Sei sulla pagina 1di 13

PODCAST ITALIANO CON AMORE

Grazie per essere qui. Buon podcast a te :)

Una settimana a Vitalia


1. Domenica
___

Di Eleonora Silanus

DOMENICA, Novembre 1996

Quando apri gli occhi e dalla finestra non filtra un minimo di luce può significare solo una
cosa: autunno. Buio, ma che dico buio, buio pesto. Di quelli che apri gli occhi sbattendo le
palpebre una, due, tre volte, ma niente. E in più, freddo. Un freddo che, se non fosse per
l’allergia alla pigrizia sviluppata in anni di sveglia alle 5:15, uscire dal letto sarebbe da
considerarsi un crimine.
Ma non fatevi ingannare: novembre è molto di più e molto meglio di questa inclemente
presentazione. E io sono molto meno brontolona di quello che sembro. È solo che adoro
percepire il cambio di stagione. Dovevo nascere meteorologa. Ma ora basta, mi alzo, se no la
prossima volta che dico che non sono pigra non ci crede più nessuno.
2

Oggi è domenica, lo so da quel leggero residuo di nostalgia per una settimana che
finisce, misto all’entusiasmo per quella che inizia. Sì, avete capito bene, è novembre, è buio, fa
freddo, sono le 5:15 e io sono entusiasta. Ve l’avevo detto che non ero poi così brontolona.
Anzi, stamattina crepi l’avarizia mi apro pure quel pacchetto di fette biscottate nuove,
quelle agli otto cereali, un misto di farine nuove e antiche, né spesse né sottili, croccanti al
punto giusto, che se ci mettiamo a fare bene i conti costano circa un euro a fetta. Ma io e il mio
entusiasmo i conti stamattina non li facciamo, e poi guardate che i cereali costano e qui dentro
ce ne sono ben otto.
Il tè è quasi pronto: seduta a tavola, mentre guardo fuori dalla finestra, tengo in mano
una fetta piena di purissimi cereali pronta per essere inzuppata. Ma non la inzuppo, no, la tengo
a mezz’aria, mentre sorrido inconsapevole dell’incredibile settimana che mi aspetta.

A cosa devo l’entusiasmo di una comune domenica mattina? È ovvio: alla Festa
d’Autunno che si celebra ogni anno a novembre nel mio piccolo paese, Vitalia. Dico mio non
perché sia di mia proprietà: di mia proprietà qui c’è solo una vecchia edicola, che - se dobbiamo
proprio fare i fiscali - non è neanche del tutto mia, l’ho ereditata insieme al suo mutuo
trentennale. Vitalia non è “mia” neanche perché ci sono nata: io sono nata a Monteverde, ad
alcuni chilometri da qui. La definisco mia perché tra tutti i luoghi del mondo questo è quello che
riempie i miei ricordi. Qui ci sono cresciuta. Sapete quella storia arcinota per cui ciò che siamo,
la nostra essenza, si forma nei primi anni di vita? Ecco, ciò che sono si è formato qui, per ben
16 anni. Oggi di anni ne ho parecchi di più, da uno sono tornata a Vitalia e, nonostante abbia
passato molto tempo lontana, l’aggettivo “mio” continua ad avere un senso.
Per restare in tema aggettivi, veniamo ora a “piccolo”. Vitalia è ciò che un articolo di
giornale non molto originale definirebbe “un paese di settemila anime”. È questo il numero di
coloro che abitano le villette in collina, gli appartamenti in piazza, le cascine nelle frazioni. Se
poi tutti, ma proprio tutti, abbiano un'anima non lo so: di certo non vengono a dirlo a me.

In uno degli appartamenti vicino alla piazza ci sono io, mi chiamo Grazia Sagama. In
questo momento tengo i miei otto cereali a mezz’aria e sono pronta a gustare, oltre alle fette, il
momento più atteso dell’anno: i preparativi per la festa di Vitalia. Ora, vi fermo subito: lo so che
mi state giudicando, magari state dicendo “ma questa davvero si entusiasma per una festa che
forse conoscono solo lei e altre 6.999 anime?” Innanzitutto, sappiate che giudicare fa male alla
salute, e poi forse non mi sono spiegata bene. Questa festa è una delle poche certezze rimaste:
i paesi si spopolano, le cose cambiano, ma questa festa resta.

