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VI LA MISTICA AVERROISTICA E PICO DELLA MIRANDOLA * Comunemente, quando si parla oggi d’averroismo, vien fatto 4a: pensare alla dottrina dell'unith dell’ intelletto possibile per fatta la specie umana; la quale dottrina vien designata, con tun vocabolo moderno che si direbbe coniato apposta per ac- crescere Ia confusione, epampsichismo>. Ma rari sono coloro che dellaverroismo mettono in evidenza quella tipiea dottrina rmistica che fa uno degli argomenti maggiormente discu: fa gli averroisti e i loro avversari, dalla fine del secolo XIII a tutto il XVI. E, cid che 2 pit strano, ne tacciono sia il Man- Gonnet che il Van Steenberghen nelle loro massicce diffuse ‘monografie dedicate a Sigieri di Brabante. Eppure la mistica averroistica era stata fatta oggetto di ampia discussione da parte di, Alberto Magno, di S. Tommaso di Sigieri, Sebbene non fosse stato ancora tradotto in Iatino il trattatello De animae beatiludine, essi conoscevano bene il ‘commento e I'ampia disgressione d’Averrod sul testo XXXVI Gel terzo libro del De anima, assai pit importante di quel piccolo trattato, e per chiarezza e per compiutezza. Tn questo testo del De anima, s'accenna al problema, se & possibile che I’ intelletto unito al corpo arrivi a conoscere le Sostanze separate. Ivi Aristotele promette che questo argo- mento sar discusso pid tardi*; a noi per altro non é giunto aleuno scritto dello Stagirita, nel quale il problema ora ac cennato sia risolto, §. Tommaso, dopo aver dubitato che ‘Aristotele, sorpreso dalla morte, fosse mai pervenuto a trat- * Dal volume Umanesimo ¢ Machiavellismo dell" « Archivio di Filo- sofas, Padova, Editoria Liviana, 1999. T Anion, De Anima, TI, tc. 30, 6 7, 43tb 18:19. 428 VARISTOTELISMO PADOVANO DAL SECOLO XIV AL XVI tare delle sostanze separate , fini per credere che il problema fosse risolto dallo Stagirita in un‘opera non ancora tradotta in latino che gli era stata mostrata 3. Anche Alberto Magno, che a questo problema dedica il suo trattato De intellectu et inleltigibili, ritiene che quest’opera, rimasta sconosciuta a Jui, era ben nota a molti dei discepoti d’Aristotele, i quali si ‘sarebbero ispirati ad essa in quei numerosi scritti che Alberto ben conosceva e nei quali credette di trovare il fior fiore del- T'insegnamento aristotelico *. ‘Nell’ intento di chiarire il pensiero di Aristotele su questo punto, commentatori greci come Alessandro d’Afrodisia € Temistio, 0 arabi come Alfarabi, Avicenna ed Abu Baker Avenpace, avevano cercato negli scritti dello Stagirita quale, flora avvizo, davesse essere Ja soluzione di quel problema, conforme ai principi della filosofia peripatetica, Averrot, vemuto dopo costoro, aveva intrapreso, nel detto commento al testo XXXVI del terzo del De anima, una vivace critica delle loro teorie, in parte rigettandole e in parte sforzandosi i correggerle. Alessandro d’Afrodisia aveva ritemuto che I'uomo potesse arrivare alla conoscenza del mondo immaterial mediante la «. Ma, a differenza di quel che pensava Alberto Magno, che, come abbiamo visto, riteneva I’ intelletto agente una parte dell'anima razionale, Sigieri lo identifica ‘con Dio: «intellectus agens est Deus; felicitas est intellectus agens: ergo felicitas est Deus». L’ intelletto umano tende dunque al congiungimento con Dio; ¢ in questo congiungi- ‘mento, Dio informa di sé la mente potenziale, ¢ le comunica la propria beatitudine, si che I'uomo n’@ quasi deificato: Amplius arguit (Subgerius) fortius: id quo felicitantur aii ‘omnes est suprema hominis et omnium felicitas; sed Deus est quo omnes felicitantur, quoniam omnes intellectus felicitantur intelligendo Deum; sed intellectio qua Deus intelligitur est ipse Dens, Ergo Deo omnia felicitantur.... Ergo Deus formaliter est felicitas. Ruroum, quo felicitatur Deus felicitansvr alii intelle- ‘ctus et omnia... Sed Deus non felicitatur nisi Deo.... Ipso ergo ‘Deo omnia felicitantur *, Tntelecms hominis estentia Dei flictater, quemadmodum Deus