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LA DIFESA CIVICA COME GARANZIA DEI RAPPORTI TRA

GESTIONE ED INDIRIZZO POLITICO


Massimo Rossi

Il rapporto del cittadino con la PA rappresenta il contesto giuridico e sociologico al quale vanno
ricondotti, a partire dalle riforme degli anni ’90, tutti gli obiettivi di miglioramento e di
ammodernamento dell’attività amministrativa.
Si è trattato di una svolta storica perché al carattere autoritativo dell’azione amministrativa si sono
affiancati altri requisiti imprescindibili come la trasparenza, l’efficienza, l’efficacia, l’economicità
che hanno posto al centro dell’attenzione l’utente/cittadino e hanno ridotto la dimensione
autoreferenziale dell’ente pubblico.
Si è cioè modificato radicalmente l’approccio della P.A. verso il cittadino, intendendo favorire il
dialogo e l’interrelazione piuttosto che il principio di autorità.
Il mutamento del rapporto tra cittadino ed ente pubblico, inoltre, ha fatto registrare un cambiamento
nella percezione della PA, che dal canto suo si è fatta più presente, più visibile, sfruttando lo
“sdoganamento” di alcuni principi di marketing e di comunicazione mutuati dal management
aziendale e ponendosi come soggetto erogatore di servizi, in alcuni casi, in concorrenza con il
privato.
Lo sviluppo delle pratiche di democrazia partecipativa e la crescente domanda di coinvolgimento
della società civile nelle decisioni pubbliche, poi, sta contribuendo a traghettare la concezione dello
stato di diritto in un più ampio contesto dialettico che potremmo definire “diritto di cittadinanza”,
nel quale il cittadino, a partire dalla propria sfera soggettiva fatta sia di diritti che di doveri, gioca un
ruolo importante nella formazione dell’azione di governo del territorio, in una posizione sempre
meno sottoposta gerarchicamente e sempre più paritaria con la PA.
“La nostra democrazia diventa ora una democrazia costituzionale fondata sulla prevalenza del ruolo
proprio dei cittadini come tali, ai quali viene assegnato un ruolo “centrale” e “fondamentale” che gli
enti territoriali sono tenuti non solo a rispettare ma anche a favorire”. 1
Come naturale conseguenza della maggiore esposizione dell’ente pubblico e di una progressiva
propensione al coinvolgimento dei soggetti privati nel processo di formazione dei provvedimenti
amministrativi, è cresciuta l’aspettativa ed è cambiata la scala di valori con la quale oggi viene
percepita l’azione amministrativa ed il “governo” del territorio.
L’analisi del rapporto tra cittadini e istituzioni costituisce attualmente, infatti, un valido termometro
che misura il livello di fiducia e di partecipazione alla vita pubblica e spesso è indice del benessere
e della capacità di innovazione di una comunità amministrata.
Ciononostante, oggigiorno, il solco tracciato dalla crescente disaffezione verso le istituzioni e la
sfiducia nei confronti della politica, amplificato notevolmente dai media, mette in crisi il
completamento del processo di innovazione della PA.
All’origine sta l’equivoco sui costi della politica che ha generato confusione sulle responsabilità
relative agli sprechi e alla cattiva gestione dell’apparato pubblico.
Si parla infatti di costi della politica alludendo ai numerosi episodi di clientelismo, ai privilegi, al
nepotismo e contemporaneamente si denunciano l’elefantismo della burocrazia, la ridondanza di
competenze e funzioni in capo a diversi organi in competizione tra loro, l’assenteismo e
l’inefficienza negli uffici pubblici.
In questi casi, si ignora il fatto che sono e dovrebbero rimanere, quello politico e quello tecnico,
piani indipendenti dell’analisi e del funzionamento stesso dell’attività amministrativa. Il primo con
il compito di formulare l’indirizzo politico dell’ente e il secondo impegnato a realizzarne gli
obiettivi rispettando il principio della corretta gestione e del buon andamento dell'amministrazione.
1
Intervento di F. Pizzetti al Convegno Democrazia della Cittadinanza - Roma 07.08.2003

