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Martin Van Creveld un simpaticone: un signore avanti negli anni, dalla voce tonante e dallaspetto pacioso.

. Per la verit, anche uno dei massimi esperti di storia militare al mondo e attualmente insegna alla Hebrew University. Ebbi la fortuna di collaborare con lui ad un convegno e mi divertii un sacco nel vederlo affrontare due veterofemministe italiane sul tema dei sessi o, come si usa dire oggi, dei genders. Uno dei libri pi noti di Van Creveld si intitola proprio Men, Women, and War (London, Cassell & Co., 2001), tradotto in italiano come Le donne e la guerra (Gorizia, LEG, 2007) e, stante il tema, casca decisamente a fagiolo. La posizione dello studioso israelo-olandese chiarissima: si tentato in ogni modo di accreditare una parit militare tra uomini e donne, ma si tratta semplicemente di unutopia. Le donne non sono fatte per la guerra, e la storia, secondo Van Creveld, lo dimostrerebbe ampiamente: perfino in un esercito come quello israeliano, eccezionalmente versato nellutilizzo di personale femminile, le funzioni operative di uomini e donne non possono che essere differenti. Questo nella prassi militare: altro, naturalmente, la letteratura, come emerger chiaramente dalle pagine della nostra rivista. In ogni caso, dovendomi dividere schizofrenicamente, secondo il solito, tra il mestiere di storico e laspirazione letteraria, non posso che muovere da un primo assioma di carattere generale e cio che le donne la guerra lhanno combattuta soltanto nei libri: nella realt, lhanno quasi sempre subita. O, talvolta, provocata. Qualcosa, per la verit, forse, sta cambiando proprio in questi ultimi decenni: il ruolo muliebre nel suo complesso pare radicalmente mutato, vitaminizzato dal contemporaneo depotenziamento della figura virile, dopo il bombardamento a tappeto del femminismo e della sua succedanea correttezza politica, che ne hanno decretato la crisi profonda. Ma la profezia arte che non ci compete: solo il tempo dir se questo processo sia o meno irreversibile e, soprattutto, se verranno guerre vere, degne di entrare nel mito e di modificare il sentimento delle cose, in cui possa rifulgere il valore femminile, come, un tempo accadde per quello maschile. In questepoca senza gloria, in cui a rifulgere soprattutto loro di chi, magari con la guerra, bada agli affari propri, ben difficile che si inneschino processi mitopoietici, purtroppo. In ogni caso, possiamo cercare, innanzi tutto, di fare un po di ordine in una materia che si presenta non soltanto gigantesca, ma anche spaventosamente confusa. Cominciamo col dire che possiamo, in linea di massima, stabilire delle categorie generali di figure femminili, legate alla guerra, con caratteri abbastanza omogenei e definiti. Innanzi tutto, c la donna che, secondo il vieto meccanismo della sottomessa che sottomette, governa luomo che governa gli uomini: una versione storico-diplomatica di La Bella e la Bestia, in cui una donna, grazie alle sue grazie, tanto fisiche quanto morali, detiene le chiavi del cuore del tiranno, del re, del generale, del capo, insomma. Non importa quanto questo capo sia forte, altero o inavvicinabile: questa donna ne fa quel che vuole. Omnia vincit amor, scriveva Virgilio nelle Bucoliche, e i condottieri non sfuggono alla regola. Rientrano in questa categorie le varie Elena di Troia, Cleopatra e, perfino, la Contessa di Castiglione, che, dovendo credere al pettegolezzo storico, avrebbe fatto di pi, nellalcova, per lunit dItalia, che Garibaldi sui campi di battaglia. Sono le donne che non combattono le guerre, ma che ne sono, per cos dire, la causa efficiente. Unaltra grande frangia di figure femminili legate alla guerra quella delle vittime: delle donne che subiscono, pi o meno passivamente i