essentia Dei, Inutile ricordare che anche la felicitas» di cui parla Si- ‘gieri Ia «felicitas »flosofica dell’averroismo, alla quale I'uomo perviene mediante l'acquisto delle virti etiche e dianoetiche, € che non ha niente che fare con la visione beatifica dei teo- logi, anche se per avventura fra I'una e 'altra dottrina sono talvolta avvenuti scambi di elementi concettuali. Questa mistica averroistica che ho voluto delineare nei suoi :pisaldi essenziali e nelle sue principali tendenze, fu oggetto {interminabili discussioni, fra gli averroisti ei loro avversari, a Bologna e a Padova, fino a tutto il secolo XVI. E mentre, fra gli stessi averroisti, gli uni accettavano la dottrina di Giovanni di Jandum che riteneva I’ intelletto agente parte dell'anima intellettiva, Alessandro Achillini a Bologna rin- novava la dottrina sigieriana, che I’ intelletto agente dovesse 3 To, p. 35, 3 TB, pay 4 Tb, p35, ARISTOTELISMO PADOVAKO DAL SECOLO XIV AL XVI identificarsi con Dio. A queste discussioni ; sussioni prese parte anche Pico della Mirandola; il quale, tra le XLI Conclusiones se- cundum Avenroem, ben quattro ne formuld attinenti all'ar- gomento della « copulatio», ¢ tutte e quattro concepite nello spirito sigieriano: 1. ~ Posibiis ext prophetia in somnis per illustrationem in- tellectus agentis super animam nostram. aS i 3-~ Fellcitas ultima hominis est, cum contimoatur intellectus agens possibil, vt forma, Quam contiaustionem et Latin al aos legi et maxime Tonnes de Gandavo perverse fntellexty ui, non solum in hoe, sed ferme in omnibus quacstis philoso, ph rina Aveo epi nino dapat 17. ~ Quaelibet jntelligentia prater Primam non tntellgit ni ‘si Primam. as ai re ce 23, Exemplom Arita in serndo Metaphysics, de ni etisorce reapets sols, on datuist inyoubittaten sd caultatem, alioguin nattra aliquid ociose feisset, cea Quest'ltima conclusione si riferisce al primo commento di Averroé al secondo libro della Metafsica, ove Aristotele af- ferma che la mente umana dinanai alle cose che per natura sono maggiormente intelligibi, quali sono appunto le so- stanze separate, si trova nelle condizion del pipistrello che non pud sostenere la luce del sole. Questo paragone, secondo. S. Tommaso, denoterebbe per Aristotcle I’ impossibilita. in ni versa Ia mente umana, di conoscere in sé stesse le intelligenze separate. Per Averroé, invece, esso denoterebbe soltanto Ia dificlta che la mente umana ineontra per fissare Jo sguardo in quei sommi inteligibili, Per quale ragione, inolire, sarebbe inutile lesistenza stessa di tali sostanze, se Ia mente ‘umana non potesse conoscerle, abbiamo gid udito da Sigieri w Cle anche per il Pic Iintlleto agente sia Din, site sia dal rimprovero che egli muove a Giovanni di Jandun, aver depravato il pensiero d’Averroé, sia dal confronts che noi posciamo fare tra In terza conclusion « secundum Averroem », che abbiamo riferita, ¢ la settima delle XV con- clusioni e secundum Plotinum », che suona cosi: Felicitas hominis ultima est rima est cum particularis intellectus no- ster totali primoque intelleetui plene coniungitur. _Orbene: anche a me sembra che, proprio daile sue medita- zioni sulla dottrina averroistica della « copulatio », Pico della MISTICA AVERROISTICA PICO DELLA MIRANDOLA 14 Mirandola sia stato condotto ad elaborare uno dei suoi pit profondi concetti: quello della « dignitas hominis Eugenio Garin, tanto benemerito degli studi pichiani, si da potersi ritenere oggi il pit acuto e informato fra quanti hhanno tentato di penetrare nel pensiero del mirandolano, scrive che «la medieta della natura umana [éra gli estremi del- Yuniverso} non va, secondo Pico, cercata nel fatto che essa riunisce i vari elementi, bens! in quanto attua quel che nel mondo é potensa, riunisce quel che nella realta & disperso. La comune concezione, che chiama I'uomo microcosmo, perché, con analogia pitt o meno ardita, si pud stabilire un ‘paralleto fra Y'uomo e il mondo, gli sembra ingenua in quanto, fermandosi ad una statica giustapposizione, perde