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CAPITOLO 6

IL D.M. 9 MAGGIO 2001


E LE AMMINISTRAZIONI DESTINATARIE
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6.1
IL COORDINAMENTO TRA LA LEGISLAZIONE
URBANISTICA REGIONALE E LA SEVESO II
Roberto Raffaelli*
Le norme di cui al D.M. 9 maggio 2001, sul rapporto tra la pianificazione urba-
nistica e territoriale e gli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, possono
essere considerate lespressione di due diversi processi normativi: il processo di
recepimento e di attuazione della normativa europea sul controllo dei pericoli di
incidenti rilevanti (direttiva del Consiglio dellUnione europea 9 dicembre 1996, n.
96/82/CE, nota come Seveso II), ed il processo di trasferimento di competen-
ze legislative ed amministrative dagli organi dello Stato centrale alle Regioni.
La sovrapposizione di questi due processi deve essere tenuta bene in consi-
derazione, al fine di un corretto inquadramento della disciplina normativa e delle
singole disposizioni e quindi, al fine di una proficua opera di applicazione.
Da un lato, il processo di recepimento della normativa comunitaria appare tro-
vare nel D.M. 9 maggio 2001 un lineare coronamento.
I contenuti del D.M. traggono infatti origine dallarticolo 12 della Seveso II
(il quale pone a carico degli Stati membri il dovere di coordinare le politiche in
materia di destinazione ed utilizzo dei suoli con gli obiettivi di prevenire gli inci-
denti rilevanti e di limitarne le conseguenze) e dallarticolo 14 del D.Lgs. n.
334/99 il quale, recependo le indicazioni del citato art. 12 della Seveso II, aveva
demandato ad un decreto attuativo la determinazione di requisiti minimi di
sicurezza in materia di pianificazione territoriale, per la localizzazione di nuovi
stabilimenti, per la modifica di stabilimenti a rischio esistenti e per la realizza-
zione di nuovi insediamenti o infrastrutture attorno agli stabilimenti a rischio, al
fine di garantire, tra laltro, le opportune distanze tra gli stabilimenti e le zone
residenziali.
Pi complessa appare nelle norme del D.M. 9 maggio 2001, lestrinsecazione
del processo di decentramento delle funzioni, dallo Stato alle Regioni, che richie-
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* Direttore generale del Dipartimento Programmazione Territoriale e Mobilit Regione
Emilia-Romagna.
de una valutazione pi attenta, anche in considerazione dellevoluzione in senso
federalista dellordinamento costituzionale, avviata con la recente riforma della
parte II, titolo V, della Costituzione (legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3).
In particolare, il D.Lgs. n. 112/1998, allarticolo 72, oltre a prevedere il confe-
rimento alle Regioni delle competenze amministrative relative alle industrie a
rischio, ha previsto, in termini abbastanza generali, che le Regioni disciplinino la
materia con specifiche normative ai fini del raccordo tra i soggetti incaricati del-
listruttoria e di garantire la sicurezza del territorio e della popolazione.
Successivamente larticolo 18 del D.Lgs. n. 334/1999, pur richiamando lart.
72 del D.Lgs. n. 112/1998, sembra aver ristretto, di fatto, lambito della compe-
tenza normativa regionale limitandolo al tema dellesercizio delle funzioni ammi-
nistrative in materia di incidenti rilevanti.
Lincipit del successivo art. 19 chiarisce quantomeno la possibilit riconosciu-
ta alle Regioni di trasferire ad altri organi tecnici le competenze esercitate dal
Comitato tecnico regionale di cui allarticolo 20 del D.P.R. n. 577/1982 (organo
che, in effetti, di regionale ha solo lambito di competenza territoriale).
Lart. 2 del D.M. 9 maggio 2001 prevede poi che le Regioni, attraverso una
apposita disciplina, assicurino il coordinamento delle norme in materia di piani-
ficazione urbanistica, territoriale e di tutela ambientale con quelle derivanti dal
D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334 e dallo stesso decreto.
Lo stesso articolo prevede che le norme regionali in materia di pianificazione
urbanistica assicurino il coordinamento delle procedure di individuazione delle
aree da destinare agli stabilimenti con quanto previsto dallarticolo 2 del D.P.R.
20 ottobre 1998, n. 447 e che le Regioni, inoltre, assicurino il coordinamento
tra i criteri e le modalit stabiliti per lacquisizione e la valutazione delle informa-
zioni di cui agli articoli 6, 7 e 8 del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334 e quelli relativi
alla pianificazione territoriale e urbanistica.
Al di l di questa articolata prefigurazione di competenze regionali di coordi-
namento, attuative delle disposizioni del decreto, occorre evidenziare come il
tenore dellart. 2 del D.M. 9 maggio 2001 sembra ridurre entro limiti angusti i
compiti della potest normativa regionale, salvo poi formulare la seguente previ-
sione di chiusura: in assenza della disciplina regionale si applicano i princpi, i cri-
teri e i requisiti di cui al presente decreto; tale indicazione dovrebbe sottointen-
dere la possibilit che la disciplina regionale integri o modifichi, nel rispetto dei
principi fondamentali la normativa di cui allo stesso D.M.
In effetti le previsioni dellart. 2 del D.M. 9 maggio 2001, relative alla neces-
sit di interventi regionali di coordinamento, devono essere interpretate come
disposizioni prettamente esortative (ovvero un invito alle Regioni ad assicurare
almeno le forme di coordinamento essenziali, ai fini dellattuazione delle norme
e dei princpi di cui allarticolo 14 del D.Lgs. n. 334/1999).
Le difficolt ermeneutiche insite nelle disposizioni relative alle competenze
normative regionali, in materia di rischio di incidenti rilevanti (art. 72, D.Lgs. n.
112/1998; art. 18, D.Lgs. n. 334/1999; art. 2, D.M. 9 maggio 2001), sembrano
imporre comunque un approccio pi generale alla problematica. 168
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In questo senso, dopo le richiamate recenti modifiche al Titolo V della parte
Seconda della Costituzione (legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3), occorre conside-
rare come il tema del controllo dellurbanizzazione e dei rischi di incidenti rilevan-
ti appaia ricondursi in modo univoco allambito della legislazione concorrente
(vedi in particolare, nellarticolo 117, comma 3, Cost., le materie del governo del
territorio, della tutela della salute e della protezione civile), dove la potest legi-
slativa compete alle Regioni, fatta salva la determinazione dei princpi fondamen-
tali riservata alla legislazione dello Stato.
Questo inquadramento costituzionale, coerente con il principio di sussidia-
riet e con lequilibrio degli interessi generali in gioco, permette, in modo ancora
pi netto, di riconoscere nel corpo normativo di cui al D.M. 9 maggio 2001 i carat-
teri propri di una disciplina statale di dettaglio, valida e cogente fino a quando la
stessa materia non risulti coperta dallintervento legislativo regionale.
Cos, anche nellambito del D.Lgs. n. 334/99, sar compito del legislatore
regionale discriminare i princpi fondamentali della materia, da osservare come
cardini della propria potest, distinguendoli dalle parti riconducibili ad una disci-
plina di dettaglio, e come tali passibili di riforma e di sostituzione ad opera del-
lattivit legislativa e regolamentare regionale.
In riferimento alla specifica materia del controllo dellurbanizzazione nelle
zone soggette al rischio di incidenti rilevanti, risulta facile riconoscere il nucleo
dei princpi fondamentali nellambito dellarticolo 14, comma 1, D.Lgs. n. 334/99,
laddove, conformemente a quanto gi definito dallarticolo 12 della direttiva
Seveso II, si sancisce la necessit di stabilire, per le zone interessate da stabili-
menti qualificati a rischio di incidente rilevante, requisiti minimi di sicurezza in
materia di pianificazione territoriale, con riferimento alla destinazione e utilizza-
zione dei suoli, i quali tengano conto della necessit di mantenere opportune
distanze tra stabilimenti e zone residenziali, nonch degli obiettivi di prevenire gli
incidenti rilevanti e di limitarne le conseguenze.
Ci sia in riferimento alla localizzazione di nuovi stabilimenti, sia alle modifiche
degli stabilimenti esistenti, sia alla realizzazione di nuovi insediamenti o infra-
strutture attorno agli stabilimenti esistenti, qualora la localizzazione, o linsedia-
mento o linfrastruttura possano aggravare il rischio o le conseguenze di un inci-
dente rilevante.
Tenendo fermi questi punti, rimangono alle Regioni la possibilit e la preroga-
tiva di coniugare nel modo ritenuto pi opportuno i princpi del D.Lgs. n. 334/99
(ovvero i princpi della direttiva Seveso II), con il complesso della legislazione
urbanistica regionale, potendo intervenire in via legislativa e in via regolamenta-
re sopra tutto lambito del D.M. 9 maggio 2001, fino ad una eventuale completa
sostituzione della specifica normativa, nel rispetto dei princpi fondamentali desu-
mibili dallo stesso.
Questi ampi margini di manovra non diminuiscono, peraltro, lopportunit e
limportanza di unazione concorrente delle Regioni nel promuovere la prima
applicazione delle norme del D.M. 9 maggio 2001 e, in particolare, nel coadiuva- 169
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re le Province ed i Comuni nella dovuta opera di adeguamento e di integrazione
dei piani territoriali ed urbanistici.
Nel caso dellEmilia-Romagna, questa azione di promozione e di supporto
stata avviata nel contesto di un nuovo e innovativo quadro legislativo urbanistico,
definito dalla L.R. 24 marzo 2000, n. 20, dove i notevoli margini offerti alla fles-
sibilit degli strumenti di pianificazione e allautonomia degli Enti locali, oltre
allattenzione dedicata alle fasi di acquisizione degli elementi conoscitivi e valu-
tativi, appaiono costituire il presupposto per un agevole coordinamento dei pro-
cessi pianificatori con le disposizioni sui requisiti minimi di sicurezza, per le zone
interessate dal rischio di incidenti rilevanti.
In questo contesto si provveduto a fornire ai Comuni ed alle Province indi-
cazioni idonee a coordinare ladeguamento dei piani, prescritto dal D.M. 9 mag-
gio 2001, con la transizione in atto verso il nuovo sistema pianificatorio (fondato
sulla differenziazione tra il piano strutturale ed il piano operativo comunale), e allo
stesso tempo si cercato di chiarire gli effetti giuridici immediati, derivanti dal
D.M., ed in particolare gli obblighi relativi ai procedimenti edilizi ed i vincoli di
destinazione operanti nelle more di adeguamento dei piani, in modo da sensibi-
lizzare gli Enti sullopportunit, oltre che sulla doverosit, di una pronta confor-
mazione alla normativa in questione.