1
Se non si applica questa distinzione la conseguenza è che i cittadini interpretino sistematicamente i
difetti della Pubblica Amministrazione come il risultato di una negoziazione di vincoli e
concessioni che si svolge ad un livello alto, inaccessibile e staccato dalla finalità del bene comune.
Ciò che non si dovrebbe verificare, in realtà, è che il rapporto tra l’apparato politico e quello
tecnico-amministrativo possa svilupparsi all’interno di un circuito chiuso di informazioni,
compromettendo l’imparzialità dell’azione amministrativa e ponendo il cittadino in una condizione
di inferiorità di fronte alla necessità di tutelare i propri diritti.
Lo stesso spoil system, la scelta, cioè, diretta dello staff dirigenziale da parte del soggetto politico,
caratteristico di sistemi più efficienti del nostro, non rappresenta di per sé la causa di una cattiva
gestione poiché esprime semplicemente la natura “fiduciaria” di quel rapporto tra il politico e il
dirigente, necessario in un sistema di competenze e responsabilità ben distinte.
Accade però, che in questa relazione, in bilico tra il contratto fiduciario e l’autonomia decisionale,
si ceda alla tentazione di una soluzione diretta ed informale delle eventuali controversie,
semplificata e rinunciataria delle garanzie di trasparenza ed imparzialità. Ciò che ne deriva è
proprio quella distanza dal processo politico-amministrativo percepita dal cittadino, estromesso
dalla circuitazione delle informazioni, e di conseguenza bisognoso, a sua volta, di un rapporto
diretto con il potere che porta al clientelismo e alla logica della raccomandazione.
Non solo, quando il cittadino nel cercare una scorciatoia, a sua volta, trova un interlocutore nella
politica, ad essere esclusa e de-responsabilizzata è proprio la dirigenza che vede venir meno la
propria autonomia nella gestione tecnica dell’ente.
Il vero problema, a questo punto, può essere collegato proprio alla mancanza o alla scarsa
considerazione verso figure “ponte” dell’ordinamento che funzionino da intermediarie tra i diversi
livelli, mantenendo intatta l’autonomia della gestione tecnica dalla funzione di indirizzo politico.
In questo quadro si innesca, forte dell’esperienza maturata nelle democrazie nord-europee,
l’importante figura del difensore civico.
Al momento dell’introduzione di questa figura avvenuta con la l. 142/90 sussisteva qualche motivo
di scetticismo verso questo istituto. Era solo la vigilia di Tangentopoli, la politica destava ancora
fiducia e credibilità nei cittadini e si presentava come un paniere di ideali e di posizioni da scegliere
per porsi in maniera dialettica di fronte alla realtà, di cui si percepiva ancora una dimensione
collettiva. Inoltre ai partiti era riconosciuto un ruolo di rappresentanza delle istanze individuali che i
loro esponenti insediati nelle amministrazioni pubbliche potevano svolgere con discrezionalità ed
incidendo direttamente nelle decisioni dell’ente. Per questo non si intuiva la necessità di una figura
tecnica in un contesto nel quale le problematiche venivano risolte mediante la negoziazione e la
mediazione politica. Successivamente, quando fu svelato all’opinione pubblica che proprio
all’interno di questo rapporto di contiguità tra la politica e la gestione delle risorse agivano forze
che tendevano ad incanalarle secondo una logica clientelare finalizzata ad ottenere il consenso ed a
congelare le posizioni di potere, la dialettica perse la sua centralità e con essa fu seriamente messa
in crisi l’idea di una politica al servizio della collettività.
Per questo motivo, con le riforme che seguirono la fine di un’intera classe politica, tra cui la
cosiddetta Legge Bassanini, il cittadino fu messo, per quanto riguarda tutte le situazioni legate ai
diritti individuali, direttamente di fronte alla burocrazia, intesa come mera esecutrice dei dettati
normativi e quindi immune dal condizionamento esterno. In realtà, la stessa burocrazia era in alcuni
casi abituata ad applicare gli stessi filtri della politica, ma il più delle volte il problema riguardava e
riguarda tuttora una certa rigidità nell’applicazione delle leggi che acuisce la difficoltà da parte della
PA ad entrare in una logica di servizio nei confronti del cittadino e ad abbandonare quella
autoritaria. In questa lacuna, può giocare un ruolo di mediazione, che non spetta più alla politica, la
figura del difensore civico.
La legislazione più recente, nazionale e regionale, innanzitutto definisce il Difensore civico quale
"garante dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa", ovvero dei principi
costituzionali cui dovrebbero attenersi tutte le pubbliche amministrazioni.