il valore del ‘vero uomo, dello spirito, che @ veramente tutto il mondo in quanto lo abbraccia nel pensiero»*5. Poi, dopo avere acezinato ad analoghe critiche che Proclo e Moist Maimonide avevano rivolto al comune modo ’ intendere il concetto del micro cosmo, continua: «Con analoghi accenti Pico si allontana da chi considera T'uomo ‘mundi copulam, imo hymenaeum' in modo del tutto esteriore, e, accogliendo la critica di Mai- monide, si avvicina, insieme, a certe tendenze averroizzanti che nell’'uomo vedono il solo mezzo per cui gli intelligibili ‘si attuano, attuando insieme intelletto agente ¢ materiale “quod non est alia species quae apprehendat intelligihibilia nisi homo ’»3*, E pit oltre, con maggior precisione: « Mentre tutte le cose sono, hanno una natura limitata, determinata..; !'uomo non ® nulla, ma si fa tutto, in quanto sa tutto; ¢ sa tutto, in quanto si fa tutto; mentre in ogni ente ‘ operari sequitur rnell'uomo ‘esse sequitur operari...'. Qui 2 V’infinita dell'uomo che, ‘ divino camaleonte’ si fa pianta e sas50, 0, nell’ insaziabile brama di tutto sapere, s'innalza a Dio... ‘Chi dubitasse dell’ indiamento dello spirito umano nel pen- siero, non ha che da rileggere la expositio quinta dell’ Heptaplus, dove Pico afiannosamente si sforza di porre una distinzione fra uomo e Dio, senza mai riuscire a determinarla troppo nettamente »*7 18 E. Ganix, Giovanni Pico della Mirandola. Vita. dotirina, Firenze, F, Le Monier, 1937, P. 200. 267, p. 201 27 Tb., pp. 201-202, ‘1 Garin, che tutto questo ha veduto con grande acume, ha subodorato anche le «tendenze averroizzanti> alle quali il mirandolano «si avvicina». Ma non le ba meglio indivi- uate; ché, se avesse tentato di farlo, egli certamente si sa rebbe accorto alla prima, che il Pico, per cid che concerne le tesi ora accennate, @ averroista puro semplice, anzi averroista della corrente di Sigieri. La tes infatti che I’ intelletto umano non ha alcuna natura determinata, tranne quella di essere in potenza a diventare tutte le cose, accennata da Aristotele, & una tipice tesi sigie- iana, che I’ averroista brabantino difende nella terza delle Quaestiones naturales di Lisbona ¢ nelia nona della Quaestiones de anima intellectiva, ¢ che a tempo del Pico sara sostenuta da Alessandro Achillini#¥, Sostanza puramente potenziale «in genere intelligibilium » e quindi, come abbiamo visto, « maxime Feceptivum 2, esso pud diventare idealmente o intenzional- Secale orien | taeal fatiai cae, leeee a Dio. Reduce dalla publica disputa tenuta al Capitolo generale dei domenicani a Ferrara per la Pentecoste del 1494, il Pico si recd a Bologna in compagnia del Nifo, ove I'Achillini sputd, al Capitolo generale dei francescani, i suoi Quolibeta de inlalligentiis (v. sotto, pp. 179 € 319). Parlando della « felicitas », ossia dello stato in cui la mente urrana si trova congiunta con I’ intelletto agente, cio® con Dic, diceva l’averroista bolognese: Causa autem finalis [felicitatis] est ut homo et materialia Deo uniantur: materialia enim, secundum esse eorum reale, non sunt Deo unibilia; sed secundum esse eorum spirituale, quod est esse intellectum speculativum, praeparando intellectum po dilem ut Deum recipiat, Deo ‘uniuntur; et sic ad finem suum redeunt reditione completa. Ex hoc sequuntur aliqua; primum, quod eadem res, quae est Deus glorious, cst causa formalis, qua dominatur homo felix et causa efficiens dans formam. Patet secundo, quomodo ‘materialium homo est finis, quia in homine unjuntur materialia jimmaterialibus; et sic patet quomodo homo est nexus superi ram cum inferioribus, ultra hoc quod forma hominis sit intelli- sgentia.... Et sic patet quam longe relegata est materia a Deo, quia ipsa, propter potentialitatem stam, non potest informare intel- 3 Chr. il mio Sigler... nel pens. p. 74 MISTICA AVERKOISTICA E PICO DELLA MIRANDOLA 143, tectum; unitur tamen materia Deo, quia aliqua materia informa- tur intellect qui informatur Deo; et successive omnis prima mate- ia informatur intellects, apud