Tutto ci nella consapevolezza che il rispetto dei requisiti di sicurezza previsti
dalle norme attuative della direttiva Seveso II, nella elaborazione dei piani urbani-
stici e territoriali, risulter un visibile banco di prova della capacit dei gestori della
cosa pubblica di garantire la sostenibilit dello sviluppo, nel mondo a venire.
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LE PROVINCE, LA CO-PIANIFICAZIONE E
LA PROGRAMMAZIONE DEL TERRITORIO
Forte Clo*
Il tema oggetto del D.M. 9 maggio 2001 richiede di essere affrontato secon-
do unottica che, senza trascurare la dimensione locale-comunale, si faccia cari-
co di unimpostazione integrata sia a livello territoriale che disciplinare.
Infatti, il problema delle aree su cui insistono attivit a rischio di incidente rile-
vante chiama in causa diversi livelli istituzionali (Comune, Provincia e Regione) in
riferimento alle rispettive competenze, per citare le principali, in materia di urba-
nistica, di pianificazione del territorio, di ambiente e di protezione civile.
pertanto indispensabile operare in una logica di copianificazione che ricer-
chi il massimo dintegrazione e di sinergia tra adempimenti comunali e provinciali
in materia di pianificazione e programmazione e di congruenza tecnica tra prov-
vedimenti autorizzatori di carattere settoriale: in questo senso si raccomandano
particolarmente modelli concertativi quali quelli tipici degli accordi di programma
e delle conferenze di servizi.
in questa logica che va letto il Progetto pilota della Provincia di Bologna, illu-
strato nel seguito e nato nellambito del protocollo dintesa ANPA-UPI.
Proprio mettendo a frutto da un lato lesperienza in corso di elaborazione del
PTCP e il proficuo rapporto tra Ambiente e Pianificazione Territoriale della
Provincia, in stretto raccordo con gli uffici dei Comuni, dallaltro le iniziative pro-
pedeutiche alla prevedibile attribuzione alle Province delle competenze riguar-
danti il D.Lgs n. 334/99 e quelle in materia di protezione civile si stanno analiz-
zando le procedure e predisponendo i dati e le informazioni necessari ad una effi-
cace gestione della normativa ministeriale da parte sia della Provincia che dei
Comuni.
Il lavoro vede la partecipazione ed il coinvolgimento, oltre che dei diversi diri-
genti e tecnici provinciali, anche della Regione e dei Servizi tecnici locali compe-
tenti in materia (ARPA e VVF), oltre che, almeno in una seconda fase, degli uffi-
171 * Assessore allambiente Provincia di Bologna; Vice Presidente Unione Province Italiane.
ci tecnici comunali che dovrebbero ricevere, dai risultati del Progetto Pilota, un
valido supporto per gli adempimenti che ad essi competono. Ai risultati del
Progetto pilota verr ovviamente data la massima diffusione.
Questa funzione di servizio nei confronti dei Comuni , daltro canto, essen-
ziale per la Provincia di Bologna, che la assume come proprio orientamento stra-
tegico.
Tale indirizzo potrebbe essere fatto proprio in linea generale da tutte le
Province, in funzione del proprio ruolo di protagoniste della concertazione e di
soggetti aggreganti le diverse istanze ed esigenze sociali, economiche e istitu-
zionali.
Dal 35 rapporto sulla situazione sociale del Paese, 2001, CENSIS questa
ipotesi viene ulteriormente avvalorata: le Province hanno oggi loccasione di
attivare percorsi di governance territoriale caratterizzati dalladozione di una logi-
ca poliarchica improntata allequilibrato utilizzo di momenti di decisionalit, di fun-
zionalit, di rappresentanza e di concertazione.
In tal senso appare evidente che la crescente attenzione dei grandi sogget-
ti promotori e gestori delle reti infrastrutturali alla creazione di unampia base di
consenso nei territori interessati, nonch al ritorno economico degli interventi,
pone lesigenza di individuare un interlocutore territoriale rappresentativo e affi-
dabile. Nellambito di un quadro strategico di obiettivi comunemente definiti
dunque un terreno di azione sostanziale nel quale le funzioni delle Province come
agenzie per lo sviluppo del territorio possono risultare esaltate.
Questa sicuramente una sfida da raccogliere.
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IL PROGETTO PILOTA DELLA PROVINCIA DI BOLOGNA
Paolo Natali*
A seguito della pubblicazione del D.M. 9 maggio 2001, la Provincia di
Bologna, in collaborazione con gli altri soggetti istituzionali competenti, ha avvia-
to un Progetto Pilota di applicazione del decreto, finalizzato alla definizione di una
metodologia di lavoro da fornire ai Comuni del proprio territorio.
Tale progetto nato nellambito dellIntesa istituzionale stipulata il 22 febbraio
2001 tra lANPA e lUPI, finalizzata alla promozione di azioni di pianificazione ter-
ritoriale inerenti il settore del rischio di incidente rilevante.
Formalmente il progetto stato avviato il 24 luglio 2001, con listituzione di
un gruppo di lavoro costituito da Provincia di Bologna, Regione Emilia-Romagna,
Comuni interessati, Prefettura di Bologna, ANPA, ARPA Emilia-Romagna,
Ispettorato regionale dei Vigili del Fuoco e Ministero dei lavori pubblici.
Durante questo primo incontro, dopo un approfondimento delle tematiche
trattate dal decreto, emersa, da parte di tutti i componenti, lurgenza di stabili-
re in breve tempo una strategia di lavoro e di promuovere il coinvolgimento degli
enti interessati e, in particolare, dei Comuni sul cui territorio sono presenti stabi-
limenti a rischio.
Il progetto ha suscitato linteresse anche delle Province di Ferrara, Ravenna e
Modena, che si sono attivate per valutare le risultanze del tavolo di lavoro ai fini
dellapplicazione del decreto sul proprio territorio.
Alla Provincia di Bologna stato affidato il ruolo operativo del progetto, con il
compito di definire una sorta di linee guida per lapplicazione del decreto, men-
tre gli altri componenti del tavolo di lavoro svolgono principalmente funzioni di
supporto.
Il Progetto Pilota, articolato in pi fasi, ha previsto inizialmente linformazione
e il coinvolgimento dei Comuni interessati, perseguendo una logica di concerta-
zione fra le Amministrazioni e ladozione eventuale di una procedura di co-piani-
173 * Dirigente Assessorato allambiente, Provincia di Bologna.
ficazione per la realizzazione di un Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale
avente valore ed effetto di variante dei piani urbanistici comunali.
Sulla base di quanto previsto dal decreto, il progetto stato cos strutturato:
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FASE: Identificazione degli elementi ambientali e territoriali vulnerabili.
Questa fase, esposta pi dettagliatamente in seguito, prevede la raccolta di
tutte le informazioni necessarie per inquadrare il territorio, valutandone la vulne-
rabilit in relazione alla presenza di stabilimenti a rischio di incidente rilevante.
2
a
FASE: Raccolta delle informazioni dai gestori e identificazione delle aree di
danno.
Sul territorio della Provincia di Bologna, allo stato attuale, sono presenti 29
stabilimenti a rischio di incidente rilevante, soggetti agli obblighi del D.M. 9 mag-
gio 2001, fra cui: 6 stabilimenti in classe A1 (art. 8) e 23 stabilimenti in classe A2
(art. 6).
La determinazione degli scenari incidentali e delle relative aree di impatto sul
territorio, risulta essere il momento pi critico del progetto, a causa di informa-
zioni non sempre aggiornate e del ritardo con cui alcuni Comuni si sono attivati
per la raccolta dei dati presso i gestori.
In collaborazione con il Settore Grandi rischi dellARPA, sono state raccolte
tutte le informazioni relative agli scenari incidentali delle aziende (conclusioni
di istruttoria dei Rapporti di sicurezza, Piani di emergenza esterna, Delibere
regionali).
Sulla base di queste conoscenze si sono istituiti dei tavoli tematici con i
Comuni, a seconda della tipologia di attivit svolta dagli stabilimenti:
Depositi di G.P.L.;
Depositi di carburanti;
Depositi di fitofarmaci;
Industrie chimiche e altre attivit.
Questa fase di lavoro, ancora in itinere, si concluder presumibilmente alla
fine di marzo 2002.
Lo scopo di questi incontri quello di offrire un supporto ai Comuni per ope-
rare la corretta applicazione del decreto, fornendo tutte le indicazioni necessarie
per la determinazione delle aree di danno, per la redazione degli Elaborati tecni-
ci RIR e per la verifica della compatibilit territoriale e ambientale.
3
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FASE: Valutazione della compatibilit territoriale e ambientale e adegua-
mento dei piani territoriali ed urbanistici.
Ottenute le informazioni dai gestori e validati i risultati con il supporto
dellARPA, il passo successivo prevede la verifica della compatibilit ambientale
e territoriale degli stabilimenti con le destinazioni duso del territorio.
Si ipotizza di concludere questa fase nel mese di aprile-maggio 2002, per
passare successivamente allattivazione delle procedure di adeguamento dei
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A tale proposito, come gi accennato precedentemente, ladeguamento del
Piano Territoriale Provinciale pu essere realizzato in maniera coordinata con
ladeguamento dei piani urbanistici, cos come previsto dalla Legge regionale
n. 20/2000.
Questa procedura di co -pianificazione pu risultare particolarmente opportu-
na al fine di garantire la condivisione degli elementi conoscitivi e laccelerazione
degli iter procedurali per ladeguamento dei piani.
4
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FASE: Comunicazione dei risultati e confronto con il gruppo di lavoro.
La conclusione del progetto, prevista indicativamente per giugno 2002,
dovrebbe portare alla definizione di una metodologia per lapplicazione del D.M.
9 maggio 2001.
I risultati ottenuti saranno validati dal gruppo di lavoro e, in seguito, divulgati
con la pubblicazione di un manuale o tramite altre forme di comunicazione.
