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Accattone
Tutto bruciava. Il sole tenero della mattina di fine estate era come
calce rovente. Una faccia bruciata alzò la scucchia coi due buchi
sulle guance per la magrezza, e lo sguardo acquoso; e disse:
SCUCCHIA Ecco la fine del mondo. Fateve vede bene, mm v'ho mai visto
de giorno! V'ho sempre visto a lo scuro! Che, le donne v'hanno fatto
sciopero?
E rise, sdentato.
Si era rivolto a chi? A una batteria di sbragati sulle seggiolette cotte dal sole
di un baretto della Marranella. Tra questi, fu Mommoletto che ribatté allo
Scucchia:
Mommoletto era un bassetto, con l'occhi storti, che rideva sempre come un
pupazzo. Accanto a lui, uno si fece versare da un altro, sulle mani a conca,
dell'acqua minerale: e si lavò la faccia. Erano Alfredino, alto alto, nero, col
naso schiacciato di un marocchino, e il Vecchietto, un teddy, elegantissimo -
il vestito a puntini, la cravatta corta col nodo grande, la spilla - ancora
imberbe.
La faccia d'Alfredino strofinata dalle mani era tutta luccicante d'acqua
minerale.
ALFREDINO A martire! da' retta a 'n amico smettela de lavorà, entra pure
te nella società della Metro Goldwin Mayer! Haaam!
ACCATTONE Ecco chi lo sa! A Scucchia, viè un po' qua, dijelo un po’ te
a 'sti buffoni er fatto der poro Barbarone!
SCUCCHIA Sì.
ACCATTONE Ha detto che lui se sarebbe magnato un chilo de pasta e 'na
sporta de cachì e che dopo un quarto d'ora se faceva er bagno e nun je
faceva niente?
SCUCCHIA Sì.
Accattone guardò gli altri trionfante, con un ghigno che gli spappolava la
faccia.
Alzandosi per metà sulla sedia Accattone allora si sfilò con rabbia uno dei
due anelli che gli incrostavano d'oro la mano.
La faccia di Giorgio il Secco s'indurì, diventò di pietra, con gli occhi azzurri
che si rapprendevano.
GIORGIO IL SECCO Ahò, viè qua! Bacia tu' fratello, che è l'ultima volta
che lo vedi!
Sabino non rispose. Guardò ammusato e offeso la cricca dei compari, che,
con in testa il fratello, se ne andava verso un cassone di millequattro, che
sostava in un filo d'ombra. Mommoletto, ch'era sempre in coda, diede al
pischello una manata:
MOMMOLETTO 'Namo, viè pure te! Viè a ricoje l'ultime volontà de tu'
fratello, hai visto mai che te facesse erede universale! 'Namo!
ACCATTONE Co' tutti l'amici dietro che ridono, e er primo che piagne
paga da beve a tutti!
GIORGIO IL SECCO E che te dovemo scrive sulla tomba?
ACCATTONE « Provate per credere »!
Diede ancora un'occhiata alla piccola folla giù, nella spiaggetta e lungo i
muretti del lungofiume. E continuò a parlare a sé stesso, amaro:
SCERIFFO Ecco Barbarone come stava ... co' la bava a la bocca, co'
l'occhi aperti... Ciaveva 'na panza gonfia come un tamburo... Ammazzalo
quant'era brutto!
Si rialzò sempre di scatto in piedi e andò a risedersi nella panca tra gli altri
che continuavano a giocare passivi, pazienti, beffardi.
Si alzò, seguito dagli altri, attraversò l'arca di Noè del galleggiante, arrivò
sulla spiaggetta trucida coi soliti indigenetti mezzi ignudi: e tutta la batteria
dietro, sulla sabbia sporca, lungo la corrente bavosa.
Lo Sceriffo e Accattone procedevano appaiati nel gruppetto. A un tratto lo
Sceriffo si fermò: guardò Accattone pure lui come fosse per la prima volta,
lo osservò un attimo allarmato: poi si battè tre quattro volte la fronte col
palmo della mano, pam, pam, e la faccia ispirata come quella di un santo tra
le fiamme dell'inferno.
I piccioni del Ciriola, frr, frr, volavano via intorno, a stormi, spaventati.
ACCATTONE 'Mbe'? Te sei fatta infascià tutta, te sei fatta infascià? Che,
ciavevi paura che te perdevi la gamba?
MADDALENA E che, je l'ho detto io al dottore de infasciammela così? È
segno che c'era bisogno...
Sotto la vampa accecante del sole, il Napoletano era lì che rideva, con tutta
la dentiera scoperta, come un negro, biondo. Stava appoggiato a una ramata,
e, sulla strada, raggomitolati contro i muretti bianchi, altri due tre compari
lo aspettavano.
NAPOLETANO Uèh, Nanni! Voi siete 'na femmina a oro dieciotto! Voi
siete 'na femmina intrepida!
NANNINA Uèh, 'on Salvatò!
NAPOLETANO N'in ve la dovete da pigghià, so' guai che succedono! Lu
tènete 'u latte pe' 'u piccirillo?
NANNINA N'in ve pijate penziero, 'on Salvatò?
NAPOLETANO Ah, tengo 'na Dio 'e rabbia in corpo!
Guardò minaccioso, alludendo a chi era dentro la casa. Poi più calmo e
benefico si rivolse di nuovo a Nannina.
Aveva alzato il braccio, quasi cantando, amaro. E fece l'atto di andare alla
porta.
E si volse verso Nannina, che era restata ferma in disparte sotto il sole che
infuocava la polvere.
Dopo un po' erano tutti ubriachi fracichi, che stralunavano. L'osteria era
nera e deserta, con un banco solo come un altare: e dietro un oste che
pareva un morto. Due tre finestrelle davano su un cortiletto interno pieno di
piante di fico. Oltre ai cmpari, c'era un tavolo con quattro vecchi che
giocavano a carte: ma pure due giovincelli imberbi, trascinati lì dal caso
dalla disoccupazione giocavano svogliati.
Accattone stava piangendo a calde lacrime. E piangendo si piegava sul
Napoletano, come su un vecchio amico.
ACCATTONE E Maddalena s'è messa CO' me. Un domani viè uno che
cià er core più nobile del mio, basta che je dice du' parole dorci e se la
compra, e io vado a rimpiazzà er posto de Ciccio, a Reggina Coeli!
NAPOLETANO Ma no ma no, 'e questo nun v'avite a preoccupà! Avete
fatto un'azzione santa, avete alloggiato la mojera e i figli dell'amante
dell'amica vostra! e Dio ve compenserà!
Gli scappò da ridere per la sua inaspettata battuta. Era ancora con gli occhi
al cielo. Allora anche Cartagine guardò verso il cielo, e cantò:
CARTAGINE Lassù tra mezzo agli angioli...
