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Nel Barometro dei Mercati si offre una visione sintetica delle principali dinamiche dei mercati, da utilizzare per
– valutare la politica di acquisizione dei fattori produttivi
– avere una base di analisi per la definizione di previsioni e dei budget
Uno scenario non è una previsione, perché uno scenario definisce le forze economiche
di fondo che agiscono sulle aziende, mentre una previsione definisce i valori
presunti di una o più variabili ad un dato momento futuro.
Cercare previsioni non è fare Risk Management, che invece è un processo più
complesso che definisce i rischi e i loro impatti sulla attività di una specifica realtà
aziendale, e ne gestisce le conseguenze anche oltre la loro probabilità di
accadimento.
Ne avevamo già parlato nell'ultimo numero del barometro, ma gli effetti delle guerre commerciali continuano
a produrre effetti dirompenti sullo scenario dell'economia mondiale che vanno ora meglio analizzati.
Tutti noi sappiamo che la liberalizzazione degli scambi internazionali avvenuto nel post seconda guerra
mondiale ha di fatto innalzato la standard di vita di milioni di cittadini sparsi sul globo, ed ha consentito di
vivere un periodo di prosperità in molti dei paesi che hanno adottato questo schema economico. Ma questo
fenomeno ha visto anche il trasferimento di molte risorse finanziarie verso i paesi che nel tempo si
mostravano più competitivi, trasferendo non solo risorse ma anche lavoro là dove il ritorno del capitale era
superiore.
Questo fenomeno ha prodotto, in particolare negli Stati Uniti la crescita di un deficit commerciale, che nel
tempo ha visto crescere sempre di più il trasferimento di risorse dagli USA agli emergenti.
L'elezione di Trump e la Brexit sono fenomeni che si innestano in queste tensioni sociali sviluppate da un
commercio internazionale così squilibrato.
Ma il protezionismo commerciale può essere una risposta, o è solo uno strumento politico per raggiungere
obiettivi di maggiore equilibrio del commercio e soprattutto di un maggior controllo ai flussi di capitale?
Al momento la risposta non si conosce ancora ma come economisti speriamo che si vada più nella seconda
direzione.
Sappiamo infatti che storicamente misure protezionistiche sul commercio possono essere benefiche nel
breve medio periodo per i cittadini di una singola nazione, ma nel medio lungo periodo portano ad una
caduta di competitività ed una riduzione di innovazione tecnologica nelle aziende protette rispetto ai
competitori internazionali.
Certo è che l'amministrazione USA non ha tutti i torti quando critica i meccanismo che regolano il WTO,
in quanto non garantisce una sufficiente protezione ai membri esistenti quando un economia in un
differente livello di sviluppo si unisce al sistema (l'esempio non vale naturalmente solo per la Cina anche
se in questo momento è il paese sotto maggior attenzione).
D’altronde il sistema del GATT (antesignano del WTO) era stato creato subito dopo la seconda guerra
mondiale, ed uno degli scopi fondanti dello stesso era dissociare l'espansione dei commerci internazionali
di un paese dalla necessaria espansione imperiale/territoriale così come avveniva prima dell'accordo, e
che era una delle cause che aveva condotto poi alle guerre mondiali.
Nonostante che l'ingresso del Giappone nel GATT del 1963 causò un pò di frizione tra partner
commerciali, queste fino ad inizio degli anni 80 furono regolate dal cambio (ma solo dopo gli la fine
degli accordi di Bretton Woods) che vedeva naturalmente rafforzarsi la valuta del paese maggiormente
esportatore, rendendo così la valuta dello stesso e quindi i prodotti immessi sul mercato meno
competitivi facendo da stabilizzatore delle frizioni. Il dollaro passò da 360 yen a meno di 200 tra il 1971
ed il 1978 in risposta all'aumento del surplus commerciale del Giappone.
