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Pier Paolo Pasolini

Accattone

Tu te ne porti di costui l'etterno per una lacrimetta che'l mi toglie...


Dante, Purgatorio, c. V

Tutto bruciava. Il sole tenero della mattina di fine estate era come
calce rovente. Una faccia bruciata alzò la scucchia coi due buchi
sulle guance per la magrezza, e lo sguardo acquoso; e disse:
SCUCCHIA Ecco la fine del mondo. Fateve vede bene, mm v'ho mai visto
de giorno! V'ho sempre visto a lo scuro! Che, le donne v'hanno fatto
sciopero?

E rise, sdentato.
Si era rivolto a chi? A una batteria di sbragati sulle seggiolette cotte dal sole
di un baretto della Marranella. Tra questi, fu Mommoletto che ribatté allo
Scucchia:

MOMMOLETTO Ancora non sei morto? Eppure m'hanno detto che il


lavoro l'ammazza la gente!

Mommoletto era un bassetto, con l'occhi storti, che rideva sempre come un
pupazzo. Accanto a lui, uno si fece versare da un altro, sulle mani a conca,
dell'acqua minerale: e si lavò la faccia. Erano Alfredino, alto alto, nero, col
naso schiacciato di un marocchino, e il Vecchietto, un teddy, elegantissimo -
il vestito a puntini, la cravatta corta col nodo grande, la spilla - ancora
imberbe.
La faccia d'Alfredino strofinata dalle mani era tutta luccicante d'acqua
minerale.
ALFREDINO A martire! da' retta a 'n amico smettela de lavorà, entra pure
te nella società della Metro Goldwin Mayer! Haaam!

E, allargando la bocca come un tombino, ruggì come rugge il leone della


Metro Goldwin Mayer: due, tre volte, con lo sguardo ridente nel vuoto.

SCUCCHIA Ma chi ve lo fa fà! Ma annatevene a dormì la notte invece de


annà a giocà a carte! Me parete tutti usciti dall'obitorio!

Ma ecco, vivida, la faccia di Accattone: serio, acceso, teso: si vedeva


proprio che aveva in cuore una gran passione, che gli faceva vibrare lo
chassì.

ACCATTONE Ecco chi lo sa! A Scucchia, viè un po' qua, dijelo un po’ te
a 'sti buffoni er fatto der poro Barbarone!

Scucchia si avvicinò, in campana: pronto a dire generosamente tutto quello


che sapeva, e insieme attento a non compromettersi.

ACCATTONE Eri presente te, l'altro ieri, quando er Barbarone ha voluto


fa' quella scommessa co' lo Sceriffo e Peppe il Folle?

Scucchia s'impensierì, teso a vedere dove andava a parare.

SCUCCHIA Sì.
ACCATTONE Ha detto che lui se sarebbe magnato un chilo de pasta e 'na
sporta de cachì e che dopo un quarto d'ora se faceva er bagno e nun je
faceva niente?
SCUCCHIA Sì.

Accattone guardò gli altri trionfante, con un ghigno che gli spappolava la
faccia.

ACCATTONE Aaaaaaaaah! No è morto pe' l'indiggestione, è morto pe' la


stanchezza, quello! Quando l'aveva traversato mai fiume!
C’era una faccia grassa, lattea, sprezzante che se lo guardava: era quella di
Giorgio il Secco.

GIORGIO IL SECCO Ma falla finita! A ignorante! No lo sai che quando


uno ha mangiato nun se lo po' fà er bagno, more. No lo sai che la reazione
dal caldo al freddo ferma tutto l'apparato digerente, se ferma la circolazione
der sangue e bona notte ai sonatori!
ACCATTONE Che vòi scommette che magno pure io e traverso fiume,
eh?
E per un po' non si mangiava subito pure Giorgio il Secco. Che si inumidì le
labbra e abbassò gli occhi come volesse addormentarsi:

GIORGIO IL SECCO Ma vatte a istruì a microcefalo, che? sei rimasto


ancora nell'età della pietra, mm te vergogni d'esse così arretrato?

Alzandosi per metà sulla sedia Accattone allora si sfilò con rabbia uno dei
due anelli che gli incrostavano d'oro la mano.

ACCATTONE Stanotte ho perso tutti i soldi, però ciò sempre er passante,


da scommette! Scommetti, se ciài coraggio! Ciài tutta lingua, ciài!

La faccia di Giorgio il Secco s'indurì, diventò di pietra, con gli occhi azzurri
che si rapprendevano.

GIORGIO IL SECCO Sì! Scommetto! Te vojo fà morì pure a te!

Accattone scattò dalla seggioletta, e senza aggiungere altro, attraversò la


strada: Mommoletto, Alfredino, Luciano Piede d'oro, il Vecchietto e
Giorgio il Secco gli andarono appresso.
Altri, ch'erano lì, se ne restarono sbragati sulle sedie, assenti, disinteressati,
disgustati. Mommoletto restava un po' indietro, camminando storcinato, da
pupazzo.
Accattone stava incollato con l'occhio, camminando, all'occhio di Giorgio il
Secco:
ACCATTONE E ricordete, oltre a la scommessa dell'anello, dopo, se je la
faccio, te sputo pure in faccia!

Ma Giorgio il Secco ghignò freddamente:

GIORGIO IL SECCO Arisparampialo, 'sto fiato, che te servirà!

Da un angolo, col fagottello del mangiare in mano, comparve un ragazzetto


imberbe. Assomigliava spiccicato a Accattone, biondiccio, come lui, con le
sopracciglia così bionde che quasi non si distinguevano, e tutto pieno di
cigolini: infatti era suo fratello Sabino. Giorgio lo prese di petto:

GIORGIO IL SECCO Ahò, viè qua! Bacia tu' fratello, che è l'ultima volta
che lo vedi!

Sabino non rispose. Guardò ammusato e offeso la cricca dei compari, che,
con in testa il fratello, se ne andava verso un cassone di millequattro, che
sostava in un filo d'ombra. Mommoletto, ch'era sempre in coda, diede al
pischello una manata:

MOMMOLETTO 'Namo, viè pure te! Viè a ricoje l'ultime volontà de tu'
fratello, hai visto mai che te facesse erede universale! 'Namo!

Sabino, rispose che appena lo si sentiva, rauco:

SABINO Io devo annà a lavorà!

Che? Mommoletto scappò via, scandalizzato, tappandosi le orecchie, e


correndo tutto gobbo, per non vedere, per non sentire.

MOMMOLETTO Ha bestemmiato! Ha bestemmiato! Raggiunse gli altri:


tutti salirono sulla millequattro e via.

Eccoli lì, i compari, dentro il zozzo carrozzone del galleggiante che


mangiano: e il proprietario, le donne grasse, dei ragazzini che passano
mezzi ignudi, una dozzina di gatti, quattro cinque cani, e colombi
dappertutto...
Accattone mangiava come un alluvionato, contro il correntino lordo del
Tevere. Luciano Piede d'oro lo apostrofò:

LUCIANO Accattò, ma te me devi dà mille lire! Ma prima de ammazzatte


nun paghi i buffi?

Parlava a bocca piena. Accattone a bocca piena, con la forchetta alta,


masticò, rise e rispose:

ACCATTONE Me la volete fà 'na corona, si moro! Eh, mille lire, cacci,


che vòi! Anzi, dammene altre mille, fatela subito 'sta colletta, no?
Alfredino masticava con aria innocente e piena di curiosità.

ALFREDINO Ma di' un po', Accattò, ma la donna tua, Maddalena, a chi la


lasci?
ACCATTONE A la Buon Costume!

Risero tutti, sbudellandosi e mangiando con le guance gonfie degli uomini


dei fontanoni. Giorgio il Secco prese la parola, ipocrita, untuoso:

GIORGIO IL SECCO A parte i scherzi, a Accattò... Te lo sai che so' 'na


persona istruita, te poi fidà, lasseme l'ultime volontà... Come lo vòi er
trasporto funebre?

Accattone masticò a ritmo più lento, forbendosi con la forchetta in pugno la


bocca unta:

ACCATTONE Co' tutti l'amici dietro che ridono, e er primo che piagne
paga da beve a tutti!
GIORGIO IL SECCO E che te dovemo scrive sulla tomba?
ACCATTONE « Provate per credere »!

E tutti risero di nuovo, coi nasi e le scucchie luccicanti dell'olio della


scarola.
Accattone era solennemente in piedi sulla spalletta del Ponte degli Angeli,
con tutta la fila degli angeli alle spalle. Indugiava, scultoreo.
Sotto, la spiaggetta trucida del Ciriola era tutta piena di bacarozzetti mezzi
ignudi, che guardavano coi nasi in alto. C'erano tutti i compari di Accattone,
e, in mezzo, una pipinara di ragazzini di Borgo Pio e di Ponte. Un ragazzino
strillava verso Accattone, tenero:

UN RAGAZZINO Aòh, che te butti co' tutto l'oro addosso? No te la levi la


catenina coi braccialiiii?
ACCATTONE None! Vojo morì come i faraoni!

Ma restava ancora fermo, là contro il cielo bianco, in piedi sulla spalletta di


marmo. Parlava da solo...

ACCATTONE Se lo vonno, l'oro, se lo devono venì a pescà!

Diede ancora un'occhiata alla piccola folla giù, nella spiaggetta e lungo i
muretti del lungofiume. E continuò a parlare a sé stesso, amaro:

ACCATTONE Damo soddisfazione ar popolo!

Un attimo di raccoglimento, poi si fece, lento, solenne, il segno della croce.


La mano inanellata, col polso luccicante di bracciali, passò sulla fronte e sul
petto dove brillava la catenella d'oro. Fatto il segno della croce, si buttò, e
volò nel fiume.

Sfolgorava il potente sole del mezzogiorno.


Nella luce matta i compari, col mozzone in bocca, giocavano a carte:
Accattone e Alfredino, contro Luciano e il Mommoletto. Oltre al Vecchietto
che guardava, ci stavano pure tre facce nuove: lo Sceriffo, Peppe il Folle, e
il Tremarella. Giocavano in silenzio, tesi. A un tratto Accattone diede
un'occhiata a Giorgio il Secco, come lo vedesse per la prima volta, lo
osservò un attimo incuriosito, poi, con rabbia ispirata e irresistibile, gli
sputò in faccia.
Giorgio fu colto così di sorpresa che restò come un farlocco, cogli occhi
velenosi.
ACCATTONE E Mettece un po' de limone, adesso!
GIORGIO Zozzo, almeno me potevi avverti!
ACCATTONE Tanto te mica hai magnato, er bagno nun te fa male.
L'appara-to digestivo... nun funziona più... la reazione sanguigna... Ma lo
sai chi è Accattone? Accattone nemmeno fiume se lo porta via!
SCERIFFO A te t'ha protetto Santo Barbarone...

Scattò in piedi, di colpo, e andò a distendersi sul bordo dello zatterone


vicino alla corrente a pancia in aria.

SCERIFFO Ecco Barbarone come stava ... co' la bava a la bocca, co'
l'occhi aperti... Ciaveva 'na panza gonfia come un tamburo... Ammazzalo
quant'era brutto!

Si rialzò sempre di scatto in piedi e andò a risedersi nella panca tra gli altri
che continuavano a giocare passivi, pazienti, beffardi.

SCERIFFO Tu che dici, chi se l'è preso, er Barbarone, Gesù Cristo o il


Diavolo?
PEPPE IL FOLLE Se lo staranno a litigà!... Certo, era un bel soggetto!

Gli altri avevano finito la partita. Mommoletto stava contando infantilmente


e avidamente i punti, leccandosi le punte delle dita.

MOMMOLETTO Pe' forza avemo perso! Sto giocà co' un morto!


Luciano, il morto, strizzò gli occhietti azzurri e quasi cantò:
LUCIANO So' bello! so' bello! so' sfortunato ar gioco! Famo un par de
tuffi, daje, 'namo!

Si alzò, seguito dagli altri, attraversò l'arca di Noè del galleggiante, arrivò
sulla spiaggetta trucida coi soliti indigenetti mezzi ignudi: e tutta la batteria
dietro, sulla sabbia sporca, lungo la corrente bavosa.
Lo Sceriffo e Accattone procedevano appaiati nel gruppetto. A un tratto lo
Sceriffo si fermò: guardò Accattone pure lui come fosse per la prima volta,
lo osservò un attimo allarmato: poi si battè tre quattro volte la fronte col
palmo della mano, pam, pam, e la faccia ispirata come quella di un santo tra
le fiamme dell'inferno.

SCERIFFO A Accattò! Mannaggia la miseria! An vedi che stupido! Ero


venuto qui pe' avvertitte che Maddalena è andata sotto 'na motocicletta, s'è
fatta male... e mo' sta a casa tutta infasciata come una mummia!
Sbrighete, te sta a aspettà, poraccia, sta a piagne come 'na creatura!

Si ribattè di nuovo la fronte, pam, pam.

SCERIFFO An vedi che stupido, so' proprio rimbiccillito: lo sentivo, sa',


che dovevo dì 'na cosa, meno male che me so' ricordato!

Accattone si voltò e andò subito di corsa verso le cabine, ~ guito dallo


Sceriffo.

ACCATTONE Ma quando è successo!


SCERIFFO Du' ore fa... davanti al Due Allori... se vede che sarà venuta a
cercatte a te!

Accattone imboccò lo zatterone, con occhi pieni di rabbia.

ACCATTONE Porca zozza.

I piccioni del Ciriola, frr, frr, volavano via intorno, a stormi, spaventati.

Un'ammucchiata di casette marocchine, quattro muri in foglia, e il tetto di


bandone, era affondata tra orticelli spennacchiati, dove il sole infuriava.
Accattone arrivò con la millequattro tra le bicocche, sulla strada coperta da
due palmi di polvere. E intorno vertiginosi palazzoni nuovi, neri e bianchi.
Scese, passò tra due tre ragazzini, belli come angioletti, e tutti stracciati, che
giocavano nella polvere, entrò in una delle bicocche.
Era una sola stanza, con delle misere pareti scrostate: quasi interamente
occupata da un solo lettone, miserabile. Intorno intorno era tutto pieno di
panni sporchi, due seggiolette, un quadro con la Madonna, rosso e blu.
Maddalena stava distesa in mezzo al lettone con la gamba infasciata.
Nella stanza c'era pure un'altra donna, piccola come una gatta, Nannina la
Napoletana, coi suoi cinque figli: il più piccolo l'aveva attaccato alle zinne.
Sia lei che i figli, come Accattone entrò, guardavano e tacevano.

ACCATTONE 'Mbe'? Che ha' fatto?


MADDALENA No lo vedi? 'Sti disgrazziati!
ACCATTONE Io vorrei sapè a che pensi, quando cammini, dove l’hai la
testa? Perché nun te ne stai a casa? Vorrei sapè che vai a fà, in giro, a fà la
Madonna Addolorata? Ce potevi restà almeno! Te l'hanno data, la botta? Te
la dovevano dà mejo, così me te levavo d'attorno!
MADDALENA Ero andata da la mercantina, per portaje le mille lire della
rata de la majetta che t'ho comprato! No lo sai che je devo portà mille lire
tutte le matine?
ACCATTONE Ma che ciài a la gamba? Che, hai rotto qualche cosa? Hai
rotto l'osso?
MADDALENA Ma no, è stata solo 'na contusione... È stata più la paura
che altro...

Accattone a quelle parole si ritinse in viso di rabbia.

ACCATTONE 'Mbe'? Te sei fatta infascià tutta, te sei fatta infascià? Che,
ciavevi paura che te perdevi la gamba?
MADDALENA E che, je l'ho detto io al dottore de infasciammela così? È
segno che c'era bisogno...

Ma a un tratto da fuori, si senti una voce strana che chiamava.

VOCE NAPOLETANA Nannì! Nannì!


Nannina, spaventata dal fatto che qualcuno la chiamasse, come se non
avesse il diritto di essere chiamata, si guardò intorno con sgomento, per
chiedere in silenzio permesso, poi andò verso la porticina sganganata,
stringendo al petto la creatura, e portandosi appresso, alle sottane, tutti gli
altri figli: e sortì.

Sotto la vampa accecante del sole, il Napoletano era lì che rideva, con tutta
la dentiera scoperta, come un negro, biondo. Stava appoggiato a una ramata,
e, sulla strada, raggomitolati contro i muretti bianchi, altri due tre compari
lo aspettavano.

NAPOLETANO Uèh, Nanni! Voi siete 'na femmina a oro dieciotto! Voi
siete 'na femmina intrepida!
NANNINA Uèh, 'on Salvatò!
NAPOLETANO N'in ve la dovete da pigghià, so' guai che succedono! Lu
tènete 'u latte pe' 'u piccirillo?
NANNINA N'in ve pijate penziero, 'on Salvatò?
NAPOLETANO Ah, tengo 'na Dio 'e rabbia in corpo!

Guardò minaccioso, alludendo a chi era dentro la casa. Poi più calmo e
benefico si rivolse di nuovo a Nannina.

NAPOLETANO V'ha scritto, vostro marito?

Nannina alzò la testa tirandola all'indietro, con un leggero schiocco delle


labbra, muta. Il Napoletano credette bene di doverla consolare.

NAPOLETANO Eh, io la conosco bene la prigione, Nannì! A uno lle


passano tanti penzieri pa' 'a capa, n'in lle vene proprio 'a voglia da scrivere,
n'in v'avite a preoccupà! Tanto la Madonna vede e provvede! Sta in casa
Accattone?

NANNINA Ve l'aggio a chiamà?


NAPOLETANO Sì, chiamatemelo, fatemelo conosce 'sto omo 'e cartone!
Nannina, spaventata, con tutta la figliolanza alle sottane, rientrò in casa.
Si rivolse subito timidamente a Accattone seduto sul letto.

NANNINA Ce sta 'n amico de mio marito, che te vole parlà...


ACCATTONE E chi è?

Accattone era brusco e Nannina tremava.

NANNINA Don Salvatore, 'n amico de mio marito, de Torre Annunziata...

A Maddalena si sbiancò la faccia.

MADDALENA Oddio, chi sarà? Dije che aspettasse un minuto, Accattone


viene subbito...
Nannina, con le cinque creature attaccate, umilmente, risortì. Maddalena era
stravolta e cattiva.

MADDALENA Oh, me raccomando, sa', sta' attento! Quello è 'n amico


intimo de Ciccio! So' sicura che ce l'ha mandato Ciccio, qua!
ACCATTONE E che me ne frega a me!

Aveva alzato il braccio, quasi cantando, amaro. E fece l'atto di andare alla
porta.

MADDALENA Sì! Quello è il più grande pappone de Napoli, quello ce


mette poco a ammazzà na persona! N'ha fatte poche de galere!

Ma Accattone non le badò, e uscì.


Il Napoletano, era là, che sorrideva radioso, sotto i capelli biondi, con tutta
la chiostra bianca dei denti fuori, come San Michele.

NAPOLETANO Voi siete 'u signorino Accattone, uèh?

Accattone lo smiccia amaro, meditabondo.


ACCATTONE 'Mbe'?
NAPOLETANO Fortunatissimo! Salvatore Aringhiello, 'e Torre
Annunziata!
ACCATTONE Piacere!
NAPOLETANO M'avete a perdonà se so' stato importuno...
ACCATTONE No, no...
NAPOLETANO Aggio venuto a Roma de passaggio, per cose personali...
e aggio approfittato de l'occasione pe' fà la conoscenza vostra...
ACCATTONE Te saressi er compare de Ciccio...

Accattone l'aveva così interrotto quasi di brutto: e questo fece sfolgorare


nella bocca del Napoletano un sorriso felice.

NAPOLETANO Siamo nati assieme! Eh, povero Ciccio ha preso la


malasorte!

ACCATTONE Eh, quando a tordi e quando a grilli!

Alla compunzione di Accattone il Napoletano ebbe allora un improvviso,


grandioso slancio di gratitudine.

NAPOLETANO Io ve vulivo ringrazià! Voi ciavete 'nu core d'oro!

E si volse verso Nannina, che era restata ferma in disparte sotto il sole che
infuocava la polvere.

NAPOLETANO Avete accolto e aiutato questa povera figlia, co' tutte le


sue creature che se moriva de fame!
ACCATTONE Eh, che me costa! Un piatto de minestra quando è là...
NAPOLETANO Ve posso offrì qualcosa? 'Nu bicchiere 'e vino, lu bevite?
ACCATTONE E perché no, annamo! Ciào Maddalè, Ciao Nannì!
Maddalè, fa la brava! A Nannì, guardala te, che nun se movesse! Torno
subito!
I due si mossero per la strada polverosa, fulminati dal sole.
Si avvicinarono al gruppetto degli altri tre quattro napoletani, addossati al
muretto: tutte facce da galera, giovani.
Il Napoletano li presentò a Accattone uno per uno, e ci furono tante
cerimoniose e grandiose strette di mano. Poi tutti insieme andarono verso
un'osteriola abbandonata in mezzo al sole.

Dopo un po' erano tutti ubriachi fracichi, che stralunavano. L'osteria era
nera e deserta, con un banco solo come un altare: e dietro un oste che
pareva un morto. Due tre finestrelle davano su un cortiletto interno pieno di
piante di fico. Oltre ai cmpari, c'era un tavolo con quattro vecchi che
giocavano a carte: ma pure due giovincelli imberbi, trascinati lì dal caso
dalla disoccupazione giocavano svogliati.
Accattone stava piangendo a calde lacrime. E piangendo si piegava sul
Napoletano, come su un vecchio amico.

ACCATTONE Semo tutti 'na massa de disgrazziati, semo omini finiti, ce


scartano tutti! Noi valemo giusto se ciavemo mille lire in saccoccia, se no
nun semo niente... Pure in galera nun ce ponno vede, a noi! Nun ce
considerano omini, perché nun semo boni a provacce da soli... Oggi è mejo
fà er ladro che 'sto mestiere infamante...

Il Napoletano, contagiato, era anche lui vivamente commosso, si alzò dalla


sua sedia e andò barcollando accanto a Accattone, abbracciandolo e
consolandolo.

NAPOLETANO Ih, ma tu sei 'nu bono guaglione... nun te la prendere...


Siamo ne le mano de Dio!

Accattone ricambiò l'abbraccio sempre piangendo: e gli battè, gli battè la


mano sulla spalla.

ACCATTONE Eh, io ve dovevo da conosce prima, a voi!


NAPOLETANO Ora ce siamo conosciuti, siamo amici, no?
ACCATTONE Ecco, vedi, la fine che ha fatto Ciccio, er compare tuo, un
giorno o l'altro me potrebbe toccà a me! Te lo sai com'è annata, Maddalena
m'ha conosciuto a me: te sei più bravo de Ciccio, te ciài il core più nobile de
Ciccio - me diceva - e poi Ciccio cià la moje CO' cinque fiji, me mena
sempre. E così l'ha denunciato, e Ciccio eccolo là.

E incrociò le mani come quando sono strette dalle manette.

ACCATTONE E Maddalena s'è messa CO' me. Un domani viè uno che
cià er core più nobile del mio, basta che je dice du' parole dorci e se la
compra, e io vado a rimpiazzà er posto de Ciccio, a Reggina Coeli!
NAPOLETANO Ma no ma no, 'e questo nun v'avite a preoccupà! Avete
fatto un'azzione santa, avete alloggiato la mojera e i figli dell'amante
dell'amica vostra! e Dio ve compenserà!

Si aprì la porta: un bagliore di sole, e nel bagliore di sole, il Balilla,


sdentato, grosso, rosso, col Cartagine, un giovincello snello come una
canna.

BALILLA A Accattò, che stai a fà le lacrime Cristi? Tanto qui mica


commovi nessuno, sa'! Te ricordi i bei tempi quando annavi a chiede
l'elemosina? Te mettevi a piagne, facevi pena pure a le guardie!
ACCATTONE A Balilla! Sei finito, pure te! Viè qua, tiè, bevete un
goccetto e manda giù i dolori!

Il Balilla e Cartagine s'avvicinarono.


Grandi presentazioni, effusioni, tutta pappa e ciccia. Il Balilla, dopo aver
bevuto con occhi infernali, sbottò ammiccando verso Accattone.

BALILLA Eh, donne maledette! Prima te portano ar Cielo... Alzò piamente


al cielo gli occhi: ...e poi... te lasciano là!

Gli scappò da ridere per la sua inaspettata battuta. Era ancora con gli occhi
al cielo. Allora anche Cartagine guardò verso il cielo, e cantò:
CARTAGINE Lassù tra mezzo agli angioli...
ACCATTONE Il gentil sesso... l'animaccia loro! Mo quando torno a casa,
je faccio vede io a quella prostituta! Ha denunciato er compare de 'st'amico
mio...

Abbracciò ancora il Napoletano, bagnandolo di lacrime.

ACCATTONE ... che è la più brava persona der mondo... pe' mettese co'
me, pe' rovinamme pure a me, 'sta prostituta, che nun possa avè un'ora de
bene!

Il Napoletano allora, pieno di potente vitalità, quasi ispirato e


gorgheggiante, con tutta la chiostra dei denti splendenti scoperta,
ricominciò a consolarlo.