danni del conflitto e che, spesso, dimostrano un eroismo di tipo resistente e non aggressivo. Sono quel che oggi viene definito, con asettica americanit, danni collaterali. Sono le donne-preda, le donne violentate, che dallantichit al Kossovo, passando per la Ciociaria, hanno incarnato la bestialit delluomo e della guerra stessa. La donna di cui parliamo lesatto opposto della donna che, a casa, aspetta il guerriero: tanto quella la madre dei nostri figli, degna di rispetto e di amore, quanto questa rappresenta laltro, il nemico, e va, quindi, non solo colpita, ma umiliata, privata di ogni dignit umana. E il punto, probabilmente, pi basso della parabola militare: quello stesso punto in cui i caduti nemici vengono sepolti alla rinfusa, mentre quelli amici hanno diritto a tombe singole e ben curate, come dimostra benissimo George L. Mosse nel suo fondamentale saggio Le guerre mondiali Dalla tragedia al mito dei caduti (Bari, Laterza, 1990). In un certo senso, da un punto di vista simbolico, lumiliazione e lo stupro di queste donne ha lo stesso valore dellespugnazione delle mura nemiche, nel Medioevo (che erano considerate sacre, ossia inviolabili, dai cittadini): come se esistessero due sacralit, avversarie e contrapposte, quella del

vincitore, trionfante ed inviolabile, e quella del vinto, volutamente violata. Va da s che, in molti casi, si trattato di pura e semplice bestialit sessuale: lo sfogo violento di tensioni legate anche allo status particolare del combattente o alla sua tradizione etnica (si pensi ai Marsouins del generale Juin in Ciociaria). E innegabile, per, che vi sia, tra le donne vittime della guerra, un gran numero di casi in cui le violenze toccate al nemico di sesso femminile furono volte a depotenziare lavversario: a vincerlo di pi. Tra queste donne-vittima, bisogna, poi, aggiungere, ovviamente, coloro le quali subirono la guerra in maniera indiretta: le vedove, le madri, le orfane. Senza scomodare la storia recente ed i suoi psicologismi, ci basti, a tal proposito, ricordare levoluzione dellimmagine stessa della guerra, nello straordinario specchio della civilt occidentale che fu la tragedia greca: il trionfo eschileo dellEllade, cantato ne I Persiani, divenne, pochi decenni pi tardi, ne Le Troiane di Euripide, lamara constatazione del fatto che il valore guerriero viene, in realt, pagato dalle donne e dai bambini, che perdono padri e mariti. Per un minuto di gloria, si pretende, in cambio, una vita di nostalgia e di dolore: questo, secondo il trageda, il costo della guerra. Un testo che rende benissimo questidea quello di Fila la lana, la celebre canzone di Fabrizio de Andr, in cui si descrive una vedova della Guerra dei Centanni. Tra laltro, questa loccasione per raccontare un aneddoto: sul disco di De Andr scritto che il testo originale quello di una canzone popolare francese del XV secolo. E generazioni di giovanotti schitarranti se la sono bevuta. In realt, la canzone stata scritta da Robert Marcy e cantata da Jacques Douai, nel 1949, anche se parla, effettivamente, di un comandante militare della Guerra dei Centanni, Monsieur de Malbrough. Eccone la strofa pi significativa ai nostri fini: Croiss des grandes batailles/Sachez vos lances manier/ Ajustez cottes de mailles/Armures et boucliers/Si l'ennemi vous assaille/Gardez-vous de trpasser/Car derrire vos murailles/On attend sans se lasser. Una terza categoria femminile, strettamente legata alla guerra, quella delle ausiliarie : si tratta, per la verit, di una categoria che, in tempi abbastanza recenti, ha assunto un carattere ed un valore affatto diverso, rispetto al passato, ma che, in realt, sempre esistita, con nomi e ruoli differenti. Nel mondo antico, era normale che delle donne seguissero i combattenti, distribuendo cibo, medicando