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ISBN 978-88-856-0394-3
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INDICE
Copertina
Collana
Frontespizio
Colophon
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Titolo originale dell'opera
Brooklynaire
1
2 aprile, Brooklyn
22 aprile, Brooklyn
24 aprile
26 aprile
1 maggio, Tampa
15 maggio, Brooklyn
21 maggio, Brooklyn
22 maggio, Brooklyn
Merda. Certo.
Nate: Verrai in tribuna con me martedì?
Nate: Spero che tu stia dormendo, ma volevo solo farti sapere che mi manchi.
Avrei voluto usare un palindromo, ma sono fuori fase. Vorrei tanto avere
anche un palindromo per: perché non sei nella mia suite in questo momento?
Rebecca: Ciao, marinaio. Mi ero appena appisolata quando si è illuminato il
telefono. Neanch’io conosco palindromi per la buonanotte. Ma ce ne sono a
tema sesso? Voglio dire, a parte “ERO MANIACA IN AMORE”.
Nate: RECAI PIACER.
Rebecca: Bello. L’hai cercato su Google?
Nate: Faccio finta di non aver sentito. Per favore.
Rebecca: Io non mi sento in colpa per averli cercati su Google. Ho trovato
“EPPURE LE RUPPE”. Ma ha un doppio senso solo se hai una mente
perversa come la mia.
Nate: Non cambiare mai. Adoro la tua mente perversa.
Rebecca: Da discutere anche “È ROTTO DOTTORE?”
Nate: Poveraccio. Che ne dici di “ERA GELOSO, ANNA OSÒ LEGARE”?
Rebecca: Troppo maschilista. Meglio “ERA DONNA D’ANNODARE”
Nate: Touché.
Rebecca: Grazie.
Nate: Ora sono eccitato.
Rebecca: Scusa. So che ti eccitano i giochi di parole.
Nate: Argh, sì. Ma anche tu. Dove sei? Potrei intrufolarmi in camera tua. Un
giorno vorrei non dovermi intrufolare.
Rebecca: …
Nate: Ehi, niente panico. Non mi sto lamentando.
Rebecca: Non sono nel panico. Sto pensando. Ricordati che la gente
normale pensa meno rapidamente di te. Il mio cervello ha bisogno di tempo
per processare le cose, come succede al resto di noi poveri mortali.
Nate: Amo il tuo cervello. E anche le tue tette.
Rebecca: Giusto diversificare. Amo il tuo cervello. E anche la tua lingua.
Nate: Aaargh. Sali quassù. È RITROSA A SORTIRE. Eccoti il tuo palindromo.
Rebecca: Non sono di sopra con te perché non sono nella formazione
ufficiale, in questo momento. Sono tra gli infortunati.
Nate: Cosa? Ti sei fatta male? Cosa è successo? Mi sembrava che
zoppicassi.
Rebecca: No! Era una metafora sportiva. Sto bene.
Nate: Quindi? Metafora? Cosa?
3 giugno, Dallas
5 giugno, Dallas
10 giugno, Brooklyn
Salire al piano dirigenziale per la prima volta dopo due anni è uno
sballo. È tutto esattamente com’era, dai pesanti tappeti
d’importazione alla macchinetta dell’espresso nel cucinotto.
«Ehi!» mi sorride Lauren dalla sua scrivania fuori dall’ufficio
privato di Nate. «Come sei chic.»
Un complimento da Lauren. È uno sballo ancora più
dell’arredamento immutato. «Grazie» dico un secondo troppo tardi.
Lauren è cento volte più sorridente del solito. O ha subito una
lobotomia o tornare insieme a Mike Beacon le ha fatto bene.
«Nate sta scambiando due parole con Alex Engels. Vuoi che lo
avverta che…?» Non appena me lo propone, però, la porta
dell’ufficio di Nate si apre e compare Alex. Batte le palpebre,
sconvolta, quando mi vede lì. Apre la bocca e poi la richiude. Infine,
abbassa la testa e se ne va.
Tre secondi dopo, è completamente sparita dalla vista, nascosta
dalla banchina dell’ascensore.
«Cosa?» esordisco stupidamente. «Un po’ strana o sbaglio?»
«Direi.» Lauren alza le spalle. «È scappata via, eppure non vedo
incendi.» Poi indica la porta. «Entra pure. Non ha riunioni per la
prossima mezz’ora.»
«Grazie.» Entro nell’ufficio, ma Nate non mi vede. È di spalle.
Fermo davanti alle finestre terra cielo con le mani dietro la nuca. Una
posa molto maschile. Non riesco a immaginare cosa stia guardando,
dato che là fuori c’è una nebbia così fitta che non si vede neanche il
fiume.