ACCATTONE Il gentil sesso... l'animaccia loro! Mo quando torno a casa,
je faccio vede io a quella prostituta! Ha denunciato er compare de 'st'amico
mio...
ACCATTONE ... che è la più brava persona der mondo... pe' mettese co'
me, pe' rovinamme pure a me, 'sta prostituta, che nun possa avè un'ora de
bene!
Ma Accattone non sentiva: la testa gli crollò sul tavolo, e pallido come un
morto, si sturbò, con un lamento di nausea e dolore.
ACCATTONE Che te ne frega a te, che ho fatto? Chi sei, mi' madre?
MADDALENA Aòh, che, er vino t'ha dato in testa? Non hai trovato co' chi
sfogatte e te vieni a sfogà qui co' me?
Il bambino di Nannina, perso nella sua dolce misera infanzia, giocava con
la catenella che pendeva al collo della madre, a cui era attaccata una croce,
che scintillava tra le sue manine.
Maddalena era lì, al suo posto, con la borsa stretta in mano, acida, nera, e si
guardava intorno. Si guardava intorno perché si sentivano delle vociacce
cantare, e lei voleva vedere chi era che cantava.
Eccoli lassù, quelli a cui sorrideva tanto la vita: erano quattro giovinottelli,
Cartagine, e Laio, Dino, Tommaso - quelli della cricca dell'osteria. Tutti e
quattro, scendendo una breve scesa polverosa, ridevano e cantavano.
Maddalena, e accanto a lei Amore - seduta su un giornale sul ciglio della
scarpata - osservavano i quattro, accigliate.
Avanzando, i compari sostarono accanto a un vecchio ubriaco che dormiva,
laggiù, su degli stracci e un po' di paglia, sotto il rimorchio di un camion.
E cosa fecero? Cartagine ebbe una pensata improvvisa: smise di cantare,
e, ridendo, cacciò la scatola dei cerini, ne accese uno, si abbassò e diede
fuoco alla paglia e agli stracci secchi dove il vecchio dormiva.
Gli altri compari intorno a lui stavano a gustarsi la scena.
La fiamma crepitando si allargò, il vecchio si svegliò, si alzò intontito e
spaventato, e con la sua giacchettaccia zozza cominciò a dar botte sul fuoco
per spegnerlo - rassegnato. I quattro intorno ridevano come zozzi.
Maddalena era invece sfigurata dall'indignazione. E cominciò a strillare.
TOMMASO Famme montà qua sopra, che lì c'è rimasta solo 'a puzza! Ah,
che aria pura!
MADDALENA Io ve darebbe 'na coltellata a tutti, ecco che farebbe, io!
AMORE Nun t'arrabbià, nun t'arrabbià! Fija mia, come sei matta! Guarda
lì, come sei ridotta, co' quella gamba, piuttosto! Ma chi te cià fatta venì qua,
in quelle condizioni! Ma no lo sai che quando sei morta nun te piagne
nissuno? Almeno lo facessi pe' te!
MADDALENA Famme il cavolo de piacere! Impiccite per le corna tua! Ce
n'hai avuti tanti te, de amici, che t'hanno levato pure le lacrime dall'occhi!
Pzt! Almeno io ce n'ho uno ch'è er mejo de la piazza!
AMORE St! Capirai!
MADDALENA Perché? Vòi dì che no è bono? Almeno questo è educato, è
un bel ragazzo, giovane, bravo... E me vuò bene!
Per il vialone arrivava una macchina, sotto l'ombra degli alberi e i tagli di
luce dei lampioni. Si fermò accanto alle due. Dentro, c'erano tre quattro
persone: erano i compari del Napoletano, più una faccia sconosciuta, da
giovane gratta. Chiamarono Maddalena come un cane.
II NAPOLETANO Monta!
Amore restò sola, acida, con gli occhi grossi come uova, scettica. La
macchina correva, con dentro il suo carnaio.
II NAPOLETANO Monta!
MADDALENA Fammete vede mejo!... Ah si, si, te oggi sei venuto pure a
casa mia!
NAPOLETANO Oh, lo vedi che con un po' de fantasia, ce sei arrivata!
MADDALENA 'Mbe', che volevi da Accattone?
MADDALENA Siate boni, fatelo pe' me, annamo in un altro posto... sto
pure male... co' la gamba, nun je la faccio a cammina... Annamo in un altro
posto...
MADDALENA 'Mbe'?
Il Napoletano quello grande, si avvicinò anche lui, seguito da tutti gli altri.
NAPOLETANO Ma nun t'a 'a prende! Lo sai com'è questo, no? E’ 'nu
cafone, non tiene grazia!
Ma a un tratto, con furia improvvisa, le allentò lui uno schiaffo, che la fece
cadere per terra. Subito però il Napoletano la riprese, e la tirò su.
MADDALENA Portatemi via! aiuto! aiuto! Nun me lassate qua sola! Nun
dico niente!
La sua voce era fioca, come di chi si sente mancare. I napoletani avevano
già messo in moto la macchina, e stavano per partire, con le ruote che
slittavano nella polvere. Maddalena come una bestia si aggrappò ai
parafanghi.
Per un po' si lasciò trascinare: poi ricadde nella polvere, senza più voce,
come una morta.
GIORGIO Impicchete!
LUCIANO Ridi, ridi, mo te sei giocato i viveri! Mo che fai? Vai e' stracci,
vai?
I GUARDIA Senti!
ACCATTONE A me?
Accattone, tra il silenzio dei compari, si alzò, e sì avvicinò alle guardie che
a loro volta si erano un po' allontanate dai tavolini. Era tutto impensierito,
candido.
ACCATTONE 'Mbe, che c'è, qualche cosa che nun va?
I GUARDIA Favorisca i documenti!
ACCATTONE E chi ce l'ha, i documenti! Tanto me lo ricordo come me
chiamo, e che ce fo, coi documenti?
I GUARDIA Vieni con noi... cinque minuti...
ACCATTONE E perché?
I GUARDIA Cinque minuti, per accertamenti, via...
ACCATTONE Semo tre milioni de abbitanti, a Roma, proprio su de me te
venghi a accertà, e chi so'?
E fece un cenno lontano, verso una macchina ferma poco più in là, che si
muoveva verso il bar.
Era un grande ufficio, squallido, con due tre tavoli pieni di verbali e veline:
un tavolinetto con la macchina da scrivere e una carta di Roma alla parete.
Accattone stava seduto su una seggiola; alla porta, loffia, c'era una delle due
guardie in borghese.
Il sole riempiva il grande ufficio di una luce cattiva.
Per un po', ci fu silenzio.