Il problema semmai si verifica dopo con le politiche di liberalizzazione finanziaria, che cominciarono dalla
fine degli anni 70 in poi. Questi cambiamenti portarono a forti fuoriuscite di capitale dal Giappone alla
ricerca di rendimenti più allettanti, come quelli dei titoli del tesoro americano, e questa domanda di
dollari sul mercato dei cambi oltrepassò rapidamente l'offerta di dollari sul mercato da parte degli
esportatori giapponesi, causando una nuova debolezza del dollaro e rifece ripartire le tensioni
protezionistiche tra i due paesi.
Solo il famoso accordo del Plaza arrestò sul nascere il rischio di tensioni più radicali tra i due paesi, ma
non risolse i problemi per l'economia americana nel frattempo alle prese con i nuovi entranti asiatici e
centro-sud americani.
Certamente, dicevamo, il sistema del WTO non è esente da difetti soprattutto quando le economie
avanzate hanno carenza di soggetti investitor,i ed il ritorno del capitale investito è più basso di quello di
altri paesi partecipanti.
Ma sicuramente preoccuparsi solo del problema derivante dagli scambi commerciali, senza preoccuparsi
prima dell'influsso che la libera circolazione dei capitali, è un errore metodologico importante.
Infatti il flusso dei capitali tende ad esacerbare gli sbilanci commerciali e valutari, fluendo la dove la
domanda di manufatti è più alta, e quindi dove l'inflazione è più alta: comprime il costo del debito e
dell'equity e quindi alza la domanda di investimenti nel paese più robusto e indebolisce la domanda di
capitali nel paese più debole, causando poi lo sviluppo di bolle speculative.
Inoltre la rapida espansione dei flussi di capitale cross border rende anche meno efficace la politica
monetaria di un singolo paese, e rende possibile la principale regione del flusso dei capitali (il cosidetto
carry trade).
Come conseguenza, una banca centrale che abbassa i tassi per stimolare l'economia domestica vede
fluire gli investimenti fuori dal proprio perimetro alla ricerca di rendimenti più remunerativi, mentre quelli
che rialzano i tassi vedono fluire verso il proprio paese un abnorme flusso di capitale dall'estero.
Da una parte è quindi necessario provvedere ad una riforma del WTO, che potrebbe contemplare degli
automatici aggiustamenti economici quando i paesi neo entranti nell'accordo raggiungono un certo livello
di surplus per un certo periodo di tempo con gli altri paesi.
Se questo non avvenisse, i paesi aderenti al Wto avrebbero il diritto di alzare tariffe verso il paese che
rispetta le regole allo stesso livello del competitore.
Ma, come abbiamo visto, il vero problema non è il libero commercio ma quanto piuttosto la libera
circolazione dei capitali, e come abbiamo visto solo interventi congiunti sui cambi ne possono limitare gli
effetti.
Al momento non sappiamo ancora quale strada prenderà la battaglia in corso per aggiustare gli squilibri
commerciali in atto.
Al momento la retorica sembra avere il sopravvento sugli accordi, e questo potrà in effetti portare a degli
effetti negativi al commercio globale, e quindi all'andamento delle imprese ad esso associate.
Ad esempio, l'embargo dei prodotti USA all'azienda di equipaggiamenti alle telecomunicazioni cinese ZTE
ne ha causato il blocco operativo; le voci di innalzamento di tariffe incrociate e di rappresaglia tra le
nazioni non sembrano orientare questo nuovo capitolo dell'economia verso una soluzione condivisa.
La storia ci insegna che solo attraverso gli accordi si possono evitare gli effetti più deleteri degli squilibri
finanziari ed economici che l'economia propone costantemente, ma occorre vedere se questo equilibrio si
sposa con le esigenze politiche domestiche dei singoli paesi.
Il Purchasing Managers Index (PMI) è l'Indice composito dell'attività manifatturiera di un Paese, il valore è espresso in percentuale. Il PMI è un indice prodotto da Markit
Group e riflette la capacità dell'acquisizione di beni e servizi. Tiene conto di nuovi ordini, produzione, occupazione, consegne e scorte nel settore manifatturiero.
In linea generale, un valore inferiore al 50% indica una contrazione del settore, mentre un valore superiore al 50% indica un'espansione.
