Out of The Paradise

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OUT of the PARADISE

Parte III

By MLM projects

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Il mare argentato...

prefazione

Dopo la fine della guerra, le legioni si sciolsero.


Capitan Sindorave trovò riparo a nord, in una nascente
Thelisia.
I dragonidi se ne tornarono a est, nelle loro terre natie, e lo
stesso fecero gli elfi dei boschi, ancor guidati dal
leggendario Oakenshade.
I pochi Fluxcharger che scesero in Misa tornarono al loro
esilio.
Gli umani si misero a ricostruire le loro città, fino a
ritornare la razza ricca e potente che sono sempre stati.
Per quanto riguarda lo stregone Anderion. Tutti sanno
come è andata.

Il ritorno in Purvea non fu dei migliori. Le tre legioni di


soldati tornarono guidate dal solo comandate che rimase:
Ignatius.
Gli venne proposto il titolo di Arcimago: il primo e vero
successore di Dremir. Fu costretto a rifiutare, ancora
troppe erano le voci di chi credeva alla storia del traditore,
e poi non è mai stato quello il suo obiettivo. Studiare per
anni, rischiare la vita, intraprendere nuove avventure... Per
poi ritrovarsi ad aver a che fare con l’inutile burocrazia
odierna, in cui si pensa solo al denaro e al potere,

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Il mare argentato...
sopprimendo l’orgoglio e la gloria trinanti dei fondamenti
filosofici di un tempo.
Per Ignatius era come non essere mai tornato a casa, come
se un pezzo di lui restasse ancora tra le macerie ormai
ricoperte delle pianure umane del centro. In realtà era così.
Vedere i suoi compagni aver dato tutto pur di dare ai suoi
abitanti una terra di pace, ed essere ricordati come
traditori, di sangue sporco.
Erano tante anche le voci sull’unico tornato, ma nessuno
aveva coraggio di parlarne di persona. Ignatius sapeva che
quello non era il suo destino. Sapeva ciò che avrebbe dovuto
fare. Un’ultima missione. Un’ultima avventura. Per
raggiungere terre di cui nessuno sapeva il nome, di cui
nessuno voleva farne, di cui solo un mortale venne
rinchiuso.
La via per il monte Celestia era dura, probabilmente non
avrebbe fatto ritorno, ma non avrebbe avuto senso aver
lottato per anni nel raggiungimento della vita infinita per
poi sprecarla nel vociferare di orecchie a punta dal volto
pallido, che forche criticare il lavoro altrui non sanno fare.

Capitolo 1
4
Il mare argentato...

Il mare argentato...

Prima di lasciare le terre note non aveva idea di che anno


fosse. Ormai lo scorrere del tempo non era più suo
problema. Fluttuando per giorni in una serie infinita di
nulla, ricoperto di una luce biancastra e a sprazzi argentea,
in realtà, nulla sembra essere più un problema.
Era riuscito incredibilmente a trovare ciò che cercava,
quasi sopraffatto da vecchi ricordi, da tempeste scure che
sembravano circondarlo senza che lo facessero veramente.
La grande macchia d’oro si trovava davanti a se.
Ormai volteggiava nell’aria, chiara e densa, con gli occhi
che si muovevano a rallentatore e la testa che sembrava
esplodergli. Dopo settimane se non mesi a scappare da
vascelli e draghi di umanoidi verdognoli e dai capelli a
punta. Ormai nulla e tutto sembrava vero.

appuntite. Si alzò massaggiandosi il volto, gli usciva sangue


da un labbro: “Cosa mi inventerò a casa” pensò tra se e se.
Si guardò dietro, da lì non poteva passare, il terreno era
troppo scivoloso e pendente: “Se mai riuscirò a tornarci”.
Doveva passare per le piante, dove aveva sentito i suoni.
Fece cautamente qualche passo, ora gli alberi fermavano il

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Il mare argentato...
vento, subito si voltò verso destra, nuovamente quel suono.
Questa volta sembrava essere a pochi metri da lui,
Anderion rimase immobile, terrorizzato, non sapeva cosa
fare.
Le piante iniziavano a muoversi per il vento, la neve
passava dalle piccole fessure tra le foglie, si sentiva come
fosse osservato da qualcosa, non un elfo, ma nemmeno un
animale. Provò a fare qualche passo in avanti senza fare
troppo rumore, alla sua destra il rumore si ripropose,
questa volta Anderion riuscì a vedere qualcosa, una figura
scura, una sagoma nera tra le piante, rimase paralizzato
senza sapere cosa fare.

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CCapitolo 2
Ombre...

Sentì qualcosa afferrarlo per una caviglia, di cosa successe


in quel momento non si ricordò nulla.
Si ritrovo con le gambe legate tra loro con una corda
stracciata, a terra, tra la neve gelida e le rocce frananti, il
cielo era scuro, le stelle splendevano, era notte.
-Ccosa ne facciamo del ragazzo-- una voce rozza, profonda
e molto rauca giungeva da dietro di lui, Anderion si accorse
che un falò era acceso al centro della neve, ne poteva sentire
il calore e il rumore.
-ce lo mangiamo- parlò una voce differente da prima, le
creature erano due.
-No scemo ci serve per avere informazioni- l’altro alzò la
voce.
-ce ne saranno altri ho fame- sembravano litigare tra loro.
Anderion cercò di rotolare su se stesso, senza farsi vedere.
La corda che gli legava i piedi si incastrò in un sasso, ne
approfittò e cerco di smuoverla agitando le gambe. La
corda si sciolse, non era sicuro di essere libero ma la presa
era allentata. Girandosi

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Ombre...
poteva vederli: la pelle grigiastra, color palude, un volto
suino con fronte bassa e canini come zanne di cinghiale, un
abito straccio coperto da varie armature che ne coprivano
spalle o stinchi, sicuramente non erano elfi.
Avevano una postura ricurva, stavano seduti attorno al
fuoco a mugugnare non si sa cosa, uno dei due teneva nelle
mani una lama, ancora sporca di sangue. Incutevano
terrore, Anderion sapeva che non se ne sarebbe potuto
andare finché quei due gli stavano addosso. Voleva solo
trovarsi a casa, non aver lasciato sua madre sola, aver
salutato Erhean standolo a guardare all’orizzonte, assistere
al ritorno di suo padre, forse a quello dei suo fratelli. Già li
immaginava tornare vittoriosi, con la musica per le strade, i
cavalli bianchi nitrire per i troppi fiori a terra...
-ci penseremo domani- si alzarono entrambi e si sdraiarono
su delle pellicce poste a terra, erano troppo vicini a lui
perché potesse scappare senza essere visto. Sul loro volto
bavoso si intravedevano macchie di sangue, ferite di guerra.
“Forse sono loro” penso guardandoli con disprezzo e
timore; ”forse sono loro, gli orchi”. Ripensò al padre, a
quanto gli era stato detto, il fuoco stava per spegnersi, gli
venne in mente un idea. Strisciò in avanti come un verme,
alzò un braccio cerco di distenderlo, si ripeteva nella mente
una sola frase “Devo solo farlo, devo solo farlo” distese le
dita, aprì il palmo, “devo solo farlo”, spinse la mano
lontano: la pelle su cui giacevano quelli che dovevano essere
a tutti gli effetti orchi si mosse, si pose tra le fiamme quasi
spente. Prese fuoco. E così anche gli orchi, si alzarono
urlanti, iniziarono a sbattersi le mani addosso e dimenarsi.
Uno dei due si gettò tra la neve ma cadde vorticosamente
dal dirupo tra le rocce. Anderion si girò e fece finta di
dormire, il restante orco cadde a terra, continuava ad

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Ombre...
urlare, fare versi, strisciò verso il suo stocco ma prima che
ce la potesse fare si come spense. Si irrigidì il corpo, come
una foglia secca, non si mosse più. Anderion esitò un
istante, si alzò, la corda era spezzata. Osservò il corpo
morto dell’orco, era scuro, incenerito. Prese un pezzo di
cuoio appoggiato a terra e lo coprì come per non volerlo
vedere. Si guardò attorno, ce l’aveva fatta, i libri avevano
ragione e così suo padre, bisognava solo farlo. Si trovava a
picco tra i due versanti della montagna, non era dove era
prima. Alla sua destra un gran dirupo, cercò di sporgersi,
sarà stato alto un centinaio di metri, era lì che l’altro orco
era caduto. Cercò la strada da cui erano saliti gli orchi per
cercare di tornare a casa, dietro di lui uno stretto sentiero
tra le rocce, ghiacciato, scivoloso si chiedeva come avessero
fatto quei due a salirci, stupidi com’erano. Provò a salirci, il
vento si era affievolito, facendo qualche passo capì che non
era troppo complicato scendere per quella strada, era
abituato a salire su rocce aguzze e scivolose. La paura più
grande era quella di incontrare altri orchi, non c’erano più
falò da smuovere. Scendendo il sentiero si ritrovò in un
posto che non era più quello da cui era arrivato, non sapeva
da che parte fosse Kollanemos, era ancora rintontito da ciò
che era appena successo. Il vento aveva portato con se delle
nuvole scure che, assieme al buio generale, rendevano
impossibile l’orientamento ad Anderion. Doveva perforza
apettare che la luce tornasse, doveva dormire. Sotto di lui
un manto soffice copriva le rocce: ”Devo fermarmi qui” si
disse preoccupato. Si sdraiò e poggiò la testa su un cumulo
di neve appena rammucchiato, era impossibile
addormentarsi in quella circostanza. I pensieri ricaddero
ancora una volta sul padre e sui suoi fratelli , li vide in
guerriglia, a combattere giorno e notte senza mai tregua,
contro bestie mai viste, neanche nei migliori bestiari elfici.

