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Full Download Analisis Saving Decisions Pada Bank Pemerintah Di Indonesia DR Prince Charles Heston Runtunuwu Online Full Chapter PDF
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poi, il dolore s’assopiva, ed egli picchiava come un sordo scorgendo,
come attraverso un nebbione, la larga faccia e gli occhi
fiammeggianti di Testa di formaggio. Egli non vedeva altro che quella
faccia; tutto il resto non era che vuoto turbinante. Non esisteva per
lui che quella faccia: non avrebbe conosciuto riposo, il divino riposo,
se non quando i suoi pugni sanguinanti non avessero fracassato
quella faccia, o quando i pugni sanguinanti dell’altro non avessero
fracassato la sua. Allora soltanto avrebbe riposato in tutti i modi. Ma
abbandonar la lotta, da parte sua, di lui, Martin? era impossibile.
Ed ecco che un bel giorno — Martin s’era trascinato sino al vicoletto
cieco — Testa di formaggio non comparve. I monelli lo
complimentarono e gli annunziarono che egli aveva vinto Testa di
formaggio. Ma Martin non era soddisfatto; egli non aveva vinto Testa
di formaggio, come questi non aveva vinto lui. La questione non era
risolta: si seppe poi che il padre di Testa di formaggio era morto
improvvisamente, quel giorno.
Martin saltò alcuni anni e si vide una sera in piccionaia,
all’Auditorium. Ha 17 anni, e ritorna da un viaggio di mare. Scoppia
una rissa; Martin s’interpone e si trova a faccia a faccia con Testa di
formaggio, i cui occhi fiammeggiano.
— Ti accomodo io dopo lo spettacolo, — gli fischia l’antico nemico.
Martin fa cenno di sì; il verificatore della piccionaia si dirige alla lor
volta.
— Dopo il primo atto, fuori, — sussurra Martin. — Voglio seguire
quello che succede sulla scena.
Il verificatore li fulmina con lo sguardo e se ne va.
— Hai i tuoi secondi? — domanda Martin a Testa di formaggio,
nell’intervallo.
— Certamente!
— Allora vado a cercare i miei.
Durante gl’intermezzi egli aduna i secondi; tre individui conosciuti
alla fabbrica dei chiodi, un fuochista ferroviario, una mezza dozzina
di tipacci della banda dei «Boo-Gang», e qualcuno della terribile,
banda dei «Diciotto del Mercato».
Dopo il teatro, i due gruppi avanzarono senza dar nell’occhio, a
ciascun lato della via, poi si riunirono in un cantuccio tranquillo e
tennero consiglio.
— Il ponte dell’ottava via andrò benissimo, — dichiarò uno della
cricca di Testa di formaggio. — Si batteranno nel mezzo, in piena
luce; e se sopravviene uno sbirro, ci «squagliamo» da una parte e
dall’altra.
— Sta bene! — fece Martin dopo aver consultato i capi della sua
banda. Il ponte dell’ottava via, che attraversa un braccio dell’estuario
di Sant’Antonio è lunghissimo. Alle due estremità e nel mezzo vi
sono delle lampade elettriche. È impossibile che una guardia si
avvicini senz’essere vista. Il posto è bene scelto, per la sfida di cui
Martin rivede ora lo svolgimento con gli occhi della mente. Egli vede
le due bande, silenziose, aggressive che si tengono alla distanza
stabilita, rigorosamente, e sostengono il rispettivo campione.
Testa di formaggio e lui si svestirono; furono poste delle sentinelle
non lontano, per sorvegliare le due estremità del ponte. Uno dei
«Boo-Gang» tiene la giacca, la camicia e il berretto di Martin, pronto
a portarle via, al galoppo, se la polizia dovesse intervenire.
Martin s’avanza al centro del «ring», di faccia a Testa di formaggio,
e, alzando la mano, lancia l’avvertimento finale:
— Niente riconciliazione in quest’affare! Capito? Uno dei due sarà
spacciato. — Testa di formaggio esita. — Martin lo vede, — ma
davanti alle due bande, si lascia trascinare dall’orgoglio d’un tempo.