Guardo l’orologio: sono le 5:40. Inizio la mia vestizione a cipolla. Avete presente, no, tutti
quegli strati di cui è composta una cipolla? Ecco, il mio abbigliamento per uscire segue la
stessa logica, che poi è la stessa consigliata dalle maestre ai bambini in gita.
Sopra la maglietta che già indosso aggiungo:
● Maglia di caldo cotone leggera fatta a mano
● Maglione largo e ormai sformato ricevuto come regalo di Natale circa 10 anni fa
● Giacca a vento, che, indovinate un po’, protegge dal vento
3

● Sciarpa di lana traforata, che riscalda, consente un minimo di passaggio d’aria e non mi
punge come se avessi un fascio d’ortiche intorno al collo.

Sono pronta ad uscire, ma prima: due cose fondamentali. Apro il forno, dentro ci sono i
biscotti che ho informato ieri sera e che voglio portare a Tiglu, che oltre ad essere mio amico è
anche il fattorino che mi consegna i giornali. Li infilo in un sacchettino di carta e li metto in
borsa. Seconda cosa: devo prendere il giallo che sto leggendo.
Vado verso il comodino, ma del libro neanche l’ombra. In trenta secondi ho già cercato
per tutta la casa: niente. Dove l’avrò lasciato. Eppure lo stavo leggendo proprio ieri. Guardo
l’orologio: devo uscire. Do un’ultima occhiata alla libreria. Il libro che cerco non c’è, ma al centro
del primo scaffale ce n’è un altro che cattura la mia attenzione. Lo prendo in mano. La copertina
è rossa: in alto c’è il titolo “Ricette ribelli”. Sopra il titolo ci sono i cognomi delle quattro autrici e
in mezzo alla copertina c’è una bella foto in bianco e nero. Ritrae alcune ragazze: abbozzano
un sorriso con serietà, come solo chi ha fatto la guerra e ne è appena uscita riesce a fare. Sullo
sfondo si vede la campagna di Vitalia, alberi piccoli e grandi, la linea delle montagne e un cielo
chiaro. Le donne nella foto sono partigiane: insieme a tanti, hanno reso libero questo paese
(che lo scriviamo con la p minuscola o con la P maiuscola, non importa: hanno liberato tutto ciò
che c’era da liberare). Riguardo la foto: le donne sono Rosa, Carmen, Zita e Francesca; sono le
autrici del libro e, per mia fortuna, anche mie amiche. Quella tutta a destra, che nella foto ha i
capelli sciolti sulle spalle e sembra guardare oltre l’obiettivo, si chiamava Francesca ed è morta
pochi mesi fa. Le altre le incontrerò tra poco: ogni domenica ci troviamo al bar per fare
colazione insieme. Questa della mia libreria è una delle tante copie vendute di un libro che,
come si dice in questi casi, è stato un successo editoriale. Pubblicato negli anni ‘50, ha
raccontato ai lettori, attraverso ricette, aneddoti e riflessioni, la storia di quattro donne che
hanno fatto la Resistenza. Il manoscritto del libro è custodito nel comune di Vitalia, ed è lui il
grande protagonista della festa. Martedì, come succede ogni anno per tradizione, verrà
riconsegnato alle sue autrici, che guideranno la preparazione dei piatti ispirati alle loro ricette.

Mi infilo la sciarpa mentre la porta si chiude alle mie spalle. Il cielo è ancora scuro, così
scuro che sai che è mattina e non piena notte solo perché le campane hanno appena suonato
sei volte. Meglio muoversi: Tiglu mi starà aspettando con i giornali di oggi davanti all’edicola. Di
solito se non mi trova li lascia dentro, vicino alla cassa: ha le chiavi apposta. Ma oggi è
domenica, e abbiamo deciso di fare un piccolo scambio: lui mi lascia un po’ di caffè etiope, e io
gli lascio le paste di meliga sfornate ieri sera. Tiglu è nato ad Addis Abeba, ma vive in Italia da
vent’anni. Il suo caffè è forte e zuccherato, e le mie paste di meliga sono piene di burro e
zucchero. Ogni domenica ci ridiamo su e ci diciamo che a noi, italiani e etiopi, piace iniziare le
giornate pieni di energia. Mentre sorrido al pensiero mi guardo intorno: la sagoma blu scuro
delle montagne si intravede sul cielo che da nero sta diventando sempre più chiaro. Sullo
sfondo c’è il monte Birichino, il più alto, con in vetta l’abbazia di Santa Rita. Più vicino invece c’è
quella che in paese chiamiamo la Rocca. Sono belle, le montagne. Basta non vederle per
qualche anno per redersene conto.
4

