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CENTRO SOCIALE ANZIANI

Presso Biblioteca “G. Siani” – Via Arco


SANT’ANASTASIA (NA)
COMUNE DI
SANT’ANASTASIA

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II EDIZIONE 2009

Organizzazione:

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SPONSOR UNICO DELLA MANIFESTAZIONE:

SUPERMERCATI PICCOLO, Sant’Anastasia

Sant’Anastasia, Sala Consiliare, 17 dicembre 2009

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Motivazione:
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Non sempre i testi poetici ispirati alle
# # & '
' ' figure dei genitori, dei nonni o dei parenti
% ' &# più vicini, sortiscono un buon risultato
' &# estetico, in quanto sovente è facile
< ' " ' "& cadere, naturalmente con le dovute
% '' & % eccezioni, nel melenso, nell’ovvietà,
#' ## nell’eccessiva semplicità e nelle
<&# ' ' # sdolcinature che tale argomento offre,
" & & ' con conseguente abbassamento di tono.
" << &% ' # ' ! Non certamente in questo
2 ' # componimento, nel quale, giusto
" ' ' # rispettando l’eccezione di cui sopra, il
D # costrutto poetico, senza dubbio generato
&' da una forte ispirazione e sentimento, si
' # ' eleva molto al di sopra dello scarno e
' '% %' usuale piano descrittivo- amorevole-
C& <" nostalgico utilizzato nella maggior parte
E dei casi. Qui la poesia è forte e alta, e le
% & &# ! figurazioni che arricchiscono i versi sono
.& lampi di originale e singolare invenzione
' # ' < lirica, come nel passo: “Che non ci senta
# < "@ # ' # ! il Dio che ti ha chiamato / e ti rinchiuda
2 < & ' "@# & nella conca eterna / del tempo e dello
" A spazio, / da dove a notte evadi…”. E’
' % '& # dunque un esempio, questa poesia, di
come si possano trattare temi delicati e
& # & < ' ! intimi, quali l’affetto per una madre
scomparsa, con una costruzione poetica
7 ( $' % & impellente ma nello stesso tempo
sapientemente controllata con una
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8 capacità tecnica e lessicale veramente
lodevole.

Pag. 4
: ; Motivazione:
%" % 6 < ' “Si vive talvolta nella vita come i poeti /
# %" # aggrappati a mensole di sogni, inanimati
# ' & % ! / vicino alle barche ad occhi aperti”. E’
questo il nocciolo, il sunto, se mai sunto
& ' # può farsi di una poesia che di per sé già è
' <" " sintesi, di questo lungo viaggio poetico a
' " &% ritroso, sulle ali di un sogno che riporta
% ' ' < nel luogo dove si nasce e si muore, cioè
' " ' ' alla radice, al fondo buono delle cose e
< % ' "' denso di sentimenti come può esserlo
' < ' ! solo la terra d’origine; ma un’origine non
tanto collocata nello spazio, quanto nel
# ' ' tempo, di un tempo in cui tutto era più
6' C& genuino e nello specchio si riflettevano
& ' ''% &# ' brani di innocenze, quasi un lampo che
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rigenera poi le cose più semplici e
genuine, come l’odore dei sentieri e la
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brace nel camino.
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Poesia intensa, rievocativa, con immagini
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dolci e sapientemente descritte, grazie ad
un linguaggio poetico cólto ed efficace.
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Ricordo frammenti di cielo.

