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MASTER DI SECONDO LIVELLO IN DIRITTO AMBIENTALE

NORME, ISTITUZIONI, ATTUAZIONE

A.A. 2007-2008

Il Trattato internazionale sulle risorse genetiche


vegetali per l'alimentazione e l'agricoltura:
stato dell'attuazione

autore:

Marina Chiarugi
1. La genesi del Trattato internazionale sulle risorse genetiche vegetali per l'alimentazione e
l'agricoltura

Le risorse genetiche vegetali per l'alimentazione e l'agricoltura presentano delle specificità del tutto
peculiari rispetto alle altre categorie di risorse genetiche, grazie a una serie di fattori che le
caratterizzano. In primo luogo, deve essere considerato il ruolo determinate svolto dall'intervento
umano nell'ambito delle attività di conservazione, creazione, mantenimento e miglioramento delle
diverse colture. Inoltre, tali risorse sono per definizione sparse in tutto il mondo e pertanto, in ragione
dell'importanza che rivestono nel garantire un obiettivo di assoluta priorità quale la sicurezza alimentare,
l'interdipendenza tra i membri della comunità internazionale risulta oltremodo elevata.
Conseguentemente, gli scambi internazionali di materiale fitogenetico sono sempre stati particolarmente
numerosi, al fine di garantire produzione, selezione e ricerca. Tale circostanza rende particolarmente
difficile, e in certi casi addirittura impossibile, l'identificazione del paese di origine, a differenza delle
specie selvatiche endemiche, evolutesi senza l'intervento umano e non soggette a transazioni
internazionali. Inoltre, non è possibile prescindere dalla considerazione dei rischi che, risorse genetiche
a tal punto essenziali, corrono in conseguenza umane, quali le attività di c.d. biopirateria, l'introduzione
di sistemi agricoli incentrati sulle monocolture intensive, nonché a causa degli effetti del
surriscaldamento climatico indotto dalle emissioni antropogeniche di gas serra.
Il Trattato internazionale sulle risorse genetiche vegetali per l'alimentazione e l'agricoltura
(successivamente, il Trattato) è stato adottato il 3 novembre 2001, al termine della trentunesima
sessione della Conferenza della FAO (Food and Agricolture Organization), al fine di garantire un
approccio integrato e fondato su uno strumento giuridico di natura vincolate alla gestione di risorse a tal
punto essenziali.
L'adozione del Trattato è avvenuta per consensus, nonostante le significative astensioni di Stati Uniti
e Giappone. Il processo negoziale che ne ha preceduto l'adozione, durato sette anni e portato avanti in
seno alla Commissione sulle risorse genetiche vegetali della FAO, è stato innescato dalla risoluzione
7/93, che richiamava l'attenzione degli Stati membri di fronte alla necessità di revisione dell'Intesa
internazionale sulle risorse genetiche vegetali del 1983, in conformità al nuovo modello di gestione
delle risorse genetiche contenuto nella Convenzione sulla diversità biologica (CDB).
Il Trattato ha visto la sua entrata in vigore il 29 giugno 2004, novantesimo giorno successivo al
deposito del quarantesimo strumento di ratifica (condizione aggiuntiva per l'entrata in vigore era che
almeno la metà delle quaranta ratifiche provenisse da Stati membri della FAO) e ad oggi conta 116 parti
contraenti (115 Stati e la Comunità Europea). Stati Uniti e Giappone risultano a tutt'oggi estranei al
sistema del Trattato, tuttavia gli Stati Uniti lo hanno firmato nel 2002.
Gli obiettivi generali sono del tutto affini a quelli della CDB, ovvero la conservazione delle risorse
genetiche, il loro utilizzo sostenibile e la condivisione dei benefici derivanti dalla loro utilizzazione, ma
l'ambito di applicazione ratione materiae risulta notevolmente circoscritto rispetto alla Convenzione. In
esso rientrano esclusivamente le risorse genetiche di origine vegetale per l'alimentazione e l'agricoltura
conservate sia in situ che ex situ, dovendosi pertanto escludere ogni ipotesi di applicabilità delle
disposizioni del Trattato all'utilizzo di dette risorse in campo chimico, farmaceutico e nell'industria non
alimentare, in coerenza con le finalità ultime del Trattato, ossia la promozione di un'agricoltura
sostenibile e della sicurezza alimentare.
Inoltre, soltanto le risorse fitogenetiche per usi agricoli o alimentari elencate nell'Allegato I rientrano
nell'ambito di applicazione dei meccanismi contemplati dalla Parte IV, posti a fulcro del trattato e volti a
facilitare l'accesso alle risorse e l'equa divisione dei benefici da esse derivanti. L'allegato elenca
sessantaquattro specie vegetali per impieghi sia alimentari che foraggieri e comprendenti quasi tutte le
principali varietà di cereali e legumi, scelte in base a criteri di sicurezza alimentare e di interdipendenza.
L'inclusione di ventinove varietà di foraggi estende notevolmente la portata del Trattato, offrendo
all'agricoltore garanzie sia sotto il profilo meramente agricolo che riguardo all'allevamento. Ciò
nonostante, sono state tenute fuori dal sistema alcune specie economicamente importanti: la soia, certe
varietà di foraggi, la canna da zucchero, la palma, il pomodoro, etc. Com'è naturale, tale risultato è
frutto di un compromesso fra i vari interessi degli Stati. Alcuni paesi in via di sviluppo, in particolare,
hanno ritenuto che, in riferimento a tali specie, la libertà di ricorrere agli accordi bilaterali fondati

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sull'art. 15 della CDB permettesse loro di trarre benefici economici maggiori.