Il Purchasing Managers Index (PMI) è l'Indice composito dell'attività manifatturiera di un Paese, il valore è espresso in percentuale. Il PMI è un indice prodotto da Markit
Group e riflette la capacità dell'acquisizione di beni e servizi. Tiene conto di nuovi ordini, produzione, occupazione, consegne e scorte nel settore manifatturiero.
In linea generale, un valore inferiore al 50% indica una contrazione del settore, mentre un valore superiore al 50% indica un'espansione.
•Grazie anche alla politica di accantonamenti dei mesi precedenti, il settore bancario ha ripreso a produrre utili, con le prime otto banche
italiane che hanno chiuso il primo trimestre del 2018 con un risultato superiore a 3 miliardi €. Resta il problema della esposizione al debito
pubblico nazionale, che rende il sistema più sensibile alle oscillazioni politiche. Si segnala la crescita del settore Fintech a colmare quella
parte di domanda che il sistema bancario non riesce a soddisfare.
Segnaliamo il Quaderno dell’Ordine relativo al Business Plan, strumento fondamentale per la ricerca e l’attivazione di forme alternative di
finanziamento, e la pubblicazione del Quaderno dell’Ordine sul controllo della tesoreria.
http://www.odcec.mi.it/docs/default-source/quaderni/n-72---la-gestione-e-il-controllo-della-tesoreria-e-dei-rischi-finanziari-nelle-
pmi.pdf?sfvrsn=2
Valutare con attenzione le necessità di liquidità e i rapporti con le banche, dato il permanere delle difficoltà del sistema ad erogare credito
a società i cui rating sono ancora bassi.
• L’Ordine Dottori Commercialisti di Milano ha pubblicato le linee guida per il rating Advisory, disponibili nel sito dell’Ordine .
• I nuovi Principi Contabili impongono una valutazione dei crediti sulla base della possibilità di rimborso non solo attuale ma anche prospettica: occorre quindi
ricordare quanto gli indicatori di sostenibilità e rimborso del debito influiranno sul calcolo dei rating bancari
• L’incremento dei prestiti ha privilegiato le imprese con rating migliori, che in generale presentano situazioni patrimoniali bilanciate, alta capitalizzazione, ed
hanno cash flow positivi e sotto stretto controllo mediante indicatori appositi: cercare di migliorare il proprio rating è fondamentale per le imprese che
devono far ricorso al credito bancario.
• Costruire indicatori di controllo del Circolante che siano semplici ma affidabili, e che colgano i driver di un eventuale incremento indesiderato del CCN:
crediti divisi per rating del cliente, analisi dei ritardi anche con strumenti semplici come il DSO (Days Sales Outstanding), ordini di magazzino su invenduto;
mantenere attento e costante controllo organizzativo del circolante, specie sui crediti sia per dimensione che soprattutto per qualità.
Nel 2017 si è interrotta la persistente caduta del tasso di default delle imprese, determinata sia dalla
sopravvivenza sul mercato del credito di quelle più resilienti, sia dalle politiche di erogazione più prudenti, sia
dalle attività di pulizia dei bilanci bancari che hanno migliorato la qualità delle imprese attive su cui si
misurano i tassi di default. Hanno concorso a questa stabilizzazione anche il migliormento dell’economia reale,
il prolungato regime di tassi di interesse molto contenuti nonché il progressivo allentamento delle politiche di
offerta. Nello specifico si osserva che il tasso di default delle imprese a dicembre 2017 si è stabilizzato al
3.9%, rispetto alla rilevazione di dicembre 2015, quando era risultato pari al 5.8%, e lontanissimo dal picco
della fine del 2009, nella fase più acuta della crisi, quando aveva raggiunto il 7.9%.
Molto più contenuta la volatilità del rischio delle famiglie italiane, tradizionalmente più prudenti nel ricorso al
credito e storicamente protette da saggi di risparmio elevati: il tasso di default è sceso dal 2,3% di dicembre
2015 all’1.7% di dicembre 2017, anche in questo caso su livelli decisamente più contenuti rispetto al 3.5%
registrato sempre alla fine del 2009.ndamento del rischio di credito, che si arresta dopo oltre 13 trimestri
consecutivi di forte decelerazione, raggiungendo livelli inferiori a quelli del periodo pre-crisi.