L’ultima immagine che si ha di una persona, prima che questa vada via, è quella che ti accompagnerà per
sempre.
Diventa parte dei tuoi respiri, cellula della tua pelle. Una parte del tuo corpo che non ti abbandonerà mai.
Come una gamba, un braccio. Ti segue nei gesti quotidiani senza fartene sentire il peso. E’ dietro un sorriso,
una corsa per non perdere il treno, dentro una canzone. E quando ti fermi, e ci pensi, sembra che te ne sei
appena ricordato. Ma ti ha tenuto compagnia tutto il giorno, in silenzio.
Ed il tempo che passa ti cambierà la pelle, ti darà nuove rughe, ti farà cambiare gusti e visiterai paesi mai visti.
Ma quell’immagine sarà lì, in un angolo del tuo cuore, senza che tu possa mai cancellarla.
Io mi ricordo di te.
E lo faccio ogni giorno, quando voglio e quando non voglio. Mi ricordo che mi insegnasti a scrivere, prima
ancora che iniziassi ad andare a scuola. Mi tenevi la mano nella tua, e tracciavamo assieme quelle che per
me erano ancora linee senza alcun senso. Poi lasciavi la presa, e mi incoraggiavi dicendo “Ora prova da sola”.
E mi correggevi quel pugno chiuso attorno alla penna spostandomi le dita.
C’erano delle favole che mi raccontavi prima di dormire, che oggi non esistono più. Avevano dentro il bianco
della neve candida, il blu del cielo senza nuvole. Erano magiche e senza dolore, finivano bene sempre e non
conoscevano odio e rancore. Mi poggiavi le gambe sulle tue e mettevi il tuo braccio sotto la mia testa, ed in
quella che chiamavi “ la Culla”, io mi addormentavo.
Ricordo di quando cucinavi per tutti solo per vederci attorno a te. Aspettavi il Natale con ansia, eccitazione,
quasi quanto noi bambini. Avevi negli occhi il sorriso solo perché eravamo lì.
E tu, mia nonna, contavi con me i giorni per arrivare al Natale, compravi dolci a non finire, mi aiutavi a scrivere
la letterina a Babbo Natale e a credere nelle favole.
Ricordavi il compleanno di tutti, i desideri di tutti.
In casa tua non sono mai mancate la caramelle, di tutti i gusti. Uscivano da qualsiasi parte si cercasse! Dai
cassetti, dai mobili, dalle ceramiche poggiate sul tavolo e a volte erano persino accanto alle saponette
profumate del bagno.
Niente di ciò che avevi in casa tua sembrava messo lì per te. Librerie di enciclopedie per ragazzi, pastelli a
cera profumati in una vecchia tazza. Quante porcellane bianche ti ho distrutto! E tu le rincollavi con quella
colla scura, che lasciava un segno marrone, come una traccia sulla neve.
Ricordo la tua pelliccia che accarezzavo e un po’ mi intimoriva, ricordo il sapore dei dolci tipici che hai sempre
comprato di domenica, come fossero un amico che non si può non invitare a pranzo.
Ricordo il pane caldo del forno, che portavi a casa dopo la messa. Quell’odore di famiglia inondava tutta la
casa. Ricordo il tuo materasso troppo morbido, su cui non ci si poteva sedere perché affondava e restava il
segno. Ricordo il colore dei tuoi capelli, né bianchi né neri, ma turchini. Ti chiesi il perché, e con un’altra favola
hai soddisfatto la mia curiosità.
Avevi poi una stanza dove non si poteva entrare, lo studio. E con un buon motivo, dato che conservavi lì le
reliquie incollate delle tue porcellane. Anatre senza becco, cestini senza manico, elefanti senza proboscide.
Pezzi di vita che solo tu avresti potuto serbare così gelosamente.
Ti piaceva la musica, insegnare ai bambini della tua classe elementare. Ti piaceva viziarci e ripetere “non dirlo
a nessuno” facendo l’occhiolino. Ti piaceva comprare cose strane e libri strampalati che nessun’altro avrebbe
mai letto. Lampade di forme strane e colorate che profumavano di oriente e di cannella, tappeti con tante
storie dietro che ti facevi raccontare. Avevi un mucchio di collane, perle, catenelle e di agata. Mi facevi vedere
l’insetto incastrato nell’ambra, ed io ci poggiavo l’occhio sopra per vederlo da vicino, e poi per vedere tutto il
mondo arancione attraverso quella pietra. E poi ciondoli, tanti, diversi. Uno che mettevi sempre era un
mandolino appeso ad una lunga catena argento.
Raccoglievi memorie in giro per il mondo.
Sei stata in Turchia, e mi hai mandato una foto dove sei accanto ad un cammello nel deserto egiziano. I tuoi
racconti dell’India mi hanno incantata intere notti, e quando mi hai mostrato le diapositive della tua Africa sul
muro bianco, non sono più riuscita a dimenticarle. Ti sei portata dietro incensi profumati, forse un po’ troppo.