— Fa’ pure! — risponde lui. — È inutile far tante chiacchere. Io sono
sicuro di buggerarti!
Allora, come giovani torelli, essi balzano l’uno addosso all’altro, a
pugni nudi, con tutta la loro violenza giovanile e tutto l’ardore del loro
odio, con tutto il desiderio di distruggere, di ammazzare. Che sono
diventate le migliaia d’anni di civiltà e di nobili aspirazioni? Non
rimane altro che la luce elettrica, per segnare il cammino percorso
dalla grande avventura umana: Martin e Testa di formaggio sono
ridiventati due selvaggi dell’età della pietra: sono ridiscesi nel più
profondo degli abissi fangosi, nel fango primordiale, e lottano
ciecamente, istintivamente, come tutta la polvere delle stelle, come
lotteranno gli atomi dell’universo, eternamente.
— Dio! noi non eravamo che animali, tetri bruti! — mormora Martin
che segue sempre, come in un caleidoscopio, le peripezie della
battaglia d’un tempo. Spettatore e attore insieme, l’essere raffinato
ch’egli è diventato, rabbrividisce dal disgusto, a questo spettacolo;
poi il presente si cancella, i fantasmi del tempo passato lo
possiedono: non c’è altro che Martin Eden, a diciassette anni, che
lotta con Testa di formaggio sul ponte dell’ottava via. Egli soffre,
picchia, suda, sanguina, ed esulta quando i suoi pugni colpiscono al
segno. Simili a due turbini d’odio, essi si colluttano furiosamente. Il
tempo passa, e le due bande tacciono stranamente; non hanno mai
sentito tanta intensità di ferocia, e sono colpiti, perciò, da una specie
di rispetto. Quei due bruti lì, sono superiori.
Il primo impeto di giovinezza e le forze eccellenti si sono logorate;
essi lottano, ora, più prudentemente, con maggiore calcolo. Sino a
questo punto, la lotta dà risultati pari. «È una lotta qualunque», sente
dire Martin. In quel momento, una finta col destro e col sinistro riceve
una risposta feroce, e la guancia gli s’apre fino all’osso. Effetto d’un
colpo di pugno nudo!
Mormorii spaventati si fanno udire; egli è pieno di sangue, ma non
dice nulla. Sente un peso al cuore, perchè s’accorge dell’astuzia
bassa, della sorniona vigliaccheria dei suoi pari. Aspetta, spia, finge
un assalto fulminante e si ferma a mezzo: ha visto luccicare un
bagliore di metallo.
— In alto le mani! Che cos’hai in mano?
Le due bande si precipitano, brontolando e ringhiando. In un
secondo avviene una mischia generale, ed egli teme d’essere
privato della sua vendetta; è fuori di sè.
— Indietro, voialtri! — ruggisce, con la voce rauca. — Capito?
indietro, per Dio!
Essi indietreggiano: sono bruti, ma egli è superbruto: un essere
terribile che li domina con tutta la sua potenza.
— È una faccenda che riguarda me, e io vi proibisco di mettervi di
mezzo!... Tu, dammi l’oggetto.
Testa di formaggio, raffreddatosi, e vagamente preoccupato, stende
l’arma traditrice.
— Oè, Testa Rossa, l’hai passata tu poco fa! — continua Martin,
lanciando gli anelli d’acciaio nell’acqua. — Io ti ho visto scivolargli
dietro e mi domandavo che cosa tu facessi là. Se ricominci un colpo
del genere, ti picchio a morte. Capito?
Ripresero la lotta con la schiena rotta, mezzo morti, sino al momento
in cui quel pubblico di bruti, saturo di sangue, non li prega
imparzialmente di cessare. E Testa di formaggio, sul punto di morire
per terra o in piedi, — un Testa di formaggio mostruoso,
irriconoscibile, — esita, ma Martin balza e picchia, picchia sempre.