9
Ombre...
Se li immaginava disperati, stremati, senza forze a battersi
senza speranza; Fu con il loro pensiero che si diede forza e
decise di scendere la montagna prima che il giorno
arrivasse. Il terreno poteva cedere da un momento all’altro,
è come se la montagna si spostasse di qualche centimetro ad
ogni passo, in lontananza dei merli iniziarono a gracchiare.
“Sono vicino alla foresta” pensò, scese quasi di scatto, fiero
del suo istinto elfico. Un terreno pianeggiante si estendeva
davanti a lui, era terra, terra battuta. Fece qualche passo, si
muoveva come fosse ceco, con le mani in avanti a cercare
qualcosa che la maggior parte delle volte non c’era; Sbatté
contro qualcosa di grosso, sferico e a tratti malleabile.
Mosse le dita per toccarla, non era troppo grande , sulla
superficie formava onde. Con le mani arrivò in alto e senti
come delle foglie, era una zucca. Sapeva dove si trovava,
era nel campo di Sylvandor.
Era chiamato Sylvandor falciazzucche al villaggio, abitava
solo in una piccola casetta di legno malridotta dispersa
nella foresta, lo si vedeva massimo due volte all’anno
quando scendeva per cerimonie o incoronazioni varie.
Faceva parte degli Agrsilva, era stato uno dei primi a capo
di quella casata, poi decise che avrebbe passato il resto della
sua vita nella foresta, lontano dalla gente, e così cadde la
sua discendenza. Era vecchio e solo, ad Anderion incuteva
un po’ di timore. Aveva appena sconfitto due orchi, quindi
si fece avanti e si diresse verso la porta. Avanzando iniziava
a scorgere delle luci in lontananza, capì che erano lanterne
accese nella veranda del vecchio. I merli continuavano a
gracchiare, nel campo le zucche non sembravano essere
troppe, una voce stonata e rauca si sentiva cantare in
lontananza:
-Nella casetta della foresta verde- cantava ...

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Ombre...
-nel terreno una magica avventura-
-finché la luce non si perde-
-Seminiamo semi con amore e cura-
Si avvicinò quanto bastava per vedere la situazione, il
vecchio Sylvandor era seduto su una sedia dondolante, tra
le mani una zappa, la stava riparando. Anderion si fece
avanti, il vecchi lo vide:-Chi sei tu? Cosa ci fai qui a notte
fonda?-
-Io, io, credo di essermi perso- fece finta per non
insospettirlo. -perso? A quest’ora? A qual casata appartieni
giovane ragazzo imprudente?-
-Sono degli ypslily gnosi, stavo girando per la foresta
quando è calato il sole e...-
-ooh, tu devi essere il figlio di Idyolfias... Mi perdoni, la
vecchiaia mi sta rendendo ceco come una talpa- Gli ypsily
gnosi erano la famiglia più prestigiosa, tutto il paese li
conosceva.
-Hm, che strani esseri le talpe, l’altro giorno mi sono
trovato varie buche per i campi, avevano forme bizzarre,
non troppo profonde, ma credo proprio che fossero loro le
responsabili-
-Tra le buche ho anche trovato questa- prese una lama
ricurva, grande per essere un pugnale, corta per essere una
spada. -Quelle tape devono averle prese chissà dove-
Il vecchio gliela porse, non era molto affilata, era vecchia e
ancora impregnata di sangue. Anderion non era esperto in
materia ma era quasi certo che qualunque cosa fosse non
era stato un elfo a produrla. Fece finta di niente:-Oh grazie-

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Ombre...
La pose lentamente nella sua cintura di cuoio, con un
atteggiamento di schifio:-Vorrei tornare a casa ma non so
dove si trovi-
-Tornare a casa? Sarebbe imprudente per me lasciarti solo
a vagare nella foresta a quest’ora-
Si alzò dalla sedia , guardò male gli alberi, aprì leggermente
la bocca, tanto da poter intravedere i suoi denti giallastri,
ancora pieni d’erba e carne. Aprì la porta di casa, cigolava
e tremolava, sembrava potesse spezzarsi e cadere a terra da
un momento all’altro.
-Entra, è pericoloso qui fuori-
Anderion non esitò e seguì rapidamente il vecchio. Quella,
se così può essere definita, casa era a dir poco malridotta,
logorata dal tempo e dalla vegetazione. Dei piccoli fili
d’erba crescevano tra le crepature del legno, le finestre
erano sporche e i tappeti per terra polverosi. Osservandosi
intorno capiva perché Sylvandor si era posto al di fuori
della società degli elfi, per vivere in montagna come un
monaco malmesso.
-Là dietro c’è un letto- indico la parete a destra mentre
prendeva una bottiglia di vino ammuffito dal tavolo pieno
di cianfrusaglie: -O se vuoi c’è il divano-
-Nno grazie, mi basta una sedia- rispose temendo di dover
anche solo sfiorare quelle stoffe grondanti di polvere.
-Quanto manca all’alba- chiese timidamente.
-Mh- rovistò tra i vari oggetti sul tavolo:-Non più di tre ore,
ora riposa, ti sveglierò all’alba-

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Ombre...
Si sedette sulla prima sedia che trovò, cigolava, come tutto
in quella casa ma era meglio che degli orchi pronti ad
ammazzarlo.
Tutta la casa aveva un certo tanfo, un aspro odore misto tra
vino e ortaggi ammuffiti, con un sacco di polvere che si
smuoveva nell’aria.
Sylvander soffiò sull’ultima lanterna rimasta accesa e si
sdraiò sul divano. Le molle sembravano spezzarsi sotto il
suo peso, al buio non sembrava poi così male, un luogo
caldo in cui ripararsi dal vento che cominciava a riprendere
forza. Con gli occhi chiusi si riusciva a sentire il continuo
rumore dei merli, il muoversi delle piante al vento, la porta
che iniziava a sbattere. “Come fa quel pazzo ad abitare qui
dentro”. Anderion era stanco ma non riusciva ancora a
dormire, il cuore continuava a battergli all’impazzata. Non
riusciva a togliersi dalla testa l’immagine impressa di
quegli orchi, sudice e brutte creature...
Cerco di pensare a casa, ma nulla riusciva a distrarlo. Il
vento si faceva sempre più forte, la porta si apriva e si
chiudeva facendo entrare l’aria in casa a sbalzi. Due
bicchieri di latta caddero, il vecchio continuò a dormire,
russando, e tossendo saltuariamente ad ogni battito d’anta.
Dei piccoli e timidi raggi di luna iniziavano a farsi deboli
nella stanza, passando dalle finestre, il vento stava
spostando le nuvole, ora sarebbe stato facile scappare e
correre a casa. La paura per farlo era troppa.
Rigirandosi sulla sedia si ricordò della lama appena datagli,
con quella si sarebbe potuto difendere, se solo la madre lo
avesse lasciato frequentare il corso di addestramento
cinque anni prima dell’età comune, come voleva il padre.
Lei ha sempre spinto perché Anderion facesse una il più
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Ombre...
normale possibile, in un certo senso lo stava frenando ma
per Anderion forse era meglio così.
Perdendosi tra quei pensieri gli calò il battito, appoggiò la
testa al tavolo e in qualche modo riusci ad addormentarsi...

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Capitolo 3
Gilbur...

-Quanto manca- chiese Eldorian al fante, il sole stava


calando. -Pochi minuti e potremo intravedere Gilbur-
Gilbur era un piccolo villaggio ad ovest dei monti selvaggi,
sulla rotta per Flamouria.
-Sii paziente fratello, quello che ci aspetta non è un bel
boccale ripieno di birra elfica-
-Eccolo là- il fante allungò il braccio, sull’orizzonte si
intravedeva qualche casa. -Non dovrebbe mancar molto-
Thalendor teneva tra le mani un libro, la copertina
squallida, le pagine cadenti e molto sporco che lo copriva.
-Non ti servirà a niente quel libro- Eldorian guardò male il
libro, non credeva che un bestiario come quello gli avrebbe
potuti aiutare in battaglia.
-Tu dici? Son qui riportate le maniere e i modi più consueti
per uccidere ogni tipo di mostro, visto da un elfo,
certamente...-
-Basta non farsi prendere, e dare qualche colpo di spada,
tutto qui, che tecniche dovremmo adottare, lanciare ortaggi
sui goblin?-
-Fossi in te non scherzerei con quei mostriciattoli, hanno
già saccheggiato molti villaggi in zona, non saranno così
forti da soli,

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Gilbur...
ma in gruppo... In gruppo possono fare molte cose, è
riportato tutto qui-
-Mh, non è dei goblin che ho paura- Eldorian si volto verso
il villaggio.
-C’è qualcuno dietro, orchi, giganti...- Continuò.
-No, qualcuno di più potente, qualcuno che non credo abbia
mai visto la luce del sole- proruppe Thalendor.
-Aspetta, credi veramente che... che quelle storie siano
vere?! Lo sanno tutti, sono solo favole per bambini, non di
ottimo gusto, ma sono solo racconti-
Eldorian bisbigliò qualcosa ponendosi le mani alla bocca
come per lasciar perdere e si rivoltò verso il carro
guardandosi i piedi.

