
ar = a q := (ap ) q = q ap = q a
Per esempio
3

a 4 :=

a3 =

4a

3

23,141 :=

1000

23141 =

3141
2
.

1000

Si osservi che per definire q a, per q pari, deve essere a > 0.


2 Passo: r R. Per semplificare la presentazione consideriamo solo il caso a > 1 e
r > 0, gli altri casi si possono trattare similmente.
Se r R ha la rappresentazione r = p, 0 1 2 3 4 . . . n n+1 . . . allora definiamo
p0 1 2 3 4 . . . n
Q.
rn := p, 0 1 2 3 4 . . . n 000 . . . =
10n+1
3141
Per esempio per r = vale r2 = 3, 141 = 1000
. Cos` abbiamo definito una
successione (rn )nN con le propriet`a
rn Q per ogni n N,
rn [p, p + 1] per ogni n N,
lim rn = r poiche 0 r rn = 0, 0 . . . 0n+1 n+2 . . . 10n 0 per
n+
n +,
(rn )nN `e crescente.
Visto che rn Q possiamo definire
an := arn
come nel primo passo. Siccome la funzione ax con x Q per a > 1 `e crescente, la
successione (an )nN `e
crescente poiche (rn )nN `e crescente, e
limitata poiche an [ap , ap+1 ].
Quindi per il teorema sulle successioni monotone limitate (cfr. pagina 16) il limite
ar := lim an = lim arn
n+

n+

converge e definisce la potenza ar di base a ed esponente r.


Proposizione 3.3. Per le potenze valgono le regole
ar as = ar+s per ogni a > 0, r, s R;
(ar )s = ars per ogni a > 0, r, s R;
ar br = (a b)r per ogni a, b > 0, r R.
Fissando la base e facendo variare lesponente come argomento, oppure il viceversa,
possiamo definire altre 2 funzioni elementari.
Definizione 3.4.
f : (0, +) R, f (x) := xr per r R fisso si dice funzione
potenza di esponente r, cfr. Figura 15.
g : R R, g(x) := ax per a > 0 fisso si dice funzione esponenziale di base a, cfr.
Figura 16.
Osservazione. Per r 0 si pu`
o estendere la funzione potenza xr su [0, +) definendo
0r := 0. Inoltre per certi valori di r R si pu`o definire xr anche per x < 0, per esempio

1
x2 = x x oppure (8) 3 = 3 8 = 2.

34

3. FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE


xr

r>1

r=1

0<r<1
1

r=0
r<0
1

Figura 15. La funzione potenza.


ax

0<a<1

ex

a>1
4
3
2

a=1
x

1,5 1 0,5

0,5

1,5

Figura 16. Funzione esponenziale di base a e funzione esponenziale.


Lesponenziale pi`
u importante `e quello in base a = e che si chiama funzione esponenziale
e che fornisce una delle funzioni pi`
u importanti della matematica.
Funzioni Iperboliche. Con la funzione esponenziale definiamo le seguenti tre funzioni:
x

, x R.
Coseno Iperbolico cosh(x) := e +e
2
ex ex
Seno Iperbolico sinh(x) :=
, x R.
2
sinh(x)
Tangente Iperbolico tanh(x) := cosh(x) , x R.

10

cosh(x)
5

tanh(x)
2

0.5

0.5

sinh(x)
10

Figura 17. Le funzioni iperboliche.


Osservazioni.
cosh `e pari e inferiormente limitata. Infatti cosh(x) 1, in particolare cosh(x) 6= 0, per ogni x R. Il grafico di cosh si chiama anche catenaria
in quanto landamento `e quello caratteristico di una catena che si lascia pendere
(cfr. Figura 18).

Figura 18. La catenaria.


sinh `e dispari e strettamente crescente.
tanh `e dispari, strettamente crescente e limitata: 1 tanh(x) 1 per ogni x R.
Vale la relazione cosh2 (x) sinh2 (x) = 1 per ogni x R.

FUNZIONI ELEMENTARI

35

Q
x

#
1

Figura 19. Misura di angoli in radianti.


Funzioni Circolari. Per definire le funzioni circolari dobbiamo dapprima misurare
angoli in radianti (cfr. Figura 19).
Quindi langolo = x (radianti), dove x = lunghezza dellarco P Q [0, 2) orientato
in senso antiorario. Per x < 0 oppure x 2 si pu`o identificare x con x mod 2. Per

esempio 90 = 2 , 180 = , 270 = 3


2 , 360 = 2 e 3 mod 2 = , 5 mod 2 =
etc.
Introduciamo ora con = x radianti graficamente le funzioni
1

tan(x)
sin(x)
x
1

cos(x)

Figura 20. Definizione delle funzioni circolari.


Seno: sin(x), x R,
Coseno: cos(x), x R,
sin(x)
Tangente: tan(x) = cos(x)
, x R \ { 2k+1
2 : k Z}.
sin(x)
2

/2
3/2

cos(x)

3/2

/2

--2

3
----

1
0
1

--2

3
---2

tan(x)

---

3
---2

--2

3
---2

Figura 21. Grafici di sin, cos e tan.


Osservazioni.
cos `e pari, limitata (1 cos(x) 1 x R) e periodica di
periodo T = 2.

36

3. FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

sin `e dispari, limitata (1 sin(x) 1 x R) e periodica di periodo T = 2.


tan `e definita per x 6= 2k+1
e inferiormente ne superiormente
2 , k Z, dispari, n
limitata ma periodica di periodo T = .
Per le funzioni circolari valgono numerose relazioni, per esempio
 cos2 (x) + sin2 (x) = 1 per ogni x R (ci`o segue dal Teorema di Pitagora, cfr.
Figura 20);


cos x+y
per ogni x, y R;
 sin(x) sin(y) = 2 sin xy
2
2

xy
x+y 
 cos(x) cos(y) = 2 sin 2 sin 2 per ogni x, y R.
Le ultime due relazioni si chiamano formule di prostaferesi.
Limiti delle Funzioni Reali
Data una funzione f : X R R e c R consideriamo il seguente
Problema. Studiare il comportamento di f (x) per x vicino (ma differente!) a c.
Esempio. Se X = N e c = +, f : N R diventa una successione (an )nN dove
an = f (n) e il problema si trasforma nello studio di an per n vicino a +, cio`e ci ha
portato al concetto di limite per le successioni.
Per analizzare questo problema per una funzione qualsiasi ci serve dapprima una
Definizione 3.5. c R si dice punto di accumulazione dell insieme X R se esiste
una successione (xn )nN con
xn X per ogni n N,
xn 6= c per ogni n N,
lim xn = c.
n+

I primi 2 punti si possono brevemente scrivere come (xn )nN X \ {c}. Quindi c `e un
punto di accumulazione di X se in X \ {c} si pu`o avvicinare al punto c.
Esempi.
c = 3 non `e un punto di accumulazione di N in quanto non esiste una
successione (xn )nN N \ {3} con lim xn = 3.
n+

c = + `e infatti lunico punto di accumulazione di N.


c = 1 non `e un punto di accumulazione di [0, +).
Se I R `e un qualsiasi intervallo con gli estremi a e b, allora c `e un punto di
accumulazione di I c [a, b].
Ora siamo in grado di generalizzare il concetto di limite dalle successioni alle funzioni
reali arbitrarie.
Definizione 3.6 (Limiti per le Funzioni). Sia f : X R R una funzione reale e sia
c R un punto di accumulazione di X. Allora diremo che
f tende a l R per x tendente a c
se per ogni successione (xn )nN X \ {c} con lim xn = c segue che lim f (xn ) = l.
n+

n+

In questo caso scriviamo


lim f (x) = l

xc

oppure

f (x) l per x c .

Osservazioni.
Il limite, se esiste, `e unico.
Se nel seguito scriviamo lim f (x) supponiamo sempre che c sia un punto di
xc

accumulazione del dominio X di f . Per esempio lim x non `e ammesso poiche


x1

c = 1 non `e un punto di accumulazione del dominio X = [0, +) della radice.


Il fatto che nella definizione di limite consideriamo soltanto successioni (xn )nN
convergenti a c con xn 6= c per ogni n N riflette il fatto che studiamo f (x) per x
vicino ma differente a c.

LIMITI DELLE FUNZIONI REALI

37

Il concetto di limite per le funzioni come definito sopra si basa su quello del limite
per le successioni. Esiste anche unaltra possibilit`a di introdurre limiti per le funzioni che non fa riferimento alle successioni. Questa alternativa dipende per`o dal
fatto se c ed l sono finiti oppure infiniti e quindi servono molti casi per coprire tutte
le possibilita, cfr. pagina 154 nellAppendice.
Esempi.

lim sin(x) = 0. Dal grafico su pagina 35 si vede che 0 | sin(x)| |x| per
x0

ogni x R. Quindi per (xn )nN R \ {0} con lim xn = 0 risulta


n+

0 < | sin(xn )| |xn |


|{z}
|{z}
0

per n +

e per il teorema dei Carabinieri segue sin(xn ) 0 per n +. Allora lim sin(x) =
x0

0 per definizione.
lim cos(x) = 1. Per la formula di prostaferesi (cfr. pagina 36) segue
x0

1 cos(x) = cos(0) cos(x) = 2 sin2 x2 .
Allora per ogni successione (xn )nN R \ {0} con lim xn = 0 risulta
n+

2 xn
1 cos(xn ) = 2 sin 2 2 02 .

Quindi lim 1 cos(x) = 0 cio`e lim cos(x) = 1.
x0

lim |x|
x0 x

x0

non esiste. Definiamo f (x) :=

|x|
x

per x 6= 0. Allora
f (x)
1

(
1
f (x) =
1

se x > 0,
se x < 0.

x
1
Figura 22. Funzione segno.

Quindi per xn := (1)


0 per n + segue f (xn ) = (1)n che non ammette
n
limite per n +. Ci`
o dimostra che lim f (x) non esiste.
x0

Osservazione. Nonostante lultimo limite di f (x) = |x|


x per x 0 non esista, si ha che
f (x) tende a +1 se ci avviciniamo a c = 0 da destra,
f (x) tende a 1 se ci avviciniamo a c = 0 da sinistra.
Per precisare ci`
o ci serve una
Definizione 3.7 (Limite Destro e Sinistro). Sia f : X R R. Diremo che
xn c da destra per n +, se xn c e xn c definitivamente. In questo caso
usiamo la notazione: xn c+ per n + oppure lim xn = c+ .
n+

xn c da sinistra per n +, se xn c e xn c definitivamente. In questo


caso usiamo la notazione: xn c per n + oppure lim xn = c .
n+

f (x) l R per x tendente a c da destra, se per ogni successione (xn )nN X \{c}
con xn c+ segue f (xn ) = l per n +. In questo caso usiamo la notazione
f (x) l per x c+ oppure lim f (x) = l.
xc+

f (x) l R per x tendente a c da sinistra, se per ogni successione (xn )nN


X \ {c} con xn c segue f (xn ) = l per n +. In questo caso usiamo la
notazione f (x) l per x c oppure lim f (x) = l.
xc

38

3. FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

lim f (x) = l e lim f (x) = l si dicono limite destro e limite sinistro rispettivamente.
xc

xc+

Esempi.
lim

x0+

lim

x0+
1
1
x = 0+ =

Osservazioni.

|x|
x

|x|
x = 1.
x0
lim x1 = 01 = .
x0

= +1, lim

+,

lim f (x) = l lim f (x) = l = lim f (x).


xc

xc+

xc

Il concetto di limite destro e sinistro si possono definire anche senza lutilizzo delle
successioni. Per`
o facendo cos` si devono considerare vari casi secondo le possibilit`a
c, l R, c, l = , cfr. pagina 154 nellAppendice.
Limiti ed Asintoti.
Se lim f (x) = con c R, allora si dice che f ha unasintoto verticale x = c.
xc()

Se lim f (x) = l con l R, allora si dice che f ha unasintoto orizzontale y = l.


x

Esempi.
La funzione tan(x) ha asintoti verticali nei punti xk = 2k+1
2 per k Z,
cfr. il grafico a pagina 35.
La funzione tanh(x) ha asintoti orizzontali nei punti y = 1, +1, cfr. il grafico su
pagina 34.
Come nel caso delle successioni esistono anche per i limiti delle funzioni
Regole per il Calcolo dei Limiti. Se lim f (x) = l1 e lim g(x) = l2 con c R e
xc
xc
l1 , l2 R, allora

lim f (x) g(x) = l1 l2 ;
xc

lim f (x) g(x) = l1 l2 ;
xc

f (x)
l1
=
se l2 6= 0;
xc g(x)
l2
g(x)
lim f (x)
= (l1 )l2 se l1 > 0;

lim

xc

lim |f (x)| = |l1 |.


xc

Queste regole seguono direttamente dalle regole corrispondenti per le successioni. Inoltre
valgono anche per il limite destro e sinistro e anche per l1 , l2 R se al limite si ottiene
una forma determinata.
In sostanza il risultato precedente manifesta il fatto che le operazioni algebriche sono
compatibili con il concetto di limite. Cio`e non ha importanza se si fa prima loperazione
e poi il limite oppure viceversa, se tutte le forme ottenute sono determinate.
Anche i risultati riguardanti limiti e ordinamento per le successioni si generalizzano
facilmente alle funzioni.
Limiti e Ordinamento. Se f, g : X R R tale che f (x) g(x) per ogni x X e
f (x) l1 , g(x) l2 per x c, allora
l1 l2 (Teorema del Confronto);
se inoltre per h : X R vale f (x) h(x) g(x) per x X e l1 = l2 , allora anche
h(x) l1 per x c (Teorema dei Carabinieri).
Come gi`
a per le successioni anche per calcolare limiti di funzioni il Teorema dei Carabinieri `e spesso molto utile. Lidea per la sua applicazione `e di incastrare lespressione
che si vuole studiare (= h(x)) tra due carabinieri (= f (x) e g(x)) che sono pi
u semplici
da studiare e ammettono lo stesso limite. Consideriamo alcuni esempi.

LIMITI DELLE FUNZIONI REALI

39

Tre Limiti Notevoli.


sin(x)
(1) lim
=1
x0
x
Dimostrazione. Graficamente si vede che per ogni x (0, 2 ) vale
1

0 < sin(x) x tan(x) =

sin(x) x tan(x)

sin(x)
cos(x)

1
Figura 23. Relazione tra x, sin(x) e tan(x).
dividendo per sin(x) > 0 segue
1
x

1
sin(x)
cos(x)
quindi per gli inversi otteniamo
1
|{z}
1

Inoltre

sin(x)
x

sin(x)
cos(x)
| {z }
x

per x 0+ .

`e pari e quindi dal Teorema dei Carabinieri segue che lim

x0

1.

sin(x)
x

=


1 cos(x)
1
=
2
x0
x
2

(2) lim

Dimostrazione. Per x (, ) \ {0} vale


=sin2 (x)

z
}|
{
1 cos(x) 1 + cos(x)
1 cos2 (x)
1 cos(x)

=

= 2
x2
x2
1 + cos(x)
x 1 + cos(x)


1
1
1
sin(x) 2
=

1 =
x }
1 + cos(x)
2
2
| {z
| {z }
1
| {z } | {z1 }
12 =1

1
1+1
= 12

per x 0.

ex 1
=1
x0
x

(3) lim

Dimostrazione. Partiamo dalla relazione ex =


glianza di Bernoulli segue
n
1 + nx 1 + n
Allora

(1 + nx )n

x
n

=1+x

se

x
n

lim (1 + nx )n . Dalla disugua-

n+

1 cio`e n x

1 + x definitivamente e quindi per il teorema del confronto risulta


n
lim 1 + nx = ex 1 + x
per ogni x R.

n+

40

3. FUNZIONI REALI DI UNA VARIABILE REALE

Sostituendo in questa relazione x con x otteniamo inoltre


ex =

1
ex

1| {z
x}

>0 per x<1

e quindi per gli inversi vale


1
se x < 1.
1x
Riassumendo abbiamo verificato che per ogni x < 1 vale
1
1 + x ex
(sottraendo 1)
1x
x
1
1=
(dividendo per x 6= 0)
x ex 1
1x
1x
ex

1
|{z}

se 1 > x > 0:

1 per x0+

ex 1

1
x}
|1 {z

1
1

| {z x}

lim

ex 1
=1
x

lim

ex 1
=1
x

x0+

1 per x0+

se x < 0:

1
|{z}

1 per x0

ex 1

x0

1 per x0

per il Teorema dei Carabinieri.

Anche il teorema sulla convergenza delle successioni monotone (cfr. pagina 16) si generalizza facilmente alle funzioni.
Teorema 3.8. Se f : X R R `e monotona allora
lim f (x) =: l R

xc

lim f (x) =: l+ R

xc+

esistono. Inoltre vale


l = sup{f (x) : x X, x < c}, l+ = inf{f (x) : x X, x > c}

l = inf{f (x) : x X, x < c},

l = sup{f (x) : x X, x > c}

se f `e crescente,
se f `e decrescente.

Passiamo ora ai
Limiti per le Funzioni Composte. Se per f : X R Y R e g : Y R e
c, l, y0 R vale
lim f (x) = y0 ,
xc

lim g(y) = l,
yy0

esiste > 0 tale che f (x) 6= y0 per ogni x X con 0 < |x c| <
allora

lim g f (x) = l.
xc

Questo risultato non vale senza la terza condizione che riflette il fatto che per lesistenza
e il valore del limite il valore della funzione nel punto limite `e indifferente.
Esempio. Sappiamo che
lim sin(x) = 0 (qui f = sin, c = 0 e y0 = 0),
x0

lim cos(y) = 1 (qui g = cos, l = 1),


y0

sin(x) 6= 0 per ogni x R con 0 < |x| < (quindi possiamo scegliere := )
Con il risultato precedente risulta che

lim cos sin(x) = 1
x0

CAPITOLO 4

Funzioni Continue di una Variabile Reale


Funzioni Continue
Osservazione. Sia f : X R R. Per lesistenza e il valore del limite lim f (x) = l
xc
non `e importante che c X, e
che, nel caso c X, f (c) = l.
Queste due condizioni invece in un certo senso caratterizzano funzioni continue.
Definizione 4.1 (Continuit`
a ). f : X R R si dice
continua in x0 X se per ogni successione (xn )nN X con xn x0 segue
f (xn ) f (x0 ) per n +.
continua, se `e continua in ogni x X.
Osservazioni.
La continuit`
a si pu`o anche definire senza fare riferimento alle successioni: f `e continua in x0
per ogni > 0 esiste > 0 tale che |f (x) f (x0 )| per ogni x X con
|x x0 | < .
Se x0 X `e un punto di accumulazione di X, allora f `e continua in x0
limxx0 f (x) = f (x0 ).
Se x0 X non `e un punto di accumulazione di X (in questo caso si dice anche che
x0 `e un punto isolato), allora f `e sempre continua in x0 .
Dalla definizione di continuit`
a e dalle regole per il calcolo dei limiti segue facilmente la
seguente
Proposizione 4.2. Se f, g : X R R sono continue (in x0 X), allora anche
f g : X R sono continue (in x0 ),
f g : X R `e continua (in x0 ),
fg : X0 R `e continua (in x0 se g(x0 ) 6= 0), dove X0 := {x X : g(x) 6= 0},
|f | : X R `e continua (in x0 ).
Quindi somme, differenze, prodotti, rapporti e moduli di funzioni continue sono anche
continue.
Da questo risultato segue che per ogni X R linsieme
C(X) := {f : X R : f `e continua}
`e uno spazio vettoriale (o addirittura un algebra).
Con il teorema sul limite delle funzioni composte si pu`o dimostrare il seguente risultato.
Proposizione 4.3. Se f : X R Y R `e continua in x0 e g : Y R `e continua
in y0 := f (x0 ), allora la funzione composta g f : X R `e continua in x0 . Quindi la
composizione di funzioni continue `e sempre continua.
Con le due proposizioni precedenti e usando i limiti notevoli `e facile verificare la continuit`a di vari funzioni elementari.
Esempi.
Polinomi: f (x) = 1 e g(x) := x, x R sono continue h(x) := xk `e
continua per ogni k N p(x) = a0 + . . . + an xn `e continua per ogni scelta di
a0 , . . . , an R cio`e ogni polinomio `e continuo.
41

42

4. FUNZIONI CONTINUE

Funzioni razionali: Ogni funzione razionale `e continua (nel suo dominio!), essendo
il rapporto di due polinomi che sono continui.
Modulo: f (x) = |x| per x R `e continuo (usare lultima osservazione a pagina 5).
Funzioni circolari : Per la formula di prostaferesi vale per ogni x, x0 R
0

z }| {


0
sin(x) sin(x0 ) = 2 sin x 2 x0 cos x+x
0
2
|
{z
} | {z }
0

per x x0 ,

limitata

quindi sin `e continua. Similmente segue che anche cos `e continua e quindi anche
sin
`e continua.
tan = cos
Funzione esponenziale: Per ogni x, x0 R, x 6= x0 e h := x x0 vale x x0
h 0. Quindi
ex ex0 = (x x0 ) ex0

exx0 1
x x0

eh 1
0 ex0 1 = 0
per h 0.
h
per x x0 e di conseguenza la funzione esponenziale `e

= h e x0

Ci`o dimostra ex ex0


continua.
x
x
e cosh(x) =
Funzioni iperboliche: sinh(x) = e e
2
sinh(x)
anche tanh(x) = cosh(x) `e continua.
Se per l R definiamo f : R R come
(
sin(x)
se x 6= 0
x
f (x) :=
l
se x = 0

ex +ex
2

sono continue e quindi

allora f `e sempre continua in ogni x0 6= 0. Inoltre f `e continua in x0 = 0


lim f (x) = lim

x0

x0

sin(x)
= 1 = f (0) = l
x

cio`e l = 1. Si dice che f (x) = sin(x)


ha una discontinuit`
a rimovibile in x = 0.
x
Se per l R definiamo f : R R come
(
|x|
se x 6= 0
f (x) := x
l se x = 0
allora f per qualsiasi scelta di l R `e discontinua (cio`e non continua) in x = 0.
Funzione di Dirichlet: Se definiamo f : R R come
(
1 se x Q
f (x) :=
0 se x R \ Q
allora f `e discontinua in ogni x R.
Funzioni Continue su Intervalli
Problema. Data una funzione f : X R R,
verificare che f ammette uno zero, cio`e che esiste c X tale che f (c) = 0,
calcolare (un valore approssimativo per) c.
Il seguente teorema, che `e uno dei pi`
u importanti risultati del corso, fornisce una soluzione a questo problema sotto alcune ipotesi su f . Nel seguito, per intervalli [a, b],
supponiamo sempre che sia a < b.
Teorema 4.4 (Teorema degli Zeri). Sia f : [a, b] R continua tale che f (a) e f (b)
abbiano segno opposto (cio`e f (a) f (b) < 0), allora esiste c (a, b) tale che f (c) = 0.

FUNZIONI CONTINUE SU INTERVALLI

43

Dimostrazione. Usiamo il metodo di bisezione: Esiste una successione (In )nN di


intervalli In = [an , bn ] tale che
(i) [a, b] = I0 I1 I2 . . . In In+1 . . .,
(ii) la lunghezza di In `e data da bn an = ba
2n ,
(iii) f (an ) f (bn ) 0.

f(x)

a1+ b1
b3

= b2

a0+b0

a=a0

=a1 = a2 = a3

b=b0 = b1

Figura 24. Il metodo di bisezione.


Allora, per la propriet`
a (i) abbiamo che
a = a0 a1 a2 . . . an . . . bn . . . b2 b1 b0 = b
da cui (an )nN e (bn )nN sono monotone e limitate e quindi convergenti. Sia
lim an =: c1

n+

lim bn =: c2 .

n+

Da (ii) segue
bn = an +
|{z}
|{z}
c2

c1

ba
n
| 2{z }

per n +

ba
=0
+

e quindi c1 = c2 =: c. Infine per (iii), il teorema del confronto e per la continuit`a di f


risulta che
per n +.
0 f (an ) f (bn ) f 2 (c)
| {z } | {z }
f (c)

Quindi

f 2 (c)

f (c)

0 che `e possibile solo se f (c) = 0.

Osservazione. Il teorema degli zeri non soltanto stabilisce lesistenza di uno zero c per
f ma la dimostrazione d`
a anche un modo per trovare un valore approssimativo di c. In
casi come questo si dice anche che la dimostrazione `e costruttiva.
Dal Teorema degli zeri segue facilmente la seguente generalizzazione.
Teorema 4.5 (Teorema dei Valori intermedi ). Sia I R un intervallo qualsiasi (non
necessariamente chiuso), f : I R continua e siano




m := inf f := inf f (x) : x I ,
M := sup f := sup f (x) : x I .
Allora per ogni y (m, M ) esiste x I tale che f (x) = y. In altre parole, f assume
tutti i valori tra m = inf f e M = sup f .
La dimostrazione si fa applicando il Teorema degli Zeri alla funzione f(x) := f (x) y.
Questo teorema ha delle applicazioni molto importanti. Come esempio dimostreremo
lesistenza dei

44

4. FUNZIONI CONTINUE

Logaritmi. Sia 0 < a 6= 1. Allora per ogni y > 0 esiste un unico x R tale che ax = y.
Questo valore x si chiama logaritmo di y in base a e si scrive
x =: loga (y).
Per la base a = e useremo la notazione ln(y) := loge (y).
Dimostrazione. Procediamo in 2 passi:
1 Caso: a = e. Abbiamo visto (cfr. pagina 40) che ex 1 + x per ogni x R e quindi
sup{ex : x R} sup{1 + x : x R} = +

M := sup{ex : x R} = +.

Inoltre,
0 < ex =

1
x

e
|{z}

1
=0
+

per x

m := inf{ex : x R} = 0.

Visto che I := R `e un intervallo e ex , x I `e continua, per il teorema dei valori


intermedi per ogni y (m, M ) = (0, +) esiste x R tale che ex = y. Questo x `e
unico poiche ex `e strettamente crescente.

2 Caso: 0 < a 6= 1. Cerchiamo per y > 0 un x R tale che ax = y. Per`o


x
exln(a) = eln(a) = ax = y = eln(y) x ln(a) = ln(y)
e quindi
x = loga (y) =

ln(y)
.
ln(a)

Regole per i Logaritmi. Siano 0 < a, b 6= 1, x, y > 0 e r R. Allora


loga (1) = 0, loga (a) = 1,
loga (x  y) = loga (x) + loga (y),

loga xy = loga (x) loga (y), in particolare loga y1 = loga (y),
loga (xr ) = r loga (x),
loga (x) = loga (b) logb (x) in particolare loga (x) = loga (e) ln(x).
Osservazione. Con lesistenza dei logaritmi abbiamo dimostrato che per 0 < a 6= 1 la
funzione f : R (0, +), f (x) = ax `e invertibile con f 1 : (0, +) R, f 1 (x) =
loga (x). In particolare i grafici di ax e loga (x) sono simmetrici rispetto alla bisettrice
y = x.
0<a<1

a>1

loga(x)

ax

ax

ln(x)

loga(x)
1

1
x

0
-1

1
-2

x
-3

-4

Figura 25. I Logaritmi.


Visto che in questo capitolo stiamo studiando funzioni continue si pone il
Problema. loga : (0, +) R `e una funzione continua?
La risposta `e si per il seguente

ALTRE FUNZIONI INVERTIBILI

45

Teorema 4.6. Sia I R un intervallo e sia f C(I). Allora anche J := f (I) = {f (x) :
x I} `e unintervallo e
f : I J `e invertibile f `e strettamente crescente oppure strettamente
decrescente;
se f `e invertibile, f 1 : J I `e continua.
Il teorema precedente non vale se il dominio di f non `e unintervallo.
Esempio. Consideriamo f : [1, 0] (1, 2] [0, 2], f (x) = |x|. Allora f `e continua e
invertibile ma non `e strettamente monotona e f 1 : [0, 2] [1, 0] (1, 2] `e discontinua
in x = 1.
2

f(x)
2

f -1(x)

1
1

x
1

Figura 26. Funzione continua con inversa discontinua.

Altre Funzioni Invertibili


Osservazione. Possiamo utilizzare lo stesso schema che abbiamo usato per invertire
lesponenziale ax per invertire altre funzioni f . Pi`
u precisamente, usiamo
il teorema dei valori intermedi per verificare la suriettivit`a di f ,
la stretta monotonia per ottenere liniettivit`a di f ,
il teorema sulla continuit`
a della funziona inversa per stabilire la continuit`a di f 1 .
In questa maniera possiamo costruire altre funzioni elementari.
Radici. Consideriamo f : [0, +) [0, +), f (x) = xn per n 1. Allora, f `e continua, strettamente crescente, il dominio X = [0, +) `e un intervallo, inf f = min f = 0
e sup f = +. Quindi f `e invertibile e la funzione inversa f 1 : [0, +) [0, +) `e

1
continua e data da f 1 (x) = n x = x n .
xn
xn
n

ex

ex

(n dispari)

(n pari)

Figura 27. La radice n-esima.

46

4. FUNZIONI CONTINUE

Osservazione. Se nel precedente n `e dispari, allora possiamo considerare f anche come


funzione f : R R. In questo caso f rimane continua, strettamente crescente con

1
inf f = , sup f = + cio`e `e invertibile
con f 1 : R R, f 1 (x) = n x = x n .

In altre parole,
per n dispari la radice n x `e anche definita
per argomenti x < 0, per

3
n
esempio 8 = 2. Invece
per n pari e x < 0 la radice x non ha senso nel campo dei
numeri reali, per esempio 1 non `e pi`
u un numero reale ma complesso. Al livello della
funzione f : R R, f (x) = xn ci`
o si rispecchia nel fatto che f : R R per n pari non
`e suriettiva (e neanche iniettiva, cfr. pagina 30).

1
Potenze. Dal paragrafo precendente sappiamo che x n = n x, x 0 definisce una
funzione continua per ogni n = 1, 2, 3, 4, . . .. Pi`
u in generale vale che

r
xr = eln(x) = erln(x) , x > 0
come composizione di funzioni continue `e continua.
Inverse delle Funzioni Circolari. (Cfr. Figura 28) Considerando il grafico della funzione sin : R R (cfr. Figura 21) si vede che non `e invertibile non essendo ne suriettiva ne iniettiva. La suriettivit`
a, per`o si ottiene considerando come codominio linsieme
[min sin, max sin] = [1, 1] mentre per ottenere liniettivit`a basta considerare soltanto
una parte del dominio R in cui la funzione sin `e strettamente monotona. Perci`o ci sono infinite scelte ma generalmente si ristringe il dominio allintervallo [ 2 , 2 ]. Quindi
consideriamo ora
sin : [ 2 , 2 ] [1, 1]
che cos` diventa invertibile. Nella stessa maniera, considerando

--1.5
2

arcsin(x)

arccos(x)
3

tan(x)

sin(x)

2
--2

0.5

1.5

0.5

0.5

1.5

0.5
1

arctan(x)
2

--2 2

1.5 --2

cos(x)

Figura 28. Inverse delle funzioni circolari.


cos : [0, ] [1, 1]

tan : ( 2 , 2 ) R

anche loro diventano invertibili e tutte le inverse arcoseno, arcocoseno e arcotangente


arcsin := sin1 : [1, 1] [ 2 , 2 ],
arccos := cos1 : [1, 1] [0, ],
arctan := tan1 : R ( 2 , 2 )
sono nuovamente continue.
Inverse delle Funzioni Iperboliche. (Cfr. Figura 29) Ragionando come prima si
vede che le funzioni iperboliche sinh : R R, cosh : [0, +) [1, +) e tanh :
R (1, 1) sono invertibili e le loro inverse arcosenoiperbolico, arcocosenoiperbolico e
arcotangenteiperbolico
arcsinh := sinh1 : R R,
arccosh := cosh1 : [1, +) [0, +),
arctanh := tanh1 : (1, 1) R
sono nuovamente continue.

FUNZIONI CONTINUE SU INTERVALLI CHIUSI E LIMITATI

sinh(x)

arcsinh(x)
2

cosh(x)

tanh(x)

arccosh(x)

arctanh(x)

47

Figura 29. Inverse delle funzioni iperboliche.


Osservazione. Visto che sinh(x) = y x = arcsinh(y), risolvendo lequazione
x
x
sinh(x) = e e
= y per x si ottiene la rappresentazione
2


p
arcsinh(y) = ln y + y 2 + 1 , per ogni y R.
Similmente segue


p
arccosh(y) = ln y + y 2 1 , per ogni y 1,
1 1 + y 
arctanh(y) = ln
, per ogni y (1, 1).
2
1y

Funzioni Continue su Intervalli Chiusi e Limitati


Ci poniamo il seguente
Problema. Data una funzione f : X R R, determinare, se esistono, il valore
minimo e quello massimo di f , cio`e
m := min f := min{f (x) : x X},

M := max f := max{f (x) : x X},

La soluzione del problema si svolge in 2 passi:


(1) Verificare che minimo e massimo di f esistono,
(2) trovare x0 , x1 tale che min f = f (x0 ), max f = f (x1 ).
Il primo punto si risolve con il seguente teorema mentre affronteremo il secondo punto
nel prossimo capitolo usando il calcolo differenziale.
Teorema 4.7 (Teorema di Weierstra). Se f C[a, b], allora esistono m := min f e
M := max f , cio`e esistono x0 , x1 [a, b] tale che
f (x0 ) f (x) f (x1 ) per ogni x [a, b].
In particolare f `e limitata.
Osservazioni.
Il Teorema di Weierstra vale soltanto su intervalli chiusi e limitati
cio`e del tipo [a, b].
La funzione f : [0, 1] R,
v
!
u

u
1 + e sin x+2
3
t



f (x) := ln
2 + cos 9x 12 + arctan (e + x2 )
`e una composizione di funzioni continue e quindi continua. Per Weierstra ammette
minimo e massimo che, per`
o, saranno quasi impossibili da determinare. Quindi
Weierstra `e un risultato di esistenza ma non aiuta per trovare x0 , x1 e min f =
f (x0 ) e max f = f (x1 ).

