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I Buddenbrook di Thomas Mann

Qui nel berceau da cui scrivo, su una poltroncina a dondolo di vimini gialli, restai un giorno per
quattro ore di sguito a leggere con sempre crescente commozione un libro che un po cercato un
po per caso mi era capitato tra le mani Dopo la colazione, con la sigaretta fra le labbra, lavevo
trovato nel salottino, in un angolo della libreria, nascosto dietro solenni volumi, e mi ero ricordato
di averlo acquistato sbadatamente anni prima da un libraio a prezzo doccasione: un grosso
volume, mal rilegato e mal stampato su carta sottile e giallastra, la seconda parte di un famoso
sistema filosofico Me lero portato in terrazzo e voltavo pagina su pagina, profondamente
assorto.
Una contentezza ignota, unimmensa riconoscenza mi empiva lanima. Provavo la soddisfazione
incomparabile di vedere come una mente poderosa e superiore si fosse impossessata della vita, di
questa vita cos amara, crudele e beffarda, per sottometterla e condannarla. La soddisfazione di
colui che soffre e che di fronte alla durezza e alla freddezza della vita ha sempre tenuto nascosta
la sua sofferenza, con vergogna e con cattiva coscienza, e a un tratto dalla mano di un grande, di
un saggio, si vede largito il diritto razionale e solenne di soffrire per colpa del mondo, di questo
migliore dei mondi possibili, che con mordace e beffarda ironia gli vien dimostrato il peggiore di
tutti i mondi possibili.
Non capivo tutto: princip e premesse non mi apparivano chiari, e il mio cervello, poco esercitato a
simili letture, non poteva seguire certe concatenazioni di idee. Ma appunto lalternarsi di luce e di
tenebra, di ottusa incomprensione, di vaghi barlumi e di improvvisa chiarezza mi teneva col fiato
sospeso, e le ore volavano senza che alzassi gli occhi dal libro o mutassi posizione sulla sggiola.
Allinizio avevo saltato alcune pagine, e andando avanti rapidamente nella ricerca inconscia e
affrettata dellessenziale mi ero soffermato solo su qualche capitolo pi attraente. Poi incontrai un
lungo capitolo che lessi dalla prima allultima parola, con labbra strette e sopracciglia aggrottate, e
un volto severo, quasi senza vita, insensibile a tutto ci che mi stava dintorno. Il capitolo era
intitolato: Della morte e del suo rapporto con lintrinseca indistruttibilit del nostro vero essere.
Mi mancavano poche righe quando alle due mia madre venne in terrazzo per annunciare che il
pranzo era pronto. Accennai di s, lessi gli ultimi periodi, chiusi il libro e mi guardai intorno Mi
sentivo lanima indicibilmente allargata e piena di una pesante, oscura ebbrezza, la mente
annebbiata e inebriata da qualcosa di meravigliosamente nuovo, affascinante e promettente, che
faceva pensare al primo trepido struggimento damore. Ma quando con mani fredde e incerte
riposi il libro nel cassetto del tavolo da giardino, il mio cervello in fiamme, dominato da una strana
pressione, da una tensione paurosa, come se qualcosa vi stesse per scoppiare, ero incapace di
formulare un pensiero.
Che cosa stato? mi chiesi entrando in casa e sedendomi a tavola. Che cosa mi accaduto?
Che cosa ho appreso? Che cosa mi stato rivelato? Era destinato a me? Potr sopportarlo? Non so
che cosa sia stato so solamente che troppo, troppo per il mio cervello
Rimasi tutto il giorno in uno stato di ebbro e oscuro sbalordimento, sopraffatto e senza pensieri.
Poi venne la sera ed io, incapace di reggere ancra la testa sulle spalle, mi coricai presto. Dormii
per tre ore di un profondissimo sonno, come non mi era mai accaduto prima. Poi mi svegliai di
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colpo, con quel delizioso sgomento di chi si desta solo, con un amore nascente nel cuore.
Intorno a me la tenebra era fitta. Supino, nel profondo silenzio e nellafa pesante, rimasi immobile
a fissare il buio.