Il carro arrivò in paese, c’erano poche case poche persone,


poca gioia... Gilbur sembrava come spento. Si fermò
davanti alla porta di una locanda, dove le ultime persone
rimaste si riunivano; Sopra la porta una grande insegna:
“Taverna di ...” il resto era rotto. -E’ morto la settimana
scorsa” un anziano signore stava fumando una pipa, seduto
accanto all’entrata:-E’ partito per l’ovest e non si è più
visto tornare-
I due fratelli saltarono giù dal carro e si avvicinarono.
-Cosa ci fanno qui due elfi? all’incombere della guerra-
Thalendor si fece avanti:-Siamo qui per difendervi-
-Difenderci? Qui siamo già tutti morti, tutti, dalla prima
all’ultima persona, scappate, andatevene finché potete-

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Gilbur...
Diedero un’occhiataccia in giro, poi entrarono senza fare
domande.
-Cosa siamo venuti a fare qui?- chiese sottovoce Eldorian:-
Perché dovremmo difendere delle persone senza speranza,
già prossime alla morte, umani perlopiù-
-Non si tratta di loro, umani o elfi che siano, questo è
l’ultimo villaggio, l’ultima frontiera, una volta passato
Gilbur arriverebbero dritti in Purvea-
Alzò leggermente il tono:-E allora dove sono, dove sono gli
eserciti elfici, se questo posto è così importante perché non
sono ancora qui-
Thalendor espirò, socchiuse gli occhi:-Non ci sono eserciti
elfici-

Appena entrarono tutti si fermarono: Il locandiere smise di


parlare, il cameriere di servire, il bardo di suonare la lira, i
vecchi di giocare a carte. Erano sopresi di vedere gente
nuova arrivare, specialmente degli elfi. Eldorian alzò le
sopracciglia rivolgendosi al fratello e si diresse verso il
bancone, tutti ripresero di fare ciò che facevano, come non
fosse successo nulla.
-Se ancora è rimasto qualcuno dovrebbe arrivare all’alba
di domani- vennero poggiati due boccali davanti a loro.
-Visto? Birra- Eldorian sorrise al fratello, facendo un cenno
con la mano che reggeva il boccale.
Thalendor scosse la testa e riprese a parlare in modo serio:-
Non sappiamo cosa aspettarci domani, non dobbiamo
difendere il villaggio, almeno non finché son tutti come

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Gilbur...
quell’ubriaco all’entrata, dobbiamo solo farne passare il
minor numero possibile-
Eldorian fece una smorfia:-Come faremo noi due soli a
batterci contro un possibile esercito? ! Senza nulla-–
-Ricordi ciò che ci aveva insegnato nostro padre? Ciò che
ci ha fatto leggere e studiare?-
-Sono passati anni non credo di riuscire più a far nulla, se
almeno ci avessero mandati in accademia, sarebbe stato
tutto più facile-
-Sì per finire come? Come quei guerrieri morti che non
potranno venire ad aiutarci? Dobbiamo ricordare, senza
quello non saremmo nessuno-
-Mpf, tra qualche ora oltre che a non essere nessuno
saremo anche morti-

-Ehi?- Una persona si avvicinò dietro di loro -Siete pronti a


dare la vostra vita?- aveva un cappuccio nero, al disotto
una lunga tunica che strisciava sul pavimento legnoso.
I fratelli lo guardarono senza capire, si tolse il cappuccio un
istante, era Idyolfias.
-Ma, come- Thalendor non capiva e così anche il fratello.
-Silenzio, nessuno deve sapere di me qui- si rimise il
cappuccio.
-Cosa ci fai qui? E come sei arrivato?-
-Ci sono molte cose che avreste ancora da imparare, sto
cercando tutti i superstiti, qualcuno che vi possa aiutare,

18
Gilbur...
non sono sicuro di riuscirci, voi dovete convincere i pochi
rimasti qui a difendere la propria casa, confido in voi-
camminò verso le scale.
-Aspetta, padre!-
Idyolfias voltò per le scale e mentre saliva sembrò come
sparire nel nulla.
-Aveva detto di non farsi sentire- Thalendor prese il fratello
per una spalla e lo rimise dov’era.
-Cosa, non può palesarsi qui per dirci due parole e
andarsene-
-Sta facendo molto per noi, Eldorian, dobbiamo essergli
riconoscenti, facciamo ciò che ci ha detto-
-Per noi? Ci ha abbandonato a morte sicura e dovremmo
anche...- Thalendor lo interruppe battendo il boccale di
vetro sul bancone. L’intero locale si zittì.
Eldorian strinse le labbra e fece due passi verso l’uscita.
-Vorrei rivolgermi a tutti voi in questo momento- Tutti
ascoltarono. -So che starete pensando tutti quanti che io sia
pazzo, imprudente e stolto- I vecchi che giocavano a carte
fecero delle facce di consenso. -Ma son giunto per porvi una
domanda, perché siete qui? Potreste già essere scappati,
aver preso il primo carro... Forse perché non avete una
ragione per andarvene, perché non c’è posto oltre a questo
in cui voi possiate mettere la testa sotto ad un riparo... ma
no, noo... La verità è che voi avete coraggio, non scappate
come codardi, affrontate la morte in faccia, volete vedere
quale orrenda o bizzarra creatura porrà fine alla vostra
vita.- qualche cenno di consenso si fece avanti tra le poche
persone rimaste. -E allora, dico io, perché non tirar fuori
19
Gilbur...
quel coraggio e cercare di dar tutto prima del niente. Per
dar senso alla propria fine, perché non tu ma voi veniate
ricordati alla storia come persone non codarde ma
coraggiose, disposte a sacrificarsi per il bene del mondo.
Domani sarà il giorno in cui, qualunque cosa stia
avanzando verso di noi in questo momento, si vedrà avanti
dei guerrieri, i più coraggiosi tra gli umani, insieme agli elfi
i più grandi eserciti che arriveranno per voi tutti....!-
Alcuni tra gli umani imbracciarono lo scudo, foderarono le
spade e fecero un passo verso Thalendor:-Io non sono un
codardo-
Disse il primo battendo la spada sullo scudo:-Io non sono
un codardo- così fece anche il secondo, e il terzo, il quarto,
il quinto. E chi ancora aveva energie per alzarsi dal la sedia
fece lo stesso.
-Siamo pronti a batterci- disse il locandiere da dietro di lui.

Ormai il sole era calato, nel locale avevano iniziato a


cantare e ballare, Gilbur non sembrava più la città spenta
di poco prima.
-Hai promesso loro un esercito- disse Eldorian guardando il
nulla appena davanti alla porta. Thalendor uscì e si
avvicinò.
-Non temere, nostro padre arriverà-
Il fratello sorrise, era certo che Idyolfias avrebbe fallito e
così anche loro.
-Cosa sei venuto qui a fare, se devi solo cerare di togliergli
quel poco di speranza rimasta nelle loro fragili menti-

20
Gilbur...
Thalendor stava solo mascherando la sua paura:-Potevi
benissimo startene a casa, senza metterci i bastoni tra le
ruote-
-Li hai solamente illusi, come si sentiranno quando non
arriverà alcun esercito a loro aiuto...-
-Li hai condotti a morte certa-
-Fratello, Eldorian, sono e siamo già tutti condotti a morte
certa, tu non puoi neanche immaginare contro cosa ci
dovremo affrontare, se non domani un altro giorno, ma
cadremmo comunque, che senso ha scappare-
Eldorian estrasse l’arco, tese una freccia appena presa dalla
faretra e la scoccò al cielo urlando. Avanzò per decine di
metri dopodiché si perse dalla vista.
-Non sprecare i tuoi colpi, domani avremo bisogno do ogni
singola freccia- Thalendor si girò e si mise a camminare per
il villaggio.
Oltre la taverna, che si stanziava nella parte est del
villaggio, erano presenti delle piccole abitazioni, i portoni
erano tutti socchiusi, le chiavi a terra. I vetri erano
scheggiati, altri rotti, i davanzali graffiati. Per quanto ne
sapevano Gilbur non era mai stato saccheggiato ma
sembrava comunque un luogo dove qualcosa era avvenuto,
qualcosa di non buono. Una casa in particolare era più
segnata delle altre, cercò di entrarci.
Era tutto a soqquadro, le sedie rovesciate, il tavolo in
disordine. Gli arredi sotto le finestre erano interamente
distrutti, piatti frantumati, posate piegate, mobili ceduti.

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Gilbur...
L casa era vuota, sembrava reduce da una battaglia, che
però non era mai avvenuta. Thalendor osservava la stanza
quando una figura gli si avvicino dietro:-E’ tornato-
Si voltò, sgranando gli occhi vide suo fratello:-Chi è
tornato?-
-Lui, è in una camera della locanda, vuole parlarci-
Eldorian si girò e iniziò a camminare, il fratello fece lo
stesso.

Idyolfias era seduto su una poltrona, le mani sempre più


tremolanti appoggiate ai braccioli, la tunica nera copriva il
volto.
-Chiudete la porta- . Così fecero.
-Sono andato a nord, dagli elfi dei boschi-
I due fratelli erano in piedi, entrambi con le braccia
conserte ad ascoltare attentamente ciò che il padre aveva da
dirgli, un espressione seria, quasi preoccupata sui loro volti.
-Manderanno un esercito-
Un lampo si accese nei loro occhi.
-Purtroppo... non potranno giungere in meno di un giorno,
dovete difendere il villaggio fino al loro arrivo. I nemici non
tarderanno, non dategliela vinta-
Idyolfias si sistemò la tunica:-Quando saranno giunti avrete
un altro compito-
I due si guardarono.

22
Gilbur...
-Dovrete andare a sud, oltre i monti. Terra di nani ed
umani. Ci sono state recentemente voci di strani effetti,
abiurazioni della realtà si dice che siano-
Thalendor diede uno sguardo al fratello e si toccò il mento.
-Ma sapete com’è non ci si può mai fidare di loro, capirete
cosa sta succedendo e ,se possibile, metterete fine a questa
storia-
Eldorian si sedette tenendo la stessa espressione seria.
Il padre si alzò: -C’è ancora speranza, confido in voi-
Si diresse verso la porta, si coprì il braccio come per
nasconderlo;-Cosa ti è successo?- chiese Thalendor.
-Nulla-
-Padre...-
-Non pensate a me, preoccupatevi di ciò che sta per
arrivare, non deludetemi, non deludete gli elfi-
Ancora una volta scomparì nel nulla.
I due fratelli rimasero per qualche secondo in silenzio.
-Ci ha lasciato la camera, per la notte- Eldorian lo ruppe.
-Speravo ci lasciasse di più-
-Cosa ti prende adesso? Volevi un esercito, volevi la
speranza-
-Non è quello, è come temevo, a sud, delle strane creature si
stanno risvegliando-
-Ancora con quei mostri, sono solo fiabe-

23
Gilbur...
-Fiabe! Fiabe! Ci sono delle dimostrazioni di
persone...persone che hanno visto ciò che quelle creature
possono fare, ed è solo l’inizio-
-Sono nani Thalendor, non sanno distinguere un goblin da
un orco, avranno visto un pizzico di magia, una semplice
illusione e avranno pensato a chissà cosa. Guarda cos’è
successo a Pagos, il drago ne ha ammazzati la metà, solo
perché volevano ingigantire le cose e prendersi qualcosa a
cui non potevano ambire-
-Non credo, saranno stupidi ma non a tal punto, laggiù c’è
qualcosa e di certo non è fantasia dei nani-
-Ora abbiamo altro a cui pensare-
Eldorian si sedette sul letto a destra della stanza, appoggiò
l’arco al comodino, sempre pronto per ogni evenienza.
-Se arrivassero di notte?-
-Abbiamo, o meglio, ho parlato con il locandiere, ci sarà
gente sempre all’erta, noi riposiamo-
Anche Thalendor si sdraiò, riponendo la spada.
-Non abbiamo mai dormito così lontani da casa- Thalendor
guardava il soffitto grondante.
-Non siamo mai stati più lontani di qualche miglio-
-Abbiamo un compito, una missione vera. Sperando finisca
come abbiamo sempre sognato nella foresta-
-Non dobbiamo pensare a casa ora, dobbiamo riposare-
Eldorian era sempre concentrato.

