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Corso di Matematica

Corsi di Laurea in Scienze Biologiche e Biotecnologie


Francesco Unguendoli
Universit`a di Modena e Reggio Emilia
e-mail: unguendoli.francesco@unimo.it
Argomenti del Corso:
Introduzione: numeri e funzioni
Le principali funzioni; rappresentazione graca e propriet`a fondamentali
Limiti di funzioni e successioni
Derivate e applicazioni
Integrali deniti e indeniti
Testo consigliato:
G. ZWIRNER Istituzioni di Matematiche
per gli studenti dele facolt`a di chimica, agraria, scienze naturali, ...
PARTE PRIMA
Altri testi:
BENEDETTO, DEGLI ESPOSTI, MAFFEI Matematica per le scienze della vita
BOIERI, CHITI Precorso di Matematica
PAGANI, SALSA Analisi Matematica, Vol. 1
1 Numeri e Insiemi Numerici
1.1 Nozioni di Logica
Proposizioni (o enunciati): p, q. Possono essere Veri o Falsi.
Connettivi logici:
o negazione. se p `e vera p `e falsa.
congiunzione e
congiunzione o (nel senso di vel latino)
, implicazioni: se...allora...
doppia implicazione: se e solo se (equivalenza)
Tavole di verit`a sono le tabelle che mi dicono il valore di verit`a di due proposizioni legate
da connettivi logici.
p q p q p q p q p q
V V V V V V
F V F V V F
V F F V F F
F F F F V V
Nota p q vuol dire: p vera implica q vera, ma p falsa non implica q falsa.
Infatti p q `e equivalente a p q e si ha:
p q p p q
V V F V
V F F F
F V V V
F F V V
Dimostrazioni sono enunciati legati fra loro da connettivi logici per ottenere una propo-
sizione vera.
TAUTOLOGIE enunciati veri indipendentemente dal valore di verit`a delle proposizioni
componenti; essi sono di particolare importanza perch`e rappresentano regole e modi di ra-
gionare su cui si fonda la maggior parte delle proposizioni.
ESEMPIO: il modus ponens
Consideriamo:
1) Socrate `e un uomo (p)
2) Se Socrate `e un uomo allora Socrate `e mortale (p q)
3) (Allora) Socrate `e mortale (q)
oppure:
1) Socrate `e un uomo (p)
2) Se Socrate `e un uomo allora Socrate `e immortale (p q)
3) (Allora) Socrate `e immortale (q)
In simboli si ha:
(MP) p (p q) q
La corrispondente tavola di verit`a `e:
p q p q p (p q) MP
V V V V V
F V V F V
V F F F V
F F V F V
Il MP dice che se p `e vera e voglio mostrare che q `e vera basta mostrare che p q `e vera.
Altre principali tautologie:
Principio di Contrapposizione:
(PC) p q q p
p q q p p q q p PC
V V F F V V V
F V F V V V V
V F V F F F V
F F V V V V V
Dimostrazione per assurdo: se da p vera voglio dimostrare che segue la tesi q, dimostro
che negare la tesi q implica una negazione dellipotesi (ossia che q p `e vera).
Principio del Terzo Escluso:
(TE) p p
Non Contraddizione:
(NC) (p p)
Sillogismo Ipotetico (premessa maggiore, premessa minore, implicazione o tesi):
(SI) (p q) (q r) (p r)
Leggi di De Morgan (negazione di proposizioni composte):
(DM1) (p q) p q
(DM2) (p q) p q
PREDICATO: proposizione contenente una o pi` u variabili.
UNARIO se riguarda una sola variabile, BINARIO, TERNARIO se riguarda pi` u argomenti:
p(x) : x `e un uomo
p(x, y): x y
Fissate le variabili il predicato diventa una proposizione ed assume un valore di verit`a.
Sui predicati si pu`o operare applicando i due quanticatori esistenziale e universale:
Quanticatore Esistenziale: (esiste); x : p(x) signica che esiste (almeno) un valore
x per il quale p(x) `e vera.
Quanticatore Universale: (per ogni) esprime che un certo predicato `e vero per ogni
valore che la variabile pu`o assumere; x : p(x) signica che p(x) `e vera per ogni valore della x.
Quando si ha a che fare con pi` u variabili e pi` u quanticatori `e essenziale tener presente
lordine perche il signicato cambia completamente. Vediamo lesempio:
ESEMPIO
Sia p(x,y): un uomo x osserva la stella y.
x : p(x, y) signica esiste un uomo x che osserva la stella y;
x : p(x, y) signica tutti gli uomini osservano la stella y;
y, x : p(x, y) signica per ogni stella y esiste un uomo che la osserva;
x, y : p(x, y) signica esiste un uomo x che osserva ogni stella;
y, x : p(x, y) signica esiste una stella y osservata da tutti gli uomini.
Vediamo senza dimostrazione cosa si ottiene negando un quanticatore. Valgono le formule:
[x : p(x)] [x : p(x)]
[x : p(x)] [x : p(x)]
ESEMPIO (dimostrazione per assurdo).
TESI: la diagonale del quadrato `e incommensurabile con il lato, ossia non esiste alcun nu-
mero razionale in cui quadrato sia uguale a 2.
DIMOSTRAZIONE:
p(m, n): m,n sono interi positivi primi fra loro;
q(m, n):
m
2
n
2
,= 2;
si deve provare: m, n : p(m, n) q(m, n).
Per il principio di contrapposizione equivale a provare:
m, n : q(m, n) p(m, n),
cio`e che se m, n sono interi positivi tali che
m
2
n
2
= 2 allora m ed n devono avere un fattore
comune. Questo `e vero:
m
2
= 2n
2
= m
2
pari = m pari =
= 4[m
2
(4 divide m
2
) =
n
2
= m
2
/2 pari = n pari =
m e n hanno il fattore 2 in comune.
1.2 Insiemi
INSIEME (lettere MAIUSCOLE) `e una collezione di enti generici detti elementi (minus-
cole).
U: UNIVERSO o AMBIENTE `e il pi` u generico insieme con cui si sta lavorando.
- elencazione degli elementi
- caratterizzazione attraverso un predicato p(x)
A = x U : p(x)
modenesi = esseri umani : sono nati (vivono) a Modena
(/ ) indica lappartenenza di un elemento ad un insieme.
= (,=) indica luguaglianza tra due enti e gode delle seguenti propriet`a:
riessiva: x : x = x
simmetrica: x, y : (x = y) (y = x)
transitiva: x, y, z : (x = y) (y = z) =(x = z)
sostituzione: se p `e un predicato qualsiasi vale: x, y : (x = y) (p(x) p(y))
Due insieme A e B si diranno uguali se e solo se hanno gli stessi elementi:
A = B (x A x B)
Altre denizioni:
insieme vuoto
:= oppure
def
= si usa per denire qualcosa
o simboli di inclusione tra insiemi
o simboli di inclusione stretta tra insiemi
Si dice che B `e sottinsieme di A e si indica B A se ogni elemento di B `e elemento di A:
x : x B =x A
B si dice sottinsieme proprio di A (B A) se B ,= e B ,= A, ossia:
B A (B A x B y A : y / B)
Le relazioni di inclusione (non stretta) vericano le propiet`a:
riessiva: A : A A
antisimmetrica: A, B : (A B) (B A) =A = B
transitiva: A, B, C : (A B) (B C) =(A C)
OPERAZIONI TRA INSIEMI:
unione: A B := x : (x A) (x B)
intersezione: A B := x : (x A) (x B)
dierenza: AB oppure AB := x : (x A) (x / B)
dierenza simmetrica: AB := (AB) (B A) = (A B) (A B)
complementazione: (Aoppure A

:= U A, dove U `e luniverso di cui A `e un


sottinsieme
Linsieme di tutti i sottinsiemi di un dato universo si dice insieme delle parti : P(U).
PROPRIET
`
A
A A = A idempotenza A A = A
A B = B A commutativa A B = B A
(A B) C = A (B C) associativa (A B) C = A (B C)
A (B C) = (A B) (A C) distributiva A (B C) = (A B) (A C)
A (A B) = A assorbimento A (A B) = A
A B (A B = B) inclusione A B (A B = B)
(((A) = A involutoria
((A B) = (A (B pseudodistributive o
((A B) = (A (B leggi di De Morgan
A (A = U, A (A =
Prodotto Cartesiano
Coppia ordinata: insieme di due elementi a A e b B presi in uno specico ordine (a, b).
Denizione Chiamiamo Prodotto Cartesiano degli insiemi A e B linsieme di tutte le
coppie ordinate (a, b) ottenute prendendo a nel primo insieme e b nel secondo insieme:
AB := (a, b) : a A, b B
Es.: prodotto cartesiano di numeri reali ' con se stessi:
coppie ordinate di numeri reali = punti del piano
terne ordinate di numeri reali (prodotto cartesiano multiplo) = punti dello spazio tridi-
mensionale
Problemi della teoria degli insiemi: il paradosso di Russell
Costruzione dellinsieme di tutti gli insiemi, che `e di per se autocontradditorio.
Consideriamo il predicato: p(x): x `e un insieme e il corrisponendente insieme I := x :
p(x) ossia linsieme di tutti gli insiemi.
Notiamo intanto che I I.
Dividiamo ora gli insiemi in due categorie: la categoria R degli insiemi che appartengono a
se stessi (come I) e la categoria R di tutti gli altri insiemi.
Consideriamo ora linsieme: H := X : X` e un insieme di tipo R.
Per il principio del terzo escluso H `e di tipo R o di tipo R. Ma si ha:
se H fosse di tipo R seguirebbe H H; ma poiche ogni elemento di H `e di tipo R si
avrebbe anche che lo stesso H `e di tipo R. CONTRADDIZIONE
se H fosse di tipo R allora per la denizione di H si avrebbe ancora H H per cui H
sarebbe di tipo R. CONTRADDIZIONE.
Perci`o o si nega il principio del terzo escluso, ossia tutta la logica perch`e il TE `e una
tautologia, oppure la teoria degli insiemi `e contradditoria.
1.3 Relazioni
RELAZIONE (binaria) tra gli elementi x X e y Y `e un predicato r(x, y).
Si dice che x e y stanno in relazione r fra loro se r(x, y) `e vero.
Il sottinsieme X Y R = (x, y) X Y : r(x, y) vera si chiama GRAFICO della
relazione e si indica con graf(r) o (r).
Esempio: sia X linsieme degli interi positivi; relazioni in X X possono essere:
r(m,n): m ed n sono primi fra loro
r(m,n): m `e divisore di n
r(m,n): m
2
+n
2
`e il quadrato d un intero
Denizione: r `e una relazione di equivalenza in un insieme X (x y o x y) se:
riessiva: x : x x
simmetrica: x, y : x y y x
transitiva: x, y, z : (x y) (y z) =(x z)
Classe di equivalenza in r di x `e linsieme di tutti gli elementi equivalenti ad x:
[x] := y : (y X) (x y)
Partizione di X indotta da una relazione di equivalenza `e una famiglia di sottinsiemi S che
soddisfa alle propriet`a:
i) ogni elemento A di S `e non vuoto
ii) coppie di elementi distinti sono disgiunti: A ,= B A B =
iii) lunione di tutti i sottinsiemi da linsieme stesso:
_
AS
A = X
Denizione: r `e una relazione di ordine (o ordinamento) in un insieme X (x _ y o
y _ x) (x precede y o y segue x) se valgono le propiet`a:
riessiva: x : x _ x
antisimmetrica: x, y : (x _ y) (y _ x) y = x
transitiva: x, y, z : (x _ y) (y _ z) =(x _ z)
Gli elementi del graco di una relazione di ordine si diranno confrontabili.
Lordinamento `e totale se x, y: x _ y o x _ y (numeri reali).
Altrimenti lordinamento si dice parziale (es: la relazione di inclusione tra sottinsiemi di U).
Sono importanti soprattutto per quel che seguir`a sui numeri reali le seguenti denizioni:
Denizione Dato un sottinsieme A di un insieme X dotato di relazione dordine diremo che
un elemento k X `e un maggiorante (o rispettivamente un minorante) di A se:
i) k `e confrontabile con ogni elemento di A
ii) x A : x _ k (rispettivamente x _ k)
Denizione Un sottinsieme A si dice limitato superiormente o inferiormente se esiste rispet-
tivamente almeno un maggiorante o un minorante. A si dice limitato se esistono entrambi.
Denizione Un elemento m X si dice massimo (risp. minimo) di A se:
i) m A
ii) m `e un maggiorante (risp. un minorante) di A
Denizione Si dice estremo superiore (risp. estremo inferiore) di A il minimo dei
maggioranti di A (risp. il massimo dei minoranti); si indicheranno con sup(A) e inf(A).
Nota Questultima denizione `e motivata dalla necessit`a di estendere il concetto di massimo
(minimo) a sottinsiemi che ne sarebbero privi (es: intervalli aperti di numeri reali); ci`o `e im-
portante perche mentre vi possono essere pi` u maggioranti o minoranti di un sottinsieme A,
il massimo e il minimo se esistono sono unici, e questa prorpiet`a di unicit`a viene mantenuta
dallestremo superiore e inferiore. Questo non vuol dire tuttavia che ogni insieme possegga
estremi; daltra parte se esistono minimo o massimo essi coincidono necessariamente con gli
estremi inferiore e superiore rispettivamente.
1.4 Numeri cardinali e naturali
Il concetto di cardinalit`a di un insieme `e legato alla domanda naturale di contare gli elementi.
Equipotenza: relazione tra due insiemi con lo stesso numero di elementi; `e riessiva,
simmetrica e transitiva (non `e una vera equivalenza perch`e richiederebbe linsieme di tutti
gli insiemi).
Numero cardinale si denisce come una classe di equipotenza di un insieme non vuoto.
A partire da questo concetto costruiamo i numeri naturali.
Dato un insieme A chiamiamo successivo di A il nuovo insieme:
A
+
:= A A = A, A
Chiamo zero la cardinalit`a dellinsieme vuoto e costruisco i numeri naturali in ordine:
1 := card(
+
) = card() = card(0)
2 := card(
+
) = card(, ) = card(0, 1)
Per completare linsieme `e tuttavia necessario ricorrere ad un assioma:
Assiome dellinnito: esiste un insieme che contiene e contiene il successivo di ogni suo
elemento.
Un insieme di questo genere viene anche detto induttivo.
Denizione un insieme `e nito se la sua cardinalit`a `e un numero naturale, innito altri-
menti.
Linsieme dei numeri naturali cos` denito `e totalmente ordinato se si considera come re-
lazione dordine la relazione di appartenenza .
Le usuali operazioni di somma, prodotto, dierenza e quoziente che valgono tra i numeri
naturali si possono dimostrare a partire dalle operazione insiemistiche.
Principio di Induzione: sia P(n) un predicato riguardante il numero naturale generico
n; se:
i) P(0) `e vera
ii) n N : P(0), P(1), ..., P(n) vere P(n
+
) vera
allora la proposizione P(n) `e vera per tutti i numeri naturali.
Il principio di induzione `e il fondamento delle denizioni e delle dimostrazioni ricorsive:
si denisce il primo termine, s
0
, quindi dato un generico termine s
n
si assegna una legge per
esprimere s
n+1
in funzione di s
n
(ed eventualmente dei precedenti). Il principio aerma che
in la denizione cos` data `e valida per ogni numero naturale.
In senso esteso possiamo chiamare successione un insieme di elementi indicizzati tramite
un parametro che assume valori naturali; si indicano in genere: a
i
, i N.
Esempi
1) FATTORIALE
s
0
= 1 e n > 0 : s
n+1
= (n + 1) s
n
La successione cos` denita si dice FATTORIALE di n e esplicitamente si ha: s
n
:= n! =
n (n 1) (n 2) 3 2 1. Per varie ragioni (tra cui lo sviluppo del binomio di Newton)
si pone anche 0! = 1.
2) Numeri di FIBONACCI
s
0
= 0, s
1
= 1, e n > 1 : s
n+1
= s
n
+s
n1
Notiamo che in questa successione ogni termine `e denito in funzione dei due precedenti, e
questo porta alla necessit`a di denire indipendentemente i primi due termini. La successione
ha come primi valori: 0, 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, . . . ed `e detta successione di Fibonacci.
3) PROGRESSIONE ARITMETICA (successione se innita)
s
1
= a e n 1 : s
n+1
= s
n
+d
Si denisce cos` per ricorrenza una PROGRESSIONE ARITMETICA di primo termine a e
ragione d: `e una successione con dierenze costanti tra termini consecutivi. Si pu`o scrivere
globalmente s
n+1
= a +nd, n 1.
4) PROGRESSIONE GEOMETRICA (successione)
s
1
= a e n 1 : s
n+1
= q s
n
Si denisce cos` per ricorrenza una PROGRESSIONE GEOMETRICA di primo termine a
e ragione q ,= 1: `e una successione di numeri con rapporto costante uguale a q. Il termine
generico si pu`o scrivere: s
n+1
= a q
n
, n 1.
Dimostrazione con il Principio di Induzione: si dimostra la tesi per n = 0 (o per un altro
valore iniziale anche maggiore di 0), quindi si suppone che la tesi sia vera per un GENER-
ICO naturale n (IPOTESI di INDUZIONE) e si dimostra che allora `e vera anche per n +1.
Il Principio mi assicura la validit`a della tesi per ogni numero naturale.
Esempi Dimostrare che valgono le formule seguenti:
1)
n

k=1
k =
n(n + 1)
2
; generalizzare ad ogni progr. aritmetica: S
n
= na +d
n(n 1)
2
.
2)
n

k=0
q
k
=
1 q
n+1
1 q
; generalizzare a progr. geometriche.
3)
n

k=1
k
2
=
n(n + 1)(2n + 1)
6
.
Dimostrazioni
In ognuno dei tre casi chiamiamo P(n) luguaglianza scritta per un valore n N.
Dimostreremo che le formule sono vere per il valore iniziale (1 o 0 risp.), quindi supporremo
valide le formule per n generico e vedremo che questo implica la validit`a per il valore suc-
cessivo n + 1.
1) P(1):
1

k=1
k = 1 =
1(1 + 1)
2
vero. Calcoliamo P(n + 1) cercando di riportarci al termine
P(n) per il quale abbiamo assunto che la formula sia vera.
n+1

k=1
k = n + 1 +
n

k=1
k = ip. ind.
= n + 1 +
n(n + 1)
2
=
=
2(n + 1)
2
+
n(n + 1)
2
=
=
(n + 2)(n + 1)
2
= P(n + 1)
Per una progressione aritmetica il termine generico `e: s
k
= a+(k1)d; allora per il risultato
ottenuto si ha:
n

k=1
[a + (k 1)d] = na +d
n

k=1
(k 1) =
= na +d
n1

h=0
h = na +d
n(n 1)
2
2) P(0):
0

k=0
q
k
= 1 =
1 q
1 q
vero.
n+1

k=0
q
k
= q
n+1
+
n

k=0
q
k
= ip. ind.
= q
n+1
+
1 q
n+1
1 q
=
=
q
n+1
q
n+2
1 q
+
1 q
n+1
1 q
=
=
1 q
n+2
1 q
= P(n + 1)
La progressione geometriche ha semplicemente un fattore moltiplicativo a.
3) P(1):
1

k=1
k
2
= 1 =
1(1 + 1)(2 + 1)
6
vero.
n+1

k=1
k
2
= (n + 1)
2
+
n

k=1
k
2
= ip. ind.
= (n + 1)
2
+
n(n + 1)(2n + 1)
6
=
=
6(n + 1)(n + 1)
6
+
n(n + 1)(2n + 1)
6
=
=
(n + 1)[6n + 6 + 2n
2
+n]
6
=
=
(n + 1)(n + 2)(2n + 3)
6
=
=
(n + 1)(n + 2)[2(n + 1) + 1]
6
= P(n + 1)
Denizione: Si dicono COEFFICIENTI BINOMIALI di grado n gli n + 1 numeri:
k = 0...n
_
_
_
_
n
k
_
_
_
_
:=
n!
k! (n k)!
=
n(n 1) . . . (n k + 1)
k(k 1) . . . 2
Notiamo che per la denizione del fattoriale di 0 si ha:
_
_
_
_
n
0
_
_
_
_
=
_
_
_
_
n
n
_
_
_
_
= 1.
Due propriet`a: tra i coecienti binomiali valgono le relazioni:
(1)
_
_
_
_
n
k
_
_
_
_
=
_
_
_
_
n
n k
_
_
_
_
(2)
_
_
_
_
n
k
_
_
_
_
=
_
_
_
_
n 1
k 1
_
_
_
_
+
_
_
_
_
n 1
k
_
_
_
_
Dimostrazione(2) Lavoriamo sul termine a destra:
_
_
_
_
n 1
k 1
_
_
_
_
+
_
_
_
_
n 1
k
_
_
_
_
=
(n 1)!
(k 1)! (n 1 k + 1)!
+
(n 1)!
k! (n 1 k)!
=
=
(n 1)!k + (n k)(n 1)!
k! (n k)!
=
n(n 1)!
k! (n k)!
=
_
_
_
_
n
k
_
_
_
_
Formula del Binomio di Newton: per a, b numeri reali e n numero naturale vale:
(a +b)
n
=
n

k=0
_
_
_
_
n
k
_
_
_
_
a
nk
b
k
=
= a
n
+
_
_
_
_
n
1
_
_
_
_
a
n1
b +
_
_
_
_
n
2
_
_
_
_
a
n2
b
2
+. . . +
_
_
_
_
n
n 1
_
_
_
_
a b
n1
+b
n
Dimostrazione (per induzione): (a +b)
1
=
_
_
_
_
1
0
_
_
_
_
a
1
+
_
_
_
_
1
1
_
_
_
_
b
1
vero.
(a +b)
n+1
= (a +b)
n

k=0
_
_
_
_
n
k
_
_
_
_
a
nk
b
k
Analizziamo quel che si ottiene:
ho due nuovi termini a
n+1
e b
n+1
con coeciente 1;
in ogni termine la somma degli esponenti di a e di b fa n + 1, quindi avr`o bisogno di una
sommatoria in cui lindice k vada da 0 a n + 1.
Vediamo allora come posso scrivere i nuovi coecienti.
I due termini estremi a
n+1
e b
n+1
hanno sempre coeciente 1 che posso esprimere sempre
come
_
_
_
_
n + 1
0
_
_
_
_
e
_
_
_
_
n + 1
n + 1
_
_
_
_
rispettivamente.
Consideriamo il coeciente generico di posto h, 0 < h < n + 1 (C
h
):
esso corrisponde al termine a
n+1h
b
h
che si ottiene dai termini della sommatoria precedente
a
nh
b
h
moltiplicato per a e a
n+1h
b
h1
moltiplicato per b.
Il coeciente di posto h sar`a dunque la somma dei coecienti di posto h 1 e h della
sommatoria precedente (Triangolo di Tartaglia?...), ossia si avr`a:
C
h
=
_
_
_
_
n
h
_
_
_
_
+
_
_
_
_
n
h 1
_
_
_
_
=
_
_
_
_
n + 1
h
_
_
_
_
per la formula enunciata in precedenza. Quindi:
(a +b)
n+1
=
n+1

k=0
_
_
_
_
n + 1
k
_
_
_
_
a
n+1k
b
k
1.5 Insiemi Inniti
Chiamiamo applicazione iniettiva una relazione tra due insiemi che associa ad uno e un solo
valore dellinsieme di partenza uno e un solo valore nellinsieme di arrivo.
Se esiste una applicazione iniettiva da un insieme X ad un insieme Y (anche inniti) allora:
card(X) card(Y )
mentre con card(X) < card(Y ) indicheremo in pi` u che non vale luguaglianza.
In modo naturale allora un insieme X `e innito se:
n < card(X), n N
Linsieme N dei numeri naturali `e innito.
Linsieme N ed ogni altro insieme ad esso equipotente si dice insieme numerabile..
Ogni volta che si lavora con un insieme numerabile `e possibile utilizzare unappropriata ap-
plicazione iniettiva per elencare (numerare, indicizzare) i suoi elementi seguendo i numeri
naturali, ossia ordinarli in una successione.
Es: linsieme dei numeri pari `e numerabile e posso sempre indicizzarli attraverso la succes-
sione s(n) = 2n, n N.
Vediamo brevemente alcuni risultati basilari sui numeri transniti.
1) Ogni insieme innito contiene almeno un sottinsieme numerabile (`e necessario usare
lassioma della scelta); in particolare questo implica che non esistono insiemi inniti aventi
cardinalit`a strettamente minore del numerabile, ossia il numerabile `e il pi` u piccolo numero
transnito.
2) Linsieme A =

