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i miti greci
GEA (Tellus - madre terra) tanogabo.it Le sirene ilpaesedeibambinichesorridono.it Alla conquista del Vello d'Oro - Miti - Leggende | Fiabe riflessioni.it Danae lospecchiomagico.altervista.org Aracne ilpaesedeibambinichesorridono.it Archive All Download Newest
GEA (Tellus - madre terra)

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GEA
Gea - Tellus: Simbolo della terra: madre e moglie di Urano Emersa dalle tenebre del Caos, ebbe relazioni incestuose sia col figlio Urano che col fratello Tartaro, da cui ebbe Tifone (personaggio poco raccomandabile). Alleandosi coi figli, si oppose tenacemente a Urano e agli altri Dei diventando il simbolo dellira della Terra per le offese subite. Tramite Eros, principio dellaccoppiamento, Gea si un ad Urano e a Ponto da lei creati, in tal modo lunione di Mare, Cielo e Terra diede vita alle prime generazione degli dei celesti e marini, non pi potenze elementari, ma divinit vere e proprie. Gea diventa poi, nellimmaginario dei Greci, la madre di tutti gli esseri che nutre e rende vigorosi, quindi una dispensatrice di prosperit. Era anche venerata come Divinit del mondo sotterraneo (dei morti) nella considerazione cha la terra accoglie nel suo grembo ogni essere che cessa di vivere. Gea, in alcune zone della Grecia, in particolare ad Atene, fu anche oggetto di culto quale allevatrice di bambini; alcune leggende la individuavano, anzi, come madre di Erittonio, il progenitore della stirpe Attica. Alla greca Gea corrispondeva, presso gli Italici, la Dea Tellus (madre terra). Anche Tellus era considerata ed invocata come la madre di tutti gli esseri; inoltre, poich come impersonificazione della solidit della terra rappresentava il principio della stabilit di tutte le cose, era invocata in occasione di terremoti. Era anche la Dea dei matrimoni (insieme a Giunone pronuba) e dei morti. Gea citata ed invocata da antichi poeti, come Omero ed Esiodo; Tellus invocata, insieme a Giove, da Varrone allinizio della sua opera sullagricoltura. Nel 268 a.C., per iniziativa del console P. Sempronio, fu eretto in Roma un tempio dedicato alla Dea Tellus. Tra le rappresentazioni marmoree della Dea, ricordiamo una statua trovata a Roma nel XIX secolo: una donna seduta, circondata da bambini, con una cornucopia in mano ed un vitello al fianco (per significare la prospera agricoltura).

Le sirene ilpaesedeibambinichesorridono.it

Le Sirene erano nei lontani tempi mitologici,le affascinanti figlie dellOceano. Abitavano presso lisola di Sardegna e, posate sugli scogli o fra le onde, attendevano i naviganti per incantarli. Avevano volti bellissimi di donna e corpo terminante in coda di pesce, e il loro canto era cos armonioso che nessuno poteva ascoltarlo senza esserne ammaliato inesorabilmente. I marinai, per udire le loro voci melodiose, dimenticavano di mangiare e si gettavano sulla tolda, lasciandosi consumare dinedia,o, attratti dallirresistibile canto e dai volti delle ammaliatrici, si gettavano a capofitto nel mare. Giasone e i suoi compagni, dopo essere fuggiti rapidamente dalla Colchide col Vello dOro che avevano conquistato, si erano diretti verso la Grecia. Avevano attraversato il Mar Nero,risalendo il Danubio e, attraverso il Po e il Rodano erano arrivati allisola di Sardegna ove stavano in agguato le figlie del mare. Esse, appena videro la bella nave costeggiare le rive, le si avvicinarono e cercarono con i canti dolcissimi accompagnati dal suono della lira, di fermarne il rapido viaggio. Ma Orfeo, il musico divino che faceva parte della spedizione, comprese il pericolo che li circondava e, affinch i marinai non udissero le insidiose canzoni, prese a suonare la sua lira. E la melodia di Orfeo era cos deliziosa che tutti gli uccelli accorsero intorno alla nave per ascoltarla, i delfini circondarono la carena incantati, e perfino le Sirene cessarono di modulare le loro canzoni maliarde, sedotte dalla musica del divino Orfeo. Cos, nel silenzio religioso degli uomini e degli animali, entro le calme acque del Mar di Sardegna, pass incolume la bella nave. Cant a lungo, instancabile, modulando dolcissimi accordi, finch la nave non ebbe superato i sinistri paraggi della Sardegna. Le Sirene attesero silenziose e tristi che il canto soave si allontanasse, poi indispettite e umiliate di essere state vinte da Orfeo, si gettarono dalle rocce in mare con i loro strumenti. Giove, pietoso, le mut in alte scogliere dominanti le acque della Sardegna.
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Alla conquista del Vello d'Oro - Miti - Leggende | Fiabe