Chiudo la porta dietro di me con un piccolo clic. «Nate?»
Si gira di scatto. E il suo viso è… sofferente. Non mi viene in
mente un’altra parola. Ha la fronte aggrottata e le rughe profonde
suggeriscono che è preoccupato.
«Ciao» lo saluto a bassa voce, avvicinandomi alla scrivania.
Non risponde, ma in quattro falcate gira intorno alla scrivania e mi
raggiunge. Il suo bacio è un tornado sbucato dal nulla. Rapido e
feroce.
Mi ci vuole un attimo per entrare in gioco, ma un bacio così
famelico non può andare sprecato. Alzo il mento e rispondo al fuoco.
Gli afferro la nuca per incoraggiarlo.
Nate emette un verso basso e ingordo dal profondo del petto. Lo
sento ovunque. Rimbomba nello stesso angolo buio del mio
subconscio dove vivono le mie fantasie più sfrenate. Dev’essere per
questo che interrompo il bacio e faccio una cosa che non avrei mai
pensato di fare nella vita reale: allungo la mano e premo il pulsante
sulla scrivania di Nate per chiudere a chiave la porta.
I suoi occhi fiammeggiano e ha il petto ansante, come se avesse
corso dieci chilometri sul tapis roulant nell’angolo.
E poi mi attacca. Non c’è altra parola che si addica al suo assalto.
Le sue mani e la sua bocca sono dappertutto. Con il retro delle
ginocchia, urto il divanetto e ci cadiamo sopra.
Il petto di Nate è una parete di calore e la sua bocca è ovunque:
collo, mandibola, gola. Sono sopraffatta da lui e questo mi dà alla
testa. Quando mi porta la mano tra le gambe, serro le cosce per
l’aspettativa.
Ciò che sta accadendo è sorprendentemente vicino alle mie
fantasie, se non fosse che… «Nate?»
Grugnisce in risposta infilandomi la lingua nell’orecchio.
«Tutto bene?»
«No.» Mi tira su il vestito. Per qualche motivo, ho ancora i tacchi ai
piedi. Spero che non si pugnali da solo. «Ho bisogno di te» mi dice
con voce roca.
«Prendimi» annaspo.
Circa due secondi dopo, mi ha tolto gli slip e una scarpa. Se lo tira
fuori con la stessa frenesia di chi fugge da un edificio in fiamme. Mi
prende la gamba libera, mettendosi il mio ginocchio sotto il braccio,
e mi penetra con un’unica lunga spinta.
Solo allora si ferma. E finalmente mi guarda negli occhi. I suoi
sono splendidi e scuri e preoccupati. Gli rivolgo il sorriso più bello
che riesco a imbastire, anche se sono senza fiato e leggermente
attonita. Espira lentamente, appoggiandosi sugli avambracci. E
guadagno un altro bacio. Più morbido, ma non meno urgente. Le
nostre lingue si toccano, i denti urtano appena.
«Sì» ansima, muovendosi dentro di me.
La mia pelle si infiamma e poi si accappona. Non ho mai provato
così tante emozioni in così breve tempo. Il suo ritmo è incessante.
È bellissimo, ansante nel suo completo, e un leggero luccicore di
sudore gli vela la fronte. «Bec» geme.
Lo stringo a me con tutto il corpo ed emette il verso di una bestia
torturata. È selvaggio e disperato, e Dio solo sa perché quel suono
mi manda in orbita. Un minuto dopo, però, mi sto mordendo la lingua
per non gridare e sussulto sotto di lui.
Solo a quel punto Nate sembra lasciar andare qualsiasi cosa lo
stia tormentando. Si punta sugli avambracci e affonda il viso nel mio
collo. «Cazzo» sussurra, rallentando le spinte. Lo sento contrarsi e
scuotersi. Poi, finalmente, si rilassa.
Segue il silenzio. Cerchiamo di regolarizzare il respiro, ma non è
facile.
«Scusa» dice ancora, le labbra contro la mia pelle.
«Non ti scusare» sussurro immediatamente. «È stato alquanto
eccitante.»
«No… lo so… è che…» Impreca. «Scusa per i problemi che ti sto
per creare. E per averti inchiodato sul divano prima ancora di darti
spiegazioni.»
Con mano pigra gli accarezzo la testa. «Cosa può esserci di così
brutto dopo questo?»
Aspetto che rida, perché Nate ride sempre quando siamo a letto.
Si alleggerisce e il suo sorriso diventa quello di un ragazzino.