NAPOLETANO Iiiiih, n'in te preoccupà, Ciccio stà in bone mano, nelle


mano dei tutori de l'ordine... Tanto lo sai il mestiere nostro è un mestiere
così, che n'in sai mai dove te svegli, se nel letto 'e casa tua, o in cammera 'e
sicurezza!... Aòh, a proposito, vedessi che belle guaglioncelle abbiamo
portato da Napoli... Domandalo a loro!
Si rivolse, come un avvocato che sta arringando, ai suoi tre compari
napoletani: che, incendiati dal vino, mossero su e giù le facce da galera, con
un sorriso soddisfatto a testimoniare, a dire sì sì.

NAPOLETANO Una più bella dell'altra... robba signorile... robba


scicche... Minorenni!

Il giovincello, Cartagine, era eccitato, intervenne con entusiasmo


incoercibile, ridente e affannato come desse una bella notizia.

CARTAGINE A Accattò, a Accattò! Ce dovevi stà ieri sera co' noi!


Eravamo noi, er Tintura, er Droga, tutta la batteria, avemo rimorchiato 'na
battona... Prima avemo fatto tutti i caritatevoli, i bravi... L'avemo portata un
po' a spasso, e poi j'avemo offerto er caffè... Ner caffè je avemo messo 'na
boccetta de pasticche... Hai da vede, era imbalsamata... Me pareva 'na
lucertola senza coda... L'avemo portata ar prato, e addio! Poi cià preso la
mosca e j'avemo pure menato... Le botte che ]'avemo dato! Hai da vede!
Come piagneva! Come se riccomandava! Pussa là! Me sa che quella sta
ancora a strillà « O Dio, mamma mia! »

Ma Accattone non sentiva: la testa gli crollò sul tavolo, e pallido come un
morto, si sturbò, con un lamento di nausea e dolore.

Sotto il sole che fulminava, Accattone se ne tornò verso la sua bicocca.


Passò davanti ai soliti ragazzini innocenti, che giocavano, belli come
agnellini. Era sfigurato dal vino, gli occhi che gli avvampavano sotto i
capelli spettinati, arsi: camminava come un morto, in mezzo a quella
visione di miseria e di sole.
Andò dritto alla porta della bicocca, la spalancò ed entrò, rigido, con quegli
occhi di fuoco.
Maddalena era lì, sul lettone, con la gamba infasciata.
Anche Nannina era li con intorno le sue creature come mosche su un po' di
zucchero.
Accattone entrò e le guardò.

MADDALENA Ch'hai fatto?

Accattone sputò per terra.

ACCATTONE Che te ne frega a te, che ho fatto? Chi sei, mi' madre?
MADDALENA Aòh, che, er vino t'ha dato in testa? Non hai trovato co' chi
sfogatte e te vieni a sfogà qui co' me?

Accattone non rispose, ma se la guardò, con quei suoi occhi arsi da un


fuoco tenebroso: la guardò per qualche istante covando l'idea, la pretesa, il
diritto, la rabbia.

ACCATTONE Che te credi, che tu stasera nun ce vai a lavorà? Nun te


sarai mica messa in testa de stà qua, lo sai che per te nun ce sta mica la
cassa mutua!
MADDALENA Aoh, ooh! a bello de mamma tua! No lo vedi in che stato
me trovo! Che te credi che è un giochetto, no lo sai che ho la gamba rotta,
io?
ACCATTONE Rotta, me fai ride, rotta! Tu, stasera, t'alzi e vai a lavorà,
come tutte l'altre sere, uguale! La vita da signora, tu no la puoi fà, la vita tua
è quella! Che te credi che me te sei comprato con quei due soldi zozzi che
me dài ar giorno?

Nannina guardava, muta, in disparte, con la creatura più piccola, un povero,


muto agnellino, attaccato alla poppa.

ACCATTONE Perché tu, me, m'hai rovinato! Perché io a st'ora o ero un


bel lavoratore o ero un bel ladro! No stavo qui! E se stasera nun ce vai, a
lavorà, te spezzo pure quell'altra gamba, così la famo finita!

Il bambino di Nannina, perso nella sua dolce misera infanzia, giocava con
la catenella che pendeva al collo della madre, a cui era attaccata una croce,
che scintillava tra le sue manine.

Maddalena era lì, al suo posto, con la borsa stretta in mano, acida, nera, e si
guardava intorno. Si guardava intorno perché si sentivano delle vociacce
cantare, e lei voleva vedere chi era che cantava.
Eccoli lassù, quelli a cui sorrideva tanto la vita: erano quattro giovinottelli,
Cartagine, e Laio, Dino, Tommaso - quelli della cricca dell'osteria. Tutti e
quattro, scendendo una breve scesa polverosa, ridevano e cantavano.
Maddalena, e accanto a lei Amore - seduta su un giornale sul ciglio della
scarpata - osservavano i quattro, accigliate.
Avanzando, i compari sostarono accanto a un vecchio ubriaco che dormiva,
laggiù, su degli stracci e un po' di paglia, sotto il rimorchio di un camion.
E cosa fecero? Cartagine ebbe una pensata improvvisa: smise di cantare,
e, ridendo, cacciò la scatola dei cerini, ne accese uno, si abbassò e diede
fuoco alla paglia e agli stracci secchi dove il vecchio dormiva.
Gli altri compari intorno a lui stavano a gustarsi la scena.
La fiamma crepitando si allargò, il vecchio si svegliò, si alzò intontito e
spaventato, e con la sua giacchettaccia zozza cominciò a dar botte sul fuoco
per spegnerlo - rassegnato. I quattro intorno ridevano come zozzi.
Maddalena era invece sfigurata dall'indignazione. E cominciò a strillare.

MADDALENA Brutti ignoranti delinquenti... che v'ha fatto de male quel


vecchio... io vorrei che lo facessero a vostro padre. Nun ciavete proprio un
altro posto d'annavve a grattà le corna, invece de venì a dà fastidio a la
gente che se ne sta pei fatti sua!
CARTAGINE Er foco è purificatore! Viette a dà 'na riscaldata!
MADDALENA Che potessi fà la fine de Nerone te, e tutte 'ste carogne che
te stanno vicino!

I quattro, lasciando il vecchio a spegnersi il fuoco, ricominciarono a


avanzare e ricominciarono a cantare.
Tommaso ebbe ora lui uno scatto, e salì sopra un rudero, fino a che si
profilò contro le stelle.

TOMMASO Famme montà qua sopra, che lì c'è rimasta solo 'a puzza! Ah,
che aria pura!
MADDALENA Io ve darebbe 'na coltellata a tutti, ecco che farebbe, io!

Intervenne allora Amore, calma e quasi assorta.

AMORE Nun t'arrabbià, nun t'arrabbià! Fija mia, come sei matta! Guarda
lì, come sei ridotta, co' quella gamba, piuttosto! Ma chi te cià fatta venì qua,
in quelle condizioni! Ma no lo sai che quando sei morta nun te piagne
nissuno? Almeno lo facessi pe' te!
MADDALENA Famme il cavolo de piacere! Impiccite per le corna tua! Ce
n'hai avuti tanti te, de amici, che t'hanno levato pure le lacrime dall'occhi!
Pzt! Almeno io ce n'ho uno ch'è er mejo de la piazza!
AMORE St! Capirai!
MADDALENA Perché? Vòi dì che no è bono? Almeno questo è educato, è
un bel ragazzo, giovane, bravo... E me vuò bene!

Ma Amore era e restava profondamente scettica.


AMORE Aiuteme lingua, se no te tajo! A ilusa, imparete a vive, fa come
me, che nun amo più nessuno... e apposta me chiameno Amore!

Per il vialone arrivava una macchina, sotto l'ombra degli alberi e i tagli di
luce dei lampioni. Si fermò accanto alle due. Dentro, c'erano tre quattro
persone: erano i compari del Napoletano, più una faccia sconosciuta, da
giovane gratta. Chiamarono Maddalena come un cane.

II NAPOLETANO Fatte vede alla luce, viè qua!

Maddalena si avvicinò cauta e professionale alla macchina. Le facce dei


quattro la guardavano soddisfatte, come accese da un riso interiore.

II NAPOLETANO Monta!

Maddalena, perchè no? impavidamente, salì sulla macchina, con un rapido


saluto malandro alla collega.

MADDALENA Ciao, Amore!

Amore restò sola, acida, con gli occhi grossi come uova, scettica. La
macchina correva, con dentro il suo carnaio.

MADDALENA Che, sete napoletani?


II NAPOLETANO Non ti piaciono, i napoletani?
MADDALENA Ah, pe' me ognuno vale l'altro!
II NAPOLETANO Eh, ciavessi a mischiare co' l'italiani, no? I napoletani
sono speciali!

Ma la macchina, all'improvviso, rallentò a una curva. Dietro a un cespuglio


c'era una sagoma ferma. I napoletani sembrarono riconoscere di chi si
trattava, e si svociavano:

II NAPOLETANO Ueeeh, paisà!


La macchina si fermò davanti all'uomo: era il Napoletano n. I, con tutta la
chiostra dei denti scoperti, come un negro, coi capelli biondi che
luccicavano sotto il lampione.
Uno dei compari nella macchina apri uno sportello:

II NAPOLETANO Monta!

Il Napoletano salì in macchina, nel carnaio. E subito voltò la faccia crudele


e radiosa verso Maddalena.

NAPOLETANO Ueeh, ma noi ci conosciamo, siamo vecchi amici!


Maddalena riconobbe il compare del marito carcerato: e il sangue le andò
tutto al cuore.

MADDALENA E chi sei?


NAPOLETANO Ma come? È possibile che te sei dimenticata? Eravamo
boni amici! Il compare di Ciccio, quello che sta a Reggina Coeli... Te
ricordi ora?

Lui era pieno di una infernale cordialità, lei era di ghiaccio.

MADDALENA Fammete vede mejo!... Ah si, si, te oggi sei venuto pure a
casa mia!
NAPOLETANO Oh, lo vedi che con un po' de fantasia, ce sei arrivata!
MADDALENA 'Mbe', che volevi da Accattone?

Il Napoletano, ancora una volta, si illuminò tutto, come estasiato da un


pensiero felice, pieno di un segreto di conoscenza e di riconoscenza.

NAPOLETANO Eh! Bravo ragazzo Accattone!


MADDALENA Ma mo ind'annamo?

Di nuovo la centrale elettrica dentro il Napoletano, si accese e sfolgorò.


NAPOLETANO Eh! Ormai già che ti trovi co' questi amici miei, tutti bravi
guaglioni, che cianno voglia da pazzià, andiamo dove dobbiamo andare!

La radura dell'Acqua Santa - grottoni, fratte, montagnole era buia, ma


tutt'intorno palpitava la città immensa, lontana, un cerchio fisso di lumi.
La macchina s'internò per una pista di terra battuta, sobbalzando: e si fermò
in una specie di piccolo altopiano, tra la distesa strana e paurosa dell'Acqua
Santa.
I napoletani cominciarono a scendere, sgranchendosi pigramente, stirandosi
alla malandrina.
Il Napoletano n. I si guardava intorno raggiante.

NAPOLETANO Ah, che bel posto!

Ma Maddalena restava ancora indecisa dentro la macchina. Il primo


Napoletano si rivolse al gran ciuffo malandrino del gratta, ch'era in
campana.

NAPOLETANO Neh, Gennarì, che aspetti?

Gennarino guardò paonazzo e locco locco dentro la macchina, dove


Maddalena indugiava.
Poi si accostò allo sportello, rivolgendosi a Maddalena, che stava attaccata
allo schienale della macchina, con gli occhi storti e il barbozzo che le
tremava come una bambina spaventata.

NAPOLETANO E allora? Te sei addormentata?


MADDALENA Non me piace 'sto posto qui, ciò paura!
NAPOLETANO Hai paura? E di cosa hai paura?
MADDALENA Io qui nun ce so' stata mai, è pieno de buroni... e poi ce
stanno i cani dei pecorari... 'Namo da 'n'altra parte!

Il Napoletano, con un gesto improvvisamente violento, allunga il braccio


dentro la macchina, afferra per un polso Maddalena e la tira brutalmente
fuori.
MADDALENA Ooo, oùh, che te credi che so' 'na bestia? Metti giù le
mano, scendo da me se me va, sa'!

Si agita, cerca di svincolarsi come una matta. Ma il Napoletano è di nuovo


improvvisamente tornato dolce come il miele, tutto illuminato dal suo
sorriso di re.

NAPOLETANO Eh, come t'arrabbi subbito! Invece d'esse contenta! Ho


scherzato, io so' un po' materiale!

Maddalena se li vedeva tutti intorno, sfigurati nell'ombra) minacciosi.

MADDALENA Siate boni, fatelo pe' me, annamo in un altro posto... sto
pure male... co' la gamba, nun je la faccio a cammina... Annamo in un altro
posto...

Lei ora li supplicava e il Napoletano era infatti protettore, paterno, come


ispirato.

NAPOLETANO E sta' bona, no? Gennarì, fatte coraggio... Gennarino


prese decisamente per un braccio Maddalena, e la trascinò verso l'ombra.

GENNARINO Damme la mano, te porto io... fidati di Gennarino!

Maddalena era ancora indecisa, impaurita.


Il Napoletano la sospingeva, quasi benedicente, alle spalle, avviandola
verso il buio, cordiale, protettore, benefico.

NAPOLETANO Va', va'! Che qui ci stiamo noi, sta' tranquilla!

Maddalena segue Gennarino, zoppicando, con una faccia amara, spaurita.


Passarono pochi minuti, cinque, dieci.
Il gruppo dei napoletani si era sbragato sull'erba secca, intorno la macchina.
Tacevano, tesi.
Solo il secondo Napoletano canticchiava piano, stando disteso, appoggiato a
un gomito, con le gambe incrociate.
Canticchiava, con lo sguardo perso lontano tra le fratte azzurrognole
dell'Acqua Santa, verso l'immenso cerchio dei lumi, tremolanti, angosciosi
della città.
La sua voce era rauca, mormorante, come gli uscisse dal fondo delle
viscere: però cantava una canzone napoletana molto appassionata,
accennandola appena, ma nel tempo stesso interpretandola con tutto il
sentimento. Quando le note si facevano troppo alte per essere cantate a voce
bassa, cantava in falsetto, tirando la gola, e raggrinzendo la fronte.
Era un canto che era un lungo, strano lamento, pieno di antica disperazione.
Ed ecco che in fondo alle fratte rade, giù da un montarozzo, le due ombre di
Maddalena e di Gennarino ritornavano.
Il terzo Napoletano, ch'era stato sempre zitto, come un morto, disse a voce
bassa e minacciosa:

III NAPOLETANO Eccoli.

Maddalena si avvicinava zoppicando, e tutti i compari tacevano. La


guardarono, e lei volle nascondere con la rabbia e la provocazione,
l'angoscia e la paura:

MADDALENA 'Mbe'?

Il secondo Napoletano le si accostò lentamente guardandola ironico negli


occhi, e, di botto, con violenza, come se scherzasse, le diede una stranita.

II NAPOLETANO Ueeeh, Maddalè!

Maddalena spaventata cercò di protestare, con rabbia, con esasperazione:

MADDALENA Ma che, te s'è voltato er cervello? Ma no lo vedi come sto?


Ma quante volte ve lo devo dì che sto male Dài, dài portateme via da qua,
nun me va de stà qua, o me portate via, o me ne vado via da sola!

Il Napoletano quello grande, si avvicinò anche lui, seguito da tutti gli altri.

NAPOLETANO Ma nun t'a 'a prende! Lo sai com'è questo, no? E’ 'nu
cafone, non tiene grazia!
Ma a un tratto, con furia improvvisa, le allentò lui uno schiaffo, che la fece
cadere per terra. Subito però il Napoletano la riprese, e la tirò su.

NAPOLETANO Su, tirati su! Che fai? Non t'arreggi in piedi?

E le diede un altro schiaffo sull'altra guancia, facendola cadere per terra


un'altra volta.
Maddalena si mise a urlare, cercando di scappar via, strisciando sulla
polvere e l'erba secca.
Cominciò il pestaggio, cazzotti, schiaffi, e, infine, cintate, caddero su
Maddalena, biancheggiando alla luna. Poi i napoletani, dì corsa, salirono
sulla macchina, la misero in moto. Mezza svenuta, sanguinante, Maddalena
strisciava come una bestia ferita sulla polvere e sull'erba secca.

MADDALENA Portatemi via! aiuto! aiuto! Nun me lassate qua sola! Nun
dico niente!

La sua voce era fioca, come di chi si sente mancare. I napoletani avevano
già messo in moto la macchina, e stavano per partire, con le ruote che
slittavano nella polvere. Maddalena come una bestia si aggrappò ai
parafanghi.

MADDALENA Aiuto, aiuto!

Per un po' si lasciò trascinare: poi ricadde nella polvere, senza più voce,
come una morta.

Nel solito baretto con le seggiolette sulla strada, regnavano la solitudine, la


pace, il sole.
Sulle seggiolette erano sbragati i soliti compari: Accattone, Giorgio,
Luciano, Mommoletto, il Tremarella, lo Sceriffo, il Vecchietto, e uno
nuovo, Renato.
La faccia di questo Renato era sfigurata da un immenso sbadiglio, che gli
allargava la bocca come un forno, con tutti i denti fuori, la gola spalancata
fino all'ugola. Pareva non dovesse finire più: invece finì di botto, con un
colpo secco dei denti.

RENATO L'Italia s'è desta!

E continuò a stirarsi pigramente, riprendendo a parlare con più pungente


dolcezza.

RENATO A Accattò, come te senti? Te vedo tutto accasciato!


ACCATTONE E perché? Me sento libbero cittadino... La donna non m'è
tornata stanotte! Qualcuno me l'ha storta! Voglio morireee!
Aveva parlato con calmo disgusto: solo le ultime parole le aveva gridate,
come se l'avesse pigliato la mosca.

GIORGIO Impicchete!

Luciano guardava fissamente Accattone coi suoi taglienti occhietti azzurri,


ridendo pieno di rughette.

LUCIANO Ridi, ridi, mo te sei giocato i viveri! Mo che fai? Vai e' stracci,
vai?

Renato riaprì la bocca, in un altro immenso sbadiglio, lungo, infinito,


soddisfatto, feroce.
Finito lo sbadiglio i suoi occhi assonnati guardarono in basso, mettendosi
serenamente a fissare qualcosa: questo qualcosa era un ragazzino piccolo
piccolo, come un fringuellino, che passando sotto i piedi dei compari
sbragati sulle seggiolette, per il marciapiede, si accucciava d'improvviso,
tutto assorto, come se intorno a lui non esistesse il mondo. Si accucciava, e
con mosse svelte, meccaniche, soddisfatte, disegnava con un gessetto sul
marciapiede un pupazzo: un cerchio, la testa: due cerchietti vicini le
orecchie: un ovale, il corpo, quattro linee, le gambe e le braccia.

ACCATTONE Barista! Ordini!


BARISTA Che vòi?
ACCATTONE Porteme tu' sorella!

Il ragazzino, finito, zic e zac, il suo pupazzo, si rialzò, e riprese a


trotterellare per il marciapiede.
Si allontanò, come un fringuelletto, e si incrociò con due tizi, alti, grossi e
melensi, due martufagni, vestiti metà alla malandrina e metà da farlocchi.
I due avanzavano, locchi locchi, verso il baretto. Renato li riconobbe subito:
e guardando da un'altra parte, nel vuoto, cominciò a parlare come se
canterellasse, muovendo appena le labbra, salmodiando.

RENATO Reggeteve, boni italiani, boni, che arriva madama, contegno...

Tutti si irrigidirono, comprendendo al volo l'avvertimento dì Renato.


Lo Sceriffo si alzò, ispirato.

SCERIFFO Ve saluto ragazzi, vado in chiesa, vado a spiccià la sagrestia,


Don Leopoldo m'aspetta! Ciao!

E si allontanò rapidamente. Intanto le guardie erano giunte all'altezza del


baretto, si soffermarono, guardando verso Accattone. Uno dei due gli fece
un cenno.

I GUARDIA Senti!

Accattone lo guardò con un'espressione sbalordita, innocente:

ACCATTONE A me?

Ma si risentì subito, incupendosi.

ACCATTONE Ma nun ve sbajate pe' niente?


I GUARDIA No, no, proprio te! Scusa un minuto!

Accattone, tra il silenzio dei compari, si alzò, e sì avvicinò alle guardie che
a loro volta si erano un po' allontanate dai tavolini. Era tutto impensierito,
candido.
ACCATTONE 'Mbe, che c'è, qualche cosa che nun va?
I GUARDIA Favorisca i documenti!
ACCATTONE E chi ce l'ha, i documenti! Tanto me lo ricordo come me
chiamo, e che ce fo, coi documenti?
I GUARDIA Vieni con noi... cinque minuti...
ACCATTONE E perché?
I GUARDIA Cinque minuti, per accertamenti, via...
ACCATTONE Semo tre milioni de abbitanti, a Roma, proprio su de me te
venghi a accertà, e chi so'?

Voltò le spalle alle guardie e andò verso il bar.

ACCATTONE Se vòi un caffè!

Ma la guardia, con uno scatto, lo afferrò per il braccio.

I GUARDIA Avanti, andiamo, non fare il cretino!

E fece un cenno lontano, verso una macchina ferma poco più in là, che si
muoveva verso il bar.

ACCATTONE E lasseme 'sto braccio, aòh, metti giù le mano!


I GUARDIA Non fare storie, su, prima vieni e prima ti spicci!
ACCATTONE No! Io nun vengo proprio a nessun posto! Sto tanto bene
qui!

I compari lo guardarono, seduti sulle seggiolette del bar, immobili, fermi,


come in un mosaico antico. Un po' di folla stramiciata si radunava intorno.
Le guardie perdevano la pazienza, man mano che la loro macchina si
accostava. Afferrarono Accattone con la forza, e lo trascinarono verso la
macchina.
Accattone si dibatté, con furia e disperazione impreviste, svincolandosi
come un serpe, scalciando, facendosi trascinare come un corpo morto, e
urlando in una specie di attacco epilettico, che lo sentivano fino ai palazzoni
dietro le casette del Pigneto.

Era un grande ufficio, squallido, con due tre tavoli pieni di verbali e veline:
un tavolinetto con la macchina da scrivere e una carta di Roma alla parete.
Accattone stava seduto su una seggiola; alla porta, loffia, c'era una delle due
guardie in borghese.
Il sole riempiva il grande ufficio di una luce cattiva.
Per un po', ci fu silenzio.
Poi Accattone, torvo, disperato, scattò:

ACCATTONE Aòh, ma ve rendete conto che so' tre ore che sto qua? Che
ho fatto? Chi è che me deve interrogà a me? Me interrogasse, e me
mandasse a casa, me so' stufato de stà qua! Che volete da me? A me me lo
dovete dì che volete da me! Io nun do fastidio a nessuno, e a me me dovete
lassà perde! So' pure malato so'!

Parlando si era alzato e si era avvicinato alla guardia, che gli rispose
brutalmente:

GUARDIA Stai buono e mettiti seduto! Qui non stai in casa tua! Quando il
maresciallo sarà comodo ti chiamerà lui, non aver paura!
ACCATTONE Aòh a comodo! Io nun vojo stà ai comodi de nessuno!

Tacque un attimo e poi si lanciò verso la porta, deciso a uscire.

ACCATTONE Vojo uscì! Nun ne posso più!

Ma la guardia lo ricacciò indietro con violenza. Al tramestio accorsero altre


guardie, curiose e minacciose.
Allora Accattone si buttò verso la finestra.
Era ormai preso da una furia disperata e cieca.
Prima che lo potessero fermare, si gettò a pugni chiusi contro i vetri della
finestra, li spaccò, massacrandosi le mani.
Lo afferrarono per le spalle, lo tirarono indietro. Le mani e i polsi
cominciarono a sanguinare.
E intanto lui urlava, come un pazzo.

URLA DI ACCATTONE Mamma, aiuteme! Sto a morìììì! Oddio!


Lassateme! Nun ho fatto niente!

Riuscì a liberarsi dalla stretta, e strisciando e rotolando per terra, rovesciò


un tavolo con tutte le carte.
Si ributtarono su di lui, lo riafferrarono, mentre si dibatteva follemente,
urlando. Il sangue che gli usciva dalle mani e dai polsi, insozzava i vestiti, i
visi. Tutto era macchiato di sangue.

Maddalena stava seduta in un grande ufficio della Centrale, livida, con la


faccia blu di ficozze, scapigliata, muta come una cella.
Accanto, il commissario, e tutt'intorno, guardie, in campana, con aria
astratta.
S’aprì una porta, e, condotti da altre guardie, entrarono tre giovincelli,
malandri coi blue-jeans bianchi.
Gli occhi di Maddalena, guardandoli, restavano però inespressivi, spenti e
disgustati.

COMMISSARIO Ne riconosce qualcuno, qua in mezzo? Non abbia


paura...

I tre, là fermi, malandri, offesi.


Maddalena restò spenta, e disse no, no, col capo, e poi con la voce.

MADDALENA No.

I tre, trionfanti, vennero allora fatti allontanare.