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IL PIANO DI RISANAMENTO DELLAREA CRITICA
DI LIVORNO E PIOMBINO
Alessandro Lippi*, Marcello Mossa Verre**
Introduzione
I poli industriali e portuali di Livorno e Piombino, con decreto legge 7 gennaio
1995, n. 2 (modifica del D.P.R. n. 175/88 e legge di sanatoria del 19 maggio 1997,
n. 137) sono stati dichiarati aree critiche ad elevata concentrazione di attivit
industriali. La stessa norma ha riconosciuto la necessit di predisporre un piano
di intervento, finalizzato allindicazione di azioni di mitigazione dei rischi da indivi-
duare sulla base di specifici studi integrati di rischio darea.
La criticit dei due poli industriali deriva da una considerevole concentra-
zione di stabilimenti in aree di dimensioni relativamente ridotte, in particolare
nel caso di Livorno, ed in stretta relazione funzionale con i sistemi viario, fer-
roviario e portuale, interessati da ingenti flussi di materiali in ingresso e in
uscita dagli impianti stessi.
Alle problematiche di rischio industriale connesse con le lavorazioni svolte
presso gli stabilimenti, si aggiungono pertanto quelle dovute al trasporto e alla
movimentazione di sostanze pericolose. Nel caso di Livorno nella cui area
sono presenti una raffineria, depositi costieri, stoccaggi di GPL, industrie chi-
miche ecc. il perno del trasporto marittimo di sostanze pericolose rappre-
sentato da un canale industriale sul quale si affacciano direttamente ben sette
delle undici industrie a rischio di incidenti rilevanti presenti nellarea.
Nel sito di Piombino evidente invece una forte compenetrazione fra le aree
industriali e le aree urbane, con notevoli effetti di degrado ambientale oltre ai
rischi di natura industriale derivanti dalla contiguit degli insediamenti abitativi
con gli impianti.
177
* Direttore generale, ARPA Toscana.
** Responsabile Area Grandi rischi, ARPA Toscana.
Il modello organizzativo
Unintesa di programma fra Ministero dellambiente e Regione Toscana, fir-
mata il 6 giugno 1997 (G.U. n.175 del 29.07.97), ha definito le linee generali per
il piano di risanamento
1
e ha istituito un Comitato di coordinamento per il rac-
cordo fra le Amministrazioni centrali (Ministero dellambiente, Ministero dellin-
dustria, commercio e artigianato, Ministero degli interni) e quelle territoriali
(Regione Toscana, Provincia di Livorno, i Comuni di Livorno, Piombino e
Collesalvetti, Autorit marittima e portuale). Al Comitato stato affidato il com-
pito di sovrintendere allattuazione del piano di risanamento e di stabilire la prio-
rit degli interventi necessari. Lintesa di programma, inoltre, ha dato incarico ad
ARPAT (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana, istituita
con L. regionale n. 66/95) di predisporre il piano, redigere gli studi darea neces-
sari e svolgere funzioni di Segreteria tecnica.
Con linsediamento del Comitato di coordinamento, presso la Prefettura di
Livorno, in data 13 gennaio 1998, la redazione del piano entrata nella fase
operativa.
Il metodo
In base allincarico ricevuto, ARPAT ha provveduto avvalendosi anche
dellUniversit di Pisa a svolgere le necessarie analisi e valutazioni previsiona-
li quantitative sui fattori di rischio, grazie ad un capillare censimento dei termi-
ni di sorgente riguardanti sia le attivit industriali (impianti soggetti alla
Direttiva Seveso), sia i trasporti di prodotti pericolosi per via terrestre, marit-
tima o in condotta.
Per la ricomposizione dei rischi stata utilizzata la modellistica ARIPAR
(software ARIPAR-GIS), gi messa a punto per larea di Ravenna, che ha con-
sentito una dettagliata mappatura dei rischi industriali nelle zone di interesse.
La stima dellimportanza delle sorgenti, in termini ponderali, ha permesso
di definire le strategie di intervento per la mitigazione dei rischi, cos come pre-
visto dalla normativa, attraverso la realizzazione di dispositivi di sicurezza e la-
deguamento di impianti e infrastrutture.
Lo studio dei rischi darea e il relativo piano dintervento, per larea di Livorno,
sono stati approvati da parte del Comitato, nel dicembre 1999, e per il polo di
Piombino nel giugno 2000.
Parallelamente allanalisi delle sorgenti di rischio industriale, sono stati presi
in considerazione i principali fattori di squilibrio ambientale, per le due aree, al
fine di individuare le necessarie misure di risanamento.
I risultati degli studi concernenti i rischi industriali sono brevemente riassunti
nelle pagine che seguono, insieme ad una sintesi sui principali interventi di miti-
gazione e di risanamento, decisi dal Comitato sulla base del piano predisposto da
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I risultati degli studi
Lanalisi riguardante larea di Livorno stata condotta sostanzialmente in base
ai dati contenuti nei rapporti di sicurezza, per gli impianti fissi (presentati secondo
il D.P.R. n. 175/88), e ai dati forniti dalla Capitaneria di porto e dalle aziende, attra-
verso lAssociazione industriali di Livorno, per il trasporto di sostanze pericolose.
Con tali dati e grazie allutilizzo della metodologia di ricomposizione ARIPAR,
lanalisi della importanza delle tipologie di sorgenti ha mostrato che il trasporto
stradale quello che maggiormente contribuisce al rischio di area, con apporti
significativi anche degli impianti fissi e del trasporto ferroviario e per condotta.
Complessivamente risultato, comunque, che il 96% della popolazione non
esposta a livelli di rischio significativi.
Un esame dei risultati in termini di rischio locale
2
ha permesso, in particolare,
di evidenziare che questultimo stimabile nei seguenti livelli, pari a:
10
-3
/anno in aree molto ristrette localizzate allinterno della Raffineria Agip
Petroli, in corrispondenza degli impianti di produzione zolfo e idrodesolfora-
zione gasolio e allinterno dello stabilimento AgipGas;
10
-4
/anno in aree ristrette ubicate in corrispondenza degli impianti AgipGas
oltre che negli impianti di produzione zolfo e idrodesolforazione gasolio della
Raffineria Agip Petroli, in area portuale (in prossimit del pontile 13), a causa
della condotta GPL e, infine, in una zona ristretta lungo la pipeline Livorno-
Calenzano (oleodotto di trasferimento di benzine e gasoli);
10
-5
/anno in corrispondenza di aree pi ampie interne agli impianti (AgipGas
e Raffineria Agip Petroli), in corrispondenza dello scalo Livorno-Calambrone,
del tratto terminale del canale industriale e allimbocco dello stesso e dello
stabilimento Dow Italia e lungo la condotta Livorno-Calenzano;
10
-6
/anno che interessa linviluppo delle aree industriali e del porto industriale
in genere, con estensione alle direttrici di grande comunicazione (SGC) e via-
bilit esterna, nonch la frazione di Stagno prospiciente la Raffineria, seguen-
do verso sud il percorso della S.S. n. 1 Aurelia fino alla Darsena Ugione.
Fatta eccezione per le aree sopra evidenziate il rischio locale si mantiene infe-
riore a 10
-7
salvo larea di Stagno (10
-6
), frazione del Comune di Collesalvetti,
confinante con la raffineria Agip Petroli.
Lesame della situazione del rischio sociale
3
ha evidenziato che gli impianti fissi
contribuiscono in modo rilevante al rischio globale per valori di N inferiori a qualche
unit e superiori a 400; in questultimo caso, con frequenze di accadimento molto
pi basse. Il trasporto per condotta invece, assume importanza rilevante solo fino
a N pari a qualche decina per poi scomparire completamente per N superiori.
Il rischio da trasporto stradale costante e fornisce un contributo prevalente
fino a N= 400 per poi scomparire. Infine il trasporto ferroviario fornisce un con-
tributo modesto fino a N=1000, mentre quello navale da considerarsi, in que-
sto ambito, irrilevante.
Per quanto riguarda il contributo delle varie sostanze, lesame delle curve F-
N mostra come nel trasporto stradale il GPL dia il contributo maggiore, cos come 179
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negli impianti fissi il principale apporto rappresentato da rilasci nel parco ser-
batoi GPL della raffineria.
Per quanto riguarda le problematiche connesse con leffetto domino, stata
rilevata la trascurabilit dello stesso sul rischio individuale e locale allesterno dei
confini degli stabilimenti dellarea di Livorno. Relativamente agli impianti fissi, a
parte il caso del GPL, si pu ritenere che le criticit rilevate tenuto conto del
carattere locale delle stesse possano essere mitigate o rimosse con interventi
sugli impianti, finalizzati alla riduzione delle probabilit di accadimento degli inci-
denti o mitigazione delle conseguenze; tali interventi saranno oggetto di puntua-
li prescrizioni da parte dellAutorit preposta alle conclusioni sulle istruttorie dei
rapporti di sicurezza.
Nellarea di Piombino le sorgenti di rischio sono costituite essenzialmente
dalle Aziende SOL s.p.a. (produzione di gas tecnici), Lucchini s.p.a. (Industria
siderurgica leader italiano nella produzione di laminati lunghi) e La Magona dItalia
(Industria metalmeccanica produzione di lamiere zincate o verniciate), dal traf-
fico di merci pericolose su strada e dalle operazioni di sosta, imbarco e sbarco
dei mezzi trasportanti merci pericolose, in corrispondenza della zona portuale. Le
conseguenze degli eventi incidentali ipotizzati, sono da ricondurre essenzialmen-
te ad esplosioni, incendi e rilascio di sostanze tossiche.
In termini generali, lanalisi del rischio ha evidenziato che il contributo degli
stabilimenti industriali presenti nellarea di Piombino principalmente confinato
allinterno del perimetro delle singole aziende. Nel caso di SOL s.p.a., sono pos-
sibili eventi incidentali con effetti anche allesterno dello stabilimento, ma con
una frequenza di accadimento inferiore a 10
-8
eventi/anno.
il trasporto stradale di merci pericolose in direzione del porto e delle azien-
de a costituire, invece, la principale sorgente di rischio allesterno delle aree degli
stabilimenti.
In termini quantitativi il rischio locale nelle zone residenziali della citt infe-
riore a 10
-7
eventi/anno, mentre si raggiungono valori superiori a 10
-6
eventi/anno
nella zona portuale in corrispondenza delle banchine di imbarco dei traghetti per
le isole.
Il maggiore contributo al rischio locale nelle zone residenziali della citt
dovuto al trasporto di GPL in direzione del porto per rifornire lisola dElba, al tra-
sporto di esplosivi sempre in direzione del porto, aventi come destinazione o pro-
venienza la Sardegna ed al trasporto di ammoniaca anidra verso lo stabilimento
della Magona dItalia.