2. Il mutamento del regime di accesso alle risorse fitogenetiche tra l'Intesa del 1983 e il Trattato
del 2001

Il Trattato sulle risorse fitogenetiche offre un esempio dei tentativi di contemperare il modello di
patrimonio comune dell'umanità proposto dell'Intesa della FAO con il principio di sovranità contemplato
dalla CBD.
Il periodo storico che separa i due strumenti normativi ha assistito ad un mutamento radicale del
paradigma concettuale alla base del modello di gestione delle risorse genetiche. Seppure priva di portata
vincolante, l'Intesa proclamava il divieto di porre restrizioni all'accesso alle risorse fitogenetiche in
quanto heritage of mankind. Tale approccio è stato reso inoperativo dalla quasi totale assenza di
meccanismi di gestione internazionale e di ripartizione dei benefici, nonché dalla convergenza di
interessi sia dei paesi in via di sviluppo che dei paesi industrializzati. Se, da un lato, ai primi premeva
garantirsi la massima discrezionalità riguardo la gestione delle proprie risorse (sia per potersi opporre a
future azioni di biopirateria, sia per poter massimizzare i benefici derivanti dal loro sfruttamento
economico), i secondi non potevano prescindere dal pretendere garanzie efficaci circa la protezione
degli interessi commerciali inerenti lo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale. La ratio che ha
condotto all'adozione del più evanescente concetto di interesse comune dell'umanità (common concern
of humankind) presente nel preambolo della CBD, è stata anticipata da due risoluzioni miranti alla
revisione dell'Intesa, in cui veniva proposto il compromesso marcatamente ossimorico secondo il quale
“il concetto di patrimonio comune dell'umanità, come applicato nell'Intesa (...), è soggetto alla sovranità
degli Stati sulle loro risorse fitogenetiche”.
Naturalmente, pur discostandosi nettamente dalla nozione di patrimonio comune dell'umanità, la
prospettiva offerta dall'interesse comune risulta attenuata rispetto al sistema contenuto nella nota
risoluzione 1803 del '62 dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla sovranità permanente dei
popoli sulle risorse naturali. Difatti, in relazione a quest'ultima, è stato definito da parte della dottrina
“regime moderno di sovranità permanente”, poiché la sovranità dello Stato territoriale deve essere
adattata all'interesse generale della comunità internazionale nel garantire l'accesso a tali risorse, evitando
restrizioni irragionevoli che collidano con la riconosciuta necessità di un approccio olistico e
cooperativo alla gestione e conservazione delle stesse. L'art. 15 della CBD esemplifica efficacemente il
nuovo approccio, riconoscendo agli Stati la facoltà di disciplinare autonomamente l'accesso alle proprie
risorse, dovendo soltanto evitare restrizioni contrarie allo spirito della Convenzione. L'art. 16, definendo
i termini per il trasferimento tecnologico, avrebbe dovuto assicurare ai paesi in via di sviluppo
l'adeguata contropartita per la concessione dell'accesso alle risorse genetiche, garantendo ad essi
facilitazioni similari in materia di accesso alla tecnologia. La formulazione delle norme ivi contenute
rappresenta, al contrario, una vittoria dei paesi economicamente sviluppati, in cui la tutela della
proprietà intellettuale sembra porre in subordine le condizioni eque e favorevoli a cui tale trasferimento
dovrebbe avvenire. In sostanza, la Convenzione enuncia principi e linee di condotta lasciando agli Stati
e ai singoli operatori economici il compito di concretizzarne i contenuti, secondo una prassi che ha molti
punti in comune con le precedenti tipologie di contratti di bioprospezione, definiti esclusivamente sulla
base dei rapporti di forza delle parti contraenti, e che ha trovato una parziale attenuazione soltanto nei
sistemi di gestione regionale come quello posto in essere nel 1996 dagli Stati del Patto Andino.
Il Trattato della FAO sulle risorse fitogenetiche mira a temperare tale ritorno alla sovranità, fornendo
dei meccanismi per facilitare l'accesso alle risorse genetiche che abbiano rilevanza in campo agricolo e
alimentare, in conseguenza del ragionevole timore che il regime della CDB avrebbe potuto mettere
seriamente a rischio un obiettivo assolutamente prioritario come la sicurezza alimentare. Il Trattato,
ribadendo la nozione di interesse comune dell'umanità in relazione a tale categoria di risorse
fitogenetiche, istituisce un sistema strutturato che garantisce, da un lato, l'accesso facilitato a dette
risorse e, dall'altro, la ripartizione equa dei benefici derivanti dal loro utilizzo attraverso quattro
tipologie di strumenti, istituzionalizzando la contropartita che i paesi in via di sviluppo avevano visto
sfumare durante i negoziati della CDB.

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3. La Parte IV del Trattato: il sistema multilaterale di accesso e di ripartizione dei vantaggi

Come precedentemente accennato, prima dell’entrata in vigore del Trattato, l’accesso alle risorse
genetiche veniva subordinato al previo consenso informato dello Stato fornitore e regolato da singoli
accordi tra le parti interessate al prelievo della risorsa, conformemente alle disposizioni della CDB.
Tuttavia, l’approccio bilaterale si è rivelato poco idoneo a soddisfare le esigenze del settore agricolo, in
ragione dei costi elevati delle transazioni. L'obbligo di negoziare l’accesso alle risorse caso per caso ha
inevitabilmente penalizzato i paesi in via di sviluppo, nonché la rapida circolazione delle risorse. In tal
senso, la creazione di un sistema di accesso e di scambio di benefici su base multilaterale ha consentito
di mettere in relazione le banche di germoplasma dislocate in ogni parte del mondo, pubbliche e private,
assicurando un modello di contrattazione standard che regolamenta l’accesso alle risorse, distribuendo i
benefici in modo equo tra le tutti i soggetti interessati, anche attraverso il trasferimento delle tecnologie
e le attività di capacity building.
Il sistema multilaterale previsto dal Trattato costituisce lo strumento per l'esercizio dei propri diritti
sovrani, espressamente riconosciuti agli Stati dall'art. 10 e garantiti della condivisione dei benefici.
Gli Stati, divenendo parte del Trattato, acconsentono ad una compressione della loro sovranità sulle
risorse fitogenetiche, prestando automaticamente il consenso informato su base multilaterale,
obbligandosi ad agevolare l’accesso alle risorse e accettando i termini si scambio.
La portata del sistema è stata volutamente circoscritta alla lista di coltivazioni contenuta
nell’Allegato I. L’esclusione di alcune varietà dal sistema multilaterale rappresenta il compromesso
inevitabile nel bilanciamento degli interessi delle parti contraenti e rivela una maggiore cautela da parte
degli Stati nell’assunzione di obbligazioni che in un sistema più ampio sarebbero state più impegnative.
Il concetto di food security, considerato tanto a livello globale quanto nazionale, regionale ed
individuale, rappresenta il criterio di ripartizione che ha giustificato un approccio qualitativo piuttosto
che quantitativo. Difatti, l’allegato I comprende anche alcune varietà minori che però costituiscono un
elemento basilare nell’alimentazione di diverse popolazioni locali. Tali criteri finiscono per condizionare
l’inclusione di altre varietà in futuro, fornendo un'indicazione della direzione in cui la lista potrà essere
emendata. L’Organo di Governo ha il compito di riesaminare la lista entro due anni dall’entrata in
vigore del Trattato, per quanto tale ipotesi non abbia ancora trovato riscontro.
Affinché una specie vegetale rientri nel sistema, non è sufficiente che sia inclusa nell’allegato I, ma
dovrà trovarsi anche sotto la gestione e il controllo diretto di uno Stato parte nonché in pubblico
domino. Le banche di germoplasma che custodiscono queste risorse possono far capo ad enti non
governativi, università, istituti di ricerca, oltre che a soggetti privati. Conseguentemente, il materiale che
non si trovi nella disponibilità diretta degli Stati potrà essere incluso nel sistema multilaterale dal
detentore su base volontaria. Spetta alle autorità nazionali adottare misure interne per incentivare la
condivisione di tali risorse, con l’obiettivo di massimizzare la copertura del sistema. Un'importante
funzione dell’ Organo di governo riguarda la facoltà, ad esso attribuita dal par. 4 dell'art. 11, di
prevedere restrizioni all’accesso al sistema multilaterale per quei soggetti che si siano rifiutati di rendere
disponibile il materiale in loro possesso. E’ un potere tanto singolare quanto incisivo, una clausola che
permette all’organo istituzionale di un trattato di sanzionare soggetti diversi dagli Stati, qualora venga
meno la condizione di reciprocità nell’accesso. Tale prerogativa, del tutto inconsueta nel contesto di un
trattato internazionale, viene ridimensionata dal meccanismo decisionale dell'Organo. Dovendo adottare
le proprie decisioni del consensus, appare poco probabile che uno Stato parte possa effettivamente
decidere di adottare sanzioni contro i propri cittadini e le proprie imprese per indurli a rinunciare ai
propri diritti di proprietà intellettuale.
Com’è noto, lo scopo del trattato è quello di rendere quanto più agevole possibile l’accesso alle
varietà fitogenetiche incluse nel sistema multilaterale, facilitarlo in modo che esso divenga rapido,
economico, aperto anche ai soggetti con minore disponibilità finanziarie e ai paesi che dispongono di un
livello di tecnologia meno avanzato. Un ulteriore aspetto di particolare rilevanza riguarda la condizione
che l’accesso venga effettuato soltanto per gli scopi previsti dal trattato, ovvero per finalità connesse
all’agricoltura, tra cui anche l'utilizzo e la conservazione per ricerca, innesti e sperimentazioni. Qualora
la fruizione delle risorse attenga all’impiego nell’industria chimica o farmaceutica il prelievo delle
risorse sarà oggetto di specifica transazione e non verranno posti in essere i meccanismi perequativi del
sistema multilaterale. In caso di potenziale utilizzo multiplo, il criterio determinante per la concessione