Ne entrarono altri tre, sempre condotti dalle guardie: quasi uguali ai primi,
coi blue-jeans bianchi, stessi ciuffi, stesse tosature al rasoio, stesse facce
cotte dal sole, dalla miseria.
Anche stavolta, Maddalena restò lì concentrata, passiva, come senza vita.
COMMISSARIO Questi?

Maddalena scosse energicamente la testa, dicendo di no, di no.

Passò un po' di tempo.


Sudore, sbragamento. Maddalena era lì.
Ne entrarono altri, sempre uguali ai precedenti: blue-jeans magliette, facce
da coltello... Solo che stavolta uno dei tre era Cartagine.
Vedendolo entrare, Maddalena si drizzo' come una vipera.

COMMISSARIO Ecco! Lo riconosco! Uno è questo! Pure gli altri due!


Sono questi!
COMMISSARIO È sicura di quello che dice? Guardi bene.
COMMISSARIO Sì, so' proprio loro! Li ho visto bene in faccia!
Specialmente a questo, Cartagine. Sì, sì, so' loro!

Cartagine la guardò torbido, con furia.

CARTAGINE Aòh? De che? Famme capì qualcosa! De che so' io? A sor
marescià, spiegatemelo vòi, che è successo? Io non ho fatto niente!
COMMISSARIO Allora hai proprio visto bene, sei sicura che son loro?
MADDALENA Sì, lo giuro su mamma mia, So' loro! M'hanno rovinato!
Disgrazziati! Che v'ho fatto almeno io a voi! Senza motivo m'hanno
massacrato! M'hanno fatta morì!
CARTAGINE E GLI ALTRI Nun le date retta! Quella è matta! E’ la
prima volta che la vedo io a quella! Aòh, a signò, ma guardateme bene, voi
m'arovinate...

Ma il commissario troncò presto le selvagge proteste.

COMMISSARIO Portateli fuori, via!


CARTAGINE A sor marescià! Ve giuro! Io nun ho fatto niente!

COMMISSARIO Adesso lo vediamo noi se avete fatto niente o no!


CARTAGINE Disgrazziata M'arovini! T'ammazzo si me fai fa der male.
incoscente!

E, divincolandosi disperato, scomparì nel buio della porticina.

Ancora un poco più tardi.


Maddalena era lì seduta: ma agitata, ora, tutta vibrante, come una pazza.
Ne entrarono altri tre: sempre uguali.

COMMISSARIO È tra questi, il quarto?

Maddalena scoprì di nuovo fieramente la testa spettinata:

MADDALENA No, no, non è tra questi! Era un burino, grosso, mezzo
roscio...
COMMISSARIO Allora tra questi non c'è?
MADDALENA No, no!

Il commissario fece un cenno, e i tre uscirono. Maddalena attendeva


selvaggia i successivi. E, come questi entrarono, i suoi occhi li fissarono
brillanti, sicuri.

COMMISSARIO Questi?
MADDALENA No!

E anche questi tre vennero fatti uscire; con la camminata stanca, paziente
dei bravi.

MADDALENA Fai attenzione a riconoscere bene i tuoi aggressori... Che


se dovesse risultare qualche innocente, vai incontro a dei guai, stai attenta!
MADDALENA Nun so' mica matta! Mo nun li riconosco. So' stati
mezz'ora insieme a me, a menamme, mo nun li riconosco più!
Ne entrarono subito altri tre: tra questi, c’era Accattone. I tre avanzarono
fino in mezzo alla stanza, e si fecero osservare: Accattone era perfettamente
calmo e distratto.

COMMISSARIO Questi?
MADDALENA No!
COMMISSARIO Non aveva detto che uno era un mezzo burino... rosso...

Accattone attendeva paziente, coi suoi capelli biondicci, in mezzo agli altri
due pregiudicati.

MADDALENA No, no, tra questi non c'è!

I tre, tra cui Accattone, vennero fatti uscire, locchi locchi. E gli occhi di
Maddalena li seguirono, come si vede sparire l'apparizione di un sogno.
Accattone si dirigeva verso Il baretto pieno della solita cricca. Era in
canottiera, e luccicava tutto del solito oro: le catenelle, il braccialetto,
l'orologio, due anelli...
Arrivato accanto alla cricca, li prese subito di petto:

ACCATTONE Aòh, chi è che se vuò comprà 'st'anello?

E si sfilò un anello dal dito, mostrandolo.


Tra la cricca, c'era Cartagine, che lo affrontò di brutto.

CARTAGINE Aòh, a Accattò, spiegheme un po' 'na cosa!


ACCATTONE 'Mbe', t'hanno rilasciato? Già stai de fora?
CARTAGINE No, sto in galera per l'occhi belli della tu' ragazza! E’ robba
che se nun c'erano tutte quelle guardie, a forza de morsichi me se la sarebbe
magnata, 'sta zozza trucida!
ACCATTONE Embè, e che vòi da me? Che, t'ho denunciato io? 'N altro
po' me carcerano pure a me! E ringrazia Dio che stai fora! E godetela 'sta
libertà!
CARTAGINE Ma proprio me m'è venuta a denuncià? Che so' 'n orfanello?
ACCATTONE E che ne so, io! Je sarai antipatico! Se vede che le botte
j'anno dato in testa! Hanno fatto bene a menaje! Anzi, peccato che nun
l'hanno ammazzata, 'sta scema!

Luciano s'inserì a questo punto nel bel dialogo, ridendo con gli occhi di
vetriolo.

LUCIANO Ridi, ridi, Accattò? Calunnia e falso in atto pubblico! Il minimo


so' due anni: mo che te magni, Accattò, per du' anni? Te fai dà un po' de
minestra da le Mantellate?

Ma Accattone non colse la battuta: si guardò di nuovo intorno, mostrando


l'anello, col braccio alzato.

ACCATTONE Allora, chi se lo compra 'st'anello? Forza, lo metto all'asta!


RENATO Quanto vuoi?
ACCATTONE L'ho pagato quindicimila lire, e lo metto a la metà!
Settemila!

Giorgio si alzò, e, con aria da schiaffi, lo prese e l'osservò.

GIORGIO Le vòi, 'ste cinquemila lire? Almeno vai a magnà!


ACCATTONE Dài, dammene seimila lire! Tiè! Godi!

Giorgio, sempre con aria da schiaffi, prese l'anello, e pagò. Una profonda
ispirazione profetica quasi felice investì Renato.

RENATO Eh! Sei caduto in disgrazia! Ormai chi te salva più! Nemmeno la
peniccillina!

Tutti, Fulvio, il Vecchietto, Luciano, Lo Sceriffo, Mommoletto, Tremarella,


ridacchiarono raggrinzando i visi, strizzando gli occhietti.
Renato riprese, biblico:
RENATO Ascolta, Accattone, quello che ti dice il profeta! Oggi vendi
l'anello, domani la catenina, fra sette giorni l'orologio, e fra settantasette
giorni non ciài nemmeno l'occhi per piagne!
ACCATTONE 'Mbe', tanto come dice er Vangelo? E’ più facile che
cammello passi per la cruna di un ago che un ricco vada paradiso!
RENATO Ciài pure 'sta fortuna!

Su una strada miserabile, circondata da baracche, vecchie casette, piena di


ragazzini stracciati, sotto un sole furioso, c'era una triste, desolata
campanella che suonava a morto.
Accattone avanzava per la strada tramortita dal sole.
Era proprio un accattone, in canottiera - senza maglietta – coi calzoni
impolverati.
Nel collo, non c'era più la grossa catenella d'oro.
Alle dita non c'era più neanche un anello.
Al polso non c'era più né bracciale né orologio. nudo come un vèrmine.
Camminava, per la strada, vuota, accecata, Sotto la campanella che suonava
a morto.
Balilla, accanto a una fontanella, stava lavando un grappolo d’uva, tutto
ingobbito e malandro, vecchio gratta all'antica. Accattone passò accanto a
lui senza vederlo e intanto la campanella continuava a suonare a morto.
Il Balilla se lo filò, e si fece il segno della croce, con un breve inchino,
come passasse il morto. Poi, preoccupato:

BALILLA Oooh, guarda che er camposanto sta da quella parte!


ACCATTONE Me lo saluti!

E proseguì per la sua strada, accasciato.


Il Balilla prese e gli andò appresso, mangiando il suo grappolo d'uva.

ACCATTONE Guarda che ancora nun me serve l'accompagnamento.


Vattene!
BALILLA E il millequattro, che fine ha fatto? Te lo sei venduto?
Accattone non rispose. Proseguiva per la sua strada.

BALILLA E tutto l'oro che ciavevi, indò sta?

E Accattone zitto.

BALILLA Me pari proprio 'n accattone. Che brutta fine. Evviva la faccia
de noi ladri! Noi sapemo sempre ind'attaccasse... Basta che allungamo la
mano, pijamo sempre...
ACCATTONE Sì, l'anni de galera!
BALILLA Aricordete, Accattò! Tutti nascemo co 'na vocazzione! Io so'
nato co' l'istinto de fà er ladro, e ecchime qua... e tu non sei nato co' l'istinto
de fà er pappa, ma l'accattone, e eccote là!

Le parole del Balilla erano accorate, piene di poesia. Ma Accattone scattò:

ACCATTONE Aòh, nun ciài niente da fà oggi? Proprio a me me venghi a


pijà de petto? E vatte ammazzà a 'n'altra parte! Stavo tanto bene pei cavoli
mia, io!

BALILLA Arientra in te, Accattò! Ricordete che pei ladri la


disoccupazione nun esiste!

Ma in quella sbucò da dietro un muro un cagnoletto, e il Balilla si accucciò


a accarezzarlo.
Accattone non s'accorse che il Balilla era rimasto indietro, e rispondendogli,
camminava parlando da solo come un matto.

ACCATTONE A Balilla! Beato te che sei così sicuro! Infatti guarda quanti
ladri so' diventati ricchi! Ma lassame perde, vattene! Te lo vòi mette in testa
ch'è passato er periodo bellico? Oggi ce so' più guardie che civili! Come
metti un piede fori de casa te carcerano! Ma nun lo vedi che sta a fà er
questore?
Ma si accorse tutt'a un tratto, che il Balilla non era più accanto a lui, era
lontano, accucciato col cane.
Allora, rabbiosamente, sputò per terra, sfigurato in faccia. E la campana
suonava.
Fatto ancora qualche passo, ecco laggiù il funeraletto, che transitava, nero,
in fondo al budello incandescente della strada. Poche persone alla
spicciolata, dietro. E la croce, la croce che dondolava contro il cielo bianco
e i muretti scalcinati delle bicocche. Accattone svoltò a destra per una
strada altrettanto miserabile, lasciò indietro due donne grasse e smorte che
si facevano il segno della croce, camminò svelto sotto il suono della
campana che non la finiva più.
E, fatta ancora qualche decina di metri, arrivò nei pressi della sua meta...
Si fermò, e osservò una delle casette lungo la strada, povera, ma un po'
meno disperata con davanti un piccolo orto, bruciato dal sole.
Sulla polvere, davanti a quella casa, c'erano due ragazzini, sui due tre anni,
innocenti, vivi e zozzi come cuccioletti.
Tra questi ce n'era uno, a cui Accattone subito s'accostò, guardandolo.

ACCATTONE A Iaio! Viè qua Nun me conosci?

Il ragazzino lo guardò, incantato, senza riconoscerlo per niente.

ACCATTONE So' quella pora anima de tu' padre! Nun me riconosci?

Il ragazzino, sempre fiducioso, ingenuo, carino come un cuccioletto, lo


guardava, lasciando per terra sulla polvere le bottiglie con cui stava
giocando.

ACCATTONE Mannaggia! Tu' madre te lascia in giro così, a culo


scoperto? Eh? Ma lo sai che sei 'n omo, te? Viè qua, dà un bacetto d'oro a
tu' padre!

Si chinò a farsi dare un bacetto dal figlio, ma proprio in quel momento uscì
dalla porta della casa un vecchio uomo, un burino tosto e canuto, feroce,
che urtò subito ai nervi Accattone.
SUOCERO Che sei venuto a fà, qua?
ACCATTONE Aòh, carmete! Che te so' venuto a levà er piatto de la
minestra? Do' sta quella brava donna de mi' moje?
SUOCERO Do' sta? Sta a guadagnà er pane per tu' fijo! E adesso vedi
d'annattene, che quella meno te vede mejo se sente!
ACCATTONE Ho capito, va'!

Voltò le spalle e ricominciò a camminare, truce.

ACCATTONE La famija de la rinascita!


SUOCERO 'Sto delinquente, infame!

Accattone proseguì senza voltarsi, mentre il suocero continuava a urlare


dalla porticina come un cane rabbioso.

SUOCERO Arriverà er giorno che qualcuno t'ammazza, delinquente!

Accattone, per tutta risposta, ispirato, cominciò a cantare una vecchia


canzona:

Fior de limone
ma chi sarà 'sto giovane per bene
un popolano oppure un gran signoreee!

Proseguì ancora, benedetto dal sole: e la campana che continuava - lontana,


fioca, ma accanita - a suonare a morto.

Qualche minuto dopo, Accattone si avvicinava a uno spiazzo miserabile, tra


le casette, un poco più su.
Canticchiava ancora tra i denti la stessa canzone:

Fior de limone
ma chi sarà 'sto giovane per bene
un popolano oppure un gran signoreee...
Taceva e osservava.
Intorno intorno allo spiazzo, tutto polvere e erba bruciacchiata, c'erano altre
casette, mozziconi di muretti, mucchi d'immondezza, con qualche
magazzino di bandone arruzzonito.
Lì, sotto al sole che le faceva sfavillare come tizzoni, c'erano sei o sette
montagnole di bottiglie.
Delle donne le stavano capando: le bottiglie della Coca Cola con le bottiglie
della Coca Cola, le bottiglie del Chinotto con le bottiglie del Chinotto.
Un furgoncino le caricava, e le portava via, guidato da due gaglioffi,
smaglianti di sudore, in canottiera.
Una donna, gobba lì accanto sul mucchio delle bottiglie, avvistò Accattone.
Si rivolse allora verso una giovane donna, lontana, che lavorava, e aveva
accanto, su una coperta strappata, una creatura di un anno, alla misera
ombra storta di un fico.

DONNA Ascensa! Ascensa, lo vedi chi c'è? Quel bell'omo de tu' marito!

Ascensa guardò, facendosi solecchio con la mano, s'incupì, e ricominciò a


lavorare chinata, senza rispondere niente.
Accattone si rivolse però alla donna senza nome che stava lavorando lì, nel
luccichio delle bottiglie.

ACCATTONE Aòh, fra quanto staccate, qua?


DONNA A momenti... E’ da stamattina a le sei che stamo a combatte co'
'ste bottije...

Accattone sbadigliò.

ACCATTONE So' disgrazie che capitano...

Sempre sbadigliando, si scostò un po' dalla donna e dal suo mucchio di


bottiglie, per andare a rifugiarsi sotto un muretto sbrecciolato. E li si
preparò a aspettare che Ascensa staccasse. Ma subito i suoi occhi avidi
furono attratti da qualcosa, da qualcosa tra le bottiglie..,
Era una giovane donna, bionda, grande, ma che sembrava una ragazzina:
forse sì, era una burina.
Lavorava alle sue bottiglie zozze, con grande pazienza e dolcezza.
Accattone la osservò, un po' per passare il tempo, un po' perché interessato
da quel tipo di bonacciona, fatta col miele.

ACCATTONE Un lavoro pesante, eh?

La ragazza pareva che non avesse intenzione di rispondere: lo guardava dal


basso all’alto poi disse con un sorriso umile:

STELLA Tutt'è l'abbitudine... E poi quando uno cià bisogno, nun sta a
guardà, basta che lavora...

Accattone stupito da quella risposta completa e sincera, riprese con maggior


sicurezza e agio il discorso.

ACCATTONE Ma ve pagheno bene, almeno?


STELLA Eh, tanto pe' no facce morì de fame

Lei continuava a lavorare, sotto la vampa nera del sole. Lui tirò fuori una
sigaretta, e fumò, abbacchiato.

ACCATTONE Ma dev'esse poco che lavora qua... Nun l'ho vista mai...
STELLA Si, è poco... appena un mese...

Con uno scatto, Accattone si stirò come un leopardo.

ACCATTONE Eh, lo saprebbe io che ce vò in Italia!

La sparata d'Accattone cadde nel vuoto. Lei continuò umilmente a lavorare.

ACCATTONE Sì che s'ha da vede! Eppure Lincoln l'ha libberati li schiavi


E invece in Italia ce l'hanno messi! Ce manca proprio che ce mettono la
palla ar piede! Ah, co' un mitra in mano a me, beato chi rimanerà in piedi!

Anche stavolta le sue parole avvelenate caddero nel vuoto. Stella continuò
umile a lavorare.
ACCATTONE Come te chiami, te?

Stella alzo' su di lui gli occhi.

STELLA Stella.
ACCATTONE Io Vittorio, piacere! Eh, Stella, Stella... Indicheme er
cammino!

Stella ridacchiò un po' imbarazzata a quella sparata. Accattone insistè.

ACCATTONE Insegna a 'st'Accattone qual è la strada giusta... pe’ arrivà a


un piatto de pasta e facioli...
STELLA Ciài fame?
ACCATTONE Mah... fame no... un po' de appettito...
STELLA 'Mbe', è mezzogiorno... E’ l'ora sua!

Accattone tacque un po' osservandola meglio, incuriosito.

ACCATTONE Ma dimme un po'... me pari così ingenua... regazzina... così


bona, senza cattiveria... boh, nemmeno io te lo so spiegà... Ma non sei de
Roma?
STELLA Io sì!
ACCATTONE Mah... strano! Eppure... Boh... Eh, beata te che nun capisci
niente!

E sospirò amaramente.
Stella lo guardò, continuando a rimestare le sue bottiglie sporche, e sorrise,
imbarazzata, innocente.

Verso mezzogiorno le donne staccarono dal lavoro. Accattone aspettò


Ascensa sulla strada, nel punto in cui l’vista arrivando.
Le donne si allontanarono sotto il sole: mescolata ad esse Stella...
Ascensa arrivò invece tra le ultime, col bambino piccolo braccio.
Arrivò, e passò davanti a Accattone senza guardarlo. Ma Accattone le andò
appresso.

ACCATTONE Guarda che te stavo a aspettà te... Te devo parlà...

Ascensa non rispose.

ACCATTONE Allora? Nun m'hai visto?

Ascensa continuava a camminare, allungando il passo, sulla polvere


bruciante.

ACCATTONE Te vòi fermà, sì o no... Te devo parlàaa... Che ce vò la carta


bollata, mo, pe' parlà co' te?

Ascensa si tratteneva ancora, muta e proterva. Invece Accattone perdeva un


po' la grinta, e la sua faccia faceva quasi pena.

ACCATTONE Che, te stai a fà pregà come 'na santa?

Solo a queste parole meno dure, Ascensa scattò, furente:

ASCENSA Non ciavemo niente da disse io e te! Tutto quello che se


dovevamo dì, se lo semo già detto, basta! A me me devi lassà perde!
Lassame fà la vita mia, a me, e te fatte la vita tua!
ACCATTONE E nun strillà! Carmete, nun stà a fà la cosa, la traggedia!
ASCENSA Ma insomma, te ne vòi annà! Non ce parlo co' te! Con te non
ciò da spartì più nienteee! Vattene!
ACCATTONE Ma nun stà fà la regazzina! Almeno senti le raggioni mia!
ASCENSA Nun vojo sentì niente! Tanto lo so quello che vòi te! Ma qui
nun c'è trippa pe' gatti! Aripija la strada e vattene!
ACCATTONE Guarda nun so mica venuto a chiede l'elemosina, io sa'! Se
io vojo, da magnà me lo so rimedià, pe' me e per l'altri! A me nun me serve
niente da nessuno, che te sei messa in testa!
ASCENSA Arimedi sì, da magnà! Vergognete, almeno! Lo dici pure, come
lo rimedi da magnà! Ma famme er piacere, vattene, nun sei stato bono né
per te, né per me né per tu' fijo! E mo rivenghi qui? Qui nun c'è la
cuccagna, sa'! Nun me lo fà ripete più, vattene!
ACCATTONE A Ascensa, senti... Lo so, so' stato un zozzo, lo so, ho
sbajato... ma damme maniera da riparà, da fammete vedé quello che valo...
Me so' stufato da fà 'sta vita... Ciò da lavorà, adesso... Sto a cercà un
lavoro... Te lo sai, nun è facile trovà... Io intenzione ce l'ho...

Erano arrivati intanto davanti alla casa di Ascensa. Iaio era ancora lì che
giocava con le bottiglie sulla polvere, vedendo la mamma, le corse incontro,
attaccandosi alla sua sottana. Ma Ascensa non lo guardò nemmeno,
infuriata contro il marito.

ASCENSA Sì, io te credo... E stato l'unico sbajo de la vita mia, quello da


credete! Levate davanti all'occhi mia!

Accattone abbassò gli occhi sul figlio, e parlò a lui.

ACCATTONE A regazzì, lo vedi com'è acida tu' madre? Nun cià


nemmeno un po' de coscienza... Te vò fà cresce proprio senza padre...

Ma ecco, la porticina della casetta si aprì, sgangherata, e ricomparve il


suocero: stavolta c'era dietro a lui anche il cognato, un pezzo di burino
ch'era una roccia. Questo si rivolse subito, cattivo, a Ascensa.

COGNATO Che va cercando questo? Che vole?

Ascensa gli rispose entrando nell'orticello davanti casa, spavalda, cattiva.

ASCENSA Che vole, che vole! Vò fà er mantenuto! Mo è rimasto senza


più nessuno, e viè qua, hai capito, co' la speranza de magnà su le spalle
nostre!

Il cognato fece invece qualche passo sul metro e mezzo d’orto verso
Accattone.
COGNATO Senti, a trucidone, bisogna che 'na vorta per sempre te metti in
testa che quiii te lo devi scordattelo... se no un giorno o l'altro trovi
qualcuno che te rompe le corna... questo nun è il Circolo San Pietro!

Ora Ascensa era sulla porta, coi figli, accanto al padre malato e infuriato:
Accattone e il cognato erano di fronte sulla strada. Un po' di gente
cominciava a farsi sulle porte e alle finestre, a curiosare. Era soprattutto il
suocero che richiamava l'attenzione, cioccando rauco.

SUOCERO Farabutto! Vagabbondo!


ACCATTONE Come siete carucci, aòh! La riscossa dei burini!

Queste parole le aveva dette cantando, mica con tanta convinzione, però.
Il cognato si infuriò ancora di più: già c'era intorno molta gente, nera nel
sole, che guardava.

COGNATO Ah, te la piji scherzando, eh! Avanzo de galera che nun sei
altro! Giusto la faccia tua ce vò a presentatte qua! Vattene! Che la faccia tua
nun vojo che manco la veda, tu' fijo! Nun vojo che se vergogni d'avecce
avuto un padre così!

Accattone perdette di colpo la testa: aveva inghiottito troppo. Urlando e


sbavando, come preso dalle convulsioni, si buttò sul cognato, prima che
questi se ne rendesse conto, prima che la gente se l'immaginasse. Gli si
buttò sopra e gli si avvinghiò gemendo e rantolando di rabbia. Cercava di
morderlo, come un cane, sul collo, sulle orecchie. Il cognato, più forte, si
divincolava, ma non riusciva a liberarsi dalla stretta disperata.

La gente, specie dei giovanotti, allora si buttarono addosso ai due, cercando


di dividerli: ma Accattone era come incollato al cognato, non si riusciva a
staccarlo, mentre lui continuava a tentare di strappare a morsichi le
orecchie, il naso.
I due restarono così attaccati, come un corpo solo, in piedi, fermi, gemendo,
ringhiando.
Una scossa più violenta del cognato, per liberarsi, li fece cascare per terra
tutti due: e così continuarono a rotolare, sempre stretti, sulla polvere.
Per due, tre minuti, restarono così, senza parlare, solo ringhiando come
bestie, resistendo agli strappi dei vicini che cercarono di separarli.
Ma a un tratto il suocero, con gli occhi iniettati di sangue, scomparve dentro
il buco nero della porta, e, dopo un attimo risortì con un coltello da Cucina
in mano.

ASCENSA Fermete, a papà! Aiuto, aiuto! Datece 'na mano, fermateli!

Tre o quattro giovani si gettarono addosso al vecchio, che brandiva il


coltellaccio, e riuscirono a tenerlo fermo: anche lui non parlava, guardava
solo con odio pazzo quella che doveva essere la sua vittima, e si scuoteva
per liberarsi e andare a scannarlo. Finalmente, anche per il sopravvenire di
due nuovi giovanotti più forti, Accattone e il cognato furono staccati; ma
con tale violenza che Accattone cadde, rotolando a terra e sbattendo con la
fronte contro lo spigolo d'un muretto sbrecciolato. Cominciò subito a
sanguinare.
Ma stavolta, Come si sentì libero dalla stretta degli amici, fu il cognato che
si buttò addosso a lui, sanguinante: ricominciando a riempirlo di cazzotti.
Ma Accattone gli si avvinghiò di nuovo, disperatamente, come una
sanguisuga.
Restarono di nuovo stretti, come prima, e di nuovo, stretti, si rotolarono
sulla polvere ringhiando.
E il suocero sempre là, col coltello in mano, che si agitava con le sue deboli
forze, fissando quello che avrebbe voluto scannare. I giovanotti riuscirono
infine, per la seconda volta, a staccare Accattone e il cognato. E
trascinarono il cognato in cinque sei, dentro casa, senza più lasciarselo
scappare e cercando di calmarlo.