24
Gilbur...
-Pensare a casa ci aiuterà nel farlo, pensa al rumore del
torrente e delle cascate nella notte, gli alberi e gli animali,
riesco quasi a sentirli-
Eldorian si rigirò, come per non voler sentire.
-Quando tutto finirà ritornerò a leggere i libri di papà, ad
apprendere più a fondo le nostre origini magiche,
riprenderò confidenza con esse, diventerò l’arcimago di
kollanemos, magari di Purvea-
-Smettila e dormi-

25
Capitolo 4
Garouhart...

-Sveglia, ragazzo svegliati-


Il vecchio aveva in mano la lanterna.
Anderion era ancora molto stanco
-Dobbiamo partire, le prime luci dell’alba stanno per
arrivare-
-Che ore sono? Quanto tempo è passato?-
-Poco più di tre ore- Aprì la porta, fuori era ancora buio, le
nuvole e il vento sembravano, però, essersene andati.
-Se ci incamminiamo ora arriveremo per il pranzo-
Anderion si guardò in giro, assonnato, prese la lama e se la
mise nella cintura, poi uscì dalla porta.
Sylvandor lo seguì riempendo d’olio la lanterna.
-A destra, verso est-
Non sapeva ancora bene dove si trovava, sapeva di essere
da falciazucche ma non dove fosse collocato rispetto a
kollanemos.
Dove gli aveva indicato c’era in un piccolo sentiero, un
passaggio tra gli alberi, l’erba smetteva di crescere
seguendo delle traiettorie di carro. Era così che il vecchio
portava gli ortaggi in paese.

26
Garouhart...
I primi raggi di sole si facevano timidi tra le foglie, il cielo
era limpido, il vento quieto.
Il sentiero si faceva sempre più stretto nel bosco, non si
riusciva quasi più a capire la direzione.
-Lasciami passare, seguimi-
Con un soffio spense la lanterna.
Anderion aveva un passo corto, Sylvandor zoppicava, non
andavano molto veloci e se degli orchi si fossero ripresentati
sarebbero stati sopraffatti.
-C’è qualcuno in questa foresta? Oltre a te ovviamente-
Falciazzucche si girò:-No, solo animali, perché lo chiedi,
ragazzo?-
-Nulla è che, non mi sento a mio agio di questi tempi-
-Oh si, dimenticavo, mi dispiace per la partenza di quasi
tutta Kollanemos, se non fossi qui probabilmente avrebbero
chiamato pure me, mh- Sorrise -Un vecchio e povero elfo
come me, che non ha mai impugnato arma alcuna mandato
in guerra, te lo immagini?-
-Non...non avete mai combattuto?- Era ancora molto
insicuro a parlar con lui.
-Oh certo che no, quando sono nato io, tra le prime
generazioni non esistevano guerre, giravano voci di
divinità, potenti stregoni creatori del mondo stesso.
Secondo le leggende erano 7. Ognuno dei quali creò diverse
civiltà, diverse creature, addirittura si parlava di ulteriori
piani di esistenza. Un giorno uno dei sette venne esiliato,
per aver tradito gli altri. Dopo molti anni, i restanti, avendo

27
Garouhart...
speso tutte le loro forze nella creazione del mondo caddero
e ne rimase solo uno, il più potente. il giorno in cui sarebbe
morto avrebbe generato le migliori creature mai viste,
potenti, feroci, intelligenti. Ma ahimè ogni creatura
rispecchia il padrone e tali creature saranno affamate di
potere e dominio, come il creatore. Questa è una favola che
mi veniva raccontata da piccolo, nulla è vero, ma se così
fosse avremmo molto da temere. Eee... non ricordo avevi
chiesto qualcosa?-
-No nulla-
Ad Anderion questa favola era familiare, l’aveva già
sentita, forse raccontata dalla madre in infanzia, forse letta
tra libri di mitologia. Comunque sapeva che le favole erano
fantasia, in un certo senso gli davano fastidio, volevano
spiegare fenomeni dimostrabili usando la pura fantasia.
-Stai bene?-
Senza rendersene conto si era fermato, pensando.
-Si- riprese il cammino: -Certo-
-Non ho ancora capito perché ti trovavi tutto solo nella
foresta-
-A me piace avventurarmi, mi sono perso-
Sylvander non aveva una buona memoria.
-I veri avventurieri non si perdono, almeno hanno sempre
qualcosa con cui orientarsi nel caso succeda-
-Sai? Ci si può orientare con le stelle, o con il sole, la luna-
-Basta sapere che ore sono e in base alla posizione di tali si
possono individuare tutti e quattro i punti cardinali-

28
Garouhart...
-Non... lo... sapevo-
-Sicuro di star bene? An an...-
-Anderion-
-Oh si giusto, Anderion-
-Sto bene, sono solo stanco-
Il sole si faceva sempre più alto e la foresta continuava ad
apparire infinita davanti a loro. Dopo ogni curva se ne
ripresentava un’altra, dopo ogni colle valicato se ne vedeva
un altro.

Dopo molte ore di cammino, il sole ormai a picco giunsero


nuovamente su di un rialzamento:-Ecco il villaggio-
Anderion corse avanti: si intravedevano dei tetti, il ruscello
e la valle.
-Penso di riuscire ad arrivare a casa-
-Bene, allora...allora a presto And...erion- Falciazzucche
rimase fermo un istante poi iniziò a camminare verso dove
erano venuti.
“Cosa mi diranno quando mi rivedranno qui dopo quasi un
giorno intero” pensava tra se mentre correva verso il
sentiero.
“Gli dirò di aver dormito nella foresta non distante da casa,
mi è già capitato in passato”
Raggiunse il sentiero, non c’era nessuno. Per arrivare a
casa sua doveva risalire verso nord, passare per i forni del
fabbro, dal fornaio a cui non aveva nemmeno dato l’addio,

29
Garouhart...
dal ponte sul torrente, dalle balconate di legno che davano
sulla valle per poi salire la scala che lo avrebbe portato a
casa.
Salì, Kollanemos sembrava vuota e così anche casa sua, si
accorse di due persona che parlavano sedute al tavolo.
Erano i suoi genitori.
-Quanto pensi che ti rimanga?- la madre.
-Non molto sono già passati 5 giorni da quando me lo ha
inflitto, sta sempre peggiorando- il padre.
-Troveremo una cura, qualcuno ti guarirà-
Anderion era nascosto dietro all’entrata, voleva ascoltare,
non farsi sentire.
-Non c’è modo di farlo, sarebbe troppo pericoloso-
-Chiederemo ai migliori sciamani di...-
-No, non vi metterò in pericolo-
-Non ci faresti mai del male-
-Non riconoscerei me stesso, ha preso me, sarò io a
decidere-
-Non puoi...-
-sh, ci potrebbe sentire-
-Vado a svegliarlo, tra poco arriverà il carro-
Anderion corse sul retro, camera sua si trovava nella
soffitta, riusciva ad accederci arrampicandosi su un albero.
Fece più in fretta che poteva, sentiva il rumore dei passi
salire per le scale.

30
Garouhart...
Entrò dalla finestra che lasciava sempre aperta, lanciò la
lama sotto al letto e si sedette su una sedia.
La madre arrivò:-Anderion il carro con le provviste sta
arrivando, And...-
Aveva preso il primo libro che c’era appoggiato e lo aveva
aperto.
-Che cosa ti prende? Ieri non sei sceso per la cena-
-Scusa, stavo finendo di leggere questo libro-
La madre si avvicino e allungò gli occhi.
-Tengwar Enaire, non lo avevi già letto?-
-Si ma, me lo hai detto tu, ho bisogno di altra pratica-
-Fa veloce, poi scendi-
Così fece senza esitare.
Scese le scale, al tavolo era seduto anche il padre che si
coprì il braccio appena lo vide.
-E’ tornato questa mattina presto-
-Dove sei stato ?- gli chiese Anderion
-Dovevo svolgere qualche faccenda giù in pianura-
Ovviamente non gli credette, era sempre misterioso quando
parlava di certi argomenti, come se dovesse nascondere
qualcosa.
-Ecco le ceste- Un carro trainato da due cavalli bianchi si
fermò sotto casa, per un momento sperò di vederci scendere
i fratelli, vittoriosi, con le spade macchiate si sporco sangue
dei mostri più orribili. Seguiti dagli eserciti elfici, i più

31
Garouhart...
grandi di sempre, gli scudi alzati con il segno delle cascate
di Kollanemos, per mostrare a tutti chi erano i vincitori.
Così non fu.
-Non c’è molto, i pescatori sono partiti, così anche gli
agricoltori e allevatori, e artigiani. C’è solo del vecchio
pane e del riso- gli disse il brumista.
-Andrà bene, ma ce ne servirà altro per i prossimi giorni-
Prese la cesta e la portò in casa.
Il carro se ne andò.
La portò in casa, gli altri seduti ad aspettare.
-Prendete quello che travate, il cibo scarseggia anche qui-
Presero del pane, del riso. Era conservato dentro delle
ciotole di legno fine, per non disperdere il calore.
-Anderion- Disse il padre:-Dopo devo dirti una cosa, dietro
casa-
Lo guardò, fece cenno con la testa e continuò a mangiare.

Anderion salì in camera non appena ebbe finito, voleva


nascondere meglio la lama che gli aveva dato falciazzucche,
per sua fortuna aveva una cassa, dove raccoglieva le cose
più importanti , la nascondeva dietro una libreria. Lì
nessuno avrebbe guardato.
Corse nella foresta, il padre era già lì ad aspettarlo. Sempre
con le braccia conserte e la sua solita tunica bianca.
-Eccoti- gli disse lui.