Poi Accattone, torvo, disperato, scattò:
ACCATTONE Aòh, ma ve rendete conto che so' tre ore che sto qua? Che
ho fatto? Chi è che me deve interrogà a me? Me interrogasse, e me
mandasse a casa, me so' stufato de stà qua! Che volete da me? A me me lo
dovete dì che volete da me! Io nun do fastidio a nessuno, e a me me dovete
lassà perde! So' pure malato so'!
Parlando si era alzato e si era avvicinato alla guardia, che gli rispose
brutalmente:
GUARDIA Stai buono e mettiti seduto! Qui non stai in casa tua! Quando il
maresciallo sarà comodo ti chiamerà lui, non aver paura!
ACCATTONE Aòh a comodo! Io nun vojo stà ai comodi de nessuno!
MADDALENA No.
CARTAGINE Aòh? De che? Famme capì qualcosa! De che so' io? A sor
marescià, spiegatemelo vòi, che è successo? Io non ho fatto niente!
COMMISSARIO Allora hai proprio visto bene, sei sicura che son loro?
MADDALENA Sì, lo giuro su mamma mia, So' loro! M'hanno rovinato!
Disgrazziati! Che v'ho fatto almeno io a voi! Senza motivo m'hanno
massacrato! M'hanno fatta morì!
CARTAGINE E GLI ALTRI Nun le date retta! Quella è matta! E’ la
prima volta che la vedo io a quella! Aòh, a signò, ma guardateme bene, voi
m'arovinate...
MADDALENA No, no, non è tra questi! Era un burino, grosso, mezzo
roscio...
COMMISSARIO Allora tra questi non c'è?
MADDALENA No, no!
COMMISSARIO Questi?
MADDALENA No!
E anche questi tre vennero fatti uscire; con la camminata stanca, paziente
dei bravi.
COMMISSARIO Questi?
MADDALENA No!
COMMISSARIO Non aveva detto che uno era un mezzo burino... rosso...
Accattone attendeva paziente, coi suoi capelli biondicci, in mezzo agli altri
due pregiudicati.
I tre, tra cui Accattone, vennero fatti uscire, locchi locchi. E gli occhi di
Maddalena li seguirono, come si vede sparire l'apparizione di un sogno.
Accattone si dirigeva verso Il baretto pieno della solita cricca. Era in
canottiera, e luccicava tutto del solito oro: le catenelle, il braccialetto,
l'orologio, due anelli...
Arrivato accanto alla cricca, li prese subito di petto:
Luciano s'inserì a questo punto nel bel dialogo, ridendo con gli occhi di
vetriolo.
Giorgio, sempre con aria da schiaffi, prese l'anello, e pagò. Una profonda
ispirazione profetica quasi felice investì Renato.
RENATO Eh! Sei caduto in disgrazia! Ormai chi te salva più! Nemmeno la
peniccillina!
E Accattone zitto.
BALILLA Me pari proprio 'n accattone. Che brutta fine. Evviva la faccia
de noi ladri! Noi sapemo sempre ind'attaccasse... Basta che allungamo la
mano, pijamo sempre...
ACCATTONE Sì, l'anni de galera!
BALILLA Aricordete, Accattò! Tutti nascemo co 'na vocazzione! Io so'
nato co' l'istinto de fà er ladro, e ecchime qua... e tu non sei nato co' l'istinto
de fà er pappa, ma l'accattone, e eccote là!
ACCATTONE A Balilla! Beato te che sei così sicuro! Infatti guarda quanti
ladri so' diventati ricchi! Ma lassame perde, vattene! Te lo vòi mette in testa
ch'è passato er periodo bellico? Oggi ce so' più guardie che civili! Come
metti un piede fori de casa te carcerano! Ma nun lo vedi che sta a fà er
questore?
Ma si accorse tutt'a un tratto, che il Balilla non era più accanto a lui, era
lontano, accucciato col cane.
Allora, rabbiosamente, sputò per terra, sfigurato in faccia. E la campana
suonava.
Fatto ancora qualche passo, ecco laggiù il funeraletto, che transitava, nero,
in fondo al budello incandescente della strada. Poche persone alla
spicciolata, dietro. E la croce, la croce che dondolava contro il cielo bianco
e i muretti scalcinati delle bicocche. Accattone svoltò a destra per una
strada altrettanto miserabile, lasciò indietro due donne grasse e smorte che
si facevano il segno della croce, camminò svelto sotto il suono della
campana che non la finiva più.
E, fatta ancora qualche decina di metri, arrivò nei pressi della sua meta...
Si fermò, e osservò una delle casette lungo la strada, povera, ma un po'
meno disperata con davanti un piccolo orto, bruciato dal sole.
Sulla polvere, davanti a quella casa, c'erano due ragazzini, sui due tre anni,
innocenti, vivi e zozzi come cuccioletti.
Tra questi ce n'era uno, a cui Accattone subito s'accostò, guardandolo.
Si chinò a farsi dare un bacetto dal figlio, ma proprio in quel momento uscì
dalla porta della casa un vecchio uomo, un burino tosto e canuto, feroce,
che urtò subito ai nervi Accattone.
SUOCERO Che sei venuto a fà, qua?
ACCATTONE Aòh, carmete! Che te so' venuto a levà er piatto de la
minestra? Do' sta quella brava donna de mi' moje?
SUOCERO Do' sta? Sta a guadagnà er pane per tu' fijo! E adesso vedi
d'annattene, che quella meno te vede mejo se sente!
ACCATTONE Ho capito, va'!
Fior de limone
ma chi sarà 'sto giovane per bene
un popolano oppure un gran signoreee!
Fior de limone
ma chi sarà 'sto giovane per bene
un popolano oppure un gran signoreee...
Taceva e osservava.
Intorno intorno allo spiazzo, tutto polvere e erba bruciacchiata, c'erano altre
casette, mozziconi di muretti, mucchi d'immondezza, con qualche
magazzino di bandone arruzzonito.
Lì, sotto al sole che le faceva sfavillare come tizzoni, c'erano sei o sette
montagnole di bottiglie.
Delle donne le stavano capando: le bottiglie della Coca Cola con le bottiglie
della Coca Cola, le bottiglie del Chinotto con le bottiglie del Chinotto.
Un furgoncino le caricava, e le portava via, guidato da due gaglioffi,
smaglianti di sudore, in canottiera.
Una donna, gobba lì accanto sul mucchio delle bottiglie, avvistò Accattone.
Si rivolse allora verso una giovane donna, lontana, che lavorava, e aveva
accanto, su una coperta strappata, una creatura di un anno, alla misera
ombra storta di un fico.
DONNA Ascensa! Ascensa, lo vedi chi c'è? Quel bell'omo de tu' marito!