COGNATO T'ammazzo! Te faccio sputà er sangue, zozzo! Te metto er


core in mano, te metto! Lasciateme, che l'ammazzo! Lasciateme!
AMICO Tiette, a Giovà! Lassalo perde!
COGNATO Tanto te rincontro, sa'! E stavolta mica te salvi così! Te
l'addrizzo io quell'ossa fraciche! Lassateme, lassateme!
Accattone, bianco di polvere e rosso di sangue, si allontanava piano piano,
muto, per la strada bruciata dal sole.
Lassù il treppio di gente lo guardava, e si sentiva la voce del cognato che
urlava dietro di lui.

COGNATO Lasciala perde mi' sorella, sa'! Scordala mi' sorella! Pappone!

A quell'ultimo insulto, pur sotto il bianco della polvere e il rosso del


sangue, la faccia di Accattone si riempì di vergogna, di rabbia e di dolore.
Ma continuò a camminare senza voltarsi indietro, trafitto alle spalle dagli
sguardi della gente.

COGNATO Pappone! Pappone!

Accattone, continuava ad andare, asciugandosi il sangue che gli colava


sull'occhio, muto.

In un vicoletto perpendicolare alla strada del baretto, c'era il posteggio dei


furgoncini.
Una gran pace, un gran silenzio, una grande dolcezza, sotto il sole che
picchiava tranquillo.
I furgoncini erano allineati immobili, sgangherati, con le loro lamiere
arrugginite e le loro forme orientali...
Dentro uno di questi furgoni stava sbragato a pancia all'aria, Accattone.
Era ancora più miserabile, tutto impolverato, con un paio di scarpe di
gomma bianche, una canottiera sporca. Aveva l'aria accasciata: stava lì
abbandonato come un corpo morto.
Ed ecco che passò di lì Giorgio, con la puzza sotto il naso, gli occhi acquosi
azzurri pieni di cattiveria. Chissà dove andava.

GIORGIO Te dice male, eh, Accattò! Ammazza, sei cambiato dal giorno
alla notte!

Accattone non rispose, guardando in alto con gli occhi appannati.


GIORGIO E quando le farai più quelle belle cene! De dieci, quindici
persone, a Fiumicino, tutti a magnà! Zuppe de pesce, frutti de mare! Te la
ricordi! E’ un sogno, è! Quando torneranno quei tempi!

Accattone, pallido, rispose muovendo appena la bocca

ACCATTONE Aaaaah, ma ancora non t'hanno carcerato? E vattene!


GIORGIO Gira 'na chiacchiera, a Accattò, che so' du' gio che nun magni...
Ma è vero?
ACCATTONE Ma guarda che se te rivomito addosso te faccio magnà pe'
'na settimana!
GIORGIO Allora hai magnato! Stai bene! E io che me pijavo tanta pena,
che ciavessi fame... Te volevo aiutà... ma quand’è così, aòh... ringrazia
Gesù Cristo!

Riprese la sua strada, Cascante e solenne. Poi si voltò di scatto, accurato,


premuroso

GIORGIO Vuoi un digger selz!


ACCATTONE Uffa! E vattene!

Giorgio infatti se ne andò e Accattone restò di nuovo solo, pancia all'aria,


sfinito dal digiuno.
Gli si avvicinò un cane, un cane nero, e, silenziosamente, Accattone, con un
Certo affetto lo accarezzò, gli strinse il muso giocò un po' con lui.
E intanto gli parlava con la voce sorda con cui si parla una bestia.

ACCATTONE Be', che voi? Eh, beato te, che te puoi magnà pure l'ossa!
Zozzo!

Ma il cagnoletto zozzo prese e com'era venuto se ne andò: Accattone lo


seguì con gli occhi che si allontanava, e si incrociava con Renato, lo
Sceriffo, e uno nuovo, il Cipolla, che avanzavano, fiacchi e smandrappati
pure loro come cani sotto il sole. Come furono davanti a Accattone
sbragato, senza tanti complimenti, senza porre tempo in mezzo, lo Sceriffo
sbottò:

SCERIFFO A Accattò, ciavemo 'na fame che nun je la famo nemmeno a


bestemmià!
ACCATTONE Capirai, me lo venghi a dì a me! So' du' giorni che nun
magno io!
RENATO Armeno ar fachiro Burma lo pagano, pe' fà 'st'esibbizioni! A noi
nun ce danno niente...
ACCATTONE E organizzamose! Semo tre cervelli qua, possibile che nun
je la famo a mette su 'na pila de pasta e facioli!

Il Cipolla s'ispirò, s'inebbriò.

CIPOLLA Ah, pasta e facioli! Ma che è? Ah, che parola dolce!


SCERIFFO Aòh, e daje! Movemose! Io se sto 'n'altra mezzora senza
magnà, qui, me squajo ar sole!

Accattone balzò giù dal furgoncino, e, per un istante, restò immobile,


chiudendo gli occhi per le traveggole.

RENATO Arisisti, Accattò, che fra poco se magna! Ridi!


CIPOLLA Aòh, io ciò du' piotte!
SCERIFFO Capirai, semo ricchi!
RENATO Io vado su casa e rubo un chilo de pasta de l'Assistenza
Pontificia! È bona sa'!
CIPOLLA Te credo, de 'sti tempi!
ACCATTONE Dài, dài, dài, nun perdemo tempo! Te ciài ducento lire, a
Cipò! Va' a comprà cinque salsicce un po' d'ojo e un po' de conserva e un
po' de pane!
CIPOLLA Aòh, mo' pijo pure il tassì, p'annalle a comprà!
ACCATTONE Ma daje, fà buffo! Te fai compatì dar fornaro! Recita un
pochetto no! Tanto dopo passa quer micco de tu' padre e paga!
CIPOLLA Sì, mi' padre paga! Se me trova me impicca!

Lo Sceriffo alzò gli occhi al cielo, prendendosi la testa fra le mani, biblico:

SCERIFFO Aòh, ma non ce sta un santo protettore per l'affamati? Ma chi


è? Se ce stai, fatte conosce! Prestece dumila lire!

I quattro camminavano svelti, speranzosi lungo il marciapiede deserto.


Renato aveva in mano il pacco della farina; il Cipolla i pacchetti col pane,
le salsicce e la conserva.
Chiacchieravano, camminando, tutti tesi. In testa era il Cipolla, che agitava
il cartoccetto delle salsicce e cantava:

Collonello non voglio pane


voglio un chilo de pastasciutta
so' sicuro la magno tutta
nemmeno un filo ne lascerò...

Lo Sceriffo gli cantava appresso. Ed ecco il cagnoletto zozzo di prima,


attirato dall'odore delle salsicce.

RENATO Te piaciono le salsicce, eh! Pussa via, se no me te magno pure a


te!

Poi alzò il pacco della farina dell'Assistenza Pontificia:

RENATO Eppure lo vedi? Se nun c'erano i preti Oggi non se magnava!


Tiè, leggi quello che c'è scritto qua: « Assistenza Pontificia per famiglie
bisognose ».
ACCATTONE Evviva il clero... e chi lo creò!

Camminavano animosi verso la vicina meta...


I quattro arrivarono, sempre arrisi dalla speranza, davanti al miserabile
portoncino della casa di Fulvio, e cominciarono a chiamarlo.

ACCATTONE A Fulvio! A Fulviooo!

Detto fatto comparve Fulvio, salendo la scaletta che portava allo scantinato.
Rise, a vederli, subito, con la bocca sdentata e la faccia ch’era quella dello
scheletro d'un uccello.

FULVIO Che c'è?


ACCATTONE Accendi er gas
FULVIO Aòh, che avete deciso d'ammazzavve!
ACCATTONE Ce devi prestà 'na cortesia, a Fulvio! Ce devi prestà un
minuto er fornello, che se cucinamo 'sto chilo de pasta, qua! Ciavemo 'na
fame!
FULVIO E daje! Sbrigateve, va'! Tanto er fornello è libero. Pure noi, mica
avemo cucinato, nun ciavemo niente da magnasse!
RENATO Ah, venghi bene! Ma che è, er Diggiuno Universale!
FULVIO Aòh, mica te sto a levà er pane dalla bocca, sa' aòh! Dài, dài
annamo a cucinà 'sta robba, va'!

Scese la squallida scala seguito dai compari:

FULVIO A Celesteeee!

E dietro quel grido di guerra, quella sirena di mezzogiorno, entrarono nello


scantinato.

Entrarono, nello scantinato. Una sola stanza - come quella di Maddalena -


'un po' più grande: un solo lettone, tre quattro mobilucci sgangherati, due
ragazzini mocciolosi.
La moglie, Celeste, era fuori, nel cortiletto.

FULVIO Coci un po' 'sta robba a questi!


Celeste entrò, li vide, tacque, andò al fornello: Renato s’avvicinò e con
l'accendisigari l'accese.

RENATO Friggi padella, ché la padrona è porella!

Celeste andò a prendere la pila e la riempì d'acqua al secchiaio. Tutti erano


di ottimo umore, ringalluzziti e malandri.

CIPOLLA A Accattò, chi sceglieresti, adesso, una bistecca o a Miss


Universo!
ACCATTONE Che so' domande da fasse?

A un tratto lo Sceriffo ebbe uno scatto, e prese un tegamino dalle mani di


Celeste.

SCERIFFO Er sugo lo faccio io! Specialità della Casa! Er Sugo


all'affamata!

Si avvicinò al fornello, col tegamino, spacchettò le salsicce, che erano due,


il pomodoro, il barattoletto dell'olio. Fulvio intanto, con gli occhi squagliati,
faceva gli onori di casa.

FULVIO Metteteve a sede! Nun impicciate!

Tutti si misero a sedere, paonazzi, ridenti e un po' imbarazzati, sul lettone.


Accattone anzi vi si allungò a pancia in aria, beato.

ACCATTONE Eppure che è la fame? Un vizio! È tutta un'impressione!


Ah, se nun ciavessero abbituati a magnà, da regazzini!

Prese per il pancino uno dei due figli di Fulvio ch'era li sul letto e gli fece il
tinticarello. Il ragazzino si mise a ridere, ridere.

A pisellò! 'Mbe'? Chi te l'ha attaccato er vizio de magnà, 'sto morto de fame
de tu' padre?
Il ragazzino rideva, rideva.
Renato sbottò a ridere pure lui, con una risata beffarda, la caricatura di una
risata:

RENATO A Accattò, te ricordi quella volta che per magnà... avemo rubati i
soldi a un Cieco?

Risero tutti. Il Cipolla rise ancora più forte, e, soffocato dalle risate, disse
anche lui la sua:

CIPOLLA E quella volta che se semo venduti la dentiera de tu padre!

Tutti ridevano, ridevano, sbudellandosi dalle risa, insieme, con le bocche


spalancate e gli occhi luccicanti ridevano, ridevano.

Era passato il tempo che serve a una pentola d'acqua a bollire. E infatti la
pentola bolliva: ecco il momento di mettere giù la pasta.
Tutti erano intorno al fornello, per la delicata operazione.

CIPOLLA A Celè, sbrighete, che sennò qui famo la fine de quelli del
processo de Norimberga!

Accattone osservava, con distacco critico, la pasta che Celeste metteva nella
pentola: e le due salsicce sul tegamino. Poi, di colpo, mise rapidamente una
mano sulla spalla di Fulvio, e gli fece un cenno. I due si allontanarono un
po', sul letto.

ACCATTONE A Fu', ce stai a fà fori quelli? Nun te pare che semo troppi
otto intorno a un chilo de pastasciutta?

Fulvio afferrò al volo:

FULVIO E come famo, a farli fori?


ACCATTONE Pzt! E che ce vò? Mo tu cominci a offendece, ce dichi
morti de fame, miserabbili... dacce 'no schiaffo morale... Poi ar resto ce
penso io! Quelli pijano d'aceto, e se ne vanno... E la pasta se la magnamo
tutta noi...

Si fece una risatella, bassa, bassa, mascherando le parole. Poi gridò:

ACCATTONE Calli!

I due si riaccostarono al gruppo intento intorno alla pila, come i dritti


s'accostano ai gaggi. E il Cipolla, ingenuo come un ragazzino, che
ringraziava Fulvio...

CIPOLLA A Fu', te faranno un monumento, per quello che stai a fà! Hai
salvato quattro italiani!

Fulvio cominciò subito la scena.

FULVIO Se, un monumento! A 'sto mondo più bene fai e più calci in faccia
ricevi!

Renato fu subito incuriosito dall'improvviso tono carogna di Fulvio.

RENATO Aòh, per chi ciài preso? Noi semo boni cristiani, sa'! Ce l'avemo,
la riconoscenza! E se un giorno te la dovessi passà male, un piatto de
minestra nun te lo negheremo, sta' tranquillo!
FULVIO Sì, porelli! Però io, se sto senza da magnà, sto dentro casa mia, e
nun vado a elemosinà a casa dell'altri!

ACCATTONE Aòh, ma tu ce stai offendendo un po' troppo! Dopotutto ce


stai a fà 'na cortesia!
FULVIO No! Io ve sto a fà l'elemosina!

Una triste smorfia di disgusto bollò come una macchia profonda la faccia
dello Sceriffo.

SCERIFFO Quale elemosina, aòh, a miserabbile!


FULVIO Guarda che s'ha da vede! Quattro giovanotti dell’età vostra che
nun so' boni ancora da rimediasse da magnà? Certo è proprio 'na vergogna!
SCERIFFO Senti chi parla de fame! Ieri tu moje m'ha detto che te sei
magnato la minestra dei ragazzini! Ma falla finita!
FULVIO Sì! E mo vallo a ricontà in questura! Tanto lo so che fai la spia!
Che, te credi che no lo so!

Lo Sceriffo si fece brutto: ogni residuo di riso gli cadde occhi, e guardò
intento Fulvio:

SCERIFFO Aòh, fatte capì: ma scherzi o dici sul serio?


FULVIO Scherzo? Ma è 'na chiacchiera generale! Lo tutti!

Lo Sceriffo fece subito per lanciarsi su di lui, con il suo solito scatto
imprevedibile: Accattone lo trattenne, parlando prima a lui poi a Fulvio.

ACCATTONE Ma nun je dà retta, a 'sto povero deficiente, che la fame j'ha


dato in testa! Che te credi, che noi semo pezze da piedi? A noi c'è rimasto
un po' d'orgoglio, sa'! Semo pure capaci d'annassene, e da fatte la carità, co'
la pasta nostra!
FULVIO Orgoglio! Senti chi parla de orgoglio! Qual è l'orgoglio tuo,
quello da pijà i soldi da le donne? Ma lo sai che pure a Reggina Coeli i
papponi so’ scartati da tutti?

Con un nuovo scatto, lo Sceriffo andò volando verso la porta. Il Cipolla lo


guardò smarrito, di sopra la pila che bolliva.

CIPOLLA Aòh, ma che fai, aòh?


ACCATTONE Sì, cià raggione! Annamosene tutti! Famojela magnà a lui,
la pasta, a 'sto bojone! 'Namo, via!

Accattone dette queste parole con violenza esaltata seguì deciso lo Sceriffo
che era già alla porta. Tutti quattro uscirono con le loro facce da coltello,
scavate dalla debolezza. Solo il Cipolla lanciò indietro uno sguardo di
amaro rimpianto.

Le quattro facce del digiuno al sole: i compari erano sbragati nelle


seggiolette, sfiniti.
S'alzò la voce del Cipolla, un rimpianto accorato:

CIPOLLA Era quasi cotta!


RENATO Certo io da Fulvio nun me l'aspettavo una parte del genere!
ACCATTONE Io nemmeno!
RENATO Hai fatto proprio bene, Accattò! Je avemo dato 'no schiaffo
morale!

Lo Sceriffo si chinò sulla seggiola, e batté per terra coi palmi delle mani:

SCERIFFO Don Bosco! Aiutece te!


CIPOLLA Sì, a morisse!

Arrivò in quella lì davanti, una macchina - una vecchia millequattro come


quella di Accattone - e dal finestrino fece capoccella un nuovo tipo, un bel
ragazzo grande e forte, di nome Pio.

PIO A Accattò, che hai fatto, che te vedo tutto pensieroso?

Ma Accattone immerso in profondi pensieri, distratto, non vide e non sentì.


Allora Pio cacciò dalla saccoccia un pacchetto di sigarette, l'allungò secco
verso i compari.

PIO Ciài er rodimento?


CIPOLLA A Pio, che te sei magnato oggi a mezzogiorno?

Accattone, con uno scatto degno dello Sceriffo, si alzò in piedi, tutto
vibrante come un antenna...
ACCATTONE Manco pel cavolo! Nun je la vojo dà 'sta soddisfazzione! E
perché se la deve magnà lui la robba? Magari la butto pe' strada, la do a un
cane! Aspettate, qua! Aspettate qua, nun ve movete! Ve la riporto io la
robba, ce penso io!

E, sempre di scatto, senza voltarsi indietro, attraversò la strada, per la


direzione che avevano preso prima verso la casa Fulvio.
Come si allontanò dal gruppo dei compari, la sua faccia perse l'espressione
indignata, disgustata e ribelle, per acquistarne una ricca di profondo,
intrattenibile buon umore. L'allegria gli spurgava dalla bocca, dagli occhi
infernali. Finché, correndo, si mise addirittura a ridere forte, da solo.
Così arrivò quasi davanti alla porta della casa di Fulvio, e fece per
imboccarla, e buttarsi sul pasto, ma...
Qualcosa attrasse d'improvviso, con la potenza di un miraggio, di una
prospettiva che riapre il futuro, di una calamita, i suoi occhi; che si
fissarono verso quel punto improvvisamente corrucciati, meditabondi,
avidi. Sembravano inchiodati. Dal fondo della strada deserta sotto il sole,
avanzava una ragazza alta, grande, chiara: era Stella.
Arrestato nella sua corsa verso il pasto, Accattone la guardava ancora, come
pensando intensamente, con la fronte arricciata come un filosofo, con gli
occhi cattivi.
Ma non la salutò, non disse niente: si voltò, e, a razzo, tornò a correre verso
il bar.
Ci arrivò correndo come un zozzo: ecco là i compari, afflitti a pancia
all'aria.
Accattone si rivolse sciamannato a Pio: doveva ottenere subito quello che
voleva, magari ipnotizzandolo.

ACCATTONE A Pio a Pio, cori, daje metti in moto!


PIO Ma perché, che c'è?
ACCATTONE Daje metti in moto, se no se ne va, è 'na ragazzal
PIO Ma chi è?
ACCATTONE Una che conosco! Dài, se no se la perdemo!
Intanto salì in macchina accanto a Pio: ma pure gli altri compari si
avvicinarono, accatenandosi.

CIPOLLA Daje, parti!


ACCATTONE Fermi! Aòh, che c'entrate, voi!
RENATO Tutti per uno, uno per tutti!

E i tre montarono di prepotenza sulla macchina.

ACCATTONE Dài, imbecille, scendi!


RENATO Ma guarda, annamose a ammazzà tutti quanti assieme! Sarebbe
da ride, mo so' montato, scendo!
ACCATTONE Guarda 'sti disgrazziati, mo' m' arovinano tutto! Parti, daje!

Pio allora spinse la macchina nella solita direzione, per la strada quasi
deserta, nel sole delle due.

ACCATTONE Questa me la pagate, eh? Se per colpa vostra vado in


bianco, è mejo che scappate!
SCERIFFO Eh, quanto la stai a fà lunga pe' 'na donna! Chi sarà mai!
ACCATTONE Ferma! Ferma!

Infatti, ecco là Stella, nel marciapiede assolato. Pio bloccò, e Accattone


schizzò giù dalla macchina, andando, più serio e contenuto che poteva,
verso la ragazza.

ACCATTONE Ciao, nun me riconosci?

Stella lo guardò un momento, appunto non riconoscendolo: poi la sua


ingenua faccia si illuminò.

STELLA Ah, ciao!


ACCATTONE Com'è? Oggi non lavori?
STELLA Eh, ho staccato adesso, me so' presa mezza giornata de festa...
ACCATTONE Ah, fai pure le feste!
STELLA Sì! Festa! Devo arivà ar Monte de Pietà... Oggi me scade la
polizza... Me dispiace mandarlo perso, è una medaglione de mi' padre...
ACCATTONE Alora vai a prende er tram...
STELLA Sì, lo vado a prende adesso...
ACCATTONE Se nun te dispiace te posso accompagnà io... Ciò la
machina de 'n amico mio... Ecchela là...

Stella guardò verso la millequattro carica dei gaglioffi, che facevano


capoccella.

STELLA No, nun je fà niente... prendo er tram, è uguale…


ACCATTONE Daje, tanto noi nun ciavemo niente da fà... in giro così... Se
famo pure 'na bella passeggiata...
'i
Confusa e incapace di dire di no, Stella guardò ancora verso la macchina.
Accattone la prese deciso per un braccio.

ACCATTONE Nun fà complimenti, daje! Nun te vergognà!

E la trascinò un po' recalcitrante e incerta verso la macchina, dai cui


finestrini sporgevano le facce in speranzosa attesa dei quattro soci.

ACCATTONE Te presento 'st'amici mia...

A uno a uno i quattro le diedero la mano, che lei strinse diligente:

COMPARI Pio... Renato... Nino... Renzo...


ACCATTONE Mettete in mezzo!

La fece salire sul sedile anteriore della macchina, tra Pio e lui. La macchina,
così, era piena.
PIO 'Nd'annamo?
ACCATTONE Ar Monte de Pietà!

Ruderi d'acquedotto, casette, baracche, palazzoni lontani, fratte, erbacce,


filavano contro la vampa morta del sole.
I tre nel sedile di dietro si erano addormentati uno addosso all'altro: era la
fame...
Accattone li allumò di sguincio.

ACCATTONE Parono tre angioletti... Hanno mangiato, e adesso


dormono... dopo mangiato, chissà perché, viè sempre sonno...

Stella, guardò anche lei, tanto per guardare, con l'occhio dolce ed estraneo.
Ha il medaglione del padre al collo.

STELLA Ma questa è la strada che porta al mare?


PIO Sì, questa è la Cristoforo Colombo! Perché non c'è stata mai qua?
STELLA No, a Ostia ce so' andata col treno, l'altr'anno, Co' mi' madre...
PIO Eh, ce penserà Accattone a faje conosce un po' i circondari de Roma...
STELLA Adesso tornamo indietro, però...
ACCATTONE E’ presto, è presto... eeh! Hai voja ancora a girà!

Il Cipolla, dietro, si risvegliò, si guardò attorno:

CIPOLLA Ah, che veduta incantevole...

Il Cipolla, così dicendo, si appoggiò coi gomiti al sedile anteriore; e batté


con le dita sul braccio di Accattone. Accattone si voltò di sguincio,
interrogativo, ostile.
Il Cipolla gli fece un gesto con la mano come per dirgli: « E allora, con
questa qui, nun se fa niente? » E Accattone a sua volta, gli rispose con un
gesto rabbioso che voleva dire: « E statte zitto, vaffan...! »
Il Cipolla si rilasciò indietro sullo schienale, subito rassegnato e tranquillo:
e guardò fuori.
Si vedeva la parete di un palazzone di gesso dell'Eur, con la famosa scritta:
« POPOLO DI NAVIGATORI, DI POETI... » E il Cipolla subito si rivolse a
Stella, felice.

CIPOLLA A Stella, leggi là! Lo vedi con chi ciài da fà? Che te credi che
semo pezze da piedi? Semo italiani, sa', oh!

E Stella rise, rise.


Il Cipolla si stirò e tirò a riaddormentarsi fra gli altri due angioletti.

STELLA Come ve state a scomodà per me... State a perde tutto 'sto
tempo...
ACCATTONE Eh, Stella, che, so' discorsi da fasse? Nun ciavemo niente
da fà, oggi, a Stella, semo libberi e indipendenti...

Stella allora arrossì, sospirò, esitò e infine disse:

STELLA Io... ciavrei da chiedeve un piacere... Se avete tempo, eh... Ma


nun ciò coraggio...
PIO Nun ciavè paura... Dillo! Se è un piacere che se pò fà, se ffa, anzi, te lo
faccio co' tutto er core...
STELLA Nooo, è troppo...
PIO Eh! Mica me chiederai la vita!

Stella si ricompose nervosamente i capelli con una mano, esitando, poi si


decise:

STELLA Ecco... nun diteme sfacciata... adesso vorrei andà subito a


Ardea...
ACCATTONE E a che fà?
STELLA Me ce portate? Me fate 'sto piacere?
PIO A Ardea? E annamo a Ardea!

Stella sorrise contenta e, povera creatura, un po' malandrina.