Il rischio sociale dellordine di 10
-5
eventi/anno per N fino a 1000: per N infe-
riori a 100 dovuto essenzialmente al trasporto di sostanze pericolose su stra-
da, mentre per N superiore diventa determinante linfluenza delle sorgenti fisse
di rischio dovute allimbarco di sostanze pericolose, esplosivi in particolare, su
traghetto in corrispondenza nellarea portuale.
Le conclusioni dello studio indicano pertanto un rischio locale per la popola-
zione che non appare particolarmente significativo; le zone abitate limitrofe alle 180
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strade di accesso al porto sono esposte tuttavia a livelli di rischio di due ordini di
grandezza maggiori rispetto alle zone pi esterne. Lanalisi del rischio sociale evi-
denzia la possibilit di incidenti con elevato numero di vittime, legate al traffico
di merci pericolose, anche in considerazione della presenza, in particolare duran-
te il periodo estivo, di turisti in transito per lisola dElba.
Le strategie di intervento
a) Area di Livorno - Collesalvetti.
Il piano preliminare, destinato a utilizzare le risorse stanziate col D.M. 22 set-
tembre 1995 del Ministero dellambiente, che ha assegnato per larea Livorno-
Piombino 20 miliardi di lire per interventi urgenti, ha definito alcuni interventi prio-
ritari, secondo i contenuti dellart. 8 dellintesa di programma, fra Ministero del-
lambiente e Regione Toscana del 6 giugno 1997.
Lo studio dei rischi darea ha permesso di individuare un elenco, per quanto pos-
sibile esaustivo, di interventi migliorativi intesi alla riduzione del rischio industriale
nellarea. I risultati conseguiti hanno confermato la scelta degli interventi gi indivi-
duati preventivamente, evidenziando alcuni ulteriori interventi migliorativi.
Fra gli interventi gi avviati si annoverano, in particolare:
la ristrutturazione del parco stoccaggio GPL della Raffineria AGIP Petroli;
gli interventi sulla viabilit di Stagno;
gli interventi per accrescere il livello di sicurezza in area portuale (dragaggio
del canale industriale, potenziamento del pontile 12, posa in cunicolo dei
gasdotti della Darsena Toscana);
gli interventi di miglioramento della sicurezza nelle operazioni di carico/scari-
co navi, Soc. Carbochimica;
la predisposizione di attrezzature di pronto intervento per lemergenza in area
portuale;
la razionalizzazione dei traffici portuali e industriali, in area portuale (via delle
Cateratte e pertinenze);
il miglioramento della viabilit via Aurelia ed area sud-est prospiciente la raffi-
neria di Livorno e la razionalizzazione impianti di distribuzione rete;
la realizzazione di un piping per il trasferimento di biodiesel presso lo stabili-
mento Novaol.
Lo studio darea predisposto, come gi rilevato, ha consentito di confermare
la validit delle determinazioni gi adottate dal Comitato ed ha permesso di indi-
viduare ulteriori elementi di criticit, nonch i conseguenti interventi migliorativi,
che consistono in:
interventi indirizzati alla mitigazione dei rischi da trasporto stradale, attraverso
un maggiore utilizzo del trasporto ferroviario in alternativa a quello stradale,
sostituendo una quota di questultimo con movimentazione su rotaia in usci-
ta dal deposito AgipGas, tramite nuove pensiline di carico, raccordate con
tronchi ferroviari allo scalo di Livorno-Calambrone; 181
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interventi di razionalizzazione dei traffici portuali e industriali (secondo lotto),
che rappresentano lintegrazione delle opere gi approvate dal Comitato; si
prevede, in particolare, la realizzazione del raddoppio della carreggiata della
via Leonardo da Vinci, il nuovo raccordo della stessa con la SGC Livorno-Pisa-
Firenze, migliorando decisamente laccesso allarea portuale;
interventi indirizzati alla mitigazione dei rischi connessi con lo scalo ferroviario
di Livorno-Calambrone, riqualificando lo stesso con lintensificazione delle
misure di sicurezza antincendio;
interventi indirizzati alla mitigazione dei rischi connessi con gli impianti di stoc-
caggio di GPL (in serbatoi cilindrici orizzontali), tramite tumulazione dei serba-
toi di stoccaggio.
Una serie di interventi complementari (sulla viabilit di Collesalvetti e le aree
portuali) completa il quadro globale delle strategie di intervento per larea di
Livorno-Collesalvetti.
Per la realizzazione degli interventi sono stati assegnati, fino ad oggi, circa 30
miliardi di lire, con una previsione di circa 51 miliardi ulteriori necessari al com-
pletamento degli interventi avviati e circa 27 miliardi per i nuovi interventi princi-
pali da avviare individuati nel piano e, infine, circa 41 miliardi per gli interven-
ti complementari.
b) Area di Piombino
Tra i principali risultati dello studio di area emerge lindicazione che il traspor-
to su strada di merci pericolose costituisce il fattore principale di rischio per la
zona di Piombino.
Sono state prese in esame, pertanto, le possibili soluzioni per ridurre la fre-
quenza degli eventi incidentali collegati con il transito di automezzi trasportanti
GPL, esplosivi e ammoniaca, o per mitigarne le conseguenze: ha trovato confer-
ma, quindi, la validit di una precedente proposta dellAmministrazione comunale
di migliorare lo scorrimento del traffico nella viabilit principale, eliminando il pas-
saggio a livello in corrispondenza della strada di accesso allarea portuale.
Un apporto significativo al rischio locale dovuto al trasporto stradale di
ammoniaca anidra.
La Magona dItalia utilizza questa sostanza per produrre idrogeno e azoto
(mediante dissociazione catalitica ad alta temperatura), da utilizzare come atmo-
sfera riducente durante il ciclo di zincatura delle lamiere. A causa delle proble-
matiche di sicurezza derivanti dallapprovvigionamento e dallo stoccaggio di que-
sta sostanza, evidenziate anche dallo studio di area, lazienda ha proposto un pro-
getto per la produzione di idrogeno basato sulla tecnologia dello steam reform-
ing, che utilizza come materia prima il metano, gi presente in stabilimento, eli-
minando completamente lo stoccaggio e il conseguente approvvigionamento di
ammoniaca anidra.
Ulteriori argomenti di approfondimento per la diminuzione del rischio di area,
emersi in seguito alle valutazioni effettuate, sono da ricercare nella individuazio-
ne di una viabilit alternativa pi lontana dal centro urbano e di una razionalizza- 182
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zione delle procedure di sosta e di imbarco dei mezzi che trasportano le merci
pericolose, con particolare riferimento agli esplosivi, nellarea portuale.
Dal punto di vista della pressione ambientale stata evidenziata la notevole
influenza dellimpianto siderurgico a ciclo integrale, che si estende fino al centro
abitato della citt.
Preso atto del progetto di rifacimento dellattuale impianto di distillazione del
fossile che prevede lutilizzo della migliore tecnologia disponibile per questi
impianti, al fine di limitare ulteriormente limpatto ambientale dello stabilimento
sulla citt, stato valutato positivamente il progetto dellAmministrazione comu-
nale che prevede lallontanamento, rispetto al centro abitato, dellattuale impian-
to di trattamento scorie e contestualmente lacquisizione di una vasta area indu-
striale che permette di alleggerire il peso della presenza industriale, recuperando
preziosi spazi da utilizzare per la citt, ormai chiusa tra il mare e gli stabilimenti
industriali.
A conclusione di questo breve capitolo dedicato ai casi di Livorno e
Piombino, riteniamo opportuno evidenziare come lesperienza maturata possa
utilmente essere messa a disposizione delle Autorit che sul territorio naziona-
le si troveranno a dover gestire analoghe problematiche connesse con lesi-
stenza di aree ad elevata concentrazione industriale: anche per gli aspetti orga-
nizzativi, infatti, il modello messo a punto ha mostrato la propria efficienza gra-
zie al coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, attraverso strumenti gestio-
nali snelli e decentrati
4
.
Per quanto attiene agli aspetti metodologici, riteniamo auspicabile laddove
la complessit delle problematiche da trattare lo renda necessario lutilizzo di
strumenti di ricomposizione dei rischi darea anche per la definizione e ladozio-
ne di politiche di pianificazione territoriale, secondo i criteri di controllo dellurba-
nizzazione, sanciti dal D.Lgs. n. 334/99 e dalla Direttiva Seveso II e stabiliti dal
D.M. 9 maggio 2001, in particolare per ci che attiene alle fasi di acquisizione dei
dati e alla successiva analisi di compatibilit territoriale e ambientale.
Allegato a questo saggio presente nel CD-Rom:
La determinazione delle aree di danno e la compatibilit territoriale
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Note
1
Il testo presentato costituisce una riedizione aggiornata della relazione Larea industriale
di Piombino-Livorno e lapplicazione della Seveso 2, autori: Marcello Mossa Verre, Marcello
Ceccanti, Quarta Conferenza Nazionale delle Agenzie Ambientali, Venezia, 3-5 aprile 2000.
2
Rappresenta con riferimento ad un individuo sano, non protetto, presente 24 ore su 24
in un punto dellarea in esame la probabilit di decesso, su base annua, derivante dal contri-
buto degli incidenti ipotizzabili presso le attivit industriali fisse (o da trasporto) nellarea con-
siderata.
3
Rappresenta la probabilit di osservare scenari incidentali ai quali siano attribuibili conse-
guenze pi gravi o uguali ad una certa entit, espressa in numero di decessi (N).
4
Dalla presentazione del rapporto Piano di risanamento per le aree critiche a elevata con-
centrazione industriale di Livorno e Piombino, Analisi del rischio per larea di Livorno e strate-
gie dintervento, ARPAT, Firenze, marzo 2000.
Riferimenti bibliografici
MOSSA VERRE M. (a cura di), Piano di risanamento per le aree critiche a elevata concentra-
zione industriale di Livorno e Piombino Analisi del rischio per larea di Livorno e stra-
tegie dintervento, ARPAT, Firenze, marzo 2000.
ID., Piano di risanamento per le aree critiche a elevata concentrazione industriale di
Livorno e Piombino Analisi del rischio per larea di Piombino e strategie dinterven-
to, ARPAT, Firenze, dicembre 2000.