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Alla conquista del Vello dOro A quei tempi regnava nella citt di Iolco in Tessaglia il re Atamante. La sua sposa Nefele era morta lasciando due bambini: Elle e Frisso. La nuova sposa di Atamante, Ino, invasa da furore omicida, sugger al re di sacrificare i bambini a Giove, perch fosse allontanato dalla loro terra il flagello della carestia. Allora Nefele, che gli dei avevano trasformata in una nuvola leggera, per proteggere i suoi figli mand loro un ariete volante dallo splendido vello doro. Il prodigioso animale fece salire sulla sua groppa scintillante i due bambini e li condusse in volo nel lontano Oriente. Durante il viaggio si lev una violenta tempesta, che fece precipitare Elle nelle acque sottostanti con un volo vertiginoso. Da quel giorno quel tratto di mare si chiam Ellesponto. Frisso prosegu il viaggio aggrappato al vello dellariete che lo condusse in un paese della Colchide, alla citt di Ea, in una terra mai calpestata da sandali greci. Appena mise piede sulla terraferma, Frisso sacrific il montone a Giove e regal il vello doro al re di quella citt. - Appenderemo il prezioso dono a un robusto albero della foresta - disse il re - Alla sua guardia sar posto un drago che lo difender da ogni tentativo di furto. Passarono gli anni. A Iolco ora regnava lambizioso Pelia, che con la violenza aveva usurpato il trono al fratello Esone e cacciato in terre straniere il piccolo Giasone, legittimo erede del regno. Ma Giasone, affidato dalla madre al centauro Chirone, un gigante dal corpo met uomo e met equino, crebbe buono e forte. Per ben venti anni Chirone gli insegn larte militare, il rispetto degli dei, la giustizia, la medicina A ventanni Giasone era preparato al compito cui era stato destinato: riscattare il trono usurpato al padre. Part per Iolco. Durante il viaggio, nellattraversare un fiume, si era tolto i sandali, ma uno gli era sfuggito dalle mani ed era stato trascinato via dalla corrente. Arriv perci alla citt dove regnava lo zio, calzato di una sola scarpa. Qui Pelia, ormai vecchio, regnava tranquillo, ma non aveva dimenticato che gli era stato predetto di temere luomo calzato con un solo sandalo. Fu cos che sussult quando seppe dellarrivo di uno straniero, con il piede sinistro privo di calzatura. Pelia fu preso da una strana inquietudine e, simulando una falsa naturalezza, fece condurre il giovane al suo palazzo per chiedergli chi fosse e cosa lavesse spinto fino a Iolco. Giunto al cospetto dellusurpatore, il giovane eroe, con fare sicuro e con voce ferma disse: - Non sono uno straniero. Fui allontanato dalla mia citt per tuo ordine, dopo che avevi preso con violenza i poteri destinati da Giove a mio padre. Il mio nome Giasone. Sono tornato per riprendere il posto che mi spetta. Le parole del giovane erano oneste e

sagge. Ma Pelia, pensando di disfarsi del nipote, rispose prontamente: - Giovane sconosciuto, sembri audace e forte, ma il pretendente al trono della citt di Iolco deve avere un segno di riconoscimento: il vello doro. Giasone conosceva la storia dellariete dal prezioso manto e rispose con fierezza: - Andr a conquistarlo e te lo porter, cos questo regno sar mio. Ma il vello era lontano, oltre il mare, verso oriente. Nessuno si era mai portato in quei luoghi sconosciuti. Giasone allora fece costruire una nave, robusta, per superare ogni tempesta, e snella, per correre veloce sulle onde. La chiam Argo dal nome del costruttore. Insieme a Giasone simbarcarono i pi famosi eroi richiamati da un bando che il giovane aveva fatto diffondere in tutta la Grecia. Cerano Castore e Polluce, figli di Giove, Orfeo, il divino cantore, Ercole, il pi famoso degli eroi greci, i pi potenti re della Grecia e il medico Esculapio. Furono chiamati Argonauti dal nome della nave.