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del materiale deve essere individuato nell’importanza della risorsa genetica per la sicurezza alimentare,
ma la decisione di fornire o meno il campione è rimessa alla parte contraente.
Le modalità dell’accesso sono volte a creare ad un sistema snello, che consenta una certa rapidità dei
trasferimenti. L’accesso deve essere gratuito o quantomeno soggetto ad una tariffa che copra solo i costi
amministrativi della transazione. La mancata predisposizione della registrazione degli accessi è un
elemento apparentemente incompatibile con la previsione dei contratti per il trasferimento del materiale,
i quali costituiscono pur sempre una forma di monitoraggio dei dati, ma che deve essere considerato
nell’ottica di un adempimento richiesto per il primo accesso e non per i successivi. Al trasferimento
della risorsa è infatti collegata la pubblicità dai dati identificativi attinenti la catalogazione, il numero di
accesso e altri dati tecnici. La disciplina della divulgazione dei dati confidenziali oltre che delle
informazioni coperte da copyright e dal segreto industriale è rimessa alle disposizioni della legislazione
nazionale.
La tutela della proprietà intellettuale costituisce l’aspetto più controverso in materia di genetica
vegetale, ed è piuttosto agevole rilevare come l’intera disciplina del sistema multilaterale sia finalizzata
ad evitare che la concessione di brevetti possa ostacolare la libera disponibilità delle risorse
fitogenetiche, in aperto contrasto con gli obiettivi di sicurezza alimentare alla base del Trattato. Tale
divieto riguarda in modo particolare la brevettabilità di una sequenza genetica isolata nella sua forma
originaria e non si estende a nuove varietà derivate dalla manipolazione del materiale genetico ottenuto
tramite il sistema multilaterale. La possibilità di ottenere un brevetto su una varietà vegetale è
pacificamente ammessa in molti paesi industrializzati, oltre ad essere riconosciuta nell’accordo TRIPs
(Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights, siglato nel 1994 e rientrante tra gli accordi
allegati dell'Organizzazione mondiale del Commercio) a condizione che sussistano due presupposti:
l’elemento dell'innovazione e la possibilità di utilizzo industriale. Senza addentrarsi nei profili
interpretativi legati alla qualificazione del momento in cui il materiale genetico possa ritenersi
effettivamente modificato, è sufficiente considerare che brevettare la risorsa “nella forma ricevuta dal
sistema multilaterale”, ovvero così come si trova in natura, avrebbe importanti conseguenze su qualsiasi
ulteriore modifica delle risorse genetiche, poiché, in questo caso, il miglioramento e la creazione di
nuove varietà costituirebbero un violazione del brevetto. D’altronde, sarebbe una palese incongruenza
garantire l’accesso facilitato alle risorse e allo stesso tempo consentire la possibilità di impedire o
limitare l’accesso rivendicando diritti di proprietà intellettuale sulle medesime risorse, ottenute peraltro
in regime di favore.
Ad ogni modo, il trattato riconosce la possibilità che alcune risorse possano essere coperte da diritti
di proprietà intellettuale e quindi incluse nel sistema volontariamente dai detentori di tali diritti,
prevedendo che l’accesso debba essere coerente con gli accordi internazionali e le leggi nazionali in
materia. Il limite di questa disposizione è evidente, in quanto resta irrisolta la contraddizione tra
esercizio del diritto e necessità di controllare l’accesso e l’uso del materiale, specialmente se si
considera che la disciplina dei brevetti presenta caratteristiche tutt’altro che univoche tra i vari
ordinamenti nazionali e solitamente la sua applicabilità è limitata all’ambito della giurisdizione in cui
opera. Al detentore dei diritti di proprietà intellettuale viene altresì concesso di fissare una tariffa per
l’accesso, seppure limitata ai costi amministrativi della transazione.
Nel caso in cui le risorse genetiche siano conservate in situ l'accesso ad esse dipenderà naturalmente
dalle autorità nazionali, mentre, qualora siano protette da brevetti o diritti di altra natura, l'accesso sarà
subordinato al rispetto di questi ultimi.
Al contrario, l’accesso al germoplasma conservato ex situ e rientrante nella lista dell'Allegato I è
regolato da un modello contrattuale standard adottato dall’Organo di governo durante la sua prima
sessione, che contiene le condizioni e i termini del trasferimento ai quali dovrà essere effettuata la
transazione. Il ricorso a tali accordi, noti come Material Transfer Agreements (MTAs), assicura una
disciplina uniforme delle transazioni alle condizioni dettate dall’art. 12 relativo all'accesso facilitato,
evitando che il termini dell’accordo siano oggetto di negoziazione su base bilaterale.
Sono previste due tipologie di accordi, lo Standard MTA (SMTA) e l'MTA per le risorse in regime
amministrazione fiduciaria non contemplate dall'allegato I. Quest’ultimo si risolve in una serie di
indicazioni sui trasferimenti di materiale genetico non incluso nel sistema multilaterale, ma detenuto dai
centri di raccolta del germoplasma prima dell’entrata in vigore del Trattato, lasciando alle parti
contraenti ampia autonomia nel determinare gli aspetti formali del contratto. Malgrado l’assenza di