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Siamo chiaramente di fronte alla tipica impostazione democratico - costituzionale, dove si cercano
sistemi di pesi e contrappesi al fine di assicurare una tutela adeguata.
Lungi dal rappresentare un tentativo di salvare le apparenze aggiungendo un ulteriore gradino
burocratico, il difensore civico può costituire, come dimostra l’esperienza di molti amministratori,
un necessario interlocutore per mantenere intatto il rapporto di indipendenza tra l’indirizzo politico
e la gestione tecnico-amministrativa dell’ente.
Il difensore civico può svolgere, infatti, un duplice funzione di garanzia:
- Tutelando il cittadino che vi può ricorrere quando gli effetti di un atto amministrativo o
l’omissione dello stesso ledono un diritto soggettivo e/o un interesse legittimo;
- Mantenendo separati il piano politico da quello tecnico-gestionale dell’ente e contribuendo a
rendere trasparente l’operato della PA.
Si tratta, quest’ultimo di un punto cruciale senza il quale si mette in pericolo il principio di
imparzialità dell’attività amministrativa. Quando nell’esercizio delle proprie funzioni un organo
politico viene a conoscenza di un presunto diritto leso o di un ingiustificato ritardo nell’ambito di un
procedimento avviato dall’ente rappresentato, non è opportuno che agisca richiamando formalmente
e direttamente il responsabile dell’atto perché in tal modo si andrebbe a compromettere l’autonomia
tecnico-gestionale dell’ente pubblico.
Per questo si rende necessaria l’affermazione di figure intermedie tra i cittadini e la burocrazia, che
agiscano da garanti del corretto svolgimento del processo di formazione dell’atto, senza dover
interferire nel rapporto tra il soggetto politico e la figura dirigenziale. Con ciò, migliorando il
rapporto tra il cittadino e la PA a tutto vantaggio degli organi politici posti a capo dell’ente
pubblico.
A tal proposito, per favorire l’affermazione di questa figura e renderne più efficace l’operato la
legge dà la possibilità, attraverso lo strumento dello statuto, di prevedere ambiti di intervento
ulteriori a quelli previsti dal TUEL, all’interno dei quali possono essere definiti più nel dettaglio le
funzioni, le modalità di accesso e di rapporto con il pubblico.
Soprattutto va impedito che il difensore civico si trasformi in un “tappabuchi” generico della
giustizia inevasa. In quanto il suo intervento serve proprio ad evitare, in prima istanza, il ricorso alla
magistratura ordinaria attraverso una soluzione “bonaria”, ma formalmente elaborata, della
controversia, i procedimenti sui quali intervenire devono riguardare esclusivamente i cittadini e la
PA presso il quale il difensore civico presta servizio e dal quale è stato eletto.
Per far questo va dato maggior risalto alla posizione del difensore civico come soggetto operante
all’interno dell’amministrazione a favore del cittadino.
Va cioè dato risalto alla funzione di mediazione tra il potere politico e quello gestionale e quella di
tutela del cittadino, al quale vanno dati tutti gli strumenti necessari per comprendere l’operato della
PA ma al quale spetta una responsabilità etica e sociale riguardante l’utilizzo di questo istituto per
finalità legate al buon andamento dell’amministrazione.
Nella realtà dei fatti la cultura della difesa civica non ha ancora trovato delle solide basi
nell’ordinamento italiano. Il motivo può essere ricondotto, da un lato, al fatto che si tratta senza
dubbio di un istituto provocatorio, che può arrivare a costruire relazioni diverse tra amministrazioni
e cittadini, limitando la sfera di potere discrezionale esercitata all’interno dell’ente pubblico;
dall’altro lato, non è ancora sufficientemente diffusa quella coscienza civile che considera il rispetto
delle regole come unica forma di tutela della propria sfera di diritti.
Capita spesso, allora, che qualcuno chieda di dare più poteri al difensore civico: in realtà non
servono affatto più poteri. Serve piuttosto coltivare, nelle istituzioni e tra i cittadini, più rispetto per
il ruolo di mediazione e di dialogo svolto dall’ufficio, più disponibilità all’ascolto ed al confronto,
più volontà di collaborazione.
Per la natura dei servizi erogati, il Municipio è certamente il livello di governo che maggiormente
può beneficiare della funzione esercitata dal difensore civico. Il carattere di prossimità al cittadino,
quello di efficacia diretta a modificare situazioni soggettive e diritti della persona tipico dell’ente
comunale, lo rendono, anzi necessario per dare voce ai cittadini danneggiati ingiustamente e per
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rendere conto dell’azione amministrativa tutelando il principio della trasparenza e allo stesso tempo
l’indipendenza dei due livelli politico e gestionale.
A livello provinciale, l’ambito di intervento del difensore civico può essere interpretato, in chiave
futura, come una funzione di garanzia correlata al ruolo di coordinamento e di supporto agli enti
minori che le Province stanno sempre più assumendo come carattere di distinzione della propria
azione amministrativa. In particolar modo, data la sempre crescente necessità di collaborazione tra
livelli istituzionali diversi, l’istituto del difensore civico, operante in un contesto di area vasta,
faciliterebbe l’intermediazione tra enti locali tutelando quelli di minori dimensioni di fronte
all’azione di governo su scala più ampia, garantendo, allo stesso tempo, che il rapporto si sviluppi
nei limiti della dialettica democratica e nel rispetto dei principi costituzionali.

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