CAPITOLO 5

Calcolo Differenziale di Funzioni di una Variabile


Problemi. Data una funzione f : (a, b) R e un punto x0 (a, b),
(i) Trovare la retta tangente t al grafico di f nel punto P0 = (x0 , f (x0 )) (problema
geometrico), e
(ii) trovare unapprossimazione lineare g(x) (cio`e della forma g(x) = x+, , R)
per f (x) per x vicino a x0 (problema analitico).
y

t
sh

f (x0 +h)

Ph

f (x0 )

P0

x
x0

x0 +h

Figura 30. Retta secante e tangente.


Iniziamo a studiare il problema (i). Come vedremo nel seguito la sua soluzione risolve
anche il problema (ii). Per risolvere (i) consideriamo prima la retta secante sh attraverso
i punti


P0 = x0 , f (x0 )
e
Ph := x0 + h, f (x0 + h)
per h 6= 0.
Lequazione della retta sh `e data da
sh (x) = f (x0 ) +

f (x0 + h) f (x0 )
(x x0 ).
h
|
{z
}

= pendenza di sh
=: rapporto incrementale

Quindi solo il rapporto incrementale dipende da h che, nel passo successivo, mandiamo
a 0.
Derivata: Definizione e prime Propriet`
a
Considerando il limite del rapporto incrementale per h 0 arriviamo alla seguente
Definizione 5.1. Se per f : (a, b) R e x0 (a, b) converge
f (x0 + h) f (x0 )
=
|{z}
h0
h
lim

lim

xx0

x=x0 +h

f (x) f (x0 )
=: f 0 (x0 ) R
x x0

allora f si dice derivabile in x0 con derivata f 0 (x0 ). Se f `e derivabile in ogni x0 (a, b)


allora si dice derivabile e la funzione f 0 : (a, b) R `e la derivata di f . Altre notazioni:
df
f 0 = dx
= Df .
48

`
DERIVATA: DEFINIZIONE E PRIME PROPRIETA

49

Se f `e derivabile in x0 allora otteniamo lequazione t(x) della retta tangente t sostituendo


il rapporto incrementale nellequazione della retta secante sh con la derivata f 0 (x0 ), cio`e
t(x) = f (x0 ) + f 0 (x0 ) (x x0 )
Quindi (cfr. Figura 30)
f 0 (x0 ) = tan() = pendenza della retta tangente t,
f (x0 + h) f (x0 )
= tan() = pendenza della retta secante sh
h
In particolare f 0 (x0 ) = 0 significa che la retta tangente ha pendenza 0, cio`e `e orizzontale.
Consideriamo alcuni
Se f `e costante cio`e se esiste c R tale che f (x) = c per ogni x (a, b)
Esempi.
allora il rapporto incrementale `e sempre uguale a 0. Quindi una funzione costante
`e sempre derivabile con derivata nulla.
Sia f (x) = xn per n = 1, 2, 3,
dalla formula
del binomio di
 4, . n. . e x R.0 Allora,

n
n
0
Newton segue usando che 0 = n = 1, x0 = h = 1 e n1 = n che
(x0 + h)n xn0
f (x0 + h) f (x0 )
=
h
h
n

=nx0 n1 h

=x0
}|
{ z  }| {




n
n
n
n
n1 1
0 n
1 n1 + . . . +
n2 h2 +
h + nn x0 n h0 xn0
0 x0 h + 1 x0 h
n1 x0
n2 x0

h


n
0

x0

0 hn1

n
1

x0

1 hn2

+ ... +

=
=

n
n2

x0

n2 h1

+ n x0

n1


h

h

n
0

x0 0 hn1 +


n
1

x0 1 hn2 + . . . +

n x0 n1 = f 0 (x0 )

n
n2

x0 n2 h1 + n x0 n1

per h 0.

Quindi f (x) = xn `e derivabile per ogni n 1, n N con


(xn )0 = n xn1
Per esempio, (x5 )0 = 5 x4 .
Sia f (x) = ex , x R. Allora
f (x0 + h) f (x0 )
ex0 +h ex0
eh 1
ex0
=
= e x0
h
h
h
| {z }

per h 0.

Quindi f (x) = ex `e derivabile con


(ex )0 = ex
cio`e f = f 0 che `e una propriet`a molto particolare e che (a meno di una costante
moltiplicativa) caratterizza la funzione esponenziale.

50

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Sia f (x) = sin(x), x R. Allora usando la formula di prostaferesi, il limite notevole


lim sin(x) = 1 e la continuit`
a della funzione cos risulta
x0 x


2 sin h2 cos x0 + h2
sin(x0 + h) sin(x0 )
f (x0 + h) f (x0 )
=
=
h
h
h

sin h2
h
cos(x0 ) = f 0 (x0 )
per h 0.
=
cos x0 +
h
2
|
{z
}
2
| {z }
1

cos(x0 )

Quindi f (x) = sin(x) `e derivabile con


sin0 (x) = cos(x)
Similmente segue che cos : R R `e derivabile con
cos0 (x) = sin(x)
Osservazione. Ricordiamo che sin `e una funzione dispari (come anche sin)
mentre cos `e pari. Nellesempio precedente abbiamo visto che sin0 = cos e cos0 =
sin e quindi la derivata ha trasformata una funzione dispari in un una pari e
viceversa. Ci`
o vale sempre, cioe se f `e derivabile e
f dispari f 0 pari,
f pari f 0 dispari.
Sia f (x) := |x|. Allora f non `e derivabile in x0 = 0, infatti abbiamo
(
+1 se h > 0,
|h|
f (h) f (0)
=
=
h
h
1 se h < 0
e quindi non esiste il limite del rapporto incrementale in x0 = 0 per h 0.
Comunque in questo esempio esistono limite destro e limite sinistro del rapporto
incrementale. Questa osservazione d`a luogo alla seguente
Definizione 5.2. Se per f : (a, b) R e x0 (a, b) converge
lim

f (x0 + h) f (x0 )
f (x) f (x0 )
= lim
=: f+0 (x0 ) = derivata destra
+
h
x

x
0
xx0

lim

f (x0 + h) f (x0 )
f (x) f (x0 )
= lim
=: f0 (x0 ) = derivata sinistra

h
x x0
xx0

h0+

oppure
h0

allora diremo che f `e derivabile da destra oppure derivabile da sinistra in x0 .


Esempio. f (x) := |x| `e derivabile da destra e anche da sinistra in x0 = 0 con f+0 (0) = +1,
f0 (0) = 1.
Osservazione. f : (a, b) R `e derivabile in x0 (a, b) f `e derivabile da destra
e da sinistra in x0 con f+0 (x0 ) = f0 (x0 ).
Studiamo ora il legame tra derivabilit`a e continuit`a.
Proposizione 5.3. Se f : (a, b) R `e derivabile in x0 (a, b) `e continua in x0 .
Dimostrazione.
f (x) f (x0 ) =

f (x) f (x0 )
(x x0 ) f 0 (x0 ) 0 = 0
| {z }
x x0
|
{z
}
0
f 0 (x0 )

per x x0 .

REGOLE PER LA DERIVAZIONE

51

Cio`e lim f (x) = f (x0 ) e quindi f `e continua in x0 .

xx0

Osservazione. Non vale il contrario cio`e f continua 6 f derivabile, per esempio f (x) =
|x| `e continua ma non derivabile in x0 = 0.
Esercizio. (Metodo di Erone, cfr. pagina 17) Sia f (x) := xk a per a > 0 e k N,
k 2.
Calcolare lequazione della retta tangente t al grafico di f nel punto x0 > 0.
Verificare che lintersezione tra t e lasse x `e data da
1 
a 
x1 := (k 1)x0 + k1 .
k
x0
Regole per la Derivazione
Cerchiamo ora modi per semplificare il calcolo delle derivate.
Derivazione di Somme, Prodotti e Rapporti di Funzioni.
Siano f, g : (a, b) R derivabili in x0 , allora
(i) per ogni , R anche f + g `e derivabile in x0 con
( f + g)0 (x0 ) = f 0 (x0 ) + g 0 (x0 )
(ii) f g `e derivabile in x0 con
(f g)0 (x0 ) = f 0 (x0 ) g(x0 ) + f (x0 ) g 0 (x0 )
(iii) se g(x0 ) 6= 0 anche

f
g

`e derivabile in x0 con
f 0
g (x0 )

g(x0 )f 0 (x0 )g 0 (x0 )f (x0 )


g 2 (x0 )

In particolare

1 0
g (x0 )

0)
= gg2(x
(x0 )

Dimostrazione. Dimostriamo soltanto (ii). Perci`o studiamo il rapporto incrementale


del prodotto utilizzando che g `e continua in x0


f (x) g(x) f (x0 ) g(x) + f (x0 ) g(x) f (x0 ) g(x0 )
(f g)(x) (f g)(x0 )
=
x x0
x x0
=

g(x) g(x0 )
f (x) f (x0 )
g(x) +f (x0 )
|{z}
x x0
x x0
|
|
{z
} g(x )
{z
}
f 0 (x0 )

f 0 (x0 ) g(x0 ) + f (x0 ) g 0 (x0 )

g 0 (x0 )

per x x0 .

Osservazione. La regola (i) stabilisce che la derivazione `e unoperazione lineare, cio`e


la derivata di una combinazione lineare e la combinazione lineare delle derivate. Inoltre
implica che linsieme



f `e derivabile e
1

C (a, b) := f : (a, b) R 0
f `e continua
`e uno spazio vettoriale. Se f C1 (a, b) si dice anche che f `e derivabile con continuit`
a
(qui la continuit`
a si riferisce a f 0 non a f che essendo derivabile `e anche continua).
Con queste regole diventa semplice verificare la derivabilit`a di varie funzioni elementari.

52

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Esempi.
Visto che ogni monomio xk per k = 1, 2, 3, . . . `e derivabile, per le prime
due regole ogni polinomio `e derivabile con
p0 (x) = (an xn +an1 xn1 +. . .+a1 x+a0 )0 = nan xn1 +(n1)an1 xn2 +. . .+2a2 x+a1 .
Per esempio, (3x4 7x3 + 2x2 11)0 = 12x3 21x2 + 4x.
Per lesempio precedente e la terza regola, ogni funzione razionale `e derivabile. Per
esempio per ogni n = 1, 2, 3, . . . vale
0
0
n1
n
xn = x1n = nxx2n = xn+1
= n xn1
Quindi, per ogni n Z vale
(xn )0 = n xn1
Infatti questa regola abbiamo visto precedentemente per n = 1, 2, 3, . . . (cfr. pagina 49), per n = 0 vale poiche la derivata di una funzione costante = 0, mentre per
n = 1, 2, 3, . . . `e stata appena dimostrata.
sin
`e derivabile con
Visto che sin e cos sono derivabili anche la funzione tan = cos
tan0 (x) =

cos(x) sin0 (x) cos0 (x) sin(x)


cos2 (x) + sin2 (x)
=
cos2 (x)
cos2 (x)
(

1
cos2 (x)

1 + tan2 (x)

Derivazione delle Funzioni Composte. Sia f : (a, b) (c, d) derivabile in x0


(a, b) e sia g : (c, d) R derivabile in y0 := f (x0 ). Allora la funzione compostag f :
(a, b) R `e derivabile in x0 con

(g f )0 (x0 ) = g 0 f (x0 ) f 0 (x0 )
Questa formula si chiama Regola della Catena.
Esempi.
Se g : R R `e derivabile, allora anche h(x) := g(x)
poiche
0 `e derivabile
0
0
h(x) = (g f )(x) per f (x) = x. Inoltre h (x) = g(x) = g (x) (x)0 =
g 0 (x).
x
x
e cosh(x) =
Dal esempio precedente segue che le funzioni iperboliche sinh(x) = e e
2
x 0

ex +ex
2

x 0

)
sono derivabili con sinh0 (x) = (e ) (e
= e +e
= cosh(x). Similmente
2
2
0
segue che cosh (x) = sinh(x). Infine, utilizzando la regola di derivazione per un
sinh
rapporto segue che anche tanh = cosh
`e derivabile con
(
1
cosh2 (x) sinh2 (x)
2
0
cosh
(x)
tanh (x) =
=
2
cosh (x)
1 tanh2 (x)
x

Quindi abbiamo dimostrato che per ogni x R vale


(
0

sinh (x) = cosh(x)

cosh (x) = sinh(x)

tanh (x) =

1
cosh2 (x)

1 tanh2 (x)

Sia a > 0, allora ax = exln(a) , x R, `e derivabile (visto che `e la composizione


(g f )(x) per f (x) = x ln(a) e g(y) = ey ) con (ax )0 = (exln(a) )0 = ln(a) exln(a) =
ln(a) ax cio`e
0

ax = ln(a) ax

REGOLE PER LA DERIVAZIONE

53

Per funzioni pi`


u complesse (cio`e composizioni di pi`
u di due funzioni) si pu`o iterare
2
la regole della catena iniziando allesterno. Per esempio, ecos(3x 2x+1) `e derivabile
con

0
0
2
2
ecos(3x 2x+1) = ecos(3x 2x+1) cos(3x2 2x + 1)
= ecos(3x

2 2x+1)

sin(3x2 2x + 1) (6x 2).

Lultima regola per la derivazione tratta la


Derivazione delle Funzioni Inverse. 1
Sia f : (a, b) (c, d) continua, biettiva e derivabile in x0 (a, b). Se f 0 (x0 ) 6= 0 allora
f 1 : (c, d) (a, b) `e derivabile in y0 := f (x0 ) con
0
1
f 1 (y0 ) = f 0 (x
0)
` importante osservare che mentre f viene derivata in x0 la deriOsservazioni.
E
1
vata di f
si riferisce al punto y0 = f (x0 )! Questo fatto e anche la formula per
(f 1 )0 (y0 ) si spiega dal seguente grafico.
y

f 1

t = retta tangente al grafico di f in x0


r = retta tangente al grafico di f 1 in y0 = f (x0 )

t
r
f

f 0 (x0 )
1
f 1 (y0 )

f 0 (x0 )

f (x0 )

y0

x0

pendenza di t =

f 0 (x0 )
1

= f 0 (x0 )

pendenza di r =

1
f 0 (x0 )

= (f 1 )0 (y0 )

Figura 31. Derivata della funzione inversa.


Si nota che una retta tangente orizzontale al grafico di f in x0 (cio`e se f 0 (x0 ) = 0)
corrisponde a una retta tangente verticale al grafico di f 1 in y0 = f (x0 ) che
significa che f 1 non `e derivabile in y0 .
0
Non come dimostrazione, ma come modo per ricordare la formula per f 1 , si pu`o
utilizzare la regola della catena: Per definizione, x = f 1 (f (x)) per ogni x (a, b).
Derivando entrambi i lati di questa equazione otteniamo con y = f (x)
h
i0
1 = (x)0 = f 1 f (x)
0

= f 1 f (x) f 0 (x)
0
0
1
= f 1 (y) f 0 (x)

f 1 (y) = 0
f (x)
Esempi.
Sia f (x) = ax , x R per 0 < a 6= 1 che `e derivabile con f 0 (x) = ln(a)ax 6=
0 per ogni x R. Inoltre abbiamo visto (cfr. pagina 44) che f `e invertibile con
1Quando si considerano sia f e f 1 conviene, per non confondersi, usare sempre x come variabile per f
e y come variabile per f 1 .

54

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

f 1 (y) = loga (y), y > 0. Quindi loga `e derivabile e per y := f (x) = ax vale
loga 0 (y) =

1
1
1
x =
0 =
x
ln(a) |{z}
a
ln(a) y
(a )
=y

Sostituendo y con x otteniamo cos` per ogni x > 0


loga 0 (x) =

1
ln(a)x

in particolare per a = e

ln0 (x) =

1
x

Per ogni r R e x > 0 la potenza xr = erln(x) `e derivabile con (usare la regola


della catena)

0
r
r1
(xr )0 = erln(x) = e|rln(x)
{z } x = r x .
r
=x

xn

Quindi la regola per la derivazione di


per n Z (cfr. pagina 52) vale anche per
esponenti reali r R, cio`e per ogni x > 0 si ha
(xr )0 = r xr1
Se f e g sono due funzioni con lo stesso dominio e f (x) > 0 per ogni x allora
possiamo definire
 g(x)


h(x) := f (x)g(x) = eln f (x)
= eg(x)ln f (x) .
Quindi, se f e g sono derivabili anche h `e derivabile con
 
0


f 0 (x) 
g(x)ln f (x)
0
g(x)
h (x) = f (x)
=e
g 0 (x) ln f (x) + g(x)
f (x)


f 0 (x) 
= f (x)g(x) g 0 (x) ln f (x) + g(x)
f (x)
Abbiamo visto (cfr. pagina 46) che f := sin : [ 2 , 2 ] [1, 1] `e invertibile.
Inoltre f = sin `e derivabile con f 0 (x) = sin0 (x) = cos(x). Per`o, cos(x) si annulla
nellintervallo [ 2 , 2 ] negli estremi x = 2 e quindi per ottenere una funzione
inversa derivabile dobbiamo togliere questi punti dal dominio di f = sin. Allora
consideriamo
f = sin : ( 2 , 2 ) (1, 1)
che `e invertibile e derivabile con f 0 (x) = cos(x) 6= 0 per ogni x ( 2 , 2 ). Quindi
f 1 = arcsin : (1, 1) ( 2 , 2 ) `e derivabile in y = f (x) = sin(x) con
arcsin0 (y) =

1
1
=
.
0
sin (x)
cos(x)

Per ottenere una rappresentazione di arcsin0 (y) nella variabile y dobbiamo esprimere ora cos(x) in funzione dipy = sin(x). Perci`o utilizziamo la relazione sin2 (x) +
p
cos2 (x) = 1, cio`e cos(x) = 1 sin2 x = 1 y 2 . Per decidere il segno +
oppure basta osservare che x ( 2 , 2 ) e quindi cos(x) > 0. Quindi dobbiamo
scegliere il segno + e sostituendo y con x otteniamo finalmente
arcsin0 (x) =

1
1x2

x (1, 1)

ESTREMI LOCALI E IL TEOREMA DI FERMAT

55

Raggiornando come nel esempio precedente si possono derivare anche le seguenti


funzioni inverse:
arccos0 (x) =

1
1x2

arctan0 (x) =

1
1+x2

x (1, 1)

xR

arcsinh0 (x) =

1
1+x2

xR

arccosh0 (x) =

1
x2 1

x>1

arctanh0 (x) =

1
1x2

x (1, 1)

Estremi Locali e il Teorema di Fermat


Torniamo al problema che abbiamo posto a pagina 47 sullesistenza e il calcolo del
minimo e del massimo di una funzione. Per il Teorema di Weierstra sappiamo almeno
che ogni f C[a, b] ammette massimo e minimo, ma rimane il seguente
o determinare minimo e massimo di una funzione.
Problema. Come si pu`
Consideriamo un problema concreto di questo tipo:
Esempio. Dato un cartoncino di dimensione a b (con 0 < a b) costruire un
contenitore (senza coperchio) di volume massimo, cfr. Figura 32.

b
V(x)= x(a-2x)(b-2x)

x
b -2x

a -2x

x
Figura 32. Contenitore.




Quindi cerchiamo x0 0, a2 tale che Vmax := V (x0 ) V (x) per ogni x 0, a2 .
Torneremo a questo problema a pagina 58.
Prima di affrontare problemi di questo tipo generalizziamo il concetto di minimo e
massimo per una funzione.
Definizione 5.4. Sia f : X R R una funzione reale, allora
x0 X si dice punto di minimo locale, se esiste > 0 tale che f (x0 ) f (x) per
ogni x X con |x x0 | < ; se x0 `e un punto di minimo locale, f (x0 ) si dice
minimo locale;
x0 X si dice punto di massimo locale, se esiste > 0 tale che f (x0 ) f (x) per
ogni x X con |x x0 | < ; se x0 `e un punto di massimo locale, f (x0 ) si dice
massimo locale;
se x0 `e un punto di minimo o di massimo locale, allora si dice punto di estremo
locale mentre f (x0 ) si chiama estremo locale.

56

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

f
M

x0

x1

x2

x3

x4

Figura 33. Esempi di estremi locali.


Esempio. Consideriamo il grafico in Figura 33. In questo caso abbiamo:
a, x2 e x3 e b sono punti di massimo locale di f ,
x0 e x4 sono punti di minimo locale di f ,
x1 non `e un punto di estremo locale di f ,
x2 `e un punto di massimo assoluto di f ,
M = f (x2 ) `e il massimo assoluto di f , il minimo assoluto non esiste (soltanto
lestremo inferiore).
Per trovare i punti di estremo locale si usa il
Teorema 5.5 (Teorema di Fermat). Sia x0 (a, b) un punto di estremo locale di f :
[a, b] R. Se f `e derivabile in x0 allora f 0 (x0 ) = 0.
Dimostrazione. Supponiamo che x0 sia un punto di minimo locale. Allora
0

f 0 (x0 ) =

}|
{
z
0
f (x0 + h) f (x0 )

0
f+ (x0 ) = lim

h
h0+

|{z}

>0

}|
{
z

f
(x
+
h)

f
(x
0
0)

f0 (x0 ) = lim
0
h
h0
|{z}
<0

Quindi 0

f 0 (x

0)

0 che implica

f 0 (x

0)

= 0.

Esempio. Consideriamo di nuovo il grafico in Figura 34. Allora la derivata f 0 (x) si


f

x0

x1

x2

x3

x4

Figura 34. Estremi locali e tangenti orizzontali.

ESTREMI LOCALI E IL TEOREMA DI FERMAT

57

annulla negli estremi locali x = x0 e x = x2 che graficamente corrisponde ad una retta


tangente orizzontale.
Osservazioni.
Come si vede nel grafico sopra il teorema di Fermat non vale negli
estremi dellintervallo [a, b]. Cio`e se x0 = a oppure x0 = b `e un punto di estremo
locale ci`
o non implica (come si vede nel grafico) che f 0 (x0 ) = 0.
0
Se f (x0 ) = 0 allora x0 si dice punto critico oppure punto stazionario di f .
Il Teorema di Fermat fornisce soltanto una condizione necessaria ma non sufficiente
per estremi locali, cio`e non ogni punto critico `e un punto di estremo locale. Basta
considerare f (x) = x3 per x R. Allora f 0 (x) = 3x2 e quindi x0 = 0 `e un punto
critico ma non `e un punto di estremo locale.
Tornando al problema di trovare gli estremi locali di una funzione f : X R R
possiamo affermare che i candidati per punti di estremo locale sono
i punti in cui f non `e derivabile,
i punti sul bordo del dominio X di f ,
i punti critici all interno del dominio.
I punti delle prime due classi sono quelli per i quali non si pu`o applicare Fermat, la
terza classe invece sono quelli che vengono da Fermat.
Consideriamo un altro
Esempio. Definiamo f : [0, 1] R,
(
1
f (x) :=
xx

se x = 0,
se x (0, 1].

Per studiare f si rappresenta usando logaritmo ed esponenziale, cio`e si scrive


xx = eln(x)

x

= exln(x)

per ogni x > 0.

Per procedere calcoliamo il limite


lim f (x) = lim exln(x) .

x0+

x0+

Usando la sostituzione
ln(x) = t +
t2
2

t3
3!

per x 0+

+ . . . t2 per ogni t > 0 segue



t

0 lim |x ln(x)| = lim t

lim x ln(x) = 0.
et lim t2 /2 = 0

e visto che et = 1 + t +

t+

x0+

t+

x0+

Quindi dalla continuit`


a dellesponenziale risulta2
lim exln(x) = elimx0+ xln(x) = e0 = 1 = f (0)

x0+

implicando che f `e continua in x = 0. Siccome f , come composizione di funzioni continue,


`e anche continua in ogni x (0, 1] risulta che f C[0, 1] e quindi ammette minimo e
massimo per il teorema di Weierstra. Per calcolarli useremo il teorema di Fermat. Allora
per x (0, 1) la funzione f e derivabile con
0


f 0 (x) = exln(x) = x x1 + 1 ln(x) exln(x) = 1 + ln(x) xx = 0

x = 1e ,
cio`e x0 :=

1
e

[0, 1] `e lunico punto critico di f .

2Vedremo in seguito metodi pi`


u semplici per calcolare questo limite

58

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Quindi sappiamo:
i candidati per i punti di estremo locale sono gli estremi dellintervallo a = 0, b = 1
e il punto critico x0 = 1e ,
f ammette m := min f e M := max f nellintervallo [0, 1],
1
1
f (0) = f (1) = 1, f (x0 ) = ( 1e )( e ) = e e < 1.
1

Ci`o implica M = max f = f (0) = f (1) = 1 e m = min f = f ( 1e ) = e e .


xx
1

0.8

0.6

0.4

0.2

0.2

1/e0.4

0.6

0.8

Figura 35. Grafico di f (x) = xx .

Esempio. Continuiamo lo studio del problema posto a pagina


55: Trovare il valore

massimo Vmax di V (x) = x(a 2x)(b 2x) per x 0, a2 . Visto che la funzione V
`e continua e lintervallo 0, a2 `e chiuso e limitato questo problema ammette almeno
una soluzione per il teorema di Weierstra. Inoltre, V `e derivabile e quindi
 possiamo

utilizzare il teorema di Fermat per trovare il punto di massimo x0 0, a2 cio`e tale
che Vmax = V (x0 ). Calcolando V0 (x) = 12x2 4(a + b)x + ab otteniamo i punti critici
x1,2 = 61 a + b a2 ab + b2 . Visto che 0 < a b segue a2 ab 0 e quindi
a2 ab 4a2 4ab. Di conseguenza
 1

p
p
1
x1 =
a + b + a2 ab + b2
a + b + 4a2 4ab + b2
6
6
 1
p

1
a + b + (2a b)2 = a + b + |2a b|
=
6
6
 a
1
a + b + (2a b) = .
6
2



a
Usando il fatto V (0) = V 2 = 0 risulta che x0 = x2 = 16 a + b a2 ab + b2 . Per
esempio se scegliamo un cartoncino di formato A 4, cio`e di dimensione 21 cm29, 7 cm,
allora otteniamo x0 4, 04 cm e Vmax = V (x0 ) = 1128, 5 cm3 , cfr. Figura 36. In
particolare si pu`
o costruire un contenitore il cui volume `e pi`
u di un litro.
Vmax

V(x)=x(21-2x)(29,7-2x)

1000
800
600
400

a/2 =10,5
x1

200

x0

10

15

- 200

Figura 36. Volume contenitore da cartoncino formato A4.


I Teoremi di Rolle e Lagrange
Il seguente risultato stabilisce lesistenza di punti critici sotto certi ipotesi.
Teorema 5.6 (Teorema di Rolle). Sia f C[a, b] derivabile in (a, b). Se f (a) = f (b)
allora esiste c (a, b) tale che f 0 (c) = 0 (cfr. Figura 37).

I TEOREMI DI ROLLE E LAGRANGE

59

f(x)

f(a)=f(b)

c1

c2

c3

Figura 37. Teorema di Rolle: Tre punti con f 0 (c1 ) = 0 = f 0 (c2 ) =


f 0 (c3 ) retta tangente orizzontale
Dimostrazione. Per Weierstra f ammette minimo m := min f = f (x0 ) e massimo
M := max f = f (x1 ) in x0 , x1 [a, b]. Ora ci sono 2 possibilit`a:
1 Caso: m = M , allora f `e costante e quindi f 0 (x) = 0 per ogni x (a, b).
2 Caso: m < M . Poiche f (a) = f (b) almeno uno dei punti x0 , x1 `e diverso da a e da
b e in questo punto f 0 si annulla per il teorema di Fermat.

Il Teorema di Rolle si pu`
o generalizzare togliendo la condizione f (a) = f (b). Cos` segue
il prossimo risultato che `e uno dei pi`
u importanti di questo corso.
Teorema 5.7 (Teorema di Lagrange (o del valor medio)). Sia f C[a, b] derivabile in
(a, b). Allora esiste c (a, b) (detto punto di Lagrange) tale che
f 0 (c)
| {z }
=pendenza della retta
tangente t in (c, f (c))

f (b) f (a)
a }
| b {z

=pendenza della retta


secante s attraverso
(a, f (a)) e (b, f (b))

t1

f(x)

s
t2

x
a

c1

c2

Figura 38. Teorema di Lagrange: Due punti di Lagrange c1 e c2 .


Quindi il teorema stabilisce che esiste un punto c tale che la retta tangente t al grafico
di f in (c, f (c)) e la retta secante attraverso (a, f (a)) e (b, f (b)) sono parallele.
Dimostrazione. Basta applicare il Teorema di Rolle alla funzione f : [a, b] R,
f (b) f (a)
f(x) := f (x)
(x a).
ba

60

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Conseguenze del Teorema di Lagrange


Il Teorema di Lagrange ha molte applicazioni per le quali, per`o, viene usato nel seguente
modo: Se f C[a, b] `e derivabile in (a, b) allora per ogni x1 , x2 [a, b] esiste c tra x1 e
x2 tale che
f (x2 ) = f (x1 ) + f 0 (c) (x2 x1 )
Per ottenere questa versione del teorema basta sostituire a, b con x1 , x2 e poi risolvere
lequazione per f (x2 ).
Test di Monotonia. Se f C[a, b] `e derivabile in (a, b) allora

f `e crescente f 0 (x) 0 per ogni x (a, b);


f `e decrescente f 0 (x) 0 per ogni x (a, b);
f 0 (x) > 0 per ogni x (a, b) f `e strettamente crescente;
f 0 (x) < 0 per ogni x (a, b) f `e strettamente decrescente.

Prima di dimostrare il test osserviamo che nel punto 3 e 4 non vale lequivalenza, basta
considerare f (x) = x3 per x R che `e strettamente crescente nonostante che f 0 (x) = 3x2
si annulla per x = 0.
Dimostrazione. Dimostreremo soltanto il primo punto. : Se f `e crescente, allora
f (x)

z }| {
f (x + h) f (x)
0
0
0.
f (x) = f+ (x) = lim
h
h0+
|{z}
>0

: Sia f 0 (x) 0 per ogni x (a, b). Allora per x1 , x2 [a, b] con x1 < x2 esiste
c (a, b) tale che
f (x2 ) = f (x1 ) + f 0 (c) (x2 x1 ) f (x1 ),
| {z } | {z }
0

>0

cio`e f `e crescente.

Esempio. Consideriamo la funzione f : R R, f (x) := x3 3x2 + 6x 3. Allora


f 0 (x) = 3x2 6x + 6 = 3(x2 2x + 1) + 3 = 3(x 1)2 + 3 > 0

per ogni x R

e quindi f `e strettamente crescente e di conseguenza iniettiva. Inoltre limx f (x) =


e quindi f : R R `e anche suriettiva e di conseguenza invertibile. Visto che
f 0 (x) 6= 0 dal risultato sulla derivabilit`a della funzione inversa (cfr. pagina 53) segue
1
che f 1 : R R `e derivabile con (f 1 )0 (y0 ) = f 0 (x
dove y0 = f (x0 ). Per esempio, per
0)
y0 = 3 vale y0 = f (0), cio`e x0 = 0 e quindi
(f 1 )0 (3) =

1
f 0 (0)

1
= .
6

Dal test di monotonia segue anche facilmente la seguente


Proposizione 5.8. Se f, g C[a, b] sono derivabili in (a, b) e
f (a) g(a)

f 0 (x) g 0 (x)

per ogni x (a, b)

allora f (x) g(x) per ogni x [a, b].


Dimostrazione. Definiamo h := f g. Allora h0 (x) = f 0 (x) g 0 (x) 0 e quindi h
`e crescente con h(a) = f (a) g(a) 0. Ci`o implica h(x) = f (x) g(x) 0, quindi
f (x) g(x) per ogni x [a, b].


CONSEGUENZE DEL TEOREMA DI LAGRANGE

max locale

61

min locale

f 0(x)>0 )

f 0(x)<0 )

f 0(x)<0 )

f 0(x)>0 )

--

--

f crescente

f decrescente

f crescente

f decrescente

x0

x0

Figura 39. Criterio per estremi locali.


Criterio per Estremi Locali. Sia f : (a, b) R derivabile e sia x0 (a, b) un punto
critico di f (cio`e f 0 (x0 ) = 0). Allora x0 `e un punto di
massimo locale, se f 0 (x) cambia in x0 segno da + a ;
minimo locale, se f 0 (x) cambia in x0 segno da a +;
Dimostrazione. Laffermazione segue dal test di monotonia: se vale la prima condizione, allora f poco prima di x0 `e crescente mentre poco dopo `e decrescente e quindi x0 `e un
punto di massimo locale. Similmente segue la seconda affermazione, cfr. Figura 39. 
Esempio. Sia f : (0, +) R, f (x) :=
x

ln(x)
x .

Allora f `e derivabile con

1
x

1 ln(x)
1 ln(x)
=
.
2
x
x2
Quindi f 0 (x) = 0 ln(x) = 1 x = e, cio`e x0 = e `e lunico punto critico di f .
Inoltre,
ln(x) < 1 per x (0, e) f 0 (x) `e positiva prima di x0 = e,
ln(x) > 1 per x (e, +) f 0 (x) `e negativa dopo x0 = e
cio`e f 0 (x) cambia in x0 = e segno da + a x0 = e `e un punto di massimo locale.
f 0 (x) =

ln(x)/x

1
0

Figura 40. Grafico di f (x) =

ln(x)
x .

Caratterizzazione di Funzioni Costanti. Se f : (a, b) R e derivabile, allora


f `e costante f 0 (x) = 0 per ogni x (a, b)
Dimostrazione. Questa implicazione `e banale visto che per f `e costante il rapporto incrementale `e 0 e quindi anche ammette limite 0. Usando il test di monotonia
dallipotesi
(
f 0 (x) 0 per ogni x (a, b) f `e crescente, inoltre
f 0 (x) = 0 per ogni x (a, b)
f 0 (x) 0 per ogni x (a, b) f `e decrescente.

62

5. CALCOLO DIFFERENZIALE


Questa caratterizzazione sembra banale ma tuttavia `e utile per dimostrare risultati che
non sono cos` ovvi.
Esempio. Definiamo f : R \ {0} R,
f (x) := arctan(x) + arctan

1
x

x 6= 0.

Allora f `e derivabile con


f 0 (x) =

1
1
1
1
1
+
2
=0
2 2 =
2
2
1
1+x
x
1+x
x +1
1+ x

per ogni x 6= 0.