Oggi, però, non succede. Si libera con un sospiro. Poi, di fatto, mi
tira su e mi posa sul tappeto. «Ti ho ridotto a un casino.» Mi alliscia
la gonna. «Avevi pure un bel vestito.»
Mi guardo, perché avevo dimenticato di essere tutta in tiro e che
ero andata lì per spiegare la mia visita a Manhattan. Ora, tuttavia,
penso che possa aspettare. «Dimmi che succede.» Ha la camicia
storta, così gliela sistemo mentre lui si chiude i pantaloni.
«Sediamoci.» Guarda il divano con trepidazione. «Ehm, vieni qui.»
Va a prendere una delle poltroncine degli ospiti e la gira di fronte al
sofà.
Approfitto di quel momento per recuperare gli slip e infilarli.
Individuo le scarpe e mi siedo.
Siamo faccia a faccia e Nate mi posa le mani sulle ginocchia.
«Ricordi quando ti ho detto che non ero poi così complicato? Giuro
su Dio che lo pensavo davvero. Ora devo confessarti una cosa.»
Mi si rivolta lo stomaco: il suo sguardo è davvero brutto.
«Alex è incinta di due o tre mesi e ha bisogno di escludermi.»
«Incinta?» Mi ritiro sulla poltrona come se mi avesse dato un
pugno. «Di…» Non riesco neanche a ripeterlo, ma non riesco,
invece, a trattenermi dallo sputare fuori ciò che ho nella testa. «Ti
avevo chiesto se c’era qualcosa tra voi. Hai detto che lo avevate
fatto una volta sola e ho pensato che fosse accaduto al college.»
La sua vergogna è immediata. «È successo una volta sola.» Mi
stringe il ginocchio. «E sul quando… era quello che volevo farti
pensare. Non volevo che sapessi quanto fossi stato stupido quella
sera di marzo.»
Non sta mentendo, mi fa notare quel mio stupido cuore
speranzoso. «Quindi potresti avere un figlio da Alex» sussurro.
«È una leggerissima probabilità, ma aveva bisogno di controllare.
È molto più probabile che il padre sia l’altro. Un uomo che l’ha
picchiata.»
Resto a bocca aperta. «Figlio di puttana.»
«Già.» Nate si inumidisce le labbra. «Sono... ehm… attonito
anch’io. E incazzato con me stesso. Non era così che volevo
andasse il nostro primo anno insieme.»
«Se fosse tuo,» chiedo, «che farai?»
Nate fa spallucce. «Ho avuto questa notizia appena cinque minuti
prima che entrassi tu. Non ho idea di cosa succederà. Vorrei essere
presente, se fosse quello che vuole anche Alex. Con il bambino. Non
con Alex. Io amo te, e questo non cambierà mai.»
Faccio un profondo respiro e poi lo rilascio. Non ho sentito quello
che Nate ha detto ad Alex. Scommetto che non è stato un discorso
facile, ma scommetto anche che Nate è stato gentile e un buon
amico. Quindi posso esserlo anch’io, no? Giusto? Per quanto mi
faccia ribrezzo l’idea di Nate che spoglia Alex appena poche
settimane prima di spogliare me, posso comportarmi da adulta.
«Porca miseria, pivello» esclamo. «Scopi una volta sola e arriva il
test di paternità?»
«Già.» Il suo sguardo è ancora imbarazzato. «Quando faccio un
errore, lo faccio in grande.»
«Oh, Nate» ridacchio, ma molto probabilmente a causa dello
stress. «Mi dispiace. Povera Alex. Povero te.»
«Me la caverò. Non mi avrebbe nemmeno scosso più di tanto, se
non ce la stessi mettendo tutta per convincerti di essere un buon
partito.»
«Davvero?»
«Cercare di convincerti? Sempre.»
Ooh. «Tu sei un buon partito. Certo, se tu e Alex finirete per avere
un figlio insieme, io sarò incredibilmente gelosa.» Ecco, l’ho detto.
Si protende a stringermi in un abbraccio. Mi posa un bacio sulla
mandibola e mi sussurra «Preferirei di gran lunga averlo da te.»
Non dico nulla, perché ci siamo avventurati in un territorio delicato.
Mi appoggio a lui, comunque, per fargli capire che l’idea attira anche
me.
«Becca, mi ci sono voluti sette anni per capire quanto abbia
bisogno di te. E non permetterò a nessuno di mettersi in mezzo.»
«Andrà tutto bene» sussurro. Anche se adesso ci toccherà
affrontare gara 7 con il pensiero del test di paternità. «Quanto ci
vorrà per il risultato?»