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6.5
IL PIANO DI RISANAMENTO DELLAREA A ELEVATO RISCHIO
DI CRISI AMBIENTALE DELLA PROVINCIA DI SIRACUSA
Bruno Marziano*, Vincenza Sicuso**, Maria Grazia Mancuso***
Premessa
Una vasta area del territorio della Provincia di Siracusa stata interessata, a
partire dagli anni cinquanta, da un massiccio processo di industrializzazione che ne
avrebbe fatto il Polo petrolchimico pi rilevante dEuropa degli anni settanta.
Un processo di industrializzazione che determin un profondo cambiamento
nella vita economica e sociale del territorio, trasformando la cultura originaria, fon-
damentalmente agricola e basata sulle attivit della pesca e dellartigianato, in
societ industriale. Ma negli anni settanta inizi uninversione di tendenza che port
alla crisi della societ industrializzata italiana e di quella siracusana in particolare.
Il processo di sviluppo dimostr presto tutti i suoi limiti: liniziativa degli impren-
ditori locali era rimasta limitata alla struttura industriale senza riuscire a sviluppare un
processo imprenditoriale autonomo. Le industrie tradizionali, ed in particolare quel-
le della filiera alimentare, non erano riuscite a stare al passo con le trasformazioni
tecnologiche. Non cera stato un vero e proprio aumento delloccupazione ma, pi
semplicemente, un passaggio della manodopera dai settori tradizionali allimpresa
petrolchimica. Ed accanto ai problemi occupazionali cominciarono ad emergere
anche problemi di inquinamento ambientale dellaria, dellacqua e del suolo. Questi
anni furono interessati anche da diversi incidenti industriali di rilevanti dimensioni.
Il Piano di risanamento ambientale
Il 30 novembre 1990, con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, il
territorio ricadente nei Comuni di Siracusa, Priolo, Melilli, Augusta, Floridia e
185
* Presidente Provincia regionale di Siracusa.
** Ufficio Piano di Risanamento Provincia regionale di Siracusa.
*** Ufficio Sanzioni ambientali Provincia regionale di Siracusa.
Solarino stato dichiarato area ad elevato rischio di crisi ambientale. Larea,
che si estende per circa 550 km
2
pari al 26,1% dellintero territorio provinciale,
stata fortemente condizionata dallesistenza di un Polo industriale di rilevanti
dimensioni; esso occupa una superficie di 17,43 km
2
, cio il 3% circa dellintera
area ed collocato esclusivamente lungo la fascia costiera che si stende a nord
di Siracusa fino ad Augusta. La concentrazione in un cos ristretto territorio di pi
insediamenti produttivi che lavorano sostanze pericolose per caratteristiche di
tossicit e/o infiammabilit determina una alta incidenza di rischio di incidente
rilevante.
Gli incidenti possibili nellarea sono raggruppabili in 3 grandi categorie: incen-
dio, esplosione e rilasci tossici. La popolazione sembra pi esposta a eventi di
rilascio tossico: si tratta di fenomeni che difficilmente si possono circoscrivere,
consistendo nella propagazione di sostanze nellatmosfera e nei confronti delle
quali acquistano grande rilevanza le azioni di tipo preventivo per la riduzione del
rischio nei confronti della popolazione. Gli eventi pi pericolosi per la popolazio-
ne sono rappresentati, comunque, dai fenomeni di incendio e di esplosione
appartenenti alla tipologia BLEVE-Fireball (esplosione fisica ma confinata, deter-
minata dalla rapida vaporizzazione di un liquido surriscaldato), UVCE (esplosione
non confinata di una nube di gas o vapore infiammabili, premiscelata con aria) e
Pool-Fire (incendio di una pozza a seguito di rilascio di un liquido o di una misce-
la bifase infiammabile).
Non vanno, inoltre, sottovalutati i possibili effetti domino causati dalla conti-
guit di alcuni bacini industriali. Questi fenomeni possono causare gravi effetti su
ampie e significative porzioni di territorio e nelle aree urbanizzate circostanti ed
interessare il sistema viario e la linea ferroviaria Catania-Augusta-Siracusa che
percorre un lungo tratto in seno al territorio degli stabilimenti industriali. I fattori
di rischio sono, altres, incrementati dalla notevole movimentazione di merci e
sostanze infiammabili in ingresso e in uscita dei cicli produttivi che avviene attra-
verso il trasporto marittimo, ferroviario e su gomma. A ci si aggiunge lelevato
grado di sismicit, i cui fenomeni possono rappresentare sorgente di ulteriori
eventi incidentali.
Il Piano di disinquinamento per larea a rischio della Provincia di Siracusa,
stato definitivamente approvato con Decreto del Presidente della Repubblica del
17 gennaio 1995. Infine, con il Decreto del Presidente della Regione Siciliana
23.01.96 stato approvato lAccordo di programma ed stato istituito il
Comitato di coordinamento.
Lo sviluppo del programma di risanamento stato articolato in due fasi: una
prima fase conoscitiva, tesa alla comprensione delle problematiche ambientali, e
una seconda fase propositiva, finalizzata allindividuazione degli interventi di risa-
namento.
Lesame condotto sullarea ha evidenziato ben 5 problematiche che richiedo-
no interventi urgenti: linquinamento atmosferico che appare piuttosto grave a
causa soprattutto delle emissioni del Polo industriale; il rischio industriale per 186
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incidente rilevante, determinato dalle caratteristiche di infiammabilit e tossicit
delle sostanze prodotte e lavorate nelle industrie petrolchimiche; il depaupera-
mento della falda acquifera, causata dallapprovvigionamento idrico sia industria-
le che civile, lo smaltimento dei rifiuti industriali, in ragione degli ingenti volumi
da smaltire e della mancanza di impianti idonei; laspetto sanitario ed epidemio-
logico, poich la mancanza di dati certi ne attribuisce priorit in relazione alla
necessit di studi, indagini e monitoraggio.
Sono state, altres, individuate altre problematiche ambientali da affrontare
nel medio-lungo termine: linquinamento marino, linquinamento idrico superfi-
ciale, dovuti soprattutto ad una contaminazione di natura organica e non indu-
striale, il degrado delle risorse idriche sotterranee, il degrado paesaggistico e la
compromissione degli ecosistemi naturali, soprattutto di quelli fluviali dove si
registra una riduzione della biodiversit.
Il rischio industriale nel Piano di risanamento
Sulla base delle problematiche sopra indicate, il Piano di risanamento stato
articolato in 90 interventi, di cui 49 di titolarit pubblica e 41 di titolarit delle
imprese private. Per affrontare le problematiche ambientali esso prevede degli
obiettivi di natura generale, i macro-obiettivi, ed interventi di natura specifica.
I primi sono diretti ad affrontare problematiche di ampio respiro, spesso
comuni a tutti i centri urbani ed industriali, che potrebbero essere risolti con lat-
tivit di ordinaria amministrazione ma che vengono inseriti nel Piano affinch si
dia loro una soluzione integrata con quella prevista per i problemi specifici del-
larea.
Gli obiettivi specifici sono volti al recupero e alla tutela delle componenti
ambientali principali ed alla riqualificazione e valorizzazione del territorio.
Gli interventi previsti dal Piano con riferimento al rischio industriale sono
essenzialmente diretti a modificare le preesistenti sistemazioni impiantistiche
degli stoccaggi e a realizzare interventi puntuali di rilocalizzazione, di ristruttura-
zione delle infrastrutture di trasporto con riferimento ai nodi pi critici per la
gestione delle emergenze, a realizzare una mappatura del rischio sismico nella-
rea e una verifica strutturale degli impianti critici; infine si prevede il potenzia-
mento delle attivit di controllo e manutenzione.
Nella tabella 1, di seguito riportata, vengono indicati i macro-obiettivi, gli obiet-
tivi di natura generale, determinati sulla base degli elementi conosciuti, e gli spe-
cifici settori di intervento previsti dal Piano con riferimento al rischio industriale
per incidente rilevante.
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Nelle successive tabelle, n. 2 e n. 3, sono riportati gli interventi specifici
riguardanti la problematica del rischio industriale rispettivamente posti a carico
delle imprese private e degli Enti pubblici, con Obiettivo B1 che si prefigge di
attuare il contenimento del rischio di incidente rilevante nelle installazioni indu-
striali attraverso il controllo e la riduzione del rischio di rilascio tossico, di BLEVE-
Fireball, di esplosione e di irraggiamento termico.
Gli interventi vengono identificati da un codice alfanumerico; es: A1-1/B dove
A indica il macro-obiettivo; 1 rappresenta il codice numerico che indica i settori
specifici di intervento; 1 il numero progressivo degli interventi nellambito dei
medesimi obiettivi; B indica la tipologia di finanziamento prevista.
Sotto questo profilo gli interventi possono essere gi finanziati (A), da finan-
ziare a totale carico dellazienda (B) e da finanziare con possibili contributi pub-
blici (C). Ogni intervento reca un titolo e ne indica il soggetto titolare.
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PRAOIL B1-1/B Sistemazione impiantistica installazioni di stoccaggio
in pressione
ENICHEM B1-2/B Sistema monitoraggio in area acido fluoridrico
Augusta B1-3/B Barriere dacqua in area acido fluoridrico
B1-4/B Delocalizzazione serbatoio di stoccaggio acido solforico
ESSO B1-5/B Sistemazione impiantistica installazioni di stoccaggio
in pressione
ENICHEM B1-6/B Sistemazione impiantistica installazioni di stoccaggio
Priolo B2-1/C in pressione
B2-5/C Dismissione impianto di stoccaggio ammoniaca
B3-1/B Razionalizzazione sistemazione pontili
Rifacimento cavalcavia strada interna
Tabella 2
Macro-obiettivo Obiettivo Settore di intervento
B Contenimento B1 Contenimento del Controllo e riduzione del rischio di
del rischio industriale rischio di incidente rilevante rilascio tossico
in installazioni industriali Controllo e riduzione del rischio di
BLEV-Fireball ed esplosione
Controllo e riduzione del rischio di
irraggiamento termico
B2 Contenimento dei Organizzazione della gestione del
rischi connessi al trasporto trasporto
di sostanze pericolose Infrastrutture di trasporto
B3 Miglioramento della Gestione delle emergenze
gestione delle emergenze (piani di emergenza esterni)
Creazione di infrastrutture
(centri di intervento, soccorso)
Tabella 1
Si tratta, come detto, di interventi diretti al contenimento del rischio indu-
striale: per esempio la scheda B1-2/B, di titolarit dellENICHEM Augusta, oggi
SASOL Italy s.p.a., prevede linstallazione di una rete di sensori dislocati in tutta
larea interessata dalla presenza dellacido fluoridrico, collegati a segnali di allar-
me acustico e visivo che garantiscano il controllo continuo per individuare even-
tuali fuoriuscite di acido fluoridrico. Il progetto ulteriormente completato dalla
scheda B1-3/B, di titolarit della stessa azienda, che prevede la realizzazione di
barriere dacqua da erogare attraverso appositi ugelli, in collegamento con la rete
antincendio, al fine di contenere gli eventuali rilasci di sostanza e capace di ridur-
re il calore di irragiamento derivante da ipotetici incendi in aree limitrofe.