A questo punto, per`


o, non possiamo concludere che f `e costante visto che il dominio
X := R \ {0} non `e un intervallo. Comunque X = (, 0) (0, +) `e lunione di due
intervalli e quindi f `e costante sia sul intervallo (, 0) che su (0, +). Quindi esistono
c1 , c2 R tale che
f (x) = c1 per ogni x > 0

f (x) = c2 per ogni x < 0.

Per calcolare le costanti c1 , c2 (che, come vedremo sono diversi) basta scegliere un valore
opportuno x1 > 0 e x2 < 0 poiche in ogni caso f (x1 ) = c1 e f (x2 ) = c2 . Per la funzione
f possiamo per esempio scegliere x = 1 e x2 = 1 e cos` risulta

arctan(x) + arctan x1 = f (x) =
(
f (1) = arctan(1) + arctan(1) = 2 4 = 2
=

f (1) = arctan(1) + arctan(1) = 2


4 = 2

per ogni x > 0,


per ogni x < 0.

Criterio per Funzioni Lipschitziane.


Definizione 5.9. Se per f : X R R esiste una costante L 0 (detta costante di
Lipschitz) tale che


f (x2 ) f (x1 ) L |x2 x1 |
per ogni x1 , x2 X
allora f si dice funzione lipschitziana con costante L.
` semplice verificare che ogni funzione lipschitziana `e continua mentre
Osservazione. E
il contrario non vale. Ci`
o si vede riscrivendo la relazione nella definizione come


f (x2 ) f (x1 )
L

per ogni x1 , x2 X, x1 6= x2 ,

x2 x1
che in pratica significa che la pendenza di qualsiasi retta secante attraverso i punti
(x1 , f (x1 )) e (x2 , f (x2 )) ha (in modulo)
al massimo pendenza L. Se ora consideriamo
il grafico di f : [0, 1] R, f (x) = x e scegliamo x1 = 0 e x2 (0, 1] si vede che la
pendenza della retta secante tende per x2 0+ a + e quindi f non `e lipschitziana.
Dal Teorema di Lagrange segue il seguente Criterio.
Proposizione 5.10. Sia f : [a, b] R derivabile tale che |f 0 (x)| L per ogni x (a, b).
Allora f `e lipschitziana con costante L. In particolare ogni f C1 [a, b] `e lipschitziana.
Dimostrazione. Siano x1 , x2 [a, b], x1 6= x2 . Allora per Lagrange esiste c (a, b)
tale che
f (x2 )f (x1 ) 0
= f (c) L

per ogni x1 , x2 X
x2 x1
Se f C1 [a, b], allora f 0 C[a, b] `e limitata per il teorema di Weierstra.

LE REGOLE DI DE LHOSPITAL

63

Le Regole di de lHospital
Partiamo con il seguente importante
Problema. Calcolare il limite
lim

xx0

f (x)
g(x)
0
0

che al limite rappresenta una forma indeterminata del tipo

oppure

Per esempio
sin(x)
0
ln(x)
+
=
oppure
lim
=
.
x+ x
x0
x
0
+
Nonostante i due limiti precedenti si possano calcolare anche direttamente, le seguenti regole ne semplificano molto lo svolgimento. Non presentiamo la dimostrazione che
comunque si basa sempre sul Teorema di Lagrange.
lim

Teorema 5.11 (Regole di de lHospital). Siano a < b + e f, g : (a, b) R


tale che
lim f (x) = lim g(x) = 0 oppure = ,
xa+

xa+

f, g sono derivabili con g 0 (x) 6= 0 per ogni x vicino ad a,


0 (x)
=: l R esiste.
lim fg0 (x)
xa+

Allora anche
f (x)
= l.
xa+ g(x)
La stessa conclusione vale anche per limiti del tipo lim e lim per x0 (a, b).
lim

xb

xx0

Prima di svolgere alcuni esempi facciamo le seguenti


Osservazione.

Se lim

xa+

f 0 (x)
g 0 (x)

non esiste non si pu`o dedurre che anche lim

xa+

f (x)
g(x)

non esiste. Cio`e lHospital offre soltanto una condizione sufficiente ma non necessaria per lesistenza di un limite. Per verificare ci`o consideriamo
limitato

z }| {
x + sin(x)
sin(x)
= lim 1 +
=1
lim
x+
x+
x
x
|{z}
+

che quindi converge mentre


lim

x+

0
x + sin(x)
1 + cos(x)
= lim
0
x+
(x)
1

non esiste.
LHospital non si deve applicare a forme determinate. Per esempio
1+x
1
(1 + x)0
1
= 6= lim
= lim = 1.
0
x0 2 + x
x0 1
2 x0 (2 + x)
lim

Consideriamo ora alcuni esempi in cui il simbolo = significa che abbiamo applicato
lHospital, cio`e derivato numeratore e denominatore.
Esempi.

Sia > 0. Allora


1
ln(x)  +  H
1
x
lim
=
=
lim
= lim
= 0.
+

1
x+ x
x+ x
x+ x

64

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Usando piccoli trucchi si possono anche studiare limiti che allinizio non sono della
forma indeterminata 00 oppure
. Per esempio, per > 0 vale

ln(x) 
lim x ln(x) = 0 () = lim =
x0+
x0+ x

= lim

x0+

1
x
x1

= lim

x0+

x
= 0.

Puo succedere anche che dopo unapplicazione di lHospital si ottiene nuovamente una forma indeterminata ammessa. In questi casi si pu`o provare ad applicare
lHospital pi`
u volte. Per esempio


1 cos(x)  0  H
sin(x)  0  H
cos(x)
x sin(x)
1
0 H
=
=
lim
=
=
lim
= 0 = lim
= .
lim
0
0
3
2
x0
x0 6x
x0
x0
x
3x
6
6
Qui la seconda e terza applicazione di lHospital si potrebbe evitare ricordando i
limiti notevoli (1) e (2) a pagina 39. Per`o confrontando i procedimenti si vede che
le regole di lHospital hanno semplificato notevolmente il calcolo di questi limiti.
Per calcolare limiti del tipo lim f (x)g(x) si procede come segue:
xx0

lim f (x)

g(x)

xx0

g(x)ln f (x)

= lim e
xx0

lim g(x)ln f (x)

= exx0

dove lultima uguaglianza segue dalla continuit`a della funzione esponenziale.


Per dare un esempio concreto consideriamo

ln x+ex
1

lim
lim x + ex sin(x) = ex0 sin(x) .
x0

Allora

ln x + ex  ln(0 + e0 )
ln(1)
0 H
=
=
=
lim
= lim
x0
x0
sin(x)
sin(0)
0
0

1
x+ex

(1 + ex )
=2
cos(x)

e quindi
lim x + ex

x0

1
sin(x)

= e2

Approssimazione Lineare di Funzioni


Torniamo ora al problema iniziale posto a pagina 48: Data f : (a, b) R e un punto
x0 (a, b), trovare
(i) la retta tangente t al grafico di f nel punto P0 = (x0 , f (x0 )), e
(ii) unapprossimazione lineare g(x) = x + (cio`e g `e un polinomio di grado 1)
per f (x) per x vicino a x0 .
Abbiamo risolto (i): Se f `e derivabile in x0 , allora la retta tangente t `e data dallequazione
t(x) = f (x0 ) + f 0 (x0 ) (x x0 ).
Quindi la retta tangente definisce un polinomio di grado 1 e di conseguenza si pu`o
avere lidea di usare proprio g(x) := t(x) come approssimazione lineare. Come vedremo
in seguito, questa scelta `e infatti in un certo senso la migliore possibile. Per verificare
ci`o scriviamo
f (x) = t(x) + r(x) = f (x0 ) + f 0 (x0 ) (x x0 )
|
{z
}
approssimazione lineare

r(x)
|{z}

resto (o errore)

cio`e r(x) = f (x) t(x), cfr. Figura 41.


Studiamo le propriet`
a di r(x):
r(x0 ) = 0 cio`e nel punto x0 lapprossimazione d`a il valore esatto,

APPROSSIMAZIONE LINEARE DI FUNZIONI


t
t(x)
f
f(x)

65

= r(x)

f(x0 )

x0

Figura 41. Il resto r(x).


vale

f (x) f (x0 )
r(x)
=
f 0 (x0 ) 0
x x0
x x0
|
{z
}

per x x0 .

f 0 (x0 )

Cio`e r(x) tende a 0 pi`


u rapidamente di x x0 per x x0 .
Per confrontare meglio il comportamento di due funzioni facciamo la seguente
Definizione 5.12. Se

f (x)
=0
g(x)
allora si dice che f `e o-piccolo di g per x x0 e in questo caso si scrive f (x) = o(g(x))
per x x0 o pi`
u brevemente f = o(g) per x x0 .
lim

xx0

Osservazioni.
o() si chiama simbolo di Landau.
f = o(g) per x x0 significa per
infinitesimi che f (x) 0 pi`
u rapidamente che g(x) 0 per x x0 ;
infiniti che f (x) pi`
u lentamente che g(x) per x x0 .
ln(x) = o(x) per x + poiche
Esempi.
1 cos(x) = o(x) per x 0 poiche
1 cos(x)
1 cos(x)
=
|{z}
x
2
x
| x
{z } 0

ln(x)
x

1
2

0 per x +.

0=0

per x 0.

12

x = o(x2 ) per x mentre x2 = o(x) per x 0.


f (x) 0 per x x0 f (x) = o(1) per x x0 .
Tornando al problema di approssimazione lineare possiamo ora dire che r(x) =
o(x x0 ) per x x0 .
Con gli o-piccoli si possono caratterizzare le funzioni derivabili.
Proposizione 5.13. Per una funzione f : (a, b) R e x0 (a, b) le seguenti affermazioni sono equivalenti.
(a) f `e derivabile in x0 .
(b) Esiste A R tale che f (x) = f (x0 ) + A (x x0 ) + o(x x0 ) per x x0 .
In questo caso A = f 0 (x0 ).
Quindi questa proposizione stabilisce che lapprossimazione lineare t(x) data dalla retta
tangente t `e lunica che lascia un resto r(x) che per x x0 tende a 0 pi`
u rapidamente
che la distanza x x0 tra x e x0 . Cio`e per ogni altra scelta di approssimazione con un
polinomio di grado 1 il resto tende a zero pi`
u lentamente. In questo senso t(x) `e la
migliore approssimazione lineare possibile di f (x) per x vicino a x0 .
Consideriamo alcuni

66

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Esempi.
Se f (x) = ex e x0 = 0, allora la derivabilit`a di f implica
x
e = f (0) + f 0 (0) x + o(x) = e0 + e0 x + o(x), cio`e
ex = 1 + x + o(x) per x 0
Se f (x) = sin(x) e x0 = 0, allora la derivabilit`a di f implica
sin(x) = f (0) + f 0 (0) x + o(x) = sin(0) + cos(0) x + o(x), cio`e
sin(x) = x + o(x) per x 0
Se f (x) = ln(1 + x) e x0 = 0, allora la derivabilit`a di f implica
1
ln(1 + x) = f (0) + f 0 (0) x + o(x) = ln(1) + 1+0
x + o(x), cio`e
ln(1 + x) = x + o(x) per x 0
La Formula di Taylor
Abbiamo quindi risolto anche il problema dellapprossimazione lineare, cio`e di approssimare il valore f (x) di un funzione (possibilmente molto complicata) vicino al punto x0
con un polinomio t(x) (cio`e con una funzione molto semplice) di grado 1.
A questo punto si pu`
o avere lidea di limitare il grado dellapprossimazione non a 1 ma
a un numero n N qualsiasi. Cio`e si pu`o generalizzare il problema dellapprossimazione
lineare nel seguente modo:
Problema. Data f : (a, b) R, x0 (a, b) e n N, approssimare f (x) per x vicino a
x0 con un polinomio Tn (x) di grado n
Per n = 1 abbiamo visto che T1 (x) = t(x) `e la migliore scelta possibile. Per risolvere il
problema per n N dobbiamo prima introdurre le
Derivate Successive.
Definizione 5.14. Se f `e derivabile e tale che f 0 `e nuovamente derivabile, allora
possiamo definire
f0

0

=: f 00 = derivata seconda =: D2 f =:

d2 f
.
dx2

Se si pu`o continuare in questa maniera n volte otteniamo


f (n) = derivata n-esima =: Dn f =:

dn f
.
dxn

Inoltre, se I `e unintervallo e n N definiamo C0 (I) := C(I) (e f (0) := f ) e per n 1


f `e derivabile n-volte


n
C (I) := f : I R
e f (n) `e continua
Se f Cn (I) si dice anche che f `e derivabile n-volte con continuit`
a (qui la continuit`a si
riferisce alla derivata n-esima f (n) e non a f ).
Esempio. Se f (x) = sin(x), allora f `e derivabile con f 0 (x) = cos(x) che `e anche derivabile. Quindi otteniamo f 00 (x) = cos0 (x) = sin(x) che `e nuovamente derivabile. Cos`
otteniamo f 000 (x) = sin0 (x) = cos(x) che `e sempre derivabile. Quindi esiste anche
la derivata quarta che indichiamo con il simbolo f (4) (x) = cos0 (x) = sin(x) = f (x).
Quindi dopo 4 derivazioni si ritorna alla funzione originale.
Dopo questo intermezzo sulle derivate successive possiamo tornare al problema dellapprossimazione di f (x) per x vicino a x0 attraverso un polinomio di grado n. Per
ottenere unidea come si pu`
o risolvere questo problema consideriamo i casi n = 0 e
n = 1.

LA FORMULA DI TAYLOR

67

Per n = 0 la migliore approssimazione con un polinomio di grado 0 (cio`e con


una costante) `e ovviamente T0 (x) := f (x0 ) = T0 (x0 ), cio`e T0 e f hanno in x0 il
valore in comune:
T0 (x0 ) = f (x0 ).
Per n = 1 il problema diventa quello dellapprossimazione lineare che abbiamo
risolto precedentemente: Se f `e derivabile in x0 allora la migliore approssimazione ci
d`a t(x) =: T1 (x) = f (x0 ) + f 0 (x0 ) (x x0 ). Quindi T1 (x0 ) = f (x0 ) e T10 (x) = f 0 (x0 )
cio`e T1 e f hanno in x0 il valore e derivata prima in comune:
T1 (x0 ) = f (x0 ),
T10 (x0 ) = f 0 (x0 ).
Quindi per n 2 supponiamo che f sia n-volte derivabile e poi cerchiamo un polinomio
Tn che con f ha in x0 valore e tutte le derivate fino alla n-esima in comune:

Tn (x0 ) = f (x0 ),

Tn0 (x0 ) = f 0 (x0 ),

: f e Tn hanno contatto di ordine n in x0


..

(n)
(n)
Tn (x0 ) = f (x0 ).
Visto che questo sistema consiste da n + 1 equazione e il polinomio Tn da determinare
ha n + 1 coefficienti a0 , . . . an R come incognite, il seguente risultato `e plausibile.
Proposizione 5.15. Se f Cn (a, b) e x0 (a, b) allora esiste ununico polinomio Tn
di grado n che ha un contatto di ordine n in x0 con f . Questo polinomio si chiama
polinomio di Taylor di ordine n con centro x0 generato da f ed `e dato da
Tn (x) = f (x0 ) + f 0 (x0 ) (x x0 ) +
=

n
X
f (k) (x0 )
k=0

k!

f 00 (x0 )
f (n) (x0 )
(x x0 )2 + . . . +
(x x0 )n
2!
n!

(x x0 )k .

Infine, se x0 = 0, allora Tn viene anche chiamato polinomio di Maclaurin.


Dimostrazione. Verifichiamo soltanto che per n = 3 il polinomio T3 definito sopra ha
contatto di ordine 3 con f C3 (a, b) in x0 (a, b). Infatti
000
f 00 (x0 )
(x x0 )2 + f 3!(x0 )
2
000
x0 ) + f 2(x0 ) (x x0 )2

T3 (x) = f (x0 ) + f 0 (x0 ) (x x0 ) +


T30 (x) = f 0 (x0 ) + f 00 (x0 ) (x

(x x0 )3

T3 (x0 ) = f (x0 ),
T30 (x0 ) = f 0 (x0 ),

T300 (x) = f 00 (x0 ) + f 000 (x0 ) (x x0 )

T300 (x0 ) = f 00 (x0 ),

T3000 (x) = f 000 (x0 )

T3000 (x0 ) = f 000 (x0 ).




Esempio. (Cfr. Figura 42) Sia f (x) = ex . Allora f Cn (R) per ogni n N con
f (k) (x) = f (x) = ex per ogni 0 k n. Quindi risulta per x0 = 0 che f (k) (x0 ) = e0 = 1
per ogni 0 k n e di conseguenza
n
X
x2
x3
xn
xk
Tn (x) = 1 + x + 2 + 3! + . . . + n! =
k! .
Prima di considerare altri esempi ci poniamo il seguente

k=0

Problema. Quanto vale il resto (o errore) dovuto allapprossimazione con il polinomio


di Taylor, cio`e
Rn (x) := f (x) Tn (x) = ?
Consideriamo prima i casi che abbiamo gi`a studiati.

68

5. CALCOLO DIFFERENZIALE
ex

20

T5(x)

T9(x)

T13(x)

T17(x)

T1(x)

T4(x)
15

T3(x)

sin(x)

10

T2(x)
5

T1(x)
T0(x)

-3

-2

-1

-2

x
-4

T3(x)

T7(x)

T11(x)

T15(x)

T19(x)

Figura 42. I primi polinomi di Maclaurin di f (x) = ex e f (x) = sin(x)


(cfr. p. 69).
n = 0: Per il Teorema di Lagrange esiste c tra x e x0 tale che
R0 (x) = f (x) T0 (x) = f (x) f (x0 ) = f 0 (c) (x x0 )

= o(1) = o (x x0 )0 .
n = 1: Visto che T1 (x) = t(x) = approssimazione lineare (cfr. pagina 64) segue

R1 (x) = r(x) = o (x x0 )1 .
Nel caso generale n N vale la seguente generalizzazione di queste rappresentazioni di
Rn (x).
Teorema 5.16 (Formula di Taylor). Sia f Cn+1 (a, b) e sia x0 (a, b). Allora per
Rn (x) := f (x) Tn (x) vale

Rn (x) = o (x x0 )n

per x x0

(Resto di Peano)

esiste c tra x e x0 tale che


Rn (x) =

f (n+1) (c)
(x x0 )n+1
(n + 1)!

(Resto di Lagrange)

Osservazioni.
Per la formula di Taylor con il resto di Peano basta che f
Cn (a, b).
La Formula di Taylor con il
Resto di Peano `e un affermazione qualitativa, cio`e afferma soltanto con che
velocit`
a il resto Rn (x) tende a 0 per x x0 ;
Resto di Lagrange `e un affermazione quantitativa, che permette anche valutare
la grandezza del resto (si noti tuttavia che c non `e noto).
Se per un polinomio p(x) di grado n vale

f (x) p(x) = o (x x0 )n
per x x0 ,
allora p(x) = Tn (x). In altre parole Tn (x) `e lunico polinomio di grado n che
lascia un resto che tende pi`
u rapidamente a 0 per x x0 che (x x0 )n . In questo
senso la scelta di Tn (x) come approssimazione di f (x) per x vicino a x0 `e ottima.
Questa osservazione ci permetter`a in seguito di calcolare Tn (x) senza calcolare
alcuna derivata.
Una rappresentazione esplicita del tipo f (x) = Tn (x) + o((x x0 )n ) si chiama
sviluppo di Taylor di f di ordine n e centro x0 .
Calcoliamo appunto alcuni sviluppi di Taylor.

LA FORMULA DI TAYLOR

Esempi.

69

Dallesempio precedente segue per f (x) = ex e x0 = 0 che


ex = 1 + x +

x2
2

x3
3!

+ ... +

xn
n!

+ o(xn ) =

n
X

xk
k!

+ o(xn )

per x 0.

k=0
3

Per esempio ex = 1 + x + x2 + x6 + o(x3 ) per x 0.


Abbiamo gi`
a visto nellesempio su pagina 66 che per f (x) = sin(x) vale f 0 (x) =
00
cos(x), f (x) = sin(x), f 000 (x) = cos(x) e f (4) (x) = sin(x) = f (x). Quindi
f Cn (R) per ogni n N e per ogni k N vale
f (2k) (0) = sin(0) = 0

f (2k+1) (0) = (1)k cos(0) = (1)k .

Ci`o implica
n

T2n+1 (x) = x

X
x3 x5
x2n+1
x2k+1
+
. . . + (1)n
=
(1)k
3!
5!
(2n + 1)!
(2k + 1)!
k=0

e quindi
sin(x) = x
=

x3 x5
x2n+1
+
. . . + (1)n
+ o(x2n+1 )
3!
5!
(2n + 1)!

n
X
(1)k
k=0

x2k+1
+ o(x2n+1 )
(2k + 1)!

per x 0.

Osservazione. Siccome per ogni n N vale f (2n+2) (0) = 0 segue T2n+2 (x) =
T2n+1 (x) e di conseguenza
f (x) = T2n+2 (x) +o(x2n+2 ) = T2n+1 (x) + o(x2n+2 ).
| {z }
=T2n+1 (x)

Cos` risulta lo sviluppo


sin(x) =

n
X
(1)k
k=0

Per esempio per n = 1 vale

x2k+1
+ o(x2n+2 )
(2k + 1)!

per x 0.

=0

z }| {
3
x
f (4) (0) 4
T4 (x) = x
+
x = T3 (x)
3!
4!
x3
sin(x) = x
+ o(x4 ) per x 0.
6

e quindi

Lo sviluppo precedente `e migliore dello sviluppo sin(x) = x x6 + o(x3 ) in quanto


per x 0 lespressione x4 tende pi`
u rapidamente a zero che x3 .
Questo guadagno di un grado nel o() si ottiene anche per altri sviluppi di Maclaurin
(cio`e per x0 = 0) di funzioni pari oppure dispari in quanto
 tutte le derivate di ordine pari di una funzione dispari in x0 = 0 si annullano
(come sopra per il sin),
 tutte le derivate di ordine dispari di una funzione pari in x0 = 0 si annullano
(per esempio per il cos).
Di conseguenza in uno sviluppo di Maclaurin di una
 funzione pari compariranno soltanto termini xk con k pari, mentre per
 funzione dispari compariranno soltanto termini xk con k dispari.
Nella stessa maniera seguono i seguenti sviluppi.

70

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Come gi`
a sopra indicato vale per f (x) = cos(x) (= funzione pari) e x0 = 0 che
T2n (x) = T2n+1 (x). Quindi
cos(x) =

n
X
x2k
(1)k
+ o(x2n+1 )
(2k)!

per x 0.

k=0

Per esempio per n = 2 otteniamo cos(x) = 1 x2 + x24 + o(x5 ) per x 0.


Per le funzioni iperboliche sinh (= dispari) e cosh (= pari) valgono i seguenti
sviluppi che sono molto simili a quelli delle funzioni circolari sin e cos:
n
X
x2k+1
+ o(x2n+2 )
(2k + 1)!

sinh(x) =

per x 0,

k=0

cosh(x) =

n
X
x2k
+ o(x2n+1 )
(2k)!

per x 0.

k=0

Per esempio sinh(x) = x +

x3
6

+ o(x4 ) e cosh(x) = 1 +

x2
2

x4
24

+ o(x5 ) per x 0.

Per f (x) = arctan(x) (= funzione dispari) e x0 = 0 vale T2n+1 (x) = T2n+2 (x).
Quindi
arctan(x) =

n
X
x2k+1
(1)k
+ o(x2n+2 )
2k + 1

per x 0.

k=0

Per esempio per n = 2 otteniamo arctan(x) = x x3 + x5 + o(x6 ) per x 0.


Per f (x) = arctanh(x) (= funzione dispari) e x0 = 0 vale T2n+1 (x) = T2n+2 (x).
Quindi
n
X
x2k+1
arctanh(x) =
+ o(x2n+2 ) per x 0.
2k + 1
k=0

Per esempio per n = 2 otteniamo arctanh(x) = x + x3 + x5 + o(x6 ) per x 0.


Scegliendo f : (1, +) R, f (x) := ln(1 + x) e x0 = 0 si ottiene
ln(1 + x) =

n
X
xk
(1)k+1
+ o(xn )
k

per x 0.

k=1

Per R e k N definiamo il coefficiente binomiale generalizzato

 

1
se k = 0

:= ( 1) ( 2) . . . ( k + 1)

k
altrimenti.
1 2
3 ... k
1 1
1
( 2 1)
Per esempio 22 = 2 12
= 18 . Allora per f : (1, +) R, f (x) := (1 + x)
per R e x0 = 0 si ottiene
(1 + x) =

n
X

xk + o(xn )

per x 0

k=0

che `e una generalizzazione della formula del binomio di Newton (cfr. pagina 6) per
esponenti R. Per esempio, scegliendo = 12 e n = 2 otteniamo

1
1
1
1
1 + x = (1 + x) 2 = 02 x0 + 12 x1 + 22 x2 + o(x2 )
=1+

x x2

+ o(x2 )
2
8

per x 0.

APPLICAZIONI DELLA FORMULA DI TAYLOR

71

La Formula di Taylor `e molto importante come si vede anche dalle seguenti


Applicazioni della Formula di Taylor
Criterio per Estremi Locali. Sia f Cn (a, b) per n 2 e sia x0 (a, b) tale che
f 0 (x0 ) = 0 = f 00 (x0 ) = . . . = f (n1) (x0 )

f (n) (x0 ) 6= 0.

Se n `e pari, allora f ammette in x0 un


minimo locale, se f (n) (x0 ) > 0,
massimo locale, se f (n) (x0 ) < 0.
Se n `e dispari, allora x0 non `e un punto di estremo locale di f .
Il caso pi`
u importante `e n = 2: Se f 0 (x0 ) = 0 e
f 00 (x0 ) > 0 x0 `e un punto di minimo locale,
f 00 (x0 ) < 0 x0 `e un punto di massimo locale.
Cenno della Dimostrazione. Per La Formula di Taylor con Resto di Peano vale
=0

z
}|
{
(n)
f (n1) (x0 )
0
n1
f (x) = f (x0 ) + f (x0 ) (x x0 ) + . . . + (n1)! (x x0 )
+ f n!(x0 ) (x x0 )n

+
o (x x0 )n
|
{z
}
=piccolo errore trascurabile

f (x0 ) + c (x x0 )n

per x vicino a x0

(n)

e con c = f n!(x0 ) . Quindi anziche studiare se x0 `e un punto di estremo locale di f (x)


basta considerare la stessa questione per il polinomio p(x) = f (x0 ) + c (x x0 )n . A
questo punto ci sono tre casi, cfr. Figura 43.
p(x)

p(x)

p(x)
c>0

f (x0 )
f (x0 )
f (x0 )
c<0
x0

x0

(1) n pari c > 0 min

(2) n pari c < 0 max

x0

(3) n dispari

Figura 43. Criterio per estremi locali.



(1) n pari e c > 0 ( f n (x0 ) > 0): Allora x0 `e un punto di minimo locale;
(2) n pari e c < 0 ( f n (x0 ) < 0): Allora x0 `e un punto di massimo locale;
(3) n dispari: Allora x0 non `e un punto di estremo locale.
Esempi.
Consideriamo f (x) = x2 . Allora f 0 (x) = 2x e f 00 (x) = 2 f 0 (0) = 0 e
00
f (0) > 0 (cio`e n = 2 = pari) x0 = 0 `e un punto di minimo di f .
Consideriamo f (x) = x3 . Allora f 0 (x) = 3x2 , f 00 (x) = 6x e f 000 (x) = 6 f 0 (0) =
0 = f 00 (0) e f 000 (0) 6= 0 (cio`e n = 3 = dispari) x0 = 0 non `e un punto di estremo
di f .
Sia f (x) = xsin(x)cos(2x), x R. Allora f 0 (x) = xcos(x)+1sin(x)+sin(2x)2
e quindi f 0 (0) = 0, cio`e x0 = 0 `e un punto critico di f . Per decidere la sua natura
calcoliamo anche le derivate successive in x0 = 0:
f 00 (x) = x ( sin(x)) + 1 cos(x) + cos(x) + 2 cos(2x) 2 f 00 (0) = 0 + 1 + 1 + 2 2 =
6 > 0 x0 = 0 `e un punto di minimo locale di f .

72

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Calcolo dei Limiti. Generalizziamo prima il concetto di asintoticit`a dalle successioni


alle funzioni.
f (x)
= 1, allora si dice che f (x) e g(x) sono asintotiche e
g(x)
si scrive f (x) g(x) (o anche solo f g) per x x0 .

Definizione 5.17. Se lim

xx0

Osservazione. Se f g per x x0 , allora f (x) e g(x) hanno lo stesso comportamento


asintotico, cio`e f (x) l per x x0 g(x) l per x x0 .
Come per le successioni anche per le funzioni vale il
Teorema 5.18 (Principio di Sostituzione). Se f1 f2 e g1 g2 per x x0 , allora
f1 g1 f2 g2
f1
f2

g1
g2

per x x0 , in particolare

per x x0 ,

in particolare

lim f1 (x) g1 (x) = l lim f2 (x) g2 (x) = l


xx0

xx0

f1 (x)
f2 (x)
lim
= l lim
=l
xx0 g1 (x)
xx0 g2 (x)

Quindi in prodotti e rapporti si possono sostituire espressioni con altre espressioni asintotiche senza cambiare il comportamento asintotico, in particolare senza cambiare il limite
se esiste.
Esempi.

sin(x) x per x 0 poiche


lim

x0

1 cos(x)

x2
2

sin(x)
= 1.
x

per x 0 poiche

lim

x0

1 cos(x)
x2
2

1
1
2

1 cos(x)
1
= 2 = 1.
2
x0
x
2

lim

Quindi per il principio di sostituzione vale


sin(x) sin(x)
sin2 (x)
x2
=
x2 = 2.
1 cos(x)
1 cos(x)
2

Come gi`
a per le successioni, il principio di sostituzione !!! NON !!! vale per somme,
differenze o potenze, cio`e se f1 f2 e g1 g2 per x x0 allora

6 f1 (x) g1 (x) f2 (x) g2 (x) per x x0 ,
g (x)
g (x)

6
f1 (x) 1 f2 (x) 2 per x x0 .
Quindi come gi`
a detto in prodotti e in rapporti si possono sostituire espressioni (complicate) con altre espressioni asintotiche (pi`
u semplici) senza cambiare lesistenza e il
valore del limite. Come vedremo ci`
o permette di facilitare il calcolo dei limiti. A questo
punto, per`
o, si pone il seguente
o trovare per una funzione f1 (possibilmente complicata) una
Problema. Come si pu`
funzione f2 (semplice) tale che f1 (x) f2 (x) per x x0 ?
Per risolvere questo problema usiamo la seguente

Proposizione 5.19. f1 (x) f2 (x) per x x0 f1 (x) = f2 (x) + o f2 (x) per
x x0 .
Esempi.
ln(1 + x) = x + o(x) per x 0 ln(1 + x) x per x 0.
f (x) = an (xx0 )n +o((xx0 )n ) per x x0 (con an 6= 0) f (x) an (xx0 )n
per x x0 .

APPLICAZIONI DELLA FORMULA DI TAYLOR

73

Come nel secondo esempio lidea `e ora di rappresentare f1 (x) e g1 (x) usando la Formula
di Taylor con resto di Peano in maniera tale che f2 e g2 diventeranno monomi 6= 0.
Pi`
u precisamente dal principio di sostituzione e dalla proposizione precedente segue per
x x0

n+m
 )

n
n
f1 (x) g1 (x) an bm (x x0 )
f1 (x) = an (x x0 ) + o (x x0 )


f1 (x)
an

g1 (x) = bm (x x0 )m + o (x x0 )m
(x x0 )nm

g1 (x)
bm
Quindi nel caso del rapporto segue
lim

xx0

f1 (x)
an
(x x0 )nm
= lim
g1 (x) xx0 bm

se n > m,
0
an
= bn
se n = m,

se n < m.

Riassumendo, per studiare il limite limxx0

f (x)
g(x)

con Taylor si procede cos`:

(1) Si cerca lo sviluppo del denominatore del tipo g(x) = b(xx0 )m +o((xx0 )m ) con
b 6= 0, cio`e b (x x0 )m `e il primo polinomio di Taylor di g che non `e identicamente
= 0.
(2) Si sviluppa il numeratore f fino allo stesso ordine m. Non `e necessario superare
oltre allordine m per ottenere un polinomio di Taylor del numeratore 6= 0 poiche
se f (x) = 0 + o((x x0 )m ) il limite del rapporto `e in ogni caso = 0.
Consideriamo alcuni
Esempi.

Studiamo

sin(x) x
.
x2 sin(x)
Come dalla regola generale iniziamo sempre con il denominatore. Qui non `e necessario svilupparlo con Taylor, `e invece pi`
u semplice semplificarlo usando il principio
di sostituzione: sin(x) x per x 0 e quindi
lim

x0

sin(x) x
sin(x) x

.
2
x sin(x)
x3
Ora visto che il denominatore `e di 3 ordine dobbiamo quindi sviluppare anche il
numeratore fino al 3 ordine:
sin(x) = x

x3
6

+ o(x3 )

sin(x) x = x6 + o(x3 ) x6

per x 0.