_
n=1
A
n
, unione numerabile di insiemi numerabili `e ancora un insieme nu-
merabile.
3) Linsieme A = A
1
A
2
. . . A
k
prodotto cartesiano di un numero nito di insiemi
numerabili `e ancora numerabile.
- Si noti come insiemi intuitavamente pi` u grandi di quelli di partenza non sono sostanzial-
mente pi` u grandi, ossia la loro cardinalit`a rimane invariata. Questo permette di aermare
che:
Linsieme Q dei numeri razionali `e numerabile.
4) Teorema di Cantor Per ogni insieme X nito o innito risulta card(X) < card(T(X)).
- Dal Teorema segue una diversa presentazione del paradosso di Russell: detto linsieme
di tutti gli insiemi esso dovrebbe contenere anche linsieme T(); ma allora: card()
card(T()) contro il teorema.
4) Linsieme R dei numeri reali non `e numerabile, ossia:
card(R) > card(N)
Gli insiemi equipotenti ad R si dicono continui (o che hanno la potenza del continuo).
Ogni intervallo di numeri reali (es.: (0, 1) ) `e equipotente ad R, ossia `e continuo.
Contrapposizione CONTINUO NUMERABILE (DISCRETO: al pi` u numerabile).
1.6 Numeri reali
Il passaggio agli interi Z e ai razionali Q `e semplice e dovrebbe pi` u o meno essere noto, cos`
come lestensione delle propriet`a formali delle quattro operazioni a questi numeri.
- diagonale di un quadrato non `e commensurabile con i lati (rapporto non razionale)
- lunghezza della circonferenza non commensurabile con il raggio
Postulato di continuit`a della retta di Euclide = necessit`a di andare oltre i numeri
razionali per completare in qualche modo la corrispondenza numeri/retta (nel senso di
rapporti tra segmenti).
La costruzione dei NUMERI REALI come estensione dei precedenti insiemi numerici non `e
banale.
Costruzione di successioni innite di razionali (se fossero sucienti sequenze nite allora
i numeri reali sarebbero numerabili in quanto prodotto cartesiano nito di insiemi numer-
abili).
Estensione della forma decimale dei numeri razionali ad allineamenti non periodici
(lo sapete che un numero razionale scritto in forma decimale o `e nito o `e periodico, VERO?)
(Pagani, Salsa).
Costruzione delle Sezioni di Dedekind.
Cosa si intende per estensione?
i numeri razionali siano un sottinsieme proprio dei numeri reali
i numeri reali estendano le propriet`a delle operazioni, ossia in particolare quando lavoro
su numeri razionali, ma intesi come sottinsieme dei numeri reali le operazioni devono
coincidere con quelle denite in precedenza
lordinamento naturale dei numeri razionali si deve poter estendere a tutti i numeri
reali, intendendo come sopra il concetto di estensione
(conseguenza) voglio denire sui nuovi numeri in modo coerente con i vecchi le princi-
pali funzioni, in particolare le potenze ( polinomi se esponente intero, o funzione
esponenziale se esponente reale)
Denizione Date due classi A e B di numeri razionali si dice che esse formano una SEZIONE
se soddisfano le seguenti condizioni:
1) ogni numero della classe A `e minore di ogni numero della classe B
2) se un numero x appartiene ad A ogni numero minore di x appartiene ad A; se un
numero y appartiene a B ogni numero maggiore di y appartiene a B
3) la classe A non ha massimo, la classe B non ha minimo
4) lunione delle due classi A e B contiene tutti i numeri razionali eccetto al pi` u uno.
Le sezioni dei razionali si indicano con (A, B).
Chiameremo sezioni di prima specie quelle che escludono un numero razionale, sezioni
di seconda specie quelle che non escludono alcun numero razionale.
Denizione Diremo numero reale una qualsiasi sezione dei numeri razionali.
Numeri razionali = sezioni di prima specie; numeri irrazionali = sezioni di seconda specie.
La denizione data ha come automatica conseguenza la propiet`a di completezza per cui abbi-
amo costruito i numeri reali; se si parte da diverse denizioni dei numeri reali tale propiret`a
`e meno immediata, per cui `e meglio scriverla bene almeno una volta:
Sezione dei numeri reali `e una coppia (A, B) di sottinsiemi di R tali che:
A B = R, A B = , a A, b B : a b
Propriet`a (teorema) di Completezza Per ogni sezione (A, B) dei numeri reali esiste
un unico numero reale s detto separatore per cui vale:
a s b, a A, b B
Ogni segmento della retta, commensurabile o incommensurabile, si pu`o ora esprimere in
termini numerici.
Propriet`a di Archimede: per ogni coppia di numeri reali positivi a e b esiste un numero
naturale n tale che na > b.
Denizione: chiamiamo parte intera [a] di un numero reale a il pi` u grande intero minore
o uguale ad a.
Es.: [2] = 2, [] = 3, [

3] = 2.
Il pi` u piccolo n che soddisfa la propriet`a di Archimede per una coppia di reali positivi a e b
`e il numero naturale n = [b/a] + 1.
1.7 La retta e i sottinsiemi di numeri reali
Rappresentazione dei numeri reali attraverso una retta:
scegliamo su una retta generica un orientamento, ossia deniamo un verso positivo
prendiamo punto O: origine = semiretta positiva e negativa
scegliamo un segmento di riferimento, u: unit`a di misura.
Dati due punti della retta A e B e indicato con AB (a volte

AB) il segmento orientato di
estremi A e B nel verso da A a B:
Denizione Si dice misura del segmento orientato AB rispetto allunit`a u il numero reale
che rappresenta il rapporto tra la lunghezza di AB e quella di u, con un segno positivo o
negativo a seconda che il verso del segmento orientato coincida con il verso positivo ssato
su r o sia ad esso opposto.
Nella denizione si `e considerata la lunghezza un oggetto di natura positiva; notiamo che
altri testi chiamano misura la lunghezza presa con il segno positivo e quella dipendente dal
segno la chiamano misura orientata o nomi equivalenti.
Le misure dei segmenti AB e BA sono due numeri opposti; vale inoltre, presi tre punti
qualunque A, B e C (e pi` u in generale presi n punti A
i
, i = 1, ..., n) lidentit`a:
AB +BC +CA = 0
A
1
A
2
+A
2
A
3
+... +A
n1
A
n
+A
n
A
1
= 0
Denizione Si dice ascissa del punto P il numero reale a che rappresenta la misura del
segmento orientato OP rispetto alunit`a u. Lascissa del punto O sar`a lo 0.
Denizione Un sottinsieme di R `e detto intervallo se comunque ssata una coppia di suoi
elementi x
1
e x
2
con x
1
< x
2
esso contiene anche tutti i numeri reali x tali che x
1
x x
2
.
Intervalli limitati segmenti Intervalli illimitati semirette (positive o negative).
Intervalli limitati
[a,b] x R tali che a x b intervallo chiuso
(a,b) x R tali che a < x < b intervallo aperto
(a,b] x R tali che a < x b intervallo aperto a sinistra
[a,b) x R tali che a x < b intervallo aperto a destra
Intervalli illimitati
(, a] x R tali che x a intervallo chiuso a destra
(, a) x R tali che x < a intervallo aperto
(a, +) x R tali che x > a intervallo aperto
[a, +) x R tali che x a intervallo chiuso a sinistra
Gli intervalli sono continui ossia contengono una innit`a non numerabile di elementi.
Contrapposti a questi vi sono i sottinsiemi discreti che contengono un numero nito o
una innit`a numerabile di elementi; essi non contengono intervalli e ogni elemento di tali
sottinsiemi `e isolato, ossia tra due elementi vicini vi sono sempre (inniti) numeri reali. Es.:
Insiemi niti, Numeri Naturali e qualunque successione.
Denizione Un sottinsieme A dei numeri reali (continuo o discreto) si dice superiormente
limitato se x R : x a, a A, che `e la scrittura in termini di numeri del fatto
che esiste almeno un maggiorante dellinsieme. Similmente si dice inferiormente limitato
se x R : x a, a A, e semplicemente limitato se lo`e sia superiormente che inferi-
ormente. Illimitato ad esempio superiormente vorr`a dire (in simboli): x Ra A : a > x.
Denizione Dato un sottinsieme A limitato superiormente lestremo superiore di A (sup(A))
`e il minimo dei maggioranti di A, ossia in simboli `e quel numero L che soddisfa:
i) x A : x L
ii) > 0, x A : x > L
Analogamente estremo inferiore di A (limitato inferiormente) `e quel numero l (inf(A)):
i) x A : x L
ii) > 0, x A : x < L +
La seguente proposizione `e equivalente alla propriet`a di completezza:
Proposizione Sia A R, A ,= . Allora se A `e limitato superiormente (inferiormente), A
possiede estremo superiore (inferiore).
Modulo di un numero:
[x[ :=
_

_
x per x < 0
x per x 0
Disequazioni fondamentale per il modulo:
1) [x[ < c, (c > 0) c < x < c
2) [x[ > c, (c > 0) x < c x > c
Propriet`a:
[x[ 0; [x[ = 0 x = 0
[xy[ = [x[ [y[
[x +y[ [x[ +[y[ (dis. triangolare)
Dimostrazione (dis. triangolare):
Siano x e y numeri reali qualunque ; per ciascuno di loro vale:
[x[ x [x[
[y[ y [y[
Sommando le relazioni termine a termine si ottiene:
([x[ +[y[) x +y [x[ +[y[
che `e esattamente la disuguaglianza triangolare.
Denizione Chiamiamo distanza tra due numeri reali il modulo della loro dierenza:
d(x, y) := [x y[
Vedremo parlando del piano che questo oggetto `e eettivamente una distanza secondo
una denizione pi` u generale.
1.8 Il Piano Cartesiano
Fissiamo due rette orientate distinte r e s con le rispettive unit`a di misura u
r
e u
s
.
Sia O (origine) il loro punto di incontro.
Abiamo denito sul piano un riferimento cartesiano con assi cartesiani le rette r e s.
La prima retta si dir`a delle ascisse (o delle x) , la seconda delle ordinate (o delle y).
I due assi si diranno anche assi coordinati.
Dato un punto P del piano e le sue proiezioni A e B sugli assi cartesiano, diremo coordi-
nate cartesiane le misure dei segmenti OA e OB relative alle unit`a di misura.
Corrispondenza Punto P coppia (a, b) di numeri reali.
Chiameremo a ascissa del punto P e B ordinata del punto.
In genere il riferimento si sceglier`a:
ortogonale ossia con le due rette r e s perpendicolari fra loro;
monometrico ossia con uguali unit`a di misura.
Un riferimento ortogonale e monometrico si dice ortonormale.
I quattro sottinsiemi del piano in cui esso `e suddiviso dalle due rette si dicono quadranti;
il I quadrante `e detto quello che corrisponde a coppie di numeri positivi, ossia in alto a
destra nel nostro sistema di riferimento, quindi lenumerazione dei quadranti prosegue in
senso antiorario; perci`o il II quadrante corrisponder`a a coppie di numeri con segni (, +),
il III quadrante a coppie (, ) e il IV quadrante a coppie (+, ).
Alcune importanti simmetrie:
- i punti di una retta parallela allasse y hanno la medesima ascissa;
- i punti di una retta parallela allasse x hanno la medesima ordinata;
- punti simmetrici rispetto allasse x hanno la medesima ascissa e ordinata opposta;
- punti simmetrici rispetto allasse y hanno la medesima ordinata e ascissa opposta;
- punti simmetrici rispetto allorigine O degli assi hanno ascissa e ordinata opposte.
Distanza fra due punti P
1
(x
1
, y
1
) e P
2
(x
2
, y
2
) (teorema di Pitagora):
si considerino le proiezioni A
1
e B
1
, A
2
e B
2
di P
1
e P
2
rispettivamente e si prolunghi
il segmento B
1
P
1
sino ad incontrare in un punto Q il segmento A
2
P
2
(vedi gura 1); il
triangolo P
1
QP
2
`e rettangolo in Q, per cui (Teorema di Pitagora) vale:
[P
1
P
2
[
2
= [P
1
Q[
2
+[QP
2
[
2
= (x
2
x
1
)
2
+ (y
2
y
1
)
2
La distanza richiesta si ottiene facendo la radice quadrata.
Distanza di un punto dallorigine `e la radice quadrata della somma delle sue componenti al
quadrato:
[OP[ =
_
x
2
+y
2
Denizione (geometrica): Vettore `e una grandezza caratterizzata da un modulo (o
lunghezza), una direzione e un verso.
Denizione (algebrica): Vettore di uno spazio n-dimensionale R
n
`e una n-upla ordinata
di numei reali detti componenti del vettore:
v := (v
1
, v
2
, . . . , v
n
)
Un punto P(x, y) del piano cartesiano R
2
`e quindi associato in modo naturale ad un
vettore: algebricamente in quanto coppia ordinata di numeri, geometricamente tramite
lidenticazione con il segmento orientato OP.
Le grandezze che sono completamente specicate da un singolo numero reale si dicono
scalari, quelle che necessitano di pi` u valori ordinati si dicono vettoriali.
Norma (o modulo, o lunghezza) del vettore OP `e la distanza di P(x, y) dallorigine:
[[OP[[ :=
_
x
2
+y
2
_
_
P R
n
=[[OP[[ :=

_
n

i=1
x
2
i
_
_
[[OP[[ 0; [[OP[[ = 0 P O
[[(OP)[[ = [[ [[OP[[
[[OP +OQ[[ [[OP[[ +[[OQ[[ (dis. triangolare)
Operazioni sui vettori
Somma dei vettori v = (v
1
, v
2
) e u = (u
1
, u
2
) `e (regola del parallelogrammo):
w := v +u = (v
1
+u
1
, v
2
+u
2
)
In n dimensioni la somma `e sempre componente per componente.
Prodotto per scalari: dato il vettore v = (v
1
, v
2
) e il numero reale `e:
v = (v
1
, v
2
)
Geometricamente il vettore v ha la stessa direzione di v, verso uguale o opposto a seconda
del segno di e modulo uguale al prodotto dei moduli di v e di .
Sottrazione di due vettori: `e pi` u facile pensarla algebricamente come la somma di un
vettore v con un secondo vettore u moltiplicato per 1; in componenti si ha:
w := v u = (v
1
u
1
, v
2
u
2
)
Geometricamente se v = OP e u = OQ la loro dierenza si identica con il vettore PQ.
Da questa denizione segue che la distanza di due punti P(x
1
, y
1
) e Q(x
2
, y
2
) si pu`o pensare
come la norma del vettore dierenza PQ; le propriet`a della distanza seguono da quelle della
norma:
d(P, Q) := [[P Q[[ =
_
(x
2
x
1
)
2
+ (y
2
y
1
)
2
(1) d(P, Q) 0; d(P, Q) = 0 P Q
(2) d(P, Q) = d(Q, P) (simmetria)
(3) d(P, Q) d(P, R) +d(R, Q) (dis. triangolare)
Tra i numeri reali la norma `e il modulo del numero e la distanza tra due numeri `e il modulo
della dierenza.
Pi` u in generale una funzione denita nel prodotto cartesiano di un insieme E con se stesso
che soddisfa le propriet`a (1), (2) e (3) si dice distanza o metrica.
Lo spazio E in cui `e denita una distanza si dir`a spazio metrico.
Denizione: Versore v `e un vettore di modulo 1.
Nel piano il punto che rappresenta un versore appartiene alla circonferenza unitaria; perci`o
le sue componenti sono esprimibili come coseno e seno dellangolo che forma con la retta
delle ascisse: v = (cos(), sin()).
Dato un vettore v esiste sempre un unico versore v che ha uguale direzione e verso:
v =
1
[[v[[
v
v = [[v[[ v = (cos(), sin())
Versori degli assi cartesiani:
i := e
x
:= e
1
:= (1, 0) versore delle ascisse in due dimensioni;
j := e
y
:= e
2
:= (1, 0) versore delle ordinate in due dimensioni;
i := e
x
:= e
1
:= (1, 0, 0) versore delle x in tre dimensioni;
j := e
y
:= e
2
:= (0, 1, 0) versore delle y in tre dimensioni;
k := e
z
:= e
3
:= (0, 0, 1) versore delle z in tre dimensioni.
Denizione: Combinazione lineare dei vettori v
1
, v
2
, . . . ,v
n
, di coecienti i numeri
reali
1
, . . .,
n
`e il vettore:
v :=
1
v
1
+. . . +
n
v
n
=
n

i=1

i
v
i
Ogni vettore si pu`o esprimire in modo unico come combinazione lineare dei versori degli assi
cartesiani (detti per questo versori di base).
Prodotto Scalare dei vettori v = (v
1
, v
2
) e u = (u
1
, u
2
) `e:
v u := v
1
u
1
+v
2
u
2
(=< v, u >)
se v, u R
n
: v u :=
n

i=1
v
i
u
i
Propriet`a del prodotto scalare:
COMMUTATIVO: v u = u v
Prodotto di un vettore con se stesso: v v = [[v[[
2
(norma al quadrato del vettore).
Espressione geometrica del prodotto scalare:
Consideriamo due versori: u = (cos(), sin()) e v = (cos(), sin()).
u v = cos() cos() + sin() sin() = cos( )
ossia il prodotto vale il coseno dellangolo compreso.
Consideriamo ora due vettori: u = u e v = v = ( cos(), sin()) dove: = [[u[[ e
= [[v[[ sono le rispettive norme.
u v = (cos() cos() + sin() sin())
= [[u[[ [[v[[ cos( )
il prodotto scalare `e il prodotto delle norme per il coseno dellangolo compreso.
Proiezione ortogonale: consideriamo un vettore v = OP, un versore u e le retta r
individuata dal versore. Siano H il piede della perpendicolare ad r passante per P e
langolo tra i due vettori (gura 31). Dalla geometria elementare:
[[OH[[ = [[OP[[ cos() [[OH[[ = v u
Chiamiamo proiezione ortogonale di v lungo la retta individuata da u il vettore:
(v u) u = [[OP[[ cos() u
Se in particolare considero i versori di base e
1
, e
2
le proiezioni ortogonali di v sono:
(v e
1
)e
1
, (v e
2
)e
2
dove i coecienti sono le componenti di v: v
1
= v e
1
, v
2
= v e
2
.
Versori (vettori) e rette. Rotazioni e perpendicolarit`a.
Denizione Si dice intorno sferico o palla di centro P e raggio r linsieme dei punti
distanti da P meno di r:
B(P, r) := Q R
2
: d(P, Q) < r
Intorno di P `e un qualunque sottinsieme contenente un intorno sferico di P.
Nel piano gli intorni sferici sono cerchi di raggio r centrati in P e privi della circonferenza;
nei numeri reali gli intorni sferici di un punto x sono gli intervalli (x r, x +r).
Denizione Dato un sottinsieme E di R o del piano R
2
un punto P si dice:
interno ad E se esiste un suo intorno interamente contenuto in E
esterno ad E se `e interno a (E (complementare di E)
di frontiera se non `e ne interno, ne esterno
Se P interno ad E =P E; P esterno =P / E;
P di frontiera pu`o o meno appartenere ad E.
Esempi
1) Sia E = [a, b) R; ogni punto di E tranne lestremo a `e punto interno; i punti estremi a
e b sono punti di frontiera.
2) Sia E = N R; non vi sono punti interni; ogni punto dellinsieme `e punto di frontiera.
3) Sia E = Q R; non solo non vi sono punti interni, ma nemmeno punti esterni: tutti i
numeri reali sono punti di frontiera per il sottinsieme dei razionali!
4) Sia E = x
2
+y
2
1 R
2
; i punti della circonferenza (per cui vale luguale) sono punti
di frontiera; gli altri punti di E sono punti interni.
5) Sia E = y = 3x R
2
; nessuno dei punti della retta `e interno, sono tutti punti di
frontiera.
Denizione Un punto P E si dice di accumulazione per E se in ogni intorno di P esiste
un punto di E diverso da P (o equivalentemente se ogni intorno di P contiene inniti punti
di E).
Un punto di accumulazione di E pu`o o meno appartenere allinsieme E.
Tutti i punti interni di E sono punti di accumulazione.
Un punto di E che non sia punto di accumulazione di dice isolato.
Se un insieme non ammette punti di accumulazione ogni suo punto `e isolato; non `e vero
il viceversa perche un insieme di punti isolati pu`o ammettere un apunto di accumulazione
esterno allinsieme stesso:
(teorema) ogni sottinsieme dei numeri reali limitato e innito (nel sensoche contiene inniti
punti della retta) ha sempre almeno un punto di accumulazione.
Esempio Linsieme E = x =
1
n
: n N ammette come unico punto di accumulazione lo
0 (che non appartiene ad E).
Dimostrazione Un generico intorno sferico dello zero `e un intervallo del tipo (, ) con
> 0 piccolo a piacere; ma in ogni intorno di questo tipo cadono inniti elementi di E.
Infatti basta prendere: n >
1

che si ha 0 <
1
n
< ossia 1/n appartiene ad E.
Denizione Un sottinsieme dei reali o di R
2
si dice aperto se ogni suo punto P `e punto
interno; si dice chiuso se il suo complementare `e aperto.
Denizione Si dice intorno di innito, rispettivamente di pi` u o meno innito, ogni semi-
retta dei numeri reali: x R : x > a o x R : x < a.
Con questa denizione ogni sottinsieme E dei numeri reali contenente inniti punti am-
mette almeno un punto di accumulazione. Es.: il sottinsieme dei numeri Naturali ammette
+ come punto di accumulazione: ogni intorno di innito contiene inniti numeri naturali.
1.9 Funzioni
Funzione f da X a Y `e una particolare relazione tale che x X esiste uno ed un solo
elemento di Y in relazione con X, ossia linsieme:
y Y : (x, y) graf(r)
`e costituito da un solo elemento.
Se f da R a R, = graf(f) = (x, f(x)) : x R, dove la variabile indipendente x `e detta
anche argomento della funzione.
Rispetto ad una relazione generica una funzione `e tale che ogni retta verticale nel piano
(ossia ogni sottinsieme di tipo (x
0
, y) : y R) interseca il graco della funzione nellunico
punto (x
0
, y
0
) con y
0
= f(x
0
).
Diremo che una funzione ammette espressione analitica se esiste un complesso di op-
erazioni che permette di esprimere completamente la funzione per ogni numero reale.
Non `e detto che una funzione sia denita su tutto linsieme dei numeri reali:
dominio della funzione f `e il sottinsieme dom(f) dei reali su cui f `e denita;
immagine o codominio `e il sottinsieme dei valori che la funzione pu`o assumere, ossia:
Im(f) := y R : x dom(f) : y = f(x)
In genere scriveremo tutto ci`o nella forma:
f : X Y
X x f(x) Y
Si parla anche di immagine di un singolo elemento tramite una funzione o di immagine di
un sottinsieme del dominio, intendendo con ci`o linsieme delle immagini dei singoli elementi
del sottinsieme.
Dominio e codominio sono sottinsiemi dei numeri reali per cui ad essi si applicano le varie
denizioni viste in precedenza. In particolare si parler`a di funzione limitata o illimitata,
di massimo, minimo, estremo superiore o inferiore di una funzione sempre riferendosi alle
corrispondenti caratteristiche dellinsieme immagine della funzione.
Es.: funzioni limitate (seno e coseno) sono quelle il cui insieme dei valori `e limitato.
funzioni costanti o semplicemente costanti quelle funzioni che assumono sempre lo stesso
valore indipendentemente dallelemento del dominio al quale vengono applicate.
Se una funzione `e esprimibile analiticamente si dice dominio naturale il massimo sottin-
sieme dei reali in cui ha senso la scrittura analitica (ad es. non ci sono divisioni per zero).
In generale quando si parler`a di ricerca del dominio ci si riferir`a sempre a quello naturale.
In una completa denizione di funzione il dominio va specicato e se necessario potr`a essere
anche diverso da quello naturale.
Due funzioni si possono dire uguali solo se sono uguali anche i domini; es.:
cot(x) ,=
1
tan(x)
infatti :
dom(cot) = x ,= k, k Z ,= dom(
1
tan
) = x ,= k x ,=

2
+k, k Z
Denizione Diremo che una funzione `e denita a pezzi se il suo dominio `e suddiviso in
due o pi` u sottinsiemi sui quali la denizione analitica `e dierente. Es. (gura 0):
f : R R; f(x) =
_