La nave salpa, salutata da unimmensa folla. Mentre si allontana dalla spiaggia Orfeo leva in alto il suo canto, accompagnando il ritmo dei remi che tagliano le onde azzurre del mare. Gli Argonauti navigano per giorni e giorni, compiono brevi soste nella Magnesia, nellisola di Lemno, sullestrema punta del Chersoneso. Non mancano ostacoli n avventure e in un chiaro mattino approdano in un paese che si chiamava Tracia. Qui avanza verso di loro un vecchio ridotto pelle e ossa, di nome Fineo. costui un indovino che, avendo abusato del suo potere per rivelare agli uomini il loro avvenire, stato condannato dagli dei a un duro supplizio. Le Arpie, mostri alati con volti di fanciulle, scendono dal cielo sottraendo al vecchio, ridotto anche alla cecit, qualsiasi cibo egli tenti di portare alla bocca. Giove gli ha predetto che solo negli Argonauti il potere di liberarlo. Della ciurma infatti fanno parte gli alati figli del vento Borea. Questi, commossi da tanta miseria, si lanciano dietro alle Arpie e, soffiando con tutte le loro forze, le allontanano per sempre. Fineo, grato del favore resogli, offre il suo aiuto. Svela agli Argonauti le mille insidie che ancora riserva il viaggio e soprattutto li mette in guardia di fronte al pericolo delle rupi Simplegadi. Queste rocce alte, prive di base, vagano per il mare, si urtano tra loro, balzano indietro per rincontrarsi di nuovo. Le navi che passano di l si sfasciano contro gli scogli o vengono inghiottite dai gorghi formati dal movimento delle stesse rocce. I naviganti dell Argo fanno tesoro dei consigli del vecchio e riprendono il viaggio. Giunti nei pressi dellimboccatura che dal mare Egeo introduce allEllesponto, odono un cupo rumore; il mare mugghia come se bollisse, ma il cielo sereno. Gli Argonauti capiscono che sono vicini agli scogli maledetti. Allora, attenendosi alle indicazioni dellindovino, liberano una colomba e ne osservano il volo con gli sguardi pieni di ansia: se la colomba passa attraverso le rocce senza essere schiacciata, la nave potr navigare seguendo la rotta indicata dalluccello; in caso contrario, bisogner aspettare un momento pi propizio. Giasone per non