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espliciti obblighi di contribuzione, i destinatari di dette risorse possono scegliere di condividere
volontariamente i benefici derivanti dall’uso del germoplasma ricevuto secondo i meccanismi previsti
dall’art. 13 riguardo la condivisione dei benefici, avvalendosi, ad esempio, dei programmi di ricerca e
sviluppo promossi dallo stesso centro che le ha fornite.
L’SMTA si applica alle varietà rientranti nella lista di cui all’Allegato I. L'Organo di governo ha
elaborato un modello contrattuale piuttosto dettagliato, con specifici richiami ai diritti e agli obblighi
delle parti, tra i quali il più significativo è senz’altro il meccanismo di contribuzione, che dispone il
versamento al conto fiduciario creato dal trattato di una parte delle royalties derivanti dalla
commercializzazione dei prodotti che contengano il materiale fitogenetico ottenuto tramite il sistema
multilaterale. Ai sensi dell'Allegato II dello SMTA, qualora il prodotto sia tutelato da un brevetto, il
destinatario è tenuto al pagamento di una percentuale fissa sul ricavato delle vendite che ammonta all’
1,1% del ricavato, detratto del 30% in ragione dei costi di tali transazioni. La contribuzione è soltanto
facoltativa nel caso in cui il prodotto sia disponibile senza restrizioni per successive ricerche. Inoltre,
l’allegato III contiene una disciplina transitoria che prevede un regime di favore che consente ai
beneficiari di dover devolvere soltanto lo 0,5% dei proventi delle vendite, con esclusivo riguardo ai
trasferimenti di risorse fitogenetiche ancora in fase sperimentale o alla vendita di più prodotti che
derivino dalla medesima coltura. Un risultato importante contenuto nello SMTA riguarda una nuova e
più semplice definizione del termine “prodotto”, ossia qualsiasi varietà di pianta che contenga
materiale proveniente dal sistema multilaterale. Questa definizione rende più facile l’interpretazione
dell’accordo, soprattutto in relazione alla portata dell’art. 12, par. 3 d), in cui si vieta la
rivendicazione di diritti di proprietà intellettuale sul materiale ricevuto dal sistema multilaterale o
anche su parti o singoli geni.
All'Organo di governo è attribuita la facoltà di riesaminare le tariffe, valutare la modifica dei criteri
di pagamento e decidere eventuali esenzioni per gli agricoltori dei paesi in via di sviluppo nell’ottica di
una condivisione giusta ed equa dei benefici. Per quanto riguarda gli obblighi di informazione, i
destinatari delle risorse dovranno inoltrare all’Organo di governo un consuntivo annuale delle vendite e
i pagamenti effettuati, e in ogni caso non saranno richiesti pagamenti cumulativi per futuri accessi
relativi alla stessa risorsa.
La composizione di eventuali controversie potrà essere avviata, oltre che dalle parti dell'accordo,
anche da un terzo organismo, agente a tutela degli interessi del sistema multilaterale, che dovrà essere
nominato dall'Organo di governo e sarà considerato un beneficiario super partes qualora dovessero
verificarsi casi di uso scorretto di materiale che proviene dal sistema multilaterale, questo organismo
avrà il potere di portare avanti azioni legali per conto dell'Organo di governo e nell'interesse delle parti
contraenti. Per quanto l'Organo di governo non abbia ancora provveduto a designare l'organismo in
questione, la creazione di un soggetto posto a tutela degli interessi generali nella corretta attuazione del
sistema multilaterale rappresenta un elemento particolarmente innovativo dell'accordo standard.
Gli SMTA rappresentano senz'altro il principale strumento del meccanismo di benefit sharing, ma la
condivisione di parte dei proventi economici ottenuti dalla commercializzazione delle risorse non è
l’unico sistema attraverso il quale il Trattato persegue i suoi obiettivi di giustizia sociale. Atteso che
l’accesso facilitato costituisce di per sé un beneficio, non mancano ulteriori strumenti di condivisione
dei benefici.
Il primo di questi è lo scambio di informazioni relative alla individuazione, catalogazione,
caratterizzazione e ricerca. I dati tecnici saranno resi noti compatibilmente con le previsioni dell’art.12,
par. 3 in materia di brevetti e informazioni riservate, e divulgati con l’ausilio del Global Information
System, una rete di informazioni per monitoraggio del sistema che prevede l’immediata notifica alle
parti di eventuali pericoli che rappresentino una minaccia per la biodiversità vegetale.
In secondo luogo, gli Stati devono consentire l’accesso alle tecnologie e il loro trasferimento. Non
viene specificato con quali mezzi, ma dal tenore della disposizione si evince la più ampia autonomia
delle parti contraenti nella scelta degli strumenti con cui conseguire questi obiettivi, siano essi interventi
legislativi strutturali o altre forme di supporto. La possibilità di scegliere gli obblighi da assumere se da
un lato tradisce una certa elasticità della norma, si rivela funzionale ad un approccio diversificato a
seconda dello scopo da perseguire. In ogni caso, analogamente al compromesso raggiunto in merito
all'art. 16 della CDB, il trasferimento tecnologico incoraggiato a beneficio dei paesi meno avanzati e in
transizione a condizioni preferenziali e di favore, resta subordinato al rispetto dei diritti di proprietà

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intellettuale, privando pertanto lo strumento in questione di buona parte della sua efficacia.
Nell’impegnarsi a rendere il più agevole possibile l’accesso al materiale genetico contenuto in nuove
varietà sviluppate sulla base di risorse ottenute tramite il sistema multilaterale, gli Stati dovranno
occuparsi di armonizzare la tutela dei diritti di proprietà intellettuale con le finalità del trattato.
Strettamente legate al trasferimento di tecnologie (sia in senso materiale che in termini di know-
how) le attività di capacity building consistono nel rafforzamento delle infrastrutture, delle risorse con
programmi scientifici di ricerca, attrezzature per la conservazione del germoplasma, specialmente nei
centri di origine di biodiversità del Sud del mondo, dove queste esigenze sono maggiori.