32
Garouhart...
-Dovevo sistemare dei libri-
Idyolfias si girò verso le pianure ad est:-Hai più provato ciò
che ti avevo detto?-
-Si ho provato, molte volte- Era difficile non parlare di
quanto accaduto, se lo avrebbe fatto non lo avrebbero più
lasciato uscire di casa, neanche per riempire i secchi
d’acqua al torrente.
-Ci sono riuscito, una volta-
Il padre lo guardò con aria sorpresa:-Puoi rifarlo?-
-Credo... di si-
Allungò il braccio, cercò di imitare quanto fatto con gli
orchi.
Distese le dita e pensò solo a muovere un sasso che giaceva
tranquillo lì per terra.
Passò qualche secondo e ancora niente. Il padre alzò le
sopracciglia. Anderion chiuse gli occhi.
Con molta fatica il sasso si sollevò di qualche centimetro poi
ricadde subito a terra.
-Bene, bene. Impari in fretta-
-Ti ho fatto venire non per questo in realtà, non solo-
-Di questi tempi sono molto indaffarato, e così tua madre.
Non per spaventarti ma degli eserciti di mostri stanno per
arrivare in Purvea. Se i tuoi fratelli dovessero fallire nella
loro impresa giungeranno dritti qui, avrai bisogno di
difenderti, anche se tua madre vorrebbe scappare a nord
voi rimarrete. Non so quanto tempo ci rimanga, è per

33
Garouhart...
questo che ho scelto te e non uno dei tuoi fratelli per
difendere casa. Impari in fretta, più di qualunque elfo o
persona abbia mai visto. Alla tua età i tuoi fratelli facevano
finta di combattere tirandosi addosso dei rami caduti dagli
alberi. Tu sai già parlare tre lingue, padroneggi la magia,
anche se hai solo 8 anni sei migliore di qualunque altra
persona sia rimasta a Kollanemos e su cui io possa fare
affidamento-
Anderion rimase in silenzio, uno sguardo serio, gli erano
ricadute molte responsabilità addosso.
-Ora guarda-
Idyolfias allungò entrambe le braccia davanti a lui, aprì le
mani, congiunse i pollici. Con un piccolo gesto rivolto al
cielo si innalzò un’enorme scia di fuoco, lunga due o tre
metri.
Anderion ne era affascinato.
-Non credo che ti sarà difficile imparare a farlo-
Il padre si girò rimise le braccia come sempre le teneva e
camminò verso casa.
-Padre, aspetta- Si voltò.
-Cosa ti è successo-
-A me? Nulla-
-Prima, vi ho sentiti. Sei stato ferito-
Sospirò:-Ragazzo curioso, non preoccuparti non è nulla-
-Voglio saperlo, cosa hai fatto, devo saperlo-
-Va bene, non avrò segreti con te. Non lo dirai a nessuno-

34
Garouhart...
-Non c’è nessuno a cui potrei dirlo-
-Stavo andando a nord, dagli elfi dei boschi, per chiedere
aiuto. Il loro re abita tra le foreste, si pensa che sia la
foresta stessa a governarli. Io avevo bisogno di parlare con
lui, o lei e mi sono imbattuto in una strana creatura. Un
licantropo, solitario. Garouhart, quello è il suo nome tra la
gente del posto. Una volta era un elfo come tutti loro, poi un
giorno, non si sa come, iniziò a comportarsi in maniera
strana, forse per il morso di un mannaro, forse per colpa di
una maledizione. Divenne sempre più cattivo, non riusciva
più a controllarsi, non sapeva più chi era. Gli elfi decisero
che era troppo pericoloso anche per essere rinchiuso, lo
portarono nella foresta, nel punto più desolato, con la
speranza che lì si perdesse e non tornasse più al villaggio.
Mi ha sorpreso, mi sono difeso ma lui mi ha morso-
Sollevò la tunica che copriva il braccio. Anderion guardò la
ferita, scura e sanguinosa.
-Ma...quindi...anche tu diven...-
-Sì, sì è probabile-
-E’ per questo che dovrai essere pronto, esercitati, leggi,
studia-
-Dove posso trovare i libri giusti?-
-Tra le nostre librerie ce ne sono molti, se diventerai
abbastanza bravo e ti servirà altro, come spero accada,
dirigiti verso est, segui il fiume, lì troverai villaggi. Ognuno
ha una sua libreria, potrai consultarle tutte se lo riterrai
necessario-
Idyolfias smise di parlare e continuò a scendere.

35
Garouhart...
-Padre-
-Ti rivedrò?-
-Non lo so-

36
Capitolo 5
Ultima frontiera...

Il sole si stava alzando velocemente in cielo, come per


annunciare l’arrivo dell’imminente guerra.
Erano già tutti svegli, nessuno aveva dormito
profondamente.
I due fratelli erano seduti al bancone della taverna.
-Vorrei offrire questi boccali a questi due grandi elfi, che
hanno riportato speranza in un periodo buio!- Il locandiere
li alzò in piedi:-E che non siano gli ultimi!-
Tutte le persone di Gilbur, riunite alla locanda, fecero lo
stesso.
Erano tutti pronti, le armature già indossate, le lame nelle
fodere, le faretre piene, gli archi tesi.
-Ancora nulla?- Chiese Thalendor ad un umano appena
rientrato nella taverna.
-Nulla, ci sono almeno dieci uomini alle finestre delle case
che, senza farsi vedere, controllano ogni angolo del
villaggio-
-Bene-
-Ti fidi di quelli?- chiese Eldorian
-Perché non dovrei-
-Sono umani, fino a ieri volevano lasciarsi ammazzare-

37
Ultima frontiera...
-Vai a controllare se non ti fidi-
-E’ quello che stavo per fare-
Eldorian si alzò e uscì dal locale. Il cielo era limpido, il
clima fresco, il vento lieve da ovest. Tutto sembrava essere
messo apposta per creare uno scenario di guerra.
Avevano ragione, all’orizzonte ancora nulla. “volevo solo
esserne sicuro” pensò.
Si avvicinò anche il fratello. Erano entrambi impazienti,
non sapevano quando sarebbero arrivati e ancora peggio
cosa sarebbe arrivato.
-Gli eserciti stanno arrivando?- Eldorian gli chiese.
-Non ne ho idea, dobbiamo solo fare affidamento sulle
parole di nostro padre-
-E su gli altri villaggi?-
-A sud stanno resistendo, a nord ancora nulla e di ovest non
ci sono notizie-
-A ore dodici!!!!- Urlò qualcuno dalla finestra.
Davanti a loro, sull’orizzonte si vedevano dei piccoli puntini
marroni.
Erano pochi, non più di quindici, correvano verso il
villaggio.
-Correte in alto, colpirete a distanza sulle case!- Urlò
Thalendor mentre estraeva le sue due spade e si metteva al
centro delle strade.
-Cosa fai, stai lì?- Eldorian credeva fosse impazzito.

38
Ultima frontiera...
-Devo vedere chi ho contro, ce ne sono sicuramente altri-

Si avvicinavano velocemente , tutti erano pronti a scoccare


le frecce contro di loro, non un solo rumore.
-Non ancora... non ancora...-
Erano a poche centinaia di metri dal villaggio.
Eldorian li riuscì a scrutare, esseri piccoli, marroncini con
armi semplici, erano goblin.
-Come...- Erano pochi, è come se stessero andando contro
alla morte senza fare una piega.
-No, no...- disse piano Thalendor:-Nessun essere
ragionevole farebbe una pazzia come questa-
Le frecce furono scoccate.
I piccoli esseri caddero a terra con un foro nel petto, il loro
sangue rossastro sgorgava dalle ferite, viscoso e denso
bagnava l’erba sotto di loro.
Tutto si calmò nuovamente.
-Cosa sta succedendo?- si alzarono delle voci tra la gente
sparsa nelle case.
Un tonfo.
La terra sembrò vibrare.
Il rumore di mille passi, le armature che sbattevano al
suolo.
Gli urli profondi di guerra provenire dall’orizzonte.

39
Ultima frontiera...
Il cornò suono, queste creature erano più grosse, più forti,
più assetate di sangue.
-Orchii!-
Thalendor rimase al centro della strada, il fratello gli
urlava di salire.
Da dietro l’esercito grigio altri goblin corsero, erano molti
di più, si spostavano a gruppetti.
-Pronti alla guerra-
Si avvicinavano.
Gli orchi sembravano molto diversi da come erano
raccontati nei bestiari, non avevano una faccia sporca e
rugosa, o meglio, erano sporchi ma il volto coperto da
spessi peli marroni a chiazze scure. Folte barbe sudice e
sopracciglia nere, nasi piatti e soffianti, orecchie lunghe è
appuntita, più somiglianti a quelle di un elfo o di un
licantropo che di un orco. Indossavano spalliere di ferro
ricolme di spuntoni, nelle mani delle grosse mazze pronte
ad uccidere qualsiasi creatura. Nessuno sapeva di cosa si
trattassero ma una cosa era certa, quelli non erano orchi.
-Che diavolo sono quei cosi? – Battevano le mazze al suolo,
come per marcare il terreno davanti a loro mentre si
facevano avanti impetuoso. Destavano terrore e incertezze
tra gli umani di Gilbur che, fino a pochi istanti prima,
erano così convinti e pieni di orgoglio. Muovevano la vista
cercando conforto nei due fratelli che, incerti, si
guardavano. Thalendor ancora impallato nel centro della
strada con le lame alzate, Eldorian ansimante, pensando
agli elfi del nord: - Dov’è quel tuo libro quando serve? –

40
Ultima frontiera...
Thalendor si voltò, diede ancora uno sguardo all’orizzonte,
e corse verso la locanda stringendo ancora le spade tra le
mani.
Le prime orde di goblin arrivarono sotto tiro degli archi.
-Prendeteli! –
Gli umani iniziarono a scoccare frecce dalle terrazze; Pochi
furono colpiti, grazie alla loro destrezza nello schivare colpi
e per colpa della poca domestichezza dei cittadini con tali
archi.
Alcuni raggiunsero le abitazioni. Sfondarono le finestre,
distruggevano tutto ciò che trovavano, fatta eccezione per
gli oggetti più preziosi e raffinati che si mettevano tra le
sacche tenute in cinghia. Gli umani furono costretti ad
evacuare ai piani alti, mentre in lontananza, quei luridi
mostrarci pelosi urlavano e battevano le mazze
aumentando il passo.
Thalendor entrò con tale foga da abbattere il portone, corse
dietro il bancone, evitando delle sedie e dei tavoli disposti
per intralciare i goblin, e si diresse verso le camere al piano
superiore. Avevano lasciato lì tutti i loro averi, in battaglia,
agli elfi di Purvea, viene insegnato di rimanere i più leggeri
possibile per rimanere agili nei movimenti. Il libro era
appoggiato al tavolino di legno marcio, accanto allo zaino
ricolmo di provviste. Si mise a sfogliarlo velocemente in
cerca di qualcosa di simile. Allora non erano molti i mostri
conosciuti e oltre a orchi e goblin gli avvistamenti erano
pressoché inesistenti. Nella sezione riguardante i goblin
erano riportate, però, delle descrizioni, molto brevi e
generiche, di mostri grossi, barbuti e feroci cugini di tali.
Non era riportato nulla su come affrontarli.