Cos` risulta
3

x6
sin(x) x
1

=
x3
x3
6
e quindi
sin(x) x
1
= .
2
x0 x sin(x)
6
lim

Studiamo

sin(2x) ln (1 + x)2

lim
.
x0
cos x2 1
Iniziamo sempre con il denominatore: Sappiamo che per t 0
2 

2 
(t= x2 )
( x2
2
2
2
t2
x
cos(t) = 1 2 +o(t )
=
cos( 2 1 =
+o x2
= x8 +o(x2 ) x8
2

(x = 2t 0)

74

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Visto che il denominatore `e di 2 ordine dobbiamo ora sviluppare anche il numeratore al 2 ordine. Perci`
o notiamo prima che ln((1 + x)2 ) = 2 ln(1 + x), quindi


(t=2x)
2
2
2
sin(t) = t + o(t ) (t 0)
=
sin(2x) = 2x + o (2x) = 2x + o(x )

2
x2
2 ln(1 + x) = 2 x + o(x ) = 2x x2 + o(x2 )
2




sin(2x) ln (1 + x)2 = 2x + o(x2 ) 2x x2 + o(x2 ) = x2 + o(x2 ) x2

(x 0)

Cos` risulta

sin(2x) ln (1 + x)2
x2


2 = 8
cos x2 1
x8
e quindi

sin(2x) ln (1 + x)2

lim
= 8.
x0
cos x2 1
Abbiamo gi`
a visto in questi esempi semplici che per procedere servono delle regole per
il calcolo con gli o() come per esempio o(x2 ) o(x2 ) = o(x2 ) oppure o(4x2 ) = o(x2 ).
Per calcolare limiti pi`
u complicati servono ulteriori
Regole per il Calcolo con gli o(). Per x x0 con x0 R vale
o(f ) = o(f ) per ogni R, per esempio 2 o(xn ) = o(xn );
o( f ) = o(f ) per ogni 0 6= R, per esempio o(4 xn ) = o(xn );
o(f ) o(f ) = o(f ), per esempio o(xn ) + o(xn ) = o(xn );
f o(g) = o(f g), per esempio xm o(xn ) = o(xm+n );
o(f ) o(g) = o(f g), per esempio o(xm ) o(xn ) = o(xm+n );
o(o(f )) = o(f ), per esempio o(o(xn )) = o(xn );
o((x x0 )m ) = o((x x0 )n ) se m n, per esempio o(x4 ) = o(x2 ) per x 0.
(x x0 )m = o((x x0 )n ) se m > n, per esempio x5 = o(x4 ) per x 0.
se f g allora o(f ) = o(g), p.e. sin(x) x e quindi o(sin(x)) = o(x) per x 0;
se f (x) g(x) per x x0 e (t) x0 per t t0 allora f ((t)) g((t)) per t
t0 , p.e. ln(1 + x) x (x 0) e sin(t) 0 (t 0) allora ln(1 + sin(t)) sin(t) t
(t 0).
Qui, come sempre, con o(f ) si deve immaginare la qualit`
a di un resto di tendere pi`
u
velocemente a 0 di f e non come una quantit`a. In particolare in generale si ha
o(f ) = o(g) 6 o(g) = o(f ),
f + o(h) = g + o(h) 6 f = g,
o(f ) o(f ) 6= 0.

Esempi.

Calcolare, se esiste,
p
x
e 2 1 + sin(x)

lim
.
x0
ln cos(x)

Soluzione. Tutti gli sviluppi si intendono per x 0. Iniziamo con il denominatore. Visto che si tratta di ununica espressione `e pi`
u semplice usare lultima regola
e il principio di sostituzione anziche svilupparlo con Taylor (che comunque faremo
nel prossimo esercizio). Allora, prima serve un piccolo trucco
=:t0

z
}|

{
x2
ln cos(x) = ln 1 + cos(x) 1 t = cos(x) 1 .
2
Abbiamo verificato lultima equazione (con segno opposto) gi`a a pagina 72. Si
potrebbe, per`
o, anche ragionare usando lo sviluppo


cos(x) = 1

x2
2

+ o(x2 )

cos(x) 1 = x2 + o(x2 ) x2 .

APPLICAZIONI DELLA FORMULA DI TAYLOR

75

Poiche il denominatore `e di 2 ordine, dobbiamo sviluppare anche il numeratore


fino al 2 ordine: Ponendo t = x2 otteniamo

x 2
  
x
x
2
2
t
2
2
t2
e = 1 + t + 2 + o(t ) = 1 + +
+ o x2
= 1 + x2 + x8 + o(x2 ) = e 2 .
2
2

Inoltre ponendo ora t := sin(x) segue (per lo sviluppo della radice 1 + t cfr.
pagina 70)

2
1 + t = 1 + 2t t8 + o(t2 )
x2

=1+

sin(x)
2

sin2 (x)
8

z }| {
p
+ o(sin2 (x)) = 1 + sin(x).

Per la penultima regola o(sin2 (x)) = o(x2 ) e usando lo sviluppo sin(x) = x + o(x2 )
segue
2
p
x+o(x2 )
x+o(x2 )
1 + sin(x) = 1 +

+ o(x2 )
2
8
=o(x3 )=o(x2 )

=1+

x+o(x2 )
2

=o(x4 )=o(x2 )

z }| {
z }| {
2
2 2
x2 + 2x o(x ) + o(x )
8

+ o(x2 ) = 1 +

x
2

x2
8

+ o(x2 ).

Quindi
x

e2

p
1 + sin(x) = 1 +
=2

x
2

x2
8

x2
8


+ o(x2 ) 1 +

+ o(x2 ) =

x2
4

x
2

+ o(x2 )

x2
8


+ o(x2 )

x2
4 .

Qui `e importante osservare che soltanto dopo aver sviluppato tutto il numeratore si
usa lasintoticit`
a, farlo prima significherebbe usare il principio di sostituzione per
una differenza (che `e gravemente sbagliato!!). Quindi per il principio di sostituzione
per rapporti risulta
p
x
x2
e 2 1 + sin(x)
1

42 =
x
2
ln cos(x)

da cui

p
x
e 2 1 + sin(x)
1

lim
= .
x0
2
ln cos(x)

Calcolare, se esiste,

1 cos(x) + ln cos(x)
lim
.
x0
x4 + x5
Soluzione. Tutti gli sviluppi si intendono per x 0. Iniziamo come sempre con
il denominatore: Visto che x5 = o(x4 ) risulta
x4 + x5 = x4 + o(x4 ) x4 .
Quindi il numeratore `e da sviluppare fino al 4 ordine.
cos(x) = 1

x2 x4
+
+ o(x4 )
2
24

1 cos(x) =

x2 x4

+ o(x4 ).
2
24
2

Mentre nellesempio precedente era sufficiente osservare che ln(cos(x)) x2 qui


non possiamo ragionare cos` altrimenti si applicherebbe il principio di sostituzione
ad una differenza. Dobbiamo invece sviluppare ln(cos(x)) fino al 4 ordine: Allora
=:t0

z
}|


{
ln cos(x) = ln 1 + cos(x) 1

76

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

con
ln(1 + t) = t

t2
+ o(t2 )
2

e
x2
x2 x4
+
+ o(x4 ) = + o(x2 ).
2
24
2
Non `e necessario sviluppare ln(1 + t) fino a t4 poiche t = cos(x) 1 `e di ordine
2 e di conseguenza t2 espresso in x diventa di 4 ordine. Inoltre, nello sviluppo di
ln(1+t) dobbiamo sostituire t con cos(x)1 sviluppato fino al 4 ordine mentre nel
2
espressione t2 basta come vedremo lo sviluppo fino al 2 ordine. Non `e sbagliato
usare anche l` lo sviluppo fino al 4 ordine, soltanto i conti si complicheranno
leggermente. La cosa importante `e che alla fine non ci saranno resti o(xk ) con
k < 4. Quindi

2 2 x4
= 4
x2
2

z
}|


{2
cos(x) 1
ln cos(x) = cos(x) 1
+ o cos(x) 1
2
|
{z
}
cos(x) 1 =

=o(x4 )



 2
x2
2) 2

+
o(x
x4
x
2
+ o(x4 )
+ o(x4 )
= +
2
24
2
=o(x4 )
x2

}|
{
2 z 2
x o(x2 ) + o(x2 )2
+ o(x4 )
2

x2 x4
+
2
2
24
x2 x4 x4
= +

+ o(x4 )
2
24
8
x2 x4
=
+ o(x4 ).
2
12
Cos` per il numeratore segue
 2
  2


x
x4
x
x4
4
4
1 cos(x) + ln cos(x) =

+ o(x ) +
+ o(x )
2
24
2
12
x4 x4
=
+ o(x4 )
24 12
1
1
= x4 + o(x4 ) x4 .
8
8
Per il rapporto segue con il principio di sostituzione

1 cos(x) + ln cos(x)
81 x4
1

=
4
5
4
x +x
x
8
e quindi

1 cos(x) + ln cos(x)
1
lim
= .
4
5
x0
x +x
8
Calcolare, se esiste,
esin(x) sin(x)
x
x
lim
.
2
x0
tan (3x)
=

Soluzione. Per x anche t := 3x 0 e quindi vale


tan(t) =

sin(t)
t
=t
cos(t)
1

(t=3x)

tan2 (3x) (3x)2 = 9x2 .

APPLICAZIONI DELLA FORMULA DI TAYLOR

77

Allora dobbiamo sviluppare il numeratore fino al 2 ordine: Da


t2
+ o(t2 ),
2
sin(x) = x + o(x2 )
et = 1 + t +

segue con t := sin(x) 0 per x 0



sin2 (x)
+ o sin2 (x)
2

2) 2
x
+
o(x
= 1 + x + o(x2 ) +
+ o(x2 )
2
x2 + 2x o(x2 ) + o(x2 )2
=1+x+
+ o(x2 )
2
x2
=1+x+
+ o(x2 ).
2

esin(x) = 1 + sin(x) +

Inoltre
sin(x) = x

x3
+ o(x3 )
6

quindi
=o

1 3
x
x

=o(x2 )

z }| {
1
o(x3 )
x

x3
sin(x)
=1
+
x
6x
x2
=1
+ o(x2 ).
6
Notiamo che qui era necessario sviluppare sin(x) fino al 3 ordine poiche la divisione
per x abbassa lordine per 1. Cos` risulta


sin(x)
x2
x2
sin(x)
e

x=1+x+
1
x + o(x2 )
x
2
6
2
2
= x2 + o(x2 ) x2
3
3
e quindi
2
2
esin(x) sin(x)
x
2
x
3 x

=
2
2
9x
27
tan (3x)
che implica
esin(x) sin(x)
x
2
x
= .

lim
2
x0
27
tan (3x)
Concludiamo questi esempi con una
Osservazione. In questo esempi abbiamo calcolato sviluppi di Taylor di diverse funzioni usando sviluppi noti e le regole per il calcolo con gli o() senza fare alcuna derivata.
Usando la terza osservazione su pagina 68 in questa maniera abbiamo anche calcolato i
polinomi di Taylor. Per esempio
p
2
2
f (x) := 1 + sin(x) = 1 + x2 x8 + o(x2 )

T2 (x) = 1 + x2 x8 ,

x2 x4
x2 x4
f (x) := ln cos(x) =
+ o(x4 )

T4 (x) = ,
2
12
2
12
2
x
x2
f (x) := esin(x) = 1 + x +
+ o(x2 )

T2 (x) = 1 + x + ,
2
2
dove il polinomio di Taylor si riferisce alla corrispondente funzione f e il centro x0 = 0.

78

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Mentre le prime due applicazioni della Formula di Taylor usavano il resto di Peano, la
terza fa uso del resto di Lagrange.
Calcolo Numerico.
Problema. Data una funzione (possibilmente complicata) f : (a, b) R e x (a, b),
trovare un valore approssimato per f (x), per esempio calcolare cos( 21 ) con un errore
< 103 .
Lidea per risolvere questo problema `e di usare la Formula di Taylor con resto di
Lagrange: Esiste c tra x e x0 tale che
n
X
f (n+1) (c)
f (k) (x0 )
f (x) =
(x x0 )k +
(x x0 )n+1
k!
(n + 1)!
{z
}
|k=0
{z
} |
=Tn (x)

=Rn (x)

dove il centro x0 (a, b) e lordine n sono ancora da determinare. Se sappiamo che


|f (n+1) (s)| M per ogni s (a, b) allora possiamo stimare lerrore Rn (x) = f (x)Tn (x)



(n+1) (c)
M
n+1
Rn (x) = f

|x x0 |n+1
(n + 1)! |x x0 |
(n + 1)!
e cos` si pu`
o valutare la precisione dellapprossimazione. Rimane la scelta del centro
x0 (a, b) che deve rispettare i seguenti principi:
(i) in x0 si devono conoscere valore e tutte le derivate di f fino al n-esimo ordine, cio`e
f (k) (x0 ) per k = 0, 1, . . . , n, altrimenti non si pu`o calcolare Tn esplicitamente;
(ii) tra tutti i punti in (i) si sceglie quello che sta pi`
u vicino a x in maniera che il fattore
|x x0 |n+1 = (distanza tra x e x0 )n+1 sia pi`
u piccolo possibile.
Se, fortunatamente, |x x0 | < 1, allora le potenze |x x0 |n+1 0 per n + e quindi
contribuisce, insieme al fattoriale (n + 1)! nel denominatore, a diminuire lerrore |Rn (x)|
fatto.
Consideriamo alcuni esempi concreti:

Calcolare cos 21 con un errore < 103 .
Esempi.
Soluzione. Qui f = cos e x = 12 . Visto che qualsiasi derivata di f `e data da sin(x)
oppure cos(x) vale
(k)
f (s) 1 =: M
per ogni k N ed ogni s R.
Passiamo alla scelta del centro x0 . Il punto pi`
u vicino a x = 21 nel quale si conoscono
tutte le derivate di f = cos `e x0 = 0. Cos` otteniamo la stima3



n+1
!
1
1
Rn (x)
12 0
=
< 103
n+1
(n + 1)!
(n + 1)! 2
Questo `e una disuguaglianza in n che `e equivalente a
(n + 1)! 2n+1 > 1000.
Per trovare il valore n N pi`
u piccolo che verifica questa relazione si deve procedere per
tentativi:
n
1
2
3
4

(n + 1)! 2n+1
24=8
6 8 = 48
24 16 = 384
120 32 = 3840 > 1000 X

!
3qui il simbolo <
103 significa che deve essere <.

APPLICAZIONI DELLA FORMULA DI TAYLOR

Quindi possiamo scegliere n = 4 e cos` risulta





cos 1 T4 1
2
2

79

1
< 103 .
3840

Infine T4 `e dato da


1 4
1 2

337
x2 x4
+

T4 12 = 1 2 + 2 =
.
T4 (x) = 1
2
24
2
24
384
Riassumendo abbiamo verificato che



 337
1
3
1

cos
2 384 3840 < 10 ,

cio`e la soluzione `e

337
384 .

Usare
uno sviluppo di secondo ordine per calcolare un valore approssimativo di

2
30 valutando anche lerrore fatto.
Soluzione. Il numero quadrato pi`
uvicino a x = 30 `e 25= 52 e quindi scegliamo
come centro x0 = 25 (le derivate di 2 x contengono ancora 2 x, pertanto questa scelta
semplificher`
a i calcoli). Per la Formula di Taylor con il resto di Lagrange esiste poi un
c [x0 , x] = [25, 30] tale che

f 00 (25)
f 000 (c)
f (x) = x = f (25) + f 0 (25) (x 25) +
(x 25)2 +
(x 25)3 ,
2!
3!
|
{z
} |
{z
}
T2 (x)

R2 (x)

dove
1

f (x) = x 2
1
1
f 0 (x) = x 2
2
3
1
f 00 (x) = x 2
4
5
3
f 000 (x) = x 2
8
e quindi sostituendo x = 30 risulta

f (25) = 5,
1
1
f 0 (25) =
= ,
25
10
1
1
f 00 (25)
=
=
,
3
2!
45 2
1000
5
5
f 000 (c)
3
1
=
c 2 =
c 2
3!
86
16

1
1
c 2 3
30 = 5 +
5
52 +
5
10
1000
16
5
219
c 2 3
=
+
5
40
|{z}
|16{z }
=valore approssimativo

=errore R2 (30) compiuto


5

con c [25, 30]. Per stimare lerrore osserviamo che la funzione c 2 `e decrescente in c e
quindi segue
5
5
c 2 3 25 2 3
1
R2 (30) =
5
5 =
.
16
16
400

Riassumendo, lo sviluppo di secondo ordine d`a come approssimazione di 30 il valore


219
1

40 che lascia un errore 400 = 0, 0025.

1
1
Esercizio. Calcolare e con un errore < 1000
. (Suggerimento: e = e 2 .)
Osservazione. In entrambi gli esempi la funzione f ammetteva derivate di qualsiasi
ordine. Ci si pu`
o chiedere che cosa succede con lapprossimazione Tn (x) di f (x) se
n +. Per studiare questo problema definiamo dapprima per un intervallo I R
\
C (I) :=
Cn (I).
nN

80

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

Quindi f C (I) significa che f : I R ammette derivate f (n) di qualsiasi ordine


n N.
Serie di Taylor
Se per f C (a, b) esiste M 0 tale che


(k)
f (x) M k per ogni x (a, b) ed ogni k N
allora possiamo stimare il resto Rn (x) = f (x) Tn (x) come


n+1
(n+1) (c)

|x x0 |n+1 M
Rn (x) = f
|x x0 |n+1 0
(n + 1)!
(n + 1)!
|
{z
}

per n +.

=:rn

Per verificare che lim rn = 0 si usa un trucco: Calcoliamo


n+

M n+2 |x x0 |n+2 (n + 1)!


M |x x0 |
rn+1
=

0 =: q < 1.
rn
(n + 2)! |x x0 |n+1 M n+1
n+2
P
Ci`o implica che per il criterio del rapporto la serie +
n=0 rn converge e quindi il criterio
necessario per la convergenza di una serie implica rn = Rn (x) 0 per n +.
Di conseguenza
0

f (x) = lim

n+

z }| {
Tn (x) + Rn (x) = lim Tn (x)
n+

per ogni x (a, b).

Quindi abbiamo dimostrato il seguente risultato.




Proposizione 5.20. Sia f C (a, b) e x0 (a, b). Se esiste M 0 tale che f (k) (x)
M k per ogni x (a, b) ed ogni k N, allora
f (x) = lim

n+

n
X
f (k) (x0 )

(x x0 )k =

k!

|k=0

{z

=Tn (x) Polinomio di Taylor

+ (k)
X
f (x0 )

|k=0

k!

(x x0 )k

{z

=: Serie di Taylor

Quindi, se f `e C e le derivate f (k) non crescono troppo rapidamente con lordine k,


f (x) si pu`
o rappresentare come Serie di Taylor
f (x) =

+ (k)
X
f (x0 )

k!

k=0

(x x0 )k

per ogni x (a, b)

Esempi.
sin C (R) con | sin(k) (x)| 1 =: M = M k per ogni x R ed ogni
k N e quindi dallo sviluppo a pagina 69 segue (con x0 = 0)
+
X
sin(x) =
(1)k
k=0

x2k+1
(2k + 1)!

per ogni x R

Similmente seguono i seguenti sviluppi di altre funzioni elementari


cos(x) =

+
X
x2k
(1)k
(2k)!

per ogni x R

k=0

ex =

+
X
k=0

xk
k!

per ogni x R

STUDIO DI FUNZIONE

sinh(x) =

+
X
x2k+1
(2k + 1)!

81

per ogni x R

k=0

+
X
x2k
cosh(x) =
(2k)!

per ogni x R

k=0

+
X
xk
(1)k+1
k

ln(1 + x) =

per ogni x (1, 1)

k=1

(1 + x) =

+
X

xk

per ogni R e x (1, 1)

k=0

arctan(x) =

+
X
x2k+1
(1)k
2k + 1

per ogni x (1, 1)

k=0

+ 2k+1
X
x
arctanh(x) =
2k + 1

per ogni x (1, 1)

k=0

Concludiamo questo capitolo sul calcolo differenziale con lo


Studio di Funzione
Problema. Data una funzione f : X R R, tracciare un grafico approssimativo di
f.
Per risolvere questo problema conviene procedere cercando di seguire lo schema seguente
pi`
u possibile. Si tenga presente che spesso non `e possibile eseguire tutti i punti sottoelencati. In questi casi le informazioni mancanti (p.e. esistenza di zeri, estremi locali ecc.)
si possono eventualmente dedurre alla fine dello studio come conseguenza delle altre
informazioni.
(i) Determinazione del dominio X: Sono da individuare tutti i punti x R per i quali
lespressione f (x) sia ben definita. Per esempio
argomenti sotto radici di ordine pari devono essere 0,
argomenti di logaritmi devono essere > 0,
la base di unesponenziale deve essere > 0,
denominatori devono essere 6= 0, ecc.
In generale, per calcolare il dominio X di una funzione si deve risolvere un sistema
di disequazioni.
Esempio. Sia f (x) :=

sin(x2 )
.
2ln(x2 2)

Allora il numeratore `e definito per ogni x R

mentre per il denominatore si deve verificare


2

x 2>0

2 ln(x2 2) > 0

x2 > 2 e 2 > ln(x2 2)

|x| > 2 e e2 > x2 2


p

|x| > 2 e |x| < e2 + 2


p

p

x e2 + 2, 2) ( 2, e2 + 2 .

(ii) Simmetrie (pari, dispari) e periodicit`


a: cfr. pagine 31 e 32.
(iii) Intersezioni con gli assi: Con lasse-x: risolvere lequazione f (x) = 0. Con lasse y:
se 0 X calcolare f (0).
(iv) Segno della funzione: Risolvere lequazione f (x) > 0 (o f (x) < 0).

82

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

(v) Calcolo dei limiti (da destra/sinistra) alla frontiera di X: Si calcolano i limiti (da
destra/sinistra) di f (x) negli estremi finiti, se esistono, del dominio X e si deducono
gli eventuali asintoti verticali, cfr. pagina 38. Se X `e illimitato, si calcolano inoltre
i limiti limx f (x) =: l, determinando se vi sono asintoti orizzontali y = l (se
l R), cfr. pagina 38. Se invece l = si procede con la
(vi) Individuazione degli asintoti obliqui: Se esistono m 6= 0 e q R tale che


lim f (x) [m x + q] = 0
e/o
lim f (x) [m x + q] = 0
x+

allora si dice che la retta y = mx + q `e asintoto obliquo per f a + e/o .


Graficamente ci`
o significa che la distanza tra il grafico di f e la retta y = mx + q
tende a 0 per x . Per verificare lesistenza di un asintoto obliquo si procede
come segue: Si verifica prima se esiste finito il limite
f (x)
lim
=: m 6= 0 = pendenza dellasintoto.
x x
Nel caso affermativo si verifica se esiste finito il limite

lim f (x) mx =: q = ordinata allorigine dellasintoto.
x

Se entrambi i limiti esistono in R con m 6= 0, allora y = mx + q `e asintoto obliquo


di f per x .

Esempio. Sia f (x) := ln e3x+2 + 5 . Allora
lim f (x) = ln(5),

mentre

lim f (x) = +

x+

Quindi y = ln(5) `e un asintoto orizzontale di f per x . Inoltre, puo esistere


un asintoto obliquo per x +. Per ci`o studiamo

3e3x+2
ln e3x+2 + 5 H
f (x)
9 e3x+2
e3x+2 +5 H
m = lim
= lim
=3
= lim
= lim
x+ x
x+
x+
x+ 3 e3x+2
x
1
e inoltre (usando la continuit`
a del logaritmo)







q = lim f (x) mx = lim ln e3x+2 + 5 3x = lim ln e3x+2 + 5 ln e3x
x+

x+

x+

 e3x+2 + 5 

e3x+2 + 5  H 
3 e3x+2 
= lim ln
=
ln
lim
=
ln
lim
x+
x+
x+ 3 e3x
e3x
e3x



3 e3x e2
= ln lim
= ln e2 = 2.
3x
x+ 3 e
Pertanto la retta di equazione
y = 3x + 2
`e asintoto obliquo per x + della funzione data, cfr. Figura 44.
14

ln(e3x+2+5)
12
10
8
6
4

y=ln(5)

y=3x+2

Figura 44. Asintoto obliquo.

STUDIO DI FUNZIONE

83

(vii) Studio della derivata prima (crescenza/decrescenza, punti critici ed estremi locali):
Si calcola la derivata prima f 0 (x) e il corrispondente dominio. Risolvendo lequazione f 0 (x) = 0 si calcolano i punti critici x0 di f . Eventualmente, studiando il
cambiamento del segno di f 0 (x) in x = x0 si pu`o classificare la natura del punto
critico (minimo o massimo locale, cfr. pagina 61). Infine si studia il segno di f 0 (x)
per ottenere informazioni sulla monotonia di f .
(viii) Studio della derivata seconda (estremi locali, concavit`
a/convessit`
a, punti di flesso):
Si calcola (se non si ottiene un espressione troppo complessa) la derivata seconda.
Se i punti critici non sono gi`
a stati classificati nel punto (vii) si calcolano i valori
di f 00 nei punti critici per poi applicare il criterio per estremi locali, cfr. pagina 71.
Definizione. Sia f : X R R derivabile in (a, b) X. Se f 0 (x) in (a, b) `e
crescente, allora si dice che f `e convessa (oppure concava verso lalto) in (a, b),
decrescente, allora si dice che f `e concava (oppure concava verso il basso) in
(a, b).
f concava

f convessa

Figura 45. Funzioni convesse e concave.


Dal test di monotonia (cfr. pagina 60) segue che se f C2 (a, b), allora
f `e convessa in (a, b) f 0 `e crescente in (a, b)

f 00 (x) 0 per ogni x (a, b),

f `e concava in (a, b) f 0 `e decrescente in (a, b)

f 00 (x) 0 per ogni x (a, b).

Diremo che f : (a, b) R ammette retta tangente in x0 (a, b) se il rapporto


incrementale di f in x0 ammette limite (finito o infinito), cio`e se esiste
lim

xx0

f (x) f (x0 )
R.
x x0

Definizione. Un punto (x0 , f (x0 )) si chiama (punto di) flesso di f : (a, b) R


in x0 (a, b), se f `e continua in (a, b), derivabile in (a, b) \ {x0 } e se
f ammette retta tangente in x0 , e
la concavit`
a di f `e opposta dalle due parti di x0 .
Si nota che per f C2 (a, b) in un punto di flesso x0 (a, b) vale necessariamente
f 00 (x0 ) = 0 per il teorema degli zeri.
Esempi. (Cfr. Figura 46)
Sia f (x) = x3 . Allora f 0 (x) = 3x2 e f 00 (x) = 6x. Visto che f 00 (x) < 0 per x < 0 e
f 00 (x) > 0 per
x > 0, lorigine `e un punto di flesso di f .

3
Sia f (x) = x. Allora f ammette una retta tangente verticale in x0 = 0. Inoltre
1

2 1

f 0 (x) = (x 3 )0 = x 3 3 e f 00 (x) = 23 x 33 = 2x9 3 per x 6= 0. Quindi f 00 (x) > 0


per x < 0 e f 00 (x) < 0 per x > 0 e allora lorigine `e un punto di flesso di f .
Sia f (x) = |x| + x3 . Allora il rapporto incrementale di f in x0 = 0 `e dato da
 |h|

f (h) f (0)
|h| + h3
lim
= lim
= lim
+ h2 = 1.
h
h
h0
h0
h0 h
Quindi f non ammette tangente in x0 = 0 e quindi (0, 0) non `e un punto di flesso
di f , nonostante che f cambia concavit`a in quel punto.

84

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

p
3

x3

jxj+x3

x
flesso

flesso

x
non flesso

Figura 46. Punti di flesso e no.

Seguendo questo schema `e utile tracciare il grafico gradualmente, inserendo le informazioni via via raccolte anziche raccogliere tutto e poi fare il grafico: i processi graduali
aiutano a controllare la coerenza del procedimento e a capire quali informazioni `e ancora
utile raccogliere.
Consideriamo ora un esempio completo.
1

Esempio. Studiare la funzione f (x) = e x3 |x + 3| e tracciarne un grafico approssimativo.


Soluzione: (i) Dominio: f (x) `e definito per ogni x 6= 3 e quindi X = (, 3)
(3, +).
(ii) Simmetrie: il grafico di f non rappresenta simmetrie.
(iii) Intersezione con gli assi: Visto che la funzione esponenziale `e sempre > 0, f (x) = 0
|x + 3| = 0 x + 3 = 0 x = 3. Inoltre vale 0 X e f (0) =
1
3
e 3 |3| =
3 e.
(iv) Segno di f (x): Visto che il modulo `e sempre 0, f (x) 0 per ogni x X.
(v) Limiti alla frontiera del dominio: I punti di frontiera di X sono: , 3, +.
Studiamo perci`
o i limiti (da destra/sinistra dove indicato) in quei punti:
0

z }| {
+
1
z }| {
lim f (x) = lim e x 3 |x + 3| = e0 (+) = +,

1 =

1 =+
+

z0}| {
6
1
z }| {
lim f (x) = lim e x 3 |x + 3| = e 6 = 0,

x3

x3

z0}| {
6
1
z }| {
lim f (x) = lim e x 3 |x + 3| = e+ 6 = +.

x3+

x3+

Quindi la retta x = 3 rappresenta un asintoto verticale per x 3+ . Visto che


lim f (x) = +, possono esistere
x

(vi) Asintoti obliqui per x : Allora calcoliamo


1

z}|{
1
f (x)
e x3 |x + 3|
|x + 3|
m : = lim
= lim
= lim
= 1,
x x
x
x
x
x

STUDIO DI FUNZIONE

85

e


1
q : = lim f (x) m x = lim e x3 |x + 3| x
e0 3=3
x
x
z }| { 




1
1
1

lim e x3 (x + 3) x = lim
nel caso +,
e x3 1 x + e x3 3
x+
x+ 



1
1
1
=
lim e x3 (x 3) + x = lim
nel caso .
1 e x3 x e| x3

{z 3}
x
x
e0 3=3

Quindi studiamo prima


1

lim

1
x3

 
e x3 1

1 x = lim
1
x

x3
1
x3

ove abbiamo usato che t :=

et 1
x
x
= lim
lim
= 1 1 = 1,
x x 3
x 3 t0 t

0 per x . Cos` risulta

q = 1 3 = 4
e quindi y = x + 4 e y = x 4 sono asintoti obliqui per x + e x ,
rispettivamente.
(vii) Studio di f 0 (x): Visto che |x + 3| `e derivabile per ogni x 6= 3, la funzione `e
derivabile per ogni x X con x 6= 3. Inoltre per il rapporto incrementale nel
punto x0 = 3 vale
1

f0 (3)

1
e x3 |x + 3| 0
|x + 3|
f (x) f (3)
= lim
lim e x3
= lim
x (3)
x+3
x+3
x3
x3
x3
1

= e 6 (1) = e 6 .
Quindi f0 (3) 6= f+0 (3) e di conseguenza f non `e derivabile in x0 = 3.
Calcoliamo ora f 0 (x) per x 6= 3: per x > 3, x 6= 3 vale
0
0
1
1
1
1
1
f 0 (x) = e x3 |x + 3| = e x3 (x + 3) = e x3
(x + 3) + e x3 1
2
(x 3)
2
2
1
1
(x 3) (x + 3)
x 7x + 6
= e x3
= e x3
.
(x 3)2
(x 3)2
Similmente segue per x < 3
0
0
1
1
1
x2 7x + 6
f 0 (x) = e x3 |x + 3| = e x3 (x 3) = e x3
(x 3)2
e quindi

1
e x3

0
f (x) =
1
e x3

x2 7x+6
(x3)2
x2 7x+6
(x3)2

se x > 3, x 6= 3,
se x < 3.

Calcoliamo ora i punti critici di f : Visto che la funzione esponenziale non ammette
zeri, segue che

7 72 4 6
75
0
2
f (x) = 0

x 7x + 6 = 0

x = x1,2 =
=
2
2

x = x1 = 6 opp. x = x2 = 1.
Studiamo ora la monotonia di f attraverso il segno di f 0 (x): Visto che
1

e x3
> 0 x 6= 3
(x 3)2

x2 7x + 6 = (x 6) (x 1)

86

5. CALCOLO DIFFERENZIALE

segue che

e x3

(x 6) (x 1) < 0

(x3)2

e x3 (x 6) (x 1) > 0
(x3)2
f 0 (x) =
1

e x3

2 (x 6) (x 1) < 0
(x3)

e x3 2 (x 6) (x 1) > 0
(x3)

per x < 3,
per 3 < x < 1,
per 1 < x < 6, x 6= 3,
per 6 < x.

Di conseguenza
f `e strettamente crescente in (3, 1) (6, +),
f `e strettamente decrescente in (, 3) (1, 6) \ {3}.
(viii) Studio di f 00 (x): f 0 `e derivabile per x 6= 3. Inoltre per x > 3, x 6= 3 vale
 1 x2 7x + 6 0
f 00 (x) = e x3
(x 3)2
1
1
1
(x 3)2 (2x 7) 2(x 3) (x2 7x + 6)
(x2 7x + 6)
x3
= e x3

+
e
2
(x 3)2
(x 3)2
(x 3)2
1


e x3
2
2
2

(x

3)

(2x

7)

2(x

3)

(x

7x
+
6)

(x

7x
+
6)
=
(x 3)4
1


e x3
=

13x

33
.
(x 3)4
Similmente per x < 3 si ottiene
1

x2 7x + 6 0
e x3
f (x) = e

(13x 33).
=
2
(x 3)
(x 3)4
Quindi risulta

1
e x3 (13x 33) se x > 3, x 6= 3,
(x3)4
00
f (x) =
1
e x3 (13x 33) se x < 3.
(x3)4
00

1
x3

Classifichiamo i due punti critici x1 = 6 e x2 = 1 trovati nel punto precedente:


1
x3

e
Visto che (x3)
4 > 0 per ogni x X segue che


segno f 00 (6) = segno 13 6 33 > 0 x1 = 6 `e un punto di minimo locale,


segno f 00 (1) = segno 13 1 33 < 0 x2 = 1 `e un punto di massimo locale

1
1
con f (6) = 9 e 3 = 9 3 e, f (1) = 4 e 2 = 4e . Per trovare eventuali flessi
risolviamo
33
f 00 (x) = 0

13x 33 = 0

x0 := x = .
13
Inoltre per x (3, 3) vale

33
f 00 (x) 0

x ,
cio`e f `e convessa in 33
,
3
13
13

33
33
cio`e f `e concava in (3, 13
f 00 (x) 0

x ,
13
33
e quindi risulta che x0 = 13 `e un punto di flesso.

Da tutte le informazioni ottenute risulta che f ha il seguente grafico.




STUDIO DI FUNZIONE

87

f(x)=e x--3 jx+3j

y=x+4

4
y= -x-4

x
-3

1
-4

33
13

x=3
1

Figura 47. Studio di f (x) = e x3 |x + 3|.