Averroim; sed aliae materiae aliis formis materialinm informantur; et sic patet quantum homini felici rerum materialium natura debet +, Come si vede, dunque, I'accordo del mirandolano con gli averroisti della corrente sigieriana @ completo. Ma se la mi- stica averroistica sedusse assai per tempo il giovane filosofo, questi non dovette tardare a rendersi conto che in quel mi- raggio di felicita, intellettualisticamente concepito, vera qualcosa di freddo e di artificioso, che non rinsciva a soddi- sfare le aspirazioni alimentate nell'anima da quindici secoli di vita cristiana, Gli averroisti, persuasi, come Alberto Magno, cho «theologica non eonveninnt cum physicis principiis» avevan finito per chiudersi nel loro « aristotelismo », ed osten- tavano un superbo disdegno verso i teologi da loro derisi Il Pico invece, ne] suo ardore di tutto sapere, aveva intra preso assai di buon‘ora studi teologi, e git quando pubblicd le sue Conelusiones, si sentiva in grado di discutere intorno ‘a scabrosi argomenti di teologia «secundum opinionem pro- priam », cid che gli averroisti si sarebbero guardati bene dal fare. Ma fu soprattutto nel periodo del suo ritiro sui colli fiesolani, dopo la peripesia della condanna e dell’arresto, cche egli svolse il suo averroismo in senso platonico ¢ cristiano. 11 fratto migliore delle sue meditazioni ci & stato tramandato Gall’ Hoptapius, cio’ «il sette per sete», poiché i sette libri 6 « expositiones », corrispondenti ai sette giorni mosaici, sono alla loro volta divisi in sette capitoli. La settima «expo- sitio» riguarda appunto la « felicitas », che risponde al riposo che Dio si concesse dopo sei giorni di operosita. Nel proemio ‘a questa settima esposizione, il mirandolano distingue due specie di « felicita »: una naturale, che ¢ quella di cui parlano 7 losof, ¢ Valtra sovrannaturale, alla qnale si pud giungere soltanto colla grazia. Ed é proprio qui che egli s‘accorge det sorriso ironico degli averroisti, ¢ sente il bisogno di rintuz~ zare il loro scherno: % A, Acari, Quolibeta de inleligentits,1V, dub. 3; fr. quisotto, ato {i passo’ eitato anche dal GarD¥, p. 204), Si vedano anche Pp. PCottetianea del Niro al De anima (III, ad t.c. 36) © il commento dello stesso suessano al De anime beatiudine, TI, comm. 23 € 24, 144 VARISTOTELISMO PADOVANO DAL SECOLO XIV AL XVI Verem quoniam mihi videor vider secs, ixetim an vap- pas pote ‘et nebuloney, qui se vooantphilsophos cum ll Sint iinus,skdentes stati ct gratiam et flctatom superamta- falem, quasi vana hace nomina ct ales fabulas sint vou! bre- wivsctlam hae de recom ills disputationm seul! proviiass Iacero septimi iri, rem et seorsumn omaius utlem et neces fariam valde operi'quod.suscpimus, ubi altisims, philoophiag ‘adicbor nicam et cabin stare tentetiam tholegeres Ineide comprobemoe ®. E pit oltre gli accade di ricordare Je opinioni dei filosofi intorno alla « felicitas »: De homine autem, etsi diversi diversa senserint, omnes ta- ‘men intra humanae facultatis angustias so tenuerunt, vel in ipsa ‘tantum veri vestigatione, quod Academici, vel in adeptione po- ‘tus per studia philosophiae, quod Alpharabius dixit, felieitatem hominis determinantes. Dare aliquid plus visi Avicenna, Aver- rois, Abubacher, Alexander et Platonici, nostram rationem in intellecta, qui actu est, aut aliquo superiore, nobis tamen co- gnato, quasi in suo fine firmantes, sed neque hi hominem ad suum prineipium nee ad suum finem adducunt, Quas eorum di spotationes atque se=tentias nec reprobo nec aspernor, ai de na- ‘turali se tantum felicitate dicere videantur 3. Non riprova né disprezza queste dottrine dei filosofi sulla Deatitudine naturale e sul congiungimento della mente umana con Dio; ma intanto egli dichiara che né gli angeli né I'uomo Possono colle sole loro forze arrivare al perfetto e pieno con- giungimento con Dio come primo principio e fine ultimo, perché nessuna cosa é capace di raggiungere da sé quello che ¢ pit alto e pid perfetto della natura di quella cosa #, Per rag- sgiungere