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Nei tuoi racconti delle tue terre lontane e vicine mi sono persa. Mi ci sono rifugiata tante volte, dopo, quando il
resto sembrava non avere senso.
E mi sembrava di poterlo sentire quel sole sulla pelle che bruciava, quell’odore di mare e di spezie, l’odore
delle distese di papaveri e poi il rumore di canti lontani.
Mi hai trasmesso tutto quel colore, quella luce, quella voglia di vedere, vivere, raccontare. E poi ricominciare.
Ho iniziato a scrivere a cinque anni, io. Da quando ho imparato le letterine che tu mi hai insegnato. Ho iniziato
riscrivendo le favole che mi raccontavi, per non perderle. E poi scrivendone alcune mie, che ti facevano
sorridere. Fanno parte di quelle cose di inestimabile valore che oggi conservo gelosamente. Scritte col
pastello, all’inizio hanno ogni lettera di un colore diverso, poi solo un unico colore.
Ed io disegnavo sui muri. Riproducevo colori di Africa e di India su quel muro, dopo che le diapositive erano
spente. Un sole grande, un cammello forse, una barca senza timoniere. E da lì non ho più smesso. Dipingo i
nostri colori su tele che scarto con cura, come fosse un rito. Ed i colori per me hanno un buon odore, odorano
di quella parte di me che non è mai cambiata. Di quella parte di me che crede nei sogni che tu hai raccontato.
Di quella parte di me che, come facevi tu, conserva pezzi di vita ovunque vada. Lettere, biglietti, foto, ricordi.
In una stanza che a volta mi sembra un museo, in quattro mura che raccontano una vita intera. Per non
dimenticare, per legare al futuro anche il presente. Singoli gesti, emozioni, sensazioni. In una stanza in cui il
tempo sembra essersi fermato.
Le mie tele colorano le pareti, le foto di sorrisi riscaldano meglio di un fuoco. Come facevi anche tu, che non
tornavi mai da un viaggio senza un ricordo, senza una parte di quel posto.
Ma poi, tutti i tuoi ricordi e le tue memorie si sono affievoliti lentamente, perduti dietro un nome da diagnosi,
che significava semplicemente perdita progressiva della memoria e della capacità di compiere azioni
elementari. Sembrava ogni giorno tu ne perdessi una parte, di quei ricordi. Si sono forse perduti dentro uno
dei tanti cassetti che avevi, tra le pagine di un vecchio libro, tra i vasi con i fiori di plastica. O forse sono volati
fuori da quel balcone che dava sul mare. Si sono fatti strada attraverso uno spazio tra le tapparelle, e poi si
sono librati fuori, verso il cielo. O li hai gettati tu stessa in quel mare che avevi sotto casa, ed ora sono un
tesoro che un giorno qualcuno troverà e getterà via senza saperne apprezzare il valore.
Ti hanno abbandonata progressivamente da quando hai iniziato a star male.
Hanno dato piccoli segni, come non ricordare cosa avevi mangiato, o sbagliare i nomi e correggerti ridendo. Ti
hanno poi abbandonata uno dopo l’altro, senza che tu neanche te ne accorgessi. Sono usciti di soppiatto
come ladri dalla tua testa, uno alla volta. E’ una malattia che fa male, quella che toglie i ricordi. Toglie un nome
ai volti, rende le persone che ti amano uguali ad una massa di persone uguali, senza nome. E tu, ti sei
scordata di tutti. Lo sapevo attraverso mio padre, che ti veniva a trovare, ti faceva da mangiare, ti teneva
compagnia. E tu continuavi a ripetergli: “Grazie ma chi sei? Io non ti conosco.”
E chiedevi scusa a quell’estraneo tanto gentile, ma nonostante le sue insistenze, non riuscivi a ricordare chi
fosse. “Mi dispiace.”, dicevi solo. E poi mangiavi quello che ti aveva preparato. Ti aiutava a lavarti, ti
rimboccava la coperte. E mentre stavi per chiudere gli occhi, con un bacio sulla fronte ti sussurrava:
“Buonanotte, mamma.” E tu sorridevi senza capire, e poi dormivi. O magari in quei piccoli istanti ricordavi
davvero tutto, solo per un attimo. Forse la malattia ti concedeva una brevissima tregua per farti godere di quel
saluto. E poi si rimpossessava della tua mente, per concederti un sonno senza dolore. E mi sono sempre
chiesta, quando ti vedevo dormire, se mai tu ci stessi sognando. Mi piaceva pensare che quando ti vedevo
serena, fosse perché eri con noi, di nuovo. A prendere il pane della domenica, a cantare senza motivo, o
immersa in cucina tra mille odori che forse non si sentono neanche più.
Ma poi, in un lunedì che sembra ieri, sei andata via. E l’ultimo ricordo, quello che ti scava dentro per sempre,
io l‘ho conservato. Non è nella mia stanza, non sta tra i tanti appesi ai miei muri, né in quei cassetti pieni di
cianfrusaglie. E’ nella mia memoria, inciso in maniera indelebile, marcato forse a fuoco.
Un sorriso, il giorno prima di quel lunedì. Mi hai guardata come se ti fossi appena risvegliata da un sonno in
cui ti avevano incastrata. Avevi gli occhi vivi, di nuovo con la luce dell’Africa e con i tramonti dell’est dentro.
“La mia prima nipote” mi hai detto solo, e mi hai stretto la mano. Tutte le persone intorno a te distrutte dal
dolore hanno sgranato gli occhi, incredule. Sorridevano tra le lacrime, ed io a stento trattenevo le mie mentre
mi stendevo su di te per abbracciarti. Poi mi hai sorriso, mi hai accarezzato la guancia.