Le campane hanno smesso di suonare e io ho già passato il bar Sport, accogliente


quanto una fabbrica abbandonata, poi la storica gioielleria, nella quale non sono mai entrata in
vita mia (chi perde 10 volte al giorno le chiavi di casa difficilmente compra gioielli che sarebbero
destinati alla stessa fine delle chiavi) e ho attraversato la strada che sbocca sulla piazza.
Anche se sono in ritardo, mi fermo un momento a godermi la scena. È una piazza
semplice e bella, e a quest’ora è illuminata solo dai lampioni gialli. Al centro c’è una grande
costruzione, formata da un tetto di losa appoggiato su alti portici. Intorno ai portici c’è la strada,
che tra poco si riempirà di macchine e persone. Oltre il centro della piazza e la strada c’è la mia
edicola. È piccola e tutta verde. Da qui ne intravedo solo il tetto. Quando è chiusa si confonde
con il parco che inizia proprio dietro di lei. Continuo a guardare la piazza deserta. A destra vedo
il Comune: è un grande rattangolo affacciato sulla piazza e illuminato dai lampioni. In una
piccola stanza del Comune sta riposando il re della festa di Vitalia: il manoscritto di “Ricette
ribelli”, quello che ha reso famosa Vitalia facendola diventare il “paese della Resistenza”.
Costeggiando il comune quasi inciampo nel cartellone pubblicitario della Festa. Lo leggo
di corsa: “Domenica 10 novembre vi aspettiamo per la Festa d’Autunno di Vitalia! La cena si
svolgerà domenica sera. Per prenotazioni chiamare il numero ecc.” Mancano solo sette giorni, e
oggi pomeriggio il Comitato della Festa, di cui faccio parte in quanto edicolante del paese, si
incontrerà per l’ultima riunione prima dell’inizio dei lavori. Camminando lungo il comune, noto
qualcosa di strano: stamattina qui davanti non ci sono i contadini che ogni domenica montano i
loro banchi.
Continuo affrettando il passo, e oltre i portici della piazza intravedo l’edicola. Il camion di
Tiglu è già lì, anche se oggi non è al solito posto, di fronte alla serranda abbassata. È
parcheggiato all’ingresso del parco, una piccola apertura che si trova a sinistra dell’edicola.
Strano. Dietro il camion intravedo lampeggiare una luce blu. Ancora più strano.
Passo il panettiere, sulla sinistra, poi l’erboristeria (quella che prima era un’agenzia di
viaggi e che spero con tutto il mio cuore non diventi un negozio di “compro oro”, segno di
decadenza temuto da qualsiasi paesino di provincia), e alla fine supero anche il piccolo negozio
di alimentari. Le luci blu lampeggianti si fanno più vicine.
Sono arrivata.
La macchina della polizia è di fianco all’edicola, a sinistra del camion di Tiglu, con i
lampeggianti accesi. Degli uomini in divisa parlano tra loro mentre guardano per terra, sul prato
del parco. La luce è poca e il camion delle consegne dei giornali copre la visuale: non riesco a
vedere bene. Passando di fianco al camion noto che ha il retro forzato, le due ante del
bagagliaio sono schiacciate nel punto dell’apertura, come se qualcuno avesse tentato di aprirle
senza avere le chiavi.

Mi dirigo verso i due poliziotti e, dopo aver fatto due passi sull’erba, mi fermo: proprio sul
prato dietro l’edicola, c’è un corpo rovesciato. Riprendo fiato e faccio ancora qualche passo. È
un uomo in una posizione strana, come se fosse in movimento mentre resta immobile. Non
riesco a vedergli il volto appoggiato sull’erba nè le mani nascoste dai guanti, ma non ho dubbi: è
morto.
5