dimentica di invocare Minerva che, scesa dallOlimpo, comanda a Nettuno di lasciar passare lArgo. E ad un tratto si leva un grido tra gli uomini dellequipaggio. La colomba in alto, vola libera invitando gli Argonauti a superare il difficile passo. Come una freccia la nave oltrepassa il canale un attimo prima che le rupi si cozzino ancora una volta. finalmente in salvo! Gli uomini si voltano per osservare le pericolose rupi ormai incagliate al fondo del mare: infatti il giorno in cui anche un solo uomo fosse riuscito a passare vivo in mezzo ad esse, le rocce avrebbero avuto le loro radici. Gli Argonauti continuano il viaggio con animo pi sereno. Scorgono da lontano le insenature del Ponto, giungono nella terra delle Amazzoni, in quella dei Calibi e finalmente vedono le cime dei monti del Caucaso. Ed ecco le foci del fiume Fasi, meta del viaggio. Gli eroi gettano le ancore, sono ormai in Colchide alla citt del re Eeta. Giasone osserva i boschi sacri in cui si custodisce il vello doro e poi si dirige alla reggia del re, un grandioso palazzo circondato da un ampio giardino ornato di fregi e sculture. Fanno da cornice allingresso quattro fonti, opere del dio Vulcano. Versano acqua, vino, latte, olio. Giasone volge intorno lo sguardo con ammirazione, poi entra e si fa condurre alla sala del trono, dove su un seggio tempestato di pietre preziose siede maestoso il sovrano. Eeta accoglie leroe e i compagni con benevolenza e li invita a sedere alla sua mensa. Al suo fianco siede la figlia Medea, una maga bellissima. Intanto tutti festeggiano gli Argonauti, chiedono notizie del viaggio e infine vogliono conoscerne lo scopo. Giasone, con chiarezza e altrettanta audacia, spiega le ragioni che lo hanno portato in Colchide e chiede al re il permesso di conquistare il vello doro. Eeta sdegnato per lardire dello straniero. Ma non pu negare al giovane il tentativo di compiere limpresa: la collera degli dei si abbatterebbe su di lui e sul suo popolo se egli impedisse la conquista del preziosissimo vello. Lastuto sovrano gli dice perci: - Non ti posso proibire ci che mi chiedi, ma dovrai guadagnartelo mostrando di avere un cuore intrepido. Nella mia stalla ci sono due ferocissimi tori dalle lunghe corna micidiali. Sono tanto furiosi che dalle narici mandano vampate di fuoco. Dovrai domarli, aggiogarli allaratro e tracciare con essi dei solchi profondi, in cui seminerai i denti di drago che io stesso ti dar. Giasone ascolta senza alcuna paura e la sua fierezza crea smarrimento nei compagni. Il re intanto continua: - Da questa mostruosa semina nascer una schiera di giganti che dovrai combattere e annientare. E tutto questo in un solo giorno. Le prove sveleranno se sei un vero eroe. Giasone valuta le difficolt dellimpresa ma non pu tirarsi indietro. Accetta che la prova venga fissata per il mattino dopo. Tutti ammirano il suo ardire, in particolare Medea, la figlia del re. La giovane donna, colpita dalla bellezza e dal coraggio del giovane straniero, ne piange in cuor suo la misera sorte. Si sente spinta ad aiutarlo ed escogita il sistema per favorire leroe. A lei gli dei hanno insegnato a comporre unguenti e filtri magici. Durante la notte la maga invoca la regina degli inferi e prepara una pomata che, messa sulla pelle, ha il potere di renderla insensibile alle fiamme. Allalba Medea sale su di un cocchio e si reca da Giasone. Il giovane sulla spiaggia intento a celebrare sacrifici agli dei

quando ella lo raggiunge. Premurosamente gli offre il farmaco magico e gli d utili suggerimenti per difendersi dagli enormi pericoli della lotta. Giasone abbraccia la maga, esprimendole riconoscenza e gratitudine. Allora stabilita Giasone si reca da Eeta nel campo sacro a Marte. Lintera Colchide presente per assistere allinsolita impresa. Ad un cenno del re le pesanti porte delle stalle si aprono liberando i mostruosi animali. I tori giganteschi si precipitano fuori lanciando lingue di fuoco e sollevando minacciose nuvole di fumo. La folla osserva con un compiacimento quasi crudele leroe che scende in campo e avanza contro le bestie spaventose. I tori cozzano tra loro le corna emettendo colpi orrendi e battendo gli zoccoli in modo furioso e disordinato. Ma Giasone, senza perdersi di animo, si lancia contro di loro. Il suo corpo vigoroso, su cui ha spalmato il magico unguento, sembra insensibile alle fiamme e scatta con prontezza schivando i colpi dei mostri. La folla tace terrorizzata. Al centro del campo sintravede, tra il fumo e la polvere, la figura delluomo ch non soccombe, anzi colpisce i tori, stringe i loro colli. La lotta sembra interminabile ma infine le bestie terribili sono aggiogate. E quando la polvere e il fumo cominciano a diradarsi, scarmigliato e lucido di sudore appare Giasone. Guida con fermezza le belve, che trascinano laratro dacciaio. Gli animali arano la terra, mentre leroe sparge nei solchi i denti di drago che Eeta gli aveva consegnato. Col sorgere della luna, nel campo arato, si delineano delle forme che diventano sempre pi grandi e pi chiare. un esercito immane di guerrieri che viene fuori dal terreno. Giasone, seguendo ancora una volta il consiglio di Medea, scaglia nel mezzo di questi strani e misteriosi esseri un grosso sasso. I guerrieri, come accecati, vi si gettano sopra e cominciano a combattere tra loro con furia selvaggia fino ad annientarsi lun laltro. Alla fine, quando tutti stramazzano al suolo sfiniti, interviene Giasone trafiggendoli con la spada. Eeta furibondo, ma deve concedere alleroe il permesso di tentare la conquista del vello doro. Seguito da tutti i compagni, il giovane sinoltra nel fitto bosco. Al suo fianco con i suoi preziosi poteri anche Medea. C ancora un ostacolo da superare: il vello, appeso ad un faggio, custodito da un drago. Allavvicinarsi dei due giovani il feroce animale comincia a sibilare in modo minaccioso. Medea intona allora un dolcissimo canto, che addormenta il drago. Poi gli spruzza negli occhi un filtro per rendergli il sonno pi lungo e profondo. Giasone scavalca il corpo del mostro e finalmente pu stringere tra le mani il vello splendente. Limpresa compiuta. A notte alta, dopo la festa per la vittoria, mentre il palazzo del re immerso nel sonno, gli Argonauti salpano. Si allontanano in silenzio temendo lira di Eeta a cui hanno sottratto il vello doro e la bellissima figlia che, a fianco delleroe, guarda con nostalgia per lultima volta la terra natale.