_
3x
2
x (, 1]
3 2x
3
+ 2x x (1, 2)
log(2x) x [2, +)
Denizione La funzione I
X
(o solo I) da X R in X che porta ogni elemento in se stesso
f(x) = x, x X, si dice applicazione identica o pi` u spesso identit`a di X.
Denizione Successione `e una funzione dai numeri naturali N ai numeri reali R. In genere
si indicano con a
n
, b
n
, ... , la variabile naturale n viene chiamata indice della successione
e invece che di immagine dellelemento n si parla in genere di elemento di posto n.
Anche per le successioni possono valere restrizioni sul dominio.
Esempio
La successione a
n
=

n
2
5 `e denita solo per n > 2 perch`e altrimenti si avrebbe la radice
quadrata di un numero negativo.
Prodotto di composizione (chiamato in genere semplicemente composizione): oper-
azione fondamentale per costruire funzioni via via pi` u complesse a partire da quelle elemen-
tari..
Siano f : R R e g : R R tali che Im(f) Dom(g).
Allora per ogni x del dominio di f posso applicare la funzione g allimmagine f(x).
Lapplicazione successiva delle due funzioni forma la funzione composta di g e f:
h := g f : R R
Dom(f) x (g f)(x) := g(f(x))
La composizione di due funzioni non `e sempre possibile: limmagine della prima funzione
pu`o non essere contenuta nel dominio della seconda o esservi contenuta solo parzialmente.
Condizioni di esistenza per la funzione composta (ricerca del dominio):
trovare il massimo sottinsieme X del dominio di f la cui immagine sia contenuta in Dom(g).
Esempio: composizione (nellordine) di una funzione polinomiale con una funzione radice
quadrata: la richiesta di non negativit`a dellargomento della radice mi obbliga a restringere
il dominio al sottinsieme dei reali per i quali il polinomio assume valori non negativi.
Esercizio: studiare il dominio delle funzioni composte (g f):
1) f(x) = 2x + 3, g(y) =

y.
La condizione `e che valga:
2x + 3 0 x
3
2
perci`o il dominio naturale di g f `e la semiretta [
3
2
, +).
2) f(x) = x
2
+ 2x 3, g(y) =

y. La condizione `e: x
2
+ 2x 3 0; ma si ha:
x
2
+ 2x 3 = x
2
+ 2x 1 2 =
= (x 1)
2
2 < 0
La condizione non `e soddisfatta per alcun numero reale: non ce una funzione composta.
Loperazione di composizione `e associativa, ma non commutativa.
Lesistenza della funzione composta g f non implica nemmeno lesistenza di f g.
Elemento neutro per loperazione di composizione (funzione che composta prima o dopo
unaltra funzione la lascia inalterata): tale elemento `e la funzione identit`a sui reali.
Infatti I(x) = x, x R, = per ogni funzione f con argomento e valori reali vale:
(f I)(x) = f(I(x)) = f(x)
(I f)(x) = I(f(x)) = f(x)
Denizione una funzione f si dice iniettiva (nel suo dominio) se presi due elementi x
1
e
x
2
distinti risulta f(x
1
) ,= f(x
2
). Equivalentemente f `e iniettiva se:
x
1
, x
2
Dom(f) : f(x
1
) = f(x
2
) x
1
= x
2
f `e iniettiva se il suo graco interseca ogni retta y = cost. al pi` u in un punto.
Restringendo il dominio funzioni che non sono globalmente iniettive lo diventano;
f(x) = x
2
assume due volte tutti i valori positivi: ristretta a x 0 diventa iniettiva.
Denizione Si dice che una funzione f : X Y `e suriettiva se y Y , x X : f(x) = y,
ossia se limmagine della funzione contiene tutto Y .
Ogni funzione `e suriettiva sulla propria immagine.
Iniettivit` a e suriettivit`a problema delle soluzioni di equazioni.
Sia f(x) = y con x incognita e y dato:
suriettivit` a di f = esistenza di almeno una soluzione;
iniettivit` a di f = unicit`a soluzione (se esiste).
Denizione Una funzione che sia iniettiva e suriettiva si dir`a biiettiva.
Ogni funzione iniettiva `e biiettiva sulla sua immagine.
Le funzioni biiettive servono per poter invertire loperazione di composizione tra funzioni.
Data f : X Y e y f(X), controimmagine di y `e linsieme x X : f(x) = y ,= ;
tale insieme pu`o contenere pi` u elementi, per cui la relazione che associa ad ogni y Im(f)
la sua controimmagine non `e una funzione.
Es.: se f(x) = x
2
la controimmagine di y = 4 `e: 2, 2.
Se f `e iniettiva nella controimmagine di ogni elemento di Im(f) c`e un solo elemento x X.
Si dice inversa di f (f
1
) la funzione:
f
1
: Im(f) X
Im(f) y x X : (f(x) = y)
f `e invertibile se e solo se `e iniettiva, e dunque `e biiettiva sulla sua immagine.
`
E immediato vedere che vale: (f
1
)
1
= f.
Relazioni fra funzione e inversa. Sia f : X Y biiettiva:
f
1
(f(x)) = x, x X f
1
f = I
X
f(f
1
(y)) = y, y Y f f
1
= I
Y
Caratterizzazione graca dellinversa di una funzione data:,
vale la relazione: P(a, b) graf(f) =Q(b, a) graf(f
1
). (Figura 1)
P(a, b) graf(f) = b = f(a) =
= a = f
1
(f(a)) = f
1
(b) = Q(b, a) graf(f
1
)
Geometricamente trasformazione del piano che porta una coppia (a, b) nella coppia (b, a)
con coordinate scambiate `e lo scambio tra i valori delle ascisse e delle ordinate, ossia la
simmetria rispetto alle bisettrice del I quadrante.
Funzioni Monotone
f : X Y si dice crescente se x
1
, x
2
dom(f) vale: x
1
< x
2
f(x
1
) f(x
2
);
diremo che `e strettamente crescente se non vale luguaglianza (minore stretto).
f : X Y si dice decrescente se x
1
, x
2
dom(f) vale: x
1
< x
2
f(x
1
) f(x
2
);
diremo che `e strettamente decrescente se non vale luguaglianza (maggiore stretto).
Monotonia di una f segno di (x
1
x
2
) (f(x
1
) f(x
2
)) o di
f(x
1
) f(x
2
)
x
1
x
2
;
f crescente mantiene lordinamento dei numeri, f decrescente lo inverte =
(x
1
x
2
) (f(x
1
) f(x
2
)) 0 f crescente
(x
1
x
2
) (f(x
1
) f(x
2
)) 0 f decrescente
In caso di maggiore o minore stretto si ha la monotonia stretta.
Monotonia su sottinsiemi del dominio: regioni del dominio in cui una funzione `e crescente
(strettamente) o decrescente.
Monotonia e invertibilit`a:
se f `e strettamente monotona `e iniettiva e dunque `e invertibile sulla sua immagine.
Linversa di una funzione monotona `e ancora monotona dello stesso genere (graco).
Analiticamente:
sia f strettamente crescente in X e siano y
1
e y
2
due punti dellimmagine Y della funzione
con y
1
< y
2
.
Supponiamo allora che valga f
1
(y
1
) f
1
(y
2
) (dim. per assurdo).
Luguaglianza non pu`o valere perch`e f
1
`e necessariamente iniettiva.
Ma se valesse il maggiore applicando la f che `e crescente strettamente si avrebbe:
y
1
= f(f
1
(y
1
)) > f(f
1
(y
2
)) = y
2
contro lipotesi.
Esercizi Studiare le inverse delle seguenti funzioni.
1) f(x) = ax +b con a ,= 0 (retta). (Figura 2)
In generale per ottenere unespressione analitica di uninversa `e suciente risolvere rispetto
a x lequazione f(x) = y. In questo caso si ottiene:
ax +b = y x =
y b
a
Ossia la funzione inversa `e ancora una retta: f
1
(y) =
y
a

b
a
.
2) f(x) =
ax +b
cx +d
= y, con c ,= 0 e ad bc ,= 0 denita in x R d/c.
ax +b
cx +d
= y ax +b = cxy +dy
ax cxy = dy b
x =
dy b
a cy
, y R a/c
Sia la funzione f che la sua inversa sono iperboli equilatere (Figura 3).
3) f(x) = x
2
+ 2x + 3 (gura 4).
La funzione `e una parabola e non `e perci`o monotona ne iniettiva in tutto il suo dominio;
dobbiamo spezzarla nei due rami, ossia trovare il suo asse di simmetria.
Si pu`o scrivere f(x) = (x + 1)
2
+ 2, perci`o il suo asse di simmetria `e la verticale x = 1.
Spezziamo la parabola nei due domini I
1
= (, 1] e I
2
= [1, +). Poi si ha:
x
2
+ 2x + (3 y) = 0
x = 1
_
1 (3 y)
f
1
(y) =
_

_
1 +

y 2 per f su I
1
1

y 2 per f su I
2
Altre propriet`a delle funzioni.
Diremo che f `e positiva se la sua immagine `e interamente contenuta in R
+
, ossia se as-
sume unicamente valori positivi o nulli (ad esempio la funzione modulo di x); diremo che f
`e negativa se assume valori negativi (e nulli secondo alcuni testi).
Data f si deniscono parte positiva di f e parte negativa le funzioni;
f
+
(x) :=
1
2
([f(x)[ +f(x)) = maxf(x), 0
f

(x) :=
1
2
([f(x)[ f(x)) = maxf(x), 0
Entrambe queste funzioni sono positive; vale inoltre:
f(x) = f
+
(x) f

(x), [f(x)[ = f
+
(x) +f

(x)
Diremo che la funzione f `e pari se vale: f(x) = f(x), x R.
Diremo che la funzione f `e dispari se vale: f(x) = f(x), x R.
Note Il dominio di una funzione pari o dispari `e simmetrico rispetto allo 0.
Il graco di una f pari `e simmetrico rispetto allasse delle ordinate.
Il graco di una f dispari `e antisimmetrico rispetto a tale asse (o simmetrico rispetto ad O).
Esempi fondamentali:
- monomi di grado pari o dispari (ax
2
, bx
3
);
- funzioni trigonometriche, il coseno pari e il seno dispari.
Ogni funzione denita su un dominio simmetrico rispetto allo zero si pu`o decomporre
nella somma di due funzioni, una pari e laltra dispari:
f(x) = f
p
(x) +f
d
(x)
f
p
(x) =
1
2
(f(x) +f(x))
f
d
(x) =
1
2
(f(x) f(x))
Non tutte le propriet`a che interessano in una funzione hanno carattere globale.
Ad esempio di una funzione globalmente illimitata (es.: polinomiale, Figura 5) pu`o servire
conoscere degli estremi (massimi o minimi) locali.
Denizione Sia x
0
dom(f); x
0
`e minimo locale se esiste un suo intorno U tale che:
f(x) f(x
0
), x U dom(f)
Se non vale mai luguaglianza si parla di minimo locale forte.
Diremo che x
0
`e un massimo locale se esiste un suo intorno U tale che:
f(x) f(x
0
), x U dom(f)
Se non vale mai luguaglianza si parla di massimo locale forte.
Ovviamente se esiste un massimo o un minimo globale essi sono anche locali.
Denizione
Una funzione si dice convessa in un intervallo I del suo dominio se per ogni coppia di punti
a, b I il segmento (del piano) di estremi (a, f(a)) e (b, f(b)) non ha punti sotto il graco
di f; diremo che f `e strettamente convessa se il segmento considerato `e interamente sopra
il graco (tranne ovviamente che negli estremi).
Una funzione si dice concava in un intervallo I del suo dominio se per ogni coppia di punti
a, b I il segmento (del piano) di estremi (a, f(a)) e (b, f(b)) non ha punti sopra il graco
di f; diremo che f `e strettamente concava se il segmento considerato `e interamente sotto il
graco (tranne ovviamente che negli estremi).
Se f `e convessa cambiando globalmente il segno si ha che f `e concava e viceversa.
Cerchiamo una scrittura pi` u analitica di questa propriet`a.
Presi due punti P e Q del piano ogni punto R appartenente al segmento che li congiunge
si pu`o scrivere come R = P + t(Q P), t [0, 1], ossia R = tQ + (1 t)P (detta anche
combinazione lineare convessa dei punti P e Q). In componenti:
x
R
= tx
Q
+ (1 t)x
P
y
R
= ty
Q
+ (1 t)y
P
Consideriamo la gura 6:
prendiamo due punti A(a, f(a)) e B(b, f(b)) sul graco di y = f(x);
sia Q punto del segmento AB, H il piede della perpendicolare e P lintersezione con la curva.
Il punto Q, in quanto combinazione lineare convessa dei suoi estremi avr`a le coordinate
esprimibili con:
x
Q
= tb + (1 t)a
y
Q
= tf(b) + (1 t)f(a)
P avr`a la stessa ascissa e per ordinata la f applicata a quellascissa:
x
P
= tb + (1 t)a
y
P
= f(tb + (1 t)a)
Tutto questo deve valere per ogni coppia di punti del graco della f e per ogni punto del
segmento che li congiunge, ossia per ogni valore t [0, 1]. Perci`o:
Denizione Una funzione f si dice convessa in un intervallo I se per ogni coppia di
elementi a, b I vale la disuguaglianza:
f(tb + (1 t)a) tf(b) + (1 t)f(a)
Analogamente una funzione si dice concava se vale la disuguaglianza opposta:
f(tb + (1 t)a) tf(b) + (1 t)f(a)
Denizione Una funzione f di una variabile reale si dice PERIODICA di periodo T se:
i) t Dom(f) t +T Dom(f)
ii) f(t +T) = f(t) t Dom(f)
Se so che T `e un periodo per una funzione f(t) `e evidente che anche ogni multiplo intero di
T `e ancora un periodo per f; vale infatti:
f(t +nT) = f(t + (n 1)T) = . . . = f(t)
Se f `e una costante tutti i valori sono uguali per cui tutti i numeri reali rappresentano un
periodo per f, ma `e un caso banale che non si considera.
Altrimenti, se f non `e una costante, si pu`o dimostrare che esiste un periodo minimo T
0
tale che ogni periodo T `e un multiplo di T
0
; la funzione si dir`a quindi periodica di periodo
T
0
.
Esercizio Determinare linsieme di esistenza E delle seguenti funzioni.
1) f(x) =
x + 5
x
2
5x + 4
Devo lavorare sul denominatore:
x
2
5x + 4 ,= 0
Il polinomio di secondo grado ammette le due radici:
x

=
5

25 16
2

x
+
= 4, x

= 1
E = x R : x ,= 4 x ,= 1
2) f(x) =
3x + 8
x
2
2x + 7
Come prima:
x
2
2x + 7 ,= 0
Ma questo polinomio `e tale che:
= 4 28 < 0

4 28
il polinomio non ammette soluzioni.
Il dominio `e allora tutto R.
3) f(x) =
_
x 4
x + 3
Ho due condizioni. Partendo dallesterno: largomento della radice deve essere non negativo,
quindi il denominatore deve essere non nullo.
ii) x + 3 ,= 0 x ,= 3
i)
x 4
x + 3
0
_

_
_

_
x 4 0
x + 3 > 0
x 4
oppure
_

_
x 4 < 0
x + 3 < 0
x 3
Perci`o:
E = (, 3) [4, +)
4) f(x) = log(x
3
x
2
30x)
Il logaritmo richiede che largomento sia strettamente positivo. Il polinomio si fattorizza
raccogliendo x e risolvendo il restante polinomio di II grado.
x
3
x
2
30x = x (x
2
x 30)
x

=
1

1 + 120
2

x
+
= 6, x

= 5
poiche il polinomio `e di terzo grado con I coeciente positivo, le regioni di positivit`a saranno
quella compresa tra la prima e la seconda radice e quella a destra della radice pi` u grande,
escludendo le radici che non soddisfano la condizione del logaritmo:
E = (5, 0) (6, +)
2 La Funzioni Elementari
2.1 Polinomi
Polinomi di grado superiore n 3
Un POLINOMIO P
n
(x) o Q
n
(x) di grado n nella variabile x a coecienti reali `e una funzione
del tipo:
a
n
x
n
+a
n1
x
n1
+... +a
1
x +a
0
dove a
i
, i = 0, ..., n sono tutti numeri reali detti COEFFICIENTI e ogni singolo addendo
(a
k
x
k
) si dice MONOMIO (di ordine k).
Denizione Si denisce potenza ennesima di un numero reale ,= 0 per n positivo:

0
= 1,
n
=
n1
Per n > 0 si pone: 0
n
= 0. Al simbolo 0
0
non si assegna alcun signicato.
Se n > 0 naturale e ,= 0 si pone:

n
=
1

n
Proposizione Le potenze di numeri reali soddisfano le seguenti propriet`a:

n

m
=
n+m

m
=
nm
(
n
)
m
=
nm
( )
n
=
n

n

_
n
=

n

n
Inoltre le potenze dispari mantengono il naturale ordinamento dei numeri reali:
=
n
=
n
<
n
<
n
>
n
>
n
mentre quelle pari mantengono lordinamento dei numeri positivi, invertono i negativi.
Il problema dello studio di un polinomio `e legato a quello delle equazioni algebriche di grado
n in una incognita x che, poste in forma normale sono espressioni del tipo:
P
n
(x) = 0 ossia
a
n
x
n
+a
n1
x
n1
+... +a
1
x +a
0
= 0
Si parla allora di RADICE o ZERO di un polinomio intendendo una qualunque soluzione
dellequazione P
n
(x) = 0. Si ha in proposito un importante risultato generale:
Teorema Nel campo dei numeri reali un polinomio di grado n ha al pi` u n radici (ossia
pu`o non averne nessuna o averne un numero non superiore ad n). Inoltre se il grado del
polinomio `e DISPARI esiste sempre almeno una radice reale.
Per le equazioni di II grado ricordo solo che vale:
Proposizione In unequazione di II grado ridotta a forma normale ax
2
+bx +c = 0 e con
discriminante = b
2
4ac non negativo, le radici sono x
1,2
=
b

b
2
4ac
2a
; fra esse
valgono le relazioni:
x
1
+x
2
=
b
a
, x
1
x
2
=
c
a
Se il primo coeciente `e uguale ad 1, ossia se lequazione `e : x
2
+x + = 0, vale:
x
1
+x
2
= , x
1
x
2
=
Per quel che riguarda le equazioni di grado superiore ricordo che esistono soluzioni in forma di
radicali per le equazioni di III e IV grado (che contengono tuttavia numeri complessi), men-
tre un notevole risultato stabilisce che `e impossibile risolvere una generica equazione
di grado superiore attraverso le operazioni elementari e lestrazione di radicali.
Questo non vuol dire che non esistano alcune equazioni in cui la forma particolare dei coef-
cienti permetta di giungere alla soluzione completa, o perlomeno in cui si possano trovare
alcune radici. Ricordiamo alcuni casi.
EQUAZIONI TRINOMIE: sono dette cos` perch`e in esse compaiono solo tre monomi,
di grado 2n, n e 0, con n > 1 (per n = 2 si dicono anche biquadratiche). In forma normale
si scrivono:
ax
2n
+bx
n
+c = 0
x
n
= y = ay
2
+by +c = 0 =
= y = y
1,2
=
= x
n
= y
1
ox
n
= y
2
Per ogni radice y dellequazione quadratica si risolve x
n
= y per ottenere tutte le soluzioni.
ESERCIZIO
Risolvere le equazioni:
1) 8x
6
15x
3
2 = 0
2) x
8
+ 7x
4
144 = 0
EQUAZIONI RECIPROCHE: si dicono cos` quelle equazioni ad una incognita in forma
normale in cui i coecienti dei termini estremi e di quelli equidistanti dagli estremi sono
uguali (reciproche di I specie) oppure sono opposti (reciproche di II specie). Esempio
I specie 3x
5
7x
4
+ 2x
3
+ 2x
2
7x + 3 = 0
II specie 11x
4
8x
3
+ 8x 11 = 0
SI NOTI (come nellesempio) che una equazione reciproca di grado pari e di II specie (coef-
cienti opposti) deve mancare del termine medio perch`e il suo coeciente, dovendo essere
uguale allopposto di se stesso, non pu`o che essere nullo.
Proposizione Se un numero reale `e soluzione di unequazione reciproca allora anche il
numero
1

risolve la stessa equazione.


Proposizione Per le equazioni reciproche di grado n valgono le seguenti propriet`a:
n dispari
_

_
I specie: 1 `e radice
II specie: 1 `e radice
n pari II specie: 1 e 1 sono ambedue radici
Se n `e pari e lequazione `e reciproca di I specie non ho radici 1, ma dividendo per il grado
intermedio e raccogliendo opportunamente ho ancora una semplicazione del problema.
EQUAZIONI CON RADICI 1: la proposizione seguente caratterizza completamente
quelle equazioni che ammettono come radici i valori 1 o 1.
Proposizione
- Unequazione di grado n in una variabile ammette come radice il numero reale 1 se e
solo se scritta in forma normale la somma dei suoi coecienti `e uguale a 0.
- Unequazione di grado n in una variabile ammette come radice il numero reale 1 se e
solo se la somma dei suoi coecienti pari `e uguale alla somma dei suoi coeci-
enti dispari.
Dimostrazione
Poich`e tutte le potenze di 1 danno sempre 1, sostituendo tale valore al posto dellincognita
lequazione si riduce semplicemente alla somma dei suoi coecienti; perci`o 1 sar`a una radice
dellequazione se e solo se la somma dei coecienti si annulla.
Le potenze di 1 invece danno alternativamente 1 a seconda che lesponente sia pari o
dispari, per cui sostituendo 1 nellequazione ho la somma dei coecienti preceduti da un
segno + oppure a seconda che corrispondano ad una potenza pari o dispari, ossia ad una
espressione del tipo (nellesempio si `e preso n pari):
a
n
a
n1
+a
n2
. . . +a
2
a
1
+a
0
= 0
a
n
+a
n2
+. . . +a
2
+a
0
= a
n1
+a
n3
+. . . +a
1
Quindi 1 `e radice se e solo se questultima espressione si annulla, ossia se la somma dei
coecienti pari `e uguale alla somma dei coecienti dispari.
Lasciamo per esercizio la dimostrazione che le equazioni reciproche di grado dispari di I
specie rientrano nel secondo caso di questa proposizione (quindi ammettono come radice
1), che quelle di II specie rientrano nel primo caso, e che le eq. reciproche di grado pari
di II specie soddisfano entrambe le condizioni (in particolare per queste ultime vale: somma
coecienti pari = somma coecienti dispari = 0), per cui ammettono entrambe le radici.
ESERCIZIO
Risolvere le equazioni:
1) 2x
3
3x
2
3x + 2 = 0
2) 3x
3
+ 4x
2
+ 4x + 3 = 0
3) 6x
5
x
4
43x
3
+ 43x
2
+x 6 = 0
Trovare tutte le radici di una equazione fattorizzare un polinomio.
Premettiamo un breve riepilogo delle operazioni tra polinomi. Consideriamo nel seguito:
A
n
(x) = a
n
x
n
+a
n1
x
n1
+. . . +a
1
x +a
0
B
m
(x) = b
m
x
m
+b
m1
x
m1
+. . . +b
1
x +b
0
Somma di due polinomi: il polinomio del grado pi` u alto fra i due con coecienti uguali alle
somme dei coecienti di A e B.
Prodotto dei polinomi A e B `e un polinomio C di grado n +m (somma dei gradi massimi)
e i suoi coecienti di posto k generico c
k
sono:
c
k
= a
k
b
0
+a
k1
b
1
+. . . +a
1
b
k1
+a
0
b
k
=
k

i + j = k
i, j = 0
a
i
b
j
c
0
= a
0
b
0
c
1
= a
1
b
0
+a
0
b
1
c
2
= a
2
b
0
+a
1
b
1
+a
0
b
2
.
.
.
c
n+m1
= a
n
b
m1
+a
n1
b
m
c
n+m
= a
n
b
m
Prima di vedere in pratica la divisione ricordiamo un teorema e due denizioni.
Teorema Siano A
n
(x) e B
m
(x) polinomi di gradi n e m rispettivamente, con n m. Allora
esistono altri due polinomi Q(x) e R(x) tali che vale:
A
n
(x) = B
m
(x) Q(x) +R(x)
e con il grado di R(x) strettamente minore del grado di B
m
(x), ossia di m.
Questo vuol dire che una generica funzione razionale fratta f(x) =
A
n
(x)
B
m
(x)
si pu`o scrivere:
f(x) =
A
n
(x)
B
m
(x)
= Q(x) +
R(x)
B
m
(x)
ossia ho eettuato una divisione tra polinomi con risultato Q(x) e resto f(x) =
R(x)
B
m
(x)
, dove
il numeratore del resto `e di grado strettamente inferiore al suo denominatore.
Denizione Un polinomio A
n
(x) si dice divisibile per un polinomio B
m
(x) se nellespressione:
A
n
(x) = B
m
(x) Q(x) +R(x)
il polinomio R(x) `e il polinomio nullo; il polinomio B
m
(x) si dir`a divisore di A
n
(x).
Denizione Un polinomio A
n
(x) di grado n 1 si dice irriducibile se non ammette alcun
divisore di grado m con 0 < m < n (`e evidente che un polinomio `e sempre divisibile per un
numero reale, ossia un polinomio di grado 0, e per s`e stesso moltiplicato per una costante,
ossia un polinomio di grado n).
Facciamo ora un esempio pratico di divisione tra polinomi:
A(x) = 2x
4
+x
3
x + 2 diviso B(x) = x
2
+ 3.
Comincio dividendo i termini di grado pi` u alto e scrivendo il risultato a destra sotto il poli-
nomio B(x) (come per la divisione):
2x
4
+x
3
+0x
2
x +2 x
2
+3
2x
4
+6x
2
2x
2
sottraggo: +x
3
6x
2
x +2
Se il polinomio ottenuto dopo la sottrazione ha grado inferiore a quello di B(x) ho nito e
quello sar`a il resto, altrimenti vado avanti alla stesso modo:
2x
4
+x
3
+0x
2
x +2 x
2
+3
2x
4
+6x
2
2x
2
+x
+x
3
6x
2
x +2
+x
3
+3x
6x
2
4x +2
e con un ultimo passaggio
2x
4
+x
3
+0x
2
x +2 x
2
+3
2x
4
+6x
2
2x
2
+x 6
+x
3
6x
2
x +2
+x
3
+3x
6x
2
4x +2
6x
2
18
4x +20
Perci`o il risultato della divisione `e il polinomio Q(x) = 2x
2
+x6 con resto R(x) = 4x+20.
ESERCIZIO
Eseguire le seguenti divisioni fra polinomi sino ad ottenere un resto di grado inferiore al
polinomio ad denominatore:
1)
x
4
+ 2x
3
14x
2
+ 2x 15
x
2
+ 1
2)
2x
5
+ 12x
3
+x
2
+ 6
x
3
4
Vogliamo ora porci il problema di fattorizzare un polinomio, ossia trovare una scrittura in
qualche modo analoga a quella che vale per i numeri naturali:
n = p
r
1
1
p
r
2
2
. . . p
r
k
k
Teorema Un polinomio A
n
(x) `e divisibile per il binomio (x c) se e solo se A
n
(c) = 0,
ossia se e solo se c `e una radice del polinomio.
Dimostrazione Scriviamo la divisione con resto di A
n
(x) per (x c):
A
n
(x) = (x c)Q(x) +r
dove il resto `e stato indicato in questa maniera perch`e deve essere di grado 0, ossia `e una
costante. Ora se A
n
(x) `e divisibile per (x c) deve essere r = 0, ma questo vuol dire che
A
n
(c) = (c c)Q(c) = 0; viceversa se si assume che A
n
(c) = 0 dalla stessa scrittura segue
necessariamente che r = 0.
Oltre ai binomi di I grado conosciamo gi`a unaltra classe di polinomi irriducibili: i tri-
nomi di II grado con discriminante negativo. Un importante teorema stabilisce che
per i polinomi a coecienti reali queste due classi esauriscono tutti i possibili
polinomi irriducibili, per cui la decomposizione di un generico polinomio conterr`a sola-
mente questi due tipi di fattori.
Teorema
- Ogni polinomio ammette sui numeri reali una (unica) fattorizzazione del tipo:
A
n
(x) = a
n
(x c
1
)
m
1
(x c
k
)
m
k
(x
2
+
1
x +
1
)
t
1
(x
2
+
h
x +
h
)
t
h
dove a
n
`e il coeciente del termine di grado massimo del polinomio A
n
(x), i numeri c
i
,
i = 1 . . . k sono le radici distinte con le (eventuali) molteplicit`a m
i
, mentre i trinomi di
secondo grado (anchessi con eventuali molteplicit`a) hanno tutti discriminante negativo.
- Le molteplicit`a m
j
delle radici del polinomio e t
r
dei termini irriducibili di secondo
grado soddisfano la relazione:
m
1
+. . . +m
k
+ 2t
1
+. . . + 2t
h
= n
NOTA: introducendo i numeri complessi anche i trinomi di II grado a discriminante neg-
ativo ammettono esattamente due radici; perci`o nel campo complesso lultimo punto del
teorema mi dice che le radici di un polinomio generico contate con le loro molteplicit`a sono
esattamente n come il grado del polinomio.
Una volta identicata una radice c di un polinomio si pu`o quindi procedere a dividerlo per
(x c) ottenendo un nuovo polinomio con il grado abbassato di uno rispetto al precedente;
poich`e questo `e il procedimento pi` u comune per cercar di arrivare in fondo alla fattorizzazione
`e bene ricordare (o imparare) una regola semplicata di divisione che vale appunto quando
si divide per un binomio di I grado, detta Regola di Runi.
Lalgoritmo `e lungo da descrivere a parole, ma ben pi` u facile da far vedere in pratica;
prendiamo per esempio il polinomio A(x) = 2x
3
9x
2
+14x 15 che ammette come radice
il numero c = 3 ed `e quindi divisibile per (x 3).
Scriviamo sotto forma di tabella in cui ho posto i coecienti del polinomio nelle I riga in
ordine decrescente e con il termine noto separato da una barra, mentre sotto a sinistra,
separata da unaltra barra vi `e la radice c:
+2 9 +14 15
+3
trascrivo il
I coeciente
+2 9 +14 15
+3
+2
lo moltiplico per la radice e lo
scrivo sotto il II coeciente
+2 9 +14 15
+3 +6
+2
sommo e ripeto sino
allultimo coeciente
+2 9 +14 15
+3 +6 9
+2 3
alla ne devo ottenere
due valori uguali
cos` il resto `e zero
+2 9 +14 15
+3 +6 9 +15
+2 3 +5 0
Quelli che ho ottenuto sono i coeciente del nuovo polinomio ordinati in maniera decres-
cente e tali che il primo corrisponde al termine x
n1
; nel nostro caso abbiamo ottenuto:
2x
3
9x
2
+ 14x 15
x 3
= 2x
2
3x + 5
Se non ottengo uno zero nellultima posizione vorrebbe dire che ho un resto non nullo, ossia
un divisione non esatta: o c non era una radice oppure ho sbagliato i conti... Se sono sicuro
che c `e radice del polinomio di partenza il metodo di Runi mi permette anche un controllo
a posteriori.
Per completare lo studio anche graco di un polinomio servono:
- le radici;
- il comportamento a ;
- il segno, ossia le soluzioni della disequazione associata: P
n
(x) 0.
Comportamento allinnito
Per valori reali sucientemente grandi in modulo il comportamento del polinomio `e unica-
mente determinato dal termine di grado massimo, ossia dal monomio: a
n
x
n
.
In particolare perci`o si ha: (gura ).
Segno del polinomio
I polinomi sono funzioni continue per cui i cambi di segno possono avvenire solo passando per
una radice. Ma non sempre si ha un cambio di segno: dipende dalla molteplicit`a della radice.
Teorema Sia c una generica radice del polinomio; se la molteplicit`a di c `e dispari il
polinomio cambia di segno intorno alla radice (ossia passando da numeri pi` u piccoli di c a
numeri pi` u grandi o viceversa); se la molteplicit`a di c `e pari il polinomio non cambia di
segno.
Dimostrazione
Scriviamo il polinomio come: P(x) = (x c)
m
Q(x). Il polinomio Q(x) non si annulla nel
punto x = c; poich`e le radici di un polinomio sono distinte vi `e un certo intervallo x
1
< c < x
2
non vuoto in cui Q(x) assume lo stesso segno (altrimenti si dovrebbe annullare). Allora il
segno di P(x) `e dato localmente, ossia in un intervallo non nullo contenente c, da () il segno
di (x c)
m
. Ora `e evidente che se la molteplicit`a m di tale radice `e pari questo termine `e
sempre positivo, cio`e non ho cambi di segno, mentre se m `e dispari vale (x c)
m
< 0 per
x < c e (x c)
m
> 0 per x > c, ossia in un intervallo contenente il punto c ho un cambio di
segno.
Possiamo allora partire da un estremo del dominio, per esempio , e ordinare in senso
crescente tutte le radici. Allora a partire dal segno iniziale ad ogni radice cambier`o o meno
il segno a seconda della sua molteplicit`a ottenendo cos` il segno del polinomio in tutta la
retta reale. Allo stesso modo far`o per disegnare il graco.
Esempi utili da ricordare:
- Raccoglimento a fattor comune: si usa sempre se manca il termine di grado 0 o pi` u termini
di grado 0, 1, etc... In questo caso lo zero `e certamente una radice (multipla se manca pi` u
di un termine:
x
4
3x
3
+ 5x
2
= x
2
(x
2
3x + 5)
- Raccoglimenti parziali, anche nel caso di assenza di radici
x
4
+x
2
+ 1 = x
4
+ 2x
2
+ 1 x
2
=
= (x
2
+ 1)
2
x
2
=
= (x
2
+x + 1) (x
2
x + 1)
- Aggiungendo e togliendo..., ritrovo la somma di due cubi:
x
6
+b
6
= x
6
+x
4
b
2
x
4
b
2
+x
2
b
4
x
2
b
4
+b
6
=
= x
2
(x
4
x
2
b
2
+b
4
) +b
2
(x
4
x
2
b
2
+b
4
) =
= (x
2
+b
2
)(x
4
x
2
b
2
+b
4
) =
= (x
2
+b
2
)(x
4
x
2
b
2
+b
4
+ 3x
2
b
2
3x
2
b
2
) =
= (x
2
+b
2
)[(x
2
+b
2
)
2
3x
2
b
2
] =
= (x
2
+b
2
)(x
2
+b
2
+