Ed ecco, improvvisamente fu come se le tenebre si lacerassero davanti ai miei occhi, come se la
parete vellutata della notte si squarciasse rivelando una immensa, sterminata, eterna vastit di
luce Io vivr! dissi quasi a voce alta, e sentii tremare il petto in un singhiozzo interiore.
Voleva dire questo, che io vivr! Esso vivr e che questo esso non sia io soltanto un
inganno, un errore che la morte corregger. cos, cos Perch? E a questa domanda la notte
si richiuse dinanzi ai miei occhi. Di nuovo non vidi, non seppi e non capii pi nulla e mi lasciai
ricadere sui cuscini, abbagliato e spossato da quel poco di verit che mi era stato dato
dintendere.
Giacqui immobile, in fervida attesa, quasi tentato di pregare che la luce ritornasse a illuminarmi. E
la luce torn. A mani giunte, senza ardire di muovermi, potei vedere
Che cosera la morte? La risposta non mi fu data con povere e presuntuose parole: la sentii,
possedendola nel pi profondo di me. La morte era una felicit cos grande che solo nei momenti
di grazia, come quello, la si poteva misurare. Era il ritorno da uno sviamento indicibilmente
penoso, la correzione di un gravissimo errore, la liberazione dai pi spregevoli legami, dalle pi
odiose barriere: il risarcimento di una lacrimevole sciagura.
Fine, disfacimento? Tre volte da compatire chi provi orrore di questi vani concetti! Che cosa finisce,
che cosa si dissolve? Nullaltro che questo corpo, questa personalit e individualit, questo goffo,
detestabile impedimento a essere qualcosa di diverso e di migliore!
Non ogni uomo uno sbaglio, un passo falso? Non cade, appena nato, in una dolorosa cattivit?
Carcere! Prigione! Ceppi e catene dappertutto! Dietro le inferriate della sua individualit, luomo
contempla senza speranza le mura di cinta delle circostanze esteriori, finch viene la morte e lo
chiama al ritorno in patria e alla libert.
Lindividualit! Ah, ci che si , che si pu e che si ha sembra misero, grigio, insufficiente e
noioso; ci che invce non siamo, non possiamo e non abbiamo, a questo aneliamo, con
quellinvidia bramosa che diventa amore perch ha paura di diventare odio.
Io porto in me il germe, il principio, la possibilit di tutti gli sviluppi e di tutte le azioni. Dove potrei
essere, se non fossi qui? Chi, che cosa, come potrei essere se io non fossi io, se questa mia
persona non mi rinserrasse, e non separasse la mia coscienza da quella di tutti coloro che non
sono io? Lorganismo! Cieca, incauta, deplorevole eruzione della volont che urge! Meglio,
davvero, che tale volont erri libera nella notte senza tempo e senza spazio piuttosto che languire
in un carcere fiocamente illuminata dalla fiamma tremula e vacillante dellintelletto!
Dove sar, quando sar morto? Ma chiarissimo, estremamente semplice! Sar in tutti coloro
che abbiano mai detto io, che lo dicono e che lo diranno.
C soltanto il presente infinito, e quella forza in me, che agogna alla vita con un amore
dolorosamente soave, insistente ed estatico, e di cui la mia persona soltanto unespressione
mancata. Sar in ogni filo derba, in una frase musicale di una Sinfonia di Mozart, nel volo delle
rondini, nel frinire delle cicale, nel richiamo lontano della natura, nelle fresche risate del
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dopolavoro, nellafflato del mare senza vento. E nella neve che lenta fiocca, ad annunciare una
bellezza senza tempo.
Piangeva; premeva il viso sui cuscini e piangeva, esultante e come trasportato dallestasi di una
felicit la cui dolorosa dolcezza non poteva essere paragonata con nessunaltra al mondo[]
Le cognizioni illusorie dello spazio, del tempo e dunque della storia, la preoccupazione di
sopravvivere onorevolmente, storicamente, nei discendenti, il timore di una qualche finale
decomposizione e disgregazione storica, tutto questo lasci libero il suo spirito e non gli imped pi
di comprendere leternit perpetua. Nulla aveva inizio e nulla finiva. Cera solo un infinito presente
[].

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