41
Ultima frontiera...
-Dannazione! – Diede un calcio al tavolo e il libro cadde a
terra.
Dalle finestre oscurate si intravedeva la battaglia
incombere nel villaggio, alche Thalendor si avvicinò alla
finestra provando ad aprirla. La serratura era bloccata.
Fece qualche passo indietro, prese un respiro, e corse verso
la finestra. Con un’abile gesto si gettò sulla finestra, la
serratura si ruppe e si ritrovò a capofitto nella mischia di
guerra.
Una freccia dopo l’altra, la faretra si svuotava, così per gli
altri al suo fianco, e il peggio doveva ancora arrivare. I
goblin iniziarono a nascondersi tra le case, molti erano già
stati trafitto dalla pioggia appuntita che si abbatterà tra le
strade. Thalendor alzò lo scudo al cielo e venne così liberato
dai nemici al suo fianco uscendo ne illeso. Iniziarono a
sentirsi urla d’aiuto. I goblin stavano salendo dall’interno
sorprendendo da dietro i tiratori. Così la guerra si fece
corpo a corpo, spada a spada, pugnale a pugnale.
Il rumore di ferri si faceva insistente, sempre più umani
iniziarono a cadere, le sorti della battaglia erano ormai
scritte, quando ancora il sole non era giunto a metà viaggio.
La speranza aveva ormai abbandonato i combattenti che,
però, si facevano onore nel battersi fino alla morte. Il
locandiere guardava Eldorian sconvolto, le braccia pesanti,
il volto distrutto.
-Sono troppi, non abbiamo abbastanza uomini-
-Non fateli passare-
-Ma noi non… -

42
Ultima frontiera...
-Non dovete lasciarli andare - Eldorian continuava a
ripetere, con tono calmo, calmo e quasi severo. Si girò verso
il locandiere, la speranza aveva abbandonato i suoi occhi.
-Ve ne prego, non fateli passare-

Thalendor si duellava bene. Roteava le lame attaccando a


più nemici allo stesso tempo. Non aveva mai avuto
l’occasione di fare pratica ma gli insegnamenti accademici
del padre erano ben fondati; Da quanto ne sapeva non
aveva mai combattuto nemmeno lui, tra i libri di storia
erano riportati nomi di antiche guerre sorte dalla nascita di
nuove razze. Gli elfi si scontrarono con nani, orchi e altri
mostri minori ma nessuna guerra fu mai vinta o
combattuta. Ora, invece, era lì, in pieno mondo, pronta a
dar fine ad ogni regno. Per gli elfi la speranza era ultima a
morire, soprattutto per Thalendor che ora cercava di
deviare i goblin dalle case. Correva per i cunicoli, saltava
tra le finestre sfondate, tagliava la gola a qualsiasi essere
che incontrava. Molto stupidi ed imprudenti, erano i
goblin, si gettavano su ogni cosa che vedevano senza badare
a ciò che li circondava.
Una casa liberata, un’altra dopo, pian piano i goblin
cadevano a pezzi, spappolati uno dopo l’altro, ma la guerra
non ha mai fine...
I rumori di mazza si fecero più vicini, passi pesanti
incombevano al villaggio. Grosse risate rauche e profonde
si sollevavano dalla mischia che osservava gli umani. Tutti
si voltarono al loro arrivo. Il primo e più grosso sollevò la
mazza e la scaraventò su di una colonna che reggeva la
balconata di legno all’entrata del villaggio. Questa cedette e

43
Ultima frontiera...
così tutto l’edificio sopra di esso. Quei mostri si misero a
ridere in coro.
Eldorian si vide la struttura cedere davanti ai suoi occhi,
d'istinto tese l’ultima freccia che gli rimaneva. Mirò alla
gola, tra tutto il corpo era la parte in cui la peluria si faceva
meno folta; così venne scoccata. Sibilò nel silenzio cupo e si
inficcò giusto sopra la scapola. Il mostro si portò le mani
alla gola lasciando cadere la mazza, il viscido sangue nero
sgorgava da ogni dove e bagnata il terreno ricolmo di
macerie. Singhiozzò due volte spuntando altro sangue dalla
bocca, dopodiché cadde a terra privo di vita.
Tutti i suoi fratelli si voltarono verso Eldorian con aria
incredula e minacciosa, lui porse la mano alla faretra,
ricordandosi poi che era vuota. Iniziò a correre giù per le
scale in cerca di riparo, una decina di quei cosi lo
inseguivano alle spalle. Thalendor lo vide e si mise a sua
protezione, spade sporche di sangue contro pesanti tronchi
di legno compatto, avvolti da punte di ferro affilate.
Non avrebbe avuto speranze.

Ciò che fa di un elfo un’abile guerriero non sta nella forza


o destrezza di combattimento, sta nel fare la mossa migliore
nel momento più opportuno.
Nel fare la cosa più saggia...
Thalendor tagliò una corda appesa al di sopra della
taverna, dall’alto cadde un enorme masso.
E l’abilità di uno Gnosi sta nel creare piani folli...…

44
Ultima frontiera...
L’enorme roccia si abbatté contro l’abitazione di fronte,
non colpì nessun mostro ma distrusse l’intero edificio. Una
decina di mostri si vide travi enormi di legno, intere pareti,
tronchi di pino e varie altre macerie cadersi sopra la testa,
ritrovandosi schiacciati.
I pochi rimasti cercarono di fuggire dal crollo verso nord,
dove la strada si allargava, ma si videro difronte qualcosa a
cui nessuno, il giorno prima avrebbe anche solo pensato.
Quel qualcosa che fa la differenza, tra un mostro e un
umano, tra un elfo e un umano. Qualcosa di molto più
potente di una rozza lama.
Quei pochi rimasti, stracci e ricolmi di ferite, il sangue che
gli sgorgava dalle ferite semiaperte, i volti martoriati. Ma
erano lì. Ancora a proteggere le loro case, perché non ci
fosse giorno senza speranza, senza resa, senza alcuna storia
che parlasse di come degli stupidi mostri pelosi
conquistarono la piana, distruggendo e massacrando ogni
cosa sul loro cammino.
Uno di loro alzò lo sguardo. Guardò quelle orrende
creature dritto negli occhi, poi si chinò verso il basso. Prese
un ciottolo. Lo strinse in pugno, lo guardò per
qualche attimo, poi lo gettò con tutta la forza che gli
rimaneva in corpo.
Colpì il più grosso dei mostri, dritto in fronte.
Alzò lo sguardo, facendo quasi una smorfia, mentre tutto il
resto guardava in silenzio.
Fece un passo in avanti, brandendo la mazza.
Iniziò a camminare, poi a correre.
Gli altri suoi fratelli lo seguirono facendo lo stesso.
45
Ultima frontiera...
Thalendor fece un sospiro e rimase fermo. Eldorian lo
guardava.
Gli abitanti fermi, consapevoli del loro destino segnato.
Il locandiere lasciò cadere la lama:
-Abbiamo fatto ciò che potevamo-

46
Capitolo 6
Ignatius...

Idyolfias stava fissando il paesaggio verso est da ormai


un’ora, non sapeva cosa fare.
Avrebbe avuto voglia di correre, scendere le montagne,
arrivare a qui piccoli villaggi di cui si scorgevano i tetti
scuri. Era appena tornato, ma era come se il padre lo
spingesse ad andare.
Sapeva che scappare in quel momento sarebbe stato sciocco
e da irresponsabile, ma la curiosità dietro ai libri era
troppa. Era stato catapultato nel mondo della magia e ora
voleva vedere ogni cosa.
Osservò ancora un momento all’orizzonte, poi si voltò,
sbatté i piedi a terra e corse verso casa.
Entrò di furia dalla porta sul retro e scese gli scalini fino ad
arrivare in cucina. La madre era ancora seduta al tavolo. Il
padre se ne era andato.
-E’ avanzato del pane?-
-Si, prendine, ma fanne buon uso, non sappiamo per quanto
ancora ne avremo-
Anderion ne avvolse due pezzi in una stoffa poi corse sulla
balconata di fronte

47
Ignatius...

La madre lo guardò, senza fare troppe domande, ormai era


d’abitudine che lui corresse in giro, al momento aveva
problemi più grandi a cui pensare.
Anderion arrivò fino all’inizio del sentiero per est, dove era
ancora fermo il carro, al di sopra erano poggiate varie ceste
vuote e parecchie botti ammuffite.
Voltò appena la testa, quando vide che il brumista stava
tornando con un’altra botte. Corse dietro al carro, senza
farsi vedere, saltò d’istinto dietro un cesto, poi, grazie al suo
corpo minuto, s’infilò dentro una botte vuota.
Il brumista non badò a guardarlo, alzò di forza la botte che
teneva tra le braccia e salì sul carro. Sbatté i finimenti e il
cavallo partì al nitrito.
Ci era riuscito, Anderion stava uscendo da Kollanemos. In
quel momento era preda di varie sensazioni confuse, era
felice per esserci riuscito, impaurito da ciò che la madre gli
avrebbe detto, e soprattutto spaventato da cosa sarebbe
successo.
Pensava tra se e se al peggio. Cosa sarebbe successo se una
banda di orchi fosse arrivati mentre era sul carro? Cosa
sarebbe successo se quel carro sarebbe finito in un posto
troppo lontano? E soprattutto, come avrebbe fatto a
tornare a casa?
Mentre continuava a pensare veniva sballottolato dentro
alla botte continuando a picchiare la nuca contro una delle
travi di ferro. Non avrebbe potuto muoversi, o il brumista
l’avrebbe scoperto, ma così non poteva continuare. Gli
stava anche salendo una certa curiosità sul posto in cui si