3bx)(x
2
+b
2

3bx)
- ... o la dierenza di due cubi:
x
12
1 = (x
6
)
2
1
2
= (x
6
1)(x
6
+ 1) =
= (x
3
1)(x
3
+ 1)(x
6
+ 1) =
= (x 1)(x
2
+x +1)(x + 1)(x
2
x + 1)(x
6
+ 1)
ESERCIZIO 9
Fattorizzare i polinomi:
1) 6x
5
x
4
43x
3
+ 43x
2
+x 6
2) x
3
6x
2
2x + 7
3) x
4
4x
3
4x
2
+ 28x 21
4) x
4
(a + 3)x
3
+ (3a + 1)x
2
(a + 3)x + 3a
2.2 Funzione Esponenziali e Logaritmiche
Potenze naturali x x
n
potenze con esponente razionale potenze con esponente
reale.
Dato R
+
e n, m, p, q naturali positivi si deniscono:

1
n
=
n

p
q
=
q

p
q
=
1

p
q
=
1
q

p
(per ,= 0)
Le propriet`a sono le stesse di quelle gi`a viste per le potenze intere.
La denitiva estensione a potenze con esponente reale si fa sulla falsa riga dellestensione
del concetto di numero basandosi sulla nozione di sezioni di numeri (vedi per es: Zwirner).
Le funzioni cos` denite: x x
p/q
sono denite in modo naturale sui reali positivi con valori
reali positivi. Inoltre:
- sono crescenti per p/q > 0
- sono decrescenti per p/q < 0
- tutti i loro graci passano per il punto (1, 1) (gure 19, 20).
Nota: se il denominatore `e dispari la denizione si potrebbe estendere a tutti i numeri reali
(radici dispari di un numero negativo). Tuttavia si preferisce non farlo in generale perche si
perderebbero le normali regole di calcolo delle potenze:
per x < 0 x
2/5
= x
4/10
V ERO
x
3/7
= x
6/14
FALSO
A questo punto introduciamo le funzioni che, data una qualunque base a > 0 reale, associano
ad ogni numero reale la potenza di a elevato a quello stesso numero:
exp
a
: R R
+
, x a
x
Tale funzione `e detta ESPONENZIALE di base a.
Se ci limitiamo ad esponenti razionali `e le principali propriet`a della funzione esponenziale
sono di immediata dimostrazione in quanto seguono dalle propriet`a delle potenze.
Proposizione La funzione f(x) = a
x
soddisfa:
_

_
a
0
= 1
a
x+y
= a
x
a
y
Proposizione Siano a, b R
+
, a ,= 1, r, s Q. Valgono le propriet`a:
(1) a
r
> 0 r Q
(2) (ab)
r
= a
r
b
r
(3) (a
r
)
s
= a
rs
(4) se a > 1
_

_
a
r
< 1 se r < 0
a
r
> 1 se r > 0
a
r
> a
s
se r > s (crescente)
(5) se a < 1
_

_
a
r
> 1 se r < 0
a
r
< 1 se r > 0
a
r
< a
s
se r > s (decrescente)
(6) se a < b
_

_
a
r
< b
r
se r > 0
a
r
> b
r
se r < 0
Ora completando la denizione di potenza agli esponenti reali si pu`o dimostrare rigorosa-
mente che la funzione esponenziale sopra denita e studiata per variabili razionali si estende
a tutti i numeri reali mantenendo le stesse propriet`a; in particolare vale il seguente:
Teorema Sia a > 0, a ,= 1; la funzione f(x) = a
x
si estende a tutto R e vale:
(1) dom(f) = R, Im(f) = (0, +)
(2) f(0) = 1, f(1) = a
(3) f(x +y) = f(x)f(y) x, y R
(4)
_

_
a > 1 f strettamente crescente
a < 1 f strettamente decrescente
Tutti i graci (vedi) delle funzioni a
x
passano per (0, 1), (1, a) e (1, 1/a).
Notiamo inne che una base particolarmente importante in matematica e nelle scienze in
generale `e il numero irrazionale e detto numero di Nepero che vale circa e 2.71828.
La funzione con base e `e detta semplicemente esponenziale e si indica spesso con
exp(x).
Poniamoci ora il problema di invertire le funzioni di tipo esponenziale.
Poiche esse sono sempre monotone esister`a certamente uninversa.
Il dominio naturale delle inverse sar`a formato dai soli numeri positivi che costituiscono
limmagine delle funzioni esponenziali.
Consideriamo allora a > 0, a ,= 1, y
0
> 0 e lequazione:
a
x
= y
0
Lequazione ha sempre una e una sola soluzione che chiameremo logaritmo in base a di y
0
:
x
0
:= log
a
(y
0
)
Poiche y
0
`e un generico reale positivo abbiamo denito una funzione, il logaritmo in base a
che ha come dominio i reali positivi (strettamente) e come immagine tutti i numeri reali:
dom(log
a
) = (0, +); Im(log
a
) = R
_

_
a
log
a
(y)
= y y (0, +)
log
a
(a
x
) = x x R
Ricordando anche le simmetrie e le propriet`a delle funzioni inverse si ottiene:
- il graco passa per i punti (1, 0), (a, 1) e (1/a, 1);
- per a > 1 il logaritmo `e strettamente crescente, `e negativo per 0 < x < 1 e positivo per
x > 1;
- per a < 1 il logaritmo `e strettamente decrescente, `e positivo per 0 < x < 1 e negativo per
x > 1.
Il logaritmo di base e prende il nome di logaritmo naturale e si indica solo con log o ln.
Proposizione Siano a, b, x, y R
+
, a, b ,= 1, R; vale:
(1) log
a
(xy) = log
a
(x) + log
a
(y)
(2) log
a
(
x
y
) = log
a
(x) log
a
(y)
(3) log
a
(x

) = log
a
(x)
(4) log
b
(x) =
log
a
(x)
log
a
(b)
; log
a
t (x) =
1
t
log
a
(x)
(5) log
a
(x) =
1
log
x
(a)
= log 1
a
(x)
Dimostrazione Ogni propriet`a segue da quelle analoga per lesponenziale:
(1) x = a
log
a
(x)
, y = a
log
a
(y)

xy = a
log
a
(x)
a
log
a
(y)
= a
log
a
(x)+log
a
(y)

log
a
(xy) = log
a
(x) + log
a
(y)
(2) scrivo x =
x
y
y
log
a
(x) = log
a
(
x
y
) +log
a
(y) segue(2)
(3) x

= (a
log
a
(x)
)

= a
log
a
(x)

log
a
(x

) = log
a
(x)
(4) x = b
log
b
(x)

log
a
(x) = log
a
(b
log
b
(x)
) = log
b
(x) log
a
(b)
in particolare se b = a
t
log
a
(b) = t
log
a
t (x) =
1
t
log
a
(x)
(5) scrivo a = x
log
x
(a)
1 = log
a
(a) = log
x
(a) log
a
(x)
se b = 1/a log
1/a
(x) =
log
a
(x)
log
a
(1/a)
= log
a
(x)
Le funzioni logaritmiche sono utili come scala per rappresentare gracamente funzioni che
crescono rapidamente, come gli esponenziali e le leggi a potenza.
In un graco in scala logaritmica ad ogni unit`a di misura dellasse delle ordinate cor-
risponde la moltiplicazione per un valore sso, ossia i valori delle ordinate sono il logaritmo
(in qualche base) della funzione.
In questo modo il graco di una funzione esponenziale `e una retta:
f(x) = ce
ax
=y = log(f(x)) = log(c) +ax
e ugualmente se nel graco ho una retta il fenomeno descritto `e di tipo esponenziale:
y = ax +b =f(x) = e
b
e
ax
Unaltra rappresentazione usata `e la doppia logaritmica o log-log in cui sia i valori
dellordinata che quelli dellascissa sono rappresentati in scala logaritmica.
In rappresentazione log-log le funzioni potenza diventano delle rette:
f(x) = c x
a
=log(f(x)) = log(c) +a log(x)
ma gli assi hanno come ascissa x

= log(x) e come ordinata y

= log(y) =
f(x) = c x
a
=y

= log(c) +ax

Viceversa una retta del graco log-log descrive un fenomeno a potenza:


y

= ax

+b =f(x) = e
ax

+b
= e
b
e
a log(x)
= e
b
x
a
Equazioni esponenziali e logaritmiche
Non esistono metodi: si usano le propriet`a per portarsi a equazioni semplici la cui soluzione
sia immediata o che siano studiabili gracamente.
(1) Eq. Esponenziale Fondamentale:
a
x
= k a > 0, a ,= 1, k R
k 0 = NO soluzioni
k > 0 = x = log
a
(k) unica
(2) Eq.: a
f(x)
= a
g(x)
Per la stretta monotonia ci si riporta alle soluzioni di f(x) = g(x).
(3) Eq.: a
f(x)
= b
g(x)
come prima:
b
g(x)
= a
g(x) log
a
(b)
= f(x) = log
a
(b)g(x)
(4) Eq.: f(a
x
) = 0 (dove f pu`o ad esempio essere un polinomio)
pongo a
x
= t;
risolvo f(t) = 0;
t
i
> 0 soluzione risolvo a
x
= t
i
(5) Eq. Logaritmica Fondamentale
log
a
(x) = b a > 0, a ,= 1, b R
sempre x = a
b
soluzione unica
(6) Eq.: log
x
(a) = b (base incognita)
x = a
1/b
direttamente o usando log
x
(a) =
1
log
a
(x)
(7) Eq.: log
a
(f(x)) = b
=f(x) = a
b
, (definita per f(x) > 0)
(8) Eq.: log
a
(f(x)) = log
a
(g(x))
=f(x) = g(x), per x : f(x) > 0 e g(x) > 0
(9) Eq.: f(log
a
(x)) = 0
pongo log
a
(x) = t;
risolvo f(t) = 0;
t R soluzione risolvo log
a
(x) = t
i
Qualche Disequazione: attenzione ai domini e alla monotonia.
(1) a
f(x)
> a
g(x)
, a > 0, a ,= 1 =
f(x) > g(x) se a > 1 (crescenti)
f(x) < g(x) se a < 1 (decrescenti)
(2) f(a
x
) > c
a
x
= t = f(t) > c
[t
1
, t
2
] : t
2
> 0 risolvo t
1
< a
x
< t
2
(3) log
a
(f(x)) > log
a
(g(x)) =
f(x) > g(x) se a > 1 (crescenti)
f(x) < g(x) se a < 1 (decrescenti)
purch e f(x) > 0 e g(x) > 0
2.3 Funzioni Trigonometriche
Seno e Coseno sono le due principali funzioni trigonometriche. Considerando un punto
generico P(x, y) della circonferenza unitaria e detto t il valore in radianti dellangolo che
la semiretta uscente dallorigine e passante per tale punto forma con lasse x, le funzioni
coseno e seno di t rappresentano rispettivamente lascissa e lordinata del punto P, ossia si
pu`o scrivere:
P(x, y) = P(cos(t), sin(t))
oppure con altra notazione:
x
P
= cos(t), y
P
= sin(t)
Dalla periodicit`a della denizione di angolo segue che le funzioni seno e coseno sono natu-
ralmente periodiche di periodo 2.
Propriet` a delle funzioni seno e coseno seguono direttamente dallanalisi della circonferenza
unitaria (dimostrazioni dirette):
Proposizione 2.1
la funzione f(t) := cos(t) ha le seguenti propriet`a:
- Dom(f) = R; Im(f) = [1, 1] ossia 1 f(t) 1 , t R;
- `e una funzione PARI, ossia vale cos(t) = cos(t);
- assume i seguenti valori fondamentali:
cos(0) = 1, cos(/2) = 0, cos() = 1, cos
_
3
2

_
= 0;
- `e POSITIVA in [0, /2) (3/2 , 2);
- `e NEGATIVA in (/2, 3/2 )
- `e CRESCENTE in (, 2); in t = ha il suo minimo assoluto;
- `e DECRESCENTE in (0, ); in t = 0 ha il suo massimo assoluto.
Proposizione 2.2
la funzione f(t) := sin(t) ha le seguenti propriet` a:
- Dom(f) = R; Im(f) = [1, 1] ossia 1 f(t) 1 , t R;
- `e una funzione DISPARI, ossia vale sin(t) = sin(t);
- assume i seguenti valori fondamentali:
sin(0) = 0, sin(/2) = 1, sin() = 0, sin
_
3
2

_
= 1;
- `e POSITIVA in [0, );
- `e NEGATIVA in (, 2)
- `e CRESCENTE in (0, /2) (3/2, 2); in t = 3/2 ha il suo minimo assoluto;
- `e DECRESCENTE in (/2, 3/2); in t = /2 ha il suo massimo assoluto.
Inoltre vale la RELAZIONE FONDAMENTALE tra le due funzioni:
(cos(t))
2
+ (sin(t))
2
= 1
che deriva immediatamente dal fatto che seno e coseno rappresentano ascissa e ordinata di
un punto P(x, y) che sta sulla circonferenza unitaria: x
2
+y
2
= 1.
La funzione tangente di un angolo t `e denita come il rapporto tra seno e coseno dellangolo:
tan(t) =
sin(t)
cos(t)
Poiche il coseno si annulla in tutti i punti /2 +k, si ha:
Dom(tan) =
_
t R[ t ,=

2
+k, k Z
_
man mano che ci si avvicina a tali punti la tangente tende a diventare innita (pi` u o meno
innito a seconda che seno e coseno abbiano segni concordi o opposti).
La tangente di un angolo t `e direttamente legata al coeciente angolare m di una retta r di
equazione y = mx +q formante un angolo t con lasse delle x; vale:
m = tan(t) = tan( xr)
Le altre propriet`a della tangente seguono dalla sua denizione e dalle rispettive propriet`a di
seno e coseno. Si ha:
Proposizione 2.3
la funzione f(t) := tan(t) ha le seguenti propriet`a:
- Im(f) = R ossia pu`o assumere ogni valore reale;
- `e una funzione DISPARI, ossia vale tan(t) = tan(t);
- `e PERIODICA di periodo ;
- si annulla in t = 0 (e per periodicit` a in tutti i multipli di );
- `e NEGATIVA in (/2, 0) e POSITIVA in (0, /2);
- `e SEMPRE CRESCENTE per cui non ha massimi n`e minimi.
FUNZIONI TRIGONOMETRICHE INVERSE
le funzioni seno e coseno sono funzioni periodiche e assumono innite volte ogni valore della
loro immagine per cui non posso certo pensare di trovare delle inverse che valgano per tutto
il loro dominio. Ricordo che la condizione per avere uninversa `e la biiettivit`a e in particolare
questa la potr`o avere per funzioni monotone.
Per le funzioni trigonometriche seno e coseno non `e dunque suciente neppure restringersi
ad un intervallo fondamentale di lunghezze 2, poiche in tale intervallo sono in parte cres-
centi in parte decrescenti ed assumono ogni valore due volte (tranne il max e il min).
Lintervallo pi` u grande in cui posso pensare di invertire una di queste funzioni sar`a dunque
di lunghezza .
Pensiamo prima alla funzione seno. Considerando che `e una funzione dispari mi potr`a essere
utile restringermi ad un intervallo simmetrico rispetto allo zero. Tale intervallo sar`a allora
[/2, /2] in cui la funzione seno `e sempre crescente e assume tutti i valori da 1 a 1, cio`e
lintera sua immagine.
La funzione inversa si chiama arcoseno ed ha le seguenti caratteristiche:
- Dom(f) = [1, 1]; Im(f) = [/2, /2];
- arcsin(sin(t)) = t, t [/2, /2], sin(arcsin(x)) = x, x [1, 1];
- `e una funzione DISPARI, ossia vale arcsin(x) = arcsin(x);
- `e sempre CRESCENTE (ha minimo e massimo assoluti agli estremi perche il dominio `e
un intervallo chiuso);
- assume i seguenti valori fondamentali:
arcsin(1) = /2, arcsin(0) = 0, arcsin(1) = /2,
arcsin(
1
2
) =

6
, arcsin(

2
2
) =

4
, arcsin(

3
2
) =

3
- `e NEGATIVA in [1, 0)
- `e POSITIVA in (0, 1].
Per quel che riguarda il coseno, essendo questa funzione pari, non posso trovare intervalli
simmetrici rispetto allo zero in cui sia invertibile (ogni valore viene assunto due volte in un
intervallo simmetrico). Si prende allora lintervallo [0, ] in cui la funzione `e sempre decres-
cente e assume tutti i valori da 1 a 1.
La funzione inversa si chiama arcocoseno ed ha le seguenti caratteristiche:
- Dom(f) = [1, 1]; Im(f) = [0, ];
- arccos(cos(t)) = t, t [0, ], cos(srccos(x)) = x, x [1, 1];
- `e sempre DECRESCENTE (ha minimo e massimo assoluti agli estremi perche il dominio
`e un intervallo chiuso);
- assume i seguenti valori fondamentali:
arccos(1) = , arccos(0) = /2, arccos(1) = 0,
arccos(
1
2
) =

3
, arccos(

2
2
) =

4
, arccos(

3
2
) =

6
arccos(
1
2
) =

3
=
2
3
, arccos(

2
2
) =
3
4
, arccos(

3
2
) =
5
6
- `e SEMPRE POSITIVA .
Consideriamo inne la tangente: in questo caso restringendoci allintervallo fondamentale
simmetrico rispetto a zero: (/2, /2) si ha che la tangente `e sempre monotona crescente,
e dunque invertibile, e assume tutti i valori reali.
La funzione inversa si chiama arcotangente ed ha le seguenti caratteristiche:
- Dom(f) = R; Im(f) = (/2, /2) (esempio di funzione biietiva da tutto linsieme dei
numeri reali ad un intervallo);
- arctan(tan(t)) = t, t (/2, /2), tan(arctan(x)) = x, x R;
- `e una funzione DISPARI, ossia vale arctan(x) = arctan(x);
- `e sempre CRESCENTE e non ha massimi o minimi in quanto `e denita su intervallo
illimitato;
- assume i seguenti valori fondamentali:
arctan(1) = /4, arctan(0) = 0
arctan(

3
3
) =

6
, arctan(

3) =

3
- `e NEGATIVA in [, 0)
- `e POSITIVA in (0, +].
Esercizio Studiare la funzione composta: h(x) := sin(arctan(x)).
La funzione h `e composta di g := sin e f := arctan.
Poiche il seno `e denito su tutto R (e quindi non mi da problemi) il dominio `e quello della
arcotangente, ossia dom(h) = R.
Per quel che riguarda limmagine si ha che Im(arctan) = (/2, /2), perci`o limmagine
della funzione composta `e quella della funzione seno ristretta a questo intervallo, ossia:
Im(h) = Im
sin
(/2, /2) = (1, 1)
Notiamo che nellintervallo (/2, /2) la funzione seno `e sempre crescente, perci`o anche h
`e crescente in quanto composizione di due funzioni crescenti.
Consideriamo ora la gura 29. Preso un generico x (/2, /2) e detto langolo che si
ottiene nella costruzione della gura si ha:
x = tan() = arctan(x)
[OR[ =
_
1 +x
2
, [PQ[ = sin()
[OP[
[OR[
=
[PQ[
[AR[

1

1 +x
2
=
sin()
x

sin() = sin(arctan(x)) =
x

1 +x
2
Inoltre h `e dispari in quanto composta di due funzioni dispari.
Equazioni e Disequazioni Trigonometriche
Le equazioni FONDAMENTALI sono ovviamente sin(x) = c oppure cos(x) = c, ossia
lintersezione del graco della funzione con una funzione costante, ossia con una retta par-
allela allasse delle x. Si ha:
se [c[ > 1 nessuna soluzione
se [c[ 1 infinite soluzioni
Consideriamo allora un intervallo fondamentale, ad esempio I = [0, 2) e studiamo le
soluzioni in questo intervallo; `e evidente che le innite soluzioni si otterranno poi utiliz-
zando la periodicit`a delle funzioni trigonometriche. Si ha:
- cos(x) = c ammette per [c[ < 1 sempre due soluzioni simmetriche (come angolo) rispetto
allasse x:
_

1
(0, )

2
= 2
1
(=
1
) (, 2)
per c = 1 ammette una sola soluzione, rispettivamente 0 e .
- sin(x) = c ammette per [c[ < 1 sempre due soluzioni simmetriche (come angolo) rispetto
allasse y:
_

1
(0, /2) (3/2, 2) (ossia (/2, /2))

2
=
1
(/2, 3/2)
per c = 1 ammette una sola soluzione, rispettivamente /2 e 3/2.
Per ottenere tutte le altre soluzioni baster`a aggiungere ad ognuna delle soluzioni nellintervallo
fondamentale tutti i multipli interi di 2; dunque per [c[ < 1 entrambe le equazioni avranno
come soluzione una doppia famiglia innita di valori del tipo:
_

1
+ 2k, k Z

2
+ 2k, k Z
Lequazione fondamentale per la tangente tan(x) = c ha ovviamente caratteristiche com-
pletamente dierenti; avr`a sempre per periodicit`a innite soluzioni, ma dovremo riferirci ad
un intervallo fondamentale del tipo (

2
,

2
) e troveremo al suo interno sempre una e una
sola soluzione; ricordando inoltre che la periodicit`a della tangente `e , la famiglia di innite
soluzioni sar`a del tipo:
+k, k Z
Pu`o essere utile ricordare che posso migliorare le mie stime sulla soluzione tenendo pre-
sente intanto che per c > 0 la soluzione star`a in (0,

2
) mentre per c < 0 star`a in (

2
, 0);
un ulteriore miglioramento lo posso fare tenendo presente che 0 < c < 1 (0,