CAPITOLO 6

Calcolo Integrale di Funzioni di una Variabile


Integrale: Definizione e prime Propriet`
a
Problema. Data una funzione f : [a, b] R limitata, calcolare larea A tra il grafico
di f e lasse x, cfr. Figura 48. Lidea per risolvere questo problema `e di approssimare
f (x)

Figura 48. Larea A.


larea A da sotto e da sopra, cio`e per eccesso e per difetto.
Se poniamo m := inf f e M := sup f , allora sicuramente
m (b a) A M (b a),
che per`o d`
a una approssimazione troppo scarsa. Per migliorarla dividiamo lintervallo
[a, b] in tanti sottointervalli e procediamo in ogni sottointervallo come prima.
Per precisare questa idea ci serve una
Un insieme P = {x0 , x1 , x2 , . . . , xn } si chiama partizione di [a, b]

Definizione 6.1.
se

a = x0 < x1 < x2 < . . . < xn = b.


Se f : [a, b] R `e limitata e P `e una partizione di [a, b], allora definiamo per
i = 1, 2, 3, . . . , n


mi := inf f (x) : x [xi1 , xi ] ,


Mi := sup f (x) : x [xi1 , xi ] ,
xi := xi xi1 (= lunghezza dellintervallo [xi1 , xi ])
s(f, P ) :=
S(f, P ) :=

n
X
i=1
n
X

mi xi =: somma inferiore (cfr. Figura 49)


Mi xi =: somma superiore (cfr. Figura 49)

i=1

f (x)

f (x)
S(f,P )

s(f,P )
m

m
a=x0 x1

x2

x3

x4

x5 =b

a=x0 x1

x2

x3

x4

x5 =b

Figura 49. Somma inferiore s(f, P ) e somma superiore S(f, P ).


88

`
INTEGRALE: DEFINIZIONE E PRIME PROPRIETA

89

Quindi per ogni partizione P di [a, b] vale


s(f, P ) A S(f, P ),
cio`e le somme inferiori sono sempre approssimazioni di A per difetto mentre le somme
superiori danno sempre approssimazioni per eccesso. Perci`o
pi`
u grande `e s(f, P ) meglio `e,
pi`
u piccolo `e S(f, P ) meglio `e.
Se non c`e differenza tra la migliore approssimazione da sotto (cio`e quella pi`
u grande
per difetto) e quella migliore da sopra (cio`e quella pi`
u piccola per eccesso), allora il
problema `e (teoricamente) risolto e f si dice integrabile.
Per precisare questo procedimento facciamo la seguente
Definizione 6.2. Sia f : [a, b] R limitata. Se




sup s(f, P ) : P partizione di [a, b] = inf S(f, P ) : P partizione di [a, b] =: I,
allora f si dice integrabile (secondo Riemann1). In questo caso A = I e
Z b
I :=
f (x) dx
a

si dice integrale di f (= funzione integranda) in [a, b] (= dominio dellintegrazione).


Osservazioni.
Come variabile di integrazione non `e necessario scegliere x si pu`o
anche scrivere
Z b
Z b
Z b
f (x) dx =
f (s) ds =
f (t) dt = . . .
a

f `e integrabile per ogni > 0 esiste una partizione P = P tale che


S(f, P ) s(f, P ) < .
f (x)
<

x
a=x0

x1

x2

x3

x4

x5 =b

Figura 50. Criterio per lintegrabilit`a.


Larea sotto lasse x `e negativa, per esempio se f : [0, 1] R, f (x) := 1 per ogni
R1
x [0, 1] allora 0 f (x) dx = 1.
In un certo senso
Z b
n
X
f (x) dx = lim
f (xi )xi
xi 0

che spiega luso della notazione


fa) per lintegrale.

Rb
a

i=1

f (x) dx (inventata da Leibniz pi`


u di 300 anni

Consideriamo alcuni
Esempi.
Se f `e costante, cio`e f (x) = c per ogni x [a, b] allora s(f, P ) = S(f, P ) =
Rb
c (b a) per P = {a, b} e quindi f `e integrabile con a f (x) dx = c (b a).
1Ci sono altri modi per affrontare questo problema che portano a definizioni diverse, per esempio quella

di Lebesgue.

90

6. CALCOLO INTEGRALE

La funzione di Dirichlet (cfr. pagina 42)


(
1 se x [a, b] Q
f (x) :=
0 se x [a, b] \ Q
non `e integrabile. Infatti visto che per ogni partizione P ogni intervallo [xi1 , xi ]
contiene sia punti razionali (in cui f ammette il valore 1) si punti irrazionali (in
cui f ammette il valore 0) segue mi = 0 e Mi = 1 per ogni i = 1, 2, . . . , n. Cos`
risulta per ogni partizione
s(f, P ) = 0 6= b a = S(f, P )
che implica che f non `e integrabile.
Continuiamo studiando alcune
Propriet`
a dellIntegrale. Siano f, g : [a, b] R integrabili. Allora
f + g `e integrabile per ogni , R (cio`e linsieme delle funzioni integrabili
con dominio [a, b] `e uno spazio vettoriale) e
Z b
Z b
Z b

f (x) + g(x) dx =
f (x) dx +
g(x) dx
a

(cio`e lintegrale `e unoperazione lineare);


Se f (x) g(x) per ogni x [a, b] allora
Z b
Z b
f (x) dx
g(x) dx
a

(cio`e lintegrale `e monotona);


anche |f | `e integrabile e
Z b
Z b



f (x) dx
|f (x)| dx

a

(disuguaglianza triangolare).
per ogni , , [a, b] si ha
Z
Z
f (x) dx +

f (x) dx =

f (x) dx

(additivit`
a dellintegrale rispetto agli estremi di integrazione)
f (x)

Figura 51. Additivit`a rispetto agli estremi di integrazione.


ove definiamo
Z
f (x) dx := 0

Z
f (x) dx :=

f (x) dx

se > ;

R0
R1
per esempio 1 f (x) dx := 0 f (x) dx.
Se la funzione integranda e il dominio di integrazione hanno qualche simmetria, allora
lintegrale si semplifica nella seguente maniera.

`
INTEGRALE: DEFINIZIONE E PRIME PROPRIETA

91

Proposizione 6.3. Sia f : [a, a] R integrabile. Allora


Z a

f (x) dx = 0 se f `e dispari,
a
a

f (x) dx = 2

f (x) dx se f `e pari,

f(x) pari

f(x) dispari
+

=0

-a
a

=2

-a

Figura 52. Integrazione di funzioni simmetrici.


A questo punto si pongono due
Problemi. (i) Quali funzioni sono integrabili?
Rb
(ii) Se f `e integrabile, come si pu`o calcolare a f (x) dx ?
Per i nostri scopi il seguente risultato d`a una risposta sufficiente al primo problema.
Teorema 6.4. Se f : [a, b] R `e limitata e
ha un numero finito di discontinuit`
a, oppure
`e monotona
allora f `e integrabile. In particolare ogni f C[a, b] `e integrabile.
Qui lultima affermazione segue dal primo punto visto che una funzione continua su [a, b]
ha zero punti di discontinuit`
a ed `e limitata per Weierstra.
Esempi. Le funzioni f : [0, 1] R e g : [0, 3] R definite come
f (x) :=


1 n+1
2

(
1
1

h
se x 1
se x = 1

f(x)


1 n
2 ,1


1 n+1
2

e
g(x) := x2 2

sin(2x)
2

se x [0, 1),
se x [1, 2),
se x [2, 3],

g(x)

1.5

0.5

0.5

0.5

1.5

2.5

0.5

0.2

0.4

0.6

0.8

Figura 53. Esempi di funzioni integrabili non continue.


sono integrabili in quanto f (nonostante abbia un numero infinito di punti di discontinuit`a) `e crescente e g ha soltanto 2 punti di discontinuit`a (x0 = 1 e x1 = 2).

92

6. CALCOLO INTEGRALE

Il Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale


Rb
Passiamo ora al secondo problema, cio`e cerchiamo modi per calcolare A = a f (x) dx
visto che soltanto in casi particolarmente semplici `e possibile di determinare A usando
la definizione.
Perci`o ci serve prima il seguente
Teorema 6.5 (Teorema della Media). Se f C[a, b], allora esiste c [a, b] tale che

f(x)
=

f (x) dx = f (c) (b a)

f(c)

Figura 54. Teorema della media.

Dimostrazione. Per Weierstra esistono


m := min f,

M := max f.

Inoltre vale (cfr. pagina 89)


b

Z
m (b a)

f (x) dx M (b a)

Z b
1
f (x) dx
ba a
|
{z
}

min f = m

M = max f.

= valor medio di f in [a,b]

Quindi per il teorema dei valori intermedi (cfr. pagina 43) esiste c [a, b] tale che
Z

f (x) dx = f (c) (b a).

Dal teorema della media segue un risultato molto importante:


Teorema 6.6 (Teorema Fondamentale del Calcolo Integrale). Sia f C[a, b] allora la
funzione
Z x
F : [a, b] R, F (x) :=
f (s) ds = funzione integrale di f (cfr. Figura 55)
a

`e derivabile con
F 0 (x) = f (x)

per ogni x [a, b].

IL TEOREMA FONDAMENTALE DEL CALCOLO INTEGRALE

93

f (s)
F (x)

Figura 55. La funzione integrale.


Dimostrazione. Per verificare la derivabilit`a di F dobbiamo studiare il suo rapporto
incrementale per h 0. Allora usando prima ladditivit`a dellintegrale rispetto agli
estremi di integrazione e poi il teorema della media segue
R x+h
Rx
f (s) ds a f (s) ds
F (x + h) F (x)
a
=
h
h
R x+h
f (s) ds
= x
h
h f (c)
=
= f (c)
h
per un c = cx,h tra x e x + h. Quindi h 0 implica cx,h x e la continuit`a di f implica
F (x + h) F (x)
= f (cx,h ) f (x)
h
cio`e F `e derivabile con F 0 (x) = f (x).

per h 0,


Se G `e una funzione derivabile tale che G0 = f , allora G si dice


Osservazioni.
primitiva di f . Linsieme
Z


f (x) dx := G : G e una primitiva di f
si chiama integrale indefinito di f .
R
Per distinguere un integrale indefinito f (x) dx (che rappresenta uninsieme di
Rb
funzioni) da un integrale a f (x) dx (che `e un numero reale), questultimo viene
anche chiamato integrale definito.
Se F e G sono due primitive di f C[a, b] allora
(F G)0 = F 0 G0 = f f = 0
e per la caratterizzazione delle funzioni costanti (cfr. pagina 61) esiste c R tale
che
F (x) = G(x) + c per ogni x [a, b].
Per questo motivo se F `e una primitiva qualsiasi di f si scrive spesso
Z
f (x) dx = F (x) + c
dove c R indica una costante arbitraria di integrazione.
Siamo ora in grado di dare una soluzione al secondo problema.
Corollario 6.7. Se f C[a, b] e G `e una primitiva di f (cio`e G0 = f ), allora
Z b
b

b
f (x) dx = G(b) G(a) =: G(x) a =: G(x) a
a

94

6. CALCOLO INTEGRALE

Dimostrazione. Sia F la funzione integrale di f . Allora per il Teorema fondamentale


F `e una primitiva di f e quindi per losservazione precedente esiste c R tale che
F (x) = G(x) + c per ogni x [a, b]. Quindi
=F (b)

zZ

}|

=0=F (a)

zZ

f (x) dx

f (x) dx =
a

}|

f (x) dx
a



= F (b) F (a) = G(b) + c G(a) + c
= G(b) G(a).

Quindi vale la seguente


Rb

Osservazione. Per calcolare

f (x) dx basta trovare una primitiva di f .

Abbiamo scritto basta tra virgolette poiche come vedremo trovare una primitiva di
una funzione f (si dice anche integrare f ) generalmente non `e un compito semplice.
Tuttavia possiamo ora calcolare i primi integrali non banali.

R2
3 0
3 2
Esempi.
Visto che x3 = x2 segue 1 x2 dx = x3 1 = 13 23 13 = 73 .
4

y=x2

7
_

Figura 56. Area sotto il grafico.


Sia G(x) := ln |x| per x 6= 0. Allora G `e derivabile e
(
0
ln(x) = x1
se x > 0,
0
0
G (x) =
1
1
ln(x) = x (1) = x se x < 0.
Quindi
Z

1
dx = ln |x| + c
x

Osservazione. Questo fatto ci permette di dare una nuova rappresentazione per


il logaritmo: Per x > 0 vale
Z x
x
1
ds = ln(s) 1 = ln(x) ln(1) = ln(x) (cfr. Figura 57).
1 s
1
s

ln(x)

Figura 57. Il logaritmo.

METODI DI INTEGRAZIONE

Visto che per ogni r 6= 1 vale


Z

xr dx =


xr+1 0
r+1

= xr insieme con lesempio precedente segue

ln |x| + c
xr+1

r+1

se r = 1

+ c se r 6= 1

La funzione G(x) := arctan(x), x R `e derivabile con arctan0 (x) =


Z
1
dx = arctan(x) + c
1 + x2
Z

ex dx = ex + c
Z

1
1+x2

e quindi

Z
sin(x) dx = cos(x) + c

95

cos(x) dx = sin(x) + c
Z

sinh(x) dx = cosh(x) + c

cosh(x) dx = sinh(x) + c

In questi esempi era semplice di indovinare la primitiva di una funzione integranda data
(per esempio per xr con r 6= 1) oppure siamo partiti con una funzione derivabile G
che poi per definizione diventa la primitiva della sua derivata f = G0 . Nelle applicazioni
invece `e in generale data una funzione integranda f per la quale non `e immediato
indovinare una primitiva. Quindi ci poniamo il seguente
o trovare una primitiva di una funzione pi`
u complicata?
Problema. Come si pu`
Per esempio, il logaritmo ln `e continuo e quindi integrabile ma come si pu`o calcolare
Z
ln(x) dx =?
Per risolvere questo problema studiamo ora alcuni
Metodi di Integrazione
Lidea per trovare una primitiva di una funzione `e che, grazie al Teorema Fondamentale
del Calcolo Integrale, la derivazione e lintegrazione sono operazioni inverse, cio`e: Se h
`e derivabile con continuit`
a (brevemente si dice h C1 ), allora
Z
()
h0 (x) dx = h(x) + c.
Cos` una regola di derivazione implica una regola associata di integrazione.
Integrazione per Parti. Sappiamo che se f, g sono C1 allora anche h := f g `e C1 con
h0 (x) = f 0 (x) g(x) + f (x) g 0 (x).
Quindi da () segue
Z
Z
Z
0
0
f (x) g(x) dx + f (x) g (x) dx =


f 0 (x) g(x) + f (x) g 0 (x) dx = f (x) g(x) +c
| {z }
|
{z
}
=h0 (x)

Cos` risultano le formule


Integrazione per Parti (versione indefinita)
Z
Z
0
f (x) g(x) dx = f (x) g(x) f (x) g 0 (x) dx

=h(x)

96

6. CALCOLO INTEGRALE

Integrazione per Parti (versione definita)


Z b
Z b
b
f 0 (x) g(x) dx = f (x) g(x) a
f (x) g 0 (x) dx
a

Quindi il metodo di integrazione per parti corrisponde alla regola di derivazione di un


prodotto.
Vediamo ora come si applica questa regola
Esempi.

Utilizziamo integrazione per parti per calcolare


Z
xr ln(x) dx

per r 6= 1. A questo punto dobbiamo decidere quale dei fattori `e f 0 (x) e quale
g(x). Ma visto che con la scelta f 0 (x) = ln(x) non si pu`o continuare non conoscendo
la primitiva del logaritmo, lunica possibilit`a `e xr = f 0 (x) e ln(x) = g(x) e quindi
r+1
(siccome r 6= 1) f (x) = xr+1 e g 0 (x) = x1 . Cos` risulta
Z
Z r+1
1
xr+1
x
r
ln(x)

dx
x ln(x) dx =
|{z}
| {z }
| {z }
r
+
1
r
+
1
x
| {z } g(x)
| {z } |{z}
f 0 (x) g(x)
f (x)

xr+1

g 0 (x)

f (x)

1
xr dx
r+1
r+1
xr+1
1
xr+1
=
ln(x)

+c
r+1
r+1 r+1
xr+1
1
=
ln(x)
xr+1 + c
r+1
(r + 1)2
xr+1 
1 
=
ln(x)
+ c.
r+1
r+1
In questo esempio il metodo integrazione per parti funziona poiche il logaritmo
g(x) = ln(x) `e una funzione complicata con derivata g 0 (x) = x1 semplice.
Quindi passando la derivata da f (x) a g(x) lintegrale si semplifica. Inoltre possiamo
dire che per r = 0 otteniamo g(x) = x0 = 1 per ogni x e quindi abbiamo anche
calcolato
Z

ln(x) dx = x ln(x) 1 + c.
=

ln(x)

Se si vuole calcolare questo integrale direttamente (cio`e senza il fattore xr ) si deve


procedere con un piccolo trucco:
=1

Z z

Z
ln(x) dx =

x ln(x)
1 ln(x) dx = |{z}
|{z}
| {z }
| {z }
f 0 (x)

f (x)

g(x)

g(x)

{
1
x
dx
|{z}
x
|{z}
f (x)

}|

g 0 (x)

= x ln(x) x + c.
Anche lintegrale
Z

ex cos(x) dx

si pu`
o calcolare usando integrazione per parti. Perci`o scegliamo f 0 (x) = ex e g(x) =
cos(x) (ma funzionerebbe anche viceversa). Allora f (x) = ex e g 0 (x) = sin(x) e
quindi
Z
Z

x
x
e cos(x) dx = |{z}
e cos(x) |{z}
ex sin(x) dx.
|{z}
| {z }
| {z }
| {z }
f 0 (x)

g(x)

f (x)

g(x)

f (x)

g 0 (x)

METODI DI INTEGRAZIONE

97

Sembra che non `e cambiato molto, invece il trucco `e di integrare unaltra volta per
parti, dove usiamo u, v invece di f, g per non confonderci
Z
Z
x
x
e cos(x) dx = e cos(x) + |{z}
ex sin(x) dx
| {z }
u0 (x)

v(x)

= e cos(x) + |{z}
e sin(x)
| {z }
u(x)

ex cos(x) dx.
|{z}
| {z }
u(x)

v(x)

v 0 (x)

Cos` siamo tornati allintegrale iniziale e a prima vista il procedimento risulta essere
inutile. Invece abbiamo trovato unequazione del tipo
I =E+I
per lintegrale I in questione con unespressione E nota e, molto importante,
= 1 6= 1.
Nel caso = 1 lintegrale si semplifica e quindi tutto era infatti inutile. Per 6= 1
E
invece lequazione si risolve facilmente come I = 1
cio`e (visto che qui 1 = 2)

Z
ex sin(x) + cos(x)
x
e cos(x) dx =
+ c.
2
Consideriamo
Z
cos2 (x) dx.

Allora, con f 0 (x) = g(x) = cos(x) otteniamo f (x) = sin(x) e g 0 (x) = sin(x) e
quindi
Z
Z

cos(x) cos(x) dx = sin(x) cos(x) sin(x) sin(x) dx
| {z } | {z }
| {z } | {z }
| {z } | {z }
f 0 (x)

g(x)

f (x)

g(x)

f (x)

g 0 (x)

Ora si potrebbe avere la stessa idea come nellintegrale precedente di integrare


unaltra volta per parti. Ci`
o invece non funziona e porta soltanto allannullamento
di tutto. Invece si usa la relazione sin2 (x) + cos2 (x) = 1 che implica
Z
Z
2
cos (x) dx = sin(x) cos(x) +
sin2 (x) dx
| {z }
1cos2 (x)

1 dx cos2 (x) dx
Z
= sin(x) cos(x) + x cos2 (x) dx
= sin(x) cos(x) +

che, come prima, `e unequazione per lintegrale in questione che `e facilmente da


risolvere con la soluzione
Z
sin(x) cos(x) + x
cos2 (x) dx =
+ c.
2
Integrazione per Sostituzione. Abbiamo visto come il metodo integrazione per parti
segue dalla regola per la derivazione di un prodotto. Ora invece partiamo con la regola
della catena (per derivare le funzioni composte) e cerchiamo la regola corrispondente
per lintegrazione.
Sia f C[a, b] con una primitiva F . Sia, inoltre : [, ] [a, b] derivabile con
continuit`
a. Allora la funzione composta2

h : [, ] R, h(t) := F (t)
2per non confonderci usiamo come variabili t [, ] e x [a, b].

98

6. CALCOLO INTEGRALE

`e derivabile con


h0 (t) = F 0 (t) 0 (t) = f (t) 0 (t).
Sostituendo queste espressioni nellequazione () a pagina 95 risulta la formula chiamata
Integrazione per Sostituzione (versione indefinita)
Z


f (t) 0 (t) dt = F (t) + c.
dove F `e una primitiva di f , cio`e F 0 = f .
Sostituendo nella versione indefinita gli estremi t = e t = segue dal corollario sul
Teorema Fondamentale a pagina 93
Z

 t=
f (t) 0 (t) dt = F (t) t=



= F () F ()
x=()
= F (x) x=()
Z ()
f (x) dx.
=
()

Quindi abbiamo dimostrato la formula


Integrazione per Sostituzione (versione definita)
Z
Z ()
 0
f (t) (t) dt =
f (x) dx

()

Prima di considerare esempi concreti deduciamo due regole generali di integrazione:


Esempi.
Se nella versione indefinita della formula integrazione per sostituzione
scegliamo f (x) = x1 con la primitiva F (x) = ln |x| e per una funzione C1 con
(t) 6= 0 per ogni t allora segue
Z 0


(t)
dt = ln (t) + c
(t)
Un esempio concreto di questo tipo `e
Z
Z
sin(t)
tan(t) dt =
dt
cos(t)
0 (t)

Z z }| {
sin(t)
=
dt
cos(t)
| {z }
(t)



= ln cos(t) + c.
Se nella versione indefinita della formula integrazione per sostituzione scegliamo
2
f (x) = x con la primitiva F (x) = x2 e per una funzione C1 allora segue
Z
(t)2
(t) 0 (t) dt =
+c
2
Un esempio concreto di questo tipo `e
Z
sin2 (t)
sin(t) cos(t) dt =
+ c.
| {z } | {z }
2
(t)

0 (t)

METODI DI INTEGRAZIONE

99

Osservazione. In pratica, si usa il metodo integrazione per sostituzione nel seguente


modo: Nella funzione integranda (nella variabile t) si indovina un espressione (t) che
indichiamo con x, cio`e si fa la sostituzione x := (t). Considerando x come funzione in
t si deriva rispetto a t e si ottiene (formalmente)
dx
= 0 (t)
dt

dx = 0 (t) dt

Cos` risulta gi`


a la versione indefinita:
=x

Z
z}|{

0
f (t) (t) dt = f (x) dx = F (x) + c = F (t) + c.
| {z } | {z }
=dx

=f (x)

dove F 0 = f . Per ottenere la versione definitiva basta osservare che


t=
t=

x = (t) = (), e
x = (t) = ()

cio`e t [(), ()]3 x [a, b] e quindi


Z
Z
 0
f (t) (t) dt =

()

f (x) dx.

()

Questo ragionamento `e puramente formale, ma dimostra la forza delle notazioni per


df
le
R derivate (come rapporti dx tra infinitesimi) e gli integrali (come somme continue
f (x) dx) inventati pi`
u di 300 anni fa da Leibniz.
Vediamo ora come funziona questo procedimento in un esempio concreto:
Esempi.

Calcoliamo
Z

t 1 dt.

In questo caso lidea `e far sparire la radice ponendo x := t 1 (= (t)). Visto che
anche il fattore t
nellintegrale deve essere espresso nella nuova variabile risolviamo
lequazione x := t 1 per t:
x2 = t 1

t = x2 + 1.

Ora ci sono 2 modi per trovare la relazione tra


dx e dt:
 consideriamo (come sopra indicato) x = t 1 come funzione in t e deriviamo
rispetto a t, cio`e

1 0
1
dx 
1
= (t 1) 2 = 12 (t 1) 2 1 = 12
= 12 x1 dt = 2x dx.
dt
t1
oppure
 consideriamo t = x2 + 1 come funzione in x e deriviamo rispetto a x, cio`e
dt
= 2x
dx

dt = 2x dx

e quindi le due possibilit`


a portano allo stesso risultato. Inoltre abbiamo

 t = 1 x = 1 1 = 0, e
 t = 2 x = 2 1 = 1.
3se () < (), altrimenti t [(), ()]

100

6. CALCOLO INTEGRALE

Quindi risulta
Z
1

t t 1 |{z}
dt =
|{z}
| {z }

x2 +1

(x2 + 1) x 2x dx

2xdx

Z 1
(x4 + x2 ) dx
=2
h 50
3 1
= 2 x5 + x3 0
h 5
 16
3
= 2 15 + 13 0 =
.
15
Nellesempio precedente si trattava di un integrale definito in t per il quale abbiamo
calcolato gli estremi nella nuova variabile x. Anziche calcolare gli estremi in x, dopo
la integrazione si pu`
o anche tornare alla variabile iniziale (che per integrali indefiniti `e
sempre necessario) e poi sostituire gli estremi originali. Cos` faremo nei prossimi esempi.
Calcoliamo
Z

dt.

Allora, per fare sparire la radice procediamo come prima e poniamo x := t cio`e
dt
= 2x e quindi dt = 2x dx. Ora non calcoliamo gli estremi in
t = x2 . Ci`
o implica dx
x ma li sostituiamo con . . . intendendo che non ci interessano in questo momento.
Cos` risulta
Z 4
Z ...
t
e dt =
ex 2x dx.
1

...

Questo `e un tipico integrale che si risolve per parti e quindi dobbiamo individuare
chi `e f 0 e chi g. Qui la scelta giusta `e f 0 (x) = ex e g(x)
R = x poiche se facciamo
viceversa lintegrale non si semplifica ma diventa tipo x2 ex dx che `e ancora pi`
u
difficile. Allora


Z ...
Z ...

x
x ...
x
2
x |{z}
e dx = 2 x e ...
1 e dx
|{z}
...

g(x)

...

f 0 (x)


...
x
x
=2 xe e
(x =

...

t)

h
i 4
=2 e t t1
1


2
= 2 e (2 1) e1 (1 1) = 2 e2 .

In questo esempio abbiamo visto che pu`o capitare che si devono usare entrambi i
metodi, cio`e integrazione per sostituzione e anche integrazione per parti.
Consideriamo ora lintegrale indefinito
Z

cos ln(t) dt.
In questo esempio facciamo sparire il logaritmo ponendo x := ln(t) cio`e t = ex . Ci`o
implica
dt
= ex dt = ex dx.
dx
Quindi otteniamo
Z
Z

cos ln(t) |{z}
dt = cos(x) ex dx
|{z} x
x

e dx

METODI DI INTEGRAZIONE

101

lultimo integrale `e gi`


a stato calcolato a pagina 97 usando integrazione per parti e
quindi

ex sin(x) + cos(x)
=
+c
2



ln(t) sin ln(t) + cos ln(t)
+c
x = ln(t)
=e

2

sin(ln(t)) + cos(ln(t))
=t
+c
2
Ripetiamo che in questo esempio, come per tutti gli integrali indefiniti, dopo la
sostituzione `e necessario tornare alla variabile iniziale, in questo caso t.
Mentre negli esempi passati era abbastanza semplice indovinare la sostituzione (cio`e trovare il (t) che poi viene chiamato x) ci sono integrali dove la sostituzione `e abbastanza
difficile da trovare.
Calcoliamo larea A di un cerchio di raggio 1 data dallequazione
x2 + y 2 = 1.
Risolvendo lequazione nel primo quadrante si ottiene y =
segue

1 x2 e per simmetria

1p

1 x2 dx

A=4
0

Con la sostituzione x := sin(t) cio`e t = arcsin(x) segue


 dx
dt = cos(t) dx = cos(t) dt,
 x = 0 t = arcsin(0) = 0,
 x = 1 t = arcsin(1) = 2 .
p
Visto che per t [0, 2 ] vale cos(t) 0 risulta cos(t) = + 1 sin2 (t) e quindi
=cos(t)

1p

1 x2 dx =

{
zq }|
2
1 sin (t) cos(t) dt

Z
=

cos2 (t) dt.

Abbiamo calcolato questo integrale gi`a a pagina 97



Z
2
sin(t) cos(t) + t 2

2
cos (t) dt =
= .

2
4
0
0
Quindi risulta

= .
4
Nella stessa maniera si pu`
o verificare che larea A(r) di un cerchio di raggio r 0
`e data da
A(r) = r2 .
A=4

Calcoliamo
Z
arctan(x) dx
Allora visto che arctan(x) (come anche ln(x)) `e una funzione complicata con
1
una derivata 1+x
u semplice, lidea per risolvere questo integrale e usare
2 molto pi`

102

6. CALCOLO INTEGRALE

integrazione per parti. Perci`


o useremo il trucco di inserire il fattore 1 che abbiamo
gi`a usato per integrare il logaritmo ln(x) (cfr. pagina 96):
Z
Z
arctan(x) dx = |{z}
1 arctan(x) dx
| {z }
f 0 (x)

g(x)

Z
= |{z}
x arctan(x)
| {z }
f (x)

g(x)

1
x
dx
|{z}
1+
x2}
|
{z
f (x)
g 0 (x)

0 (x)

= x arctan(x)

1
2

z}|{
2x
2 dx
1| +
{zx}
(x)

ln(1 + x2 )
+ c,
2
dove per lultimo integrale abbiamo usato la formula a pagina 98. Altrimenti si
potrebbe anche utilizzare la sostituzione t := 1 + x2 e procedere come negli altri
esempi.
= x arctan(x)

Osservazione. Gli esempi che abbiamo visto dimostrano chiaramente che integrare una
funzione pu`
o essere difficile ed impegnativo mentre in confronto derivare `e una semplice
procedura che si pu`
o fare abbastanza meccanicamente. In effetti ci sono funzioni continue
(che quindi, per il teorema fondamentale, possiedono una primitiva) composizione di
funzioni elementari tali che le primitive non possono essere espresse usando solo funzioni
elementari. Per esempio
f (x) = ex

f : R R,

sono continue (infatti C ) ma le loro primitive non si possono esprimere utilizzando


solo le funzioni che abbiamo incontrati finora. Quindi in un certo senso non si possono
calcolare
Z
Z
2

ex dx

ex dx

e questo fatto dimostra che integrare esplicitamente una funzione pu`o essere addirittura
impossibile.
Esempio. Calcolare il limite
Rx
lim

x0

2
1 es ds
=: l.
sin(x3 )

Soluzione. Come indicato sopra non possiamo calcolare lintegrale. Per`o, grazie alle
Regole di lHospital e il Teorema Fondamentale del calcolo integrale ci`o non `e neanche
necessario! Prima di derivare sostituiamo sin(x3 ) con lespressione x3 che `e asintotica
per x 0 e possiede derivate molto pi`
u semplici. Quindi, per il principio di sostituzione,
vale

Rx


s2 ds
0
0 1e
l = lim
=
0
x0
x3
2
2
1 ex
1
ex 1
H
= lim
= lim
x0 3x2
3 x0 x2
1
= .
3


INTEGRAZIONE DI FUNZIONI RAZIONALI

103

Integrazione di Funzioni Razionali


Problema. Come si integra una funzione razionale p(x)
q(x) per due polinomi p, q, per
esempio
Z 4
x 2x2 + 10
dx ?
x2 3x + 2
A questo problema c`e sempre una soluzione che inoltre coinvolge soltanto i tre integrali
1
e scomporre la funzione integranda
notevoli per xr con r 6= 1, x1 e 1+x
2 . Il problema `
in maniera tale si possono utilizzare tali integrali. Si procede in 3 passi:
1 passo: Se grado(p) grado(q), allora dividiamo p per q con resto ottenendo
polinomi s e r con
 p = s q + r,
 grado(r) < grado(q),
cio`e
p(x)
r(x)
= s(x) +
.
q(x)
q(x)
Per esempio per p(x) = x4 2x2 + 10 e q(x) = x2 3x + 2 otteniamo


9x
x4
2x2
+ 10 : x2 3x + 2 = x2 + 3x + 5 + 2
x 3x + 2
x4 + 3x3 2x2
3x3 4x2
3x3 + 9x2 6x
5x2 6x + 10
5x2 + 15x 10
9x

2 passo: Usando la linearit`


a dellintegrale si ottiene
Z
Z
Z
r(x)
p(x)
dx =
s(x) dx
+
dx
q(x)
q(x)
| {z }
semplice da calcolare

Per esempio
Z 4
Z
Z
x 2x2 + 10
9x
2
dx = x + 3x + 5 dx +
dx
2
2
x 3x + 2
x 3x + 2
Z
x3 3x2
9x
=
+
+ 5x +
dx.
3
2
x2 3x + 2
3 passo: Si calcola
Z
r(x)
dx.
q(x)
Consideriamo soltanto il caso grado(q) = 2 cio`e q(x) = ax2 + bx + c, r(x) = dx + e.
Ci sono 3 casi secondo il segno del discriminante di q(x):
(i) b2 4ac > 0, cio`e q(x) ha due zeri reali distinti x1 , x2 .
(ii) b2 4ac = 0, cio`e q(x) ha soltanto uno zero reale x0 .
(iii) b2 4ac < 0, cio`e q(x) non ha zeri reali.
Caso (i): I due zeri distinti di q(x) sono date da

b b2 4ac
x1,2 =
.
2a
Allora si possono trovare due costanti A, B R (uniche) tali che
Z
r(x)
A
B
r(x)
=
+

dx = A ln |x x1 | + B ln |x x2 | + c.
q(x)
x x1 x x2
q(x)

104

6. CALCOLO INTEGRALE

Lesempio precedente con q(x) = x2 3x + 2 entra proprio in questo caso: Qui


abbiamo

3 32 4 1 2
3 1
x1,2 =
=
= 1 opp. 2.
21
2
Inoltre r(x) = 9x e quindi cerchiamo costanti A, B R tale che
9x0 ! A
B
(A + B) x (2A + B)
=
+
=
.
3x + 2
x1 x2
(x 1) (x 2)

x2

Confrontando i coefficienti ci`


o vale se e solo se




A+B =9
A = 9

2A + B = 0
B = 18
e quindi otteniamo
9
18
9x
=
+

2
x 3x + 2
x1 x2
Cos` risulta
Z 4
x3
x 2x2 + 10
dx
=
+
x2 3x + 2
3
Caso (ii): Lunico zero di q(x)

Z
x2

9x
dx = 9ln |x1|+18ln |x2|+c.
3x + 2

3x2
+ 5x 9 ln |x 1| + 18 ln |x 2| + c.
2
`e dato da

b
2a
Allora si possono trovare due costanti A, B R (uniche) tali che
Z
r(x)
A
B
r(x)
B
=

dx = A ln |x x0 |
+
+ c.
q(x)
x x0 (x x0 )2
q(x)
x x0
x0 =

Come esempio concreto consideriamo lintegrale


Z
3x
dx.
2
x 2x + 1
Allora il denominatore si annulla se e solo se

2 22 4
x=
= 1 = x0 .
2
Quindi cerchiamo A, B R tale che
3x+0 ! A
B
A x + (B A)
+
=
=
2
2x + 1
x 1 (x 1)
(x 1)2

x2

Confrontando i coefficienti ci`


o vale se e solo se




A=3
A=3

BA=0
B=3
e quindi otteniamo
3
3
3x
=
+
2
x 2x + 1
x 1 (x 1)2

x2

3x
3
dx = 3 ln |x 1|
+ c.
2x + 1
x1

Caso (iii): In questo caso q(x) non ha zeri reali. Allora si possono trovare due
costanti A, B R (uniche) tali che
Z
Z
r(x)
A q 0 (x)
B
r(x)
1
=
+

dx = A ln |q(x)| + B
dx,
q(x)
q(x)
q(x)
q(x)
q(x)
R 0 (x)
dove abbiamo usato la formula qq(x)
dx = ln |q(x)| (cfr. pagina 98). Rimane da
calcolare lintegrale
Z
Z
1
dx
=
dx.
2
q(x)
ax + bx + c

INTEGRAZIONE DI FUNZIONI RAZIONALI

105

Per fare ci`


o si cercano costanti , , R tale che

2 
q(x) = ax2 + bx + c = 1 + x+

Usando la sostituzione
x+
dt
1
t :=

=
dx = dt

dx

risulta
Z
Z
dx
dx

=
2 
q(x)
1 + x+

Z
dt

= arctan(t) + c
=

1 + t2

x + 
= arctan
+ c.