Ardea comparve, come un ammasso di rovine bianche in mezzo alla
campagna secca.
I cigli della strada, e i prati intorno erano qua e là carbonizzati, con qualche
cresta di fuoco che ancora ardeva. Lo Sceriffo, Renato e il Cipolla,
ridormivano, sudati, nel sedile di dietro.

ACCATTONE Ecco Ardea. Mo ce devi spiegà che semo venuti a fà fino


qua!
STELLA No, no dritto... volta qua a destra...
PIO Ma a destra mica se va Ardea...

Allora Stella si fece coraggio:

STELLA Nun devo annà proprio ar paese... Devo da annà ar camposanto!


ACCATTONE Ar camposanto?

Ma non commentò, preferì raccogliersi in un amaro silenzio.


La macchina filò ancora un poco, nel fuoco del pomeriggio ardente di
Ardea.
Accattone era pallido di stanchezza e debolezza, sfatto, senza fiato.

ACCATTONE E chi vai a trovà, ar camposanto...


STELLA Mi' padre.
ACCATTONE Ah.
STELLA Ancora a destra... Ce so' stata du' anni fa co' mi' madre...

La macchina prese per un viottolo a destra, con due palmi di polvere, tra
l'erba bruciata.
Ancora silenzio: i tre dietro dormivano profondamente, con tre facce che
erano tre mascheroni di polvere sudore e fame. Dopo un po', sempre timida
e vergognosa, Stella mise una mano sul braccio di Pio.
STELLA Te dispiace, fermatte un minuto?
PIO Come, no?

E fermò. Si sentirono d'improvviso le cicale, in un silenzio di tomba.


Accattone aprì lo sportello e scese per far passare Stella.
Stella scese e sortì, andando verso il prato secco.
Accattone si ributtò sul sedile, morto.

ACCATTONE Oh Dio, nun m'areggo in piedi...

La testa gli rotolò sullo schienale, come quella d'un Cristo. Pio invece,
sceso a sua volta, osservava quello che faceva Stella. Stella camminava
faticosamente in mezzo agli sterpi del prato, aguzzi, gialli, tra mucchi
d'ortiche, fratte scheletrite.
Poi cominciò a raccogliere dei fiori: miseri fiori mezzi secchi, striminziti.

PIO Aòh, sveja, dài, annamoje a dà 'na mano!

Si allungò dentro la macchina a scuotere i tre dormenti:

PIO Sveglia, belli!

Accattone aveva drizzato le orecchie - e mentre gli altri si svegliavano


lamentosi, scatarrando - si alzò e andò verso Stella nel prato.

ACCATTONE Raccogli le margaritucce... Che te possino... Dai t'aiutamo


tutti, ne famo un ber mazzo!
STELLA Grazie!

E s'asciugò il sudore con la mano che reggeva i fiori. Accattone si chinò a


cogliere fiori pure lui, mentre arrivavano; anche gli altri quattro, intronati
dal sole.

RENATO Ma guarda se a 'st' età io devo annà a ricoje margherite!


Si chinò disgustato a raccogliere fiori, canticchiando. Anche Pio stava
raccogliendo fiori: ma lo Sceriffo e il Cipolla fecero sciopero: stavano fermi
impalati nella vampa del sole, Pio li adocchiò, curvo a strappare fiori fra gli
zeppi.

PIO Aòh, daje un po'! Che, sete venuti qua pe' guardacce! Lavorate pure
voi!

Lo Sceriffo che pareva sul punto di morire di sonno, si ridestò di botto, e


cominciò a ballare come un pazzo il rock and roll. Pio si alzò e gli diede
una spinta che quasi lo fece cadere:

PIO E ricoj li fiori, a stronzo! E lo Sceriffo obbedì.

Il cimitero era bianco, desolato e screpolato. Il cancello cigolò - nel silenzio


enorme - e i sei entrarono, con grandi mucchi di fiori impolverati.

RENATO Adesso co' tutti 'sti fiori, tu' padre ce sta bene per 'n altri du'
anni!

Tutti ridacchiarono, con le solite facce che si raggrinzivano. Ma il riso di


Accattone era fiacco: la sua faccia terrea, imperlata di sudore.

PIO Aòh, semo ar camposanto, qua, mica a l'osteria!

Stella cercava la tomba del padre, e gli altri appresso: per ultimo Accattone,
mezzo morto.

RENATO Ciài raggione! Semo come le bestie! Nun ciavemo un po' de


rispetto nemmeno pei morti!

Lo Sceriffo alzò gli occhi al cielo.

SCERIFFO Madonna, nun lo faccio più!

Stella continuava a cercare la tomba: e gli altri appresso, tra le tombe, con
ultimo, boccheggiante come un pesce appena pescato, Accattone. Il Cipolla
smicciava le tombe.

CIPOLLA Ma ce sarà qualcuno morto de fame, qua dentro... Possibile che


tutti so' morti de vecchiaia e de malattia?

Accattone si appoggiò tutt'a un botto alla spalla di Renato, stravolto

ACCATTONE Uff, me sento male...


RENATO So' du' giorni che nun magni!

E tirarono avanti.
Ora Stella era ferma davanti a una tomba, la osservava, riconobbe la
fotografia del padre.
PIO E’ questa?

Stella fece cenno di sì. Poi, messi i suoi fiori sulla tomba, si fece il segno
della croce.
Accattone, insieme agli altri, allungò i suoi, barcollando e asciugandosi il
sudore freddo, e Stella cominciò a metterli in cerchio tutt'intorno alla
tomba.

STELLA Era tanto tempo, che volevo venì...

Ma Accattone, pallido come un morto, si era tirato in disparte, come fanno


le bestie malate.
Non ce la faceva più e si mise a sedere su una tomba, dove c'era la
fotografia di un certo Palombi Aldo. Accattone lesse quel nome e trovò
ancora la forza di dire una battuta.

ACCATTONE A Palombi, tirete un po' più là, famme un po' de posto, che
nun je la faccio più...

Si sbragò sulla tomba, coi sudori freddi, sul punto di sturbarsi.

ACCATTONE Quanto me sento male, mamma mia... Oddio...

Osservava Stella, ch'era inginocchiata a pregare. Ebbe un lampo di odio


negli occhi, che stavano per spegnersi.

ACCATTONE Ma che te preghi!

Stella stava in ginocchio con le mani congiunte e gli occhi bassi, in mezzo
agli altri quattro compari, in piedi, nel sole disperato.

Sempre sotto quel sole, Accattone e Pio stavano aspettando: era domenica,
e il vicoletto del posteggio dei furgoni, dove aspettavano, era vuoto.

ACCATTONE Caccia na sigaretta! Me sto a sfiatà da fumà


PIO Stanno per finì...
ACCATTONE Dopo le compramo...
PIO Quanto ciài in saccoccia...
ACCATTONE Io? Ma manco 'na lira, sto in bianco scannato...
PIO Bella copia ch'amo fatto. Manco io ciò 'na lira, oggi. So’ ito a giocà a
biliardo, e ho perso tutto quello che ciavevo...
ACCATTONE Mannaggia, e mo come famo? Indò la portamo?
PIO Eccola...

Accattone era sconvolto dalla notizia di Pio. E Stella stava arrivando,


affrettata, in mezzo alla gente vestita a festa, con addosso il solito
vestituccio.
Pio con gli occhi guardava lei, con la bocca parlava a Accattone: allegro
verso lei, allegro con Accattone.

PIO Famo 'na cosa casareccia... Se famo 'na bella camminata... Tanto cià un
bel par de piedi, questa... Hai voja camminà...

Pure Accattone con gli occhi diceva una cosa e con la bocca un'altra. Poi
però un'idea lo illuminò.

ACCATTONE Ih, a piedi! Annamo a fà la marcia su Roma! Magara, la


portavamo in pellegrinaggio, a visità le Madonne de l'Asfalto...

Stella era di fronte a loro. Si diedero la mano, felici e contenti.

STELLA V'ho fatto aspettà?


ACCATTONE No, no!

Accattone prese per una spalla Stella e la sospinse verso la millequattro


ferma un poco più in là.

ACCATTONE A Stella, te piace conosce er mondo?


STELLA Perché? Me piace sì...
ACCATTONE Brava!
Salirono sulla macchina, e partirono, sotto il bel sole di tutti e di nessuno.

Così arrivarono nel viale dove andava a battere Maddalena: era giorno,
domenica, e adesso il solo a battere era il sole. La macchina passava
lentamente lungo il marciapiede della vergogna. I tre, insieme sul sedile
davanti, tacevano, sudati. Accattone si guardava intorno, come cercando
delle persone: ma non vedeva nessuno. Fece una smorfia, accese una
sigaretta. Ma fu Stella che avvistò per prima una prostituta sperduta, la
Spagnola.

STELLA Iiih, che sta a fà, quella!

Accattone ridacchiò roco tra se.

ACCATTONE Eh! Sta a produce...

E Stella ebbe un capriccio improvviso e inaspettato.

STELLA Fermete, fermete, torna indietro, famme vede...


PIO La vòi proprio guardà? Te piace proprio guardarla?
STELLA Sì, sì, torna indietro... E’ 'na donnaccia quella ve'?

Pio tornò indietro, riavvicinandosi alla Spagnola, là, con la borsa e le scarpe
scalcagnate sotto il sole.

ACCATTONE Chiamala donnaccia, te! No lo vedi come sta bene!

Stella la osservava attentamente, con una strana espressione di dolorosa


curiosità. Pio riprese a correre, per il viale. Accattone, vedendo quell'intensa
e strana curiosità di Stella, approfittò subito.

ACCATTONE Eh, più avanti, hai voja quante ce ne stanno!


PIO Che, no le hai viste mai?
STELLA No, no, no le ho viste mai...
Ne comparvero delle altre, tra cui Amore.

STELLA Famme vede, famme vede...


ACCATTONE E guarda!

Stella osservò quelle povere donne da capo a piedi e, improvvisa come la


curiosità, le scese un'ombra negli occhi: una profonda malinconia:
un'espressione mortificata come di ragazzina rimproverata.
Quasi quasi le luccicavano delle lacrime negli occhi, e la faccia le si fece
piccola.

ACCATTONE E mo? An vedi questa, oh! Ma quando te svejerai!

Stella non lo sentiva, pareva: e continuando a osservarle, mormorò quasi tra


sè:

STELLA Ma che fanno?


ACCATTONE Quello che fanno tutte le donne!
STELLA Porelle!
ACCATTONE Chiamale porelle, te! Queste se portano via venti trenta
mila lire ar giorno...

Frattanto Amore, che stava già dando segni d'impazienza, perdette le staffe,
e gridando fieramente, mosse verso di loro, facendosi solecchio,
sbarbagliata dal sole:

AMORE Che c'è da guardà? Che ciò la rogna?


PIO Amore! Vacce piano! Che, nun ce riconosci più?

A quelle parole Amore un po' sì calmò, e continuò a avanzare guardinga,


sempre un po' accecata dal sole.

STELLA 'Namo via! 'namo via! Portateme via!


Ma ormai Amore era vicina, e li aveva riconosciuti.

AMORE Ve possino ammazzavve! Siete voi! Non v'avevo mica


ciconosciuto, sa'!
PIO Eh, vor dì che te cominci a fà vecchia!
AMORE Sì, so' ancora la mejo de la piazza! E questa chi è? che no la
conosco...
STELLA Portateme via, daje!
ACCATTONE Questa è 'n'altra categoria...
AMORE Ah è 'n'altra categoria... E Maddalena, come sta? Te scrive? Lo
sai che ha preso un anno, sì?
ACCATTONE Embè, colpa sua!
AMORE Sì, ma a te che te frega, de Maddalena! Ciài raggione te, colpa
sua! Apposta io nun me voglio mette nessuno addosso! Voi siete boni solo a
succhiacce er sangue!
ACCATTONE Aòh, Amore, non ciài 'n altro discorso da famme, eh?

Ma Amore ignorò la furia repressa di Accattone, e prese di petto Stella.

AMORE Indò la portate, 'sta bella ragazzina? A signorì! L'avete scelti


proprio boni! Specialmente Accattone, qua! Lo sa popolo e comune!

Stella, mortificata, confusa, disperata, taceva.


Amore la osservò un po': poi con un nuovo scatto a Accattone:

AMORE Ammazza, però, oh! Come la trattate male 'sta povera flja! Siete
proprio du' incoscienti! Che ve ce vò a mandalla in giro un po' più decente...
Mh, cià un vestito ch'è 'no straccetto, e poi guarda che scarpe che cià,
povera fija... un po' de coscienza, no?

Accattone perdette di colpo la pazienza, e alzò un braccio al cielo,


indignato.
ACCATTONE Ma grattete le corna che ciài in testa! E vattene! A Pio,
parti! Sta piropatetica!

Pio non se lo fece ripetere e partì con una sgassata cattiva. Amore restò
indietro, rimpicciolì, indifferente, finché la si vide laggiù che voltava le
spalle alla macchina.
I tre tacquero un po'. Poi Pio diede un'occhiata di sguincio aStella.

PIO Tutti i torti non ce l'aveva mica, Amore... Perchè te vesti così tutta
stramiciata...
STELLA Ma io non ciò niente... Ciò solo questo de vestito... I soldi che
guadagno li devo dà a casa... se no come famo a tirà avanti...

I tre tacquero ancora un po'. Poi Pio riprese la parola.

PIO Domani te lo porto io, un bel vestito carino...


STELLA No, no je fà niente... Tanto è uguale, nun te disturbà...
PIO Eh! Che disturbo! Noi ciavemo 'na tintoria, hai voja a rimedià vestiti,
là!

Accattone aveva seguito aggrottato il discorso: e intervenne di scatto:

ACCATTONE Je lo porti davero domani un vestito te?


PIO Eh! Perché?
ACCATTONE Allora se tu je porti un vestito, io je porto un paio de
scarpe!

Si rivolse a Stella, battendole una mano sulla spalla, paterno

ACCATTONE Va bene? Ridi, a Stella!

Cauto, spaventato, cattivo, Accattone avanzava per la stradetta miserabile


tra le case screpolate e gli orticelli zozzi, verso la casa di Ascensa.
Eccola laggiù, la casa, immobile e calcinante sotto il sole. Accattone la
guardava intensamente, con spavento: aveva paura che uscisse il cognato, o
che qualcuno lo vedesse.
Poco più avanti c'era un muretto, con sopra un fico: Accattone cercò di
raggiungere quell'angolo senza essere visto. Lo raggiunse: e, sempre
guardando verso la casa di Ascensa, tirò un sospiro di sollievo e si asciugò
il sudore, che gli gocciolava sulla fronte.
Si sedette sulla polvere sotto il muretto, continuando a guardare la casa, e si
preparò a aspettare.

Ecco, a un tratto, la porta della casa si apri. Uscì il cognato, sotto gli occhi
fermi e ansiosi di Accattone: era con la bicicletta. Si rivolse un momento
verso l'interno della casa, disse qualcosa: poi inforcò la bicicletta, e si
allontanò, passando davanti agli occhi di Accattone, che cercava di
scomparire.
Si perdette così nel biancore abbagliante del sole. Accattone di nuovo fissò
verso la porticina sganganata della casa di Ascensa.
Aspettava con maggiore ansia: e infatti subito la porta si riaprì, e,
accompagnata dal padre, che restò sulla porta, uscì Ascensa, col figlio
piccolo in braccio e quello grande che la seguiva attaccato alle sottane.
Ascensa e il padre parlarono un po', ma non si sentiva quello che dicevano.
A quei discorsi a Accattone vennero le smanie e digrignò i denti.

ACCATTONE Guarda se si sbriga a falla annà... 'Sto zozzo... de 'sto


burino boia...

Ma finalmente Ascensa se ne andò: il suocero si rinchiuse nella casetta, e


restò fuori solo Iaio, allegro come un uccelletto, tranquillo.
Si accucciò subito sulla polvere, e ricominciò a giocare con le sue
bottigliette che sfavillavano al sole.
Accattone piano piano, si alzò. Guardò verso il figlio. Poi si stirò.
Come si fu ben bene stirato, si accese una sigaretta.
Come si fu acceso una sigaretta, fumando con l'aria tranquilla e concentrata
di uno che non ha niente da spartire con gli altri, cominciò a muoversi.
Passo passo raggiunse il figlio, lanciando intorno occhiate oblique, per
vedere se qualcuno se ne accorgeva.
Era ormai a due passi da Iaio, perduto nel suo gioco.

ACCATTONE A Iaio... Ma possibile che nun me riconosci mai eppure so'


tu' padre, porca miseria...

Più che parlare a Iaio, parlava a sé stesso per darsi un contegno,


guardandosi preoccupato intorno.
Poi si accucciò di scatto davanti al figlio.

ACCATTONE Da' un bacetto a papà! daje!

Il bambino era un po' incerto: ma poi buono e dolce com'era, acconsentì a


dare un bacetto, sulla guancia che Accattone indicava col dito.
Al collo di Iaio pendeva la catenella d'oro.

ACCATTONE Lungo lungo, eh!

Mentre il bambino lo baciava, Accattone con dita leggere gli sciolse dal
collo la catenella. Si rialzò, emozionato, sudato. Si guardò intorno, e
intanto, sempre per darsi un contegno, come parlando al figlio, parlava roco
fra sè:

ACCATTONE Un paro de scarpe... Seimila lire, capirai. Indò l'annavo a


rimedià, sennò...

Così si allontanò, mentre il figlio lo guardava coi suoi occhi di agnellino.

ACCATTONE Ciao, Iaio, fa' er bono, eh!

Si allontanò sotto il sole, e il bambino si riaccucciò tranquillo a giocare con


le sue bottiglie nella polvere.

La vetrina di un negozio di confezioni sulla strada principale del quartiere


era colma di cose carine, vestiti, bluse, fazzoletti, gonne: cose carine e
umili, ammassate con ambizione d'eleganza: un piccolo bazar povero e
sfarzoso nel sole della Casilina. Accattone Pio e Stella erano lì davanti.
Stella guardava emozionata. Pio aveva la calma dei benefattori.

PIO Quale te piace? Scegli!


STELLA So' tutti belli...
PIO Daje, nun te vergognà, scegliene uno!
STELLA Oddio!
PIO Te piace quello a fiori grossi, là?
STELLA Bello!
ACCATTONE 'azzo! Pijete quello, a Stella! E’ proprio pe' te!

Pio guardò Stella, che taceva, confusa, rossa di piacere.

PIO Te piace?

Stella annuì convinta, muovendo la testa, come una ragazzina.

PIO E daje, va'!

Entrò deciso nel negozio, seguito da Stella e Accattone.

I tre entrarono nel negozio, e Pio, con tono magnanimo e malandro, fece al
padrone:

PIO A sor Giulio! Buttate giù quel vestito là, fatejelo un po misurà!

Silenzioso e disponibile il padrone prese il vestito dalla vetrina, e lo portò in


trionfo davanti ai tre. Subito Stella ingordamente lo toccò con le dita.

STELLA Che bella stoffa!


ACCATTONE E provalo!
PADRONE Là de dietro.
E Stella spari dietro un paravento.

PADRONE Bella ragazza! Indò l'avete trovata?

Accattone diede fulmineo gli estremi:

ACCATTONE Dentro 'n ovo de Pasqua.


PADRONE Sfotti, eh, perchè sei giovane! Come sta tu' padre, a Pio? È
sempre un garibaldino? Un pomiccione come vent'anni fa? Oppure s'è
abbacchiato pure lui come me?
PIO Eh! S'arancia!
PADRONE Eh, ai tempi nostri avemo fatto 'na strage de donne a 'sto
quartiere! Nun c'era 'na donna che se salvava: O me la pijavo io o se la
pijava tu' padre! Nun je davamo manco tempo de dì 'n' avemaria! Qui erano
tutti prati...

Stella ricomparve, col vestito a fiori grossi da dietro il paravento: muta,


impacciata..

PADRONE Siete 'n'altra, adesso, lo vedete?

Ma Accattone non gli lasciò il tempo di continuare, scattante, quasi


rabbioso.

ACCATTONE Daje, paga! Che annamo a fà le scarpe, daje!

I tre camminarono vivacemente per la strada, gonfi di speranza e di gloria.


Accattone era tutto eccitato.

ACCATTONE Le scarpe te le vojo fà io, a gusto mio! Te fidi de me?


STELLA Sì, sì...
ACCATTONE Te vojo fà un bel par de scarpette come quelle de
Cinerentola... Però non te le perde, se no nun te le ricompro più!
Ridendo fecero ancora qualche passo, e prima del semaforo della
Marranella, si intravide una vetrina di calzature. Accattone vi si avvicinò
quasi di corsa, col dito puntato, preso come da una esaltazione che non
ammetteva repliche.

ACCATTONE Ecco, quelle!

In mezzo alla distesa delle povere scarpe del Casilino, ne indicò un paio
nere, lucide che avevano le sette bellezze.

Il sole brillava sui Parioletti come se fossero d'oro. E una campana s'era
messa a suonare dietro il campo sportivo dei preti, come se fosse domenica.
Accattone fece due tre passi avanti, e si fernò davanti a Stella,
contemplandola da capo a piedi.

ACCATTONE Adesso sì, che sei proprio Stella, de nome e de fatto! Eh!
Nun c'è niente da fà, l'abito fa proprio er monaco!

Stella, confusa, si lasciava guardare, accanto a Pio che sorrideva contento.


Poi i tre ricominciarono a camminare nella confusione della folla del
pomeriggio, snelli e prepotenti.
Passarono davanti a una bancarella piena di fazzoletti, pettinini, collane.
Accattone, si fermò, senza dire niente, e aggrondato si avvicinò, facendo
nella testa rapidi calcoli: intanto Pio e Stella fecero qualche passo avanti,
soffermandosi poi a aspettarlo, guardandolo.

PIO Sei contenta? T'è piaciuta 'sta robba che t'avemo fatto?
STELLA Sì... so' contenta... siete stati tanto boni tutti due con me... È la
prima volta che ricevo n'azione così...
PIO Eeeeh! Sta a guardà! Che avemo fatto mai! E poi sei na brava ragazza,
te lo meriti!
STELLA Spero un giorno de potè ricambià...
Aveva parlato con malinconia. Accattone arrivò come un adannato. Il viso
era tutto congestionato, e quasi tremava per l'impazienza e l'eccitazione. In
mano teneva una collana di perle scùre e luccicanti.
Si avvicinò a Stella e gliela mise al collo.

ACCATTONE Tiè! L'opera è completata!

Se la guardò, tutta confusa e felice, ancora di più, e la spinse davanti a una


vetrina a specchiarsi.
Stella vi si specchiò, felice. E Accattone, con uno scatto, le porse una
guancia, con sopra puntato un dito.

ACCATTONE Damme un bacetto, adesso!

Stella si mise a ridere, a ridere. Poi, obbediente, gli diede un rapido bacetto
sulla guancia.

ACCATTONE Pure a Pio!

Ridendo, Stella obbedì e diede un bacetto sulla guancia di Pio.

STELLA Come semo matti!

Ma Pio aveva già preso una decisione saggia e irrevocabile, cambiando


espressione, e facendosi serio e staccato.

PIO Be'! Allora io me ne vado! Ve lascio!


ACCATTONE Già te ne vai?
PIO Eh sì, devo annà giù ar negozio... È da stamatina che non ce so' ito pe'
niente!
ACCATTONE Be', tanto se vedemo stasera, no? Ciao!

Pio diede la mano, secondo il piano, a Accattone; e poi a Stella, che era un
po' smarrita per quella partenza improvvisa.

STELLA Grazie! Ciao!


PIO Stateve bene così! Stateve bene Così!

E se ne andò, lasciandoli soli.

Tutti soli, Accattone e Stella camminarono per le strade popolose, misere,


quasi napoletane del quartiere.

ACCATTONE Sei stanca?


STELLA No, per niente!
ACCATTONE Arrivamo fino quassù, famose du' passi...

Guardava con finta indifferenza verso un pratone con due o tre palazzi; oltre
degli immondezzai tra cantieri di palazzoni.
Camminarono ancora un po' appaiati per la via formicolante: Accattone
contemplava Stella.

ACCATTONE Mo che sei vestita così, mica te vergognerai a venì a spasso


co' me, no?

Stella sorrise un attimo, gentile.

STELLA Come cià lassato subbito, Pio...


ACCATTONE Che, doveva venì appresso de noi a reggece i moccoli...

Disse queste parole un po' greve, con un po' di rabbia, e Stella fu subito un
po' impaurita.

STELLA No, io dicevo così... Che, ho sbajato?


ACCATTONE Quello ce n'ha a bizzeffe, de donne! Se viè a confonde
proprio co' te...
STELLA Ma è amico tuo, Pio, no?
ACCATTONE Pure te credi a l'amicizia ancora...
Stella a quelle parole senza speranza fece un'espressione un po angosciata,
da bambina, ma tacque.
Camminarono ancora un po' in silenzio: passò il negozietto color liquerizia
d'un meccanico, un vicoletto che portava a un vecchio casale...
Ed ecco un'orrenda chiesa del periodo fascista, cadente, con sulla facciata
un santo con le braccia aperte... Passandoci davanti Stella si fece il segno
della croce. Accattone la osservava, di sguincio.

ACCATTONE Sei fedele, eh?