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Ignatius...
stavano dirigendo, non conosceva bene i villaggi della
Purvea.
Provò a contorcersi su se stesso, inclinando la testa verso
l’alto, sentendo un forte dolore al collo decise che era
meglio provare altro.
Aveva visto Erhean praticare dei fori sul fondo delle botti
mentre era in bottega da lui, per poi ricoprirle con dei tappi
di legno, o sostituirli da dei piccoli rubinetti di metallo
perché potesse essere distribuito meglio il contenuto.
Toccava alla ceca con le mani, provando a sentire dove quel
foro si trovasse, ma nulla, non sapeva proprio come fare.
Aspettò ancora qualche istante, poi si decise a cacciar fuori
la testa, preoccupandosi poco di quel che sarebbe successo.
Contro le sue aspettative riuscì ad alzarsi in pochi istanti, e
riuscì a non fare troppo rumore. Alzò la testa, alzando
leggermente il coperchio di legno che aveva ripoggiato sulla
botte per non essere visto. Riusciva a vedere il brumista, e
tutto ciò che lo circondava. Stava cantando una canzone
non molto comune in quelle terre, Anderion non ne sapeva
la provenienza, ma sapeva che non parlava di elfi o umani.
-Nella terra gelida...-
-Tra vento e neve...-
Continuava ad osservare intorno, non sembrava fosse
molto distante da Kollanemos.
-Si erge il monte...-
-Maestoso e lieve... -

49
Ignatius...
Il carro procedeva sempre sul sentiero, ora meno pendente,
erano quasi giunti al vicolo, oltre il quale non era mai stato.
-Segni di guerra...-
-Di vita breve...-
-Di mille asce...-
-Battute e schive-
Si riusciva ora a scorgere il cartello di legno, dritti per
Caladhorn, a sud per Elenion, a nord per Dremos. Il
brumista ancora cantava, continuando per est:
-Venne quel giorno...-
-Di notte fitta...-
-In cui la bestia...-
-Venne sconfitta-
Ora Anderion era più tranquillo, era quasi certo che il
carro si sarebbe fermato nel vicino villaggio di Caladhorn,
al peggio sarebbe tornato a piedi.
-Or ogni nano...-
-Memoria ha permasa...-
-Di dove il drago...-
-Ancor riposa...

50
Ignatius...
Il carro stava pian piano rallentando, Anderion riaprì gli
occhi. Si era addormentato, e si trovava ancora lì, contorto
nella botte.
Fece per rialzarsi, la schiena dolorante, alzò leggermente la
copertura, e quando vide che il carro era fermo e il
brumista sceso lo lasciò cadere a terra. Si alzò in piedi
lentamente, guardandosi attorno c’erano numerose case.
Fece un balzo e scese dal carro, guardò solo in quel
momento al cielo, stava già quasi per tramontare. Era
molto stordito, e disorientato, non capiva più dove si
trovasse di preciso. Vedendo il brumista nell’intento di
prendere una botte fece d’istinto un balzo indietro,
girandosi ed entrando nella prima porta contro cui sbatté.
Si ritrovò in quello che sembrava essere un locale pieno di
bottiglie, lame e cianfrusaglie varie.
Voltandosi leggermente a destra riusciva a vedere una
schiera di tavoli, appena più bassi del suo mento, disposti
ordinatamente, sulla quale erano poggiati diversi scudi di
ferro e spade nelle loro fodere. Davanti a essi numerose
fiale e bottiglie di vetro colorato erano alternate da tappi di
sughero. Ognuna di essa conteneva liquidi più o meno
densi, accompagnati da cartellini per indicarne la
provenienza.
Anderion stava quasi per allungare la mano verso uno
scaffale, ripieno di libri, quando venne interrotto da una
profonda voce d’elfo: - Non è questo un posto in cui
giocare, giovane ragazzo-
Anderion si girò, dietro di lui c’era un elfo robusto, seduto
dietro ad un bancone. Aveva due grandi braccia muscolose,
che teneva conserte e poggiate al legno; Dei capelli color
51
Ignatius...
avorio, lasciati cadere lungo la schiena, coperta da una
leggera maglia giallastra, sporca di fango e chissà quale
altra sostanza.
Aveva lo sguardo serio, una cicatrice sul volto.
-Mi stai ascoltando?!-
-Si, si, mi scusi- rispose timidamente Anderion, che fino a
quel momento era fermo a contemplare ciò che stesse
succedendo.
-Io non sono qui per giocare-
-Ah davvero? E allora cosa mai ci farebbe un bambino
come te in un locale del genere?-
-Stavo cercando delle cose, ma mi sono perso-
-Perso? Da dove dovresti venire? È impossibile perdersi a
Caladhorn-
-Io non sono di Caladhorn, vengo da Kollanemos-
-Kollanemos...devi essere di famiglia ricca, sono in pochi ad
essere rimasti alla vita quotidiana da quelle parti, chi ti ha
accompagnato deve essere molto fortunato-
-Beh, in realtà nessuno mi ha accompagnato, sono venuto
da solo-
L’elfo fece un ghigno.
-Impossibile, Kollanemos si trova a due giorni di cammino
da qui-
-Due, due giorni?- Anderion non aveva la minima idea di
quanto si trovasse lontano da casa, vedendo il buio al suo
arrivo non aveva sperato in positivo, ma a sentire quelle

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Ignatius...
parole la paura delle conseguenze che sarebbero scaturite
dal suo allontanamento si fece molto più intensa.
-Ragazzo? Che hai che non va?-
Anderion era ancora fermo.
-Per quale motivo ti saresti dovuto allontanare così tanto da
casa senza nessuno ad accompagnarti? Perlopiù di questi
tempi!-
Anderion riprese le forze e si concentrò sul vero motivo per
cui aveva rischiato tutto, sarebbe stato da sciocchi sprecare
una tale occasione:- Stavo cercando dei libri, dei manuali,
che potessero aiutarmi nella mia formazione-
L’elfo aggrinzì le sopracciglia e si alzò dalla sedia.
-E’ tardi, dovrei chiudere, ma sai una cosa...Tu mi piaci
ragazzo, anche io alla tua età scappavo sempre di casa per
infilarmi in situazioni pericolose e del tutto sciocche. Non
hai un posto dove dormire vero?-
-no...-
-Allora vieni- Disse alzando un’asse di legno legata al
bancone con delle cerniere.
Anderion esitò un attimo, non sapeva se avrebbe dovuto
fidarsi di quell’elfo, non sapeva chi fosse, quali fossero le
sue intenzioni... Lui, dalla grande esperienza, riuscì a
capirlo guardando negli occhi Anderion.
-Se te lo domandassi io sono Sindorave. Il mio nome
completo sarebbe Thalasrin Sindorave, ma puoi chiamarmi
come ti pare. Sono il proprietario di ciò che vedi, un
emporio di lame e pozioni, insomma, una roba da veri

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Ignatius...
avventurieri- Fece un sorriso dando una pacca sulle spalle
di Anderion.
-Vieni seguimi-
Sindorave aprì una piccola porta dietro di sé e fece segno di
seguirlo.
Anderion si decise a muoversi, aveva ancora le idee
confuse, ma quel tipo gli sembrava affidabile, alla fine non
aveva pelle grigia sudicia e un volto suino.
Entrando si ritrovò in quella che gli sembrava essere una
fucina da fabbro, ricolma di oggetti e attrezzi sparsi per la
stanza. Lo spazio non era molto, le pareti anziché di legno,
come nell’emporio, erano ora di dura roccia scalfita in vari
punti da diversi oggetti.
-Non fermiamoci qui- disse Sindorave mentre avanzava
verso un’ulteriore porta sulla destra.
Aprendola il calore della stanza divampò, fuoriuscendo da
dentro. Si sentì subito un rumore, come un cigolio di sedia,
all’apertura della porta, poi una voce fredda, calma e quasi
severa si udì senza avvertirne la presenza: - Sindorave, ti ho
udito parlare, pensavo avessimo già chiuso...-
-Si, ho appena serrato la porta, ma ho incontrato lui-
Sindorave si spostò leggermente per mostrare all’uomo
Anderion - non potevo lasciarlo solo di questi tempi-
L’uomo, che in realtà era anch’esso un elfo era vestito di
abiti eleganti, molto rari e costosi all’epoca, con una colletto
color nero e una camicia bianca. Portava una giacca
verdognola, con ornamenti d’oro luccicanti. Aveva un volto
che trasudava esperienza, tra le rughe insolcate nella pelle,
nei lisci capelli grigi, nell’espressione seria...
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Ignatius...
-E perché mai un bambino dovrebbe girare solo a
quest’ora?-
-Dice di essere venuto da Kollanemos- rispose Sindorave: _-
Da solo-
-Phf! Sciocchezze! Kollanemos è troppo lontano perché un
bambino possa arrivarci di sua spontanea volontà-
-E’ per questo che l’ho fatto entrare, ha anche detto che
cercava qualcosa, qualcosa a cui nessun bambino è
interessato-
All’udir di quelle parole l’elfo elegantemente vestito
spalancò gli occhi. Gli sembrò per un istante di trovarsi
difronte a se stesso.
-Qualcosa che... gli altri...-
In tutto questo Anderion rimaneva in silenzio, ad ascoltare
e a pensare la cosa che sarebbe stata più giusta dire.
-Sì, Ignatius. Ho visto la nostra storia in lui. Avventurieri,
pronti a mettersi a rischio per cose che gli altri reputano
frottole. Disposti a tutto. Un solo obiettivo.-
L’elfo, ora identificato come Ignatius, riprese la sua
normale espressione:-E di preciso cosa starebbe cercando?-
-A me a detto che cercava dei manuali, di non so che cosa-
Entrambi guardarono Anderion, in cerca di chiarimenti, e
a quel punto lui non poté più tacere:
-Mio padre prima di lasciarmi mi disse di continuare i miei
studi, non so bene cosa fossero, lui mi disse poco, ma so che
c’è qualcosa che non avevo mai visto. Qualcosa che va oltre
la normale conoscenza, oltre dei semplici libri-