Passano alcuni minuti che parvero un secolo, durante i quali Testa di
formaggio viene meno, a quanto pare. A un tratto, in un corpo a
corpo, uno scricchiolio si fa udire, e il braccio destro di Martin ricade,
floscio, al fianco. Tutti comprendono, e Testa di formaggio, balzando
come una tigre, precipita colpi su colpi. I secondi di Martin vogliono
interporsi, ma Martin, abbrutito da quella valanga terribile, li respinge
insultandoli e singhiozza ad alta voce la sua impotenza disperata.
Con la sinistra soltanto, ora egli colpisce, semi-incosciente, e ode,
come se provenissero chissà da quale lontananza, dei mormorii di
orrore e una voce tremante che dice: «Ormai non è più una lotta,
ragazzi... È un assassinio, e dovremmo far cessare questo.» Ma
lasciano fare, ed egli ne è contento: colpisce in modo monotono e
continuo, con l’unico braccio sulla cosa sanguinante che è in faccia a
lui: non più un volto umano, ma un orrore senza nome, vacillante,
oscillante davanti agli occhi che lappolano, e che non vuole sparire.
E picchia sempre, sempre più debolmente, con quel po’ di vitalità
che gli resta, e gli sembra che passino secoli e che ciò non finirà
mai, quando ad un tratto si rende vagamente conto che l’orrore
senza nome, dolcemente, cade sul parapetto del ponte... Poco dopo,
vacillando sulle gambe tremanti, egli si china sulla cosa caduta e
dice con una voce che non riconosce:
— Ne vuoi ancora?... di’?... Ne vuoi ancora?...
Ripete a più non posso queste parole, lo scongiura, minaccia perchè
gli risponda se «ne vuole ancora», sino al momento in cui i
compagni gli battono amichevolmente sulla schiena e si sforzano di
fargli indossare il soprabito...
Poi un ondata di oscurità, e l’oblìo lo sommerge.
Come allora, Martin Eden, col volto fra le mani, non ode più nulla: ha
vissuto con tanta intensità l’orribile scena d’un tempo, che è venuto
meno, come allora.
Un lungo minuto: tutto in lui è oblìo, oscurità... Poi, come un uomo
che si svegli fra i morti, balza in piedi con occhi scintillanti, il viso
madido di sudore, gridando:
— Te le ho suonate. Testa di formaggio! Ho perduto undici anni di
vita, ma te le ho suonate!
Le ginocchia gli venivano meno, ed egli ricadde sul letto. Ancora mal
desto, si guardò attorno, perplesso, domandandosi ove fosse.
Finalmente il suo occhio incontrò la pila dei manoscritti ammucchiati
in un canto. Allora egli riprese piede nel presente, si ricordò dei libri
letti e delle ricchezze infinite che vi aveva attinte, dei suoi sogni,
delle sue ambizioni. Ricordò il suo amore per un pallido fiore di
serra, sensitivo, irreale, che sarebbe morto d’orrore se fosse stato
presente, sia pure per un attimo, alla scena da lui rivissuta, se fosse
vissuto solo un attimo tra il fango ond’egli era invaso.
S’alzò e andò allo specchio.
— E così, sei uscito dal fango, Martin Eden, — diss’egli
solennemente: — tu hai immerso i tuoi occhi in un divino chiarore e,
innalzandoti sino alle stelle, hai ucciso «il serpente e la tigre», per
conquistare il più gran tesoro che vi sia.
Poi si guardò più attentamente e si mise a ridere.
— Un po’ d’isterismo e un bel po’ di melodramma, eh? — diss’egli
con tono ironico. — Ma non importa: tu hai conciato per le feste
Testa di formaggio, e concerai per bene gli editori, dovessi aspettare
undici anni. Tu non puoi fermarti così: bisogna continuare. È una
lotta senza quartiere, sai?
CAPITOLO XVI.