Si consideri che queste schede sono collegate ad altre, riportate nella tabella
4, che prevedono interventi non direttamente incidenti sul contenimento del
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Regione Siciliana B3-3/C Rete rilevamento gas infiammabili linea ferroviaria
Consorzio ASI B2-2/C Spostamento strada di accesso al pontile NATO
B2-3/C Chiusura al traffico della strada ex Regia Trazzera
in prossimit del reparto SG10
B2-4/A-C Interconnessione trasporto fluidi tra gli stabilimenti
B3-4/C Completamento svincolo autostradale Priolo Nord
B3-5/C Svincolo autostradale Priolo Sud - Siracusa Nord
ANAS B3-2/C Innesto rapido in uscita da Siracusa Sud
Tabella 3
Regione Siciliana H2-1/C Potenziamento delle strutture di controllo ambientale
H2-2/C Formazione nuove figure professionali per la gestione
I1-1/C degli interventi di Piano
I1-2/C Istituzione di un Osservatorio dArea sullinquinamento
I1-3/C ambientale
I2-5/C Studio sismico dellarea industriale
I2-7/A Sistema di controllo del rischio darea
I2-8/A Mappatura della rumorosit ambientale
Rete centralizzata sorveglianza e prevenzione inquinamento e rischi
I4-1/C Centro prevenzione inquinamento e rischi movimentazione
I5-1/C sostanze tossiche e pericolose
I5-2/C Realizzazione del sistema informativo
Strumenti di informazione ambientale
Strumenti di informazione sul rischio
Provincia di I2-1/C Razionalizzazione della rete di monitoraggio della qualit
Siracusa dellaria
Centro Operativo I2-6/C Programma di monitoraggio periodico di inquinanti
Provinciale organici ed inorganici
(D.M. 20 maggio 1991)
ENICHEM Priolo I1-6/C Programmi di studio e sperimentazioni di tecniche per le
innocuizzazioni dei fanghi mercuriosi
Tabella 4
rischio industriale e tuttavia con esso intrinsecamente collegate; azioni di soste-
gno allo sviluppo socio-economico che prevedono, tra laltro, il potenziamento
delle competenze in campo ambientale ed il potenziamento delle strutture di
controllo ambientale o azioni di supporto e controllo del piano che prevedono la
realizzazione di un sistema informativo territoriale integrato, limplementazione di
sistemi di monitoraggio, la creazione di un sistema di controllo del rischio indu-
striale darea o interventi quali il miglioramento delle conoscenze ambientali
attraverso lo studio sul rischio industriale e sulla sismicit del territorio.
Lesigenza di condurre uno studio sismico dellArea industriale (scheda I1-2/C)
scaturiva dal fatto che mancava un lavoro sistematico ed omogeneo in grado di
definire ladeguatezza delle principali strutture impiantistiche nei riguardi delle
sollecitazioni indotte dallevento sismico; la finalit perseguita guarda alla defini-
zione, pertanto, della stima del rischio sismico, alla definizione dei requisiti strut-
turali e impiantistici per le infrastrutture industriali presenti nellarea, la progetta-
zione funzionale di un Osservatorio del Rischio con funzione di gestione integra-
ta del rischio sismico e del rischio di incidente rilevante.
La Rete centralizzata sorveglianza e prevenzione inquinamento e rischi (sche-
da I2-7/A) diretta alla caratterizzazione dello stato di inquinamento nellarea e
nella realizzazione di una rete integrata di controllo, basata su postazioni di con-
trollo del traffico marittimo, allacquisizione di immagini relative alla dispersione
di scarichi in mare o di effluenti gassosi in atmosfera ed allidentificazione di fonti
di calore. Lintervento integrato dal Centro prevenzione inquinamento e rischi
movimentazione sostanze tossiche e pericolose (scheda I2-8/A) che prevede la
realizzazione di un centro, presso la Prefettura, di prevenzione dellinquinamento
e dei rischi associabili alla movimentazione delle sostanze tossiche e pericolose
trasformabile, in caso di emergenza, in una vera e propria unit di crisi di sup-
porto alle decisioni. Il Sistema di controllo del rischio darea (scheda I1-3/C) pre-
vede la messa a punto di uno strumento di valutazione e di controllo del rischio
che consente di procedere ad analisi comparative per ottimizzare la gestione del
rischio, guidare le scelte operative per minimizzarlo, supportare le decisioni di
programmazione del territorio, in vista della possibile realizzazione di nuovi
impianti o della delocalizzazione di altri.
I progetti privati sono stati per lo pi realizzati ad eccezione di quelli per i quali
prevista dal Piano una quota partecipativa di finanziamenti pubblici. Questi hanno
seguito le sorti dei progetti di titolarit degli Enti pubblici. Per la loro realizzazione
il Ministero dellambiente trasfer 100 miliardi di lire nel 1996 alla Regione Siciliana
che a tuttoggi non ha ancora finanziato la loro realizzazione. A fine di sbloccare
questa situazione il Ministro dellinterno, con lOrdinanza di protezione civile n.
3072 del 21 luglio 2000, ha nominato il Prefetto di Siracusa Commissario delega-
to per lattuazione del Piano di risanamento del territorio della Provincia di Siracusa,
che oggi il punto di riferimento per lattuazione ed il rilancio del Piano.
La maggior parte dei progetti inerenti al contenimento del rischio industriale,
quali B3-2/C, B3-4/C e B3-5/C, relativi alle vie di fuga, e I2-7/A (Rete centralizza- 190
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ta sorveglianza e prevenzione inquinamento e rischi) sono stati, tuttavia, realiz-
zati con fondi diversi dal Piano. Con riferimento al rischio sismico, lANPA sta
conducendo uno studio sul territorio e sulle possibili refluenze di questo sugli sta-
bilimenti industriali. Restano, per, ancora da realizzare interventi urgenti quali la
rilocalizzazione dellimpianto SG 14 dello stabilimento ENICHEM s.p.a di Priolo,
per lo stoccaggio di ammoniaca e dei relativi sistemi ausiliari, la realizzazione
della rete di rilevamento di gas infiammabili lungo la linea ferroviaria SR-CT e la
realizzazione di infrastrutture viarie per la sicurezza, quali lo spostamento della
strada di accesso al pontile NATO e la chiusura al traffico della strada ex Regia
Trazzera.
Si tratta di interventi che sono stati ritenuti urgenti e da attuare in via priorita-
ria anche dalla Commissione Clini, costituita dal Servizio IAR del Ministero del-
lambiente su richiesta del Prefetto di Siracusa nellagosto del 2000 a seguito di
una serie di incidenti succedutisi in alcuni stabilimenti industriali.
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Riferimenti bibliografici
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vita, Edizione C.D.S. 1985.
SCUOLA MEDIA G.E. RIZZO, Melilli - ricordi, valori e speranze del mio Paese, Esso Italiana,
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SEGRE A., Le Aree ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale. Considerazioni introduttive, in
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SICUSO V., Aree ad Elevato Rischio di Crisi Ambientale - Analisi di un caso-studio nella
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6.6
IL COMUNE DI TARANTO
Mario Francesco Romandini*
La presenza di un Comparto industriale (ILVA,CEMENTIR, AGIP ecc.) situato
in contiguit della cinta urbana, di estensione pari al doppio di quella occupata
dallarea urbana, penalizza sia la citt di Taranto che il suo hinterland.
La zona maggiormente a rischio quella del quartiere Tamburi - Croce, ubi-
cato a nord del nucleo antico ed , in alcune parti, compenetrata con il settore
pi industrializzato e pi inquinato del territorio urbano.
Tale quartiere si trova a ridosso del Centro siderurgico pi grande dEuropa ed
interessato da diverse infrastrutture, quali le maggiori arterie stradali e ferro-
viarie di collegamento della citt in ambito regionale ed interregionale. Il quartie-
re, sito in periferia e densamente popolato, caratterizzato da una struttura
socio-economica in profonda crisi e da un tessuto edilizio in totale degrado.
La crisi economica ha colpito, in particolare, il comparto della siderurgia.
Al tempo stesso, larea costiera, prospiciente il primo seno del Mar Piccolo,
contiene un patrimonio paesaggistico, ambientale ed architettonico di rilevante
interesse.
Inoltre, nella citt di Taranto deve essere affrontato il problema relativo al
disinquinamento ambientale con particolare riferimento a quello atmosferico.
A fronte di questa allarmante situazione di degrado ambientale (studi
dellOrganizzazione Mondiale della Sanit hanno collocato Taranto ai primi posti
in Europa nella graduatoria della invivibilit ambientale), obiettivo fondamentale
quello di ridurre al massimo il fattore negativo di pressione sullambiente favo-
rendo interventi comunque finalizzati a minimizzare gli effetti negativi sulla salu-
te delle persone e sulla vulnerabilit dellambiente.
La presenza di stabilimenti a rischio di incidente rilevante, nellarea tarantina,
non pu che comportare effetti anche su altri Comuni limitrofi, sia per lo scena-
rio incidentale sia per i danni a medio e lungo termine sullambiente.
193 * Dirigente Settore Governo del territorio, Comune di Taranto.
Soluzioni alla complessit accennata, potrebbero rintracciarsi attraverso lau-
spicabile promozione di una attivit di coordinamento intercomunale, anche in
ragione della competenza delle Amministrazioni provinciali, nellambito della
redazione degli strumenti di area vasta e di coordinamento territoriale, ovvero
delle loro varianti di adeguamento alla normativa sul rischio di incidenti rilevanti.
A partire dalle indicazioni del D.M. 9 maggio 2001 possibile anzi fortemen-
te auspicabile impostare e promuovere ogni iniziativa volta al coordinamento
intercomunale per il recepimento contestuale della normativa in questione.