4. I diritti dell’agricoltore

Il riconoscimento dei diritti degli agricoltori in un accordo internazionale vincolante rappresenta un


elemento di primaria importanza per poter porre un freno alle attività di biopirateria da parte delle
multinazionali biotecnologiche nei paesi in via di sviluppo, ossia l'appropriazione delle risorse genetiche
e delle tradizioni indigene senza il consenso delle popolazioni interessate, senza condividere parte dei
benefici e giungendo talvolta fino a impedirne la libera fruizione. Al contrario, gli agricoltori hanno da
sempre avuto un ruolo insostituibile nella conservazione e valorizzazione delle varietà vegetali che
costituiscono il patrimonio del pianeta, anche attraverso la loro attività di selezione delle specie vegetali.
L’articolo 9 del Trattato riconosce “l’enorme contributo che gli enti locali, le comunità indigene e gli
agricoltori di tutte le regioni del mondo, in particolare quelle dei centri di origine, hanno apportato e
continueranno ad apportare per la conservazione e lo sviluppo delle risorse fitogenetiche che
costituiscono la basa della produzione alimentare e agricola di tutto il mondo”. Tuttavia, il Trattato non
fornisce né la definizione né il contenuto di tali diritti, la tutela dei quali spetta ai governi nazionali in
funzione delle loro esigenze e necessità.
A titolo esemplificativo, il par. 2 dell'art. 9 specifica che la realizzazione dei diritti degli agricoltori
dovrà essere orientata in una triplice direzione. In primo luogo, dovrà essere offerta adeguata protezione
alle conoscenze tradizionali, secondariamente dovrà essere garantito il diritto a partecipare equamente
alla ripartizione dei vantaggi e, infine, dovranno essere predisposti meccanismi per garantire la
partecipazione degli agricoltori ai processi decisionali nazionali riguardanti la gestione delle risorse.
Durante la sua seconda sessione, l'Organo di governo ha sollecitato gli Stati parte a presentare
rapporti sullo stato dell'attuazione dei diritti degli agricoltori nei rispettivi territori e ha adottato una
risoluzione in cui manifesta apprezzamento per la presenza delle associazioni di agricoltori in qualità di
osservatori e invita il Segretariato a prendere atto dei rapporti e delle esperienze nazionali per formulare
un documento da presentare all'Organo durante la sua terza sessione, che si terrà in Tunisia all'inizio del
2009.

5. Gli strumenti di supporto all’attuazione del Trattato:

La Parte V del Trattato richiede la promozione di quattro strumenti ai quali, per quanto posti al di
fuori dell'apparato istituzionale dello stesso, sono affidate funzioni essenziali riguardo all'attuazione
degli obiettivi di conservazione e uso sostenibile delle risorse genetiche, di cooperazione internazionale
e di assistenza tecnica previsti dalla Parte II.
Il primo di questi strumenti fa riferimento all'implementazione del Piano d’azione globale per la
conservazione e l’uso sostenibile delle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura, un
accordo di soft law adottato a Lipsia nel 1996 e richiamato più volte anche dal preambolo del Trattato,
nel quale si definiscono le priorità d'azione a livello nazionale e internazionale. Il secondo strumento
riconosce il ruolo sostanziale delle raccolte ex situ custodite dai Centri internazionali di ricerca
agronomica (CIRA) del Gruppo consultivo per la ricerca agricola internazionale (GCRAI) e da altre
istituzioni internazionali. Il terzo e il quarto riguardano, rispettivamente, a creazione di reti
internazionali per la cooperazione in materia e l'istituzione di un sistema mondiale per lo scambio di
informazioni che veda l'integrazione dei vari centri nazionali nonché una stretta cooperazione con il
Clearing House Mechanism previsto dalla CBD.

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Tra gli strumenti di supporto, l'attività svolta dai centri del GCRAI si è dimostrata particolarmente
efficace per promuovere l'attuazione del Trattato. Il GCRAI è un'organizzazione informale costituitasi
nel 1971 e avente sede a Washington presso la Banca Mondiale, composta da Stati, organizzazioni
internazionali, istituzioni di organizzazioni e fondazioni private. Ad esso compete l'amministrazione
della più vasta collezione ex situ esistente al mondo, consistente in circa 650.000 campioni di semi.
Oltre al materiale detenuto dai centri, rientrano nel sistema anche i campioni custoditi dalla “Mutant
Germplasm Repository” del programma congiunto FAO/IAEA (International Atomic Energy Agency)
sulle tecniche nucleari applicate all’alimentazione e all’agricoltura e altre collezioni minori.
Durante la prima sessione dell'Organo di governo è stato stipulato un accordo con undici centri di
ricerca del GCRAI, in virtù del quale, a partire dal 1°gennaio 2007, tutti i trasferimenti di materiale
riguardanti le specie vegetali elencate nell'allegato I avverranno secondo i termini del Trattato e degli
SMTAs, ponendo un limite alla brevettabilità delle risorse e redistribuendone i benefici. Tale circostanza
assume un valore particolare se si considera che il GCRAI detiene le risorse in qualita di trustee, in un
regime di amministrazione fiduciaria, dove i fiducianti sono gli Stati fornitori e i beneficiari le
generazioni presenti e future e la comunità internazionale nel suo complesso. In assenza di uno
strumento come gli SMTAs, l'accesso alle risorse era del tutto libero e aveva dato luogo a numerosi
episodi di appropriazione delle risorse da parte delle multinazionali del settore che frequentemente sono
stati riconosciuti come atti di vera e propria biopirateria. Tra i centri affiliati al GCRAI, Bioversity
International (precedentemente noto come Istituto internazionale sulle risorse genetiche vegetali) svolge
un ruolo particolarmente rilevante in merito al coordinamento e alla promozione delle finalità del
Trattato, nonché alla messa a disposizione delle informazioni sugli sviluppi delle attività anche in
termini divulgativi, in modo da poter stimolare la partecipazione degli stakeholders e della società
civile.
Durante la seconda sessione dell'Organo di governo, il GCRAI ha presentato un rapporto
sull'attuazione degli SMTAs. Nel periodo tra il 1° gennaio e il 1° agosto 2007, sono stati trasferiti quasi
100.000 campioni di semi. Soltanto tre compagnie, tutte di origine statunitense, hanno rifiutato di
sottoscrivere lo SMTA. In particolare, il Gruppo consultivo raccomanda di definire espressamente una
soglia oltre la quale si inneschino i pagamenti obbligatori e un termine per gli stessi e per i meccanismi
di benefit sharing in generale, nonché di snellire le pratiche burocratiche per l'accesso.