Accattone sbadigliò.
STELLA Tutt'è l'abbitudine... E poi quando uno cià bisogno, nun sta a
guardà, basta che lavora...
Lei continuava a lavorare, sotto la vampa nera del sole. Lui tirò fuori una
sigaretta, e fumò, abbacchiato.
ACCATTONE Ma dev'esse poco che lavora qua... Nun l'ho vista mai...
STELLA Si, è poco... appena un mese...
Anche stavolta le sue parole avvelenate caddero nel vuoto. Stella continuò
umile a lavorare.
ACCATTONE Come te chiami, te?
STELLA Stella.
ACCATTONE Io Vittorio, piacere! Eh, Stella, Stella... Indicheme er
cammino!
E sospirò amaramente.
Stella lo guardò, continuando a rimestare le sue bottiglie sporche, e sorrise,
imbarazzata, innocente.
Erano arrivati intanto davanti alla casa di Ascensa. Iaio era ancora lì che
giocava con le bottiglie sulla polvere, vedendo la mamma, le corse incontro,
attaccandosi alla sua sottana. Ma Ascensa non lo guardò nemmeno,
infuriata contro il marito.
Il cognato fece invece qualche passo sul metro e mezzo d’orto verso
Accattone.
COGNATO Senti, a trucidone, bisogna che 'na vorta per sempre te metti in
testa che quiii te lo devi scordattelo... se no un giorno o l'altro trovi
qualcuno che te rompe le corna... questo nun è il Circolo San Pietro!
Ora Ascensa era sulla porta, coi figli, accanto al padre malato e infuriato:
Accattone e il cognato erano di fronte sulla strada. Un po' di gente
cominciava a farsi sulle porte e alle finestre, a curiosare. Era soprattutto il
suocero che richiamava l'attenzione, cioccando rauco.
Queste parole le aveva dette cantando, mica con tanta convinzione, però.
Il cognato si infuriò ancora di più: già c'era intorno molta gente, nera nel
sole, che guardava.
COGNATO Ah, te la piji scherzando, eh! Avanzo de galera che nun sei
altro! Giusto la faccia tua ce vò a presentatte qua! Vattene! Che la faccia tua
nun vojo che manco la veda, tu' fijo! Nun vojo che se vergogni d'avecce
avuto un padre così!
COGNATO Lasciala perde mi' sorella, sa'! Scordala mi' sorella! Pappone!
GIORGIO Te dice male, eh, Accattò! Ammazza, sei cambiato dal giorno
alla notte!
ACCATTONE Be', che voi? Eh, beato te, che te puoi magnà pure l'ossa!
Zozzo!
Lo Sceriffo alzò gli occhi al cielo, prendendosi la testa fra le mani, biblico:
Detto fatto comparve Fulvio, salendo la scaletta che portava allo scantinato.
Rise, a vederli, subito, con la bocca sdentata e la faccia ch’era quella dello
scheletro d'un uccello.
FULVIO A Celesteeee!
Prese per il pancino uno dei due figli di Fulvio ch'era li sul letto e gli fece il
tinticarello. Il ragazzino si mise a ridere, ridere.
A pisellò! 'Mbe'? Chi te l'ha attaccato er vizio de magnà, 'sto morto de fame
de tu' padre?
Il ragazzino rideva, rideva.
Renato sbottò a ridere pure lui, con una risata beffarda, la caricatura di una
risata:
RENATO A Accattò, te ricordi quella volta che per magnà... avemo rubati i
soldi a un Cieco?
Risero tutti. Il Cipolla rise ancora più forte, e, soffocato dalle risate, disse
anche lui la sua:
Era passato il tempo che serve a una pentola d'acqua a bollire. E infatti la
pentola bolliva: ecco il momento di mettere giù la pasta.
Tutti erano intorno al fornello, per la delicata operazione.
CIPOLLA A Celè, sbrighete, che sennò qui famo la fine de quelli del
processo de Norimberga!
Accattone osservava, con distacco critico, la pasta che Celeste metteva nella
pentola: e le due salsicce sul tegamino. Poi, di colpo, mise rapidamente una
mano sulla spalla di Fulvio, e gli fece un cenno. I due si allontanarono un
po', sul letto.
ACCATTONE A Fu', ce stai a fà fori quelli? Nun te pare che semo troppi
otto intorno a un chilo de pastasciutta?
ACCATTONE Calli!
CIPOLLA A Fu', te faranno un monumento, per quello che stai a fà! Hai
salvato quattro italiani!
FULVIO Se, un monumento! A 'sto mondo più bene fai e più calci in faccia
ricevi!
RENATO Aòh, per chi ciài preso? Noi semo boni cristiani, sa'! Ce l'avemo,
la riconoscenza! E se un giorno te la dovessi passà male, un piatto de
minestra nun te lo negheremo, sta' tranquillo!
FULVIO Sì, porelli! Però io, se sto senza da magnà, sto dentro casa mia, e
nun vado a elemosinà a casa dell'altri!
Una triste smorfia di disgusto bollò come una macchia profonda la faccia
dello Sceriffo.
Lo Sceriffo si fece brutto: ogni residuo di riso gli cadde occhi, e guardò
intento Fulvio:
Lo Sceriffo fece subito per lanciarsi su di lui, con il suo solito scatto
imprevedibile: Accattone lo trattenne, parlando prima a lui poi a Fulvio.
Accattone dette queste parole con violenza esaltata seguì deciso lo Sceriffo
che era già alla porta. Tutti quattro uscirono con le loro facce da coltello,
scavate dalla debolezza. Solo il Cipolla lanciò indietro uno sguardo di
amaro rimpianto.
Lo Sceriffo si chinò sulla seggiola, e batté per terra coi palmi delle mani:
Accattone, con uno scatto degno dello Sceriffo, si alzò in piedi, tutto
vibrante come un antenna...
ACCATTONE Manco pel cavolo! Nun je la vojo dà 'sta soddisfazzione! E
perché se la deve magnà lui la robba? Magari la butto pe' strada, la do a un
cane! Aspettate, qua! Aspettate qua, nun ve movete! Ve la riporto io la
robba, ce penso io!
Pio allora spinse la macchina nella solita direzione, per la strada quasi
deserta, nel sole delle due.
La fece salire sul sedile anteriore della macchina, tra Pio e lui. La macchina,
così, era piena.
PIO 'Nd'annamo?
ACCATTONE Ar Monte de Pietà!
Stella, guardò anche lei, tanto per guardare, con l'occhio dolce ed estraneo.
Ha il medaglione del padre al collo.
CIPOLLA A Stella, leggi là! Lo vedi con chi ciài da fà? Che te credi che
semo pezze da piedi? Semo italiani, sa', oh!