Riassumendo, in questo caso otteniamo


Z
x + 
r(x)
B
dx = A ln |q(x)| +
arctan
+ c.
q(x)

dove


A q 0 (x) + B
r(x)
=
e
q(x) = 1 +
q(x)
q(x)
Come esempio concreto consideriamo lintegrale
Z
4x
dx.
2
x 4x + 13


x+ 2

Visto che il discriminante del denominatore b2 4ac = 42 4 13 < 0 siamo nel


terzo caso. Allora, cerchiamo prima A, B R tale che
=2x4

}|
{
z
2
0
(x

4x
+
13)
+B
2A x + (4A + B)
A

4x+0
!
=
.
=
2
2
x 4x + 13
x 4x + 13
x2 4x + 13
Confrontando i coefficienti ci`
o vale se e solo se




2A = 4
A=2

4A + B = 0
B=8
e quindi
Z

Z

4x
1
2
dx = 2 ln x 4x + 13 + 8
dx.
x2 4x + 13
x2 4x + 13
Inoltre vale

2 
x2 4x + 13 = (x 2)2 + 9 = 9 1 + x2
3
cio`e = 2, = 3 e = 9 e cos` con la sostituzione t := x2
3 dx = 3dt risulta
Z
Z
1
1
dx
dx =
2
2
x 4x + 13
9
1 + x2
3
Z
3
dt
1
=
= arctan(t) + c
2
9
1+t
3

1
x2
= 3 arctan 3 + c.
Riassumendo otteniamo il risultato finale
Z

4x
dx = 2 ln x2 4x + 13 +
2
x 4x + 13

8
3

arctan

x2
3

+ c.

106

6. CALCOLO INTEGRALE

Calcolo di Aree Piane


Ricordiamo che per una funzione f : [a, b] R integrabile
Z b
f (x) dx = area tra il grafico di f e lasse x,
a

dove, per`
o, larea sotto lasse x `e negativa. Quindi per calcolare larea A di una funzione
che assume sia valori positivi sia negativi si deve dividere il dominio in sottointervalli in
cui f (x) non cambia segno:
f (x)

f (x)

=A1 A2 +A3

A=

I=A1 +A2 +A3

Figura 58. Calcolo di aree.


Quindi in questo esempio vale
Z c
Z d
Z b
Z b
I=
f (x) dx +
f (x) dx +
f (x) dx =
f (x) dx
a

c
c

Z
f (x) dx

A=
a

d
d

Z
f (x) dx +

mentre

f (x) dx
d

Pi`
u in generale, se vogliamo determinare larea A compresa tra i grafici di due funzioni
f, g : [a, b] R integrabili, cfr. Figura 59, allora
f (x)

A=
a


R b


a f (x) g(x) dx

g(x)

Figura 59. Calcolo dellarea tra due grafici.


Esempio. Calcolare larea Acompresa tra i grafici di x2 e
ra 60. Allora, visto che x2 x per x [0, 1] abbiamo

x per x [0, 1], cfr. Figu-

x
x2
A = 1/3

Figura 60. Esempio: Calcolo dellarea tra due grafici.


Z
A=
0

h 3

( x x2 ) dx = 32 x 2

i1
x3
3 0

2
3

1
3

= 13 .

CALCOLO DELLA LUNGHEZZA DI UNA CURVA

107

Se invece i grafici si intersecano, allora bisogna calcolare le ascisse dei punti di intersezione e poi spezzare il dominio di integrazione come sopra.
Esempio. Calcolare larea A tra i grafici di f (x) := x3 2x e g(x) := x2 , cfr. Figura 61.
Soluzione. Per cominciare dobbiamo calcolare i punti di intersezione tra f e g. Allora
x3 2x = x2

0 = x3 x2 2x = x (x2 x 2)

x = 1, 0, 2.

Inoltre vale
f (x) = x3 2x g(x) = x2

x [1, 0] [2, +)

e quindi
Z
A=


(x3 2x) x2 dx =

0
3

(x 2x) x


x2 (x3 2x) dx

dx +

x2

x3 i0

h x3

i2
x4
+ x2
4
3 1
3
4
0


2
1
1
24
23
= 0 (4 1 + 3) + 3 4 + 2
37
=
12
=

h x4

f(x)

g(x)
-1

A=
0

= 37/12

Figura 61. Esempio: Calcolo dellarea tra due grafici.

Calcolo della Lunghezza di una Curva


Lidea per calcolare la lunghezza di una curva `e di scomporrla in segmenti di lunghezza infinitesime e poi di sommare questi infinitesimi usando lintegrale per ottenere la
lunghezza cercata. Mentre il caso generale viene trattato in Analisi 2, qui consideriamo
soltanto curve che sono date da un grafico di una funzione f C1 [a, b]. Allora, dalla
f (x)

dx2 +dy 2 =dl

dy
dx

Figura 62. Lunghezza di una curva.

108

6. CALCOLO INTEGRALE

Figura 62 segue per


lunghezza del segmento infinitesimale
p il teorema di Pitagora che la dx
0
2
2
dl `e data da dl = dx + dy . Visto che f (x) = dy segue4 dy = f 0 (x) dx e quindi
q
q
2
2
2
0
2
dl = dx + f (x) dx = 1 + f 0 (x) dx.
Sommando le lunghezze di questi segmenti infinitesimi, per x tra a e b, otteniamo la
formula
Z bq
2
l=
1 + f 0 (x) dx
a

per la lunghezza dalla curva data dal grafico di una funzione f : [a, b] R che `e
derivabile con continuit`
a.
Esempio. Calcoliamo la lunghezza l della curva data dal grafico di f (x) = cosh(x) per
2
x [a, b] (cfr. la catenaria, pagina 34). Allora 1 + f 0 (x) = 1 + sinh2 (x) = cosh2 (x).
Visto che cosh(x) > 0 per ogni x R risulta
Z b
Z bq
2
l=
cosh(x) dx = sinh(b) sinh(a).
cosh (x) dx =
a

Calcolo di Volumi di Corpi di Rotazione


Lidea utilizzata nel paragrafo precedente di scomporre una quantita cercata in parti
infinitesimi e poi di sommarli usando lintegrale per trovare il risultato si pu`o anche usare
per calcolare il volume V di un solido. Pi`
u precisamente, lidea `e di scomporre il solido
in sezioni di spessore infinitesimale e poi di sommare queste sezioni usando lintegrale
per ottenere il volume cercato. Mentre il caso generale viene trattato in Capitolo 10, qui
consideriamo soltanto corpi ottenuti facendo ruotare intorno allasse x il grafico di una
funzione f : [a, b] R (cfr. Figura 63).
y

y=f(x)

dV

dx
z

Figura 63. Corpo di rotazione.


Allora, usando il fatto che larea di un cerchio di raggio r 0 `e data da A(r) = r2
(cfr. pagina 101) otteniamo
dV = f 2 (x) dx

= volume della sezione

e quindi risulta
Z
V =

f 2 (x) dx

a
4Ricordiamo che questi conti sono puramente formali ma portano, grazie ad una notazione ingegnosa,

ad un risultato giusto.

INTEGRALI IMPROPRI

109

Esempi.
Calcoliamo il Volume di un cono di altezza h e raggio r della base.
Allora f (x) = hr x per x [0, h] e quindi
Z h
r2 x3 h r2 h
r 2
V =
x dx = 2 =
.
h
h
3 0
3
0
Calcoliamo il Volume
di una sfera di raggio r.

Allora f (x) = r2 x2 e quindi


Z r


x3  r
r3  4
V =
(r2 x2 ) dx = 2 r2 x
= r3 .
= 2 r2
3
3
3
0
r
Integrali Impropri
Ricordiamo che finora unintegrale definito rappresenta unarea A tra lasse x ed il grafico
di una funzione integranda f limitata,
su un dominio di integrazione [a, b] limitato.
Questo significa che al momento non abbiamo definito integrali del tipo
Z 1
1
dx
(funzione integranda non limitata)
x
0
oppure
Z +
1
dx
(dominio di integrazione [0, +) non limitato)
x2
1
cfr. Figura 64.
3

1
ex

1
x2

Figura 64. Integrali impropri.


Per`o con il concetto di limite `e semplice eliminare questi due vincoli.
Definizione 6.8 (Integrale Improprio). Sia f : [a, b) R con a R e b R {+}
tale che f `e integrabile in [a, c] per ogni a < c < b. Allora, se converge
Z c
lim
f (x) dx =: A
cb

si dice che lintegrale


Z b
f (x) dx := A

(= integrale improprio oppure generalizzato)

esiste nel senso improprio oppure che converge 5. Una definizione analoga si ha per f :
(a, b] R, con a R {} e b R:
Z b
Z b
f (x) dx := lim
f (x) dx.
a

ca+

5Per integrali impropri si usa lo stesso linguaggio delle serie, cio`


e si parla di convergenza e divergenza

etc.

110

6. CALCOLO INTEGRALE

Per r R studiamo la convergenza dellintegrale improprio


Z +
Z c
r
x dx := lim
xr dx.

Esempi.

c+ 1

Conviene considerare 2 casi


 r = 1: Allora
Z c
c
x1 dx = ln(x) 1 = ln(c) ln(1) + per c +,
1

cio`e lintegrale
Z

diverge.
 r 6= 1: Allora

Z c
cr+1
xr+1 c
1
r
=
x dx =


r+1 1 r+1 r+1
1

1
dx = +
x

(c+)

(
1
r+1
+

se r + 1 < 0 r < 1,
se r + 1 > 0 r > 1.

Quindi risulta
+

Z
1

(
1
r+1
xr dx =
+

se r < 1,
se r 1.

Per esempio per r = 2 < 1 otteniamo


Z +
1
1
dx =
= 1.
2
x
2 + 1
1

1
x

2
+1

1
x2
1

Figura 65. Integrali impropri.


Consideriamo ora la stessa funzione integranda ma sul dominio di integrazione
[0, 1], cio`e studiamo6
Z 1
Z 1
xr dx := lim
xr dx.
c0+

Come prima conviene considerare 2 casi


 r = 1: Allora
Z 1
1
x1 dx = ln(x) c = ln(1) ln(c) () = + per c 0+ ,
c

cio`e lintegrale
Z
0

diverge.
6qui il limite `
e solo necessario se r < 0.

1
dx = +
x

INTEGRALI IMPROPRI

 r 6= 1: Allora

Z 1
xr+1 1
cr+1
1
r
x dx =

=
r + 1 c
r+1 r+1
c

(c0+ )

111

1
r+1

se r + 1 > 0 r > 1,
se r + 1 < 0 r < 1.

Quindi risulta
Z

1
r

x dx =
0

1
r+1

se r > 1,
+ se r 1.

Per esempio per r = 21 > 1 otteniamo


Z 1
1
1
dx = 1
= 2.
x
2 + 1
0
5

1
x

1
ex

3
+1

2
1

2
1

Figura 66. Integrali impropri.


Mentre per xr nei due esempi precedenti era abbastanza semplice trovare una primitiva
abbiamo visto che pu`
o essere difficile e addirittura impossibile integrare esplicitamente
una funzione. Perci`
o si pone il seguente7
Problema. Come si pu`
o studiare la convergenza di unintegrale improprio senza conoscere una primitiva della funzione integranda?
Evidenziamo che cos` non chiediamo pi`
u di calcolare il valore dellintegrale ma soltanto
di verificare che esiste e sia finito.
Teorema 6.9 (del Confronto per gli Integrali Impropri ). Siano f, g : [a, b) R con
a R, b R {+} e tale che per ogni a < c < b, f, g siano integrabili su [a, c]. Se
|f (x)| g(x) per ogni x [a, b) (cio`e g `e un maggiorante di |f |) e
Rb
a g(x) dx converge,
Rb
allora converge anche a f (x) dx. Un risultato simile vale anche per f, g : (a, b] R con
a R {}, b R.
7Questo problema `
e molto simile a quello che abbiamo incontrato nel capitolo sulle serie: come si

pu`
o studiare la convergenza di una serie senza avere una formula esplicita per le somme parziali, cfr.
pagina 23.

112

6. CALCOLO INTEGRALE

Z
Esempi.

Consideriamo lintegrale improprio

ex dx.

x2

Figura 67. Integrale improprio della Campana di Gauss.


In questo caso non soltanto uno degli estremi `e critico (nel senso che `e infinito
oppure unasintoto verticale della funzione integranda) ma entrambi. In questi casi
si spezza lintegrale nella somma di due integrali scegliendo un punto c tra gli
estremi. Nel caso in questione per simmetria conviene scegliere il punto c = 0 e
quindi definiamo
Z +
Z 0
Z +
2
2
2
ex dx :=
ex dx +
ex dx.

x2

Visto che f (x) = e

`e una funzione pari, dalla proposizione su pagina 91 segue


Z +
Z +
2
x2
e
dx = 2
ex dx

e quindi lintegrale converge su (, +) se e solo se converge su (0, +). A


questo punto ci serve una funzione maggiorante per la quale lintegrale improprio
converge. Poiche
Z +
Z 1
Z +
2
x2
x2
e
dx =
e
dx +
ex dx,
0

dove il primo integrale `e unintegrale definito e quindi esiste finito, basta che tale
funzione sia maggiorante soltanto per x 1. Allora, per x 1 vale
2

|f (x)| = ex 2x ex =: g(x)
e
Z
1

2x ex dx =

2x ex dx
1
c
x2
= e
=e

1
c2

e1

per c +.

R +
R +
Quindi 1 g(x) dx converge e per il criterio del confronto converge anche 1 f (x) dx
R +
e di conseguenza anche f (x) dx.
Osservazione. In seguito (cfr. pagina 143) dimostreremo che
Z +

2
ex dx =

INTEGRALI IMPROPRI

Z
Verifichiamo che
0
1

113

sin(x)
dx converge.
x

sin(x)
x

0.5

10

20

30

Figura 68. Integrale improprio convergente.


Visto che limx0+ sin(x)
= 1 solo lestremo b = + `e critico. Quindi lintegrale
x
converge su [0, +) se e solo se converge su [1, +). Integrando per parti risulta
Z c
Z c

 c
1
1
1
sin(x) dx =
cos(x) dx
cos(x)
2
x | {z }
x | {z } 1
x | {z }
1 |{z}
1 |{z}
|{z}
0
f

f (x)

= cos(1)
|
{z

g(x)

cos(c)

c }

f0

Z
1

cos(x)
dx.
x2

cos(1) per c+

Quindi lintegrale converge se e solo se


Z +
cos(x)
dx
x2
1
converge. Ora `e semplice trovare un maggiorante per il quale converge lintegrale
improprio. Infatti


Z +
cos(x)
1

1
e
dx converge
x2 x2
x2
1
(vedi pagina 110). Quindi anche lintegrale
Z +
sin(x)
dx
x
0
converge. Notiamo che qui era necessario
 integrare una volta per parti (aumentando cos` il grado del denominatore da
x a x2 ) visto che
Z +
1
dx = + diverge
x
1
 considerare lintegrale su [1, +) e non su [0, +) visto che
Z +
1
dx = + diverge.
x2
0
Concludiamo questo capitolo con alcune osservazioni su

114

6. CALCOLO INTEGRALE

Integrali Impropri e Serie. Spesso gli elementi di una serie

+
X

ak sono dati dai valori

k=1

di una funzione f : [1, +) R in x = k, cio`e


ak = f (k),

k = 1, 2, 3, 4, . . .

f
f(1)=a1
f(2)=a2
f(3)=a3
f(4)=a4

...

f(5)=a5

x =k

Figura 69. Integrali impropri e serie: f (k) = ak .


Quindi si pu`
o chiedere che legame c`e tra
+
X

ak =

+
X

f (k)

f (x) dx.
1

k=1

k=1

Interpretando la somma della serie come area dimostreremo il seguente


Teorema 6.10 (Criterio Integrale per le Serie). Se f : [1, +) [0, +) `e decrescente
e ak := f (k), allora
Z +
+
X
ak converge

f (x) dx converge.
1

k=1

Dimostrazione. : Se la serie

+
X

ak converge, allora dal seguente grafico segue

k=1

...
1

2
a1

a2

4
a3

a4

x =k

6
a5

Figura 70. La serie maggiora lintegrale.


c

f (s) ds

F (c) :=
1

+
X

ak

per ogni c 1.

k=1

Inoltre, F `e crescente e quindi per il teorema su pagina 40 converge


Z +
lim F (c) =
f (x) dx.
c+

INTEGRALI IMPROPRI

115

f
a1

...
1

2
a

4
a

x =k

6
a

Figura 71. Lintegrale maggiora la serie.


R +
: Se invece lintegrale improprio 1 f (x) dx converge, allora dal grafico segue
Z +
n
X
sn :=
f (x) dx
per ogni n = 1, 2, 3 . . .
ak a1 +
k=1

Inoltre la serie

+
X

ak `e a termini positivi e quindi convergente per il teorema su pagina 23.

k=1


+
X
1
, cfr. pagina 25.
Esempio. Per R consideriamo la serie armonica generalizzata
k
k=1

Allora per 0 la successione k1 n1 non `e infinitesima e quindi la serie diverge a
+. Se invece > 0, allora la funzione f (x) = x , x 1, e derivabile con

f 0 (x) = x1 < 0

per ogni x 1.

Quindi f `e decrescente e dal Criterio Integrale per le Serie segue che


Z +
+
X
1
1
converge

dx converge

k
x
1

> 1.

k=1

dove la seconda equivalenza `e stata dimostrata su pagina 110 con r = .


Quindi possiamo definire la funzione
: (1, +) R,

(s) :=

+
X
1
ks
k=1

che si chiama la funzione zeta di Riemann ed `e legato allipotesi di Riemann, uno dei
problemi aperti pi`
u importanti della matematica.

CAPITOLO 7

Funzioni Reali di Pi`


u Variabili: limiti e continuit`
a
In questo capitolo consideriamo funzioni reali di pi`
u variabili reali, cio`e funzioni definite
in un sottoinsieme di RN , N 2, a valori reali. Per prima cosa diamo uno sguardo allinsieme ambiente, cio`e consideriamo delle propriet`a di RN che ne definiscono la
struttura.
La Struttura di RN
` ben noto (cfr. il corso di Geometria) che linsieme
E


RN := (x1 , . . . , xN ) : xi R, i = 1, . . . , N
delle N -uple ordinate di numeri reali `e uno spazio vettoriale sul campo dei numeri reali
con le ordinarie operazioni di somma tra vettori e moltiplicazione per uno scalare, cio`e
(x1 , . . . , xN ) + (y1 , . . . , yN ) = (x1 + y1 , . . . , xN + yN ),
(x1 , . . . , xN ) = ( x1 , . . . , xN ) per R.
Dal nostro punto di vista identificheremo il vettore (x1 , . . . , xN ) con il punto dello spazio
Euclideo N -dimensionale con le corrispondenti coordinate.
Introduciamo su RN una norma, cio`e un modo di misurare la lunghezza dei vettori,
definendo
v
uN
uX


(x , . . . , x ) := t
x2 .
1

i=1

Per il teorema di Pitagora `e immediato vedere che k(x1 , . . . , xN )k misura la lunghezza


del vettore posizione che congiunge lorigine al punto di coordinate (x1 , . . . , xN ).
La norma soddisfa le seguenti propriet`a: per ogni (x1 , . . . , xN ), (y1 , . . . , yN ) RN e
R
k(x1 , . . . , xN )k 0 e k(x1 , . . . , xN )k = 0 (x1 , . . . , xN ) = (0, . . . , 0),
k (x1 , . . . , xN )k = || k(x1 , . . . , xN )k,
k(x1 , . . . , xN ) + (y1 , . . . , yN )k k(x1 , . . . , xN )k + k(y1 , . . . , yN )k (disuguaglianza
triangolare).
` interessante osservare che per N = 1, la definizione di norma si riduce
Osservazione. E
a quella di modulo (cfr. pagina 5). Infatti, per x R, (x2 )1/2 = |x| e quindi kxk = |x|.
A partire dalla definizione di norma si pu`o introdurre il concetto di distanza tra punti
di RN definendo la distanza di (x1 , . . . , xN ) da (y1 , . . . , yN ) come la norma (lunghezza)
del vettore congiungente i due punti, cio`e
v
uN
X

u
(x , . . . , x ) (y , . . . , y ) = t (x y )2 .
1

i=1

Osserviamo infine che per N = 2 o N = 3, piuttosto che utilizzare le notazioni (x1 , x2 )


e (x1 , x2 , x3 ), `e pi`
u comodo utilizzare le notazioni senza indici (x, y) e (x, y, z).
116

` VARIABILI REALI: PRIME PROPRIETA


`
FUNZIONI REALI DI PIU

117

Funzioni Reali di pi`


u Variabili Reali: Prime Propriet`
a
Definizione 7.1. Una funzione f : X RN Y R si dice funzione reale di pi`
u
variabili reali.
u variabili reali).
f : R3 R definita daf (x, y, z) = x2 +
Esempi (di funzioni di pi`
2
2
xyz + zy + z x (polinomio nelle variabili
p x, y, z di grado 4).
2
f : X R R definita da f (x, y) = 1 x2 y 2 . Si noti che in questo caso il
dominio di f `e linsieme X = {(x, y) R2 : x2 + y 2 1}, cio`e il cerchio di centro
lorigine e raggio 1.
p
f : X R2 R definita da f (x, y) = (1 x2 ) (1 y 2 ). Si disegni per esercizio
il suo dominio X.
Abbiamo visto nei precedenti capitoli che si pu`o visualizzare una funzione reale f di una
variabile disegnandone il suo grafico cartesiano in R2 . Si osservi che il grafico
n
o


G(f ) = x1 , . . . , xN , f (x1 , . . . , xN ) : (x1 , . . . , xN X
di una funzione f : X RN R `e un sottoinsieme di RN +1 . Quindi il grafico di una
funzione si pu`
o visualizzare soltanto se essa `e definita in R = R1 oppure R2 !
Esempi (di grafici in R3 ).
z=x2+y 2
2

z=x2-y 2
1

x
1

x
1

Figura 72. Grafici di f1 (x, y) = x2 + y 2 e f2 (x, y) = x2 y 2 per (x, y)


[1, 1] [1, 1].
Un altro modo per visualizzare le funzioni di pi`
u variabili sono le curve (o linee) di
livello: Data f : X RN R e c R, si definisce curva di livello c di f linsieme


c := x X : f (x) = c RN .
Esempi concreti sono le isobare in una mappa meteorologica oppure le curve di livello in
una mappa topografica. Si nota che per alcuni valori di c le curve di livello corrispondenti
possono essere linsieme vuoto.
Esempi (di curve di livello in R2 ).
y

0.5

0.5

0.5

0.5

0.5

0.5

0.5

0.5

Figura 73. Linee di livello c delle funzioni f1 (x, y) = x2 + y 2 per c =0,


1/16, 1/4, 1/2, 1 e f2 (x, y) = x2 y 2 per c =-1, -1/2, -1/4, 0, 1/4, 1/2,
1 con (x, y) [1, 1] [1, 1].

` VARIABILI
7. FUNZIONI REALI DI PIU

118

Un vantaggio delle curve di livello rispetto ai grafici cartesiani `e che, essendo definite
nello stesso spazio RN dove `e definita la funzione, consentono di guadagnare una
dimensione. Infatti, mentre non possiamo visualizzare il grafico di una funzione f :
R3 R, ne possiamo visualizzare le sue curve (o, meglio, superfici) di livello essendo
sottoinsiemi di R3 .
Esempio.

p
2
2
z= (1-x )(1-y )
3
2

1
2
2

p
Figura 74. Grafico di f (x, y) = (1 x2 )(1 y 2 ) e le linee di livello
c per (x, y) [2, 2] [2, 2] e c =0, 0.2, 0.4,. . ., 2.6 , 2.8, 3.
Limiti di Funzioni Reali di pi`
u Variabili Reali
Lidea che seguiremo per introdurre la definizione di limite in RN `e molto simile a quella
seguita in R (in fondo basta sostituire il modulo con la norma) ed `e basata sulluso delle
successioni approssimanti il punto in cui vogliamo calcolare il limite.
Definizione 7.2 (Limiti per i vettori ). Data una successione di vettori (xn )nN RN ,
diremo che (xn )nN converge a x0 RN se kxn x0 k 0 per n +. In questo caso
scriviamo
lim xn = x0
oppure
xn x0 per n + .
n+

CALCOLO DEI LIMITI IN RN

119

Se xn = (xn1 , . . . , xnN ) RN , allora `e facile verificare che


lim xn = x0 in RN

n+

lim xni = x0i in R per ogni i = 1, . . . , N.

n+

Cio`e una successione (xn )nN di vettori converge se e solo se converge componente per
componente al vettore x0 .
Con la definizione precedente di convergenza per una successione di punti (vettori) di
RN , possiamo estendere facilmente le definizioni date in R.
Definizione 7.3. Un punto c RN si dice punto di accumulazione dellinsieme X RN
se esiste una successione (xn )nN RN con
xn X per ogni n N,
xn 6= c per ogni n N,
lim xn = c.
n+

Definizione 7.4 (Limiti per le Funzioni ). Sia f : X RN R una funzione reale di


pi`
u variabili reali e sia c RN un punto di accumulazione di X. Allora diremo che
f tende a l R per x tendente a c
se per ogni successione (xn )nN X \ {c} con lim xn = c segue che lim f (xn ) = l.
n+

n+

In questo caso scriveremo


lim f (x) = l

xc

oppure

f (x) l per x c .

Osservazioni.
Si osservi che la definizione di limite per funzioni di pi`
u variabili
pu`o essere data solo per c RN , cio`e al finito, poiche, a differenza di R, non essendoci un ordinamento naturale in RN non si pu`o definire una direzione privilegiata
secondo cui raggiungere in RN
Il concetto di limite per le funzioni come definito sopra si basa su quello del limite
per le successioni. Come nel caso di una variabile esiste anche unaltra possibilit`a di introdurre limiti per le funzioni di pi`
u variabili che non fa riferimento alle
successioni:
lim f (x) = l

xc

> 0 > 0 tale che |f (x) l| < x X con kx ck <

La definizione di limite in RN conserva molte delle propriet`a di quella in R. In


particolare valgono i seguenti risultati
(i) unicit`
a del limite;
(ii) le Regole per il calcolo dei limiti di una somma, differenza, prodotto, quoziente
di funzioni (cfr. pagina 38).
Calcolo dei Limiti in RN
Mentre, come abbiamo visto, la definizione di limite in RN non presenta particolari
difficolt`a aggiuntive rispetto al caso di R, il calcolo dei limiti presenta in questo caso
delle difficolt`
a aggiuntive. Ci`
o `e dovuto al fatto che, rispetto al caso di R, possiamo
avvicinarci al punto in cui vogliamo calcolare il limite da molte direzioni e modi diversi.
Per semplicit`
a ci restringeremo al caso di R2 e sempre considereremo come punto di
accumulazione (0, 0).
Una Condizione per la non Esistenza del Limite. Consideriamo il limite
xy
lim
2
(x,y)(0,0) x + y 2
Si osservi che (0, 0) `e di accumulazione per R2 \{(0, 0)}, dominio della funzione f (x, y) =
xy
. Dato linsieme delle rette che passano per lorigine, quindi y = mx al variare di
x2 +y 2

` VARIABILI
7. FUNZIONI REALI DI PIU

120

m R, si consideri la restrizione di f ad una di queste rette, cio`e f (x, mx), e se ne


calcoli il limite per x 0:
mx2
m
=
.
2
2
2
x0
x0 x + m x
1 + m2
Risulta quindi dal precedente calcolo che il limite di f per (x, y) (0, 0) dipende dalla
direzione scelta per avvicinarci allorigine, cio`e dal parametro m, e quindi il limite non
esiste. In altre parole, se scegliamo successioni tendenti al punto di accumulazione da
direzioni diverse, i corrispondenti valori limite saranno diversi in contraddizione con la
definizione di limite.
lim f (x, mx) = lim

Proposizione 7.5 (Condizione necessaria). Affinche il limite

lim

f (x, y) esista

(x,y)(0,0)

`e necessario (ma non sufficiente) che esistano e siano uguali i limiti lim f (x, mx) al
x0

variare di m R.

La proposizione precedente fornisce anche un candidato l R per il limite

lim

f (x, y).

(x,y)(0,0)

Infatti se tale limite esiste, esso deve coincidere con il limite lungo le rette.
Il seguente esempio mostra come la condizione precedente sia solo necessaria, ma non
sufficiente a garantire lesistenza del limite. Consideriamo
x2 y
.
(x,y)(0,0) x4 + y 2
lim

Si ha che
mx3
=0
per ogni m R.
x0
x0 x4 + m2 x2
Quindi tutti i limiti al variare di m R esistano e sono uguali. Pertanto se il limite di
f esiste, deve essere uguale a 0.
Consideriamo ora la curva y = x2 . Tale curva passa per il punto di accumulazione (0, 0),
quindi fornisce un altro modo per avvicinarsi ad esso. Consideriamo la restrizione di
f a tale curva e calcoliamone il limite per x 0, cio`e muovendoci verso il punto di
accumulazione. Allora si ha
1
x4
lim f (x, x2 ) = lim 4
= 6= 0 !!
x0
x0 x + x4
2
Quindi abbiamo trovato una curva passante per il punto di accumulazione, muovendoci
lungo la quale troviamo un diverso valore del limite. Possiamo pertanto concludere che
2
il lim(x,y)(0,0) x4x+yy 2 non esiste.
lim f (x, mx) = lim

Osservazione. Le scelta della curva y = x2 `e stata fatta per ristabilire il rapporto


omogeneo fra le variabili x e y. Infatti sia al numeratore che al denominatore il rapporto
fra il grado della x e della y `e 2 a 1
Concludiamo questa prima parte con un procedimento generale per dimostrare la non
esistenza di un limite:
Per dimostrare la non esistenza di un limite `e sufficiente trovare due curve passanti per
il punto di accumulazione tali che i limiti (in una variabile) della funzione ristretta a
queste curve siano diversi (o non esistono).
Una Tecnica per Dimostrare lEsistenza del Limite. Fin qui abbiamo visto come
si pu`o dimostrare la non esistenza di un limite. Adesso vediamo come si pu`o dimostrare
lesistenza di un limite.
Coordinate polari: Ricordiamo (cfr. corso di Geometria) che un punto P del piano, oltre
che con le sue coordinate cartesiane (x, y), pu`o essere rappresentato con le coordinate
polari (, ) [0, ) [0, 2).

CALCOLO DEI LIMITI IN RN

P =(x,y)
P =(,#)

121

in coordinate cartesiane
in coordinate polari

#
x

Figura 75. Coordinate polari.


Le formule di passaggio da coordinate cartesiane a coordinate polari sono date da
p


x = cos()
= x2 + y 2
y = sin()
tan = xy
Si noti che la relazione tan =
non `e invertibile in [0, 2).
Consideriamo un esempio

y
x

non pu`o essere esplicitata in quanto la funzione tan

2x2 y
.
+ y2
Innanzitutto osserviamo che limx0 f (x, mx) = 0 per ogni m R, quindi se il limite l
esiste deve essere 0. Riscriviamo la funzione f in coordinate polari utilizzando le relazioni
precedenti, cio`e
 22 cos2 () sin()
f (x, y) = f cos(), sin() =
= 2 cos2 () sin().
2
lim

(x,y)(0,0) x2

Si ha, utilizzando | sin()|, | cos()| 1,






|f (, ) l| = 2 cos2 () sin() 0 = 2 cos2 () sin() 2 0

per 0.

Si noti che
0
equivale a dire
(x, y) (0, 0).
Quindi abbiamo maggiorato |f (, ) l| con una quantit`a che dipende solo dalla distanza dallorigine (cio`e ) e non dalla direzione di avvicinamento (cio`e ) allorigine. La
propriet`
a precedente consente di concludere che il limite esiste e vale l = 0.
Riassumiamo: Per dimostrare che
lim

f (x, y) = l

(x,y)(0,0)

`e sufficiente, avendo espresso la funzione in coordinate polari, ottenere una disuguaglianza del tipo





f cos(), sin() l g()
ove g() 0 per 0.
Esempio. Si consideri

sin(x2 y) + x2 + y 2
.
x2 + y 2
(x,y)(0,0)
lim

` facile verificare che limx0 f (x, mx) = 1 per ogni m R, quindi se il limite l esiste
E
3
2
sin())+2
deve essere l = 1. Si ha f (, ) = sin( cos ()
e quindi
2


sin(3 cos2 () sin())


|f (, ) l| =

2
Se procediamo utilizzando come prima | sin(t)| 1, si ottiene
1

z
}|
{

sin(3 cos2 () sin())
1
f (, ) l =
2 6 0
2

per 0.

