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Cos'è un classico

'Classico' è, nella sensibilità comune, un equivalente di 'tradizionale', 'canonico'.


Quando si parla di un autore o di un testo del passato che ha avuto una grande
risonanza in letteratura, nel pensiero o nella cultura generale, ci riferiamo in qualche
modo ad un elemento sentito come autorevole. Etimologicamente, il termine
'classicus' si riferisce alla classe di cittadini più elevata; applicato agli autori, indica la
percezione di un primato, di un ruolo-chiave nella storia letteraria. Nel tempo,
'classico' è diventato sinonimo di 'antico', 'tipico' e, nell'abbigliamento, di tendenze
che sopravvivono a qualsiasi moda.
Ma quando ci riferiamo ad un libro, precisamente, cosa intendiamo definendolo un
'classico'?
Ebbene, nessuno avrebbe potuto rispondere in maniera più competente e brillante di
Italo Calvino che, oltre che autore di primo piano nella narrativa italiana, è stato
anche un critico e un teorico della letteratura. Il suo saggio Perché leggere i classici,
una raccolta di articoli scritti separatamente, si apre con una premessa, anzi, con
una proposta di definizione.

1. I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: «Sto rileggendo...» e mai «Sto
leggendo...»
2. Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati;
ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per
la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli.
3. I classici sono libri che esercitano unʹinfluenza particolare sia quando sʹimpongono
come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria
mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.
4. Dʹun classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.
5. Dʹun classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura.
6. Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
7. I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che
hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o
nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel
costume).
8. Un classico è un'opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici
su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso.
9. I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più
quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti.
10. Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dellʹuniverso, al pari
degli antichi talismani.
11. Il «tuo» classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te
stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.
12. Un classico è un libro che viene prima di altri classici; ma chi ha letto prima gli altri e
poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia.
13. È classico ciò che tende a relegare lʹattualità al rango di rumore di fondo, ma nello
stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.
14. È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove lʹattualità più
incompatibile fa da padrona.

Il dato di maggiore evidenza nelle definizioni di Calvino (inserite in una trattazione


organica che vi invito a leggere) è, a mio avviso, la risonanza: un classico si
riconosce in quanto persiste in un immaginario pregresso e, nel momento in cui
viene conosciuto, si carica di nuovi significati che cambiano a seconda delle
esperienze personali e del tempo in cui si colloca il lettore. Possiamo sorprenderci a
riconoscere in un classico che leggiamo per la prima volta un pensiero che abitava
già nella nostra mente e sentirci come stupiti di questo nuovo incontro (che è un
po'la sensazione del sublime):

Non necessariamente il classico ci insegna qualcosa che non


sapevamo; alle volte vi scopriamo qualcosa che avevamo sempre
saputo (o creduto di sapere) ma non sapevamo che lʹaveva detto lui
per primo [...] E anche questa è una sorpresa che dà molta
soddisfazione, come sempre la scoperta dʹuna origine, dʹuna
relazione, dʹuna appartenenza.

Nel nostro dialogo con l'opera, possiamo individuare un senso che scaturisce dalla
nostra sensibilità oppure che era già insito nelle intenzioni dell'autore. Nella rilettura
possiamo scoprire particolari del tutto nuovi, che si svelano perché è cambiato il
nostro punto di osservazione, la prospettiva attraverso la quale scorriamo le parole.
Insomma, il classico è ciò che, anche se lontano del tempo, non smette mai di
comunicare con noi, senza per questo imporsi prepotentemente rispetto al moderno
e al contemporaneo, anzi, rimarcando quanto anche l'attualità e il progresso servano
ad alimentare un rumore di fondo che non disturba ma arricchisce quella stessa
comunicazione.

Questa comunicazione, tuttavia, deve avere come


premessa una passione, una ricerca spontanea
e disinteressata, perché la 'scintilla' deve
scoccare da sola, non può essere forzata. Bando
all'affanno del dover leggere, alla vergogna del
non aver letto un determinato titolo: «È solo nelle
letture disinteressate che può accadere
dʹimbatterti nel libro che diventa il 'tuo' libro».
Leggere un classico, dunque, non è né
indispensabile né imprescindibile, anzi, in
chiusura al suo intervento, Calvino suggerisce che
l'unica, vera ragione per leggere i classici vada
oltre (perché, evidentemente, le riassume tutte) le
sue quattordici note: «La sola ragione che si può
addurre è che leggere i classici è meglio che non
leggere i classici».
La comunicazione, la cultura, l'esperienza non sono mai eccessive, sceglierle non è
una fatica vana, perché una conoscenza in più è sempre una dote, anche se non
sfruttabile nella pratica, anche se non numericamente quantificabile. Ecco perché
Calvino chiude la sua proposta di definizione citando Emil Cioran:

Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando unʹaria


sul flauto. «A cosa ti servirà?» gli fu chiesto. «A sapere questʹaria
prima di morire».

NOTE:
Il capitolo di apertura del libro di Calvino è costituito dall'articolo Italiani, vi esorto ai classici,
pubblicato su L'Espresso il 28 giugno 1981 (pp. 58-68).

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