STELLA Come ve state a scomodà per me... State a perde tutto 'sto
tempo...
ACCATTONE Eh, Stella, che, so' discorsi da fasse? Nun ciavemo niente
da fà, oggi, a Stella, semo libberi e indipendenti...
La macchina prese per un viottolo a destra, con due palmi di polvere, tra
l'erba bruciata.
Ancora silenzio: i tre dietro dormivano profondamente, con tre facce che
erano tre mascheroni di polvere sudore e fame. Dopo un po', sempre timida
e vergognosa, Stella mise una mano sul braccio di Pio.
STELLA Te dispiace, fermatte un minuto?
PIO Come, no?
La testa gli rotolò sullo schienale, come quella d'un Cristo. Pio invece,
sceso a sua volta, osservava quello che faceva Stella. Stella camminava
faticosamente in mezzo agli sterpi del prato, aguzzi, gialli, tra mucchi
d'ortiche, fratte scheletrite.
Poi cominciò a raccogliere dei fiori: miseri fiori mezzi secchi, striminziti.
PIO Aòh, daje un po'! Che, sete venuti qua pe' guardacce! Lavorate pure
voi!
RENATO Adesso co' tutti 'sti fiori, tu' padre ce sta bene per 'n altri du'
anni!
Stella cercava la tomba del padre, e gli altri appresso: per ultimo Accattone,
mezzo morto.
Stella continuava a cercare la tomba: e gli altri appresso, tra le tombe, con
ultimo, boccheggiante come un pesce appena pescato, Accattone. Il Cipolla
smicciava le tombe.
E tirarono avanti.
Ora Stella era ferma davanti a una tomba, la osservava, riconobbe la
fotografia del padre.
PIO E’ questa?
Stella fece cenno di sì. Poi, messi i suoi fiori sulla tomba, si fece il segno
della croce.
Accattone, insieme agli altri, allungò i suoi, barcollando e asciugandosi il
sudore freddo, e Stella cominciò a metterli in cerchio tutt'intorno alla
tomba.
ACCATTONE A Palombi, tirete un po' più là, famme un po' de posto, che
nun je la faccio più...
Stella stava in ginocchio con le mani congiunte e gli occhi bassi, in mezzo
agli altri quattro compari, in piedi, nel sole disperato.
Sempre sotto quel sole, Accattone e Pio stavano aspettando: era domenica,
e il vicoletto del posteggio dei furgoni, dove aspettavano, era vuoto.
PIO Famo 'na cosa casareccia... Se famo 'na bella camminata... Tanto cià un
bel par de piedi, questa... Hai voja camminà...
Pure Accattone con gli occhi diceva una cosa e con la bocca un'altra. Poi
però un'idea lo illuminò.
Così arrivarono nel viale dove andava a battere Maddalena: era giorno,
domenica, e adesso il solo a battere era il sole. La macchina passava
lentamente lungo il marciapiede della vergogna. I tre, insieme sul sedile
davanti, tacevano, sudati. Accattone si guardava intorno, come cercando
delle persone: ma non vedeva nessuno. Fece una smorfia, accese una
sigaretta. Ma fu Stella che avvistò per prima una prostituta sperduta, la
Spagnola.
Pio tornò indietro, riavvicinandosi alla Spagnola, là, con la borsa e le scarpe
scalcagnate sotto il sole.
Frattanto Amore, che stava già dando segni d'impazienza, perdette le staffe,
e gridando fieramente, mosse verso di loro, facendosi solecchio,
sbarbagliata dal sole:
AMORE Ammazza, però, oh! Come la trattate male 'sta povera flja! Siete
proprio du' incoscienti! Che ve ce vò a mandalla in giro un po' più decente...
Mh, cià un vestito ch'è 'no straccetto, e poi guarda che scarpe che cià,
povera fija... un po' de coscienza, no?
Pio non se lo fece ripetere e partì con una sgassata cattiva. Amore restò
indietro, rimpicciolì, indifferente, finché la si vide laggiù che voltava le
spalle alla macchina.
I tre tacquero un po'. Poi Pio diede un'occhiata di sguincio aStella.
PIO Tutti i torti non ce l'aveva mica, Amore... Perchè te vesti così tutta
stramiciata...
STELLA Ma io non ciò niente... Ciò solo questo de vestito... I soldi che
guadagno li devo dà a casa... se no come famo a tirà avanti...
Ecco, a un tratto, la porta della casa si apri. Uscì il cognato, sotto gli occhi
fermi e ansiosi di Accattone: era con la bicicletta. Si rivolse un momento
verso l'interno della casa, disse qualcosa: poi inforcò la bicicletta, e si
allontanò, passando davanti agli occhi di Accattone, che cercava di
scomparire.
Si perdette così nel biancore abbagliante del sole. Accattone di nuovo fissò
verso la porticina sganganata della casa di Ascensa.
Aspettava con maggiore ansia: e infatti subito la porta si riaprì, e,
accompagnata dal padre, che restò sulla porta, uscì Ascensa, col figlio
piccolo in braccio e quello grande che la seguiva attaccato alle sottane.
Ascensa e il padre parlarono un po', ma non si sentiva quello che dicevano.
A quei discorsi a Accattone vennero le smanie e digrignò i denti.
Mentre il bambino lo baciava, Accattone con dita leggere gli sciolse dal
collo la catenella. Si rialzò, emozionato, sudato. Si guardò intorno, e
intanto, sempre per darsi un contegno, come parlando al figlio, parlava roco
fra sè:
PIO Te piace?
I tre entrarono nel negozio, e Pio, con tono magnanimo e malandro, fece al
padrone:
PIO A sor Giulio! Buttate giù quel vestito là, fatejelo un po misurà!
In mezzo alla distesa delle povere scarpe del Casilino, ne indicò un paio
nere, lucide che avevano le sette bellezze.
Il sole brillava sui Parioletti come se fossero d'oro. E una campana s'era
messa a suonare dietro il campo sportivo dei preti, come se fosse domenica.
Accattone fece due tre passi avanti, e si fernò davanti a Stella,
contemplandola da capo a piedi.
ACCATTONE Adesso sì, che sei proprio Stella, de nome e de fatto! Eh!
Nun c'è niente da fà, l'abito fa proprio er monaco!
PIO Sei contenta? T'è piaciuta 'sta robba che t'avemo fatto?
STELLA Sì... so' contenta... siete stati tanto boni tutti due con me... È la
prima volta che ricevo n'azione così...
PIO Eeeeh! Sta a guardà! Che avemo fatto mai! E poi sei na brava ragazza,
te lo meriti!
STELLA Spero un giorno de potè ricambià...