122

` VARIABILI
7. FUNZIONI REALI DI PIU

Quindi non possiamo concludere lesistenza del limite. Tuttavia possiamo ricordare che
| sin(t)| |t| per t R, quindi per t = 3 cos2 () sin(),
1

z
}|
{
3
2


f (, ) l | cos () sin()| = | cos2 () sin()| 0
2

per 0.

Continuit`
a
Come conseguenza della definizione di limite si pu`o dare la definizione di continuit`a
Definizione 7.6 (Continuit`
a). Una funzione f : X RN R si chiama
continua in x0 X se per ogni successione (xn )nN X con xn x0 segue
f (xn ) f (x0 ) per n +;
continua, se `e continua in ogni x X.
Denotiamo con C(X) := {f : X R : f `e continua} linsieme delle funzioni
continue su X.
Valgono molte delle osservazioni fatte nel caso di R.
La continuit`
a si pu`o anche definire senza fare riferimento alle sucOsservazioni.
cessioni: f `e continua in x0 per ogni > 0 esiste > 0 tale che |f (x)f (x0 )|
per ogni x X con kx x0 k < .
Se x0 X `e un punto di accumulazione di X, allora f `e continua in x0
limxx0 f (x) = f (x0 ).
Se x0 X non `e un punto di accumulazione di X (in questo caso si dice anche che
x0 `e un punto isolato di X), allora f `e sempre continua in x0 .
Somme, differenze, prodotti, rapporti e composizione di funzioni continue sono
continue.
Esempio. Si consideri la funzione f : R2 R definita da f (x, y) = sin(xy + x2 ).
Essa risulta continua in quanto composizione delle funzioni continue p(x, y) = xy + x2
(polinomio in due variabili) e g(t) = sin(t) (funzione continua su R).

CAPITOLO 8

Calcolo Differenziale per Funzioni Reali di pi`


u Variabili
In questo capito si estender`
a il concetto di derivazione alle funzioni di pi
u variabili reali.
Introduciamo la definizione di intorno circolare di un punto in RN . Per x0 RN e r > 0,
definiamo intorno (circolare) di raggio r linsieme


Br (x0 ) := x RN : kx x0 k < r .
Esso rappresenta il luogo dei punti che hanno distanza minore di r da x0 . Se N =
1, cio`e x0 R e r > 0, allora linsieme Br (x0 ) = {x R : |x x0 | < r} `e dato
dallintervallo (x0 r, x0 + r). In R2 esso geometricamente rappresenta il cerchio (esclusa
la circonferenza) di centro x0 e raggio r ed in R3 la sfera (esclusa la superficie sferica)
di centro x0 e raggio r.
Definizione 8.1. Dato un sottoinsieme X RN , un punto x0 si dice interno a X se
esiste r > 0 tale che lintorno Br (x0 ) X. Inoltre X si chiama
aperto se ogni x0 X `e interno,
chiuso se il complemento RN \ X `e aperto.
Se il punto `e interno al dominio di una funzione, vuol dire che possiamo avvicinarci al
punto da ogni direzione rimanendo allinterno del dominio.
I Concetti di Derivabilit`
a in RN
Mentre per le funzioni reali di una variabile esiste soltanto un concetto di derivabilit`a
scopriremo in seguito che per funzioni di pi`
u variabili la situazione `e pi`
u complicata.
Derivate Parziali e Derivabilit`
a. Una prima generalizzazione del concetto di derivata `e data dalla seguente
Definizione 8.2. Sia f : X RN R e x0 = (x01 , . . . , x0N ) X un punto interno di
X. Se, dato i {1, . . . , N } esiste
f (x01 , . . . , x0i1 , x0i + h, x0i+1 , . . . , x0N ) f (x01 , . . . , x0i , . . . , x0N )
f
=:
(x0 ) R
h0
h
xi
lim

allora f si dice derivabile parzialmente rispetto xi in x0 con derivata parziale


Altre notazioni: fxi (x0 ) = Dxi f (x0 ).

f
xi (x0 ).

Osservazione. Per N = 2, abbiamo la derivate parziali rispetto x


f (x0 + h, y0 ) f (x0 , y0 )
f
lim
=:
(x0 , y0 ) = fx (x0 , y0 )
h0
h
x
e rispetto y
f (x0 , y0 + h) f (x0 , y0 )
f
lim
=:
(x0 , y0 ) = fy (x0 , y0 )
h0
h
y
Osservazione. Per spiegare il significato delle derivate parziali consideriamo il caso
N = 2. La derivata parziale rispetto x corrisponde a fare la derivata ordinaria (cio`e
rispetto una variabile) della funzione g(x) := f (x, y0 ) che `e la restrizione di f alla retta
y = y0 , cfr. Figura 76.
Quindi fx (x0 , y0 ) fornisce informazioni sulla crescenza/decrescenza di f lungo la retta
y = y0 nellintorno del punto (x0 , y0 ). Uninterpretazione analoga vale per fy (x0 , y0 ).
123

124

8. CALCOLO DIFFERENZIALE

z=f(x,y)

y0
x0

y
P =(x0,y0)

x=x

y=

y0

h(y)=f(x0,y)
g(x)=f(x,y0)

x
fx (x0,y0)=g 0(x0)=tan()

y0

x0

fy(x0,y0)=h0(y0)=tan()

Figura 76. Derivate parziali.

Osservazione. Per calcolare le derivate parziali di una funzione, se le funzioni che la


compongono sono derivabili, `e sufficiente derivare in maniera ordinaria, considerando le
altre variabili come costanti. Ad esempio
f
f
2
x (x, y) = 6x y + 3y, y (x, y) =
xy f
xy + 2y
f (x, y) = exy + y 2 , allora f
x (x, y) = y e , y (x, y) = x e
f
f (x, y, z) = cos(xyz), allora f
x (x, y, z) = yz sin(xyz), y (x, y, z)

Se f (x, y) = 2x3 y y 2 + 3xy, allora


Se
Se

f
z (x, y, z)

2x3 2y + 3x
= xz sin(xyz),

= xy sin(xyz)

Se pero le funzioni che intervengono non sono derivabili, bisogna passare attraverso la
definizione di derivate parziale. Sia f (x, y) = |x|y, allora in un punto del tipo (0, y), non
possiamo derivare direttamente rispetto x, ma dobbiamo passare attraverso la definizione
f (h, y) f (0, y)
|h|y
fx (0, y) = lim
= lim
=
h0
h0 h
h

@ se y 6= 0,
0 se y = 0.

Definizione 8.3. Sia f : X RN R e x0 X interno a X. Se f `e derivabile parzialmente rispetto xi in x0 per ogni i {1, . . . , N }, allora f si dice derivabile (parzialmente)

` IN RN
I CONCETTI DI DERIVABILITA

125

in x0 . In tal caso si pu`


o definire il vettore delle derivate parziali


f
f
Df (x0 ) =
(x0 ), . . . ,
(x0 ) RN
x1
xN
Tale vettore si chiama gradiente di f in x0 . Inoltre si usano anche le notazioni Df (x) =:
grad f (x) =: f (x) nabla di f .
Esempio. Se f (x, y) = 2x3 y y 2 + 3xy, allora Df (x, y) = (6x2 y + 3y, 2x3 2y + 3x).
Osservazione. Avendo dato una definizione di derivabilit`a `e naturale chiedersi se essa
gode delle stesse propriet`
a del caso unidimensionale. Il seguente esempio mostra che non
`e cos`!! Consideriamo la funzione
 xy
se (x, y) 6= (0, 0),
x2 +y 2
f (x, y) =
0
se (x, y) = (0, 0).
Abbiamo verificato (cfr. pagina 120) che tale funzione non ammette limite e quindi non
`e continua in (0, 0). Tuttavia in (0, 0) esistono le derivate parziali
f
f (h, 0) f (0, 0)
0
(0, 0) = lim
= lim = 0
h0
h0 h
x
h
e analogamente

f
y (0, 0)

= 0.

Questa osservazione ci porta a concludere che la precedente definizione di derivabilit`a


non `e la corretta generalizzazione di quella unidimensionale. Si osservi che daltra parte la continuit`
a non implica la derivabilit`a, poiche ad esempio la funzione f (x, y) =
p
x2 + y 2 = k(x, y)k `e continua, ma non `e derivabile in (0, 0).
Per trovare la giusta generalizzazione del concetto di derivabilit`a dal caso unidimensionale a quello di pi`
u variabili ricordiamo che per una funzione reale f : (a, b) R e
x0 (a, b) di una variabile le seguenti affermazioni sono equivalenti, cfr. pagina 65.
(a) f `e derivabile in x0 , cio`e lim

h0

f (x0 +h)f (x0 )


h

converge.

(b) Esiste A R tale che f (x) = f (x0 ) + A (x x0 ) + o(x x0 ) per x x0 e in quel


caso A = f 0 (x0 ).
Differenziabilit`
a. Abbiamo visto che generalizzando la prima propriet`a sulla convergenza dei rapporti incrementali non si ottiene una propriet`a soddisfacente in RN . Nella
prossima definizione seguiamo il secondo approccio.
Definizione 8.4. Sia f : X RN R e x0 X un punto interno di X. Se esiste un
vettore A RN tale che
f (x) = f (x0 ) + A (x x0 ) + o(kx x0 k)

per x x0

allora f si dice differenziabile in x0 (il simbolo denota in questo caso il prodotto


scalare tra vettori in RN ).
Osservazioni.
Se f `e differenziabile in x0 , allora risulta che f e anche derivabile
in x0 e A = Df (x0 ). Quindi si ha
f (x) = f (x0 ) + Df (x0 ) (x x0 ) + o(kx x0 k)

per x x0 .

In particolare segue
differenziabilit`
a derivabilit`
a
Si dimostra come nel caso di R che la
differenziabilit`
a continuit`
a
Quindi derivabilit`
a e continuit`a sono condizioni necessarie ma non sufficienti per
la differenziabilit`
a (si veda losservazione sulla pagina 125)

126

8. CALCOLO DIFFERENZIALE

Ricordando la definizione di o() la condizione f (x) = f (x0 ) + Df (x0 ) (x x0 ) +


o(kx x0 k) per x x0 si pu`
o riscrivere come

f (x) f (x0 ) + Df (x0 ) (x x0 )
lim
=0
(limite in R!)
xx0
kx x0 k
Il termine lineare nella definizione di differenziabilit`a fornisce lequazione
z = p(x) = f (x0 ) + Df (x0 ) (x x0 )
del piano tangente p al grafico di f nel punto x0 , cio`e il piano (o pi`
u propriamente
liperpiano) che localmente ha un unico punto di intersezione con il grafico di f ,
cfr. Figura 77. Si osserva che per N = 2 lequazione del piano tangente `e data da

p(x, y) = f (x0 , y0 ) + fx (x0 , y0 ), fy (x0 , y0 ) (x x0 , y y0 )
= f (x0 , y0 ) + fx (x0 , y0 ) (x x0 ) + fy (x0 , y0 ) (y y0 ).
p(x,y)

f(x,y)
x0

y0
(x0,y0)

Figura 77. Piano tangente.


La seguente proposizione fornisce una condizione sufficiente per la differenziabilt`a che a
volte risulta pi`
u semplice da verificare.
Proposizione 8.5. Sia f : X RN R e x0 X un punto interno di X. Se esiste
r > 0 tale che f `e derivabile con continuit`
a in Br (x0 ) (cio`e le derivate parziali esistono
e sono continue in Br (x0 )) allora f `e differenziabile in x0 .
Riassumendo abbiamo (per N > 1)
f differenziabile

f continua

=
=
6

f derivabile parzialmente

=
6
6=

=
=
6

=
=
6

f derivabile con continuit`


a

Derivate Direzionali. Concludiamo le varie definizioni di derivabilit`a con quella di


derivata direzionale.
Definizione 8.6. Sia f : X RN R, x0 X un punto interno di X e v RN un
versore, cio`e kvk = 1. Se esiste
f (x0 + hv) f (x0 )
f
=:
(x0 ) R
h0
h
v
lim

allora f si dice derivabile rispetto la direzione v in x0 con derivata direzionale


Altre notazioni: fv (x0 ) = Dv f (x0 ).

f
v (x0 ).

` IN RN
I CONCETTI DI DERIVABILITA

127

Osservazione. La derivata direzionale rispetto x corrisponde a fare la derivata ordinaria (cio`e rispetto una variabile) della funzione F (t) = f (x0 + tv), t R, che `e la restrizione della f alla retta y = x0 + tv. Quindi essa fornisce informazioni sul comportamento
(crescenza/decrescenza) della f lungo tale retta nellintorno del punto x0 . i-esimo
z}|{
Se v coincide con i-esimo vettore della base canonica di RN , cio`e v = (0, . . . , 0, 1 , 0, . . . , 0)
f
allora f
v (x0 ) coincide con la i-sima derivate parziale xi (x0 ), cfr. Figura 78.
F(t)=f(P0 +tv)

z=f(x,y)

Dv f(x0,y0)=F (0)=tan(')
'

y0
x0
x

)
v=(v 0,v 1
P0=(x0,y0)

Figura 78. Derivata direzionale.


Si ha il seguente importante teorema che lega gradiente e derivate direzionali. Oltre a
fornire una semplice regola per il calcolo delle derivate direzionale, esso ha applicazioni
in fisica.
Teorema 8.7 (Teorema del gradiente). Sia f : X RN R, x0 X interno a X e
v RN un versore. Se f `e differenziabile in x0 allora
f
(x0 ) = Df (x0 ) v
v
Osservazione. Dal teorema precedente segue che se f `e differenziabile in x0 , allora in
x0 esistono le derivate direzionali secondo ogni direzione v.


Esempio. Sia f (x, y) = 2x3 y y 2 + 3xy, v = 12 , 12 e (x, y) = (1, 1). Allora





f
12
(1, 1) = Df (1, 1) 12 , 12 = (9, 3) 12 , 12 = 92 + 32 =
=6 2
2
v
Osservazione. Diamo ora due significative propriet`a geometriche del gradiente.
1) Dal teorema del gradiente si ha che
f
Df (x0 )
(x0 ) = max Df (x0 ) v = Df (x0 )
kDf (x0 )k
v: kvk=1 v
v: kvk=1
max

visto che il prodotto scalare tra due vettori `e massimo se i due vettori sono paralleli e
concordi. Quindi la derivata direzionale `e massima nella direzione del gradiente. Ricordando linterpretazione della derivata direzionale come misura del tasso di crescita di f
in una data direzione, possiamo concludere che il gradiente Df punta nella direzione di
massima crescita di f . Inoltre, Df punta nella direzione di massima decrescita di f .
2) Consideriamo ora la curva di livello di f per il punto x0 , cio`e


f (x0 ) = x X : f (x) = f (x0 ) .
Supponendo che f (x0 ) sia una curva regolare (potrebbe non essere vero), sia il versore
tangente a f (x0 ) in x0 . Poiche f `e costante su f (x0 ) e muoversi lungo la direzione
corrisponde, a meno di termini di ordine superiore, a muoversi lungo la curva f (x0 ) , si
ha euristicamente
f
(x0 ) = 0.

128

8. CALCOLO DIFFERENZIALE

Quindi dal Teorema del Gradiente segue


f
(x0 ) = Df (x0 ) = 0

Ricordando che il prodotto scalare tra due vettori `e nullo solo se i due vettori sono
perpendicolari, concludiamo che Df (x0 ) `e ortogonale alla curva di livello di f per x0 ,
cfr. Figura 79.

Figura 79. Grafico e linee di livello con gradiente.

Derivate di Ordine Superiore


f
`e nuovaDefinizione 8.8. Se f `e derivabile parzialmente rispetto xi ed `e tale che x
i
mente derivabile parzialmente rispetto la variabile xj , allora possiamo definire



f
2f
=:
= derivata seconda di f rispetto xi e xj =: Dx2i ,xj f =: fxi ,xj
xj xi
xi xj

e si pu`o continuare in questa maniera considerando derivate parziali di ordine superiore.


Esempio. Sia f (x, y) = 2x3 y y 2 + 3xy, allora fxx (x, y) = 12xy, fyy (x, y) = 2,
fxy (x, y) = fyx (x, y) = 6x2 + 3.
`
Osserviamo che le derivate parziali fxy e fyx coincidono nellesempio precedente. E
2f
2f
naturale chiedersi se conta lordine rispetto cui deriviamo, cio`e se xi xj = xj xi . Il
seguente teorema garantisce che sotto opportune condizioni lordine non `e importante.
Teorema 8.9 (Teorema di Schwarz). Sia f : X RN R, x0 X, interno. Se in
2f
2f
x0 esistono e sono continue entrambe le derivate parziali xi x
(x0 ) e xj x
(x0 ), allora
j
i
esse coincidono, cio`e
2f
2f
(x0 ) =
(x0 ).
xi xj
xj xi
Supponiamo che la funzione f ammetta in x0 tutte
la matrice N N definita nel seguente modo
2f
2f
x1 x1 (x0 )
x1 x2 (x0 )
2f
2f
x2 x1 (x0 ) x2 x
(x0 )
2
Hf (x0 ) =
..
..

.
.
2f
2f
xN x1 (x0 ) xN x2 (x0 )

le derivate seconde e consideriamo


...
...
..
.
...

2f
x1 xN (x0 )
2f
x2 xN (x0 )

..
.

2f
xN xN (x0 )

DERIVATE DI ORDINE SUPERIORE

129

Quindi nelli-esima riga abbiamo le derivate seconde fatte prima rispetto alla variabile
xi e poi rispetto alle altre variabili (in ordine crescente). La matrice Hf (x0 ) `e detta
matrice di Hesse (oppure semplicemente Hessiana) di f in x0 .
Dal teorema di Schwarz segue che la Hessiana `e simmetrica.
Si vedr`a nel corso di Analisi Matematica 2 che questo fatto ha importanti conseguenze
nella ricerca degli estremi locali di funzioni di pi`
u variabili.
Esempio. Sia f (x, y) = 2x3 y y 2 + 3xy, allora


12xy
6x2 + 3
Hf (x, y) =
.
6x2 + 3
2

CAPITOLO 9

Funzioni a Valori Vettoriali


Fin qui abbiamo considerato il caso di funzioni il cui codominio fosse R. In questo
capitolo consideriamo il caso di funzioni il cui codominio `e uno spazio euclideo RM con
M 1.
Esempio. Consideriamo un punto materiale che si muove nello spazio in un intervallo
di tempo [0, T ]. Siano (x(t), y(t), z(t)) le sue coordinate al tempo t [0, T ]. Risulta cos`
definita una funzione a valori vettoriali f : [0, T ] R R3 , f (t) = x(t), y(t), z(t) .
Definizione 9.1. Una funzione f : X RN Y RM si dice funzione a valori
vettoriali.
Si osservi che definire una funzione f : RN RM equivale a dare M funzioni reali
fi : RN R, i = 1, . . . , M . Infatti ad ogni x = (x1 , . . . , xN ) RN associamo il vettore1
T
(y1 , . . . , yM )T = f (x) = f1 (x1 , . . . , xN ), . . . , fM (x1 , . . . , xN ) RM .
Ad esempio la funzione f : R2 R3 tale f (x, y) = (xy, exy , x2 ) `e definita dalle tre
funzioni fi : R2 R, i = 1, 2, 3, date dalle sue componenti, cio`e f1 (x, y) = xy, f2 (x, y) =
exy , f3 (x, y) = x2 . Si osservi che da questa identificazione segue che il dominio della
funzione a valori vettoriali `e dato dallintersezione dei domini delle sue componenti.
Utilizzando lidentificazione tra funzione a valori vettoriali e le sue componenti possiamo
facilmente estendere alcune definizioni date nel caso di funzioni reali di pi`
u variabili reali.
Definizione 9.2. Sia f : X RN RM , x0 RN , l = (l1 , . . . .lM ) RM , allora
limxx0 f (x) = l limxx0 fi (x) = li , i = 1, . . . , M (cio`e se la convergenza si ha
componente per componente).
u variabili segue
Osservazione. Dalle corrispondenti propriet`a dei limiti di funzioni di pi`
unicit`
a del limite;
regole per il calcolo dei limiti (in questo caso, poiche il codominio `e uno spazio vettoriale avremo somma e moltiplicazione per uno scalare componente per
componente);
limite della funzione composta.
Dalla definizione di limite deduciamo immediatamente la definizione di continuit`a
Definizione 9.3. Sia f : X RN RM e x0 X un punto di accumulazione di
X. Allora f si dice continua in x0 limxx0 f (x) = f (x0 ) o, equivalentemente,
limxx0 fi (x) = fi (x0 ), i = 1, . . . , M (cio`e tutte le componenti fi di f sono continue in
x0 ).
Definizione 9.4. f : X RN RM , x0 X, allora f si dice derivabile in x0
fi (x) `e derivabile in x0 , i = 1, . . . , M (cio`e tutte le componenti sono derivabili in x0 ).
Definizione 9.5. f : X RN RM , x0 X, allora f si dice differenziabile in x0
fi (x) `e differenziabile in x0 , i = 1, . . . , M (cio`e tutte le componenti sono differenziabili
in x0 ), cio`e se
fi (x) = fi (x0 ) + Dfi (x0 ) (x x0 ) + o(kx x0 k)
1Nel seguito (. . .)T = (..) indica il vettore trasposto.
.
130

per x x0 i = 1, . . . , M.

TRASFORMAZIONI REGOLARI DI COORDINATE

131

Osservazione. Introduciamo una notazione matriciale, che risulter`a utile anche in seguito, per riscrivere la precedente definizione di differenziabilit`a. Consideriamo f come
vettore colonna

f1 (x)

..
f (x) =
,
.
fM (x)
allora la matrice M N , detta matrice di Jacobi (o

f1
Df1 (x0 )
x1 (x0 )

..
.
..
Jf (x0 ) =
=
.
fM
DfM (x0 )
x1 (x0 )

Jacobiana) di f in x0 `e data da

f1
. . . x
(x0 )
N

..
..
.

.
.
...

fM
xN (x0 )

M N

Allora la condizione di differenziabilit`a si pu`o riscrivere in notazione matriciale come


f (x) = f (x0 ) + Jf (x0 ) (x x0 ) + o(kx x0 k)

per x x0 .

Derivata della Funzione Composta. Adesso diamo una regola per la Jacobiana della
funzione composta, che generalizza al caso delle funzioni a valori vettoriali la regola della
catena (cfr. pagina 52) per la derivata della funzione composta.
Teorema 9.6. Sia f : X RN Y RM differenziabile nel punto x0 X e
sia g : Y RM RK differenziabile in y0 := f (x0 ). Allora la funzione composta
g f : X RN RK `e differenziabile in x0 con

Jgf (x0 ) = Jg f (x0 ) Jf (x0 )
Questa formula si chiama Regola della Catena.
Osservazione. Ovviamente per N = M = K = 1 ritroviamo la regola della catena per
le funzioni reali di una variabile.
Esempio. Sia f : R R2 , g : R2 R, allora g f : R R, g f (s) = g(f1 (s), f2 (s)) e


  0
f1 (s)
g
g
0
(g f ) (s) = x (f1 (s), f2 (s)), y (f1 (s), f2 (s))
f20 (s)


g
g
=
f1 (s), f2 (s) f10 (s) +
f1 (s), f2 (s) f20 (s)
x
y
Trasformazioni Regolari di Coordinate
Un caso particolarmente importante delle funzioni a valori vettoriali `e quello in cui spazio
di partenza ed arrivo coincidono, cio`e M = N .
Definizione 9.7. Una funzione f : X RN Y RN si dice una trasformazione di
coordinate.
Un esempio di trasformazione di coordinate `e lapplicazione lineare (cfr. Corso di Geometria) f : RN RN , f (x) = A x, ove A `e una matrice N N (vedremo pi`
u avanti
altri esempi significativi). Sappiamo che se det(A) 6= 0, la trasformazione f si pu`o invertire, cio`e si pu`
o definire una trasformazione f 1 : RN RN (nel caso in questione
1
1
f (y) = A y) tale che f 1 (f (x)) = x e f (f 1 (y)) = y per ogni x, y RN .
Problema. Data una trasformazione di coordinate f : X RN Y RN , sotto
quali condizioni su f essa si pu`
o invertire? Cio`e sotto quali condizioni esiste la funzione
1
N
inversa f : Y R X RN ?

132

9. FUNZIONI A VALORI VETTORIALI

Definizione 9.8. Una trasformazione di coordinate f : X RN RN si dice regolare


se f C 1 (X) (cio`e le derivate parziali di f esistono e sono continue in X) e det(Jf (x)) 6=
0 eccetto al pi`
u alcuni punti 2 (detti punti singolari della trasformazione).
Si osservi che se det(Jf (x0 )) 6= 0 allora Jf (x0 ) `e una matrice invertibile. Si ha il seguente
teorema di invertibilit`
a locale.
Teorema 9.9. Sia f : X RN RN una trasformazione regolare di coordinate
e sia x0 X tale che det(Jf (x0 )) 6= 0. Allora esiste un intorno U (x0 ) di x0 e un
intorno V (y0 ) di y0 = f (x0 ) tale che f : U (x0 ) V (y0 ) `e invertibile. Inoltre linversa
f 1 : V (y0 ) U (x0 ) `e una trasformazione regolare di coordinate e
Jf 1 (y) = Jf1 (x)

y V (y0 )

ove Jf1 `e linversa della matrice Jacobiana di f e f (x) = y.


La formula precedente generalizza la formula di derivazione della funzione inversa (f 1 )0 (y0 ) =
1
f 0 (x0 ) a cui si riduce per N = 1, cfr. pagina 53. La condizione det(Jf (x0 )) 6= 0 equivale alla condizione f 0 (x0 ) 6= 0. Vediamo ora alcuni esempi di trasformazioni regolari di
coordinate.
Esempio. Consideriamo la trasformazione lineare associata alla matrice A = (aij )N N
cio`e
f (x) = A x = (a11 x1 + + a1N xN , . . . , aN 1 x1 + . . . aN N xN )T ,

x RN .

Allora Jf (x) = A per ogni x e det(Jf (x0 )) 6= 0 equivale a det(A) 6= 0. Ritroviamo in


questo caso il ben noto risultato: la trasformazione `e invertibile se e solo se A `e non
degenere, inoltre linversa non `e solo locale ma definita globalmente su RN .
Esempio (Coordinate Polari ). Vediamo ora le coordinate polari che abbiamo gi`a richiamato a pagina 120 come una trasformazione di coordinate.

#
x
Figura 80. Coordinate polari.
Sia
f : [0, ) [0, 2) R2
(, ) 7 cos(), sin()

T

cio`e essa fa corrispondere alla coppia (, ) il punto del piano di coordinate cartesiane
(x, y) = ( cos(), sin()). Per questa trasformazione si ha


cos() sin()
Jf (, ) =
sin() cos()
quindi det Jf (, ) = cos2 () + sin2 () = . Quindi lorigine, che corrisponde a = 0
`e lunico punto singolare della trasformazione e di conseguenza le coordinate polari sono
una trasformazione regolare di coordinate.
2Per chiarire il significato di alcuni punti andrebbe introdotta una misura su RN . Basti sapere che la
condizione `e verificata se tali punti sono un insieme di dimensione N 1.

TRASFORMAZIONI REGOLARI DI COORDINATE

133

Esempio (Coordinate Cilindriche). Vediamo ora le coordinate cilindriche in R3 . Esse


sono data dalla terna (, , t) [0, ) [0, 2) R, cfr. Figura 81.

z=t

P=(x,y,z)
P=(,#,t)

y
#

Figura 81. Coordinate Cilindriche.


Il legame tra coordinate cilindriche e coordinate cartesiane `e dato dalle seguenti relazioni

x = cos(),
y = sin(),

z = t.
Come nel caso delle coordinate polari, possiamo vedere le coordinate cilindriche come
una trasformazione di coordinate in R3 definita nel seguente modo
f : [0, ) [0, 2) R R3
T
(, , t) 7 cos(), sin(), t
Per questa trasformazione si ha

cos() sin() 0
Jf (, , t) = sin() cos() 0
0
0
1
quindi det Jf (, , t) = e in questo caso linsieme dei punti singolari, che corrisponde
a = 0, `e lasse z. Di conseguenza le coordinate cilindriche sono una trasformazione
regolare di coordinate.
Esempio (Coordinate sferiche). Concludiamo infine con le coordinate sferiche in R3 .
Esse sono date dalla terna (, , ) [0, ) [0, 2) [0, ], cfr. Figura 82. Il passagio
da coordinate sferiche e coordinate cartesiane `e dato dalle seguenti relazioni

x = sin() cos(),
y = sin() sin(),

z = cos().
Le coordinate sferiche inducono la trasformazione di coordinate in R3 definita nel seguente modo
f : [0, ) [0, ] [0, 2) R3
T
(, , ) 7 sin() cos(), sin() sin(), cos()

134

9. FUNZIONI A VALORI VETTORIALI

P=(x,y,z)
P=(,',#)

'
y
#
x

Figura 82. Coordinate sferiche.


Per questa trasformazione si ottiene

sin() cos() cos() cos() sin() sin()


Jf (, , ) = sin() sin() cos() sin() sin() cos()
cos()
sin()
0
quindi det Jf (, , ) = 2 sin() ed anche in questo caso linsieme dei punti singolari,
che corrisponde a = 0 o sin() = 0, `e lasse z. Di conseguenza le coordinate sferiche
sono una trasformazione regolare di coordinate.

CAPITOLO 10

Calcolo Integrale per Funzioni di pi`


u Variabili
Integrali Doppi: Definizione e prime Propriet`
a
Per semplicit`
a considereremo solo il caso in cui la funzione da integrare `e definita da
2
R in R. Tuttavia la costruzione dellintegrale di Riemann che andiamo a descrivere
potrebbe essere ripetuta (con opportune notazioni) in RN . In questo caso il problema
geometrico `e il seguente
Problema. Data una funzione f : X R2 R limitata, calcolare il volume V
compreso tra il grafico di f e ed il piano xy.
Come nel caso degli integrali in una variabile, lidea `e di approssimare il volume V da
sotto e da sopra, cio`e per eccesso e per difetto. Si tenga conto pero che in questo caso
la geometria del dominio X pu`
o essere complicata e quindi difficile da scomporre in
sottodomini. Pertanto considereremo dapprima il caso in cui il dominio `e un rettangolo.
Domini Rettangolari. Consideriamo il caso in cui X = [a, b] [c, d]. Creiamo una
partizione di X in rettangoli a partire da partizioni di [a, b] e [c, d].
Data una partizione Px = {a = x0 < x1 < x2 < . . . < xn = b} di [a, b] e una
partizione Py = {c = y0 < y1 < y2 < . . . < ym = d} di [c, d], consideriamo una
partizione Pxy = Px Py di [a, b] [c, d] nei rettangoli
Rij = [xi1 , xi ] [yj1 , yj ]

i = 1, . . . , n, j = 1, . . . , m.

Se Pxy `e una partizione di [a, b] [c, d], allora definiamo per i = 1, . . . , n, j =


1, . . . , m


mij := inf f (x, y) : (x, y) Rij ,


Mij := sup f (x, y) : (x, y) Rij ,
|Rij | := (xi xi1 ) (yj yj1 ) = area del rettangolo Rij ,
s(f, Pxy ) :=

n X
m
X

mij |Rij | =: somma inferiore,

i=1 j=1

S(f, Pxy ) :=

n X
m
X

Mij |Rij | =: somma superiore.

i=1 j=1

Quindi per ogni partizione Pxy di X vale


s(f, Pxy ) V S(f, Pxy ),
cio`e le somme inferiori sono sempre approssimazioni di V per difetto mentre le somme
superiori danno sempre approssimazioni per eccesso. Perci`o
pi`
u grande `e s(f, Pxy ) migliore `e lapprossimazione,
pi`
u piccolo `e S(f, Pxy ) migliore `e lapprossimazione.
Se non c`e differenza tra la migliore approssimazione da sotto (cio`e quella pi`
u grande)
e quella migliore da sopra (cio`e quella pi`
u piccola), allora il problema `e (teoricamente)
risolto e f si dice integrabile.
135

136

10. CALCOLO INTEGRALE

Definizione 10.1. Sia f : X := [a, b] [c, d] R limitata. Se






sup s(f, Pxy ) : Pxy partizione di X = inf S(f, Pxy ) : Pxy partizione di X =: I,
allora f si dice integrabile (secondo Riemann). In questo caso si pone V = I e
ZZ
I =:
f (x, y) dx dy
X

si dice integrale doppio di f (= funzione integranda) in X (= dominio dellintegrazione).


Esempi.
Se f `e costante, cio`e f (x, y) = c per ogniRR
(x, y) X := [a, b][c, d] `e facile
verificare dalla definizione che f `e integrabile con X f (x, y) dx = c(ba)(dc).
Per costruire un esempio di funzione non integrabile, si pu`o estendere la funzione
di Dirichlet (cfr. pagina 42) in R2 . La funzione
(
1 se (x, y) ([a, b] \ Q) [c, d]
f (x, y) :=
0 se (x, y) ([a, b] Q) [c, d]
non `e integrabile. Infatti, come nel caso dellesempio unidimensionale, per ogni
partizione Px di [a, b] si ha che ogni intervallo [xi1 , xi ] contiene sia punti razionali
(in cui f ammette il valore 0) sia punti irrazionali (in cui f ammette il valore 1).
Quindi segue mij = 0 e Mij = 1 per ogni i = 1, 2, . . . , n, j = 1, 2, . . . , m. Cos`
risulta per ogni partizione Pxy
s(f, Pxy ) = 0 6= (b a) (d c) = S(f, Pxy )
per cui f non `e integrabile.
Domini Generali. Ora estendiamo la precedente costruzione al caso di un generico
sottoinsieme limitato di R2 e f : X R2 R. Dato R un rettangolo contenente X,
definiamo

f (x, y), se (x, y) X;
f (x, y) =
0,
se (x, y) R \ X.
cio`e estendiamo f ponendola 0 fuori da X. Si osservi che f `e definita in un rettangolo
e quindi per essa si pu`
o definire lintegrale come visto in precedenza.
Definizione 10.2. Sia f : X R limitata e X R2 limitato. Se dato R contenente
X, la funzione f definita come sopra risulta integrabile in R, allora f si dice integrabile
(secondo Riemann) in X. In questo caso si pone
ZZ
ZZ
f (x, y) dx dy :=
f (x, y) dx dy
R

o dimostrare che la definizione precedente `e indipendente dalOsservazione. Si pu`


la
RR scelta del rettangolo R. Daltra parte si osservi che il contributo allintegrale di
e nullo.
R f (x, y) dx dy dei rettangoli contenuti in R \ X `
A partire dalla definizione precedente si pu`o dare una definizione di misura (area) di un
insieme di R2 , tenendo conto che integrando la funzione identicamente 1 sul dominio X
si trova che il volume V del cilindro `e dato da V = 1 area(X), cfr. Figura 83.

z
y

1
x

|X|
Figura 83. La misura di uninsieme.