i feriti e dando ogni sorta di aiuto alle truppe. Questa tradizione, che comprendeva, spesso, anche un aspetto di conforto sessuale, se non di esplicita prostituzione, prosegu nel Medioevo e, in Et Moderna divenne quasi proverbiale, dando origine alla figura della Vivandiera, che, spesso, era una sorta di virago picaresca, chiassosa e spregiudicata, che condivideva fatiche e rischi delle armate maschili. Nata nel XVI secolo, con i grandi eserciti mercenari, limmagine di questa ausiliaria entr nella storia, e nella letteratura, soprattutto a partire dal XVIII secolo, ed ebbe grande risalto dopo la nascita delle armate nazionali, nelle guerre rivoluzionarie e napoleoniche. Da un ruolo semplicemente femminile, come una sorta di moglie supplente dei soldati, nel secolo successivo la donna ausiliaria divenne una figura pi complessa e con ruoli meno domestici: proprio nell800, con la nascita del pensiero umanitario (e, non dimentichiamolo, anche della Croce Rossa), and affermandosi il ruolo dellinfermiera e, in seguito, della crocerossina. Il medico militare (o, meglio, il chirurgo militare), fino al XIX secolo era stato una figura di scarso rilievo e non certo stimata professionalmente: con lo svilupparsi della scienza e, nel contempo, con una crescente importanza dellindividuo soldato, questo ruolo crebbe dimportanza, cos come quello della sua aiutante naturale, linfermiera, appunto. La crocerossina portava sul campo di battaglia non solo la sua competenza, ma, anche, il conforto di unimmagine femminile, che ricordasse, ai feriti e ai moribondi, la casa lontana: la guerra stava diventando sentimentale, in un certo senso. Le guerre moderne, infine, diedero origine a fattispecie del tutto nuove, sia in campo militare che sociale: eserciti che, ormai, assorbivano intere generazioni di cittadini maschi, necessitavano di donne che coprissero i ruoli secondari e non operativi. Possiamo dire che la pi poderosa spallata al predominio maschile nella societ non venne dalle suffragette o dai comitati per la parit sessuale, ma dalle guerre mondiali: le donne entrarono massicciamente nella produzione e nel mondo del lavoro, per sostituire gli uomini al fronte. Del pari, in molti eserciti (quello italiano brill sempre per misoginia) esse vestirono la divisa, sia pur quasi sempre con incarichi di tipo logistico. Fa eccezione

lArmata Rossa, che, tra il 1941 ed il 1945 arruol un gran numero di donne combattenti, perfino in armi tipicamente maschili, come le truppe corazzate o laeronautica: ma questo dipese anche dalle spaventose perdite umane subite dai Sovietici in quella campagna, oltre che dal carattere del tutto impersonale della societ comunista russa. In realt, la maggior parte delle donne che, a partire dal XX secolo, venne arruolata nelle forze armate, ricopr ruoli tipicamente ausiliari: parte per un atteggiamento psicologico di diffidenza, da parte dei colleghi maschi, parte per obiettivi problemi di convivenza e di ordine biologico. Nel 1943, il presidente americano Roosevelt decret la nascita del WAC (Womens Army Corps): in quella occasione le donne statunitensi, che pure facevano parte delle forze armate fin dal 1775, non furono pi un corpo ausiliario (fino a quel momento esistevano solo le ausiliarie, WAAC), ma divennero parte integrante dellesercito, dellaviazione e della marina. Oggi, ad esempio, circa il 10% dei militari Usa operativi allestero composto da donne. Non si creda, tuttavia, al mito della donna-Rambo, perpetuato da risibili pellicole, in cui Demy Moore si addestra coi Seals e Meg Ryan si fa ammazzare in Medio Oriente: i ruoli effettivamente coperti da personale femminile sono ancora diversi, in gran parte, da quelli affidati a militari maschi. E, giusto per rimanere nel campo del mito, concludiamo provando