Aveva parlato con malinconia. Accattone arrivò come un adannato. Il viso
era tutto congestionato, e quasi tremava per l'impazienza e l'eccitazione. In
mano teneva una collana di perle scùre e luccicanti.
Si avvicinò a Stella e gliela mise al collo.
Stella si mise a ridere, a ridere. Poi, obbediente, gli diede un rapido bacetto
sulla guancia.
Pio diede la mano, secondo il piano, a Accattone; e poi a Stella, che era un
po' smarrita per quella partenza improvvisa.
Guardava con finta indifferenza verso un pratone con due o tre palazzi; oltre
degli immondezzai tra cantieri di palazzoni.
Camminarono ancora un po' appaiati per la via formicolante: Accattone
contemplava Stella.
Disse queste parole un po' greve, con un po' di rabbia, e Stella fu subito un
po' impaurita.
Stella fece spallucce: ma Accattone con un gesto rapido le mise una mano
sulla spalla, e la strinse a sè, come fanno i fidanzati quando passeggiano.
ACCATTONE Te, nun te senti niente, pe' me? Rispondi! Guarda che mica
scherzo, sa'... Nun ce credi, che te vojo bene? Te lo giuro...
STELLA Perchè me vòi bene?
ACCATTONE Perchè? Prima de tutto perchè me piaci... e secondo poi,
perchè te vedo così strana, senza difesa... te vedo così sola... Me pare che
ciàj bisogno pure te, de un conforto... E lo sento che io e te insieme stamo
bene, nun te sembra?
STELLA Noo, nun scherzà, è 'na cosa seria... Te la devo dì pe' forza... Io
vojo che sai tutto, de me... Lo sai, io mio padre nun ce l'ho, m'è morto in
guera... E mi' madre pe' tirà avanti,, ha dovuto fà la donna de strada... come
quelle ch'avemo visto ieri io te e Pio...
ACCATTONE Aaaah!
STELLA Te l'ho voluto dì, perchè nun volevo che tu me giudicassi in
un'altra maniera...
STELLA Io a mia madre je porto odio, per questo... Anche se capisco che
l'ha fatto pe' damme da magnà a me... Pero c'erano tante maniere...
ACCATTONE Iiiih! Che avrà fatto mai! Invece che ammiralla, tu' madre!
Tutte le madri de famija lo farebbero, questo, pei fiji! Pure mi' madre lo
farebbe pe' me...
ACCATTONE Quando una persona arriva a quel punto lì, vor dì che vuò
bene! Tu' madre nun se l'è comprato, quer mestiere, l'ha fatto pe' te! No le
capisci, te, 'ste cose! Un monumento, je dovresti fà, te, a tu' madre...
Eccitato si distese su un pezzo di terreno un po' più pulito tirando giù con sè
Stella. Che lo fece con molto riguardo per il vestito nuovo. Accattone se la
mangiava con gli occhi.
Disse quel « sì » con un filo di voce, come con vergogna. Con un impeto
mai provato d'amore, Accattone si buttò sopra di lei.
La bocca di Renato era spalancata, con tutti i denti fuori, scoperta fino alla
carotide, aaaam, uno sbadiglio che era il vecchio ruggito del leone della
M.G.M. Finito che ebbe di sbadigliare, con gli occhi ancora stravolti e
luccicanti, sbottò ineffabile:
RENATO Aòh, voi che sapete tutto: ma che je sta succedendo a Accattone?
Gli altri erano seduti a far niente, sbragati sulle seggiolette. Lo sguardo
azzurro di Giorgio era carico di disprezzo.
GIORGIO Ah, niente! S'è innamorato, e è l'omo più felice del mondo... Er
dritto!
Era il fratello piccolo di Accattone, Sabino, che andava al lavoro. Egli era
incerto se avvicinarsi al gruppo, un po' intimidito, benché malandrino.
RENATO Tu' fratello Accattone che fine ha fatto? So' tre giorni che nun se
presenta, addò sta?
SABINO Boh, che ne so? Se no lo sapete voi che siete amici sua!
ALFREDINO Ma adesso indò vai, a lavorà?
SABINO 'Mbe'?
ALFREDINO È così che piji esempio da tu' fratello più grande?
Vergognete! Tu' fratello nun ha lavorato mai, ricordete! Ha fatto sempre
lavorà l'altri! Fratello degenere!
Sabino camminò ancora un po' risentito per conto suo: ma poi si voltò
inaspettatamente, e, proprio di cuore, fece una rapida, simpatica pernacchia.
GIORGIO Guarda, per piacere, che io ciò l'occhio lungo, le vedo ste
cose... E poi chi è Accattone? Er duro de Roma? Guarda che in fondo in
fondo Accattone è 'no stupido, sa'... Accattone è l'ultimo de la classe qua in
mezzo, sa'!
RENATO Io dico solo 'na cosa: che se viene a l'orecchio de Maddalena che
Accattone sta co' un'altra donna, e disgraziatamente la manda a batte,
Maddalena mette sotto sopra le Mantellate, ma lo fa carcerà!
MOMMOLETTO Orate frates!
Sul fare della sera, qualche luce cominciava a accendersi qua e là, nella
baraonda del quartiere nell'ora del ritorno dal lavoro. Accattone aspettava,
paziente. Si era un po' ripulito, chissà come: e sì controllava nel vetro d'una
vetrina. Pareva soddisfatto.
Ed ecco che Stella arrivò quasi di corsa, col vestito nuovo, le scarpe nuove
e la collana.
ACCATTONE Ciao!
STELLA Ciao!
Intorno a due tavolini uniti, sulle seggiole di legno, contro il buio del
Tevere, c'erano tutte le facce dei compari: già mezzi imbriachi; Accattone,
con gli occhi che gli bruciavano; Luciano, Alfredino, Giorgio, Renato e le
donne, Stella, Amore, e altre due nuove, la Sardegnola e Margheritona.
Accattone beveva avidamente un bicchiere di vino.
GIORGIO Bevi, che te fa bene! Poi te imbriachi e fai venì tutte le guardie
de Roma!
ACCATTONE Che me lo paghi te? E vattene! Meno te vedo e mejo me
sento!
GIORGIO Fai schifo, fai.
ACCATTONE Alla faccia tua e de chi me vò male!
AMORE Tiè, alla faccia de tutti l'omini! Guarda che collana… guarda che
orecchini... guarda l'oro... guarda che vestito... guarda che scarpe:
dodicimila lire!
Dicendo questo fece tutti i gesti necessari a mostrare le che elencava, come
una matta.
AMORE Guarda queste che ciànno, che ciànno addosso l'omini... Co' 'na
scarpa e 'na ciavatta, e manco un pezzetto d'oro...