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E come mio padre faceva con te ogni sera, mi hai dato un bacio sulla fronte dicendo solo: “Clara.”
Ed il mio ultimo ricordo di te, quello che ora è una cellula della mia pelle, una parte del mio corpo, un segno
sul mio cuore, è questo.
Ti sei ricordata di me per salutarmi.

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Motivazione:

E’ proprio vero che è l’ultima immagine della persona cara, che non c’è più, ad
accompagnarti per tutta la vita: si stampa nel cuore e nella mente indelebilmente, simile ad
un frammento angelico e celeste. E così, in questo commovente racconto, la protagonista
Clara descrive, avvalendosi di un dettato semplice ma fortemente rievocativo e in grado di
suscitare forti emozioni nel lettore, la storia della nonna, fino alla sua scomparsa. E lo fa
con una dovizia di particolari, come nel passo
“Mi poggiavi le gambe sulle tue e mettevi il tuo braccio sotto la mia testa, ed in quella che
chiamavi “ la Culla”, io mi addormentavo”, in cui la dolcezza e il sentimento, che del resto
sono evidentissimi in tutto il breve racconto, accompagnano per mano il lettore come in un
percorso di quadri che ritraggono lo stesso soggetto ma da angolazioni diverse.
Il racconto ha un tracciato lineare, sobrio, leggero ma, come dicevamo, intriso di
sentimento; inoltre, la forma dialogante (la protagonista si rivolge direttamente alla nonna,
rievocando i vari momenti vissuti insieme), rende il racconto fluido e assai gradevole.

Pag. 8
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Motivazione:
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# '< " '&# @ “Io mendìco tra i servi, ti
" %' 6 porto poche nuove: prova ad
" << %< < amarti finché sei vivo”. La
A " chiusura di questa poesia, che
# # " ha un crescendo di notevole
< spessore e coinvolgimento,
%' '% ! racchiude il significato
dell’intero componimento e
2 ' 6 ne rappresenta l’originale
< " sintesi. La progressione
%" @' incalzante della lirica, che
"& " < descrive appunto lo stato di
& '# abbandono dell’uomo
# #' '& # nell’ultimo periodo della sua
% & # ! vita (“Ad ogni capello caduto
conti le ore trascorse col
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# un’impellenza a trovare una
< " % & % ragione dell’esistere, ragione
< "6 " che può, potrebbe, consistere
&% < ' "& ! nell’amore e nella
D% '& <<F ## ' C& ' realizzazione piena di sé.
" % '' Versi crudi e incisivi, ma non
# A privi di una certa musicalità.
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' C& & ' " sudore, nella calma / penombra dei tuoi
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! rientra a casa dopo un’intensa giornata di
lavoro nei campi, intriso del sudore
# "@ " %% sacrosanto provocato dalla fatica onesta,
< ' "@ & nella calma della sera; l’atmosfera genuina è
< &% '! dunque così tangibile da scuotere
,' %" " % ' intimamente il lettore, accompagnandolo
< '% # progressivamente ed emozionalemente lungo
"' ' ! tutto il percorso poetico di questa grande e
/< profonda lirica che descrive, appunto, il
" ' &# " tempo dei padri: una esistenza dura ma
C& ' ' & " semplice, povera ma onesta, intrisa di valori
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costituiva la sicurezza e la fiducia per un
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domani migliore.
Componimento di alta risonanza lirica, in cui
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il narrato si esplicita con toni solenni e di
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grande icasticità.
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Il presente opuscolo è stato realizzato con mezzi propri da:


CIRCOLO LETTERARIO ANASTASIANO
di Giuseppe Vetromile
c/o Circolo “IncontrArci”, Piazza Cattaneo 9, Sant’Anastasia (Na)
Tel. 081.5301490; Sito web: http://circololetterarioanastasiano.blogspot.com
E-mail: circolo-lett-anastasiano@hotmail.it

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