La Banca d’Italia produce un indicatore ciclico coincidente dell’economia italiana, Ita-coin, che fornisce in tempo reale una stima
mensile dell’evoluzione tendenziale dell’attività economica sfruttando l’informazione proveniente da un ampio insieme di
variabili, di natura sia quantitativa (produzione industriale, inflazione, vendite al dettaglio, flussi di interscambio, indici
azionari) sia qualitativa (fiducia di famiglie e imprese, indicatori PMI).
Ita-coin risponde quindi a finalità simili a quelle per le quali viene impiegato €-coin, elaborato per l’area dell’euro in
collaborazione con il Centre for Economic Policy Research (CEPR). Le stime mensili di Ita-coin risentono in misura modesta
di revisioni nei dati e tendono a rimanere stabili anche in periodi di forti oscillazioni dell’attività economica.
Date Ita-coin
nov-16 0,04
dic-16 0,06
gen-17 0,10
feb-17 0,16
mar-17 0,16
apr-17 0,09
mag-17 0,15
giu-17 0,15
lug-17 0,18
ago-17 0,25
set-17 0,34
ott-17 0,43
nov-17 0,44
dic-17 0,49
gen-18 0,53
feb-18 0,56
mar-18 0,45
apr-18 0,29
Importante e rapida riduzione dello spread dopo le dichiarazioni di Draghi di luglio 2012 , evidentissima sul grafico ;
Oscillazioni ma intorno ai minimi pluriennali, attualmente in ripresa verso i massimi degli ultimi anni :
il livello 200, che nel 2011 rappresentò uno dei trigger della crisi, è da monitorare con attenzione se le attuali tensioni dovessero aumentare
•Il Bund oscilla seguendo le vicende politico-economiche europee, e ha raggiunto i massimi a causa degli acquisti per il QE
•Notare la variazione prezzi del giorno della brexit, delle elezioni USA e delle elezioni francesi
• grafico del rendimento del BUND, ovviamente speculare a quello dei prezzi:
•Da notare che il livello dei tassi è diventato negativo dopo la Brexit, ed è tornato ora in positivo con un trend crescente
• grafico del rendimento del BTP, ovviamente speculare a quello dei prezzi: da monitorare per le tensioni sul rischio sovrano
Il Reuters/Jefferies CRB Index è un indice sulle commodity, concepito per fornire rappresentazioni accurate per valutazioni a lungo termine sulle
materie prime grazie ad un algoritmo di calcolo che tiene conto di un paniere di commodity , ribilanciato per garantirne la significatività
•Il valore del future scadenza settembre 2018 sul CME è 1,1853 dati al 21 maggio 2018
• Sovrapposta la media mobile, indicatore comunemente utilizzato per mostrare il trend, e le fasce di massimi-minimi di breve periodo.
• Si vede come i prezzi siano compressi tra 1,08 e 1,15 nel 2016
• Chiaro il movimento del giorno della brexit, parzialmente recuperato, e quello post elezioni USA
• Superamento del trading range da luglio 2017 fino agli attuali massimi da due anni
• L’indicatore è calcolato con la metodologia del VIX : volatilità implicita delle opzioni ATM a 30 giorni
•Si notino gli “spike’’, cioè la ampiezza delle oscillazioni all’interno della barra di analisi: indicatore di forte tensione da parte degli operatori, poi rientrate:
•Relativa quiete negli scorsi mesi, nuova discesa verso i minimi
•Nel 2016 mercato in eccesso di offerta e con timori sui consumi futuri per la minore dinamica economia cinese e mondiale ; rialzo per accordi OPEC, ridiscesa
per aumento produzione USA
•Si noti l’importanza dei livelli 45-50-55 $ come supporto e resistenza negli scorsi mesi : sulla attuale fase si legga la slide relativa
•Il grafico mostra la stretta correlazione pluriennale tra la manifattura cinese e i prezzi del rame sul London Metal Exchange