Stella fece spallucce: ma Accattone con un gesto rapido le mise una mano
sulla spalla, e la strinse a sè, come fanno i fidanzati quando passeggiano.

ACCATTONE Viè qua!

Stella restò un po' rigida, imbarazzata.

ACCATTONE Che, te dispiace se camminamo così?... Lo sai che io già te


vojo bene? Io faccio presto, sa'... Quando una se lo merita... come te...

Stella taceva, sempre un po' rigida e' ombrosa.

ACCATTONE Te, nun te senti niente, pe' me? Rispondi! Guarda che mica
scherzo, sa'... Nun ce credi, che te vojo bene? Te lo giuro...
STELLA Perchè me vòi bene?
ACCATTONE Perchè? Prima de tutto perchè me piaci... e secondo poi,
perchè te vedo così strana, senza difesa... te vedo così sola... Me pare che
ciàj bisogno pure te, de un conforto... E lo sento che io e te insieme stamo
bene, nun te sembra?

Stella, con un vivo sforzo, guardando Accattone con l'inespressività di una


bambina colta in fallo, si decise a parlare:

STELLA Io... te vorrebbe fà un discorso...


Accattone di scatto alzò un braccio, preso dalla sua irrefrenabile
ispirazione.

ACCATTONE Mussolini li faceva i discorsi!

Stella sorrise un po', pietosamente, ma proseguì:

STELLA Noo, nun scherzà, è 'na cosa seria... Te la devo dì pe' forza... Io
vojo che sai tutto, de me... Lo sai, io mio padre nun ce l'ho, m'è morto in
guera... E mi' madre pe' tirà avanti,, ha dovuto fà la donna de strada... come
quelle ch'avemo visto ieri io te e Pio...

Nella faccia di Accattone morirono e albeggiarono tre o quattro espressioni


opposte...

ACCATTONE Aaaah!
STELLA Te l'ho voluto dì, perchè nun volevo che tu me giudicassi in
un'altra maniera...

Accattone si raccolse guardando il paesaggio: cioè una strada che portava


verso quel prato enorme, secco, abbandonato, con due tre palmette, tra
mucchi di catapecchie e palazzoni.

ACCATTONE Giramo de qua...

Camminarono verso il prato, in un silenzio un po' avvilito e concentrato,


proprio come due fidanzati colpevoli.
Ma Stella riprese di scatto il filo dei suoi pensieri, attenta a non sporcarsi le
scarpe nella polvere.

STELLA Io a mia madre je porto odio, per questo... Anche se capisco che
l'ha fatto pe' damme da magnà a me... Pero c'erano tante maniere...

Accattone esplose tutt'a un botto, quasi con allegria, quasi cantando.

ACCATTONE Iiiih! Che avrà fatto mai! Invece che ammiralla, tu' madre!
Tutte le madri de famija lo farebbero, questo, pei fiji! Pure mi' madre lo
farebbe pe' me...

Tacque un po', concentrandosi, e camminando per il viottolo polveroso.

ACCATTONE Quando una persona arriva a quel punto lì, vor dì che vuò
bene! Tu' madre nun se l'è comprato, quer mestiere, l'ha fatto pe' te! No le
capisci, te, 'ste cose! Un monumento, je dovresti fà, te, a tu' madre...

Stella taceva, quasi sentendosi colpevole per l'inaspettata reazione di


Accattone: taceva, e si lasciava condurre dalla mano di Accattone posata
sulla sua spalla.
Arrivarono così in mezzo al prato, dove c'era una vasca: un vascone di
contadini; e un vecchio fico; e intorno qualche frattaccia sventrata e
polverosa.
Accattone e Stella girarono intorno al vascone, cercando un posto, pestando
l'erba zozza, i montarozzetti: e intorno a loro si aprirono le visioni del prato
immenso, come un campo di aviazione e sull'orizzonte rotondo
comparirono i vari quartieri, qua Centocelle, là i palazzoni di Tor de'
Schiavi, in fondo la Borgata Gordiani...
Girando intorno al vascone Accattone taceva: Stella lo sbirciò:

STELLA Te dispiace, per quello che ho detto, a Vittò?


ACCATTONE Nun me chiamà Vittorio, chiamame Accattone! De Vittorio
ce n'è tanti, ma de Accattone ce sto solo io!

Intanto continuava a girare intorno al vascone, piano piano, quasi


pigramente, stringendosi Stella. Quando riaprì bocca, aveva una voce
nuova, quasi emozionata.

ACCATTONE Di' un po', ma tu ce sei stata mai co un omo, a Ste'? Dimme


la verità...
STELLA Qualche volta...
ACCATTONE Qualche volta? E che ciài fatto?
STELLA Così... a parlà... No lo so, a che fà?
ACCATTONE Mettemose qua...

Eccitato si distese su un pezzo di terreno un po' più pulito tirando giù con sè
Stella. Che lo fece con molto riguardo per il vestito nuovo. Accattone se la
mangiava con gli occhi.

ACCATTONE Allora nun t'hanno mai toccata... Sei vergine...

Stella chinò il capo, vergognosa.

ACCATTONE Sei vergine, di'!...


STELLA Sì...

Disse quel « sì » con un filo di voce, come con vergogna. Con un impeto
mai provato d'amore, Accattone si buttò sopra di lei.

La bocca di Renato era spalancata, con tutti i denti fuori, scoperta fino alla
carotide, aaaam, uno sbadiglio che era il vecchio ruggito del leone della
M.G.M. Finito che ebbe di sbadigliare, con gli occhi ancora stravolti e
luccicanti, sbottò ineffabile:

RENATO Aòh, voi che sapete tutto: ma che je sta succedendo a Accattone?

Gli altri erano seduti a far niente, sbragati sulle seggiolette. Lo sguardo
azzurro di Giorgio era carico di disprezzo.

GIORGIO Ah, niente! S'è innamorato, e è l'omo più felice del mondo... Er
dritto!

Gli occhietti azzurri di Luciano erano invece stretti e ridenti.

LUCIANO Ma quale innamorato! Sì, innamorato! Ma che stai a dì le


favole! Accattone innamorato... Fino che me dici che Accattone cià fame,
ce posso crede, ma che se innamora.. mmmh!
MOMMOLETTO Ma perché, non può esse? Er momento der fesso passa
a tutti!
Renato che stava facendo un nuovo sbadiglio, s'interruppe di colpo,
vedendo qualcuno per la strada: lo chiamò subito vivacemente.

RENATO Oh, er figliol prodigo! Viè qua! Oooh, viè qua!

Era il fratello piccolo di Accattone, Sabino, che andava al lavoro. Egli era
incerto se avvicinarsi al gruppo, un po' intimidito, benché malandrino.

RENATO Senti! Vòi venì qua?

Il giovinetto s'accostò, interrogativo.

RENATO Tu' fratello Accattone che fine ha fatto? So' tre giorni che nun se
presenta, addò sta?
SABINO Boh, che ne so? Se no lo sapete voi che siete amici sua!
ALFREDINO Ma adesso indò vai, a lavorà?
SABINO 'Mbe'?
ALFREDINO È così che piji esempio da tu' fratello più grande?
Vergognete! Tu' fratello nun ha lavorato mai, ricordete! Ha fatto sempre
lavorà l'altri! Fratello degenere!

Sabino alzò le spalle e se ne andò, camminando un po' imbarazzato per il


marciapiede.

MOMMOLETTO A ragazzì, sbrighete! T'accorgerai quando sei grande,


che nun te sei fatto 'na posizione!

Sabino camminò ancora un po' risentito per conto suo: ma poi si voltò
inaspettatamente, e, proprio di cuore, fece una rapida, simpatica pernacchia.

Giorgio, come Farinata, chiusa la parentesi, si voltò e rìcomìnciò la


discussione con Luciano.

GIORGIO Sicchè, tu dici che Accattone no è innamorato, de quella


ragazza?
LUCIANO Ma che... ciài la febbre? Fatte curà er cervellooo! Ma te
l'immagini Accattone innamorato, aoh? Ma che è?

Giorgio il Secco aveva la faccia spappolata dal disprezzo.

GIORGIO Guarda, per piacere, che io ciò l'occhio lungo, le vedo ste
cose... E poi chi è Accattone? Er duro de Roma? Guarda che in fondo in
fondo Accattone è 'no stupido, sa'... Accattone è l'ultimo de la classe qua in
mezzo, sa'!

Ma Luciano non prese nemmeno in considerazione quelle argomentazioni,


ed ebbe un sorriso ispirato e travolgente negli occhietti celesti.

LUCIANO Ma guarda che Accattone ce l'ha ner sangue il mestiere de


pappone! Il pane è er pane! E lo sai che te dico io? Che nun passano dieci
giorni, che vedemo Stella in piazza, a batte! Ce voi scommette qualche
cosa?
GIORGIO Quello che te pare a te!
LUCIANO La giacca! E se te la levo je la regalo all'orfani de Santa Rita!

Renato intervenne divertito, chiotto chiotto, assumendo lo stile biblico.

RENATO Io dico solo 'na cosa: che se viene a l'orecchio de Maddalena che
Accattone sta co' un'altra donna, e disgraziatamente la manda a batte,
Maddalena mette sotto sopra le Mantellate, ma lo fa carcerà!
MOMMOLETTO Orate frates!

E stette lì, con le braccia alzate come un pupazzo.

Sul fare della sera, qualche luce cominciava a accendersi qua e là, nella
baraonda del quartiere nell'ora del ritorno dal lavoro. Accattone aspettava,
paziente. Si era un po' ripulito, chissà come: e sì controllava nel vetro d'una
vetrina. Pareva soddisfatto.
Ed ecco che Stella arrivò quasi di corsa, col vestito nuovo, le scarpe nuove
e la collana.

ACCATTONE Ciao!
STELLA Ciao!

Era dolce e contenta. Si presero a braccetto e camminarono senza fretta


verso la fermata del tram, come due fidanzati.

ACCATTONE Sei stanca? Oggi hai lavorato!


STELLA Nooo... Ormai ciò preso l'abitudine... no la sento la stanchezza...
ACCATTONE Certo è un mestieraccio... Pe' ottocento lire ar giorno te se
pijano la vita! Capisci, ottocento lire ar giorno! 'N'elemosina!
STELLA Purtroppo bisogna mangià!

Tacquero camminando stretti. Stella pareva avesse qualcosa da dire: si


decise a un tratto, con un sorriso imbarazzato.

STELLA Vittò, guarda che t'ho portato...

Levò dalla borsetta un accendisigari e lo diede a Accattone. Accattone,


stupito, intenerito, la guardò: ma fu un attimo. Subito si riprese. Osservò sul
palmo della mano l'accendisigari, e, ironico:

ACCATTONE 'Na volta ciavevo 'na millequattro... comunque è sempre 'na


macchinetta... Grazie, eh!
STELLA Te piace?
ACCATTONE Siii...

Si accese una sigaretta coll'accendisigari nuovo.

ACCATTONE Er posto 'nd'annamo adesso... è bello! Però ce bazzica er


signore, er poraccio, la pellegrina, la prostituta... E’ un posto pe' tutti, via!
E’ un posto un po'... famigliare... Uno ce pija subito amicizia, Co' uno, te
metti a sede assìeme ar tavolino...
Tacque per un attimo, poi ritornò alla carica, paterno, con calde, persuasive
raccomandazioni:

ACCATTONE Perciò me raccomando, se viè qualche giovanotto, qualche


signore, a domandatte da ballà, a stà co' te, me raccomando, essi cortese...
Lo devi trattà bene, come se fossì io... llai capito, a Ste'? Lì te devi scordà,
che lavi le bottije...

Stella annuì, pronta e arrendevole:

STELLA Va be'... ma io me vergogno, però...


ACCATTONE Eh! Mica te magna nessuno!... Ecco er transetto.

Arrivava il rudere del tranvetto di Centocelle, sferragliando e stridendo


gloriosamente.

Intorno a due tavolini uniti, sulle seggiole di legno, contro il buio del
Tevere, c'erano tutte le facce dei compari: già mezzi imbriachi; Accattone,
con gli occhi che gli bruciavano; Luciano, Alfredino, Giorgio, Renato e le
donne, Stella, Amore, e altre due nuove, la Sardegnola e Margheritona.
Accattone beveva avidamente un bicchiere di vino.

GIORGIO Bevi, che te fa bene! Poi te imbriachi e fai venì tutte le guardie
de Roma!
ACCATTONE Che me lo paghi te? E vattene! Meno te vedo e mejo me
sento!
GIORGIO Fai schifo, fai.
ACCATTONE Alla faccia tua e de chi me vò male!

E, livido, feroce, fece un rutto.


Luciano disse la sua coi suoi occhietti malandri e ridenti, guizzante:
LUCIANO A Ste', lo senti come se ameno?

Stella sorrise un po' imbarazzata. Amore proseguì invece un


discorso che pareva starle molto a cuore, sinceramente.

AMORE L'omini! Ma chi so'!

Si rivolse a Stella e le mostrò i suoi ori.

AMORE Tiè, alla faccia de tutti l'omini! Guarda che collana… guarda che
orecchini... guarda l'oro... guarda che vestito... guarda che scarpe:
dodicimila lire!

Dicendo questo fece tutti i gesti necessari a mostrare le che elencava, come
una matta.
AMORE Guarda queste che ciànno, che ciànno addosso l'omini... Co' 'na
scarpa e 'na ciavatta, e manco un pezzetto d'oro...

Infatti le altre due erano umili come Stella. Ma Alfredino allungò di botto
un braccio: dove luccicarono un cronometro, un bracciale e due anelli:

ALFREDINO L'oro je l'areggemo noi!

Anche Margheritona, parlando, direttamente o indirettamente era rivolta a


Stella.

MARGHERITONA Nun je dà retta! Uno che sta vicino ce vole! Me lo


dici come fai se no? Io la sera appena torno a casa, dopo tutto quello strazio,
se nun trovo nissuno, me metto a piagne...

Si avvicinò il cameriere, attraverso il galleggiante con pochi tavolini e


poche coppie desolate che ballavano, contro il tendone nero del Tevere. E
venne accanto a Accattone:

CAMERIERE A Accattò, permetti 'na parola...


Rapido Accattone si alzò e seguì il cameriere due passi in là, sopra la
corrente del fiume che filava zozza e vertiginosa.

CAMERIERE Ce sta quel signore là... lo vedi... Stanno in due... Una


rapida professionale occhiata di Accattone inquadrò due tipi poco
qualificabili, grassocci, seduti a un tavolino, con aria chiotta.
ACCATTONE 'Mbe'?
CAMERIERE Quella è gente granosa... Je piace... quella tizia che hai
portato stasera là... Dice che nun je pare una de quelle... per questo je
piace... Che vòi fà? Te combino 'st'incontro? Tanto quello cerca solo 'na
compagnia...
ACCATTONE Aaah... E dije che se facesse avanti, che je la devo buttà in
braccio?

E, nervoso e acido, tornò al suo posto, dove Stella lo aspettava, un po'


smarrita.

Il cameriere andò verso il tavolo coi due clienti, facendo l'occhietto,


sordidamente, a uno.
Questo si avvicinò al tavolo dei compari, e si rivolse a Stella, invitandola a
ballare. Stella non sapeva che dire e che fare, e Accattone sbottò:

ACCATTONE Daje, forza, balla col signore...

Stella si alzò, l'uomo l'abbracciò e cominciarono a ballare allontanandosi


dal tavolo. Accattone li seguì con gli occhi.

ALFREDINO Accattò, cominci a seminà, eh? Chi semina raccoglie...

Amore, ipocrita, impicciona, ma con una punta di amarezza vera, guardò


Stella, laggiù, che ballava:

AMORE Anche tu ce sei cascata... E ancora, no lo sai! Eh! Lasciate ogni


speranza, voi ch'entrate!
Giorgio tutt'a un botto si alzò, odioso, sprezzante: e fece la sparata. Si levò
la giacca chiara, e la buttò addosso a Luciano.

GIORGIO Tiè, avemo scommesso la giacca? Hai vinto!

Luciano, piccoletto, era mezzo sepolto dalla giacca, e se ne liberò,


estraendone la faccetta con gli occhi guizzanti: e, contro uno dei due occhi,
puntò furbescamente un dito.

LUCIANO Io ciò l'occhio maligno, sa'!

Giorgio il Secco guardava Accattone con uno sguardo sprezzante, di vinto


che deve ammettere di aver avuto torto.

GIORGIO Me credevo ch'era cascato! Me congratulo! Sei stato 'n artista!

Luciano si alzò, e fece una specie di balletto con la grande giacca in mano
sull'angolo del galleggiante:

LUCIANO Bella 'sta giacca! De vita! Alora è proprio mia!


GIORGIO È tua sì!

LUCIANO Vai con Dio!

Prese e buttò la giacca in acqua.


La buia corrente del Tevere l'accolse e se la portò via.

Era passato il tempo che occorreva a ubriacarsi un po' di più. Accattone e


Alfredino erano al banco del galleggiante, a bere. Poco più in là gli altri due
soci con le due socie, la Sardegnola e Margheritona, stavano danzando.
Amore è rimasta sola laggiù al tavolo.
Ora Stella non ballava più: era seduta coi due farlocchi, al loro tavolo, di
spalle.
Il farlocco che aveva ballato con lei teneva il braccio sullo schienale della
sedia dov'era seduta.
Accattone guardava.
ALFREDINO È lungo de mano, er farlocco, eh? Ce prova...

Accattone fu preso da un attacco imprevedibile, pazzo.

ACCATTONE Basta! La vòi fà finita pure te!

Si staccò di due passi da Alfredino, e, bevendo, osservò Stella e l'uomo, là


davanti di spalle.
Un lungo silenzio: Accattone non smetteva di guardare, guardava
avidamente, torvamente, senza staccare gli occhi: il braccio del farlocco che
si staccava dallo schienale della sedia, e si posava leggermente sulla spalla
di Stella; il braccio del farlocco che accarezzava la spalla di Stella; il
braccio del farlocco che scendeva sotto l'ascella di Stella; il braccio del
farlocco che scendeva lungo la vita di Stella; il braccio del farlocco che
scendeva sull'anca di Stella... Accattone scattò come una serpe schiacciata.
Si rivolse di botto ai compari, a Giorgio:

ACCATTONE Chi se gioca tutto quello che se semo bevuto, che me butto
da ponte!

Tutti ridacchiarono, increduli. E Luciano:

LUCIANO Sì, così fai la fine de Tosca!


ACCATTONE Nun ce credi? E scommetti allora! Buffoni! Me butto pure
tutto vestito, io!

Era fuori di sè.

GIORGIO Cala, che vendi!

Come qualcuno lo spingesse - un atroce automa - Accattone posò il


bicchiere e corse per il galleggiante verso la scaletta. I soci si guardarono in
faccia, un po' sbalestrati:

ALFREDINO Aòh, quello è imbriaco, quello se butta sur serio sa'...


E corse alle tacche di Accattone, seguito da Piede d'oro, Er Secco: invece
restò con le due battone, che ridacchiava, calmo

GIORGIO E lassalo buttà! Tanto fiume pija tutto!

Correva pazzamente, Accattone: per l'erbaccia e la sabbia, lungo le frattacce


sventrate e due tre canne; lungo il muraglione alto come un baratro; su per
la scaletta zozza di orina e cartacce; contro il muro scrostato e la spalletta -
era una corsa pazza, di ubriaco, ondeggiante e vertiginosa.
Arrivò in cima la scaletta, corse lungo il ponte, si inerpicò a fatica sulla
spalletta del ponte: sotto, la visione vertiginosa del fiume buio, tra le
migliaia di luci della città... E li fermo impalato, fece per buttarsi: Alfredino
e Luciano arrivarono appena in tempo a tenerlo per i panni e per le gambe,
a tirarlo giù.

LUCIANO A pazzo! Almeno mettete la pietra ar collo!


ALFREDINO Ma che pensava tu' padre quando t'ha messo ar mondo!

Accattone, come in sogno, si ritrovò giù dalla spalletta. Allora riprese la


rincorsa, e giù, con gli altri appresso, per la strada già fatta: la zozza scaletta
tra il muraglione e la spalletta; la pista lungo il muraglione che si alzava
senza fine contro il cielo rossiccio; le frattacce, le canne scocciate, che
pendevano come stracci, contro il fiume che solcava di un buio freddo e
pauroso le distese di lumi della città; lì, sulla piccola spiaggetta di sabbia
nera, tra l'erbaccia, venivano incontro Giorgio, con la Sardegnola e
Margheritona che ridacchiavano un po' spaventate.
Giorgio come vide arrivare Accattone, alzò indignato un braccio al cielo.

GIORGIO Ma datte 'na lavata ar grugno! Sei imbriaco che fai schifo!

Con improvvisa docilità, Accattone si mise in ginocchio, sulla sabbia.


Appozzò le mani sull'acqua, faticosamente, e si lavò il viso, due tre volte.
Poi alzò la faccia, tutta gocciolante, e sempre docile e buono, si guardò
intorno come in un sogno.
Ma gli venne un nuovo impeto di rabbia, un attacco di nervi.
Stando sempre in ginocchio, affondò la faccia nella sabbia nera e sporca,
strusciandola rabbiosamente.
La rialzò: era un mascherone nero, con la sabbia appiccicata sulla faccia
bagnata, contro le palpebre, il naso, le guance, la fronte, il mento. Non
aveva più niente di umano.

Accattone era seduto sul muretto sbrecciolato, in un filo d'ombra sotto il


fico contorto: aspettava, muto e proteso come una serpe.
Davanti a lui, lo spiazzo bianco, accecante, coi mucchi sparsi e disuguali
delle bottiglie folgorati dal sole.
Le donne erano in fondo allo spiazzo sotto la tettoia delle vasche: avevano
smesso di lavorare, e cominciavano a sciamare via, sfatte dalla luce.
Accattone non si muoveva, aspettava.
Dal mucchio delle donne, si staccò Stella, e venne, piano, incerta, umile,
verso di lui.
Lui non parlò, non si mosse. Aspettò che la ragazza gli giungesse davanti,
vicina. E tacque ancora.

STELLA Ciao, a Vittò...

Accattone si accese, ancora in silenzio, una sigaretta, e sputò le caccolette


di tabacco, con aria amara. Stella rimase lì avvilita a guardarlo.

STELLA Ma ch'hai fatto? Che ciài?

Accattone scattò, torvo, rabbioso, impetuoso, con gli occhi storti:

ACCATTONE Che ciò, che ciò d'avè? No lo vedi che ciò, no vedi come
me so' ridotto? Me faccio schifo da me stesso! Lo sai prima da conosce a te
chi ero? Pzt! Ciavevo la machina, i soldi in saccoccia nun me mancavano
mai, tutto quello che volevo ciavevo... vestiti in quantita... catenina,
orologio, anelli, bracciali... Ero pieno, d'oro! E invece ecchime qua, adesso,
a aspettà la manna dar cielo!

Sotto quella sfuriata di Accattone, Stella restò intimidita e spaventata. Osò


appena mormorare:
STELLA Te butti giù così? Cercate un lavoro...

Accattone la interruppe, con rabbia, balzando in piedi dal muretto dov'era


rimasto seduto, e incamminandosi. Quasi urlava, tra ironico e infuriato.

ACCATTONE Ma a che fà? A dà er sangue mio all'altri! Il sangue mio nun


se lo beve nessuno! Er lavoro! Le bestie lavorano!

Stella lo seguì e gli si affiancò, camminando per la strada polverosa,


deserta, investita dalla luce rabbiosa. Camminarono per un po' silenziosi,
Accattone fumando cattivo.

ACCATTONE E così ieri sera, eh? Te sei data alla pazza gioia! Te sei fatta
consolà, da quel farlocco, giù a fiume... M'avessi portato un po' de rispetto,
per me! Niente! Io me credevo che tu eri differente... E’ la prima volta in
vita mia che me so' sbajato, lo vedi? Bella figura che m'hai fatto fà davanti
all' amici... Hai visto come ridevano su le spalle mia?

Stella, sotto quella frana di accuse, tentò timidamente di difendersi:

STELLA A Vittò, ma io pensavo che me dovevo comportà così...


ACCATTONE Io t'avevo detto solo da ballacce, Co' quelli! Invece tu hai
voluto fà la vivièr! l'entreneuse! Co' quei due morti de fame! Pst! Stavate a
fà la luna de miele? Te piaceva, eh?

La fermò di botto, afferrandola per un braccio, sfigurato da un nuovo


impeto di rabbia:

ACCATTONE Di' che me sbajo! Negalo!


STELLA A Vittò, mo tu m'offendi...
ACCATTONE Ah, io t'offendo? Tu, m'hai offeso a me! Tu, te sei divertita
a le spalle mia! Tu, hai infangato l'orgoglio mio!

Camminarono ancora un po' in silenzio. Poi Accattone, con calcolata


cattiveria, riprese a parlare.
ACCATTONE Eh già, e che te dovevi aspettà da la fija de 'na zoccola!
Tale madre tale fija!

Stella ebbe un'espressione angosciata, tacque, a quelle atroci parole, e stava


quasi per piangere. Ma si dominò, e fece qualche passo ancora in silenzio.
Poi parlò, con un tono nuovo, inaspettato, stranamente consapevole, e, nella
sua passiva remissività, straziante.