4
) e di
conseguenza c > 1 (

4
,

2
), e simmetricamente per c negativi.
La classe di equazioni per cui posso ottenere sempre una soluzione in maniera algoritmica
comprende le equazioni lineari in seno e coseno e quelle quadratiche omogenee, tra le quali
poso ammettere anche quelle con termine di grado zero perche si trasforma nella somma dei
quadrati. Questi due tipi di equazioni devono essere noti.
Per equazioni pi` u generali (anche solo quella di II grado completa) o per sistemi di equazioni
non esiste un metodo valido in generale; si possono per`o dare delle indicazioni che potranno
essere di aiuto, sempre tenendo presente che ogni caso sar`a da analizzare separatamente
usando non solo formule mnemoniche, ma soprattutto una certa logica e un po di intuito. I
due strumenti pi` u utilizzati saranno comunque sempre il metodo della combinazione lineare
e quello della sostituzione.
- Cercar di riportarsi ad equazioni contenenti solo una funzione o al pi` u solo seni e coseni
utilizzando le relazioni fondamentali (soprattutto 1 = ...).
- Riportarsi il pi` u possibile ad uno stesso angolo (formule di duplicazione, bisezione, etc.) o
pi` u in generale ad uno stesso tipo di argomento, che pu`o essere non un semplice angolo ma
ad esempio una funzione polinomiale dellangolo.
- Fattorizzare tutte le volte che si pu`o e eventualmente isolare i casi in cui si pu`o fattorizzare
e trattare poi il resto.
- Evitare i radicali: la periodicit`a delle funzioni trigonometriche porta a risultati anche neg-
ativi e questo pu`o dare problemi; se non `e possibile evitarli analizzare a posteriori il risultato
con molta attenzione.
- Attenzione a dividere: non sempre sono evidenti i punti in cui si annulla il denominatore.
- Per le disequazioni riportarsi sempre allo studio dellequazione associata nellintervallo fon-
damentale. Poiche anche seno, coseno e tangente sono funzioni continue gli intervalli in cui
assumono segno positivo o negativo sono sempre tra loro separati da radici dellequazione.
Una volta trovati gli intervalli soluzione della disequazione allinterno dellintervallo fonda-
mentale ci si riporta allintera retta reale per periodicit`a; la soluzione sar`a in genrale una
unione innita (numerabile) di intervalli disgiunti.
Inne `e sempre molto utile cercare di farsi unidea graca della situazione; ad esempio la
studio di unequazione tra una funzione trigonometrica ed una polinomiale `e sempre meglio
spezzarla nelle due parti e analizzarla anche sul graco.
Trasformazioni del Piano e Graci
Legge che associa ad ogni punto P(x, y) del piano un nuovo punto P

(X, Y ) le cui coordinate


sono legate a quelle di partenza da una coppia di funzioni (di due variabili):
_

_
X = f
1
(x, y)
Y = f
2
(x, y)
Esempi
Traslazioni:
_

_
X = x +p
Y = y
_

_
X = x
Y = y +q
_

_
X = x +p
Y = y +q
Dilatazioni:
_

_
X = mx
Y = y
_

_
X = x
Y = ny
_

_
X = mx
Y = ny
m, n > 0
Simmetrie rispetto agli assi e allorigine:
_

_
X = x
Y = y
_

_
X = x
Y = y
_

_
X = x
Y = y
Simmetrie rispetto alle bisettrici:
_

_
X = y
Y = x
_

_
X = y
Y = x
Anit`a: dilatazioni con coecienti m, n anche negativi; si possono pensare come compo-
sizione delle dilatazioni di [m[, [n[ e delle simmetrie che cambiano il segno.
Le trasformazioni elencate sono tutte lineari e portano sistemi ortogonali in sistemi ortogo-
nali; si possono ovviamente considerare trasformazioni pi` u complesse, ma quelle lineari sono
le pi` u importanti e utili.
Esempio: costruzione della parabola
Partendo dalla parabola centrata, la cui costruzione `e di tipo unicamente geometrico (luogo
di punti equidistanti da un punto e da una retta dati), vediamo che una coppia di traslazioni
ed una anit`a mi da una qualunque parabola e che viceversa ogni polinomio di II grado si
riporta con una coppia di traslazione ed una anit`a al monomio fondamentale y = x
2
.
y = x
2
affinit` a
Y

n
=
_
X

m
_
2
= Y

=
n
m
2
(X

)
2

traslazioni Y =
n
m
2
(X p)
2
+q
Viceversa partendo da un polinomio qualunque di II grado e completando il quadrato:
Y = aX
2
+bX +c = a
_
X
2
+
b
a
X +
b
2
4a
2
_

b
2
4a
2
+c =
= a
_
X +
b
2a
_
2
+c
b
2
4a
si vede che questa espressione non `e altro che la fondamentale y = x
2
dopo le trasformazioni
di coecienti:
n
m
2
= a, p =
b
2a
, q = c
b
2
4a
=
4ac b
2
4a
=

4a
In generale dato il graco di una qualunque funzione y = f(x) si ottengono i graci:
traslazione
_

_
X = x +p
Y = y
Y = f(X p)
traslazione
_

_
X = x
Y = y +q
Y = f(X) +q
simmetria
_

_
X = x
Y = y
Y = f(X)
simmetria
_

_
X = x
Y = y
Y = f(x)
dilatazione
_

_
X = x
Y = ny
Y = nf(X)
dilatazione
_

_
X = mx
Y = y
Y = f(X/m)
Componendo le varie trasformazioni ottengo il graco di:
Y = a f(bx +c) +d, a, b, c, d R
Trasformazioni di Funzioni Trigonometriche
Funzioni trigonometriche fenomeni naturali di tipo ondulatorio o periodico (ad esempio
le onde sonore e elettromagnetiche, fenomeni ciclici legati alla terra o alle creature viventi).
Lavoriamo con la funzione seno, ma gli stessi discorsi si posssono fare per il coseno.
Consideriamo f(t) = nsin
_
1
m
(t )
_
, con n, m numeri reali positivi, R.
I tre valori scelti per n, m e sono legati alle grandezze fondamentali che caratterizzano
unonda (in gura 30 il confronto tra le funzioni sin(t) e 5 sin(1/3 (t 2)) ):
- FREQUENZA (inverso del periodo, altezza del suono);
- AMPIEZZA (intesit`a, quantit`a scalare);
- FASE (o meglio dierenza di fase).
Il valore n `e quello che caratterizza lampiezza dellonda: infatti si vede che esso ha leetto
di dilatare (restringere per n < 1) il range di valori che la funzione pu`o assumere ed `e legato
naturalmente, pensando allonda sonora, allintensit`a del suono.
Il valore indica quanto due onde siano sfalsate fra loro, e a livello graco si traduce in una
traslazione lungo lasse delle x.
Un discorso pi` u completo va fatto per la FREQUENZA, che viene denita come il numero
di ripetizioni di un valore (e quindi di tutta londa) in ununit`a temporale, e che quindi
coincide con linverso del PERIODO.
Vediamo meglio come si modica il periodo in una funzione g(t) = sin(t).
Dato un numero reale t, studiamo linsieme dei reali x per i quali la g assume lo stesso valore
g(t). Deve essere:
g(x) = sin(x) = sin(t) = g(t)
ma per la periodicit`a del seno questo `e vero purch`e :
x = t +k 2, k Z
x = t +k
2

k Z
= k Z : k
2

` e un periodo =
= periodo minimo :
2

Dunque una dilatazione della variabile t, che pensando ad unonda mi rappresenta la naturale
scala temporale, mi porta ad una uguale modica della frequenza e ad una modica inversa
del PERIODO della funzione risultante.
Le funzioni trigonometriche sono naturalmente legate ai moti circolari amonico in cui langolo
varia come una funzione lineare del tempo. In questo senso in una funzione di tipo cos(t)
che descrive questi fenomeni, detto T = 2/ il periodo, il valore prende il nome di fre-
quenza angolare o pulsazione.
Sovrapposizione di due o pi` u onde (g 12, 00, 01).
Consideriamo due funzioni f(x) = cos(x), g(x) = cos(x).
- siano e commensurabili, ossia m, n N : /n = /m; allora una combinazione
lineare di f e g `e periodica di periodo
n 2

=
m 2

:
h(x) := f(x) +g(x) =
=h
_
x +
n 2

_
= f
_
x +
n 2

_
+g
_
x +
m 2

_
= f(x) +g(x)
- se e non sono commensurabili non pu`o esistere un multiplo intero comune del periodo,
quindi la funzione risultante dalla loro combinazione lineare non `e periodica.
Discorso simile si pu`o fare per il prodotto di due funzioni periodiche, ma con pi` u attenzione:
se esistono simmetrie interne il perido potrebbe essere pi` u breve, si pensi alla tangente.
Accenniamo ora alla propagazione delle onde. Consideriamo unonda sonora che pu`o
essere descritta ad un tempo ssato t = 0 da una variazione della pressione in funzione della
posizione:
P(x) = Asin(kx), di periodo spaziale =
2
k
Il periodo spaziale `e anche detto lunghezza donda. Se londa avanza a velocit`a v in un
tempo t londa trasla in avanti di uno spazio vt e la sua espressione analitica sar`a:
P(x, t) = Asin(k(x vt)) = Asin(kx kvt)
In ogni punto x ssato la funzione che specica landamento della pressione in ragione sola-
mente del tempo `e allora periodica di periodo: T = 2/kv
Viceversa una generica funzione:
P(x, t) = Asin(kx t)
descrive unonda di ampiezza A, di lunghezza donda = 2/k, che si muove con velocit`a
/k ed ha periodo di oscillazione T = 2/ .
La generica funzione:
P(x, t) = Asin(kx +t)
descrive unonda con le stesse caratteristiche che si propaga in direzione inversa.
Se le particelle si muovono come nelle onde sonore nella direzione di propagazione, londa si
dice longitudinale; se invece, come nelle onde dacqua, le particelle si muovono in verticale
perpendicolarmente alla direzione di propagazione, londa si dice trasversale.
Consideriamo ora una corda di strumento musicale, in cui unonda raggiunti gli estremi
torna indietro, per cui leetto `e dato dalla somma di due onde che viaggiano in direzione
opposta: unonda stazionaria:
Asin(kx t) +Asin(kx +t) = 2Asin(kx) cos(t)
Ogni punto oscilla con pulsazione , ma lampiezza `e diversa in ogni punto: 2Asin(kx).
Inoltre la lunghezza L della corda pone dei vincoli su k: agli estremi ssi loscillazione deve
essere nulla per cui:
sin(kL) = 0 = k =
n
L
, n N
ma = kv = nv/L =
frequenza =

2
=
nv
2L
ossia la frequenza dipende dalla lunghezza e dal numero dellonda.
La prima onda stazionaria di frequenza v/2L si dice frequenza fondamentale, tutte le
successive si dicono armoniche e hanno frequenze che sono multipli interi della fondamen-
tale.
Non solo il suono, ma ogni funzione f(t) periodica di pulsazione si pu`o approssimare bene
quanto si vuole con la somma di onde sinusoidali di pulsazione multipla intera di della
forma:
f(t) = a
0
+a
1
sin(t) +a
2
sin(2t) +a
3
sin(3t) +. . .
+b
1
cos(t) +
2
cos(t) +. . .
La determinazione dei coecienti dellapprossimazione si dice analisi di Fourier.
Coordinate Polari Trasformazione non lineare nel piano.
Si sceglie un polo O e una semiretta orientata uscente da O.
Ogni punto P(x, y) ,= O si pu`o descrivere attraverso una coppia di numeri che rappresentano
la norma del vettore OP e langolo che tale vettore forma con la semiretta data:
P(, ), R
+
, [0, 2)
_

_
x = cos()
y = sin()
trasformazione diretta
_

_
=
_
x
2
+y
2
= arctan(y/x)
NUMERI COMPLESSI
Si introducono formalmente ammettendo che esista un numero

1 e che si possano esten-
dere ad esso le normali operazioni e le potenze. In particolare per ogni numero a > 0 deve
valere:

a =

a.
Si introduce allora lunit`a immaginaria: i :=

1.
Si denisce allora il campo dei numeri complessi:
( := z = x +iy : x, y R
Il termine iy si chiama parte immaginaria e se x = 0 il numero `e detto immaginario
puro. Se y = 0 ritrovo un numero reale.
Loperazione di somma si eettua indipendentemente sulle parti reali e immaginarie:
z
1
+z
2
= (x
1
+iy
1
) + (x
2
+iy
2
) = (x
1
+x
2
) +i(y
1
+y
2
)
Il prodotto `e un po pi` u complesso perch`e deve tener conto del fatto che i
1
= 1:
z
1
z
2
= (x
1
+iy
1
)(x
2
+iy
2
) = x
1
x
2
+i(x
1
y
2
+x
2
y
1
) +i
2
y
1
y
2
=
= (x
1
x
2
y
1
y
2
) +i(x
1
y
2
+x
2
y
1
)
Dato z = x +iy chiamiamo complesso coniugato di z il numero z := x iy. Poiche:
z z = x
2
+y
2
R
2
si pu`o denire modulo di un numero complesso z il numero reale:
:= [z[ :=

z z =
_
x
2
+y
2
Un numero complesso si pu`o rappresentare sul piano cartesiano come una coppia di numeri
reali, in cui lasse delle ordinate rappresenta i numeri immaginari.
In questo senso il modulo del numero complesso coincide con la norma del vettore che lo
rappresenta.
Inoltre diventa naturale usare le coordinate polari per pensare un punto di modulo 1 (cir-
conferenza unitaria nel piano complesso) come il numero: z = cos() +i sin() e un generico
numero complesso:
z = (cos() +i sin()) (forma trigonometrica)
Usando iterativamente le formule trigonometriche si pu`o dimostrare che vale la Formula di
De Moivre:
z
n
=
n
(cos(n) +i sin(n)), n N
Non `e dicile allora dimostrare che per ogni numero complesso esistono esattamente n radici
n-esime e precisamente, dato w = (cos() +i sin()):
z
k
=
k
(cos(
k
) +i sin(
k
)),
k
=
1/n
,
k
=
+ 2k
n
In particolare le radici n-esime dellunit`a sono numeri di modulo 1 equispaziati sul cerchio
unitario.
Esponenziale Complesso si denisce la funzione:
e
x+iy
:= e
x
(cos(y) +i sin(y))
Questa denizione (che estende quella sui reali) implica in particolare che lesponenziale di
un immaginario puro `e un numero complesso di modulo 1: e
iy
= cos(y) +i sin(y).
Ottengo cos` la rappresentazione esponenziale dei numeri complessi:
se z = x +iy ,= 0 = z = e
i
, = [z[
Valgono inne le identit`a:
sin(x) =
e
ix
e
ix
2
; cos(x) =
e
ix
+e
ix
2
Denendo in altra maniera lesponenziale complesso queste possono essere assunte come
denizioni di seno e coseno. Si noti lanalogia con le funzioni iperboliche.
Questa forma delle funzioni trigonometriche `e utile per calcolare le varie formule, semplice-
mente basandosi sulle propriet`a dellesponenziale.
Tutta la costruzione eettuata e in particolare la formula delle radici n-esime permette
di giungere al risultato che nei numeri complessi ogni polinomio `e fattorizzabile in
prodotto di polinomi di I grado e che perci`o ogni polinomio di grado n ammette esat-
tamente n radici.
Tuttavia il passaggio da numeri reali a numeri complessi comporta una perdita rilevante (a
dierenza delle precedenti estensioni dei numeri): non vi `e alcuna maniera di ordinare i
numeri complessi compatibilmente con le operazioni.
Applet sui numeri complessi:
www.ies.co.jp/math/java/
www.math.ruu.nl/people/beukers/voorlichting/CompVis.htm
3 Limiti
3.1 Denizioni
Comportamento di una funzione di tipo asintotico, ossia quando mi avvicino indenita-
mente ad un punto o mi allontano indenitamente (limite allinnito): mi disinteresso di
cosa faccia la funzione nel punto considerato, voglio solo sapere come si comporta in un
intorno del punto man mano che mi avvicino ad esso.
Tre tipi di limiti, due signicativi, uno banale, ma importante per la denizione operativa
che segue.
- limite allinnito: non esiste un valore f() per cui questo limite da nuove informazioni
sul comportamento per valori grandi (o lontani nel tempo);
- limite verso un punto nito; se in quel punto la funzione non`e denita ho nuove infor-
mazioni, se in quel punto `e denita pu`o succedere:
- il valore nel punto `e uguale al limite: banale, ma denizione di funzione continua;
- il valore nel punto `e diverso dal limite: informazione nuova.
Denizione
Si dice che un numero reale l `e limite della funzione f(x) per x tendente a c o anche
che la funzione f(x) tende a l quando x tende a c quando:
> 0, un intorno sferico (o un intorno completo) H c tale che:
[f(x) l[ < , x H, x ,= c
ossia l < f(x) < l +, x H, x ,= c
Si indicher`a che l `e il limite con le notazioni:
lim
x>c
f(x) = l
f(x)
x>c
l
Si noti che lesistenza del limite non dipende in alcun modo dal valore ne dallesistenza della
funzione nel punto c; in particolare due funzioni f(x) e g(x) che siano uguali ovunque tranne
che in un punto c hanno lo stesso limite per x > c.
Denizione Si dice che il numero reale l `e limite destro (sinistro) di f(x) quando x > c
se > 0, un intorno destro (sinistro) H di c tale che:
[f(x) l[ < , x H
Si indicher`a che l `e il limite destro (sinistro) con le notazioni:
lim
x>c
+
f(x) = l, lim
x>c

f(x) = l
Si ha che una funzione f(x) ammette limite in un punto c se e solo se esistono i limiti destro
e sinistro e i loro valori sono uguali.
Esempio
Sia f(x) =
[x[
x
denita su R 0; esiste il limite per x > 0?
in ogni intorno destro dello 0 si ha f(x) = 1 lim
x0
f(x) = 1;
in ogni intorno sinistro dello 0 si ha f(x) = 1 lim
x0
f(x) = 1.
Quindi ho i limiti destro e sinistro ma poiche il loro valore `e dierente non ho il limite.
Denizione
(1) Si dice che il limite di una funzione `e innito:
lim
xc
f(x) =
quando M grande a piacere H intorno completo di c tale che:
[f(x)[ > M, x H
Brutta denizione!
(2) Si dice che il limite di una funzione `e + innito:
lim
xc
f(x) = +
quando M grande a piacere H intorno completo di c tale che:
f(x) > M, x H
(3) Si dice che il limite di una funzione `e innito:
lim
xc
f(x) =
quando M grande a piacere H intorno completo di c tale che:
f(x) < M, x H
Le stesse denizioni valgono per i limiti destro e sinistro.
Se una funzione ha limite innito si dice che `e divergente.
Secondo la I denizione il limite potrebbe essere se i limiti destro e sinistro sono di
segni opposti: in questo caso `e meglio parlare di non esistenza del limite e pi` u generica-
mente di comportamento asintotico innito.
Nota agli esercizi: se i due limiti destro e sinistro sono inniti di segni opposti in genere
diremo che non esiste il limite; poich`e a volte `e comunque interessante sapere che il compor-
tamento `e innito, se in un esercizio si trovasse questo risultato non scartatelo a priori.
Denizione Si dice che una funzione f(x) ha limite il numero reale l per x tendente a +
o a se > 0, N > 0 grande a piacere tale che, rispettivamente:
[f(x) l[ < , x > N; ( lim
x+
= l)
[f(x) l[ < , x < N; ( lim
x
= l)
Notiamo che le semirette x > N e x < N sono intorni di .
Anche i limiti per x possono essere , secondo la denizione precedente.
Denizione Sia f(x) una funzione denita su D R e sia c un punto di accumulazione
per linsieme D; allora si dice che il numero reale l `e il limite di f(x) quando x tende a c se:
> 0, un intorno sferico H di c tale che:
[f(x) l[ < , x H D, x ,= c
Ho il limite anche quando il dominio di una funzione `e un sottinsieme che non contiene
intervalli, purche sia innito: infatti un tale sottinsieme dei reali ha sempre un punto di
accumulazione reale se `e limitato, e ammette pi` u o meno innito (o entrambi) come punti
di accumulazione se non `e limitato.
Limite di successioni: limite per n +:
Denizione Si dice che la successione a
n
ha per limite il numero reale l per n +, se:
> 0 p N : [a
n
l[ < , n > p; ( lim
n+
a
n
= l)
Si dice che la successione a
n
ha per limite pi` u o meno innito se:
M > 0, p N : a
n
> M, n > p; ( lim
n+
a
n
= +)
a
n
< M, n > p; ( lim
n+
a
n
= )
3.2 Teoremi fondamentali
Teorema dellunicit`a del limite Se una funzione f(x) ammette limite per x tendente a
c, tale limite `e unico.
Dimostrazione Per assurdo si supponga che valgano contemporaneamente:
lim
xc
= l; lim
xc
= m
Sia l > m e poniamo =
l m
2
. Per la denizione di limite applicata sia ad l che ad m
valgono le disuguaglianze:
l < f(x) < l + in H intorno di c
m < f(x) < m+ in K intorno di c
Allora nellintorno U := H K del punto c vale anche:
l < f(x) < m+
l < m+
>
l m
2
Assurdo perche contro lipotesi =
l m
2
. Notiamo che la contraddizione nasce dallaver
supposto che esistano due limiti distinti e che quindi si possa scegliere come positivo la
loro semidierenza.
Teorea della permanenza del segno Se f(x)
xc
l ,= 0 allora esiste un intorno non vuoto
H del punto c in cui vale:
sgn(f(x)) = sgn(l), x H, x ,= c
Dimostrazione Poiche il limite l `e non nullo vale in particolare [l[ > 0; usiamo allora la
denizione di limite prendendo come proprio il valore [l[. Si ha che esiste un intorno non
vuoto H del punto c nel quale vale:
[f(x) l[ < l,
l [l[ < f(x) < l +[l[

_
se l > 0 f(x) > l [l[ = 0
se l < 0 f(x) < l +[l[ = 0
Il teorema e la dimostrazione rimangono invariati se il limite `e .
Teorema del confronto Siano f(x), g(x) e h(x) tra funzioni denite sullo stesso intervallo
H eccettuato al pi` u il punto interno c e supponiamo che:
f(x) h(x) g(x), x H
lim
xc
f(x) = lim
xc
g(x) := l
Allora vale anche:
lim
xc
h(x) = l
Dimostrazione Uso la denizione di limite; > 0 esistono due intorni H e K del punto
c in cui vale, rispettivamente:
l < f(x) < l + x H, x ,= c
l < g(x) < l + x K, x ,= c
Allora nellintorno non vuoto del punto c: U = H K vale:
l < f(x) h(x) g(x) < l + x U, x ,= c
l < h(x) < l + x U, x ,= c
lim
xc
h(x) = l
Operazioni sui limiti
Nel seguito porremo: lim
xc
f(x) = l e lim
xc
g(x) = m; eventuali valori particolari o inniti
saranno indicati di volta in volta. Non faremo dimostrazioni (Zwirner).
(1) LIMITE DELLA SOMMA = SOMMA DEI LIMITI
lim
xc
[f(x) +g(x)] = l +m
Se l = + o l = lim
xc
[f(x) +g(x)] = l.
Se entrambi inniti con ugual segno l = m = lim
xc
[f(x) +g(x)] = l.
Se inniti di segno opposto `e una forma indeterminata: metodi dierenti.
(2) LIMITE DEL VALORE ASSOLUTO DI f = VALORE ASSOLUTO DEL LIMITE
se lim
xc
f(x) = l lim
xc
[f(x)[ = [l[
(3) LIMITE DEL PRODOTTO = PRODOTTO DEI LIMITI
lim
xc
[f(x) g(x)] = l m
Se l ,= 0 e m = allora:
lim
xc
[f(x) g(x)] = sgn(l) sgn(m)
Se sono entrambi inniti il prodotto ha limite innito con segno il prodotto dei due segni.
Se l = 0, m = il limite del prodotto `e unaltra forma indeterminata.
(4) LIMITE DEL RAPPORTO = RAPPORTO DEI LIMITI
se m ,= 0 lim
xc
f(x)
g(x)
=
l
m
se l = , m ,= 0 prodotto di l e 1/m
se m = lim
xc
f(x)
g(x)
= 0
se m = 0e g(x) ,= 0 in un intorno di c lim
xc
1
g(x)
=
Il limite destro e sinistro potrebbero essere dierenti: bisogna studiare il segno della funzione
g(x) intorno al punto c verso il quale si fa il limite.
Allo stesso modo per m = 0, l ,= 0, lim
xc
f(x)
g(x)
= in cui bisogna studiare il segno di g(x)
in un intorno e poi moltiplicarlo per il segno di f(x) che in un intorno di c non varia (teor.
permanenza del segno).
Inne se l = m = 0 o l = m = il limite del rapporto `e una forma indeterminata.
Le forme indeterminate che abbiamo incontrato con le operazioni elementari sono perci`o le
seguenti:
(+) + (); (0) ();
(0)
(0)
;
()
()
Teorema LIMITE DI FUNZIONI COMPOSTE
Siano f e g due funzioni tali che Im(g) Dom(f) cos` da poter fare la funzione composta
f g; supponiamo che valga:
lim
xc
g(x) = l
lim
tl
f(t) = k
Allora si pu`o fare il limite della funzione composta e vale:
lim
xc
f(g(x)) = lim
tl
= k
Esempio: sia f(t) = sin(t) e g(x) = 1/x; uso il risultato su funzioni composte per calcolare:
lim
x+
sin
_
1
x
_
Considerando che lim
x+
1
x
=, si ottiene:
lim
x+
sin
_
1
x
_
= lim
t0
sin(t) = 0
Teorema Se f `e monotona a sinistra (a destra) di un punto c allora esiste il limite di f(x)
per x tendente a c da sinistra (da destra). In particolare sia f denita su un intervallo (a, b)
e c (a, b); vale:
(1) f crescente
_