6. Le disposizioni finanziarie

Un altro elemento di fondamentale rilevanza per quanto riguarda l'attuazione degli obiettivi del
Trattato è contemplato dalla Parte VI, in cui si prevede che le parti contraenti dovranno predisporre una
strategia finanziaria volta a “rafforzare la disponibilità, la trasparenza, l’efficienza e l’efficacia della
fornitura di risorse finanziarie per lo svolgimento delle attività previste dal presente Trattato” (art. 18,
par. 1).
Gli obiettivi e le priorità di finanziamento verranno periodicamente definiti dall'Organo di governo
tenendo in considerazione di quanto indicato nel Piano di azione globale. Le risorse finanziarie
dovranno essere reperite attraverso cinque canali di finanziamento: i sistemi bilaterali, regionali e
multilaterali posti in essere dalle parti contraenti, le risorse stanziate a livello nazionale, altri fondi
finanziari internazionali, i contributi volontari da parte di privati e organizzazioni non governative e i
proventi derivanti dalla commercializzazione delle risorse. Soltanto quest'ultimo sistema di
finanziamento presenta carattere obbligatorio (per quanto tale obbligo incomba sui beneficiari e non
sugli Stati parte), ma, ai sensi del par. 4 b) dell'art. 18, “la misura in cui le Parti contraenti che sono paesi
in via di sviluppo e paesi in transizione adempiono ai propri obblighi (...) dipende dallo stanziamento
effettivo, soprattutto ad opera delle Parti contraenti che sono paesi sviluppati, delle risorse cui si fa
riferimento”. Tale disposizione, oltre a rafforzare l'equità del trattato, sottolinea e rafforza l'importanza
che la strategia finanziaria assume ai fini dell'attuazione del medesimo.
Durante la sua prima sessione, l'Organo di governo ha provveduto a stipulare un accordo con il
Global Crop Diversity Trust, un fondo indipendente istituito nell'ottobre del 2004 in seno alla FAO,
finalizzato a fornire stabilmente risorse economiche per la diversità delle colture agricole attraverso
progetti di conservazione, divenendo il principale strumento di attuazione della strategia finanziaria.

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Recentemente, di concerto con il governo norvegese ha provveduto a finanziare la costruzione della
Svalbart Global Seed Vault, un'enorme banca genetica contenente 4.5 milioni di campioni di semi, posta
nel permafrost di un'isola norvegese, in modo da poter garantire la conservazione dei semi anche in
mancanza di energia. Durante la seconda sessione dell'Organo di governo, il Segretariato del Trattato ha
presentato un rapporto sull'attuazione della strategia, consigliando di supportare le Parti contraenti
nell'utilizzo degli altri canali di finanziamento, quali la Banca Mondiale o la Global Environmental
Facility, nella promozione della contribuzione volontaria e della trasparenza e la diffusione di
informazioni riguardo i meccanismi di accesso ai fondi.

7. Le istituzioni del Trattato

Ai sensi dell’articolo 19 viene istituito un Organo di governo composto da tutte le parti contraenti, il
cui obiettivo primario è la promozione della piena realizzazione del Trattato. In tal senso, come abbiamo
visto, tra i principali compiti dell’Organo di governo vi è quello di stabilire il contenuto degli SMTAs e
in particolare di determinare l’importo, la forma e le modalità del pagamento relativo alla
commercializzazione del prodotto, esso può anche decidere di esonerare da tali pagamenti i piccoli
agricoltori dei paesi in via di sviluppo e dei paesi in transizione. L’Organo di governo può anche
rivedere l’importo del pagamento per garantire una ripartizione giusta ed equa dei vantaggi e inoltre,
entro cinque anni dall'entrata in vigore del trattato, può valutare la possibilità di applicare le disposizioni
che prevedono un pagamento obbligatorio anche ai casi in cui i prodotti siano, senza restrizioni, a
disposizione di altri beneficiari a fini di ricerca e selezione.
I poteri penetranti della principale istituzione del Trattato trovano la loro massima espressione nella
possibilità di escludere dal regime di libero accesso le persone fisiche o giuridiche che, detentori dei
diritti di proprietà intellettuale su determinate varietà vegetali, non raccolgono l'invito a mettere tali
risorse a disposizione del sistema multilaterale. Tuttavia, tale opzione, come abbiamo detto, risulta di
difficile applicazione, in ragione dell'unanimità richiesta per l'adozione delle decisioni dell'Organo.
Inoltre, l'Organo detiene il potere di controllo generale sull'attuazione del Trattato, la facoltà di fornire
indicazioni e orientamenti generali, di definire programmi e piani d'azione, di nominare organi ausiliari
funzionali alle necessità del Trattato, di adottare eventuali emendamenti e strategie finalizzate alla
promozione dei contributi volontari. Le sessioni ordinarie dell'Organo devono tenersi almeno una volta
ogni due anni. Ad oggi sono state svolte due sessioni: la prima si è tenuta a Madrid dal 16 al 22 giugno
2006, la seconda ha avuto luogo a Roma dal 29 novembre al 2 dicembre 2007.
L'altro organo istituito dal Trattato è il Segretariato nominato dal Direttore generale della FAO con
l’approvazione dell’Organo di governo. Ai sensi dell'art. 20, al Segretariato sono affidati compiti
organizzativi, di rappresentanza e di coordinamento e, in particolare, coadiuva l’Organo di governo
nello svolgimento delle sue funzioni e assolve tutti i compiti specifici che tale organo intende affidargli,
primo tra tutti il potere di controllare e monitorare l'attuazione concreta del Trattato, con particolare
riferimento ai meccanismi di benefit sharing del sistema multilaterale.