Di fatto, nella maggior parte dei casi, come viene spiegato nellAllegato al
D.M. 9 maggio 2001, la promozione dellattivit di coordinamento pu essere
operata dal basso e, in questo caso, liniziativa potrebbe essere assunta dal
Comune di Taranto, o, in alternativa dallalto in ragione delle competenze affi-
date alla Provincia mediante delega dalla Regione.
La prima forma di coordinamento potrebbe rientrare nella cosiddetta program-
mazione negoziata, come accordo procedimentale per la revisione coordinata
degli strumenti urbanistici dei diversi Comuni interessati e come linea guida per
la promozione del piano territoriale di coordinamento. Questa soluzione appare pos-
sibile, tenuto presente che il Comune capoluogo, come, del resto, tutti i Comuni
della Puglia, gi attivo per il necessario e obbligatorio adeguamento del vigente
PRG al PUTT/P (piano urbanistico territoriale tematico del paesaggio), approvato
con deliberazione della Giunta regionale della Puglia, n. 1748 del 15.12.2000.
Una scelta in tal senso dovrebbe essere promossa, attraverso lindividuazio-
ne di una strategia di gestione integrata del territorio, che risolva, a monte, il pro-
blema per le aree maggiormente in difficolt, come sono quelle, ad esempio,
individuate in Italia dallobiettivo 1 dellUE.
Sarebbe utile prevedere la costituzione di un organismo specifico come, ad
esempio, una Agenzia di pianificazione che assicuri la partecipazione attiva
delle istituzioni per il coordinamento di una strategia complessiva, secondo un
principio di copianificazione urbanistica e ambientale.
Specificazioni ulteriori e precise andrebbero garantite relativamente alle fonti
di finanziamento per lattivazione di quanto previsto dal D.M. 9 maggio 2001, che
possono integrare quelle destinate, di norma, nei bilanci regionali a favore della
progettazione urbanistica.
da porsi anche la questione della copertura finanziaria di eventuali opere
pubbliche di protezione dal rischio degli abitati e soprattutto per lambiente,
opere che potrebbero essere imposte dalle scelte operate dalla strumentazione
urbanistica o territoriale: se nulla esclude luso di finanziamenti provenienti da
diverse fonti, anche della UE, destinati al miglioramento della qualit della vita e
dello sviluppo sostenibile, appare opportuno definire un quadro chiaro di acquisi-
zione delle fonti finanziarie.
Nellaffrontare la problematica del rischio, necessario tenere presente, da
una parte, il contributo teorico-metodologico portato dalle scienze sociali e, dal-
laltra si deve tener conto delle caratteristiche dellopera e dellambiente circo-
stante, per valutare correttamente la probabilit di un evento incidentale e len-
tit dei danni che si produrrebbero nello stesso ambiente. 194
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In tal senso, lanalisi dei rischi ha unimpostazione pi mirata e scientifica di
una VIA la quale, per quanto fondata su tecniche particolari di confronto e di sin-
tesi (come lanalisi multicriteria o strumenti analoghi), si esplica attraverso un giu-
dizio complessivo anche se basato su uno SIA che abbia fornito una dettagliata
e approfondita situazione dello stato dellambiente e delle sue componenti secon-
do criteri multidisciplinari come espressione ponderata di un sistema di valo-
ri, definiti da una societ in un determinato tempo e un determinato luogo.
Lopportunit di intervenire con un progetto integrato, nel caso della citt
di Taranto, potrebbe essere offerta dalla possibilit di utilizzare la documenta-
zione raccolta dal progetto transnazionale Posidonia - Taranto nellambito del
Programma Terra.
Lobiettivo principale del progetto consisteva nellindividuazione di una piani-
ficazione territoriale che, attraverso il risanamento ambientale, conducesse ad un
assetto urbanistico e funzionale delle zone costiere del Mar Piccolo.
La scelta del Mar Piccolo come sito di interesse progettuale avvenuta per due
ordini di motivi. Innanzitutto, la stessa Comunit Europea, nella direttiva 94/43/ CEE
Habitat, ha riconosciuto il Mar Piccolo sito di interesse comunitario (SIC), data la
sua rilevanza dal punto di vista ambientale e faunistico. In secondo luogo questo
sito riveste, per Taranto, un ruolo nodale di elemento polarizzante, generatore di un
pi complessivo disegno della citt; in prospettiva pu creare le premesse per un
piano regolatore non pi incentrato su di una singola ipotesi di sviluppo territoriale,
ma basato, viceversa, su sistemi diversi tra di loro ecologicamente compatibili.
La necessit di utilizzare conoscenze multidisciplinari per la pianificazione di
un ambito complesso, quale quello del Mar Piccolo di Taranto, ha portato al
coinvolgimento di una serie di esperti di diversi settori, che oltre ad una cono-
scenza specifica sono anche da tempo testimoni dello sviluppo della citt ionica.
Alla raccolta dei dati e delle informazioni degli esperti, si affiancata una inda-
gine sociologica, finalizzata ad individuare le istanze provenienti dalla comunit
dei residenti.
Questa impostazione nasce dalla volont di costruire una rete di conoscenze
che costituisca un forte legame tra differenti soggetti sociali e istituzionali che da
tempo operano nella realt locale: quello che spinge alla costruzione di reti ha sicu-
ramente una valenza politica, ma soprattutto di natura comunicativa.
Un utile supporto pu quindi essere rappresentato da una piattaforma valutati-
va e interpretativa. Queste strategie possono nascere opportunamente dallincro-
cio tra le differenti expertises e dallincrocio tra le expertises e il common sense.
La valutazione degli impatti sulla comunit e la valutazione degli impatti sul
sistema ambientale sono tali da necessitare di un loro momento fondativo allin-
terno del processo di elaborazione progettuale: ormai, per molti studiosi di piani-
ficazione questi momenti fondativi diventano importanti quanto e pi dello stes-
so disegno, per le ripercussioni che hanno sullefficacia del piano stesso.
Infine, va tenuta presente la natura globale della concezione paesaggistica
contemporanea, dalla quale possibile derivare gli usi del territorio e del pae-
saggio, ai fini di una calibrata amministrazione della risorsa ambientale, paesag-
gistica e territoriale. 195
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Con i presupposti suaccennati, si pu, infatti, pervenire ad una lettura analiti-
ca e sintetica del paesaggio, alla sua progettazione ed alla sua pianificazione di
pi ampio respiro come estensione fisica e temporale.
Lanalisi del paesaggio, nel progetto Posidonia, ha comportato in primo luogo
la considerazione delle sue varie matrici naturali, storico-archeologiche e percet-
tive (fisiologia e psicologia della percezione, percezione ed elaborazione cultura-
le dellambiente).
Le analisi debbono, in particolare, mettere in evidenza la vulnerabilit del pae-
saggio stesso attraverso lindividuazione e la caratterizzazione dei fattori o delle aree
che presentano la maggiore sensibilit.
Le analisi delle componenti ambientali servono a ricostruire le matrici del
paesaggio: vengono quindi date delle interpretazioni, per rendere evidenti i feno-
meni che, nel tempo, lo hanno generato e che oggi ne caratterizzano lo stato, sia
dal punto di vista qualitativo che quantitativo.
La vulnerabilit intrinseca delle aree, individuata per ciascuna componente
ambientale, insieme alla vulnerabilit aggiuntiva conseguente ai possibili usi,
determina la sensibilit complessiva.
In pratica, la presenza di pi condizioni di vulnerabilit su una stessa area ne
aumenta la sensibilit (espressa in termini della perdita irreversibile di risorse e
della capacit ad autorigenerarsi) nel caso di una variazione delle condizioni di
pressione o di trasformazione.
Il D.M. 9 maggio 2001 prevede lobbligo da parte delle Amministrazioni comu-
nali, di approvare le varianti agli strumenti urbanistici che recepiscano la norma-
tiva di prevenzione dagli effetti degli incidenti rilevanti. La mancata approvazione
comporta la verifica da parte del CTR (o di altro soggetto individuato dalla
Regione) di ogni concessione edilizia da rilasciare nellambito del Comune.
Si pu ipotizzare, anche con riferimento alla vulnerabilit delle aree per evita-
re il blocco totale dellattivit edificatoria una prima perimetrazione delle aree
massime di danno (a prescindere dalla gravit del danno, ma legata alla sensi-
bilit delle aree), nelle more dellapprovazione della variante urbanistica. In base
a tale perimetrazione (da effettuare con il supporto e le informazioni del gesto-
re) saranno soggette a verifica del CTR solo le concessioni edilizie comprese
nelle aree interne, facendo salvo quanto viene realizzato allesterno.
In via definitiva, per la ricomposizione del rischio e per la valutazione delle
destinazioni duso del territorio, di particolare interesse la possibilit di coordi-
nare le procedure di variante urbanistica con la formazione di un programma inte-
grato che coinvolga anche i gestori degli stabilimenti ai quali far recuperare parte
della spesa per il miglioramento tecnologico, tramite la perequazione del plusva-
lore fondiario delle aree limitrofe.
Va, tuttavia, tenuto presente un problema, di particolare rilevanza per gli Enti
locali: di fatto, anche perch la materia assolutamente nuova (non solo per
lItalia), non esistono dei finanziamenti specifici, anche in ambito U.E., per la for-
mazione dei tecnici delle Amministrazioni e per la progettazione di questa parti-
colare strumentazione urbanistica e territoriale. 196
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LA PROVINCIA DI PADOVA
Ignazio Sidoti*, Pier Luigi Matteraglia**
Lattuazione della Direttiva 96/82/CE relativa al controllo del rischio di inciden-
te rilevante, recepita col D.Lgs. n. 334/99 prevede processi che possono essere
schematizzati in due fasi.
La prima consiste nella definizione delle responsabilit del gestore degli sta-
bilimenti e nella definizione delle misure di controllo, attuate col D.Lgs. n. 334/99
anche tramite la predisposizione del Piano di Emergenza Interno e del Piano di
Emergenza Esterno.
La seconda fase si esplica nel processo di controllo della urbanizzazione da
attuarsi secondo il D.M. 9 maggio 2001, che fornisce riferimenti normativi agli
Enti preposti alla programmazione e alla pianificazione del territorio.