_
lim
xc

f(x) = sup
(a,c)
f
lim
xc
+
f(x) = inf
(c,b)
f
(2) f decrescente
_

_
lim
xc

f(x) = inf
(a,c)
f
lim
xc
+
f(x) = sup
(c,b)
f
3.3 Funzioni Continue
Denizione Una funzione f(x) denita su un interallo (a, b) si dice CONTINUA in un
punto c (a, b) se
lim
xc
f(x) = f(c)
La denizione si estende in modo naturale al caso in cui c sia un punto di accumulazione.
Diremo inoltre che f `e continua in c se c `e un punto isolato del dominio di f.
Denizione Una funzione f(x) denita su un interallo (a, b) si dice CONTINUA a DESTRA
o a SINISTRA in un punto c (a, b) se
lim
xc
+
f(x) = f(c); o lim
xc

f(x) = f(c)
Ricordando lanaloga propriet`a per i limiti si ha che f `e continua in un punto interno c se e
solo se `e continua a destra e a sinistra di tale punto.
Denizione Diremo che una funzione f su A sottinsieme del suo dominio di denizione se
`e continua in ogni punto di A. Diremo semplicemente che f `e continua se lo `e per tutti i
punti del suo dominio di denizione.
Notiamo che la continuit`a in un punto implica in particolare che il limite verso quel punto
`e nito. Inoltre per le funzioni continue valgono tutti le propriet`a che valgono per i limiti,in
particolare se f e g sono continue lo sono anche la loro SOMMA, il loro PRODOTTO e il
loro QUOZIENTE (purche non si annulli il denominatore). Vale inoltre:
Teorema Se lim
xc
g(x) = l R (nito!) e f continua in l allora:
lim
xc
f(g(x)) = f(l) = f
_
lim
xc
g(x)
_
Teorema Siano f e g due funzioni tali che Im(g) Dom(f) cos` da poter fare la funzione
composta f g. Allora se sia g che f sono funzioni continue anche la funzione composta `e
continua.
Teorema Se f(x) `e continua e iniettiva su un INTERVALLO, allora linversa `e continua.
Se dunque ho una classe di funzioni note che sono continue per tali funzioni il calcolo dei
limiti si riduce al calcolo del valore della funzione nel punto richiesto.
Geometricamente se interseco una funzione continua con una generica retta orizzontale com-
presa tra due qualunque valori f(a) e f(b) dellimmagine sono sicuro di trovare almeno
unintersezione con il graco della f.
Teorema (permanenza del segno) Se f `e continua in c e f(c) ,= 0 allora esiste un intorno
H di c in cui sgn(f(x)) = sgn(f(c)), x H.
Teorema Se f `e continua in un intervallo chiuso [a, b] e assume valori opposti agli estremi
f(a) f(b) < 0, allora esiste almeno un punto interno in cui f si annulla.
Teorema Se f `e continua su un intervallo aperto (a, b) (eventualmente illimitato), allora
assume tutti i valori compresi tra inf(f) e sup(f).
Teorema Se f `e continua su un intervallo chiuso [a, b] allora:
(1) f `e limitata in [a, b];
(2) f ammette massimo e minimo;
(3) f assume tutti i valori compresi tra il minimo e il massimo.
Presentiamo adesso una tabella delle principali funzioni continue e di alcuni limiti fonda-
mentali. Rimandiamo per le dimostrazioni al libro di testo (Zwirner).
(1) Le funzioni COSTANTE f(x) = k R sono continue.
(2) La funzione identit`a f(x) = x `e continua.
(3) Per somme e prodotti delle precedenti segue che ogni POLINOMIO `e continuo.
(4) Per quoziente i POLINOMI FRATTI sono continui in ogni punto che non annulla il
denominatore. Allinnito il limite di un polinomio `e sempre dove il segno dipende
unicamente dal monomio di grado pi` u alto e dal suo coeciente.
(5) Le FUNZIONI TRIGONOMETRICHE sin(x) e cos(x) sono continue. Essendo funzioni
periodiche non hanno limite per x .
(6) La TANGENTE `e continua nel suo dominio. Nei punti (2k +1)

2
ha limite sinistro +
e limite destro .
(7) Le FUNZIONI TRIGONOMETRICHE INVERSE sono continue.
(8) Le famiglie di funzioni ESPONENZIALI e LOGARITMICHE sono continue.
Esempi
1) Continuit`a della funzione seno: lim
xc
sin(x) = sin(c).
Prendiamo x (c , c +). Vale:
[sin(x) sin(c)[ = 2

sin
x c
2

cos
x +c
2

sin
x c
2

1 [x c[ <
2) Continuit`a nello zero della funzione:
f(x) :=
_

_
x sin
1
x
per x ,= 0
0 per x = 0
Si deve dimostrare che: lim
xc
_
x sin
1
x
_
= 0.
sia [x[ < ; = [f(x) 0[ = [x[

sin
1
x

[x[ <
3.4 Punti di Discontinuit`a
I punti di discontinuit`a si classicano in tre specie diverse: un punto c si dir`a di:
I specie quando esistono e sono niti entrambi i limiti destro e sinistro, ma sono fra loro
dierenti (indipendentemente da quale sia il valore f(c) che pu`o anche non esistere:
lim
xc
+
f(x) = l; lim
xc

f(x) = m; l ,= m
La dierenza l m si dice salto nel punto c.
Esempio f(x) =
[x[
x
nel punto c = 0.
II specie quando almeno uno dei due limiti destro o sinistro non esiste o `e innito.
Esempi (i) f(x) = tan(x) in tutti i punti

2
+k;
(ii) f(x) = e
1/x
per c = 0 ha lim
x0
+
f(x) = +.
III specie quando esiste il limite per x c e tale limite `e nito, ma non esiste il valore f(c)
(quindi c / dom(f)) oppure f(c) ,= lim
xc
f(x). In questo caso si parla di discontinuit`a
eliminabile perche `e suciente porre in quel punto f(c) = lim
xc
f(x) per ottenere una
funzione continua anche in c.
Esempi (i) f(x) =
sin(x)
x
in c = 0 ha limite 1, ma non `e denita;
(ii) un qualunque polinomio fratto che intorno ad uno zero del denominatore ammetta
limite nito.
Allatto pratico quando si cercano i punti di discontinuit`a di una funzione, si cercano prin-
cipalmente singoli punti isolati interni al dominio in cui la funzione non `e denita, o perche
il limite `e innito o perche compare uno zero al denominatore. Questo perche la maggior
parte delle funzioni con cui trattiamo `e continua allinterno del dominio tranne in eventuali
punti isolati.
Vanno studiati pi` u in dettaglio quei casi che contengono funzioni che hanno discontinuit`a
gi`a nella loro denizione, come la funzione sgn(x), oppure le funzioni denite a pezzi, ossia
per le quali lespressione analitica non `e la stessa in tutto il dominio: in questultimo caso
tutti i punti in cui cambia la denizione analitica potrebbero essere punti di discontinuit`a,
anche di I specie, e quindi vanno studiati i loro limiti destro e sinistro in tali punti.
Esempio
f(x) =
_

_
x
4
1 1 x < 1
1
x
1 1 x < 2
x
2
x 2 x 4
Il dominio di f(x) `e lintervallo chiuso [1, 4]; allinterno dei tre sottointervalli la funzione `e
continua. Consideriamo allora i due punti di frontiera tra i sottointervalli.
c = 1 lim
x1

f(x) = lim
x1

(x
4
1) = 0
lim
x1
+
f(x) = lim
x1
+
(
1
x
1) = 0
` e continua nel punto 1;
c = 2 lim
x2

f(x) = lim
x1

(
1
x
1) =
1
2
lim
x2
+
f(x) = lim
x1

(x
2
x) = 2
non ` e continua nel punto 2.
La discontinuit`a nel punto c = 2 `e di I specie con salto = 5/2.
3.5 Confronto tra funzioni. Inniti e innitesimi
Problema di confrontare due funzioni f(x) e g(x) denite in un intorno di un punto c, tranne
al pi` u il punto c stesso ossia di considerare il comportamento del loro rapporto quando faccio
il limite verso c.
Denizione Diremo che una funzione f(x) `e innitesima per x c se tende a zero per x
tendente a c; diremo che `e innita o che diverge per x c se tende a o semplicemente
a .
Se considero il limite del rapporto si presentano quattro casi:
lim
xc
f(x)
g(x)
=
_

_
1. 0
2. l ,= 0, l R
3. , o genericamente

4. non esiste
Allora se entrambe le funzioni sono innitesime diremo che:
1: f `e innitesima di ordine superiore rispetto a g;
2: f `e innitesima dello stesso ordine di g;
3: f `e innitesima di ordine inferiore rispetto a g;
4: f e g non sono confrontabili.
Se invece entrambe le funzioni sono innite diremo che:
1: f `e innito di ordine inferiore rispetto a g;
2: f `e innito dello stesso ordine di g;
3: f `e innito di ordine superiore rispetto a g;
4: f e g non sono confrontabili.
Inoltre se g ha limite nito e vale 1. (ossia f `e innitesima) si usa dire ugualmente che f `e
innitesima rispetto a g.
Nel calcolo dei limiti in forma fratta indeterminata sar`a essenziale determinare nel numera-
tore e nel denominatore linnito o linnitesimo pi` u importante.
In questo senso senso se posso scrivere f = f
1
+ f
2
e per x c, f
2
innitesimo di ordine
superiore a f
1
diremo che f
2
`e trascurabile rispetto a f
1
e anche che f
1
`e dominante rispetto
a f
2
in quanto nel calcolo del limite potr`o semplicemente omettere il termine f
2
:
lim
xc
f
1
+f
2
g
= lim
xc
f
1
(1 +f
2
/f
1
)
g
=
= lim
xc
f
1
g
lim
xc
_
1 +
f
2
f
1
_
= lim
xc
f
1
g
Lo stesso vale ovviamente per il denominatore.
Analogamente se f
2
`e innito di ordine inferiore a f
1
diremo che f
2
`e trascurabile rispetto a
f
1
e anche che f
1
`e dominante rispetto a f
2
.
Per indicare brevemente il comportamento di una funzione rispetto ad unaltra si usano dei
simboli, detti di Landau. I due principali sono:
1: o() (si legge: o piccolo di ...) indica che la prima funzione `e innitesima rispetto alla
seconda:
f(x) = o(g(x)) lim
xc
f(x)
g(x)
= 0
2: O() (o grande di ...) indica che la prima funzione `e innitesima o dello stesso ordine
della seconda:
f(x) = O(g(x)) lim
xc
f(x)
g(x)
= costante (eventualmente 0)
(meglio) f(x) = O(g(x))
f(x)
g(x)
limitato intorno a c
Si noti che la formula f(x) = o(1) (o di un qualunque numero reale) signica semplicemente
che f(x) `e innitesima, perci`o si pu`o scrivere:
lim
xc
f(x) = l R f(x) = l +o(1) (per x c)
Quando si fanno dei limiti in forma indeterminata si dovr`a quindi cercare di valutare i
contributi principali al numeratore e al denominatore (sia che si tratti di inniti, che di
innitesimi), e quindi confrontarli fra loro, ossia studiare la velocit`a con cui tali termini
vanno rispettivamente a 0 o allinnito. Poiche le funzioni di riferimento, sia per gli inniti
che per gli innitesimi saranno i polinomi, o meglio i monomi dei vari gradi, nel caso di
funzioni non polinomiali si cercher`a sempre di trovare il loro ordine (di innito o di innites-
imo) nel confronto con le funzioni polinomiali.
`
E quello che si fa ad esempio con i cosiddetti
limiti notevoli.
3.6 Asintoti
Denizione Sia data una funzione f(x) e un generico punto P(x, f(x)) del graco della
funzione. Diremo che una retta r `e un asintoto della curva graco di f quando la distanza
tra il punto generico P del graco e la retta r tende a zero quando il punto tende allinnito,
dove con questultima espressione intenderemo che almeno una delle due coordinate del
punto tende a infty.
Lasintoto quando esiste mi rappresenta una sorta di approssimazione del primo ordine del
comportamento della mia funzione allinnito; in un altro senso (e per questo in genere viene
introdotto dopo le derivate) ha un ruolo analogo a quello della retta tangente, con la dif-
ferenza che il punto di tangenza non esiste, ma `e solo un comportamento limite allinnito.
(1) ASINTOTO ORIZZONTALE si ha per valori tendenti allinnito della variabile x quando
la funzione ammette limite nito (a pi` u o meno innito; posso avere due asintoti orizzontali
distinti):
se lim
x
f(x) = k R allora y = k `e asintoto orizzonatale.
Anche ora la dimostrazione `e immediata in quanto la distanza di un generico punto del
graco dalla retta orizzontale r : y = k `e d(P(x, f(x)), r) = [k f(x)[ 0 per x tendente a
pi` o meno innito.
(2) ASINTOTO OBLIQUO si ha per valori tendenti allinnito della variabile x quando
anche la funzione tende allinnito; `e il caso pi` u signicativo in quanto la sua esistenza
indica che allinnito la funzione si comporta come una retta ossia che ha una diverganza
di grado 1. Anche in questo caso posso avere due asintoti distinti a pi` u e meno innito. Con
pi` u precisione si ha:
sia lim
x
f(x) = ; allora esiste un asintoto obliquo y = mx + q se esistono niti i due
limiti che deniscono i coecienti della retta:
lim
x
f(x)
x
= m
lim
x
[f(x) mx] = q
Dimostrazione
Ricordo che la distanza di un punto P(x
0
, y
0
) da una generica retta r : ax +by +c = 0 `e :
d(P, r) =
[ax
0
+by
0
+c[

a
2
+b
2
Cerchiamo ora una retta (incognita) che sia un asintoto obliquo, ossia che abbia la forma:
r : mx y +q = 0
e tale che quando x tende allinnito, tenda a zero la sua distanza da un punto del graco
di f, P(x, f(x)), ossia:
d(P(x, f(x)), r) =
[mx f(x) +q[

1 +m
2
Si dovr`a avere:
lim
x
(mx f(x) +q) = 0

_
lim
x
f(x) = lim
x
mx lim
x
f(x)
x
= m
lim
x
(f(x) mx) = q
(3) ASINTOTO VERTICALE: `e lunico che si ha per valori niti della variabile x. Come
dice il nome `e una retta verticale x = c e indica il fatto che nel punto c la funzione `e discon-
tinua e lim
xc
f(x) =

infty

(indipendentemente dalleventuale valore della funzione in quel


punto). Vale anche il viceversa (che operativamente `e quello che si serve):
se c : lim
xc
f(x) =

infty

allora la retta x = c `e asintoto verticale.


La dimostrazione `e evidente in quanto la distanza di un generico punto del graco dalla
retta verticale r : x = c `e semplicemente d(P(x, f(x)), r) = [x c[ 0 quando x tende a c.
Spesso si parla di asintoto verticale anche quando la funzione tende allinnito solamente da
destra o da sinistra: questo pu`o accadere se il punto c `e un punto di frontiera del dominio
(vedi sotto il logaritmo), ma anche quando tale punto `e di discontinuit`a di seconda specie,
ma interno al dominio (es. (iii)).
Esempi
(i) f(x) =
1
x 2
ha asintoto verticale x = 2.
(ii) f(x) = log(x) ha asintoto verticale x = 0 (il punto c pu`o essere estremo del dominio).
(iii) f(x) = e
1/x
funzione gi`a vista ha in zero limite destro + e limite sinistro zero; in
genere si dir`a ugualmente che ha un asintoto x = 0.
Notiamo che ogni funzione che abbia in un certo punto c una discontinuit`a di seconda specie
(divergenza) ha un asintoto verticale x = c.
3.7 Polinomi fratti indeterminati. Limiti notevoli
I polinomi fratti possono presentarsi in due forme indeterminate, una quando il limite `e fatto
verso un punto nito, laltra quando il limite `e allinnito.
Nel primo caso (c R) poiche i polinomi sono funzioni continue su tutti i numeri reali pu`o
solo capitare che si annullino contemporaneamente numeratore e denominatore. Allora `e
suciente raccogliere nel numeratore e nel denominatore il termine (x c) e semplicarlo.
Se il limite `e ancora una forma

0

allora la radice c aveva molteplicit`a maggiore di uno


e pu`o essere nuovamente raccolta e sempliacata. Il procedimento ha sicuramente termine
perche la molteplicit`a di una radice non pu`o superare il numero totale di zeri che `e il grado
del polinomio.
Nel secondo caso, limite allinnito, si ha una forma

perche tutti i polinomi divergono


allinnito. In questo caso un risultato globale estremamente semplice mi permette di trovare
il limite senza particolari passaggi, in quanto (si pensi agli inniti dominanti e trascurabili)
in un polinomio allinnito conta solo il termine di grado pi` u alto ed `e perci`o suciente fare
il rapporto tra i termini di grado pi` u alto di numeratore e denominatore. Vediamo meglio
questo risultato.
Proposizione Siano P
n
(x) = a
n
x
n
+. . . +a
1
x +a
0
e Q
m
(x) = b
m
x
m
+. . . +b
1
x +b
0
due
polinomi (anche dello stesso grado).
1)se n = m lim
x
P
n
(x)
Q
n
(x)
=
a
n
b
n
2)se n < m lim
x
P
n
(x)
Q
m
(x)
= 0
3)se n > m lim
x
P
n
(x)
Q
m
(x)
= lim
x
a
n
b
m
x
nm
=
Dimostrazione In tutti i tre casi si raccolgono i termini di grado massimo a numeratore e
denominatore; quel che resta `e trascurabile, per cui il confronto dei termini di grado massimo
mi da il risultato cercato.
lim
x
P
n
(x)
Q
m
(x)
= lim
x
a
n
x
n
b
m
x
m

1 +
a
n1
x
+. . . +
a
1
x
n1
+
a
0
x
n
1 +
b
m1
x
+. . . +
b
1
x
m1
+
b
0
x
m
=
= lim
x
a
n
x
n
b
m
x
m
1
lim
x
P
n
(x)
Q
m
(x)
=
_

_
lim
x
a
n
x
n
b
n
x
n
=
a
n
b
n
se n = m
lim
x
a
n
b
m
x
mn
= 0 se n < m
lim
x
a
n
x
nm
b
m
= se n > m
dove nellultimo caso il segno dellinnito dipender`a dal coeciente, dal grado della dif-
ferenza n m e dal punto verso cui si fa il limite.
Completando i monomi di grado intero n con le potenze di x ad un generico esponente reale
`e abbastanza evidente che se p < < p + 1 allora x
p
`e innito di ordine inferiore a x

e
questultimo `e di ordine inferiore a x
p+1
. Per la dimostrazione `e suciente considerare che
per le propriet`a delle potenze a esponente reale vale
x
n
x

= x
n
da cui segue quanto esposto.
Se adesso consideriamo funzioni non polinomiali che presentino divergenze o zeri, e quindi di-
ano luogo a forme indeterminate, `e evidente come una buona idea sia quella di confrontarle,
ove possibile, con un polinomio di grado opportuno, dopodiche ci si riporta al limite tra
polinomi che si studia in maniera completa.
Alcuni dei cosiddetti limiti notevoli sono una prima forma di questo metodo.
Un dierente limite `e quello che porta alla denizione del numero di Nepero e, che sar`a utile
nei casi di limiti con funzioni esponenziali o logaritmiche.
Questi metodi in realt`a sono casi particolari di una forma pi` u generale che utilizza le derivate
e gli sviluppi di Taylor per ottenere approssimazioni di tipo polinomiale ad una generica fun-
zione; vedremo pi` u avanti questapproccio, anche se unicamente in linea teorica.
Limiti notevoli
(1) lim
x0
sin(x)
x
= 1
(2) lim
x0
1 cos(x)
x
2
=
1
2
(3) lim
x
_
1 +
1
x
_
x
= e
(4) lim
x0
a
x
1
x
= log(a)
Dimostrazioni
(1) Prendiamo un angolo positivo x < /2; dalla geometrica elementare su archi e corde si
ottiene che:
PP

<

PP

< TT


2 sin(x) < 2x < 2 tan(x)
1 <
x
sin(x)
<
1
cos(x)

cos(x) <
sin(x)
x
< 1
Poiche lim
x0
+
cos(x) = 1, per il teorema del confronto anche lim
x0
+
sin(x)
x
= 1.
Per i valori negativi basta porre x = u e considerare il fatto che tanto il seno quanto x
stessa sono funzioni dispari.
(2) Utilizzo il limite appena dimostrato:
lim
x0
1 cos(x)
x
2
= lim
x0
(1 cos(x)) (1 + cos(x))
x
2
(1 + cos(x))
=
= lim
x0
1 cos
2
(x)
x
2
(1 + cos(x)
=
= lim
x0
sin
2
(x)
x
2
lim
x0
1
1 + cos(x)
= 1
2

1
1 + 1
=
1
2
(4) Non dimostriamo il limite (3) (vedere su Zwirner); utilizziamo il risultato per dimostrare
lultimo.
Poniamo
1
y
:= a
x
1 y =
1
a
x
1
e notiamo che il limite x 0 corrisponde a y .
Si ha allora:
a
x
= 1 +
1
y
xlog(a) = log
_
1 +
1
y
_
x =
ds log
_
1 +
1
y
_
log(a)

lim
x0
a
x
1
x
= lim
y
1
y
log
_
1 +
1
y
_
log(a)
=
= lim
y
log(a)
y log
_
1 +
1
y
_ =
= lim
y
log(a)
log
_
1 +
1
y
_
y
=
log(a)
log(e)
= log(a)
3.8 Altre forme indeterminate e limiti importanti
Utilizzando la notazione esponenziale si ottengono dei limiti che presentano nuove forme
indeterminate, conseguenza di quelle gi`a viste per somme e prodotti. In particolare si
considerino limiti del tipo:
lim
xc
(f(x))
g(x)
dove c potrebbe essere anche un innito. Scelta allora una base a ,= 1, generalmente la base
naturale e, e utilizzando la continuit`a dellesponenziale scriveremo:
lim
xc
(f(x))
g(x)
= lim
xc
a
g(x)log
a
(f(x))
=
= a
lim
xc
g(x) log
a
(f(x))
Se ora lesponente `e una forma indeterminata (per il prodotto) lo `e anche la forma di
partenza; ossia sono indeterminate le seguenti forme (dove user`o le parentesi tonde per
indicare un comportamento al limite):
(0)
(0)
da exp [(0) ()]
(1)
()
da exp [() (0)]
(+)
(0)
da exp [(0) (+)]
Notiamo che la base non potr`a mai tendere a perche deve essere positiva.
Inoltre si noti che la forma (0)
()
non `e indeterminata in quanto in forma esponenziale si
scrive exp[() ()] e quindi da zero o innito a seconda del segno dellesponente.
Esempio Graco di f(x) = x
x
denita per x > 0.
La funzione `e continua ovunque (esponente di prodotto di funzioni continue). Ai limiti vale:
lim
x+
x
x
= lim
x+
e
x log(x)
= +
lim
x0
+
x
x
= lim
x0
+
e
x log(x)
=
= e
lim
x0
+ x log(x)
= (indeterminato; lo vedremo) = e
0
= 1
Altri limiti importanti
Per completare la classicazione delle velocit`a con cui una funzione pu`o andare allinnito o
a zero `e importante valutare, in relazione al generico monomio di grado n, il comportamento
delle altre principali funzioni non polinomiali, le due famiglie esponenziale e logaritmica.
I principali limiti in questione sono:
lim
x+
x

a
x
= 0 R, a > 1
lim
x+
(log
b
(x))

= 0 R, > 0, b > 1
lim
x0
+
x

(log(x))
n
= 0 n N, > 0
lim
x
x
n
a
x
= 0 n N, a > 1
Inne due limiti che valgono per successioni presentano funzioni che vanno allinnito ancor
pi` u velocemente dellesponenziale:
lim
n+
a
n
n!
= 0
lim
n+
n!
n
n
= 0
Tra questi si pu`o aggiungere:
lim
x+
a
x
x
x
= 0
Tralasciando la dimostrazione del primo limite, che `e semplice usando le derivate, mentre
`e assai lunga e complessa con gli strumenti che abbiamo sinora, proviamo a dimostrare gli
altri limiti.
Dimostrazioni
(1) Utilizzo lim
x+
x

a
x
= 0 e opero la sostituzione x = log
b
(t), con base b > 1. Se x +
anche t + e si ha:
0 = lim
x+
x

a
x
=
= lim
t+
(log
b
(t))

a
log
b
(t)
=
= lim
t+
(log
b
(t))

b
log
b
(a)log
b
(t)
=
= lim
t+
(log
b
(t))

t
log
b
(a)
che `e il secondo limite purche si sia scelto b in modo tale che log
b
(a) = , sempre possibile
perche a > 1 e > 0.
(2) Poniamo nel terzo limite x =
1
y
; quando x 0
+
, y +,da cui:
lim
x0
+
x

(log(x))
n
= lim
y+
_
1
y
_

_
log
_
1
y
_
n
_
=
= lim
y+
(log(1) log(y))
n
y

=
= lim
y+
(log(y))
n
y

= 0, per il precedente limite.