STELLA Ho capito il punto dove me vuoi portà te... Già me l'aspettavo,


che te credi... Nun t'accorà tanto, lo so quello che vuoi te da me, lo so!

Accattone fu colpito da quel tono, ma questo lo inferocì ancora di più.

ACCATTONE Ah, lo sai! E perchè no lo fai allora? Che aspetti?


STELLA A Vittò, perchè me parli così... Tu lo sai che io no so' na ragazza
smaliziata, che ho conosciuto soltanto dolori e miseria... Nun so' come
l'altre! E che ne so io quello che devo fà e quello che nun devo fà...
ACCATTONE Fattelo insegnà da quella zoccola de tu' madre!

Stella scoppiò allora in pianto: un pianto silenzioso, fitto, asciugato da un


povero fazzoletto che pareva uno straccio. Camminarono così per un po': lei
sempre piangendo muta. Poi Accattone le si accostò, e la strinse per una
spalla, sinceramente o insinceramente un po' commosso.

ACCATTONE Mo piagni, a stupida! Se lo sapevo che piagnevi nun te


dicevo mica niente! Ho scherzato, daje!
STELLA No, no, tu non hai scherzato! Lo so quello che vuoi da me! È
questo lo scopo tuo!
ACCATTONE Adesso basta! Nun ce pensamo più a 'ste cose…
L'importante è che ce volemo bene, a Ste'! Che un domani se ne potemo
fregà de tutti quanti...

L'abbracciò e camminarono Sotto il sole.


Camminando Accattone mormorò ancora fra sè, rauco, esa sperato:
ACCATTONE Madonna, fateme santo! Chè la penitenza mia già l'ho fatta!
E quanta!

Calava l'oscurità nel grande viale, caldo, dolce, sconfinato. Si accendevano


i primi lumi, come rianimati dal venticello della, sera.
Accattone era seduto al sedile di dietro d'una motocicletta, al cui manubrio,
immobile, era Giorgio; e osservava cupo, cattivo. Accanto al tronco di un
platano, nell'ombra, c'era Stella. Smarrita, inespressiva, come una bambina.
Aveva la borsa in mano.
Si sentì nel buio la voce di Amore.

AMORE 'Mbe'? T'anniscondi? Che, ciài paura che qualche cliente te se


porti via?

Comare Amore s'avvicinò così parlando al tronco, e continuò:

AMORE Ormai che sei qui, mettete l'anima in pace! Fa' quello che famo
tutte noi! Tanto no esiste nè inferno nè paradiso!

Alle spalle di Amore comparve la Spagnola, beffarda, ma non priva di un


po' di pena.

SPAGNOLA Porella, se vergogna! Me vergognavo tanto io la prima volta


che so' venuta qui! E adesso invece so' la più sfacciata de tutte!

Ed ecco che portata dal caso di quella notte, arrivò locca locca una
Topolino; lungo il marciapiede del viale.
Accattone la guardò subito, con interesse: anche la Spagnola aveva
avvistata quella Topolino che arnvava.

SPAGNOLA A Amore! Ecco er sagrestano!

La Topolino si fermò all'altezza delle donne, e Amore, sicura del fatto suo,
le andò incontro, tutta su di giri...
Il cliente mise fuori la testa dal finestrino, e salutò Amore:
CLIENTE Ciao, bella! Ce corri da chi te vuol bene, eh?

Amore fece per entrare nella Topolino, ma, facendo capoccella, il cliente si
accorse di Stella, e subito s’incunosì.

CLIENTE E chi è 'st'opera d'arte? Mh!


AMORE Ma lassala perde, è 'na pora vittima!

Accattone era là che guardava.

L'uomo scese dalla Topolino senza dar retta alle fosche parole di Amore e si
avvicinò a Stella: la guardò a due palmi dal naso, un po' lercio. Ci fu un
breve silenzio.

CLIENTE Allora, che fai? Volemo annà?

Ubbediente, come seguendo una lezione, Stella si mosse verso la Topolino,


senza guardare in viso nessuno con la sua borsa in mano.
Il cliente le andò appresso, e passando davanti a Amore:

CLIENTE Amore, te metto le corna!

Accattone era là che guardava.


Salì sulla Topolino dove era già salita Stella, mise in moto, e partì.
Amore guardava i due che si allontanavano: taceva, ma la sua faccia
spurgava veleno.

La Topolino arrivò fiacca fiacca in fondo all'Appia, e si fermò, tra le tombe


e i pezzi di statua.
Lì il cliente guardò Stella: lei era immobile, raccolta, pareva che tremasse
come un coniglio, muta.

CLIENTE 'Mbe'? Che, ce vò la domanda in carta bollata? Eh?


Ma Stella continuava a stare ferma e a tacere. Il cliente, cercando di avere
pazienza, tirò fuori una sigaretta e se l'accese.

CLIENTE Ma è proprio la prima volta, la prima volta che...

Stella accennò di sì con la testa, senza muoversi, sempre con gli occhi bassi:

STELLA Sì...

Il cliente allora cercò di farle coraggio.

CLIENTE Eh! Tanto oggi lo fanno tutte... Una de più una de meno... Tanto
il mondo è diventato una chiavica... Coraggio!

Continuò poi a fumare, in silenzio, con quella sua faccia di sagrestano,


gialla e nera. E Stella zitta, al suo fianco.
Ma il fatto che fosse la prima volta cominciava a eccitare sordidamente il
compare. Le diede uno sguardo obliquo, e riprese a parlare con una voce
roca: sguardo e voce che erano quasi disumani.

CLIENTE Sicchè io so' fortunato... È la prima volta che vai co uno eh? Te
vergogni? Scommetto che nun sai manco come devi fà...

Stella taceva, atterrita da quel nuovo tono. Il cliente insisteva.

CLIENTE Viè qua, fatte coraggio... Su fija mia...

L'abbracciò, e cercò di baciarla. Stella istintivamente si tirò indietro, con


forza. Il cliente insistette e riuscì a strapparle un bacio, che lasciò Stella con
una smorfia di paura nella faccia spaventata.

CLIENTE Aòh? Che, te faccio schifo?

Cercò di baciarla ancora una volta. Ma ora Stella resisteva più vivacemente
e tirò la testa indietro, contro il finestrino.

CLIENTE Oh, mica t'ho caricata su la machina pe' 'na gita de piacere, sa'!
Viè qua, no fà la santarella!
Cercò di agguantarla di nuovo: e di nuovo, in silenzio, Stella si ribellò.

CLIENTE Guarda che io te do li soldi, sa', a bella mia! Ma che davero


davero mo stai a fà? Ma che m'hai preso pe' un gaggio! Me lo potevi dì,
ch'eri così! A disgrazziata, me lo potevi dì!...
STELLA No, no lo vojo fà! Porteme indietro!
CLIENTE Do' te porto io? Indietro? Ma che te credevi che te se mettevi a
fà 'sta vita te davano le caramelle! Ma vatte a rinchiude!
CLIENTE Famme er favore, riporteme indietro...
CLIENTE A piedi ce vai indietro! Io ce vado solo! Dài, scendi! Sbrighete
a scende! Sparisci!

Le apri lo sportello e la sospinse fuori, facendola cadere per terra. La sua


rabbia era ormai un canto di vittoria.

CLIENTE 'Sta scema de guera!

Mise in moto, riaccese i fari, e la Topolino partì.


Stella si rialzò, si guardò intorno, impaurita, come fuori di sè. Intorno c'era
il deserto: mozziconi di statue, tombe, lo scintillare lontano e disperato dei
lumi della città.
In quel silenzio, in quella solitudine, Stella s'incamminò a piedi, come una
povera bestia spaventata, che torna dritta verso la stalla lontana.
Accattone stava seduto sull'orlo del marciapiede del viale: cattivo, muto,
concentrato.
Dietro a lui, un gruppo di giovani clienti, silenziosi e malandrini, stavano a
prendere il fresco, intorno a Margheritona e alla Spagnola.
Amore invece stava corrucciata in disparte, covando il suo dolore.
Arrivò così inaspettata, anche per la sua velocità sostenuta, la Topolino.
Amore, stupita, osservò: e così Accattone.
La Topolino si fermò, e il cliente uscì, sbattendosi dietro lo sportello:

CLIENTE Aòh, ma co' chi m'avete mandato? Co' 'na matta?


AMORE Perchè? Nun t'è piaciuta?

Accattone e la Spagnola si avvicinarono con le orecchie tese:

CLIENTE Ma lo sai che m'ha fatto? Nun me s'è messa a piagne su la


macchina? Nun c'è voluta stà, 'sta zozza! Niente! Nun m'ha fatto fà niente!

La Spagnola si mise sordidamente a ridere, a ridere:

SPAGNOLA Iiiih, iiiih! La faranno santa, a quella!


CLIENTE Ma che se credeva? Ch'ero tenero de core io? Le ho dato un
calcio e l'ho buttata giù da la machina! Co' quei nervi che m'ha fatto venì je
avrebbe staccato la testa!
SPAGNOLA Iiiih, iiih! Sta fà er pellegrinaggio! Da l'Appia Antica insino a
qua, capirai, che fa, er Quo Vadis?

Accattone che aveva sempre ascoltato, reprimendosi, nero, feroce, scattò.


Diede una spinta alla Spagnola che quasi la buttò per terra:

ACCATTONE Ridete li morti tua! A 'mbecille!

E si allontanò sparato sulla moto del Secco, sparendo nel buio del viale,
diretto verso l'Appia.

ACCATTONE Tutto contro de me! Ma che me stanno a fà, er malocchio!


Ma che vonno, che ammazzo quarcuno?

Amore, intanto, usci dalla sua indifferenza rabbiosa, e si rivolse al cliente:

AMORE Così te impari a stà ar mondo! Sei rimasto a bocca asciutta, eh?
Mo attacchete a la funtanella!
CLIENTE Bona notte! Stateve bene!

Risalì rapido sulla Topolino. Vedendo che non la invitava, Amore fu


stravolta da un nuovo impeto di delusione, e lo inseguì.
AMORE Che, mo te ne vai?
CLIENTE No! Sto qui a fà le belle statuine!
AMORE Nun famo niente? Me lasci così?
CLIENTE Ma che hai da fà? Ma vedi d'annattene! Ciò un veleno in corpo
che se mordo uno l'ammazzo...

Mise in moto la Topolino e si allontanò. Amore lo inseguiva, furente,


umiliata:

AMORE Ah, è così! Nun te se presentà più davanti a l'occhi I mia,sa'!A


frocio!
CLIENTE Ma vattene a quel paese, che a Roma puzzi!

La Topolino era già sparita nell'oscurità, ma Amore continuava ancora a


inseguirla rabbiosa, gridando: e non vide che dalla parte opposta arrivava,
minacciosa, la jeep della Buon Costume.

AMORE Te sarebbe piaciuta la minorenne, eh? Tiè! A chiavicone,


disgrazziato! Cornuto!
VOCE DELLA SPAGNOLA Attenta, Amore, ce sta madama.
AMORE E che me frega a me! Così me sfogo co' loro! 'Sti cornuti pure
loro!

Intanto Accattone stava seduto su una tomba. Aspettava. E aspettando,


continuava a parlare tra sè digrignando i denti, come un pazzo:

ACCATTONE Ma quanto je ce vò a arivà a questa? Me fa fà matina qua,


questa! Mannaggia er core de Giuda!

Tacque, continuando a rodersi di rabbia, di dolore, dì un misterioso


sentimento che non sapeva Capire.
ACCATTONE A 'sto mondo nun se campa più! Bisogna proprio tirà fori
l'unghie! Ma possibile che la vita mia debba finì così? Ma io nun ce sto,
nemmeno se viè Dio pe' tera!

Tacque ancora. Intorno a lui il silenzio dei ruderi, dell'erba, del cielo, delle
luci che scintillavano tristi, lontano, fin sui Castelli.
Ed ecco laggiù comparire un'ombra: l'ombra di Stella.

ACCATTONE Ecchela, va'!

Stella avanzava lentamente, camminando a fatica, stanca e disperata


com'era.
Camminava a testa bassa, e solo quando fu finalmente a pochi passi da
Accattone, si accorse di lui.
Lo guardò con uno stupore profondo negli occhi, quasi incredula. Poi si
spaventò, temendo la sua rabbia per quello che aveva fatto, e quasi arretrò.
Ma infine si decise a fare qualche passo verso di lui, e gli cascò quasi in
ginocchio davanti, scoppiando a piangere, a piangere.
Accattone se la guardò, lì davanti, come una bestia da macello, tutta
bagnata di lacrime.
Allungò una mano, e gliela passò incerto, torvo, sui capelli.

La jeep della Buon Costume filava veloce pei viali deserti della periferia,
Sotto i globi bianchi dei lampioni.
Amore era stata acchiappata, e con lei la Spagnola: ma Amore, già rabbiosa
da prima, non ci stava, e urlava come una scimmia, feroce.

AMORE Fateme scende! In questura nun ce vengo! So' padrona de la mia


vita! La vojo fà come me piace a me, no come ve pare a voi! Da magnà
mica me lo date voi, sa, se no me lo guadagno da sola! Fateme scende, se
no ammazzo qualcuno!
GUARDIA Stai buona, calmati, se no ti mandiamo a le Mantellate, capito?
AMORE A le Mantellate ce porti tu' sorella! 'Sto cornuto, tubercoloso
fracico! Senti chi deve parlà! Arrubbano er pane, 'sti zappatera cafoni burini
che nun siete altro! Ma che ve sete messi in testa
La Spagnola, spaventata da tutte quelle ingiurie vomitate da Amore,
cercava di trattenerla:

SPAGNOLA Aòh, a Amore, ma che te sei impazzita! Questi fanno pagà


l'oltraggio, sa'! Te mandano a le Mantellate davero...
AMORE M'a' asciusciano! Che me frega, a me, de le Mantellate, io je dico
quello che je devo dì: cornuti! miserabbili! morti de fame! aprofittatori!

Amore voleva proprio perdersi; e, se era questo che voleva, certamente si


sarebbe perduta.

Prese due lenzuola, due coperte, un cuscino, una ciotola, un bicchiere, un


cucchiaio.
La secondina la sorvegliava. Fatto questo, si incamminarono per un lungo
corridoio e andarono verso la camerata.
Amore, col suo fagotto, pedalava dietro alla secondina, piena di rabbia,
veleno, e, in fondo, di soddisfazione.
Le altre carcerate cioccavano dietro le inferriate dei loro reparti.

CARCERATA Mettetela qui, superiò! C'è un posto libbero!

La secondina aprì però la porta di una camerata, e fece entrare Amore,


richiudendole la porta con l'inferriata alle spalle. Amore guardò intorno le
facce delle altre rinchiuse, e, accanto alla finestra, chi vide? Maddalena. Si
stava pettinando e precisamente si stava mettendo tra i capelli la sua solita
rosa finta, accuratamente.

AMORE A Maddalè, qui stai?

Maddalena la smicciò e continuò a pettinarsi.

MADDALENA E dove credevi che stavo? Su la Costa Azzura?

Tacquero un po'. Poi Amore, col suo visuccio tutto occhi, sfigurato da un
sottile e disperato odio, la interrogò.
AMORE Per chi te fai bella? Famme capì...

Maddalena avverti subito il tono feroce e tacque. Ma Amre ormai


imperversava.

MADDALENA Perché?
AMORE Mah! Tanto chi t'ama t'ha lassato...
MADDALENA Davero?

Continuava a pettinarsi facendo l'indifferente.

MADDALENA E co' chi?


AMORE Co' una... una ragazza, giovane... no la conosci... Unà certa
Stella... Bella! Bella ragazza!

Amore tacque, un po', discreta, distratta: e cominciò a sistemare la sua roba

AMORE L'ha messa a batte pure lei... Pora Stella... Certo ciavevi un omo
ch'era un genio...

Maddalena era tutta bella pettinata, con la sua rosa sulla tempia: concluse
indifferente:

MADDALENA Infame... te e lui!

Maddalena era tesa, dritta, seduta dietro il disadorno tavolo del


commissario.
Il commissario finì di scrivere su uno squallido foglio, poi alzò il capo di
vecchio poliziotto canuto e senza speranza:

COMMISSARIO Allora? Che c'è?


MADDALENA Volevo fà 'na denuncia.
Il commissario fece una faccia rassegnata, e guardò verso una guardia in
borghese che se ne stava loffia, come un dio invisibile e onnipresente, alle
spalle di Maddalena:

COMMISSARIO Di che denuncia si tratta?

Maddalena ancora si conteneva, ma con dentro una rabbia isterica che


oscurava il bianco degli occhi.

MADDALENA Volevo denunciai e un certo Cataldi Vittorio, detto


Accattone...
COMMISSARIO E di che lo denunci?
MADDALENA De sfruttamento...

Il commissario si preparò, distratto, la carta per il verbale.

COMMISSARIO Ah... E ti ha sfruttata a te?


MADDALENA No.
COMMISSARIO E chi? E allora di cosa lo denunci?
MADDALENA Di sfruttamento!
COMMISSARIO Ma chi? Non lo sai che la denuncia deve partire soltanto
dalla persona interessata, da quella che è stata istigata alla prostituzione?

Maddalena a quelle parole che, col rigore procedurale, interrompevano


l'azione della sua vendetta, perdette ogni controllo, e cominciò a urlare
come una dannata:

MADDALENA Come? Non ve ne importa niente? Quello sta a sfruttà una


povera ragazza, e a voi nun ve ne frega niente! Quello è un zozzo, un
incosciente! Arovina una ragazza così?

Alle sue spalle, era sempre immobile, senza sguardo e senza sentimenti, la
guardia in borghese.
MADDALENA Voi no lo conoscete chi è quello! Quello è capace de tutto!
È capace de qualsiasi cosa, pe' stà bene lui! Pure de ammazzà! Voi lo dovete
carcerà! Lo dovete carcerà! Nun se merita de stà ar mondo! Lo dovete
carcerà!...

Gridava, gridava, come una ragazzina, mentre gli occhi del commissano si
incrociavano con gli occhi della guardia, in paziente silenzio.

L'agente in borghese, con aria loffia, era lì, sotto il sole – come un ammasso
indifferente di carne e stoffa.

Il suo occhio guardava: spiava.


E, sotto il suo occhio, ecco comparire Accattone e Stella, da una strada
trasversale.
Subito l'occhio si incuriosì: e la guardia si mosse dietro i due. Essi
camminavano sotto il sole, lungo la povera strada: e portavano dei fagotti,
con una valigetta di cartone, tutta sgraffignata. Camminavano in silenzio.
L'occhio della spia li seguì, finchè, imboccato il cancelletto dell'orto zozzo,
aprirono la porta della bicocca di Maddalena, e entrarono.

Accattone, sulla porta, si rivolse a Stella, incerta:

ACCATTONE Entra!

Era rauco, emozionato.


Stella entrò, e vide la stanza misera e accecata dal sole con l'enorme lettone
in mezzo, sfatto e bianco. In un angolo c'era Nannina con tutti i suoi figli
addosso.

ACCATTONE A Nanni'! Questa è Stella!

Nannina venne avanti, con l'ultimo figlio al seno e gli altri alle sottane,
incerta, un po' spaventata, ma cortese:
NANNINA Fortunatissima!
ACCATTONE Se semo aranciati prima... Se potemo arancià adesso... Non
te sembra, Nannì?
NANNINA Dia a me!

Nannina aiutò Stella a sistemarsi, le prese i fagotti e la valigetta, e andò a


metterli in un angolo, sopra una seggiolette spagliata, che serviva da
armadio.
Accattone guardò Stella, che stava in piedi timida e buona.

ACCATTONE 'A Stella, sei contenta... Dio mio, questa nun e' una reggia...
Mah! L'essenziale è che nun ce piove... Di', sei contenta?
STELLA Basta che sei contento te, a Vittò...
ACCATTONE Due, so' le cose: o so' diventato matto o m'e' tornato er
cervello!

Si buttò a gambe larghe sul lettone, con le mani sotto la testa.


Nannina si rivolse a Stella timida e cerimoniosa.

NANNINA Ve piace la marsala? Ne volemo beve un goccetto?...


ACCATTONE Ma come? Ancora c'è la marsala! Eh, bei tempi! Daje
famose 'sta bicchierata, va!

Nel frattempo Nannina aveva tirato fuori da una scatola sotto la sedia una
bottiglia di marsala, e aveva cominciato a versarla nei grossi scompagnati
bicchieri da vino.
La cerimonia si compiva in silenzio, sotto gli occhi avidi, ardenti dei cinque
poveri ragazzini.
Nannina diede il suo bicchierc a Accattone, il suo a Stella, e bevvero.

NANNINA Allora... Tanti auguri!


ACCATTONE Alla faccia de chi ce vuò male!
Bevvero: bevve Nannina, bevve Accattone, bevve Stella con gli occhi che
le luccicavano di lacrime. In silenzio.
Alla fine, Nannina fece bere l'ultimo goccetto rimasto nel suo bicchiere, al
figlio più grandino, che afferrò il bicchiere tra le mani avidamente.

ACCATTONE E il primo passo è fatto!

La guardia era ferma all'angolo della strada. Era mattina, il sole fresco. E la
guardia se ne stava lì, zitta, un ammasso di carne e stoffa, a guardare.
Ed ecco che il suo occhio loffio si accese: aveva visto.
Accattone stava venendo su dalla solita strada, e passava davanti al baretto,
dove c'erano due tre dei soliti amici: lo Sceriffo, il Cipolla, Mommoletto.

CIPOLLA Signor Accattone! Signor Accattone!

Ma Accattone non rispose nemmeno: inghiottì con aria amara, e tirò avanti.

CIPOLLA Aòh, ma come t'atteggi!

Ma ancora Accattone non rispose e se ne andò via dritto. Mommoletto era


tutto arrazzato dalla curiosità per il contegno di Accattone:

MOMMOLETTO Accattone, ma che, hai fatto i soldi, che nun ce guardi


più? Nun te ricordi quando non ciavevi 'na lira? Ma che sta' a fà, andò vai?
Ma che, è imbarsamato?

Accattone niente: tirò di lungo: e la guardia gli si mise a ruota, lo seguì che
andava verso la strada principale, dove passava il tranvetto, alla fermata, tra
il misero capannello di gente che aspettava.
Tra la gente, carino e pulito come sempre, c'era il fratello adolescente di
Accattone, Sabino.

SABINO Sbrighete, Vittò, che famo tardi!


ACCATTONE Aòh, guarda che io nun so fà niente, sa'!
SABINO Te impari!
Arrivò sferragliando il macilento e goffo tranvetto di Centocelle col suo
fischio glorioso.
La guardia osservava, tranquilla e svagata, con l'occhio nudo, Accattone e
Sabino, che camminavano per la strada affollata, e entravano in un gran
caseggiato per una porta che pareva una finestra.
Entrarono per una scala che scendeva allo scantinato, e lì c'era un grosso
cane avvilito, che li guardava.
Arrivarono giù, a una stanzetta miserabile, con un bancone e un telefono. Lì
c'era un uomo, grosso.

SABINO A sor Pietro, questo è mi' fratello... che j'avevo parlato...

Il sor Pietro alzò gli occhi, lento, e con voce profonda:

SOR PIETRO Va bene, va bene...

Sabino restò un po' lì imbarazzato.


SABINO Allora... Arrivederci!

E filò su per la scala, seguito dal cane, sparendo.


Una porta dava sull'officina vera e propria, dove gli operai stavano
lavorando. Il sor Pietro taceva.

ACCATTONE Allora?
SOR PIETRO Che sai fà?
ACCATTONE Da ragazzino ho fatto er tornitorc.
SOR PIETRO Qua i torni nun ce stanno.
ACCATTONE Io solo quello sapevo fà...
SOR PIETRO Be', attacca, va'!

Accattone si guardò un po' incerto intorno.

SOR PIETRO Mettete quella tuta...


Indicò col barbozzo verso un miserando attaccapanni, con miserandi panni
attaccati, tra cui una vecchia tuta. Accattone, scontento, ostile, si infilò
quella specie di scafandro che lo deformava, ne faceva una specie di
Charlot. Così conciato, si rivolse al principale:

ACCATTONE Che devo fà?

Il sor Pietro gli allungò venticinque lire:

SOR PIETRO Va' a comprà un bullone.

Senza parole, per la stupidaggine ch'era incaricato di fare, Accattone si


guardò sulla mano le venticinque lire spicciole.
Poi lento, girò sui tacchi e uscì.
Passò sotto il naso della guardia loffia, che, essendo pur dotata di un'anima,
stava facendo le parole incrociate, e imboccò la porta di un negoziaccio di
ferramenta.
A servire al bancone, era Sabino, che guardò stupito il fratello con animo
pieno di infinita pazienza.

ACCATTONE Damme un bullone!

Sabino, imbarazzato, lo servì: Accattone gli diede le venticinque lire.

ACCATTONE Eh, te sei un santo, a fratè! De chi hai preso, no lo so!


SABINO Avrò preso de San Sebastiano martire!

Accattone col bullone tra le dita, risortì.