a mostrare una breve carrellata delle donne-guerriere della mitologia occidentale. Cominciamo, naturalmente dalle soldatesse per antonomasia del mondo classico: le Amazzoni. Non si sa dove vivessero, n a che stirpe appartenessero (Omero le colloca in Frigia, lodierna Anatolia), ma comparvero fin dalle origini del mito greco. Achille ne uccise in combattimento una regina, Pentesilea, salvo, poi, innamorarsene. Di l nacque uno dei letterari pi diffusi sul tema amore e guerra, che ci porta, dritti come fusi, a Clorinda e Tancredi: le donne guerriere sono equivoci viventi, al punto che pu capitare di innamorarsi del cadavere della nemica uccisa o, peggio, di uccidere la donna di cui si innamorati, perch nascosta da un elmo. In realt, queste guerriere sono tutte piuttosto ambigue, sia sessualmente che psicologicamente e danno lidea di essere pi un prodotto letterario puro e semplice che un mito originato da una qualche verit storica. Unaltra regina delle Amazzoni, Ippolita, non ebbe miglior fortuna: sinnamor di Eracle, che, per, lammazz con molte delle sue compagne e le rub il famoso cinto: di l discese una lunga guerra tra Atene e le guerriere senza seno (questo significa amazos) che fu vinta, alla fine, da Teseo. Insomma, perfino le pi famose guerriere della mitologia classica, alla prova dei fatti, risultarono, in fin dei conti, delle sconfitte croniche: capaci, certo, di battersi, ma sempre limitate ed imbrigliate dal sentimento o dal sesso. Che , in fondo, lidea che luomo greco e romano aveva della donna. Le donne guerriere del mito cavalleresco, la Bradamante del Boiardo e dellAriosto e la Britomart di Spenser mantengono una sostanziale duplicit: sono uomini quando combattono e donne quando amano. In entrambe le circostanze, il loro comportamento appartiene stereotipatamente al genere di riferimento. Quanto, poi, al mito moderno, esso di moderno ha ben poco: la Eowyn tolkieniana pare ricalcare perfettamente i modelli precedenti, ossia quello delle saghe nordiche per quanto concerne laspetto e quello dellepica cavalleresca per quanto riguarda il comportamento. Insomma, non spenderei troppe parole sulle donne combattenti della letteratura, perch si tratta di uno di quei temi pi fortemente influenzati da un vero e proprio pregiudizio estetico-formale, prima ancora che antropologico. Qui mi fermo, anche perch molti e molto pi competenti del mio sono gli interventi specifici sul tema delle donne e la guerra che fanno seguito a queste mie poche note. Resta da dire, per, almeno unultima cosa: nei tempi recenti, le donne hanno cercato sempre pi spesso di assomigliare agli uomini, anzich evolversi naturalmente, secondo la propria indole ed il proprio sesso. Forse, questo dipeso anche da una malintesa idea di parit, che gli stessi uomini hanno propiziato. Ci ha creato, in quasi ogni campo delle attivit umane, una spaventosa confusione, non solo di ruoli, ma anche e soprattutto di identit: uomini sempre pi inetti ed insicuri e donne sempre pi aggressive e predaci. Insomma, le donne hanno imitato gli uomini soprattutto nelle loro caratteristiche peggiori, diventando come e peggio di loro. Tanto che gi qualche donna comincia a lamentarsi del fatto che non ci siano pi gli uomini di una volta, ma solo bambocci insicuri e piagnucolosi. Questo, secondo il modesto parere di chi scrive, succede quando, con lacqua sporca, si getta anche il bambino. Pu essere, perci, che il buon Van Creveld si sia sbagliato di grosso: tra qualche decennio, la guerra diverr esclusivo appannaggio delle donne e gli

uomini resteranno a casa ad accudire i figli. Nulla di male: si ripeter tutto da capo, solo a ruoli invertiti. Ma, cos, la storia dellumanit rischia di diventare davvero noiosissima.

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