Dio, bisogna che Dio stesso si doni. Con cid quel nesso fra il mondo materiale e il mondo spirituale, fra l'uni- verso ¢ Dio, che la mistica averroistica della « copulatio » pensava d’avere scoperto nell’'uomo giunto al termine del suo sviluppo intellettuale, se non & spezeaty, & vertu molto rallen- tato e corre il rischio di dissolversi A renderlo veramente indissolubile @ balenato all'acuta mente del signore della Mirandola il concetto eristiano del! in- © G. Pico Minaxpows, De hominis dignitate, Hoptaplus De ente et tno ¢ scrtti vari a cura di E. GaRin, Firenze, Vallecehi, 1942, p. 325. Tb. p. 330. # TB! pp. 330-32. MISTICA AVERROISTICA E PICO DELLA MIRANDOLA 145 carnazione, Nell’unione ipostatica del Verbo colla natura umana si raggiunge davvero quella ccopulatio» dell’uomo con Dio, per cui Dio si fa uomo e I'uomo é Dio in senso rigoro: senza il «quodam modo» che era stato costretto a metterci ‘Averroé. Si pud dire che tutti e sette i libri dell’ Heptaplus si chiu- dono con I’esaltazione di Cristo, cui sono dedicati tutti i settimi capitoli di ogni libro, Cristo & certo il mediatore fra Dio ¢ Y'uomo dopo il peceato; ma se egli solo poteva redimere l'uomo peccatore, nel disegno divino Cristo fu, indipendentemente dal peccato d’Adamo, il «primogenitus omnis creaturae in quo condita sunt universa » Supremus omnium et princeps homo, quo mundi corrupti- bills natura progreasa sistie pedem et receptui canit Quemadmodum autem inferiorum omnium absoluta con- summatio ut homo, ita omnium hominum absoluta est consum- matio Christus; quod si, ut dicunt philosophi, ab eo quod in uno- quoque genere est perfectissimum ad ceteros eiusdem ordinis quasi a fonte omnis perfectio derivatur, dubjum nemini est a Christo homine in omnes homines totius bonitatis perfectionem derivari; ill scilicet uni datus Spiritus non ad mensuram, ut de plenitudine efus omnes acciperemus 3. Leggendo certe espressioni dell’ Heplaplus, vien fatto di pensare che per il Pico, prima che nell'opera della redenzione, Cristo debba avere una funzione essenziale in quella della creazione, come avevano ritenuto Alessandro di Hales, Al- berto Magno, Duns Scoto ¢ la sua scuola, E in verita fra le Conclusiones in theologia numero XXIX, secundum opinionem Propriam a communi modo dicendi theologorum satis diversam, ve n’é una, la quindicesima, che si cela fragrante e pudi- onda tra le altre, e non mi pare abbia mai finora attirato Yattenzione. Essa suona proprio cost: « Si non peccasset Adam, Deus fuisset incarnatus, sed non crucifixus », La mistica fran- cescana correggeva e perfezionava, nella mente del Pico, 1a mistica averroistica. Marsilio Ficino, che per l'averroismo non ebbe mai simpatia, svolgendo per altro i pitt riposti motivi religiosi del plato- nismo, aveva anch‘egli scoperto nella natura dell'uomo una specie d’ istinto verso la perfetta unione con Dio come ter- 33 Tb, p- 220, 10 149 LARISTOTELISMO PADOVANO DAL, SECOLO XIV AL XVI mine di tutti gli umani desideri, pace e riposo dell’anima, un bisogno insomma d’indiamento. Ed aveva pure scoperto che soltanto in Cristo e per Cristo I'uomo si fa veramente divino, Non mi consta che egli abbia mai sostenuto, in modo esplicito, Ja tesi sull’incarnazione di Dio, che Ia «mente eroica » del mirandolano si proponeva di difendere. Ma nel De christiana religione, che completa la Theologia platonica, a dimostrare la convenienza, e quasi direi la morale necessita, dell’ incarna- zione del Verbo, il Ficino adduce (cap. XVI) argomenti che rescindono affatto dalla colpa d’Adamo, e che, in sostanza, son quelli messi innanzi da Alessandro di Hales, da Alberto Magno e da Duns Scoto a favore della tesi cara al Pico. Per gli stessi argomenti quella tesi pareva anche a S. Bonaven- tura smegis consonare iudicio rationis >. Ui concetto cristiano dell” Uomo-Dio, mentre dischiudeva nuovi orizzonti alla flesofia antica, apriva cosi la via al pen- siero. moderno. M In IIL Sent, dist. 1, a. 2, 9. 2.

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