8. La conservazione delle risorse genetiche nella Comunità Europea

La conservazione delle risorse naturali, quali risorse disponibili in quantità limitata, rientra tra gli
obiettivi della politica ambientale comunitaria fin dal primo programma quadro per l’ambiente
(1973-1976), ma la prima concreta strategia comunitaria è rappresentata dalla Comunicazione della
Commissione n. 42 del 1998, la quale si articola attorno a quattro temi principali, che riprendono gli
obblighi assunti dalla Comunità in virtù della Convenzione sulla diversità biologica, e stabilisce gli
obiettivi da raggiungere per rispettare tali obblighi. I temi sono: conservazione e utilizzazione
sostenibile della diversità biologica; ripartizione dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento delle risorse
genetiche; ricerca, determinazione, controllo e scambio di informazioni; istruzione, formazione e
sensibilizzazione.
Con la decisione n. 869 del 24 febbraio 2004, il Consiglio dell'Unione Europea ha approvato il
Trattato. L'entrata in vigore del Trattato è potuta avvenire proprio grazie al deposito dell'approvazione

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della Comunità e delle successive ratifiche da parte degli Stati membri. Come molti dei suoi Stati
membri, la Comunità ha ritenuto di dover allegare una dichiarazione interpretativa in cui viene
sottolineato che l'interpretazione che essa intende attribuire al disposto dell'art. 12, par. 3 d) vada in
direzione del riconoscimento dei diritti di proprietà intellettuale sulle risorse fitogenetiche qualora
queste presentino caratteri di innovatività e siano conformi ai criteri di base relativi a tali diritti.
Sul piano interno non si registrano particolari sviluppi in merito all'attuazione e in particolare alla
ripartizione dei vantaggi o alla promozione dei diritti degli agricoltori. Le principali attività comunitarie
in materia sono orientate quasi esclusivamente in direzione alla conservazione e alla tutela delle risorse
e la ratio di tale propensione deve essere ricercata negli obiettivi della politica agricola comunitaria,
piuttosto che nell'effettiva volontà di dare concretezza alle disposizioni del Trattato.
Il Regolamento (CE) n. 870/2004 del Consiglio, del 24 aprile 2004, richiamandosi alle priorità
enucleate dal Piano d’azione globale, istituisce un programma comunitario concernente la
conservazione, la caratterizzazione, la raccolta e l'utilizzazione delle risorse genetiche in agricoltura.
I vari considerando sottolineano che le diversità biologiche e genetiche in agricoltura costituiscono
un fattore insostituibile per lo sviluppo sostenibile della produzione agricola e delle zone rurali e che le
attività intraprese nel settore della conservazione, della caratterizzazione, della raccolta e
dell’utilizzazione delle risorse genetiche in agricoltura contribuiscono a mantenere la biodiversità,
migliorano la qualità dei prodotti agricoli e soprattutto incentivano una produzione agricola sostenibile.
A tal fine, si promuove la conservazione in situ ed ex situ, nonché l'istituzione di inventari europei. In
seno al GCRAI è presente il Programma cooperativo europeo sulle risorse genetiche vegetali, istituito
da FAO e UNDP (United Nations Development Programme) e nel cui quadro vengono promosse parte
delle attività di conservazione europee, compresa l'instituzione di una sistema integrato di banche
genetiche.

9. L’attuazione del Trattato a livello nazionale e regionale

Con la legge 6 aprile 2004 n. 101 è stata data autorizzazione alla ratifica del Trattato. La legge in
esame si compone di cinque articoli. Gli articoli 1 e 2 recano rispettivamente, come di consueto,
l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione del Trattato. Tale circostanza suscita alcune
perplessità, poiché appare non del tutto pacifica l'immediata applicabilità delle disposizioni del Trattato,
rendendo probabilmente più opportuno il ricorso al procedimento ordinario di adattamento.
Il primo comma dell'articolo 3, rimette alle Regioni la competenza ad attuare le parti del Trattato in
materia di agricoltura, ambito rientrante nelle competenze esclusive delle stesse, ai sensi del quarto
comma dell'articolo 117 della Costituzione. Con riferimento al terzo ed ultimo comma dell'articolo 3 è
previsto per le Regioni e le Province autonome l'obbligo di comunicare entro il 30 giugno di ogni anno
al Ministero delle politiche agricole e forestali e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, le
misure adottate o che intendano adottare in attuazione delle disposizioni contenute in alcuni articoli del
trattato. L'articolo 4 quantifica la copertura finanziaria in 2 milioni 329 mila 550 euro annui a decorrere
dal 2004. L'articolo 5 dispone, infine, l'entrata in vigore della legge il giorno successivo a quello della
sua pubblicazione.
A livello regionale, la Regione Emilia Romagna ha dato esecuzione al Trattato, con la legge
regionale n. 1 del 29 gennaio 2008. La Regione “ nell’ambito delle politiche di sviluppo, promozione e
salvaguardia degli agroecosistemi locali e delle produzioni di qualità, favorisce e promuove la tutela
delle varietà e razze locali di interesse agrario, al fine di garantire la conservazione e la valorizzazione
delle risorse genetiche per l’alimentazione e l’agricoltura caratteristiche del proprio territorio, con
particolare riguardo per quelle a rischio di erosione”. Per consentire la tutela delle risorse genetiche
indigene, tra le misure realizzate vi è la costituzione dei Repertori per ogni area geografica, contenenti le
relative varietà autoctone di particolare interesse. I requisiti che sono alla basa del riconoscimento sono
chiaramente indicati nell’apposita legge regionale. L’iscrizione al Repertorio avviene d’ufficio oppure
su proposta della Giunta regionale, di Enti scientifici, di Enti pubblici o organizzazioni private in basa
ad una documentazione tecnico-scientifica. La legge promuove e tutela anche i diritti degli agricoltori, i
c.d. agricoltori custodi, responsabili della conservazione in situ (o on farm). Tali agricoltori dovranno
essere iscritti in un apposito registro pubblico, i criteri per accedere al quale dovranno essere definiti