Infatti le altre due erano umili come Stella. Ma Alfredino allungò di botto
un braccio: dove luccicarono un cronometro, un bracciale e due anelli:
Luciano si alzò, e fece una specie di balletto con la grande giacca in mano
sull'angolo del galleggiante:
ACCATTONE Chi se gioca tutto quello che se semo bevuto, che me butto
da ponte!
GIORGIO Ma datte 'na lavata ar grugno! Sei imbriaco che fai schifo!
ACCATTONE Che ciò, che ciò d'avè? No lo vedi che ciò, no vedi come
me so' ridotto? Me faccio schifo da me stesso! Lo sai prima da conosce a te
chi ero? Pzt! Ciavevo la machina, i soldi in saccoccia nun me mancavano
mai, tutto quello che volevo ciavevo... vestiti in quantita... catenina,
orologio, anelli, bracciali... Ero pieno, d'oro! E invece ecchime qua, adesso,
a aspettà la manna dar cielo!
ACCATTONE E così ieri sera, eh? Te sei data alla pazza gioia! Te sei fatta
consolà, da quel farlocco, giù a fiume... M'avessi portato un po' de rispetto,
per me! Niente! Io me credevo che tu eri differente... E’ la prima volta in
vita mia che me so' sbajato, lo vedi? Bella figura che m'hai fatto fà davanti
all' amici... Hai visto come ridevano su le spalle mia?
AMORE Ormai che sei qui, mettete l'anima in pace! Fa' quello che famo
tutte noi! Tanto no esiste nè inferno nè paradiso!
Ed ecco che portata dal caso di quella notte, arrivò locca locca una
Topolino; lungo il marciapiede del viale.
Accattone la guardò subito, con interesse: anche la Spagnola aveva
avvistata quella Topolino che arnvava.
La Topolino si fermò all'altezza delle donne, e Amore, sicura del fatto suo,
le andò incontro, tutta su di giri...
Il cliente mise fuori la testa dal finestrino, e salutò Amore:
CLIENTE Ciao, bella! Ce corri da chi te vuol bene, eh?
Amore fece per entrare nella Topolino, ma, facendo capoccella, il cliente si
accorse di Stella, e subito s’incunosì.
L'uomo scese dalla Topolino senza dar retta alle fosche parole di Amore e si
avvicinò a Stella: la guardò a due palmi dal naso, un po' lercio. Ci fu un
breve silenzio.
Stella accennò di sì con la testa, senza muoversi, sempre con gli occhi bassi:
STELLA Sì...
CLIENTE Eh! Tanto oggi lo fanno tutte... Una de più una de meno... Tanto
il mondo è diventato una chiavica... Coraggio!
CLIENTE Sicchè io so' fortunato... È la prima volta che vai co uno eh? Te
vergogni? Scommetto che nun sai manco come devi fà...
Cercò di baciarla ancora una volta. Ma ora Stella resisteva più vivacemente
e tirò la testa indietro, contro il finestrino.
CLIENTE Oh, mica t'ho caricata su la machina pe' 'na gita de piacere, sa'!
Viè qua, no fà la santarella!
Cercò di agguantarla di nuovo: e di nuovo, in silenzio, Stella si ribellò.
E si allontanò sparato sulla moto del Secco, sparendo nel buio del viale,
diretto verso l'Appia.
AMORE Così te impari a stà ar mondo! Sei rimasto a bocca asciutta, eh?
Mo attacchete a la funtanella!
CLIENTE Bona notte! Stateve bene!
Tacque ancora. Intorno a lui il silenzio dei ruderi, dell'erba, del cielo, delle
luci che scintillavano tristi, lontano, fin sui Castelli.
Ed ecco laggiù comparire un'ombra: l'ombra di Stella.
La jeep della Buon Costume filava veloce pei viali deserti della periferia,
Sotto i globi bianchi dei lampioni.
Amore era stata acchiappata, e con lei la Spagnola: ma Amore, già rabbiosa
da prima, non ci stava, e urlava come una scimmia, feroce.
Tacquero un po'. Poi Amore, col suo visuccio tutto occhi, sfigurato da un
sottile e disperato odio, la interrogò.
AMORE Per chi te fai bella? Famme capì...
MADDALENA Perché?
AMORE Mah! Tanto chi t'ama t'ha lassato...
MADDALENA Davero?
AMORE L'ha messa a batte pure lei... Pora Stella... Certo ciavevi un omo
ch'era un genio...
Maddalena era tutta bella pettinata, con la sua rosa sulla tempia: concluse
indifferente:
Alle sue spalle, era sempre immobile, senza sguardo e senza sentimenti, la
guardia in borghese.
MADDALENA Voi no lo conoscete chi è quello! Quello è capace de tutto!
È capace de qualsiasi cosa, pe' stà bene lui! Pure de ammazzà! Voi lo dovete
carcerà! Lo dovete carcerà! Nun se merita de stà ar mondo! Lo dovete
carcerà!...
Gridava, gridava, come una ragazzina, mentre gli occhi del commissano si
incrociavano con gli occhi della guardia, in paziente silenzio.
L'agente in borghese, con aria loffia, era lì, sotto il sole – come un ammasso
indifferente di carne e stoffa.
ACCATTONE Entra!
Nannina venne avanti, con l'ultimo figlio al seno e gli altri alle sottane,
incerta, un po' spaventata, ma cortese:
NANNINA Fortunatissima!
ACCATTONE Se semo aranciati prima... Se potemo arancià adesso... Non
te sembra, Nannì?
NANNINA Dia a me!
ACCATTONE 'A Stella, sei contenta... Dio mio, questa nun e' una reggia...
Mah! L'essenziale è che nun ce piove... Di', sei contenta?
STELLA Basta che sei contento te, a Vittò...
ACCATTONE Due, so' le cose: o so' diventato matto o m'e' tornato er
cervello!
Nel frattempo Nannina aveva tirato fuori da una scatola sotto la sedia una
bottiglia di marsala, e aveva cominciato a versarla nei grossi scompagnati
bicchieri da vino.
La cerimonia si compiva in silenzio, sotto gli occhi avidi, ardenti dei cinque
poveri ragazzini.
Nannina diede il suo bicchierc a Accattone, il suo a Stella, e bevvero.
La guardia era ferma all'angolo della strada. Era mattina, il sole fresco. E la
guardia se ne stava lì, zitta, un ammasso di carne e stoffa, a guardare.
Ed ecco che il suo occhio loffio si accese: aveva visto.
Accattone stava venendo su dalla solita strada, e passava davanti al baretto,
dove c'erano due tre dei soliti amici: lo Sceriffo, il Cipolla, Mommoletto.
Ma Accattone non rispose nemmeno: inghiottì con aria amara, e tirò avanti.