Lart. 3 del D.M. 9 maggio 2001 stabilisce che Le Provincie e le citt metro-
politane [...], individuano nellambito dei propri strumenti di pianificazione territo-
riale con il concorso dei comuni interessati, le aree sulle quali ricadono gli effet-
ti prodotti dagli stabilimenti soggetti alla disciplina di cui al decreto legislativo 17
agosto 1999, n. 334, acquisendo, ove disponibili, le informazioni di cui al suc-
cessivo art. 4, comma 3.
Tali informazioni sono contenute nellElaborato tecnico Rischio di incidenti
rilevanti (RIR) che deve essere redatto dalle Amministrazioni comunali.
Inoltre, lo stesso art. 3 prevede: Il piano territoriale di coordinamento, ai
sensi dellart. 20 del D.Lgs. n. 267/00, nellambito della determinazione degli
assetti generali del territorio disciplina, tra laltro, la relazione degli stabilimenti
con gli elementi territoriali e ambientali vulnerabili come definiti nellallegato al
presente decreto, con le reti e i nodi infrastrutturali, di trasporto, tecnologici ed
energetici, esistenti e previsti, tenendo conto delle aree di criticit relativamente
alle diverse ipotesi di rischio naturale individuate nel piano di protezione civile.
197
* Assessore alla Pianificazione territoriale Provincia di Padova.
** Esperto in Pianificazione territoriale e ambientale.
1. Il Comune
predispone
il RIR
2. La Provincia
lo recepisce
nel PTP
Gli Enti definiscono
contestualmente i
criteri di indirizzo
generale e le
procedure di
riconformazione di:
1. Pianificazione
territoriale
2. Pianificazione
urbanistica
PROCEDURE
previste dal D.M. 9 maggio 2001
Una sintesi delle indicazioni contenute nella premessa dellAllegato al D.M. 9
maggio 2001, pu essere rappresentata nella tabella che segue.
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La Provincia di Padova ha portato ad uno stadio molto avanzato il Piano terri-
toriale di coordinamento. In questa ottica la decisione fondamentale stata quel-
la di svolgere a pieno la funzione di indirizzo e coordinamento rimandando al livel-
lo locale le scelte sullassetto del territorio comunale.
Date tali premesse il ruolo che pu svolgere la Provincia di Padova duplice:
fornire le linee guida di carattere generale che considerano le caratteristiche
del territorio provinciale, le interconnessioni a grande scala con lindividuazio-
ne delle implicazioni per ogni ambito soggetto a rischio di incidente;
predisporre per ognuno degli otto ambiti del territorio provinciale (Albignasego,
Borgoricco, Campodarsego, Casalserugo, Correzzola, Masi, Santa Giustina in
Colle e Padova) degli elementi schematici o direttori che precedono la revisio-
ne o la variante del Piano urbano locale, secondo quanto previsto dallElaborato
tecnico RIR.
Nella figura seguente sono riportati il numero di aziende sottoposte ad arti-
colo 5 comma 3, ad articolo 6 e ad articolo 8 del D.Lgs. n. 334/99 per i Comuni
del Veneto.
CONCERTATA TRADIZIONALE INVERSA
1. Indirizzi generali
dal I livello
Provinciale (PTP)
2. Disciplina specifica
delle aree con lo
Strumento
urbanistico
comunale
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sistema
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aumento intensit
aumento
vulnerabilit
stress
intensit
probabilit
area interessata
danno
contenimento
e riparazione
riduzione stress
riduzione
vulnerabilit
prevenzione
Schema di interazione tra rischio, danno e vulnerabilit del territorio.
Tale indicazione risulta particolarmente utile se coordinata con la nuova legge
urbanistica della Regione Veneto che introduce la suddivisione tra piano struttu-
rale e piano operativo e stabilisce i compiti e le funzioni della pianificazione pro-
vinciale.
In particolare, il livello del Piano strutturale richiede la predisposizione di tutti
i documenti che consentono di evidenziare gli elementi di rischio connessi ad
eventuali eventi calamitosi nonch la definizione degli aspetti relativi alla sicu-
rezza degli insediamenti.
Le iniziative in corso con la revisione del Piano territoriale provinciale e la par-
ticolare condizione legislativa urbanistica della Regione Veneto determinano una
situazione favorevole per lintroduzione delle previsioni del D.M. 9 maggio 2001
sul controllo della urbanizzazione delle aree a rischio.
Criteri per lanalisi della Vulnerabilit
Lanalisi del rischio si fonda sul concetto di vulnerabilit, inteso come capa-
cit/possibilit del sistema o di parti di esso a sopportare lo stress provocato da
un evento dannoso (incidente rilevante).
Lorganizzazione urbana e territoriale fa parte di un processo ampio che coin-
volge:
i centri delle decisioni che vengono effettuate nel quadro degli apparati istitu-
zionali;
gli interessi economici e il complesso delle attivit che si svolgono nelle strut-
ture della produzione, della distribuzione, del consumo e della residenza.
I gruppi sociali perseguono nellambiente degli obiettivi specifici di utilit attra-
verso la gestione delle risorse disponibili. Per fare questo hanno una gamma di
probabilit favorevoli e una gamma di rischi o probabilit sfavorevoli.
Il rischio associato ad un danno prevedibile, perci lutilit finale il bilancio
tra le probabilit favorevoli e il danno legato a quelle sfavorevoli o a rischio.
A bassi livelli di utilit corrisponde una alta probabilit di beneficio complessi-
vo di dimensioni vantaggiose limitate, e ad alti livelli di utilit corrisponde una
bassa probabilit di beneficio complessivo molto vantaggioso. Il rischio dunque
segue una logica che associa elevate probabilit di danno limitato e quindi di van-
taggio certo ma non elevato ad attivit comuni, e alti livelli di danno con probabi-
lit ridotta ma vantaggi molto elevati per le attivit rare.
I rischi sono di vario tipo: i cosiddetti rischi sociali sono quelli che sorgono
allinterno del sistema territoriale esposto a causa della tecnologia (trasporti, trat-
tamento industriale dei materiali, e sostanze pericolose ecc.) e possono pro-
durre effetti.
Il rischio definito come la combinazione di una data probabilit di un evento
con un danno materiale ad esso associato. Nel campo dei rischi industriali la pro-
babilit legata a scelte produttive e allosservanza dei criteri di sicurezza inter-
ni allimpianto, mentre il danno dipende dalle caratteristiche del territorio espo-
sto. Il parametro che meglio esprime tali caratteristiche, che variano da luogo a
luogo, la vulnerabilit.
Quanto pi una societ sensibile ai problemi della sicurezza tanto pi tende
a ridurre il rischio associato ai diversi eventi con opportune strategie, che nel
caso dellevento esterno, o meglio delle ricadute sul territorio di un incidente
industriale, si manifesta con una riduzione della vulnerabilit di questultimo.
La risposta di un sistema non lineare rispetto alla variazione di intensit dello
stress; a pari intensit si possono manifestare danni diversi e la vulnerabilit
responsabile di questo. A pari intensit la variazione di danno dipende dalla vul-
nerabilit.
La vulnerabilit riguardo al territorio regolata dal principio funzionale: la vul-
nerabilit esprime il grado di organizzazione del sistema.
Rispetto a questo si possono definire alcuni criteri interpretativi per le soglie
critiche di danno:
soglia dellelasticit;
soglia dellassistenza.
Garantire una accettabilit del rischio significa, in altre parole, creare le condi-
zioni affinch la vulnerabilit del sistema non superi la soglia della elasticit.
La vulnerabilit primaria quella che un sistema ha in s prima dellevento. E
la corrispondente prevenzione primaria quella che interviene sul sistema per
ridurne la vulnerabilit fino allaccettabilit.
Nel caso della pianificazione territoriale il campo di azione quello della ridu-
zione della vulnerabilit primaria o della prevenzione che pu essere operata in 200
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tre direzioni: riduzione della probabilit dellevento; riduzione dellintensit; ridu-
zione della vulnerabilit.
La riduzione della vulnerabilit nasce dal tentativo di chiarire le condizioni di
rischio e le modalit di prevenzione dei sistemi complessi, per cui ricomprendere
nel proprio quadro concettuale anche le situazioni pi semplici. Lattenzione cen-
trata sul danneggiamento iniziale e sulle altre cause che pongono in essere le
emergenze di massa, sul ruolo che la vulnerabilit ha nellamplificare le catene del
danneggiamento e sui provvedimenti di prevenzione che possono essere adottati.
La risposta indiretta si ha quando il sistema introduce la prevenzione e riduce
coscientemente la vulnerabilit: con la riduzione della probabilit; con la localiz-
zazione; con i vincoli; col rafforzamento strutturale.
In sintesi, la vulnerabilit dipende dal grado di conoscenza del territorio e com-
pito della pianificazione quello di portare le informazioni relative al livello della
Pubblica Amministrazione affinch predisponga gli interventi di prevenzione.
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Codice Provincia Comune Ragione Sociale Attivit
Nf049 Padova Albignasego Braghetta s.r.l. Altro
Nf087 Padova Borgoricco Industria chimica Distillazione
valenziana i.c.v. s.p.a.
Df030 Padova Casalserugo Metal cleaning s.r.l. Altro
Df010 Padova Correzzola Clodiagas s.r.l. Deposito
di gas liquefatti
Nf083 Padova Masi Atriplex s.r.l. Deposito
atmosferici di
liquidi infiammabili
Df004 Padova Padova Air liquide Italia s.r.l. Stabilimento
chimico
o petrolchimico
Df047 Padova Padova Vis farmaceutici Stabilimento
Ist. Scientifico chimico o
delle Venezie s. petrolchimico
Nf051 Padova Padova Geremia s.r.l. Altro
Nf057 Padova Padova Boldrin Giorgio s.r.l. Deposito
atmosferici di
liquidi infiammabili
Nf070 Padova Padova Petrolvilla Deposito
& Bortolotti atmosferici di
s.p.a. liquidi infiammabili
Df036 Padova Selvazzano dentro Pul met s.r.l. Altro
Allegato
Stabilimenti a rischio di incidente rilevante di cui al D.Lgs. n. 334/99 (artt. 6 e 8)
Aggiornamento: ottobre 2001
Provincia di Padova
Art. 6
Art. 8
Codice Provincia Comune Ragione Sociale Attivit
Df031 Padova Campodarsego Norditalia resine Stabilimento
s.p.a. chimico
o petrolchimico
Nf035 Padova Santa Giustina Autosped s.r.l. Deposito di
in Colle fitofarmaci
Nf018 Padova Selvazzano dentro Liquigas s.p.a. Deposito di
gas liquefatti

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