Ho gli occhi sbarrati, non riesco a staccarli da ciò che vedo: sono bloccata, e
improvvisamente mi sembra che la temperatura sia scesa di almeno 10 gradi. Ho i brividi e le
mani sudano nonostante il freddo: Tiglu, penso. Mi guardo intorno: per terra, appoggiata a circa
un metro dalla testa, vedo una busta di carta marrone. È aperta, la carta strappata. Poco più in
alto vedo alcune riviste.
Mentre sto fissando la busta sento che uno degli uomini in divisa chiama il mio nome:
“Grazia!”. Mi giro e lo riconosco: non lo vedo da anni, i capelli rossi sono diradati, gli occhi più
spenti di come ricordavo ma sempre buoni: è Pierfrancesco Giannetti. Ci ho fatto le elementari
insieme, sedeva in seconda fila. Non eravamo abbastanza amici da passare insieme gli
intervalli, ma mi invitava sempre alle sue feste di compleanno.
“Ciao, ma che è successo?,” vado dritta al punto.
“Ci hanno chiamato poco fa, purtroppo c’è stato un omicidio. Si tratta del fattorino dei
giornali.”
Sento un colpo al cuore: “No, ma come è possibile?,” guardo di nuovo il corpo, con più
lucidità, stavolta: no, non è Tiglu, non può essere lui.
Pierfrancesco interrompe i miei pensieri: “Si chiamava Carlo Trezzo.” Un nome mai
sentito prima.
“Ma come…”
“Sembra che sia stato colpito alla testa, ma non abbiamo trovato l’arma,” mi risponde
Pierfrancesco, senza che debba finire la domanda. “Stiamo aspettando i rinforzi da Monteverde,
ma nel frattempo ti chiedo di raccontarmi ciò che sai di lui.”
“Non lo conosco,” dico fissando il corpo a terra, “non è il solito fattorino. Non ho mai
sentito il nome Carlo Trezzo.”
“Va bene, allora come potrai immaginare avremo bisogno di mantenere la zona così
com’è per qualche ora, l’edicola dovrebbe restare chiusa nel frattempo.”
“Certo, se hai bisogno di qualcosa mi trovi al bar.” Prima di allontanarmi lancio ancora
un’ultima occhiata al corpo, all’erba che da verde è diventata rossa e alla busta di riviste semi
aperta. Questa scena non la dimenticherò facilmente.

Il mio bar di fiducia si chiama Caffè del borgo, e si trova a circa 100 metri di distanza,
devo solo costeggiare il parco e raggiungere l’entrata sul lato opposto. È qui che di solito, verso
le 7, faccio la vera colazione, (mica pensavate davvero che la mia colazione fosse una tazza di
tè e qualche fetta biscottata?). Vado decisa verso il mio solito tavolo, ma noto che oggi è
occupato da una donna bionda, ha i capelli raccolti in una lunga treccia. Mi siedo due tavoli più
in là, in un angolo di fronte alla finestra. Da qui si vede tutta la zona del parco occupata dai
poliziotti. Mentre sto ancora rimuginando la scena a cui ho assistito, Marta, la barista, si
avvicina.
“Hai visto che è successo?” Mi dice.
“Sì, ma tu ne sai qualcosa?”
“Quando ho aperto il bar stamattina la polizia c’era già. Li hanno chiamati i contadini,
che non hanno potuto montare i banchi in piazza.” Si guarda intorno, indicando con lo sguardo
6

le altre persone sedute ai tavolini. Mi concentro di nuovo sulla donna bionda seduta due tavoli
più in là: ha gli occhi bassi, e noto che ha pianto da poco.
“Il bar apre alle 6, giusto?” chiedo a Marta.
“Sì, io sono arrivata qui alle 5:30.”
Prendo il mio quadernino rosso: come faccio sempre quando non so cosa fare, scrivo:
Corpo rovesciato, busta strappata, riviste sparse, camion forzato e donna che piange. È chiaro
che oggi non sto scrivendo una poesia d’amore, ed è ancora più chiaro che ho letto troppi gialli.
Eppure non riesco a togliermi dalla testa ciò che ho visto. Passo un’oretta immersa nei miei
pensieri: dalla posizione in cui mi trovo riesco a vedere bene il parco e a seguire i movimenti
della polizia. Mi rendo conto che le persone sulla scena del delitto stanno aumentando. Ecco,
ora ho anche detto “scena del delitto”: il giallo è completo.