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Danae lospecchiomagico.altervista.org

Il mito di Danae

La pioggia luminosa
Unaltra sposa mortale di Zeus fu Danae. In Argo, una delle pi antiche citt della Grecia, regnava un re, Acrisio il quale aveva una figlia bellissima, Danae. Un oracolo aveva predetto ad Acrisio che sarebbe morto per mano del figlio di sua figlia. Acrisio voleva bene alla figlia, ma non tanto da consentirle di mettere al mondo un nipotino destinato ad ucciderlo. Per evitare che questo evento avesse modo di realizzarsi, pens che la cosa migliore era quella di rinchiudere la figlia in una torre di bronzo. Avvert tutti i principi di non andare a chiedere la mano della principessa perch, doveva essere considerata morta. Danae si affliggeva nella torre, ma non sapeva che da molto tempo Zeus laveva notata. Un giorno mentre guardava il cielo dalla finestra della prigione, vide addensarsi grosse nuvole e poi sprigionarsi un tremendo uragano. Tra i neri cirri apparve una nube luminosa dalla quale pareva cadere un getto doro. Quella strana pioggia batteva contro la torre e a un tratto raggiunse la finestra e penetr nella prigione. Fu come se vi fossero entrati mille rivoletti di oro fuso; le gocce rimbalzavano, scintillanti; in breve la ragazza si vide circondata da un luccichio sfavillante che le abbagliava la vista; in quella luce apparve il volto di Zeus che le diceva: - Ti ho scelta per sposa. Le precauzioni di Acrisio si dimostrarono inutili e da quelle nozze nacque un figlio.

Danae alla ventura


Acrisio, quando seppe del bambino, non volle credere che il padre fosse Zeus e perse il lume della ragione ed ordin che Danae fosse gettata in una barca con il figlio ed abbandonata alle onde. Danae stringeva il figlio al seno, a cui aveva dato il nome di Perseo. Durante la lenta navigazione Danae parl al suo piccolo:

- Bambino mio, tu che sei nato nella sventura, e tuttavia non piangi. Dormi serenamente in questa barca e non ti accorgi del salmastro che rende opachi i tuoi riccioli n dellululare dei venti. Sei qui, tutto avvolto nelle tue belle fasce di porpora, e dormi con la gotina appoggiata al mio petto. Se tu potessi accorgenti di ci che nel mondo sciagura comprenderesti le mie parole. Meglio cos, continua a dormire tranquillo, e, al pari di te, possa addormentarsi anche il mare infinito. Questo il lamento riportato dal grande poeta greco Simonie.

I due fratelli
La corrente guid limbarcazione allisola delle Cicladi, dove regnava Serifo, un nipote di Posidone, il re Polidecte. Quel mattino, il fratello del re, Dictis, cavalcava lungo la spiaggia quando vide avvicinarsi lentamente una barca con una fanciulla indebolita che stringeva al petto un bambino addormentato. Spinse il cavallo nelle onde, corse loro incontro e li fece trasportare a palazzo. Danae, quando rinvenne, vide per prima cosa il giovane principe che la guardava ammagliato e meravigliato per la sua bellezza, gli sorrise riconoscente. Dictis, si innamor della ragazza ed avrebbe voluto sposarla, ma Polidecte, anche lui affascinato dalla bella sconosciuta, volle farla ad ogni costo regina dellisola. Nella violenza della sua improvvisa passione, per poco non uccise il fratello. Danae dovette rassegnarsi ad accettare le nozze con il re. Fu un matrimonio infelice. Glitosij Aracne ilpaesedeibambinichesorridono.it