(3) Nel quarto limite, posto y = x, si ottiene:
lim
x
x
n
a
x
= lim
y+
(y)
n
a
(
y) =
= lim
y+
(y)
n
a
y
= 0, per il primo limite.
(4) Per il limite della prima successione notiamo che chiunque sia a, poiche devo fare il limite
allinnito posso considerare n > a e posto n = [a] +m per n + vale anche m +;
sia inoltre h :=
a
[a] + 1
< 1. Allora:
a
n
n!
=
a
1

a
2

a
[a]

a
[a] + 1

a
[a] +m
< a
[a]
h
m
m+
0
(5) In modo simile per la seconda successione si ha:
n!
n
n
=
1
n

2
n

[

n]
n

([

n] + 1)
n

n
n
e considerando che ogni termine `e < 1 posso trascurare tutti i termini a partire da
([

n] + 1)
n
ottenendo la disuguaglianza:
n!
n
n

1
n

2
n

[

n]
n

_
1

n
_
[

n]
n+
0
(6) Lultimo si pu`o dimostrare anche direttamente:
lim
x+
a
x
x
x
= lim
x+
_
a
x
_
x
= 0
perche abbiamo gi`a notato che una forma (0)
(+)
non `e indeterminata, ma tende a zero.
Crescita del fattoriale: Formula di De Moivre-Stirling
n! n
n
e
n

2 n
o anche passando ai logaritmi:
log(n!) = nlog(n) n +
1
2
log(n) + log(

2) +o(1)
4 Derivate
4.1 Denizioni
Fisicamente: derivata variazione di una quantit`a, velocit`a di un processo.
Geometricamente: derivata retta tangente.
Denizione Tangente alla curva piana nel punto P
0
`e la posizione limite (se esiste) delle
retta che congiungono P
0
ad un qualunque altro punto P
1
della curva quando P
1
P
0
muovendosi sulla curva .
Cerchiamo lequazione di tale retta.
Consideriamo la funzione f(x) (gura 10) e due punti del graco P
0
(x
0
, y
0
) e P
1
(x
1
, y
1
);
consideriamo quindi la tangente alla curva in P
0
e la retta passante per P
0
e P
1
.
Le due rette appartengono al fascio di rette per P
0
:
y f(x
0
) = m(x x
0
)
e i loro coecienti angolari sono le tangenti degli angoli che formano con la retta delle
ascisse, rispettivamente m = tan() incognito per la retta tangente cercata, mentre per la
retta passante per P
1
si ha:
m
1
= tan() =
f(x
1
) f(x
0
)
x
1
x
0
Facciamo ora tendere P
1
a P
0
sulla curva; in questo modo x
1
x
0
, langolo tende ad e,
essendo la tangente una funzione continua:
lim
P
1
P
0
(P
1
) =
lim
P
1
P
0
tan((P
1
)) = tan()
Il coeciente angolare della tangente sar`a dunque il limite del rapporto tra lincremento
della funzione e lincremento della variabile indipendente quando questultimo tende a zero:
tan() = lim
x
1
x
0
f(x
1
) f(x
0
)
x
1
x
0
Il limite `e una forma indeterminata
(0)
(0)
ed esiste se lincremento della funzione `e innitesimo
di ordine non inferiore allincremento della variabile.
Spesso si scrive lincremento della variabile come x
1
x
0
:= h e il coeciente angolare della
retta tangente:
tan() = lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
Lequazione della retta tangente a f(x) in un generico punto P
0
(x
0
, y
0
) `e :
y f(x
0
) = lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
(x x
0
)
Il concetto di derivata oltre che a problemi geometrici `e legato a tutti quei processi sici in
cui ho la variazione di una quantit`a in relazione alla variazione di una seconda quantit`a. In
particolare la derivata in un processo indica la velocit`a di variazione della quantit`a dipen-
dente da quella scelta come variabile indipendente.
t = tempo f(t) = spazio f

(t) = velocit`a
f(t) = angolo f

(t) = velocit`a angolare


f(t) = velocit`a f

(t) = accelerazione
q(t) = quantit`a di carica q

(t) = intensit`a di corrente


x = temperatura f(x) = lunghezza o volume f

(x) = dilatazione
v = volume m(v) = massa m

(v) = densit`a di massa


Denizione Si dice rapporto incrementale di una funzione f(x) nel punto x
0
il rapporto
tra lincremento della funzione e lincremento della variabile indipendente:
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
Se h > 0 lo chiamer`o rapporto incementale destro, se h < 0 sinistro.
Denizione Si dice DERIVATA di f(x) nel punto x
0
il limite del rapporto incrementale in
x
0
quando lincremento h 0 e lo si indica:
f

(x
0
) = lim
h0
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
Il limite deve esistere nito, altrimenti si dice che la funzione f(x) non `e derivabile in x
0
.
Altre notazioni in uso per la derivata nel punto x
0
sono le seguenti:
y

(x
0
); f

[
x
0
; f

[
x=x
0
; [Df(x)]
x=x
0
;

f(t) o y(t) (NEWTON);


df(x
0
)
dx
(LEIBNIZ)
Denizione Si dicono derivata destra e sinistra in x
0
i rispettivi limiti destro e sinistro del
rapporto incrementale in x
0
, purche siano niti.
`
E evidente dai teoremi sui limiti che la
derivata esiste se e solo se esistono entrambe le derivate destra e sinistra e sono uguali.
Nota Pensando alle curve nel piano si pu`o attribuire un signicato geometrico anche al caso
in cui il limite del rapporto incrementale esista, ma sia innito. In questo caso infatti la
derivata non esiste, ma la retta tangente s`, `e una retta verticale. Diremo in questo caso che
la tangente ha coeciente angolare innito.
Denizione Si dicono punti angolosi quei punti in cui esistono la derivata destra e la
derivata sinistra, ma sono diverse fra loro (g. 11): in un punto angoloso si incontrano le
due rette tangenti destra e sinistra formando fra loro un angolo.
Denizione Si dice cuspide (g. 11b) un punto in cui i limiti destro e sinistro del rapporto
incrementale sono entrambi inniti con segno opposto. La retta tangente si riduce ad una
semiretta verticale.
Denizione Una funzione f(x) si dice derivabile in un intervallo del suo dominio se `e deriv-
abile in ogni punto dellintervallo. Si dice derivabile se lo `e in ogni punto del suo dominio.
La derivazione di una funzione f in un intervallo o nellintero dominio si pu`o vedere come
una operazione che mi denisce a partire da f una nuova funzione f

(x). Questo mi permette


di procedere denendo le derivate successive alla prima:
Denizione Derivata seconda di f(x) in x
0
`e la derivata di f

(x) in x
0
. Cos` per gli ordini
di derivazione superiori al secondo. Per le derivate di ordine superiore al primo si usano le
notazioni:
f

. f

. . . f
(n)
; D
2
f(x), D
3
f(x), . . . D
n
f(x);
d
2
f(x)
dx
2
. . .
d
n
f(x)
dx
n
Teorema Se f `e derivabile in x
0
allora `e anche continua in x
0
.
Dimostrazione Bisogna mostrare che lim
xx
0
f(x) = f(x
0
), ossia che, scritto x = x
0
+ h
vale: lim
h0
f(x
0
+h) = f(x
0
). Se f `e derivabile in x
0
vale:
lim
h0
[f(x
0
+h) f(x
0
)] = lim
h0
h
f(x
0
+h) f(x
0
)
h
=
= lim
h0
h f

(x
0
) = 0
Non vale il viceversa. Ad esempio [x[ `e continua ovunque, ma non `e derivabile in 0.
Si possono costruire funzioni continue ovunque, ma non derivabili in alcun punto.
4.2 Regole di derivazione e principali teoremi
Nel seguito considereremo due funzioni f(x) e g(x) denite in modo che abbiano senso le
varie operazioni aritmetiche fra loro.
(1) DERIVATA della SOMMA
D((f +g)(x)) = f

(x) +g

(x)
(2) DERIVATA del PRODOTTO
D((f g)(x)) = f

(x) g(x) +f(x) g

(x)
Dimostrazione Scrivo:
f(x +h)g(x +h) f(x)g(x) = g(x +h)[f(x +h) f(x)] +f(x)[g(x +h) g(x)]
Si ha allora:
lim
h0
f(x +h)g(x +h) f(x)g(x)
h
=
= lim
h0
_
g(x +h)
f(x +h) f(x)
h
+f(x)
g(x +h) g(x)
h
_
=
=
_
lim
h0
g(x +h) lim
h0
f(x +h) f(x)
h
_
+
_
f(x) lim
h0
g(x +h) g(x)
h
_
=
= g(x) f

(x) +f(x) g

(x)
(3) DERIVATA del PRODOTTO per COSTANTE
se k R D(k f(x)) = k f

(x)
(4) DERIVATA del QUOZIENTE
D
_
f(x)
g(x)
_
=
f

(x) g(x) f(x) g

(x)
(g(x))
2
D
_
1
g(x)
_
=
g(x)
(g(x))
2
(5) DERIVATA del PRODOTTO di n FUNZIONI
D[f
1
(x) f
2
(x) . . . f
n
(x)] =
= f

1
(x) f
2
(x) . . . f
n
(x) +f

1
(x) f

2
(x) . . . f
n
(x) +. . . +f

1
(x) f
2
(x) . . . f

n
(x)
(6) DERIVATA di FUNZIONI COMPOSTE
Siano f e g due funzioni tali che Im(g) Dom(f) cos` da poter fare la funzione composta
F := f g, ossia F(x) = f(g(x)) con g derivabile in x e f derivabile in t := g(x). Allora la
derivata di F `e :
F

(x) = f

(g(x)) g

(x)
In notazione di Leibniz `e come se gli incrementi innitesimi dt si semplicassero fra loro:
df
dx
=
df
dt

dt
dx
(7) DERIVATA di FUNZIONI COMPOSTE (tre o pi` u): regola della catena
D[f(g(h(x)))] = f

(g(h(x))) g

(h(x)) h

(x)
Dimostrazione (6)
Consideriamo la funzione denita dallla dierenza tra rapporto incrementale di f in
t = g(x) e la derivata della f stessa:
_

_
(0) = 0
(k) =
f(t +k) f(t)
k
f

(t), k ,= 0
Dalla denizione di derivata segue che lim
k0
(k) = 0 = (0) ossia la funzione `e continua
anche in 0.
Posso anche scrivere:
f(t +k) f(t) = k f

(t) +k (k)
Prendo ora k = g(x +h) g(x), intesa come funzione di h; dalla derivabilit`a di g in x segue
la continuit`a in h, ossia che:
lim
h0
k(h) = 0
e per la continuit`a di segue anche che:
lim
h0
(k(h)) = 0
Considerando che g(x) = t t +k = g(x +h), si ottiene:
lim
h0
f(g(x +h)) f(g(x))
h
= lim
h0
_
f(g(x +h)) f(g(x))
g(x +h) g(x)

g(x +h) g(x)
h
_
=
= lim
h0
_
f(t +k) f(t)
k

g(x +h) g(x)
h
_
=
= lim
h0
_
k f

(t) +k (k)
k
_
g

(x) = f

(g(x)) g

(x)
(8) DERIVATA di FUNZIONI INVERSE
Sia y = f(x) con inversa x = (y); la derivata di `e :

(y) =
1
f

((y))
=
1
f

(x)
con x = (y)
Dimostrazione Per la denizione di funzione inversa vale: f((y)) = y; perci`o:
_

_
d
dy
f((y)) = f

((y))

(y)
d
dy
(y) = 1

(y) =
1
f

((y))
4.3 Il Dierenziale
Supponiamo che la funzione f sia derivabile in un punto x; allora si pu`o scrivere:
lim
h0
_
f(x +h) f(x)
h
f

(x)
_
= 0
Deniamo la funzione:
(h) =
f(x +h) f(x)
h
f

(x)
Si ha che per h 0 anche (h) 0.
Scriviamo allora lincremento della funzione f nel punto x come:
f(x +h) f(x) = hf

(x) +h(h)
Quindi lincremento della f nel punto x, pensato come una funzione dello spostamento h `e
formato da due termini:
(f

(x)) h che `e un termine lineare in h poiche f

(x) `e una costante (considerata rispetto


alla variabile h);
(h) h che `e un innitesimo di ordine superiore al precedente (ossia di ordine > 1)
perche quando h 0 anche (h) 0.
Possiamo dare allora la seguente:
Denizione Una funzione f denita su (a, b) si dice dierenziabile in un punto x se
A R tale che h R tale che x +h (a, b) vale:
f(x +h) f(x) := (f)(h) = Ah +o(h)
La parte lineare Ah (funzione di h) si dice dierenziale di f in x e si indica in genere con
la notazione (df(x)). Il dierenziale in un punto `e quindi una funzione dellincremento h.
Ovviamente al variare del punto x avr`o un diverso dierenziale, da cui segue lesigenza di
evidenziare nel simbolo anche la dipendenza da x.
Per funzioni di una variabile reale vale:
f dierenziabile in x f f derivabile in x e
(df(x))(h) = f

(x) h
Per funzioni di pi` u variabili reali ci`o non `e pi` u vero; vale:
f dierenziabile = f derivabile, ma non limplicazione inversa.
4.4 Teoremi del Calcolo Dierenziale
Teorema di Rolle
Sia f continua in [a, b], derivabile in (a, b) e tale che f(a) = f(b). Allora
c (a, b) tale che f

(c) = 0.
Dimostrazione f `e continua su intervallo chiuso per cui esistono il massimo M e il minimo
m. Se M = m la funzione `e costante per cui f

= 0 dovunque. Sia m < M e siano c e d i


due punti in cui vale f(c) = M e f(d) = m. Almeno uno dei due punti deve essere interno
al dominio, altrimenti si rientrerebbe nel caso m = M; supponiamo che sia c (a.b). Dato
che f(c) `e il massimo, scelto k > 0, intorno a c si ha:
f(c +k) f(c) 0 f

+
(c) = lim
h0
+
f(c +h) f(c)
h
0
f(c k) f(c) 0 f

(c) = lim
h0

f(c +h) f(c)


h
0
Per ipotesi la derivata in c esiste per cui devono essere uguali la derivata destra e sinistra:
f

+
(c) 0
f

(c) 0
_

_
f

(c) = 0
Teorema di Lagrange del valor medio
Sia f continua in [a, b], derivabile in (a, b). Allora
c (a, b) tale che f(b) f(a) = f

(c) (b a).
Dimostrazione Consideriamo la funzione g(x) = f(x) f(a)
f(b) f(a)
b a
(x a). Essa
soddisfa le ipotesi del Teorema di Rolle, in quanto `e continua e derivabile come la f e vale
0 sia nel punto x = a sia in x = b.
per il Teorema allora c (a, b) tale che g

(c) = 0. Ma si ha:
g

(x) = f

(x)
f(b) f(a)
b a
0 = f

(c)
f(b) f(a)
b a
f(b) f(a) = f

(c) (b a)
Corollari
(1) f

(x) 0, x [a, b] f(x) costante x [a, b]


(2) f

(x) g

(x), x [a, b] f(x) g(x) costante x [a, b]


(3) f

(x) 0 f CRESCENTE
f

(x) 0 f DECRESCENTE
f

(x) > 0 =f STRETTAMENTE CRESCENTE


f

(x) < 0 =f STRETTAMENTE DECRESCENTE


Dimostrazioni
(1) Sia x un punto qualunque di [a, b]; applico il Teorema di Lagrange:
c (a, x) : f(x) f(a) = f

(c) (x a) f(x) f(a) = 0 f(x) = f(a) x [a, b]


(2) Applico il Corollario (1) alla funzione f(x) g(x) che ha per derivata f

(x) g

(x) = 0.
(3) Dimostriamo che f

(x) > 0 f strettamente crescente. Presi due punti x


1
< x
2
entrambi in (a, b) per Lagrange si ha:
f(x
2
) f(x
1
) = f

(c) (x
2
x
1
) > 0 f STRETTAMENTE CRESCENTE
Se vale la disuguaglianza non stretta `e evidente che segue che f `e solo CRESCENTE. Per
quel che riguarda limplicazione opposta si ha che se f `e crescente allora il rapporto incre-
mentale `e non negativo e cos` dovr`a essere anche il suo limite.
Tuttavia anche in caso di funzioni strettamente crescenti non si pu`o escludere che la derivata
si annulli in punti isolati (quelli che chiameremo essi orizzontali).
Per le funzioni decrescenti valgono dimostrazioni analoghe.
Teorema di Cauchy
Siano f e g continue in [a, b], derivabili in (a, b) e tali che g

(x) ,= 0, x (a, b). Allora


c (a, b) tale che
f(b) f(a)
g(b) g(a)
=
f

(c)
g

(c)
.
Notiamo che il teorema vale anche senza lipotesi g

(x) ,= 0, x (a, b); in questo caso il


punto c soddisfa: [f(b) f(a)] g

(c) = [g(b) g(a)] f

(c).
Dimostrazione
Notiamo che g

(x) ,= 0, x (a, b) g(b) ,= g(a), altrimenti per Rolle esisterebbe c tale che
g

(c) = 0. Allora posso considerare la funzione:


h(x) = f(x) f(a)
f(b) f(a)
g(b) g(a)
[g(x) g(a)]
Tale funzione vale 0 sia per x = a che per x = b per cui applicando Rolle:
c (a, b) : 0 = h

(c) = f

(f)
f(b) f(a)
g(b) g(a)
g

(x)
Se non vale lipotesi g

(x) ,= 0, x (a, b) `e suciente spezzare la dimostrazione in due parti:


se continua a valere g(b) ,= g(a) vale anche la dimostrazione gi`a vista, e invece g(b) = g(a)
il punto c tale che per Rolle g

(c) = 0 soddisfa anche questo teorema in quanto si ha


[f(b) f(a)] g

(c) = 0 = [g(b) g(a)] f

(c)
Teorema di de LHopital
Siano f e g continue, nulle in un punto c, derivabili in un intorno di c e tali che:
(i) g

(x) ,= 0 in un intorno di c;
(ii) lim
xc
f(x) = lim
xc
g(x) = 0 oppure entrambi uguali a ;
(iii) lim
xc
f

(x)
g

(x)
= L nito o innito.
Allora:
lim
xc
f(x)
g(x)
= lim
xc
f

(x)
g

(x)
= L
Dimostrazione
Sia H lintorno del punto c considerato e sia x H, x ,= c; per il Teorema di Cauchy vale:
x H, x ,= c, x
0
(c, x) :
f(x) f(c)
g(x) g(c)
=
f

(x
0
)
g

(x
0
)
Ma lim
xc
f(x) = lim
xc
g(x) = 0 e per x c anche x
0
c; si ha allora:
lim
xc
f(x)
g(x)
= lim
xc
f(x) f(c)
g(x) g(c)
= lim
xc
f

(x
0
(x))
g

(x
0
(x))
= lim
xc
f

(x)
g

(x)
dove lultimo passaggio vale per lunicit`a del limite poche tale limite esiste per lipotesi (iii).
Se i limiti di f e g fossero entrambi inniti ci si riporta ad una dimostrazione simile.
4.5 Formula di Taylor
Consideriamo una funzione f : (a, b) R, derivabile in un punto c (a, b) e considero la
sua retta tangente T(x) nello stesso punto c. Vale perci`o:
f(x) = f(c) +f

(c) (x c) +o((x c))


T(x) = f(c) +f

(c) (x c)
_

_
(1) T(c) = f(c)
(2) T

(c) = f

(c)
Denizione Se valgono le condizioni (1) e (2) sulla uguaglianza del valore di due funzioni
f e T e delle loro derivate in un certo punto c diremo che i graci di f e T (o che le funzioni
...) hanno un contatto di I ordine in x = c
In pratica abbiamo costruito una formula di approssimazione di I grado, ossia lerrore di
approssimazione tra la funzione data f e la funzione costruita T:
E((x c)) := f(x) T(x) = o((x c))
`e innitesimo di ordine superiore al primo.
Vogliamo ora in maniera simile costruire unapprossimazione della funzione data f con un
polinomio T
n
di grado n; richiederemo cio`e che fra le due funzioni esista un contatto di
ordine n e che lerrore di approssimazione sia di grado superiore ad n.
Denizione Diremo che due funzioni f(x) e T
n
(x) hanno un contatto di ordine n nel punto
c se in tale punto sono entrambe derivabili almeno n volte e vale:
_

_
f(c) = T
n
(c)
f
(j)
(c) = T
(j)
n
(c) j = 1, . . . , n
Proviamo a costruire, data la funzione f, un polinomio che abbia le caratteristiche cercate.
Scriver`o il polinomio in funzione di (xc) (che rappresenta il valore h del quale mi allontano
da c) perch`e mi sar`a pi` u facile controllare in questo modo i coecienti. Sia:
T
n
(x) = a
0
+a
1
(x c) +a
2
(x c)
2
+ +a
n
(x c)
n
Allora le sue derivate sino allordine n si scrivono:
T

n
(x) = a
1
+ 2 a
2
(x c) + na
n
(x c)
n1
T

n
(x) = 2 a
2
+ 6 a
3
(x c) + n(n 1) a
n
(x c)
n2
.
.
.
T
(n)
n
(x) = n (n 1) (n 2) 2 a
n
= n! a
n
Se ora calcoliamo il polinomio e le sue derivate nel punto c si vede che ogni termine tranne
quello noto si annulla, ossia:
T
n
(c) = a
0
; T

n
(c) = a
1
; T

n
(c) = 2 a
2
; . . . T
(n)
n
(c) = n! a
n
Per avere il contatto di ordine n con la funzione data baster`a allora porre:
a
0
= f(c); a
1
= f

(c); a
2
=
1
2
f

(c); . . . a
n
=
1
n!
f
(n)
(c)
Visto che un polinomio `e univocamente determinato dai suoi coecienti abbiamo cos` di-
mostrato in modo costruttivo la seguente:
Proposizione Sia f : (a, b) R derivabile almeno n volte nel punto c; allora: !T
n
polinomio di grado () n che ha un contatto di ordine n con la f in c:
T
n
(x) =
n

k=0
f
(k)
(c)
k!
(x c)
k
(f
(0)
:= f)
T
n
si dice Polinomio di Taylor di grado n.
Se il punto considerato `e c = 0 il polinomio si dice di Mac Laurin e si scrive pi` u semplice-
mente:
T
n
(x) =
n

k=0
f
(k)
(0)
k!
x
k
Valutiamo ora il resto nesimo: E
n
(x) := f(x) T
n
(x), ossia lerrore che si commette ap-
prossimando la funzione data con l polinomio di Taylor. Enunciamo, senza dimostrarlo, il
seguente:
Teorema Sia T
n
il polinomio di Taylor in un punto c e E
n
il suo resto. Allora:
(1) E
n
(x) = o ((x c)
n
) (formula di PEANO)
Se inoltre esiste la derivata n + 1-esima della f, allora:
(2) xd (x, c) : E
n
(x) =
f
(n+1)
(d)
(n + 1)!
(x c)
n+1
(LAGRANGE)
Notiamo per nire che la formula di Taylor `e una formula di approssimazione locale, ossia che
la sua validit`a `e limitata ad un intorno del punto considerato. Pi` u mi allontano dal punto
pi` u lerrore diventa grande e a un certo punto la formula perde di signicato. Si pensi anche
solo ad approssimare una funzione limitata (seno e coseno ad esempio) in questo modo:
qualunque polinomio prenda prima o poi esso comincer`a a crescere indenitamente, mentre
la funzione di partenza `e limitata! (gure 12, 13, 14)
4.6 Applicazioni di de LHopital e Taylor
(1) Calcolare i seguenti limiti (risultati gi`a visti):
(a) lim
x+
x
b
a
x
, a > 1, b > 0.
Posto = a
1/b
> 1 `e suciente mostrare che
x

x
0 per x +; infatti:
x
b
a
x
=
_
x
a
x/b
_
b
=
_
x

x
_
b
Applicando de LHopital si ottiene allora:
lim
x+
x

x
= lim
x+
1

x
log()
= 0
(b) lim
x+
(log
a
(x))

x
b
, a > 1, b > 0, > 0.
Come prima lesponente del logaritmo non conta perche posso scrivere:
(log
a
(x))

x
b
=
_
log
a
(x)
x
b/
_

con b/ > 0; applico de LHopital:


lim
x+
log
a
(x)
x
b
= lim
x+
x
1
log
a
(e)
b x
b1
= lim
x+
log
a
(e)
b x
b
= 0
(2) Calcolare i polinomi di Taylor di ordine 3 della funzione f(x) =
1
1 +x
nei punti x
0
= 0
e x
1
= 1 (gura 15).
Le prime tre derivate della funzione f sono:
f

(x) = (1 +x)
2
; f

(x) = 2 (1 +x)
3
; f

(x) = 6 (1 +x)
4
Perci`o nel punto x
0
= 0 i coecienti del polinomio sono:
a
0
= f(0) = 1; a
1
= f

(0) = 1; a
2
=
f

(0)
2!
= 1; a
3
=
f

(0)
3!
=
6
6
= 1
mentre nel punto x
1
= 1 i coecienti sono:
b
0
= f(1) =
1
2
; b
1
= f

(1) =
1
4
; b
2
=
f

(1)
2!
=
2
2
3
2!
=
1
8
; b
3
=
f

(1)
3!
=
6
2
4
6
=
1
16
I polinomi cercati sono dunque:
T
3,x=0
(x) = 1 x +x
2
x
3
T
3,x=1
(x) =
1
2

1
4
(x 1) +
1
8
(x 1)
2

1
16
(x 1)
3
(3) Calcolare i polinomi di Taylor di ordine generico n in x
0
= 0 con resto in forma di Peano
per le seguenti funzioni elementari:
(a) f(x) = e
x
Le derivate n-esime di e
x
rimangono sempre uguali, perci`o per ogni ordine n il coeciente
`e semplicemente
f
(n)
(0)
n!
=
1
n!
. Si ottiene quindi:
e
x
=
n

k+0
x
k
k!
+ o(x
n
)
Il polinomio di ordine 3 `e per esempio:
T
3
(x) = 1 +x +
x
2
2
+
x
3
6
(b) f(x) = sin(x)
Come gi`a notato le derivate successive del seno sono:
f

(x) = cos(x); f

(x) = sin(x); f

(x) = cos(x); f
(4)
(x) = sin(x)
e poi si ripetono. Ma nel punto x = 0 il seno si annulla, e quindi tutti i coecienti pari sono
nulli, mentre il coseno vale 1, e quindi si avr`a:
f
(2k)
(0) = 0; f
(2k+1)
= (1)
k

sin(x) =
n

k=0
(1)
k
x
2k+1
(2k + 1)!
+ o(x
2n+2
)
Il polinomio di ordine 5 (primi tre ordini signicativi) `e :
T
5
(x) = x
x
3
3!
+
x
5
5!
(c) f(x) = cos(x)
In maniera analoga alla precedente si ottiene per il coseno:
f
(2k)
(0) = (1)
k
; f
(2k+1)
= 0
cos(x) =
n

k=0
(1)
k
x
2k
(2k)!
+ o(x
2n+1
)
Il polinomio di ordine 4 (primi tre ordini signicativi) `e :
T
4
(x) = 1
x
2
2!
+
x
4
4!
(d) f(x) = log(1 +x)
Le derivate di log(1 +x) sono:
f