“Sapevo che ti avrei trovata qui!” sento una vocina che conosco bene. È Rosa. Ha i
capelli bianchi e fini e gli occhi rotondi di una bambina in gita. È una delle mie più care amiche.
Nella copertina del libro “Ricette ribelli” è la seconda da destra, vicino a Francesca, l’unica
partigiana che oggi non è qui con noi.
“E io sapevo che saresti arrivata.” le rispondo sorridendo.
Ci siamo appena salutate quando sento: “Ah, sapevo che vi avrei trovate qui”.
La voce profonda e un po’ roca è quella di Carmen. Come tutti noi abitanti di un paesino
si sente una grande veggente quando incontra le persone che frequenta tutti i giorni nel bar in
cui va tutte le mattine.
Carmen si avvicina. Coetanea di Rosa, vi basti sapere che porta gli occhiali da sole e la
borsetta di coccodrillo anche alle 7:30 del mattino al bar. A novembre. Nella foto di copertina è
l’unica con un foulard al collo.
Prima di iniziare la conversazione ordiniamo: Rosa prende un latte macchiato, io un
cappuccino e Carmen un caffè doppio, ristretto e senza zucchero. Da mangiare tre brioche: una
alla crema, una alla marmellata e una al cioccolato. Mentre ascoltiamo in silenzio il rumore delle
mani sapienti di Marta che preparano la nostra colazione, seguiamo dalla finestra i movimenti
delle persone nel parco.
Carmen sta tirando fuori il suo dolcificante dalla borsa quando arriva l’altra persona che
stavamo aspettando: è Zita, anche lei autrice del libro e anche lei ex partigiana.
“Avete saputo cos’è successo?” dice appena si avvicina.
“Certo,” dice Carmen, “se l’hai saputo tu che arrivi adesso figurati noi che siamo qui da
mezz’ora. Siediti, da qui si vede tutto.”
Eccole qui, le mie amiche. Se pensate che l’ultima arrivata abbassi l’età media vi
sbagliate: hanno tutte tra i 75 e gli 80 anni. Se pensate che amino fare a maglia e preparare
biscotti, vi sbagliate di nuovo: alla maglia preferiscono l’uncinetto, e ai biscotti preferiscono le
paste di meliga. In più, queste non sono vecchiette comuni: queste qui hanno fatto la
Resistenza. Rosa, Carmen, Zita e Francesca, sono conosciute in tutta Italia come autrici del
libro “Ricette ribelli”. Hanno venduto migliaia di copie e hanno fatto sì che in molti sapessero
cosa si mangiava, cosa non si mangiava, ma soprattutto cosa si desiderava mangiare durante e
dopo gli anni di lotta. Da martedì il manoscritto del ricettario uscirà dalla teca del comune e
7

tornerà nelle loro mani: saranno loro a guidare i lavori - e il menù - della Festa d’autunno di
Vitalia, e grazie a loro la festa è un successo tutti gli anni.
Rosa riprende a parlare: “Venendo qui dalla chiesa mi sono fatta una piccola idea di
quello che è successo. Ma voi questo Carlo Trezzo lo conoscevate?”.
Per lei “farsi una piccola idea” significa ottenere tutte le informazioni disponibili su
piazza, e nessuna come lei è in grado di ottenerle. Per quarant’anni è stata la sarta del paese,
ed è dotata della rara capacità di farti raccontare tutta la tua vita nei dieci secondi in cui ti
misura il cavallo dei pantaloni.
Anche Zita, che era stata in silenzio fino ad ora, dice la sua: “Povero ragazzo”. Zita ha i
capelli spessi e neri, ed è l’unica a non essere nata in paese. Per anni è stata l’amata panettiera
di Vitalia.
“Non posso credere che sia successo proprio qui,” continua, mentre i suoi occhi neri
guardano fissi il parco. Tiene tra le mani una fetta di crostata senza riuscire ad addentarla.
Dicono che l’unico modo per superare uno shock sia parlarne: allora inizio a fare
domande: chiedo se conoscono la vittima - nessuno la conosce -, se hanno sentito qualcosa di
strano verso le 5 del mattino - nessuno ha sentito niente.
“Anche se…” è Carmen a parlare. Abbassa gli occhiali e fissa Rosa: “A me questo nome
- Carlo Trezzo - non è nuovo. Non si chiamava così il ragazzo che qualche anno fa ha aiutato
Francesca con i lavori in giardino? Me lo ricordo perché si era offerto di venire anche da me, ma
poi è sparito.” Rosa e Zita la stanno guardando.
“Dici?” è Rosa. “purtroppo non me lo ricordo proprio.” Anche Zita scuote la testa.
“Si vede che siete messe male con la memoria eh!” dice Carmen mentre si batte il dito
sulle tempie.
Le lascio discutere dell’età che avanza e scrivo sul mio quadernino: Chi è Carlo Trezzo?
Poi chiedo a Marta se posso usare il telefono: chiamo una mia amica di infanzia, Luisa
Fenoglio, e la invito a pranzo. Di tornare a casa non se ne parla e le chiacchierate con Luisa mi
schiariscono sempre le idee.