Bella, fiera, saggia, La Dea Minerva amava i tumulti delle battaglie, dove i volti degli eroi sembravano trasfigurati da una luce gloriosa. Ma Minerva, era donna e amava anche e, non meno, le tranquille gioie della pace. Le sue instancabili dita sapevano tessere meravigliosamente bene e sapevano creare ricami preziosi arazzi di mirabile fattura. Nessuna dea, nessuna Ninfa, nessun mortale potevano starle a paragone e, le donne di Grecia si vantavano di essere abili a ricamare perfettamente, perch lo avevano appreso dallarte incomparabile della dea guerriera. Ma nella Lidia abitava una fanciulla orgogliosa, Aracne, la quale non voleva saperne di dovere la propria bravura agli insegnamenti divini. Tesseva, cuciva, e ricamava cos bene che, per ammirare le sue tele smaglianti,le Ninfe scendevano dai verdeggianti recessi dei boschi e, curvandosi stupite sul telaio di Aracne, le chiedevano: Ti ha insegnato la saggia Minerva a tessere cos, o Aracne dalle dita divine? Nessuno mi ha insegnato. rispondeva la fanciulla. Io ricamo col mio cuore e con labile pazienza delle mie dita. Minerva seppe dalle Ninfe pettegole la risposta orgogliosa della fanciulla di Lidia e scese sulla terra sotto forma di una vecchia rugosa.Toc toc! fece la Dea picchiando alla porta della fanciulla. Hai un tozzo di pane per questa vecchina stanca? entra pure nonnina rispose Aracne, che stava come al solito tessendo al telaio. Che tele meravigliose! esclam la vecchietta accostandosi. E che merletti fini e leggeri! Solo la guerriera figlia di Giove,la saggia Minerva, potrebbe farne di cos belli. Vorrei che venisse qui a misurarsi con me! Credo che la vincerei la dea che si crede invincibile!. disse Aracne. Tu credi? Ascolta la saggezza dei miei capelli bianchi, Aracne; non essere cos orgogliosa e non sfidare gli dei, potresti pentirtene! E perch? N dea n

donna pu superare la mia abilit sul telaio! Perch pentirmene? ribatt sicura la fanciulla, accarezzando le sete smaglianti che le servivano a ricamare. E allora accetto la sfida! grid indispettita la dea. E nello stesso attimo le sue rughe cave scomparvero, i capelli bianchi si accesero di bagliori dorati, la schiena curva si raddrizz. Dinanzi agli occhi stupiti di Aracne, il corpo della dea si erse, splendido di bellezza, e un lampo di minaccia folgor la tessitrice tremante.Siediti, cominciamo la gara! impose la dea. E le due fanciulle ciascuna dinanzi ad un telaio si misero al lavoro. Per giorni e notti silenziose, instancabili, rimasero chine sugli arazzi da ricamare. Aracne, istori gli episodi pi belli della vita dei Numi e Minerva la magnificenza dellOlimpo. Alla fine i due lavori avevano raggiunto una tale bellezza da sembrare viventi scene da sogno; sugli sfondi vellutati delle sete le figure e gli alberi e i fiori balzavano stupendamente in rilievo e nessuno avrebbe potuto dire se la palma spettasse alla dea o alla fanciulla di Lidia. Ciascuna tela aveva una propria magnificenza. Minerva, irritata, strapp in cento pezzi il lungo lavoro di Aracne, gridando: Orgogliosa donna, tu devi morire, poich hai sfidato oltraggiosamente una dea!. Ma poi, impietosita dalle lacrime della fanciulla, che, dopo aver visto il suo paziente ricamo di tante notti finire in brandelli, attendeva terrorizzata la morte aggiunse:Invece di darti la morte, voglio essere generosa con te, tu vivrai, ma la tua vita sar eternamente appesa ad un filo!La tocc sulle spalle con la lancia dorata e la tessitrice si fece piccola piccola, il corpo le si aggrinz, il capo divenne un peloso batuffolino nero, le gambe snelle si trasformarono in tante zampette sottili.La fanciulla era diventata un grosso ragno nero! E da quel giorno, eternamente, tess le sue tele sottili negli angoli tranquilli, le tese tra i rami e i cespugli, ove lombra cupa dei boschi le circondava di umidi vapori, le tese ove il Sole, sfolgorando lieto sul mondo, le faceva scintillare di riflessi cangianti.
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