TEOREMA DI FUBINITONELLI

137

Ci`o giustifica la seguente


Definizione 10.3. Se X `e un insieme limitato tale che la sua funzione caratteristica

1X `e integrabile, allora si dice che X `e misurabile e si pone


ZZ
|X| :=

1 dx dy

= misura (= area) di X

Diamo ora alcune propriet`


a degli integrali doppi.
Propriet`
a dellIntegrale. Siano f, g : X R integrabili. Allora
f + g `e integrabile per ogni , R (cio`e linsieme delle funzioni integrabili
con dominio X `e uno spazio vettoriale) e
ZZ
ZZ
ZZ

g(x, y) dx dy
f (x, y) dx dy +
f (x, y) + g(x, y) dx dy =
X

(cio`e lintegrale `e un operazione lineare);


Se f (x, y) g(x, y) per ogni (x, y) X allora
ZZ
ZZ
g(x, y) dx dy
f (x, y) dx dy
X

(cio`e lintegrale `e monotono);


anche |f | `e integrabile e
Z Z
ZZ



f (x, y) dx dy
|f (x, y)| dx dy

X

(disuguaglianza triangolare).
Se |X| = 0, allora
ZZ
f (x, y) dx dy = 0
X

Se X = X1 X2 e |X1 X2 | = 0, allora
ZZ
ZZ
ZZ
f (x, y) dx dy =
f (x, y) dx dy +
X

X1

f (x, y) dx dy

X2

(additivit`
a dellintegrale rispetto alla misura di insiemi)
A questo punto, come nel caso di una funzione f : R R di una variabile, si pongono
due
Problemi. (i) Quali funzioni f : X R2 RRR sono integrabili?
(ii) Se f `e integrabile, come si pu`o calcolare X f (x, y) dx dy ?
Si tenga conto che, per il fatto che la geometria di X R2 pu`o essere molto complicata,
la risposta non sar`
a cos` semplice come nel caso di R.
Teorema di FubiniTonelli
Una prima risposta ai problemi precedenti si pu`o avere quando X ha due lati paralleli
agli assi cartesiani.
Definizione 10.4. Un insieme X R2 , limitato, si dice
(i) y-semplice se esistono due funzioni continue g1 , g2 : [a, b] R tali che


X = (x, y) R2 : x [a, b], g1 (x) y g2 (x)
(ii) x-semplice se esistono due funzioni continue h1 , h2 : [c, d] R tali che


X = (x, y) R2 : y [c, d], h1 (y) x h2 (y)
(iii) semplice se `e y-semplice o x-semplice

138

10. CALCOLO INTEGRALE

(iv) regolare se `e lunione di un numero finito di domini semplici.


y-semplice

x-semplice

g2(x)

h1(y)

h2(y)

X
a

g1(x)

c
x

Figura 84. Domini y- e x-semplici.


Osservazione. Si osservi che un dominio `e y semplice se `e un quadrangolo con due lati
paralleli allasse y e gli altri due lati dati dai grafici delle funzioni g1 e g2 (analogamente
per domini x-semplici).
Lidea del seguente teorema di FubiniTonelli `e quella di ridurre il calcolo dellintegrale
doppio al calcolo in successione di due integrali in una variabile.
Teorema 10.5 (Teorema di FubiniTonelli). Sia f : X R2 R una funzione
continua e X un insieme semplice. Allora f `e integrabile su X. Inoltre
(i) se X `e y-semplice
!
ZZ
Z b Z g2 (x)
f (x, y) dy dx
f (x, y) dx dy =
X

(ii) se X `e x-semplice
ZZ

g1 (x)

f (x, y) dx dy

f (x, y) dx dy =
X

h2 (y)

h1 (y)

Osservazione (Interpretazione geometrica di FubiniTonelli ). Sia X y-semplice. Per


x [a, b] fissato, si ponga
Z g2 (x)
A(x) =
f (x, y) dy.
g1 (x)

A(x) rappresenta larea della regione contenuta nel piano (x, y, z), x fissato, e sottesa al
grafico della funzione F (y) := f (x, y) per y [g1 (x), g1 (x)], cfr. Figura 85. La quantit`a
z

F(y)=f(x,y)

A(x)
dx
a

b
g1(x)

y
X

g2(x)

Figura 85. Il teorema di FubiniTonelli per X y-semplice.


A(x)dx = dV rappresenta il volume che si ottiene per uno spostamento infinitesimo della

TEOREMA DI FUBINITONELLI

139

variabile
x. Integrando rispetto x [a, b], riotteniamo il volume complessivo e quindi
RR
f
(x,
y)
dx dy.
X
Esempio. Calcolare
ZZ
2x2 y dx dy



X = (x, y) R2 : x [0, 1], x + 1 y 2 .

ove

Il dominio si presenta gi`


a nella forma di un dominio y-semplice (si osservi che X `e anche
x-semplice, infatti X = {(x, y) R2 : y [1, 2], 0 x y 1}). Quindi
 2 2

ZZ
Z 1 Z 2
Z 1
2
2
2 y
2x y dx dy =
2x y dy dx =
2x
dx
2 y=x+1
X
x=0
y=x+1
x=0
 3
1
Z 1
x
x5
x4 x3
3
2
4
3
2
(4x x 2x x ) dx = 4
=
2
=
3
5
4
3 x=0 10
x=0
R2
Si osservi che nellintegrale x+1 2x2 ydy, poiche lintegrazione `e fatta rispetto alla variabile y, la variabile x si pu`
o considerare come una costante.
Esempio. Calcolare
ZZ
sin(y 3 ) dx dy

ove

X = (x, y) R2 : x [0, 1], x y 1 .

Anche in questo caso, il dominio si presenta gi`a nella forma di un dominio y-semplice,
tuttavia se applichiamo la formula per domini y-semplici

ZZ
Z 1 Z 1
3
3
sin(y )dy dx
sin(y ) dx dy =

sin(y 3 )

la funzione integranda
non `e integrabileelementarmente rispetto y. Osserviamo

che il dominio `e anche x-semplice, infatti X = (x, y) R2 : y [0, 1], 0 x y 2 .
y-semplice

x-semplice
g2(x)=1
1

h1(y)=0

p
g1(x)= x

h2(y)=y2

Figura 86. Dominio y- e x-semplice.


Quindi
ZZ
Z
3
sin(y ) dx dy =
X

y2
3

sin(y )dx dy =
0

1
= cos(y 3 )
3

1
0

2
[x]y0

sin(y )dy =

y 2 sin(y 3 )dy

1
= (1 cos(1))
3

Quindi in alcuni casi pu`


o essere conveniente vedere il dominio come semplice rispetto
ad una variabile piuttosto che allaltra.

140

10. CALCOLO INTEGRALE

Osservazione. Si osservi che dal teorema di FubiniTonelli segue che se X = [a, b]


[c, d] e f (x, y) = f1 (x) f2 (y), allora
ZZ
Z b
Z d
f (x, y) dx dy =
f1 (x)dx
f2 (y)dy.
X

Cambiamento di Variabili negli Integrali Doppi


Il risultato seguente estende al caso degli integrali doppi la formula di integrazione per
sostituzione che abbiamo visto per gli integrali di funzioni reali, cfr. pagina 97.
Teorema 10.6. Sia f : X R2 R integrabile e sia
: X 0 R2 R2
(u, v) 7 (u, v) = (x, y)
una trasformazione regolare di coordinate tale che (X 0 ) = X. Allora
ZZ
ZZ


f (u, v) det J (u, v) du dv
f (x, y) dx dy =
X0

ove J `e la Jacobiana della trasformazione .


Osservazione. Si osservi che dal teorema sulla invertibilit`a locale della Jacobiana (cfr.
pagina 132) segue per (u, v) = (x, y)

1
.
det J (u, v) = det J1
1 (x, y) =
det J1 (x, y)
Osservazione (Giustificazione geometrica). In prima approssimazione vale
(u + du, v) (u, v) + u (u, v) du
(u, v + dv) (u, v) + v (u, v) dv
(u + du, v + dv) (u, v) + u (u, v) du + v (u, v) dv
Inoltre, se =

1
2

, abbiamo
 1

w1 := u du =

u
2
u


du
du

 1
w2 := v dv =

v
2
v

dv
dv


.

Visto che larea del parallelogramma generato da w1 e w2 `e dato da | det(w1 , w2 )| (cfr.


corso di Geometria), dalla linearit`
a del determinante in ogni colonna segue
dA0 = | det(w1 , w2 )| = | det J (u, v)| du dv.
y

'

(u,v+dv)
'(u,v+dv)

(u+du,v+dv)

'(u+du,v+dv)
dA=dudv
0

dA jdet(w1,w2)j

w2 'vdv
'(u,v)

w1'udu

(u,v)

'(u+du,v)

Figura 87. Cambiamento di variabili.

(u+du,v)

CAMBIAMENTO DI VARIABILI NEGLI INTEGRALI DOPPI

141

Come abbiamo visto a pagina 132, nel caso specifico delle coordinate polari otteniamo
det J = e quindi
dA0 = d d
come dimostra anche Figura 88.

y
d#

dA0 dd#
d

d#
#

+d

Figura 88. Cambiamento di variabili per coordinate polari.

Esempio. Calcolare
ZZ
xy dx dy

ove



X = (x, y) R2 : x2 + y 2 1, 0 y x .

In questo tipo di problemi `e opportuna dapprima disegnare il grafico.


y
y0

1
/4

X0

X
-1

x2+y21

yx
-1

Figura 89. Dominio in coordinate cartesiane e polari.


Si osserva che il dominio `e semplice. Per`o il dominio essendo un settore circolare, `e
facilmente rappresentabile in coordinate polari.


X 0 = (, ) [0, ) [0, 2) : 0 1, [0, 4 ] = [0, 1] [0, 4 ].
Quindi possiamo vedere X = (X 0 ) ove `e la trasformazione del piano indotta dalle coordinate polari. Dal teorema precedente, ricordando che det J (, ) = (vedi
pagina 132), si ha (`e importante non dimenticare il termine | det J | = !!)
ZZ
ZZ
xy dx dy =
cos() sin() d d
X

[0,1][0, 4 ]

142

10. CALCOLO INTEGRALE

Il dominio X 0 nel piano (, ) `e un rettangolo, quindi ricordando losservazione su


pagina 140, si ha
Z
ZZ
Z 1
4
3
3
d
cos() sin() d d =
cos() sin() d =
[0,1][0, 4 ]

 

1 4 1 sin2 () 4
1
=

=
4
2
16
0
0


Esempio. Calcolare
ZZ
(x + y) dx dy

ove


X = (x, y) R2 : 1 xy 2, 1

y
x


2 .

Si osservi che non `e facile esprimere X come dominio semplice. Invece `e pi`
u facile introdurre le variabili u = xy, v = xy . Cos` si ottiene che il dominio di integrazione nelle nuove
variabili (u, v) `e dato da X 0 = {(u, v) R2 : 1 u 2, 1 v 2} = [1, 2] [1, 2],
quindi `e un quadrato nel piano (u, v).
y

y/x=1

y/x=2

'

X0

X
xy=2

xy=1

x
0

Figura 90. Dominio in coordinate cartesiane e (u, v).


Avendo data la trasformazione 1 : (x, y) 7 (u, v) = (xy, xy ), dobbiamo prima trovare
: (u, v) 7 (x, y) = (u, v). Da

u = xy
v = xy
ricavando prima x nella prima equazione e sostituendo nella seconda, si ottiene
r

u
(u, v) = (x, y) =
, uv .
v
Ci`o implica
p !
1
12 vu3
2 uv
J (u, v) =
pv
pu
1
1
2
1
quindi det J (u, v) = 2v
. Da cui
ZZ
ZZ
(x + y) dx dy =
X

r

u
+ uv
v

1
du dv
2v
[1,2][1,2]
#2
Z 2 r

3
Z 2
Z 2"
1
u
2 u2
2 3
+ u 2 v dv
=
+ uv du dv =
v
3 v 3
1 2v
1
1
1

Z 2 1

2
2 
1
2 
1
=
81
8 1 2 1 + 2 v
3 +
1 dv =
3
3
1 v2
v2
v2
1



1
= ... =
4 2
3

CAMBIAMENTO DI VARIABILI NEGLI INTEGRALI DOPPI

143

Altri Esempi.
Calcolare la misura |X| del dominio X R2 che in coordinate
polari `e data da


X 0 = (, ) : [0 , 1 ], 0 R()
per una funzione continua R : [0 , 1 ] [0, +), cfr. Figura 91.
'

X0
R(#)

=R(#)
X
#1

#0

x
#

#0

#1

Figura 91. Dominio in coordinate cartesiane e polari.


Visto che il dominio X 0 `e -semplice, passando alle coordinate polari otteniamo
ZZ
ZZ
|X| =
1 dx dy =
d d
Z

X0

X
1 Z R()

Z
d d =

1
=
2

1 h 2 i=R()

=0

R2 () d.

Per dare unesempio concreto


 calcoliamo larea della spirale
di Archimede data in
coordinate polari da X 0 := (, ) : [0, 2], 0 ) , cfr. Figura 92.
y

'

/2
2
2

x
X0

3/2

Figura 92. La spirale di Archimede.


In questo caso R() = e quindi otteniamo
Z
1 2 2
1 3 2
4
|X| =
d = = 3 .
2 0
2 3 0
3
Calcolare
ZZ


2
2
IR :=
e(x +y ) dx dy
per XR := (x, y) : x2 + y 2 R2 .
XR

144

10. CALCOLO INTEGRALE

Per risolvere lintegrale passiamo alle coordinate polari. Visto che il cerchio XR in
0 = [0, R] [0, 2] in coordinate
coordinate cartesiane corrisponde al rettangolo XR
polari risulta (usando losservazione a pagina 140)
Z 2
Z R
Z R Z 2
2
2
d
e d
e d d =
IR =
=
Osserviamo che

0
2

R
2
2 0 = 1 eR .

2
lim IR = . Visto che per R + (in un certo senso)

R+

XR R2 = (, +) (, +) segue (usando di nuovo losservazione


a pagina 140)
ZZ
Z + Z +
2
2
(x2 +y 2 )
=
e
dx dy =
ex ey dx dy

(,+)(,+)

ex dx

ey dy =

Z

ex dx

2
.

Quindi siamo riusciti a calcolare


Z +

ex dx =

che non `e possibile usando una primitiva di ex , cfr. losservazione a pagina 102.
Invece, passando alle coordinate polari, grazie al fattore = det(J ), si passa da
2
2
ex a e che `e molto semplice da integrare.
Integrali Tripli
In questa sezione ci occupiamo del calcolo degli integrali tripli
ZZZ
f (x, y, z) dx dy dz
X

R3

per una funzione f : X


R. Interpretando f (x, y, z) come densit`a di un corpo
X R3 nel punto (x, y, z), tale integrale rappresenta la massa totale m del corpo.
Per quanto riguarda la definizione di integrabilit`a e di integrale si pu`o ripetere una
costruzione simile a quella per gli integrali doppi, definendo prima lintegrale in un
parallelepipedo che si pu`
o facilmente suddividere attraverso una partizione in parallelepipedi. Quindi definendolo in un generico insieme X considerando un parallelepipedo
contenente linsieme ed estendendo la funzione a 0 fuori da X. Valgono le stesse propriet`a
degli integrali doppi cfr. pagina 137.
Per un insieme X R3 , la sua misura (= volume) si definisce
ZZZ
|X| :=
1 dx dy dz (:= misura di X)
X

Teorema di FubiniTonelli in R3 . Vediamo come si estende al caso degli integrali


tripli la formula di FubiniTonelli. Come visto per gli integrali doppi, le formule di
FubiniTonelli riconducono il calcolo di un integrale dato attraverso il calcolo di integrali
in dimensione pi`
u bassa.
Definizione 10.7. Un insieme X R3 , limitato, si dice
(i) z-semplice se esistono due funzioni continue g1 , g2 : D R2 R tali che


X = (x, y, z) R3 : (x, y) D, g1 (x, y) z g2 (x, y)
(analoghe definizioni per insiemi y-semplici o x-semplici).
(ii) semplice se `e z-semplice, y-semplice o x-semplice

INTEGRALI TRIPLI

145

Si osservi che un dominio z-semplice `e un cilindro con la superficie laterale parallela


allasse z e le basi date dai grafici di g1 e g2 .
Teorema 10.8 (Integrazione per fili ). Sia f : X R3 R una funzione continua e X
un insieme semplice. Allora f `e integrabile su X. Inoltre se X `e z-semplice
!
Z
Z
ZZZ
g2 (x,y)

f (x, y, z)dz

f (x, y, z) dx dy =
D

dx dy

g1 (x,y)

(analoghe formule per un insieme y-semplice o x-semplice).


Per risolvere lintegrale triplo dobbiamo quindi calcolare lintegrale nella variabile z tra
le parentesi tonde (integrazione sul filo, cfr. grafico), e quindi un integrale doppio nelle
variabili x, y (sommando i contributi di tutti i fili).
g2(x,y)

g1(x,y)
a

y
(x,y)
D

Figura 93. Integrazione per fili.

Esempio. Calcolare
p
1 x2 + y 2 }. Si ha

RRR
X

z dx dy dz ove X = {(x, y, z) R3 : x2 + y 2 1, 0 z

ZZZ

ZZ

z dx dy dz =

x2 +y 2

zdz
{(x,y)R2 : x2 +y 2 1}

Z
=
{(x,y)R2 : x2 +y 2 1}

dxdy =

p
1
(1 x2 + y 2 )2 dxdy
2

Per risolvere lultimo lintegrale possiamo utilizzare il cambiamento di variabili in coordinate polari. In coordinate polari il cerchio {(x, y) R2 : x2 + y 2 1} corrisponde al
quadrato {(, ) : 0 1, 0 2}. Quindi
Z
Z 1
Z 2
p
1
1
2
2
2
2
(1 x + y ) dxdy =
(1 ) d
d =
{(x,y)R2 : x2 +y 2 1} 2
0 2
0
Z 1
1

(3 22 + ) d =
12
0

146

10. CALCOLO INTEGRALE

Vediamo ora unaltra tecnica di riduzione per il calcolo degli integrali tripli. Assumiamo
che il nostro insieme X si possa rappresentare nella forma
X = {(x, y, z) R3 : z [a, b], (x, y) Dz }
ove per ogni z fissato , Dz (strato) `e un insieme del piano su cui f (x, y, z) `e integrabile
rispetto (x, y). In altre parole X `e lunione degli strati Dz al variare di z [a, b].
Teorema 10.9 (Integrazione per strati ). Sia f : X R3 R una funzione continua e
X = {(x, y, z) R3 : z [a, b], (x, y) Dz }. Allora

Z b Z
ZZZ
f (x, y, z) dx dy dz.
f (x, y, z) dx dy =
a

Dz

Quindi calcoliamo prima un integrale doppio (integrazione su ogni strato) e poi un


integrale in z (sommando i contributi di tutti gli strati). Analoghe formula si hanno
quando gli strati si presentano rispetto alla variabile x o y.
z

b
Db

z
Dz

X
y
a
Da

Figura 94. Integrazione per strati.


RRR 2
2
3
2
2
Esempio. Calcolare
X x + y dx dy dz ove X = {(x, y, z) R : z [0, 1], x + y
2
2
2
2
2
z }. In questo caso gli strati sono gli insiemi Dz = {(x, y) R : x + y z }, cio`e
cerchi di centro (0, 0) e raggio z.
!
ZZZ
Z 1 Z
2
2
2
2
x + y dx dy dz =
x + y dx dy dz
X

{(x,y): x2 +y 2 z 2 }

Lintegrale tra parentesi tonde si pu`o facilmente risolvere attraverso le coordinate polari.
Quindi

ZZZ
Z 1 Z 2
Z z
x2 + y 2 dx dy dz =
d
3 d dz =
X

Z
0

0
1

z4

z5
2 dz =
4
10


1
=
0

10

Consideriamo unaltro esempio che risolveremo sia con integrazione per fili sia per strati.
Esempio. Calcolare la massa m di un tetraedro con i vertici (0, 0, 0), (1, 0, 0), (0, 1, 0) e
(0, 0, 1) e la densit`
a f (x, y, z) = 1 z nel punto (x, y, z).

INTEGRALI TRIPLI

147

Allora i punti appartenendo al tetraedro sono dati da




X = (x, y, z) R3 : x, y, z 0, x + y + z 1
e quindi abbiamo
ZZZ
(1 z) dx dy dz.

m=
X

Questo integrale si pu`


o risolvere in entrambi i modi.
Soluzione con integrazione per fili . Come si vede dal grafico il dominio X `e z-semplice:


X = (x, y, z) R3 : (x, y) D, 0 z 1 x y
con


2
D = (x, y) R : y [0, 1], 0 x 1 y .
Quindi risulta
z
1

z=1-x-y

y
x=1-y

Figura 95. Esempio integrazione per fili.

Z Z Z

1xy


(1 z) dz

m=
D
0
1 Z 1y

dx dy =

Z Z 
D

z 2  z=1xy
z
dz

2 z=0


dx dy



(1 x y)2
=
1xy
dx dy
2
0
0

Z 1
(1 x y)2 (1 x y)3 x=1y
+
dy
=


2
6
x=0
0



Z 1
(1 y)2 (1 y)3
(1 y)3 (1 y)4 y=1
=

dy =


2
6
6
24
0
y=0
1
1
1
=
= .
6 24
8
Z


Soluzione con integrazione per strati . Come si vede dal grafico il dominio X si pu`o
scomporre negli strati


Dz := (x, y, z) R3 : y [0, 1 z], 0 x 1 y z , z [0, 1].

148

10. CALCOLO INTEGRALE

Dz
z
x=1-y-z
1

y
1-z
1

Figura 96. Esempio integrazione per strati.


Quindi risulta
Z 1 Z Z
m=
0


(1 z) dx dy

Dz
1z

1Z

1 Z 1z

1yz

(1 z) dx dy dz

dz =
0

x (1

x=1yz
z)|x=0
dydz

1Z

0
1z

(1 y z) (1 z) dy dz

=
0

0
1


Z
(1 y z)2 y=1z
(1 z)2
=
(1 z)
dz
dz
=
(1

z)


2
2
0
0
y=0
(1 z)4 1 1
=
= .
8
8
0
Z


Ricordiamo infine che anche in R3 vale la formula di cambiamento delle variabili per
integrali tripli
Teorema 10.10. Sia f : X R3 R integrabile e sia
: X 0 R3 R3
(u, v, w) 7 (x, y, z) = (u, v, w)
una trasformazione regolare di coordinate tale che (X 0 ) = X. Allora
ZZZ
ZZZ
f (x, y, z) dx dy =
f ((u, v, w)) |det J (u, v, w)| du dv dw
X0

ove J `e lo Jacobiano della trasformazione .


Esempio. Vediamo unapplicazione della formula
RRR precedente al calcolo del volume della
3
sfera di raggio R. Quindi vogliamo calcolare
X 1 dx dy dz ove X = {(x, y, z) R :
2
2
2
2
x + y + z R }. La sfera si pu`o descrivere in coordinate sferiche come linsieme
X 0 = {(, , ) [0, ) [0, 2) [0, ] : R, [0, 2), [0, ]}. Ricordando
che il determinante dello Jacobiano della trasformazione in coordinate sferiche `e dato
da det Jf (, , ) = 2 sin() (vedi pagina 134) si ha
ZZZ
ZZZ
1 dx dy dz =
2 sin() d dd
X

Z
=

Z
d

2 d

{(,,): R,[0,2), [0,]}


 3 R

sin()d = 2
0

[ cos()]0 = 4

R3
3

Esempio. Calcolare il volume del cono di altezza h e raggio r X = {(x, y, z) R3 : y


0, x2 + y 2 r2 , z hr (x2 + y 2 )1/2 }. Passando alle coordinate cilindriche (vedi pagina

INTEGRALI TRIPLI

149

133), il dominio si pu`


o descrivere come X 0 = {(, , z) [0, ) [0, 2) R :
h
[0, r], [0, ), t r }. Ricordando che lo Jacobiano delle coordinate cilindriche `e
dato da , si ha
ZZZ
ZZZ
1 dx dy dz =
d ddt =
{(,,t):[0,r], [0,), t h
}
r

d
0

!
dt

Z
d =
0

 3 r
h 2
h
hr3
d = 2
2
r
r 3 0
3

Testi consigliati
Teoria.
A. Marson, P. Baiti, F. Ancona, B. Rubino: Corso di Analisi Matematica 1, Carocci
editore;
C.D. Pagani, S. Salsa: Analisi Matematica 1. Zanichelli;
Esercizi.
P. Marcellini, C. Sbordone: Esercitazioni di Matematica, Liguori Editore;
S. Salsa, A. Squellati: Esercizi di Matematica, Zanichelli.

150

APPENDICE A

Tre Principali Modi di Dimostrazioni


Siano A e B due affermazioni e siano A e B le loro negazioni. Allora sono equivalenti
A B;
B A;
A e B E.
Quindi per dimostrare che A B ci sono i seguenti 3 modi:
dimostrazione diretta: A B;
dimostrazione indiretta: B A;
dimostrazione per assurdo: A con B E.
Esempio. Sia A laffermazione piove e B laffermazione la strada `e bagnata, allora
evidentemente vale A B. Invece non vale il contrario, cio`e B 6 A, in quanto non `e
detto che piove se la strada `e bagnata. Quindi in questo esempio
A B significa se piove, allora la strada si bagna che `e vero.
B A significa se la strada non `e bagnata, allora non piove che `e vero.
A e B E significa piove e la strada non `e bagnata che infatti `e una contraddizione.

151

APPENDICE B

Elenco di alcuni Limiti Notevoli


Limiti Notevoli: Successioni

1
lim q n =
n+

lim n = 1
n+

n
a=1
lim
n+

lim n n = 1

se
se
se
se

se > 0,
se = 0,
se < 0

n+

ln(n)
=0
n+ n
n
lim n = 0
n+ q
qn
lim
=0
n+ n!
n!
lim n = 0
n+ n

n
lim 1 + n1
=e
n+

xn
= ea
lim 1 + xan
lim

n+

lim (an )bn = ab

n+

q > 1,
q = 1,
|q| < 1,
q 1

per ogni a > 0


per ogni R
per ogni > 0
per ogni R, q > 1
per ogni q R

pi`
u in generale
se |xn | + per n +
se an a > 0 e bn b per n +

152

LIMITI NOTEVOLI: FUNZIONI

Limiti Notevoli: Funzioni


sin x
=1
x0 x
1 cos(x)
1
lim
=
2
x0
x
2
ex 1
lim
=1
x0
x
ax 1
lim
= ln(a)
x0
x
ln(1 + x)
lim
=1
x0
x
loga (1 + x)
lim
= loga (e)
x0
x
x

= et
lim 1 + xt
lim

(1 + x)r 1
=r
x0
x
loga (x)
lim
=0
x+
x
lim x loga (x) = 0
lim

x0+

lim xx = 1

x0+

pi`
u in generale
per ogni a > 0
pi`
u in generale
per ogni 0 < a 6= 1
per ogni t R
per ogni r R
per ogni 0 < a 6= 1, > 0
per ogni 0 < a 6= 1, > 0

153

APPENDICE C

Definizione alternativa dei Limiti per Funzioni


Sia f : X R R e sia x0 un punto di accumulazione del dominio X di f . Allora
lim f (x) = l

xx0

se x0 , l R: Per ogni > 0 esiste > 0 tale che




f (x) l < per ogni x X con 0 < |x x0 | < .
se x0 R, l = +: Per ogni > 0 esiste M > 0 tale che
per ogni x X con 0 < |x x0 | < .

f (x) > M

se x0 R, l = : Per ogni > 0 esiste M < 0 tale che


per ogni x X con 0 < |x x0 | < .

f (x) < M

se x0 = +, l R: Per ogni > 0 esiste L > 0 tale che




f (x) l < per ogni x X con x > L.
se x0 = , l R: Per ogni > 0 esiste L < 0 tale che


f (x) l < per ogni x X con x < L.
se x0 , l = +: Per ogni M > 0 esiste L > 0 tale che
f (x) > M

per ogni x X con x > L.

se x0 = +, l = : Per ogni M < 0 esiste L > 0 tale che


f (x) < M

per ogni x X con x > L.

se x0 = , l = +: Per ogni M > 0 esiste L < 0 tale che


f (x) > M

per ogni x X con x < L.

se x0 = , l = : Per ogni M < 0 esiste L < 0 tale che


f (x) < M

per ogni x X con x < L.

lim f (x) = l

xx+
0

se x0 , l R: Per ogni > 0 esiste > 0 tale che




f (x) l < per ogni x X con 0 < x x0 < .
se x0 R, l = +: Per ogni > 0 esiste M > 0 tale che
f (x) > M

per ogni x X con 0 < x x0 < .


lim f (x) = l

xx
0

se x0 , l R: Per ogni > 0 esiste > 0 tale che




f (x) l < per ogni x X con 0 < x0 x < .
se x0 R, l = +: Per ogni > 0 esiste M > 0 tale che
f (x) > M

per ogni x X con 0 < x0 x < .


154

Elenco delle figure


1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44

Il grafico del modulo.


Modulo e distanze sulla retta reale
Il metodo di Erone.
Scala autoportante: 2 gradini.
Scala autoportante: 3 gradini.
Scala autoportante: n + 1 gradini.
Scala autoportante che supera (teoricamente) qualsiasi distanza.
Divergenza della serie armonica
Convergenza della serie di Leibniz.
Criterio di Leibniz: Stima dellerrore.
Grafico di A(r).
Funzioni iniettive e suriettive

Grafico di f (x) = x2 e f 1 (x) = x.


Funzioni pari e dispari
La funzione potenza.
Funzione esponenziale di base a e funzione esponenziale.
Le funzioni iperboliche.
La catenaria.
Misura di angoli in radianti.
Definizione delle funzioni circolari.
Grafici di sin, cos e tan.
La funzione segno
Relazione tra x, sin(x) e tan(x).
Il metodo di bisezione.
I Logaritmi.
Funzione continua con inversa discontinua.
La radice n-esima.
Inverse delle funzioni circolari.
Inverse delle funzioni iperboliche.
Retta secante e tangente.
Derivata della funzione inversa.
Contenitore.
Esempi di estremi locali.
Estremi locali e tangenti orizzontali.
Grafico di f (x) = xx .
Volume contenitore da cartoncino formato A4.
Teorema di Rolle.
Teorema di Lagrange: Due punti di Lagrange c1 e c2 .
Criterio per estremi locali.
Grafico di f (x) = ln(x)
x .
Il resto r(x).
I primi polinomi di Maclaurin di f (x) = ex e f (x) = sin(x) (cfr. p. 69).
Criterio per estremi locali.
Asintoto obliquo.
155

5
5
17
21
21
22
22
26
26
27
29
31
31
32
34
34
34
34
35
35
35
37
39
43
44
45
45
46
47
48
53
55
56
56
58
58
59
59
61
61
65
68
71
82

156

45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
68
69
70
71
72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
83
84
85
86
87
88
89
90
91
92
93
94
95
96

ELENCO DELLE FIGURE

Funzioni convesse e concave.


Punti di flesso e no.1
Studio di f (x) = e x3 |x + 3|.
Larea A.
Somma inferiore s(f, P ) e somma superiore S(f, P ).
Criterio per lintegrabilit`
a.
Additivit`
a rispetto agli estremi di integrazione.
Integrazione di funzioni simmetrici.
Esempi di funzioni integrabili non continue.
Teorema della media.
La funzione integrale.
Area sotto il grafico.
Il logaritmo.
Calcolo di aree.
Calcolo dellarea tra due grafici.
Esempio: Calcolo dellarea tra due grafici.
Esempio: Calcolo dellarea tra due grafici.
Lunghezza di una curva.
Corpo di rotazione.
Integrali impropri.
Integrali impropri.
Integrali impropri.
Integrale improprio della Campana di Gauss.
Integrale improprio convergente.
Integrali impropri e serie: f (k) = ak .
La serie maggiora lintegrale.
Lintegrale maggiora la serie.
Grafici di f1 (x, y) = x2 + y 2 e f2 (x, y) = x2 y 2 per (x, y) [1, 1] [1, 1].
Linee di livello delle funzioni f1 (x, y)p
= x2 + y 2 e f2 (x, y) = x2 y 2
Grafico e linee di livello di f (x, y) = (1 x2 )(1 y 2 )
Coordinate polari.
Derivate parziali.
Piano tangente.
Derivata direzionale.
Grafico e linee di livello con gradiente.
Coordinate polari.
Coordinate Cilindriche.
Coordinate sferiche.
La misura di uninsieme.
Domini y- e x-semplici.
Il teorema di FubiniTonelli per X y-semplice.
Dominio y- e x-semplice.
Cambiamento di variabili.
Cambiamento di variabili per coordinate polari.
Dominio in coordinate cartesiane e polari.
Dominio in coordinate cartesiane e (u, v).
Dominio in coordinate cartesiane e polari.
La spirale di Archimede.
Integrazione per fili.
Integrazione per strati.
Esempio integrazione per fili.
Esempio integrazione per strati.

83
84
87
88
88
89
90
91
91
92
93
94
94
106
106
106
107
107
108
109
110
111
112
113
114
114
115
117
117
118
121
124
126
127
128
132
133
134
136
138
138
139
140
141
141
142
143
143
145
146
147
148

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