(x) = (1 +x)
1
; f

(x) = (1 +x)
2
; f

(x) = 2 (1 +x)
3
. . .
f
(k)
(x) = (1)
n+1
(n 1)! (1 +x)
n
Per cui nel punto x = 0 la derivata k-esima `e f
(k)
(0) = (1)
n+1
(n 1)! :
log(1 +x) =
n

k+1
(1)
k+1
x
k
k
+ o(x
n
)
Notiamo che il termine di grado 0 `e nullo.
Il polinomio di ordine 3 `e per esempio:
T
3
(x) = x
x
2
2
+
x
3
3
4.7 Estremi di una funzione
Il calcolo dierenziale mi permette di completare in maniera quantitativa lo studio del com-
portamento di una generica funzione. Abbiamo gi`a visto come trovare la retta tangente e
pi` u genericamente un polinomio di grado n che approssimi la curva in un punto, e abbiamo
visto come il segno della derivata prima mi indichi le regioni in cui la funzione `e crescente o
decrescente. Completiamo ora lo studio.
Denizione Punto stazionario (moto) o critico (non invertibilit`a) per la funzione f `e un
punto x
0
in cui la derivata di f si annulla f

(x
0
) = 0
Denizione Estremanti relativi di una funzione f sono quei punti in cui la funzione assume
valori localmente massimi o minimi (ossia H intorno di x
0
tale che f(x) f(x
0
), x H).
Estremanti assoluti sono quei punto in cui la funzione assume il valore massimo e minimo
di tutto il suo dominio.
I relativi punti di massimo e minimo (assoluti o relativi) vengono detti etsremi della fun-
zione.
Notiamo che vi `e una certa confusione perche con il pi` u semplice termine estremi a volte si
indicano anche i punti (valori della variabile indipendente) in cui la funzione assume massimi
e minimi, non solo gli eettivi valori della funzione.
Teorema (di Fermat) Se f `e derivabile in x
o
estremo locale allora f

(x
0
) = 0.
Dimostrazione (gi`a vista per Rolle)
Sia x
0
punto di massimo, ossia f(x) f(x
0
) per ogni x appartenente ad un intorno H di
x
0
. Allora:
se x > x
0

f(x)f(x
0
)
xx
0
0
se x < x
0

f(x)f(x
0
)
xx
0
0
_

_
se f

(x
0
) = 0
La condizione vista `e necessaria, ma non suciente, per avere un estremo. Notiamo che se
siamo in grado di studiare il segno della derivata prima nellintorno del punto x
0
a derivata
nulla allora potremo dire che:
(1) se f

(x) > 0 in un intorno sinistro di x


0
e f

(x) < 0 in un intorno destro, allora x


0
`e
punto di massimo (a sinistra la funzione cresce, a destra decresce);
(2) se f

(x) < 0 in un intorno sinistro di x


0
e f

(x) > 0 in un intorno destro, allora x


0
`e
punto di minimo;
(3) se il segno di f

`e lo stesso a destra e a sinistra di x


0
non ho massimo ne minimo.
Tuttavia non sempre `e facile valutare il segno di una funzione in tutto un intorno, perci`o
con il seguente teorema diamo una condizione suciente allesistenza di estremi locali.
Teorema Sia f derivabile almeno n volte in x
0
e:
f

(x
0
) = f

(x
0
) = . . . = f
(n1)
(x
0
) = 0
f
(n)
,= 0
Allora se n `e pari il punto x
0
`e di estremo locale e in particolare vale:
f
(n)
> 0 x
0
` e punto di minimo
f
(n)
< 0 x
0
` e punto di massimo
Se invece n `e dispari il punto x
0
non `e un estremo.
Dimostrazione Utilizzo la formula di Taylor. Se le prime n 1 derivate sono nulle si ha
semplicemente:
f(x) f(x
0
) =
f
(n)
(x
0
)
n!
(x x
0
)
n
+o((x x
0
)
n
)
Se ora n `e pari segue (x x
0
)
n
> 0 per cui:
f
(n)
> 0 f(x) f(x
0
) > 0 minimo
f
(n)
< 0 f(x) f(x
0
) < 0 massimo
Se invece n `e dispari allora (x x
0
)
n
cambia segno in ogni intorno di x
0
per cui il punto
non `e ne di minimo, ne di massimo.
Notiamo inne che per la ricerca di massimi e minimi globali non esistono regole parti-
colari (algoritmiche) per trovarli; semplicemente una volta trovati tutti i punti di estremi
locali bisogner`a confrontare fra loro i valori assunti dalla funzione in quei punti e stabilire
il massimo e il minimo di tali valori. Faccio notare che questo potrebbe non essere sempre
possibile, e potrebbe non essere facile nemmeno stabilire se esista o meno un massimo o un
minimo assuluto.
Si pensi alla funzione f(x) = x+sin(2x) (vedi gura 16), la cui derivata `e f

(x) = 1+cos(2x)
che si annulla in inniti punti e ha inniti massimi e minimi locali. Globalmente tuttavia la
funzione ha come parte dominante la x e quindi non essendo limitata non ammette massimo
ne minimo assoluti.
4.8 Covessit`a e essi
Denizione Insieme CONVESSO A R
2
`e un sottinsieme del piano tale che per ogni
coppia di punti x, y A il segmento congiungente x e y `e interamente contenuto in A.
Denizione Epigraco di una funzione f, (Epi(f))`e linsieme dei punti del piano (x, y) tali
che lordinata `e y f(x).
Denizione
(i) Una funzione f si dice CONVESSA in un intervallo I del suo dominio se Epi(f) (relati-
vamente allintervallo I) `e un insieme convesso. Una funzione f si dice CONCAVA se f `e
convessa.
(ii) Una funzione f `e convessa (concava) su I se per coppia di punti x, z I il segmento
di estremi (x, f(x)) e (z, f(z)) non ha punti sotto (risp.sopra) il graco di f, ossia se (caso
convesso):
f((1 t)x +tz) (1 t)f(x) +tf(z), t [0, 1]
La funzione si dice strettamente convessa (concava) se il segmento sta interamente sopra
(sotto) il graco, ossia analiticamente se la disuguaglianza vista sopra `e stretta.
Teorema Sia f : (a, b) R convessa; allora:
(1) x (a, b) esistono le derivate destre e sinistre f

(x);
(2) f `e continua in (a, b).
Lemma Sia f : (a, b) R; chiamiamo (z, x) :=
f(z) f(x)
z x
il rapporto incrementale tra
i punti x e z ossia le pendenza della retta congiungente (x, f(x)) e (z, f(z)). Allora (g.17):
f convessa x < y < z (a, b) : (y, x) < (z, x) < (z, y)
Il lemma dice anche che il rapporto incrementale (x, x
0
) fatto rispetto ad un punto sso
x
0
`e crescente in x.
Il teorema segue direttamente: se il rapporto incrementale `e monotono esistono i lim-
iti destro e sinistro verso qualunque punto interno, ossia le derivate destra e sinistra; a sua
volta questo implica la continuit`a a destra e sinistra ossia la continuit`a in ogni punto interno.
Proposizione Se f `e strettamente convessa in (a, b) e derivabile in un punto x
0
allora la
retta tangente al graco in (x
0
, f(x
0
)) sta interamente sotto il graco in tutto (a, b).
Dimostrazione Segue dal lemma precedente: poiche il rapporto incrementale in x
0
`e cres-
cente si ha:
x < z < x
0

f(x) f(x
0
)
x x
0
<
f(z) f(x
0
)
z x
0
lim
zx
0
f(z) f(x
0
)
z x
0
= f

(x
0
)
x > z > x
0

f(x) f(x
0
)
x x
0
>
f(z) f(x
0
)
z x
0
lim
zx
0
f(z) f(x
0
)
z x
0
= f

(x
0
)
f(x) > f(x
0
) +f

(x
0
) (x x
0
)
Teorema Sia f : (a, b) R; vale:
(1) se f `e derivabile: f convessa (concava) f

`e crescente (decrescente);
(2) se f `e derivabile due volte: f convessa (concava) f

(x) 0 ( 0), x (a, b).


Dimostrazione Notiamo che `e suciente dimostrare (1) perche (2) sappiamo gi`a che `e
equivalente, in quanto f

`e crescente se e solo se la sua derivata `e non negativa.


Per la dimostrazione di (1) utilizziamo ancora il Lemma visto.
Supponiamo f convessa; allora scelti due punti a e b e un terzo intermedio variabile a < x <
b, poiche il rapporto incrementale `e crescente, si ha:
f(b) f(a)
b a
lim
xa
f(x) f(a)
x a
= f

(a)
f(b) f(a)
b a
lim
xb
f(x) f(b)
x b
= f

(b)
Dunque per ogni coppia di punti a, b si ha f

(a) f

(b), ossia f

`e crescente.
Supponiamo ora che f

sia crescente; vogliamo far vedere che il rapporto incrementale in a


ssato `e crescente.
Consideriamo due punti x, z tali che x < a < z; per il teorema del valor medio esistono c, d
tali che:
f(x) f(a)
x a
= f

(c) con x < c < a


f(z) f(a)
z a
= f

(d) con a < d < z


Poichee f

(c) f

(d) si ha che il rapporto incrementale `e crescente per cui dal lemma f `e


convessa.
Denizione Sia f : (a, b) R e x
0
un punto in cui la derivata esiste o perlomeno esiste
innito il limite del rapporto incrementale. Diremo che x
0
`e un punto di esso o semplice-
mente un esso se esiste un intorno destro di x
0
in cui f `e convessa (concava) e un intorno
sinistro in cui `e concava (convessa).
Notiamo che se x
0
`e un esso la tangente in quel punto attraversa il graco di f; non `e
vero il viceversa!
Proposizione Sia x
0
punto di esso per f; se esiste la derivata seconda allora f

(x
0
) = 0.
Esercizio Dimostrare che x
0
= 0 `e punto stazionario, ma non `e estremo ne esso per la
seguente funzione:
f(x) :=
_

_
x
2
sin
_
1
x
_
x ,= 0
0 x = 0
La `e continua dovunque compreso lo 0 (lavevamo gi`a visto per x sin
_
1
x
_
). Calcolo la
derivata prima:
f

(x) = 2x sin
_
1
x
_
+x
2
cos
_
1
x
_

1
x
2
_
= 2x sin
_
1
x
_
cos
_
1
x
_
, x ,= 0
Per x = 0 devo fare il limite del rapporto incrementale:
f

(0) = lim
x0
x
2
sin
_
1
x
_
x
= lim
x0
x sin
_
1
x
_
= 0
Perci`o la funzione ha un punto critico in x
0
= 0 e in tale punto la tangente `e orizzontale.
Tuttavia la derivata I non `e continua in tale punto e quindi non derivabile ulteriormente.
Fuori dallorigine la derivata II `e:
f

(x) = 2 sin
_
1
x
_
2
1
x
cos
_
1
x
_

1
x
2
sin
_
1
x
_
In conclusione in qualunque intorno dello 0 la funzione e le sue derivate oscillano tra valori
positivi e valori negativi (addirittura nella derivata II le oscillazioni diventano innite!); la
f `e inoltre dispari. Perci`o:
- la retta tangente in 0 (la retta delle ascisse) attraversa il graco della f in 0;
- x
0
= 0 non `e punto di massimo, ne di minimo;
- in qualunque intorno destro (sinistro) dellorigine la f non `e ne convessa, ne concava,
ossia x
0
= 0 non `e punto di esso.
Notiamo che pu`o essere spesso utile a livello operativo considerare come denizione di punto
di esso quella locale data dallo Zwirner, ossia un punto P
0
in cui la tangente alla
curva attraversa la curva stessa. Con questa denizione si pu`o dare il seguente:
Teorema Sia x
0
un punto critico per la derivata prima f

(x), ossia un punto tale che


f

(x) = 0. Allora se la prima derivata che in x


0
non si annulla `e di ordine dispari il punto `e
di esso, se la prima derivata non nulla `e di ordine pari f `e localmente convessa o concava.
Cerchiamo ora una retta (incognita) che sia un asintoto obliquo, ossia che abbia la forma:
r : mx y +q = 0
e tale che quando x tende allinnito, tenda a zero la sua distanza da un punto del graco
di f, P(x, f(x)), ossia:
d(P(x, f(x)), r) =
[mx f(x) +q[

1 +m
2
Si dovr`a avere:
lim
x
(mx f(x) +q) = 0

_
lim
x
f(x) = lim
x
mx lim
x
f(x)
x
= m
lim
x
(f(x) mx) = q
5 Integrali
Integrale: due oggetti fondamentalmente diversi! Teorema Fondamentale.
Normalmente si parla di integrali deniti e indeniti, ma per questi ultimi sarebbe meglio
usare il termine pi` u preciso primitiva.
Ci occuperemo prima dellintegrale denito, che `e quello che ci interessa maggiormente, poi
vedremo come, attraverso la denizione di primitiva e la sua relazione con gli integrali de-
niti sia possibile trovare un metodo sucientemente semplice per calcolarli.
Integrale denito area di una gura piana il cui contorno non sia un insieme di segmenti
rettilinei. Riferimento fondamentale: area di un cerchio.
In questo caso la procedura storica dovrebbe essere nota: si considerano due successioni di
poligoni, gli uni inscritti nella circonferenza, gli altri circoscritti. Quindi si calcolano le aree
e si vede che la successione delle aree inscritte `e crescente, laltra `e decrescente (quindi en-
trambe ammettono limite); se tali limiti coincidono allora il loro valore comune rappresenta
una buona denizione di area del cerchio.
Prendiamo una gura piana chiusa curvilinea e cerchiamo di fare qualcosa di simile;
1) spezziamo la gura in due (o pi` u) parti ciascuna delle quali sia descrivibile come graco
di una funzione positiva (gura 18);
2) consideriamo i due (o pi` u) trapezoidi formati dal graco della funzione, dal segmento
dellasse delle ascisse compreso tra i due estremi di denizione e dalle due verticali che col-
legano questi punti ai corrispondenti punti del graco.
Larea sar`a semplicemente la dierenza delle due aree e quindi il problema `e riportato al
calcolo dellarea del trapezoide.
Sia f(x) continua e positiva e chiamiamo TRAPEZOIDE la gura xMNz compresa tra il
graco della f e lasse delle ascisse.
Cerchiamo di denire la sua area in maniera analoga a quanto fatto per il cerchio.
Suddividiamo [a, b] in n intervalli di ugual lunghezza h =
b a
n
e chiamiamo, per ogni
intervallino cos` ottenuto m
i
il valore minimo assunto dalla funzione nellintervallo i-esimo
e M
i
il valora massimo.
Deniamo inne due successioni:
s
n
= m
1
h +. . . +m
n
h = h
_
n

i=1
m
i
_
S
n
= M
1
h +. . . +M
n
h = h
_
n

i=1
M
i
_
in cui la variabile n rappresenta il numero di intervallini in cui abbiamo suddiviso [a, b].
Ogni termine delle due successioni rappresenta larea del rettangolino in cui la base `e un
sottointervallo della suddivisione eettuata e laltezza `e rispettivamente il minimo o il mas-
simo della funzione in quel sottointervallo: quindi s
n
ha lo stesso ruolo della successione di
polinomi inscritti nella circonferenza, ossia approssima larea del trapezoide dal basso (nel
senso che `e certamente minore, al pi` u uguale allarea voluta), mentre S
n
gioca il ruolo dei
polinomi circoscritti, ossia approssima larea da valore pi` u grandi.
Inoltre `e facile vedere che s
n
`e crescente e superiormente limitata mentre S
n
`e decrescente
e inferiormente limitata, per cui entrambe hanno limite. Senza dimostrarlo enunciamo il:
Teorema Se f `e continua e positiva in [a, b] allora:
lim
n+
s
n
= lim
n+
S
n
Notiamo che per i teoremi sui limiti di funzioni (e successioni) monotone si ha che:
lim
n+
s
n
= sup
n
s
n
lim
n+
S
n
= inf
n
S
n
Viene allora naturale denire larea del trapezoide come il valore comune dei limiti per le
successioni approssimanti del basso s
n
e dallalto S
n
.
Rimuovendo la condizione di positivit`a sulla funzione potr`o ancora costruire due successioni
basate sui minimi e sui massimi relativi ad una decomposizione dellintervallo:
Teorema Se f `e continua in [a, b] vale:
lim
n+
s
n
= lim
n+
S
n
Denizione Si dice integrale denito di f tra a e b il valore limite comune delle due
successioni s
n
e S
n
, e si indica:
_
b
a
f(x) dx
dove a e b vengono detti estremi di integrazione (rispettivamente inferiore e superiore), x `e
detta variabile di integrazione e f funzione integranda.
Notiamo che lintegrale denito `e un numero, non una funzione e quindi non dipende
dalla variabile x.
Lintegrale si pu`o denire anche a partire da condizioni molto meno restrittive riguardo al
tipo di suddivisione fatta e di valori scelti. Infatti possiamo considerare una qualunque de-
composizione dellintervallo [a, b] in sottointervalli di misura dierente scegliendo un qualunque
numero n di punti x
i
, con x
0
= a e x
n
= b; quindi invece del minimo o del massimo in ogni
intervallo cos` costruito prendiamo un punto
i
e consideriamo il valore della funzione in quel
punto f(
i
) e il valore complessivo della somma delle aree dei rettangoli di base h
i
= x
i
x
i1
e altezza f(
i
). Denendo opportunamente un limite quando la lunghezza massima degli
intervallini 0 (vedi Zwirner) si otterr`a ancora un risultato simile a quello gi`a visto:
Teorema se f `e continua in [a, b] allora esiste:
lim
0
_
n

i=1
h
i
f(
i
)
_
Denizione Si dice integrale denito di f tra a e b il valore limite quando 0 delle
precedenti somme:
_
b
a
f(x) dx = lim
0
_
n

i=1
h
i
f(
i
)
_
Aggiungiamo inne due Denizioni:
_
a
b
f(x) dx :=
_
b
a
f(x) dx
_
a
a
f(x) dx := 0
Propriet`a dellintegrale denito Nellipotesi che le funzioni siano continue:
(1) Linearit`a rispetto agli estremi:
_
b
a
f(x) dx =
_
c
a
f(x) dx +
_
b
c
f(x) dx
(2) Linerit`a rispetto allintegrando:
_
b
a
[f
1
(x) +f
2
(x) +. . . +f
n
(x)] dx =
_
b
a
f
1
(x) dx +
_
b
a
f
2
(x) dx +. . . +
_
b
a
f
n
(x) dx
_
b
a
k f(x) dx = k
_
b
a
f(x) dx k R
(3) Teorema della Media:
x
1
[a, b] :
_
b
a
f(x) dx = f(x
1
) (b a)
Dimostrazione 3
Siano m, M rispettivamente il minimo e il massimo della f su [a, b], h la ampiezza degli
intervalli in cui `e decomposto a, b] e m
i
il minimo (massimo) su ogni intervallo.
Per ogni intervallo vale:
mh m
i
h Mh
Per cui passando al limite e sommando su tutti gli intervalli:
m(b a)
_
b
a
f(x) dx M(b a) =
k [m, M] tale che :
_
b
a
f(x) dx = k(b a)
Poiche f `e continua esiste allora un punto interno x
1
in cui vale f(x
1
) = k.
Denizione Funzione Primitiva o semplicemente primitiva di f in [a, b] `e una qualunque
funzione g : [a, b] R tale che:
g

(x) = f(x) x [a, b]


Notiamo che se g `e una primitiva ogni altra funzione g+ costante che si ottiene aggiungendo
un qualunque numero reale alla g `e ancora una primitiva. Allora:
Denizione Integale Indenito di f `e linsieme di tutte le primitive di f; si indica con:
_
f(x) dx
Notiamo che lintegrazione non `e un operazione tra funzioni e in particolare non `e linversa
della derivazione perche ad ogni funzione f associa una innit`a di funzioni. Tuttavia allatto
pratico ci`o che si fa per trovare un indegrale indenito `e proprio il calcolo di una generica
primitiva, ossia una operazione inversa alla derivazione. Notiamo in proposito che scelta
una particolare primitiva (ad esempio la cosiddetta funzione integrale che vedremo sotto) a
volte, anche partendo da funzioni integrande che sono combinazioni delle funzioni elemen-
tari note, si ottengono funzioni che sono eettivamente nuove, nel senso che non si possono
ottenere per operazioni elementari, composizione o inversione delle funzoni di base. Un
esempio molto importante per la statistica `e la cosiddetta campana di Gauss che `e semplice-
mente lintegrale di e
x
2
.
Teorema Ogni funzione f continua ammette primitive (e quindi integrale indenito)..
Propriet`a Lintegrale indenito `e lineare ossia:
_
[f
1
(x) +f
2
(x) +. . . +f
n
(x)] dx =
_
f
1
(x) dx +
_
f
2
(x) dx +. . . +
_
f
n
(x) dx
_
k f(x) dx = k
_
f(x) dx k R
Tra gli integrali deniti e quelli indeniti viene stabilita una relazione tramite un fondamen-
tale teorema che da un lato giustica il nome comune, dallaltro permette il calcolo degli
integrali deniti (che in genere `e quello che importa) attraverso il ben pi` u facile calcolo di
una primitiva.
Denizione Si dice Funzione Integrale della funzione f la funzione della variabile x reale:
F(x) :=
_
x
a
f(t) dt
Teorema fondamentale del calcolo integrale
Se la funzione f `e continua allora esiste la derivata della funzione integrale e vale:
F

(x) = f(x)
ossia la funzione integrale `e una primitiva della f.
Dimostrazione Considero il rapporto incrementale per la F:
F(x +h) F(x) =
_
x+h
a
f(t) dt
_
x
a
f(t) dt =
=
_
x
a
f(t) dt +
_
x+h
x
f(t) dt
_
x
a
f(t) dt =
_
x+h
x
f(t) dt
Se applichiamo il teorema della media integrale si ha che x
1
(x, x +h) tale che:
F(x +h) F(x) = h f(x
1
)
Poiche facendo tendere h a zero il punto x
1
necessariamente tende ad x e usando la continuit`a
della funzione f si ottiene:
lim
h0
F(x +h) F(x)
h
= lim
h0
f(x
1
(x)) = lim
x
1
x
f(x
1
) = f(x)
Questo risultato si utilizza direttamente nel calcolo degli integrali deniti.
Sappiamo infatti che due qualunque primitive dieriscono solo per una costante, per cui se
`e unaltra primitiva della f si ha:
(x) = F(x) +k =
_
x
a
f(t) dt +k
(a) = F(a) +k =
_
a
a
f(t) dt +k = k
_
x
a
f(t) dt = (x) (a)
Poich`e questo `e vero per ogni punto x si ha in particolare che lintegrale denito tra a e b `e
semplicemente la dierenza di una qualunque primitiva calcolata nei punti b e a:
_
b
a
f(t) dt = (b) (a)
Spesso si indica tutto ci`o con la scrittura:
_
b
a
f(t) dt = [(x)]
b
a
METODI DI INTEGRAZIONE
Integrazione per decomposizione
Non si tratta di un vero metodo: semplicemente si tratta di ricondurre attraverso oper-
azioni elementari lintegrale a proposto ad una combinazione lineare di integrali noti.
Integrazione per parti
Si basa sullapplicazione inversa della formula di derivazione di un prodotto:
d
dx
[f(x) g(x)] = f

(x) g(x) +f(x) g

(x)

_
f(x) g

(x) dx =
_
d[f(x) g(x)]
_
f

(x) g(x)dx

_
f(x) g

(x) dx = [f(x) g(x)]


b
a

_
f

(x) g(x)dx
Questa formula si usa quando nellintegrando si riconosce il prodotto di una funzione (f(x))
e della derivata di una seconda funzione (g

(x)); come gli altri metodi non `e risolutivo nel


senso che porta un integrale in un altro integrale pi` u una funzione nota. La sua utilit`a, cos`
come per il seguente metodo di sostituzione, si ha quando il nuovo integrale `e pi` u semplice
del precedente nel senso che `e riconducibile immediatamente o per decomposizione a inte-
grali noti.
Integrazione per sostituzione
In questo metodo si utilizza una trasformazione della variabile di integrazione in modo da
riportare un integrando in una nuova forma direttamente integrabile. Il cambio di variabile
deve essere una trasformazione invertibile.
Supponiamo di dover calcolare
_
f(x) dx e poniamo la seguente trasformazione invertibile:
x = (t) con inversa t = (x)
Allora si ha: se F(t) `e una primitiva di
_
f((t))

(t)dt vale:
_
f(x) dx = F((x)) +cost.
Dimostrazione Devo dimostrare che F((x)) `e una primitiva della f.
D(F((x))) = F

((x))

(x) = F

(t)

(x) =
= f((t))

(t)

(x) = f((t)) = f(x)


dove il penultimo passaggio `e dovuto al fatto che

= 1 in quanto inverse luna dellaltra.


IN PRATICA nellintegrale
_
f(x) dx si pone x in funzione di una nuova variabile t:
x = (t), quindi si calcola dx in funzione di dt: dx =

(t)dt. Inne sostituendo si calcola


lintegrale:
_
f((t))

(t) dt = F(t) +cost


e nella primitiva F si sostituisce linversa della sostituzione fatta: t = (x).
Attenzione: quando si fa il cambio di variabili in un integrale denito bisogna cambiare
anche gli estremi di integrazione perche devono estremi per la nuova variabile t, ossia, posto
come sopra x = (t) con inversa t = (x), si ha:
_
b
a
f(x) dx =
_
(b)
(a)
f((t))

(t) dt
TABELLA DI INTEGRALI IMMEDIATI
_
kdx = k x +cost. k R
_
x

dx =
1
+ 1
x
+1
+cost. R, ,= 1
_
1
x
dx = log [x[ +cost.
_
P
n
(x)dx = Q
n+1
(x)
_
e
x
dx = e
x
+cost.
_
a
x
dx =
1
log(a)
a
x
+cost.
_
sin(x)dx = cos(x) +cost.
_
cos(x)dx = sin(x) +cost.
_
1
cos
2
(x)
= tan(x) +cost.
_
1
sin
2
(x)
= cotan(x) +cost.
_
1

1 x
2
dx = arcsin(x) +cost.
_
1
1 +x
2
dx = arctan(x) +cost.
GENRALIZZAZIONE
_
[f(x)]

(x) dx =
1
+ 1
[f(x)]
+1
+cost.
_
f

(x)
f(x)
dx = log [f(x)[ +cost.
_
sin[f(x)] f

(x)dx = cos[f(x)] +cost.


_
cos[f(x)] f

(x)dx = sin[f(x)] +cost.


_
1
cos
2
[f(x)]
f

(x)dx = tan[f(x)] +cost.


_
e
f(x)
f

(x)dx = e
f(x)
+cost.
_
1
1 + [f(x)]
2
f

(x)dx = arctan[f(x)] +cost.

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