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Ignatius...
Gli sguardi dei due elfi si fecero più incuriositi e sempre più
in cerca di un chiarimento su ciò che stesse dicendo.
Anderion continuava: - I libri sono sempre molto generici
nel parlarne, ma so che quel qualcosa era già dentro di me,
come un talento innato, qualcosa che ti fa muovere i sassi
allungando un braccio e senza toccarli-
Gli occhi di Sindorave si accesero:-Stai dicendo che sei un
mago?!-
-No...- Lo interruppe Ignatius:-Uno stregone-
-Mago...Stregone...Che differenza fa?-
-Un mago acquisisce i suoi poteri, uno stregone li ha fin
dalla nascita, trasmessi di generazione in generazione, per il
volere di qualcuno più grande-.
Ignatius, a differenza di Sindorave, sembrava saperne
molto al riguardo, sembrava una di quelle persone colte,
che sanno tutto ma non lo vogliono dare a dimostrare,
perlomeno finché qualcuno non si fa avanti a chiederlo.
Anderion lo guardava perso nei suoi pensieri, forse era
riuscito a trovare la persona giusta che lo potesse aiutare.
Dopotutto suo padre aveva sempre voluto che diventasse
così, colto e di grande esperienza.
Nel frattempo Sindorave continuava a fare domande,
sembrava esserne più incuriosito di quanto non lo fosse il
diretto interessato:
-Qualcuno di più grande? E chi sarebbe quel qualcuno? Il
capo degli orchi? Dei goblin? Uno dei sette?-
Dopo le ultime parole anche Anderion sembrava
incuriosito. Non aveva mai sentito parlare dei “sette” e
Ignatius lo capì dalla sua espressione:
56
Ignatius...
-Suvvia, non è questo il momento di trattar certi argomenti,
sembra che abbia già le idee confuse, e poi, non sappiamo
ancora il tuo nome-
-Il mio nome è Anderion, della casata degli Gnosi, mio
padre si chiama, o credo, si chiamava Idyolfias, è stato
ferito qualche giorno fa, mentre era a nord.-
Anderion prese fiducia e consapevolezza nell’aver trovato
qualcuno che lo potesse aiutare e così iniziò a parlare in
maniera più pulita e sciolta.
-Mi spiace per tuo padre- Rispose Ignatius.
-Ora segui Sindorave che ti mostrerà dove dormire, domani
mattina avrai e spero, avrò, chiarimenti su ciò che sta
succedendo. Potresti essere di grande aiuto se nelle buone
mani-
Anderion diede un’ultima occhiata all’elfo, poi Sindorave lo
condusse nella stanza da cui erano arrivati, nella quale
aveva improvvisato un giaciglio con varie cose prese in giro
tra gli scaffali e i mobili.
-Non è un gran letto, spero tu riesca comunque a dormire-
-Si, è ottimo-
Anderion si sdraiò. Era la seconda notte consecutiva che
passava lontano da casa. Non sapeva cosa sarebbe successo
al suo ritorno, ma probabilmente con l’aiuto di Ignatius
avrebbe potuto risolvere tutto. I suoi ultimi pensieri
ricaddero sul padre, la madre, i fratelli in battaglia,
sull’infinita conoscenza che avrebbe potuto acquisire, alle
parole di Ignatius, ai sette...

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Finloren Oakenshade

Capitolo 7
Finloren Oakenshade...

Il grande mostro peloso sghignazzava, mentre tra le mani


batteva la sua mazza, in attesa di vittime.
Stava per sferzare il colpo quando da lontano un leggero
sibilìo interruppe la sua corsa. Una freccia si conficcò dritta
nel collo della creatura, facendogli versare sangue nero a
terra. Un’altra lo colpì nello stesso punto, e il mostro cadde
a terra. L’impennaggio delle frecce era costituito da verdi
foglie intagliate e lavorate a formare una vera opera
d’artigianato. L’asta era di legno perfetto, la cuspide
intagliata a mano. Esistevano solo pochi in grado di andare
a segno da quella distanza per due volte consecutive, di
lavorare una freccia in tal modo, ed erano loro. Loro che
nessuno aveva mai sperato di vedere, tardivi ma presenti:
gli elfi dei boschi.
Il suono profondo del corno sancì la fine della battaglia. Un
centinaio di elfi in armatura dorata si fecero strada nella
via ricolma di cadaveri, guidati dal più forte di loro, a
cavallo di un bianco, forte e splendente equino. Prendeva
una freccia dalla faretra, mirava senza neanche dover
guardare e scoccava non sbagliando mai un colpo. I due
fratelli ammiravano lo spettacolo sorpresi: era giunto un
raggio di sole nella tempesta, stava filtrando tra le nuvole,
la pioggia cadeva, ma le nuvole si stavano sgretolando.
Nella loro terra natia ognun sapeva ma nessun mai diceva
quell’affermazione che or si dimostrava vera: ”La mira di
un elfo di Purvea è seconda solo a quella di un Silvano.

58
Finloren Oakenshade
Dato che l’intero mondo conosceva gli elfi dei boschi come
“Silvani”, per le loro tradizioni e l’elfico leggermente
modificato dal distaccamento con i propri cugini.
Non passarono più di un paio di minuti e tutti i goblin
erano uccisi, così anche i loro fratelli pelosi. Le armate dei
boschi erano potenti, era la prima volta che scendevano in
guerra.
L’elfo a cavallo si fermò al centro della strada, gli altri
erano ancora disposti a schiera, con l’arco attaccato alla
faretra e una lancia ciascuno nella mano sinistra.
Thalendor fu il primo a farsi avanti, mentre gli altri
guardavano scioccati, senza più fiato e forze.
-Allora avete accolto le nostre suppliche...-
Il bianco cavallo nitrì e gli s’impennò difronte, poi si fermò
e fece scendere l’elfo che si tolse l’elmo d’oro. Aveva lunghi
capelli biondi, pelle pallida e orecchie più appuntite degli
altri. Aveva occhi azzurri e un espressione quasi serpentina.
-Non staremo qui per molto-
Non guardò nessuno in faccia e iniziò a camminare verso la
locanda, unico edificio ancora totalmente integro.
-Siamo qui per un bene superiore, vostro padre sa cose che
in pochi possono capire, non doveva essere il solo-
Anche Eldorian si avvicinò ai due, mentre percorrevano la
strada affollata di cadaveri e umani stracci.
Alcuni di loro, con le ultime forze in corpo decisero di
omaggiare i tre elfi venuti da lontano:- Complimenti a
Thalendor figlio di Idyolfias, Eldorian figlio di Idyolfias e...

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Finloren Oakenshade
Il re degli elfi, venuto da lontano- Un grande boato, seppur
lieve, si manifestò tra i presenti, mentre gli elfi dei boschi
facevano una smorfia.
L’interno della taverna era tutto in disordine, i tavoli
rovesciati, le sedie spaccate, boccali frantumati e chiazze di
sangue ovunque. Il locandiere stava finendo di trascinare
dei corpi morti di goblin ancora grondanti, il re degli elfi
dei boschi arrivò all’entrata. Thalendor ed Eldorian si
fecero seguire al piano superiore, dove avevano lasciato le
loro cose e la guerra non aveva colpito.
-Cosa intendi per “un bene superiore”?- chiese Thalendor,
che rimaneva in piedi con le braccia incrociate al centro
della stanza: -Si tratta degli avvenimenti a sud?-
L’elfo si sedette sulla panca, e iniziò a togliersi i
parabraccia appoggiandoseli di fianco. I due fratelli si
guardarono in attesa di risposta, che però non arrivò.
-Siate più pazienti...dopotutto abbiamo appena vinto la
battaglia-
-Sì la battaglia, non la guerra! Se voi fosse stati meno
pazienti avremmo anche risparmiato metà di questa gente!-
proruppe Eldorian.
-Vi abbiamo salvato...-
-Di poco- Eldorian sperava che gli eserciti arrivassero
prima.
-Ma vi abbiamo comunque salvato...-
-Voi elfi del sud dovreste imparare a mostrare più
gratitudine-

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Finloren Oakenshade
Thalendor fece segno al fratello di smetterla, poi prese la
parola:-Siamo grati del vostro aiuto, diciamo davvero, ma
adesso ci serve per ancora un momento il vostro aiuto.
Dobbiamo capire cosa nostro padre ti ha detto per
convincerti ad unirti alla nostra causa. Ci serve per ancora
un momento il tuo aiuto-
-E va bene...- L’elfo si alzò in piedi e poggiò le spalliere sulla
panca.
-Prima di tutto il mio nome è Oakenshade, probabilmente
lo avrete già sentito, diciamo che mi porto una certa fama
nella terra silvana-
Fece qualche passo avanti e indietro, poi continuò:-Sono
stato chiamato da vostro padre perché forse siamo riusciti a
capire chi c’è dietro a queste invasioni. Da racconti lontani,
di origine che va ancor prima della vita stessa abbiamo
estrapolato informazioni.
Nel villaggio di Caverest, come già saprete, accusano di
presenze ostili e ultraterrene, qualcosa che non è
riconducibile ai goblin o agli orchi, qualcosa di più potente-
Thalendor diede uno sguardo al fratello.
-

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Finloren Oakenshade

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Finloren Oakenshade

Continua...

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Sommario...
Prefazione…………………………………………….
3
Origini………………………………………………
…5
Ombre………………………………………………..
16
Gilbur……………………………………….
……….24
Garouhart……………………………………………
35
Ultima frontiera………………………………….…
46
Ignatius………………………………….
………….56
Finloren Oakenshade…………………….……..…
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