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dalla Giunta. Inoltre, ex art. 11, la Regione istituisce e coordina la Rete di conservazione, tutela e
salvaguardia, cui appartengono tali agricoltori, enti pubblici e enti di ricerca. Agli aderenti alla Rete che
intendano presentare domanda di privativa varietale o di brevetto su una varietà iscritta nel Repertorio, è
richiesto di presentare domanda di autorizzazione preventiva alla Regione.
Tuttavia, anche altre Regioni si sono attivate con l’emanazione di leggi regionali volte alla tutela
delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario, zootecnico e forestale. In particolare deve essere
menzionata la legge della Regione Toscana n. 64 del 2004 finalizzata a tutelare e valorizzazione il
patrimonio di razze e varietà locali di interesse agrario, zootecnico e forestale, conservate presso orti
botanici, allevamenti o centri di ricerca.
Le leggi regionali in esame individuano nella tutela del proprio patrimonio di risorse genetiche
autoctone di interesse agrario-zootecnico e forestale una delle azioni più importanti ai fini della
salvaguardia dell’ambiente della biodiversità dello sviluppo rurale e di un agricoltura sostenibile sul
proprio territorio. Esse definiscono con precisione le risorse genetiche oggetto di tutela, le cosiddette
varietà e razze locali, intese come le specie, razze, varietà, popolazioni ecotipi e cloni originari del
territorio regionale, oppure di origine esterna, purché introdotte da almeno 50 anni ed integrati
tradizionalmente nella sua agricoltura e allevamento, inoltre sono oggetto di tutela le varietà e razze
locali scomparse dal territorio regionale, ma conservate presso orti botanici allevamenti o centri di
ricerca.
Per quanto siano State adottate prima dell'entrata in vigore del Trattato, anche in Umbria e nelle
Marche sono presenti strumenti normativi che tutelano la conservazione delle risorse fitogenetiche
connesse anche all'agricoltura, nonché la memoria storica e le tradizioni ad esse legate. Si tratta,
rispettivamente, della legge regionale n. 25 del 2001 inerente la tutela delle risorse genetiche autoctone
di interesse agrario e della legge regionale n. 12 del 2003 sulla tutela delle risorse animali e vegetali. Ad
ogni modo, le suddette leggi regionali sono formulate sullo spirito del Trattato e mirano a creare banche
dei semi, a tutelare le tradizioni agricole e i connessi diritti degli agricoltori.

10. Conclusioni

Il sistema introdotto dal Trattato appare particolarmente innovativo, avanzato e strutturato e offre un
esempio di particolare rilievo di come la comunità internazionale possa affrontare in maniera integrata
questioni che riguardano problemi universalmente riconosciuti come prioritari. In linea di principio, il
Trattato rappresenta un passo avanti importante rispetto ai regimi precedenti, istituendo, all'interno di un
gruppo di Stati e potenzialmente a livello universale, oltre un sistema di contributi volontari, un conto
fiduciario gestito in nome della comunità internazionale e finanziato anche dai privati che hanno
beneficiato economicamente dell’accesso facilitato alle risorse fitogenetiche del Sistema multilaterale. Il
diritto di proprietà intellettuale avanzato da chi abbia potuto sviluppare nuovi prodotti biotecnologici a
partire dalle risorse del sistema, viene finalmente bilanciato col diritto alla redistribuzione dei benefici
di chi ha attivamente provveduto alla conservazione e all’evoluzione del patrimonio genetico vegetale.
Bisogna altresì considerare che, in base alla lettera del Trattato, talune perplessità vengono sollevate
dalle prescrizioni sul trasferimento tecnologico, che, analogamente alla CDB, operano un bilanciamento
alquanto incerto tra la tutela della proprietà intellettuale e il diritto ad accedere e tecnologie più
avanzate, come da quanto previsto in caso di risorse non pubbliche e già coperte da diritti di proprietà
intellettuale, circostanza in cui agli Stati è semplicemente richiesto di invitare i detentori a mettere le
risorse a disposizione del sistema. Inoltre, la redistribuzione dei una percentuale delle royalties pari, in
pratica, allo 0,77% non sembra un progresso di notevole entità se la si confronta con le percentuali di
gran lunga più elevate riportate da alcuni contratti di bioprospezione con paesi del Nord. Alcuni autori
particolarmente attivi nel campo della protezione della biodiversità hanno definitivo il rapporto dei
termini di scambio paragonabile al valore dei ninnoli distribuiti da Colombo alle popolazioni delle
Americhe.
Analogamente, sul piano dell’attuazione concreta, necessita rilevare come il Trattato sembri non
essere riuscito a incontrare le aspettative di chi avrebbe dovuto trarre beneficio dalla sua entrata in
vigore. Al termine della seconda sessione dell’Organo di governo, la maggioranza delle associazioni di
agricoltori presenti in qualità di osservatori ha sottoscritto una dichiarazione in cui si giunge a chiedere

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la sospensione dell’accesso facilitato alle risorse contemplato dal Trattato. Nell’opinione di tali
associazioni, la seconda sessione dell’Organo di governo si è risolta in un completo fallimento a causa
dell’impossibilità di reperire tra i 116 Stati parte, i fondi (4,9 milioni di dollari) necessari a sostenere i
costi di start up del sistema multilaterale e per rendere operativi i meccanismi di monitoraggio da parte
del Segretariato che dovrebbero assicurare la condivisione equitativa nei vantaggi. Facilitare l’accesso
alle risorse non garantendo la corrispettiva redistribuzione dei vantaggi, corre concretamente il rischio di
diventare quello che un leader delle associazioni ha definito “il caso più grave di biopirateria
istituzionalizzata mai visto”.
I negoziatori del Trattato hanno consegnato gli strumenti necessari a porre in essere un sistema
avanzato e radicato sui principi di giustizia e equità, ma un sistema di diritto internazionale, soprattutto
qualora presenti i caratteri di innovatività del Trattato in esame, ha necessariamente bisogno della
volontà politica delle parti di realizzare interamente i meccanismi e gli obiettivi che propone. In assenza
di tale volontà, la conseguenza più ovvia è il ritorno a un regime di libertà privo di ogni garanzia per chi,
attraverso secoli di lavoro e selezione, abbia acquisito il diritto a vantare un titolo sulle risorse
fitogenetiche.
In conclusione, possiamo rilevare che le possibilità di successo del Trattato possono essere conside-
rate equiparabili ai rischi che corre di fronte all’ostruzionismo di certi Stati. Il Trattato è entrato in vigo-
re da meno di quattro anni e le principali decisioni necessarie a renderlo operativo sono state adottate
nel giugno del 2006. Conseguentemente, è necessario attendere che meccanismi fondamentali come il
sistema multilaterale e la strategia finanziaria vengano messi concretamente in opera e testati sul piano
dei risultati. Come sottolineato dal Segretario nel suo ultimo rapporto all’Organo di governo, “il Trattato
si trova in un make-or-break stage. In questo momento cruciale, si trova nelle mani delle parti contraenti
dell’Organo di governo, affinché prendano le misure necessarie ad assicurare in suo successo nel lungo
periodo”.

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