«Non molto. In effetti…» Mi lascia andare, poi si china a prendere
una busta dal piano della scrivania. «Alex mi ha lasciato questa per
te. Quasi me ne dimenticavo.» Me la passa. Dentro c’è un biglietto.
Rebecca, ti devo delle scuse mostruose. Spero che mi crederai se
ti dico che di solito non sono l’emerita stronza che sono stata in
Florida. Ero terrorizzata all’idea di essere incinta e per ciò che
questo avrebbe potuto significare per tutte le persone coinvolte. Me
la sono presa con te e meriti di sapere il motivo. Il modo in cui Nate ti
guarda è meraviglioso e raro. Ti guarda come se fosse pronto ad
attraversare il fuoco per te. La maggior parte di noi non troverà mai
niente del genere, quindi ti auguro di trovarlo nel tuo cuore e
apprezzarlo. Mi dispiace essere il terzo incomodo che vi complica la
vita in questo momento. Spero che tu possa perdonarmi. A.
«Cosa dice?» chiede Nate, osservandomi con occhi attenti.
Mi si chiude la gola. «Dice che le dispiace. È un biglietto molto
bello.»
«Alleluia. Alex è una buona amica da anni. Non l’avrei mai potuto
sopportare, se non fosse stata carina con te.»
Vedremo, penso.
«Ti va un caffè?» chiede. «Vaffanculo. Penso che manderò all’aria
il resto della giornata.»
«Davvero? Wow!» È la prima volta che gli sento dire una cosa del
genere.
«Ehi… come mai sei qui in centro?» mi chiede.
Scuoto la testa. «Ne parliamo in un altro momento.»
«Spara» mi incoraggia. «Posso sopportarlo.»
«Beh, non sono incinta.»
Sorride. «A quello possiamo rimediare.»
«Spiritoso.» Traggo un profondo respiro. «Okay. Non dare di
matto, ma avevo un colloquio di lavoro.»
Nate sbatte le palpebre. «Un colloquio? Per te?»
«Sì» confermo a bassa voce. «Probabilmente non è il lavoro che
fa per me. Ho fatto solo qualche telefonata e una rapida riunione. Ma
è una cosa che potrei prendere in considerazione.»
Nate appoggia i gomiti sulle ginocchia e si prende la testa tra le
mani. «Bec, mi fa stare peggio questo che quel dodici percento di
possibilità di aver messo incinta Alex.»
Dodici percento. Non mi stupisce che Nate e Alex abbiano
calcolato una percentuale precisa. «Non sto dicendo che me ne
andrò di sicuro. Mi sto solo guardando intorno.» Quel colloquio di
lavoro è stata una cosa improvvisa e casuale. Ho ricevuto una
chiamata da un tipo che vorrebbe mettere su una nuova squadra di
hockey femminile nell’area dei tre stati. Pia illusione, a questo punto.
Ho bisogno di pensarci bene, prima di lasciare i Bruisers.
Nate rialza lo sguardo. «È tutta la tua vita, l’hai detto tu stessa. Tu
ami la squadra.»
«Lo so.» L’ho detto davvero. «Ma amo anche te. Quindi voglio
solo valutare cos’altro c’è là fuori per me e dove potrei andare a
lavorare senza essere la ragazza del proprietario. Magari non
succederà niente, ma voglio almeno provare a considerare l’idea. Te
lo dico adesso, per risparmiarti l’eventuale shock.»
Nate mi porge la mano con il palmo in alto. «Fa’ tutto ciò che ritieni
opportuno. Voglio solo che tu sia felice. Ma prima di concludere, mi
prometti che ne riparleremo?»
Questa è facile. «Promesso.»
«Grazie per essere stata grandiosa.»
«Non sei stato male neanche tu.» Mi sorride proprio mentre la
voce di Lauren nell’interfono lo avvisa che sta per cominciare la
riunione finanziaria.
«Annulla» dice, titubante. «Non mi sento bene e penso che andrò
a casa.»
«Ehm…» Percepisco lo shock nella risposta di Lauren. «Okay. Li
avviso.»
E dopo esserci ricomposti alla meglio nel bagno privato di Nate, ce
ne andiamo mano nella mano.
31
18 giugno, Dallas
Prima Stanley Cup e primo figlio nello spazio di tre ore per la
proprietaria della squadra.
Un amore da principianti
Al liceo erano la coppia di fidanzatini perfetti... fino a che lei non
lo ha piantato in asso.
Un amore da principianti
Al liceo erano la coppia di fidanzatini perfetti... fino a che lei non
lo ha piantato in asso.