Accattone niente: tirò di lungo: e la guardia gli si mise a ruota, lo seguì che
andava verso la strada principale, dove passava il tranvetto, alla fermata, tra
il misero capannello di gente che aspettava.
Tra la gente, carino e pulito come sempre, c'era il fratello adolescente di
Accattone, Sabino.
ACCATTONE Allora?
SOR PIETRO Che sai fà?
ACCATTONE Da ragazzino ho fatto er tornitorc.
SOR PIETRO Qua i torni nun ce stanno.
ACCATTONE Io solo quello sapevo fà...
SOR PIETRO Be', attacca, va'!
Davanti alla distesa del ferro c'era la faccia allibita di Accattone che
guardava:
SOR PIETRO Aòh! Daje, fateve coraggio! Un po' de bona fantasia e finite
subbito!
ACCATTONE Sì, da campà!
L'Ape filava, ormai carica di ferro. I due schiavi erano distesi sopra il
mucchio di ferro che avevano caricato. Accattone era già finito dalla fatica:
parlava col fiatone e asciugandosi il sudore dalla faccia bianca.
Il furgone arrivò allo scalo di San Lorenzo, entrò e arrivò sotto una tettoia
lunga un chilometro, una specie di hangar dove pulivano le locomotive.
Come l'Ape fu ferma, il padrone si sporse dallo sportello:
E quasi si sturbò, mentre, scuotendo quel suo povero corpo sul mucchio del
ferro, il furgone ripartiva sotto il sole.
Sempre sotto l'occhio della guardia, ecco là Accattone che ripassava davanti
al baretto dei compari. Era già quasi notte, una bella notte fresca d'estate coi
profumi delle minestre e le radio accese. Così stavolta c'era una bella cricca
al baretto, tutti sbragati sulle seggiolette. Accattone, come al mattino, tirò
via dritto.
Ma come i compari lo smorfirono, subito si lanciarono a fare un po' di
moina:
GIORGIO Accattoneeeee!
E siccome naturalmente Accattone non si voltò, il Secco gli fece una
pernacchia.
Accattone reagì dì scatto, nero come un demonio, in una delle sue crisi
matte, da epilettico:
ACCATTONE M'è successo che so' 'no stronzo! Ecco quello che m’è
successo! Me so' ito a ammazzà, pe' mille lire! Gesù Cristo nun me poteva
fà venì un colpo stamatina quando so' uscito da casa...
STELLA A Vittò, calmete... Nun dì così...
Sotto gli occhi impauriti di Stella e di Nannina coi suoi cinque figli,
Accattone continuava a urlare, come un epilettico.
STELLA A Vittò... Se tu vedi che nun je la fai a annà a lavorà... Io so' pure
disposta a tornà pe' strada, se pensi ch'è mejo così...
ACCATTONE Ma che dici! Falla finita!
ACCATTONE Sì! Te vai pe' strada! Ma falla finita!... Ormai ho deciso che
ce penso io a te! Basta! Tu devi stà a casa! Quando me metto in testa 'na
cosa io dev'esse quella! O il mondo m'ammazza me, o io ammazzo lui!
RENATO 'Namo, nun venghi? Semo tutti pronti, nun ce vedi? Te stanno a
aspettà!
ACCATTONE 'Namo!
Pio si volta, lo guarda, con uno strano viso serio: e poi, come in una
improvvisa decisione, preso da pietà verso Accattone, gli dice:
Accattone lo ascolta atterrito, bianco come la cera. Alza gli occhi, e infatti,
su, in fondo alla miserabile strada bianca, passa un funeraletto nero, con in
testa la croce che ondeggia.
Gli amici e Accattone lo raggiungono, e camminano dietro al carro nero con
la bara.
In testa un po' alla volta, Accattone resta solo: dietro vengono, muti, gli
altri.
La voce di Renato echeggia strana in tutto quel silenzio.
ACCATTONE Fatemela più in là... poco poco.. Per favore a sor mae...
VECCHIETTO E va be'!
E comincia a scavare un po' più in là, nella luce della chiara vallata.
L'osteria era quasi vuota, invasa dal sole a striscie della stecconata. La luce
sbarbagliava in fondo, nel cortiletto secco col fico.
A un tavolo quattro giovincelli giocavano muti una partita a carte: tra essi
c'era Cartagine.
A un altro tavolo, a bere mezzo litro, c'erano il Balilla e un suo compare.
Accattone prese subito di petto il Balilla:
ACCATTONE A Balì, nun ciò 'na lira nemmeno pe' fà piagne un cieco!
Ieri ho provato pure a annà a lavorà, lo sai, Sì!
BALILLA Che vergogna!
ACCATTONE Che volemo fà?
BALILLA Er mondo è de chi cià li denti!
Così dicendo mise delle monete sul tavolo e si alzò. Alzandosi, si rivolse al
Cartagine, con un fischio.
FULVIO Tiè, te li rigalo tutti! Carica tutta 'sta monnezza, portatela via!
ACCATTONE Quello?
BALILLA Lascia fà al Balilla!
Gli si erano ringalluzziti l'occhietti, e cominciò a camminare più svelto,
seguito dagli altri due, non verso il camion indicato da Accattone, ma verso
un altro camion, un poco più avanti, che era carico di caffè.
Cartagine, colpito sul vivo, si mise sulla difensiva: ma già gli scappava da
ridere.
ACCATTONE Ah, ah, ah! Ciài 'na fortuna, nei piedi te! Perchè no la sai
sfruttà... Er DDT ammazza le mosche ma che je fà, te co' la puzza tua
ammazzi pure i cavalli!
Fecero cosi qualche passo con aria consolata e piena di belle prospettive
future, quando gli agenti, inaspettati come la fatalità, li pararono.
Tutto avvenne come senza senso e senza ragione, nell'oro del sole che
tramontava su Testaccio.
Cartagine e il Balilla, già ammanettati, videro Accattone correre, sbandare,
buttarsi su una motocicletta ferma accanto a un baretto sull'orlo del
marciapiede, salire, partire a tutta velocità.
E mucchi di gente intorno che correva, che gridava.
Si sentì il rombo della motocicletta, che scomparve in fondo a una
trasversale, veloce. Poi un improvviso botto, silenzio e urla, urla strane, con
la gente che accorreva più fitta. Anche l'agente, e Cartagine e il Balilla,
ammanettati, corsero in fondo alla strada, e si fecero largo tra un mucchio di
gente, che guardava impressionata.
La motocicletta era fracassata contro la parte davanti di un camion.
Accattone stava lungo, sanguinante, sul marciapiede, nel posto dove poco
prima lui e gli amici avevano tanto riso. Cartagine si buttò su di lui,
spaventato e piangente come un ragazzino.
(1960)