Fece per entrare col bullone, ma il Sor Pietro stava uscendo sul piede di
guerra. Manco vide il bullone che Accattone gli tendeva.

SOR PIETRO Mo annamo a caricà un po’ de fero, 'namo!

Appresso a lui c'era un altro giovane operaio, in tuta, un burìno: Accattone


si accodò fervidamente ai due, e tutti si imbarcarono in un furgoncino,
un'Ape. Il padrone guidava e i due stavano sul cassoncino.
Partirono a tutta velocità.
ACCATTONE Meno male, che annamo a spasso! Se fanno spesso 'ste
scarrozzate?
BURINO Er lavoro è questo: annà a caricà, su e giù!
ACCATTONE Meno male! Allora è 'na pacchia! E chi se move più da 'sto
lavoro!

E, inebbriato dalla velocità per le vie festose di Roma, cominciò pure a


fischiettare.
L'Ape filò per una strada di San Lorenzo, imboccò un portone senza battenti
e entrò in uno scalcinato cortile aperto a tutti i venti, bianco di sole.
Fermò davanti a un gruppo di gaglioffi sui quaranta cinquanta anni. Il
cortile intorno era pieno di roba, casse, sacchi, mucchi di ferro.
Il padrone scese e cominciò subito a parlare col gaglioffo più autorevole:

SOR PIETRO A panzone! Alora potemo caricà! Qual è il fero nostro!


GAGLIOFFO Eccolo là!
SOR PIETRO Ah! So' ottanta quintali, sì?

Alla parola « ottanta quintali » Accattone, seduto sul camioncino, drizzò


allibito le orecchie: e guardò allibito la distesa del ferro.

GAGLIOFFO So' ottanta quintali, ottanta quintali! Che, vengo a rubbà a


te! Ottanta quintali!

Davanti alla distesa del ferro c'era la faccia allibita di Accattone che
guardava:

ACCATTONE Ottanta quintali! E che, in Italia esiste tutto 'sto fero?

Il sor Pietro si rivolse ai due schiavì:

SOR PIETRO Aòh! Daje, fateve coraggio! Un po' de bona fantasia e finite
subbito!
ACCATTONE Sì, da campà!

E seguì il burino che pieno di energia e buona volontà andava verso


l'inferno del ferro.

L'Ape filava, ormai carica di ferro. I due schiavi erano distesi sopra il
mucchio di ferro che avevano caricato. Accattone era già finito dalla fatica:
parlava col fiatone e asciugandosi il sudore dalla faccia bianca.

ACCATTONE Quanti viaggi dici che ce vorranno?


BURINO 'Na quindicina... Se je la inettemo tutta!
ACCATTONE Sì, tutta ce la metti te!

Il furgone arrivò allo scalo di San Lorenzo, entrò e arrivò sotto una tettoia
lunga un chilometro, una specie di hangar dove pulivano le locomotive.
Come l'Ape fu ferma, il padrone si sporse dallo sportello:

SOR PIETRO Truppe a tera!

Il burino zompò pieno di fervore, e dietro, macilento, Accattone.

L'enorme distesa di ferro non c'era più.


Il burino e Accattone stavano caricandone gli ultimi mucchi nel furgone.
Accattone era un ecceomo, irriconoscibile, disfatto, nero di polvere e
carbone, non stava più in piedi:

ACCATTONE Ma che stamo a Buchenwald, qua?


BURINO Eh, come t'allacchi presto!
ACCATTONE Ringrazia Dio che no je la faccio più, se no t'ammazzavo...

E andò a tirar su un ultimo mucchio di ferro trasportandolo con una smorfia


di dolore verso il furgone: pareva Cristo sotto la croce.
Non ce la fece: lasciò cadere il ferro per terra e appoggiò la testa contro il
bordo del cassoncino, cominciando a vomitare.

BURINO Ch'hai fatto? Te senti male?

Intanto raccolse lui il ferro caduto a Accattone e lo caricò sul furgoncino.

BURINO Che brutto effetto che te fa er lavoro...

Il burino si tirò su sul furgone, e aiutò Accattone a fare altrettanto.


Accattone si buttò sopra il mucchio del ferro.

ACCATTONE Sia fatta la volontà de Dio!

E quasi si sturbò, mentre, scuotendo quel suo povero corpo sul mucchio del
ferro, il furgone ripartiva sotto il sole.
Sempre sotto l'occhio della guardia, ecco là Accattone che ripassava davanti
al baretto dei compari. Era già quasi notte, una bella notte fresca d'estate coi
profumi delle minestre e le radio accese. Così stavolta c'era una bella cricca
al baretto, tutti sbragati sulle seggiolette. Accattone, come al mattino, tirò
via dritto.
Ma come i compari lo smorfirono, subito si lanciarono a fare un po' di
moina:

MOMMOLETTO Accattone, indò vai senza ombrello?!


CIPOLLA Attento, che gira l'acchiappacani!

E intanto Giorgio il Secco, arrazzato, si informava dai vicini.

GIORGIO Aòh, ma che j'è successù? Ma perchè se comporta


MOMMOLETTO E che ne so! Pure stamatina è passato così! Me pareva
la statua de la libertà! Manco cià guardato in faccia.

Giorgio afferrò subito la situazione, e feroce, a Accattone:

GIORGIO Accattoneeeee!
E siccome naturalmente Accattone non si voltò, il Secco gli fece una
pernacchia.
Accattone reagì dì scatto, nero come un demonio, in una delle sue crisi
matte, da epilettico:

ACCATTONE E ma ormai m'avete stufato!


GIORGIO Mmmh, come sei prosaico!

Cieco di rabbia e di esasperazione Accattone si sfilò una scarpa dal piede e


la tirò con violenza addosso alla cricca.
Poi si lanciò dietro la scarpa e cominciò a colpire alla cieca Giorgio e tutti
gli altri.
Scoppiò un breve, furibondo pestaggio. Tutti, ch'erano in tanti,
cominciarono a pestare in coro Accattone.
Sotto l'occhio della guardia, Accattone raggiunse, quasi barcollando tra gli
orticelli secchi, la porta della bicocca, l'aprì e entrò.
Era massacrato, pieno di lividi, di ficozze: perdeva sangue dal naso.
Entrò nella bicocca, e Stella e Nannina lo guardarono spaventate.

STELLA A Vittò, che t'è successo...

Accattone s'infuriò, levò dalla saccoccia le mille lire guadagnate al lavoro e


le gettò sul lettone.

ACCATTONE M'è successo che so' 'no stronzo! Ecco quello che m’è
successo! Me so' ito a ammazzà, pe' mille lire! Gesù Cristo nun me poteva
fà venì un colpo stamatina quando so' uscito da casa...
STELLA A Vittò, calmete... Nun dì così...

Sotto gli occhi impauriti di Stella e di Nannina coi suoi cinque figli,
Accattone continuava a urlare, come un epilettico.

ACCATTONE Lasseme perde! Falla finita!

Svuotato di ogni forza, di ogni energia, si buttò bocconi sul letto,


nascondendosi il viso tra le mani, con un lamento da bestia.
Stella lo guardò un po', in silenzio, poi gli si avvicino, timida, impaurita, e
osò dirgli, incerta, per timore di offenderlo...

STELLA A Vittò... Se tu vedi che nun je la fai a annà a lavorà... Io so' pure
disposta a tornà pe' strada, se pensi ch'è mejo così...
ACCATTONE Ma che dici! Falla finita!

E si ricoprì il viso tra le mani, disteso sul letto.

ACCATTONE Sì! Te vai pe' strada! Ma falla finita!... Ormai ho deciso che
ce penso io a te! Basta! Tu devi stà a casa! Quando me metto in testa 'na
cosa io dev'esse quella! O il mondo m'ammazza me, o io ammazzo lui!

Ea notte. Nella bicocca tutti dormivano. Nel lettone, in mezzo dormiva


Stella, a sinistra Nannina, a destra Accattone. Qua e là, anche per terra, i
figli di Nannina.
Accattone, ancora sfigurato dalle botte, dormiva un sonno infame, con un
rantolo nella gola.
Ed eccolo disteso su un luogo che è, o non è il muretto sulla strada della
casa di Ascensa... Intorno, ci sono il sole accecante c i calcinacci...
Accattone è lì immoto, dolorante, non riesce a alzarsi dalla polvere... Ed
ecco vengono di corsa tre o quattro amici, verso di lui, sono tutti vestiti di
nero, come per una cerimonia. Gli parla, ansioso e tragico, Renato il
Profeta.

RENATO 'Namo, nun venghi? Semo tutti pronti, nun ce vedi? Te stanno a
aspettà!

Accattone, incerto, allora, si alza, si guarda intorno, obbediente, buono,


impaurito:

ACCATTONE 'Namo!

Camminando dietro al gruppo di amici tutti vestiti di nero, Accattone si


guarda intorno, e guarda anche se stesso: anche lui, improvvisamente, è
vestito di nero, come per una cerimonia funebre o un matrimonio.
Spaventato, affretta il passo, e penosamente riesce a raggiungere gli amici:

ACCATTONE Ma che è successo, aòh, ch'è successo?

Renato, il Cipolla, lo Sceriffo, il Tremarella, Pio, non rispondono, assorti in


un loro terribile pensiero. Ma Accattone insiste, come un bambino.

ACCATTONE Aòh, ma me volete dì ch'è successo! Ditemelo... per


favore...

Passano ora davanti alla Fontanella: il Balilla è lì che sta lavando un


grappolo d'uva, e osserva il corteo dei compari vestiti di nero.
Con un sorriso da fijo de 'na mignotta, comincia a mangiare il grappolo
d'uva, e dice qualcosa, con tono paragulo, come dicesse una sparata allegra
e minacciosa: ma non si capisce bene quello che dice, la sua voce è solo un
ronzio. Accattone cerca di capirlo, tendendo le orecchie, ma quello continua
a parlare, senza che si capisca una parola. Allora, affannato, Accattone
raggiunge di nuovo gli amici, e tira per una manica Pio.

ACCATTONE A Pio! Ma che è successo?

Pio si volta, lo guarda, con uno strano viso serio: e poi, come in una
improvvisa decisione, preso da pietà verso Accattone, gli dice:

PIO Ma come? Non lo sai? Accattone è morto!

Accattone lo ascolta atterrito, bianco come la cera. Alza gli occhi, e infatti,
su, in fondo alla miserabile strada bianca, passa un funeraletto nero, con in
testa la croce che ondeggia.
Gli amici e Accattone lo raggiungono, e camminano dietro al carro nero con
la bara.
In testa un po' alla volta, Accattone resta solo: dietro vengono, muti, gli
altri.
La voce di Renato echeggia strana in tutto quel silenzio.

RENATO Ma nun je lo potevate dì, che non ce se doveva mette dentro la


cassa! Che amici che siete stati!
Il carro va a fermarsi davanti a un muretto con un cancello: dalla parte
interna sono attaccati alle sbarre due ragazzinetti nudi che sembrano
giocare, tranquilli.
Il funerale entra per il cancello: un uomo, una specie di autista, si rivolge a
Accattone:

UOMO Tu non puoi entrà!


ACCATTONE E perché?

Trema, facendo quella domanda, e il guardiano gli si para davanti.


Il funerale entra e sparisce. Così Accattone resta solo, affannato, lungo il
muretto.
Si guarda intorno, accanito e ingenuo come un bambino, poi
improvvisamente si arrampica sul muretto, lo scavalca, scende dall'altra
parte.
Lì, su un pezzo di terra buia, vede solo un vecchietto, tutto bianco, che sta
cominciando a scavare una buca. Accattone gli si avvicina timoroso e il
vecchietto lo guarda benevolo: allora Accattone si siede accanto a lui.

ACCATTONE A sor maè, perchè nun me la fate un pochetto più in là?


Non lo vedete ch'è tutta scura qui, la tera?

Il vecchietto, sempre paziente e benevolo, guarda più in là, e infatti, poco


oltre la buca, si stende una vallata, stupenda, invasa da una luce radiosa,
sconfinata, che svapora ùell'azzurro di una estate ferma e profumata.

ACCATTONE Fatemela più in là... poco poco.. Per favore a sor mae...

Il vecchietto, con un sospiro, lo guarda e sorride.

VECCHIETTO E va be'!

E comincia a scavare un po' più in là, nella luce della chiara vallata.

Era la mattina, calda, assolata.


La guardia era già lì che faceva il suo dovere: con l'occhio spento.
Accattone uscì di casa, e l'occhio si accese, pieno di nuovo interesse.
Accattone camminò un po', incerto e assonnato, per la strada, finché
raggiunse la vicina osteria, accarezzata dal primo sole. E vi entrò.

L'osteria era quasi vuota, invasa dal sole a striscie della stecconata. La luce
sbarbagliava in fondo, nel cortiletto secco col fico.
A un tavolo quattro giovincelli giocavano muti una partita a carte: tra essi
c'era Cartagine.
A un altro tavolo, a bere mezzo litro, c'erano il Balilla e un suo compare.
Accattone prese subito di petto il Balilla:

ACCATTONE A Balì, stavo a cercà proprio a te!

Il Balilla gli offrì un bicchiere di vino:

BALILLA Bevi, pensa a la salute...

Accattone bevve in fretta e con ansia:

ACCATTONE A Balì, nun ciò 'na lira nemmeno pe' fà piagne un cieco!
Ieri ho provato pure a annà a lavorà, lo sai, Sì!
BALILLA Che vergogna!
ACCATTONE Che volemo fà?
BALILLA Er mondo è de chi cià li denti!

Così dicendo mise delle monete sul tavolo e si alzò. Alzandosi, si rivolse al
Cartagine, con un fischio.

BALILLA Sveglia! 'Namo!

Cartagine lo guardo' malandrino:

CARTAGINE Ecco, ho finito!


Sulla porta dell'osteria, Accattone e il Balilla stettero ad aspettarlo in
campana. Accattone aprì speranzoso la bocca, sotto gli occhi ironici del
Balilla.

ACCATTONE Chi famo piagne?


BALILLA Eh! Che te sei messo in testa? Che, un colpo a la rififì? Annamo
così, a la bona ventura! A Cartagineeee!

Cartagine veniva avanti, pronto, ma un po' assonnato. Si fermò davanti a


loro, tutto ridente, e si stirò.

CARTAGINE Aaah, beato er giorno che so' nato!

La guardia in borghese stava pedinando, tutta sudata, i tre compari: li


osservava che camminavano per la strada, con Cartagine che spingeva un
carrettino.
I tre compari era, si vedeva, un bel pezzo che camminavano: già erano
sfiatati, bruciati dal sole e dalla stanchezza.
E cammina, e cammina: sotto l'occhio loffio della guardia.
E cammina, e cammina.

ACCATTONE Aòh, volemo da 'na guardata dentro a quel camion?

Indica col barbozzo un camion fermo. Il Balilla non lo prende neanche in


considerazione.

BALILLA Sì, ce trovi i buffi dentro a quel camion...

E continuarono a camminare, come tre schiavi alle stanghe di quel loro


carrettino, per la strada di fuoco.

Continuavano a camminare, avevano attraversato ormai mezza Roma.


Accattone era nero, camminava già mezzo morto dalla stanchezza: e anche
Cartagine, al carrettino, era già allaccato e tutto moscio.
Il mercato dei fiori intorno era tutto un ardore: camion, cesti, mazzi,
furgoncini, garofani, rose.
I tre passarono sotto un camion, che tre facchini stavano scaricando. Uno
dei tre facchini era Fulvio lo Scucchia, più magro del solito, uno scheletro.

FULVIO Aòh, Accattò, indò vai?


ACCATTONE A la Madonna der Divino Amore!
FULVIO Tiè, alora portaje 'sti fiori!

Disse, e buttò scherzando sul carrettino un mucchio di fiori scarti.


Poi come esaltato dal suo gesto, ne afferrò ancora una bracciata, e la buttò
marrano sul carrettino:

FULVIO Tiè, te li rigalo tutti! Carica tutta 'sta monnezza, portatela via!

ACCATTONE Te va sempre da scherzà a te!

Era avvelenato. Ma il Balilla, arzillo, con un salto, montò sul carrettino, e si


mise seduto in mezzo ai fiori.

BALILLA Forza, a Cartagine! So' sempre stato in mezzo ar fango, adesso


vojo Stà in mezzo ai fiori!

Cartagine, morto di stanchezza, ma ridendo, si rimise a spingere quasi di


corsa il carrettino.

L'enorme occhio del loffio guardava, osservava instancabile.


I tre compari erano ancora là che camminavano, col carrettino pieno di
fiori. Erano mezzi morti di stanchezza, non ce la facevano più, tiravano il
fiato coi denti. Ma continuavano a camminare, a guardare. E Accattone
infatti, col barbozzo, perché non aveva più forza di alzare una mano, indicò
un altro camion.

ACCATTONE Quello?
BALILLA Lascia fà al Balilla!
Gli si erano ringalluzziti l'occhietti, e cominciò a camminare più svelto,
seguito dagli altri due, non verso il camion indicato da Accattone, ma verso
un altro camion, un poco più avanti, che era carico di caffè.

BALILLA Fusse la volta bona!

Gli altri l'avevano capito al volo, e lo seguirono, avvicinandosi chiotti e


agili al camion.
Il Balilla si accostò, con mosse rapide e abili, e fece per aprire lo sportello
di dietro del camion. Parlava da solo, come uno che canta per darsi
coraggio.

BALILLA Nun m'è mai riuscito da fregallo! Ciò un vecchio conto da


regolà co' 'sto camion...

Ma lo sportello non sapriva.

BALILLA E chiuso, 'tacci sua!

Cartagine gli si accostò e gli allungò il cacciavite.


Il Balilla cercò, facendo l'indifferente, di aprirlo con quello.

ACCATTONE Tiette, viè gente!

Indifferente, come se danzasse, il Balilla smise di lavorare, e si allacciò una


scarpa. Indifferente, si rialzò e ricominciò a camminare: pigramente
Cartagine lo seguì col carrettino.
Il loffio, là dietro, li osservava che si incamminavano per la lunga strada
assolata: poi entrò in un bar, con l'insegna del telefono.

I tre camminavano ancora, ormai avevano percorso tutta Roma e erano


all'altro capo della città. Erano morti dalla stanchezza: Accattone era
stravolto, non aveva nemmeno più fiato per parlare.
Laggiù, la guardia li seguiva. Ed ecco che arrivarono altre due guardie
borghesi, in lambretta: e scambiarono con la prima guardia alcune parole
piene d'intelligenza: poi si divisero, e seguirono i. tre compari.
Questi erano là che camminavano in silenzio, senza neanche il coraggio di
guardarsi in faccia.
Camminavano, camminavano: il sole stava già calando, le loro ombre erano
lunghe.
A un tratto, detto fatto, Accattone prese e si mise a sedere sull'orlo del
marciapiede, deciso a restarci: era nero, stravolto e disperato.
Il Balilla non ebbe. il coraggio di dir niente, e si mise a sedere pure lui,
scoraggiato, accanto a Accattone: Cartagine li osservò un momento, e poi
andò a mettersi seduto anche lui accanto a loro, muto.
Per un bel po' se ne stettero così, in silenzio: con la faccia appoggiata al
palmo delle mani, coi gomiti sulle ginocchia. Anzi, addirittura, Accattone,
in un impeto di scoraggiamento, appoggiò la fronte sulle braccia, sopra le
ginocchia, tutto raggomitolato, nascondendo la faccia.
L'occhio del loffio, laggiù, li osservava.
Stettero ancora così un bel po' in silenzio: e in silenzio, ma con una faccia
che mostrava chiaramente che stava vivacemente parlando tra sè, il
Cartagine si levò stancamente le scarpe, tirando fuori i piedi gonfi e
indolenziti.
Come richiamato da un antico istinto di cane, Accattone alzò la testa, e, con
aria amara, annusò l'aria. Tornò a annusare. Si fece sempre più amaro,
finchè apparve addirittura disgustato:
Ma quel disgusto riuscì a vincere la cortina di silenzio, e sbottò, verso
Cartagine, cioccando.

ACCATTONE E rimetti quei piedi dentro le scarpe! Che ce vòi attaccà la


peste? Ammazzete, oh, quanto puzzi!

Cartagine, colpito sul vivo, si mise sulla difensiva: ma già gli scappava da
ridere.

CARTAGINE Che, è colpa mia! So' diec'ore che camminamo...


ACCATTONE 'tacci tua, puzzi più da vivo che da morto!

E alzò il braccio al cielo, in segno di giusta indignazione. Cartagine allora


cominciò a ridere, dapprincipio piano e un po'imbarazzato, poi sempre più
forte e di gusto, finchè la sua risata si fece irrefrenabile.
Si allungò sul marciapiede, sbudellandosi. Tentava di parlare, ma non ci
riusciva, non ci riusciva. Finalmente gliela fece.

CARTAGINE Sai quant'è che nun me li lavo?

Ma una nuova, irresistibile risata lo soffocò di nuovo. Accattone lo


guardava serio, ma la bocca e il barbozzo già gli tremavano; gli scappava da
ridere pure a lui, sempre più forte. Finalmente Cartagine gliela fece un'altra
volta a parlare.

CARTAGINE Da Feragosto, quando so' ito ar mare!

E ricominciò di nuovo a ridere come un pazzo. Anche Accattone ormai era


vinto, e rideva a crepapelle, buttandosi indietro sul marciapiede.
E anche il Balilla rideva, con la bocca larga, tutto contento che la cosa
prendesse quella piega, dopo la figuraccia che aveva fatto: rideva sdentato
con la bocca larga, rotolandosi sul marciapiede con le gambe in aria.

BALILLA A Cinerentola, quando s'è persa la scarpa gliel'ha riportata er


principe... Ah, ah ah, ah! Se la perdi tu, te la riportano i pompieri!

ACCATTONE Ah, ah, ah! Ciài 'na fortuna, nei piedi te! Perchè no la sai
sfruttà... Er DDT ammazza le mosche ma che je fà, te co' la puzza tua
ammazzi pure i cavalli!

Ridevano, ridevano come pazzi. Ed ecco che arrivò un camion, e si fermò


davanti a un negozio di salumeria. Il conducente entrò. I tre si fermarono
piano piano dal ridere, allumarono. Poi come a un segnale, Cartagine balzò
in piedi, corse verso il camion.
Intanto, il Balilla scostava i fiori sul carrettino, tenendone una bracciata in
mano. Cartagine ritornò al volo con una bracciata di salsicce e prosciutti, e
la buttò nel carretto, il Balilla ributtò sopra i fiori, e tutti tre tranquilli,
ancora col riso negli occhi, ripresero il cammino.
La guardia li vide, e scambiò un'occhiata con gli altri agenti. I tre
camminavano tutti emozionati e soddisfatti, cercando di allontanarsi il più
possibile dal luogo del reato, verso l'oro del sole che tramontava.
Erano già abbastanza fuori pericolo, lungo la spalletta del lungotevere, tra la
rara gente del quartiere.

ACCATTONE Eh chi cià fede nella Provvidenza, nun se morirà mai de


fame! Cià ragione Stella!

Fecero cosi qualche passo con aria consolata e piena di belle prospettive
future, quando gli agenti, inaspettati come la fatalità, li pararono.

AGENTE Fermi! Che ciavete là dentro! Polizia!

Tutti i tre compari cercarono subito di scappare: ma la rivolta del Balilla fu


breve, venne subito acchiappato, e ammanettato. Più difficile era prendere
Cartagine, ch'era un ragazzino e svelto come una serpe.
E Accattone era già là che scappava disperato lungo la spaIletta, seguito da
un agente a piedi e da un agente in lambretta.

AGENTE Ferma! Prendetelo! Tanto ti conosciamo! Ferma...

Tutto avvenne come senza senso e senza ragione, nell'oro del sole che
tramontava su Testaccio.
Cartagine e il Balilla, già ammanettati, videro Accattone correre, sbandare,
buttarsi su una motocicletta ferma accanto a un baretto sull'orlo del
marciapiede, salire, partire a tutta velocità.
E mucchi di gente intorno che correva, che gridava.
Si sentì il rombo della motocicletta, che scomparve in fondo a una
trasversale, veloce. Poi un improvviso botto, silenzio e urla, urla strane, con
la gente che accorreva più fitta. Anche l'agente, e Cartagine e il Balilla,
ammanettati, corsero in fondo alla strada, e si fecero largo tra un mucchio di
gente, che guardava impressionata.
La motocicletta era fracassata contro la parte davanti di un camion.
Accattone stava lungo, sanguinante, sul marciapiede, nel posto dove poco
prima lui e gli amici avevano tanto riso. Cartagine si buttò su di lui,
spaventato e piangente come un ragazzino.

CARTAGINE A Accattò, a Accattò... Che ciài... che te senti?


Accattone era morente, coperto di sangue.
Ebbe appena la forza di voltare il collo verso il Cartagine e il Balilla.

ACCATTONE Aaaah... Mo sto bene!

Furono le sue ultime parole. Restò sanguinante suI marciapiede.


Il Cartagine guardava spaventato, con gli occhi pieni di lacrime verso il
Balilla, che si faceva il segno della croce, passandosi davanti alla sua faccia
di scimmia le mani e i polsi stretti dal ferro delle manette.

(1960)

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