Nessuna di noi ha ancora toccato la propria colazione. Prendo in mano la mia tazza e
iniziamo a parlare della settimana che ci aspetta, e che ora sembra molto più imprevedibile di
quanto immaginassimo. Ho appena dato il primo sorso quando la porta del bar si apre con
violenza.
È il custode del Comune, è trafelato, ha gli occhiali storti e sembra abbia appena visto
un fantasma: “Il ma ma ma ma…” balbetta guardando Rosa.
“Il manoscritto…” ci riprova, questa volta fissando me.
Da dietro gli occhiali si alza la voce di Carmen. “Tesoro, respira e scandisci bene le
parole.”
“Il manoscritto…è sparito.”
Cos’è successo dopo potete immaginarlo: è come se a Roma fosse sparito il Colosseo,
a Pisa la Torre. Cosa farebbero i fiorentini se un giorno scomparisse il Campanile di Giotto?
Ecco, la stessa cosa è successa nel Caffè del Borgo di Vitalia. Inutile provare a capirci
qualcosa. Il custode balbetta, e non ha grandi informazioni da darci: sa solo che stamattina il
8

manoscritto di “Ricette ribelli” non era più al suo posto. La sindaca ha già chiamato la polizia e
ora si cerca di saperne di più. Rosa si alza decisa e dice:
“Alla fine ce l’ha fatta, ce l’ha portato via.”
Le altre la guardano complici. Le conosco troppo bene per non sapere di chi parlano: la
neo-Sindaca Lavinia Quaglia, del partito “Sicurezza e legalità” non ama ricordare la Resistenza,
e trova che le celebrazioni di questa settimana vadano modernizzate. Dire che non sta
simpatica alle mie amiche sarebbe usare un eufemismo, ma da lì a credere che sia coinvolta
nella scomparsa del libro ce ne vuole.
La porta del bar si apre di nuovo: è Pierfrancesco - il mio ex compagno di scuola oggi
poliziotto - che mi dice che l’area dell’edicola sarà accessibile entro il tardo pomeriggio. È
stanco, la sua carnagione da bianca è diventata grigia: come potrete immaginare a Vitalia non
siamo abituati a trovare cadaveri nei parchi di domenica mattina. Non li troviamo neanche negli
altri giorni della settimana.
Uscendo dal bar, ognuna va per la sua strada con pensieri diversi da quelli che aveva
stamattina.

Luisa, la mia amica d’infanzia, mi aspetta nel parcheggio della piazza. L’agriturismo “Il
campo” non è lontano: è sulla strada che porta alla Rocca, il monte di Vitalia.
Il cameriere ci accoglie con un: “Buongiorno, avete prenotato?”
“Sì,” rispondo io, “il nome è Grazia Sagama”.
Ci fa accomodare, e appena ci sediamo mi rendo conto che le notizie della mattinata
sono sulla bocca di tutti. Dai tavoli ci arrivano i sussurri su quello che è successo: ognuno ha la
sua opinione, e anche chi non c’era giura di sapere qualcosa di fondamentale per le indagini.
Luisa mi aggiorna su figli e animali domestici, io la aggiorno su quanto ho visto al parco, e le
lasagne verdi del Campo sono deliziose come sempre.
Mentre usciamo dall’agriturismo incontriamo Flavio Villa, il bibliotecario di Vitalia, di
ritorno dal suo solito ritiro yoga del fine settimana. È vestito di bianco ed è chiaro che il ritiro ha
funzionato: anche i suoi capelli sono rilassati. Mi dice che la notizia è arrivata fino a
Monteverde, la città a 40 minuti da Vitalia e luogo in cui si svolge il suo ritiro yoga. Flavio è il
figlio di Francesca, l’ex- partigiana morta pochi mesi fa. Siamo amici, spesso ci scambiamo
consigli di lettura, ma gli ho proibito categoricamente di provare a convincermi a pronunciare un
mantra. Penso di essere allergica ai mantra.
Poi Flavio aggiunge: “Hai saputo che la riunione di oggi è stata cancellata?”
Sta parlando della riunione del Comitato della Festa: ci saremmo dovuti incontrare oggi
in Comune per pianificare le prossime attività.
“No, non lo sapevo”.
“L’ho saputo dalla sindaca: è spostata a domani.” mi dice.
Prima di salutare Luisa mi rendo conto di avere il pomeriggio libero, nessun posto in cui
andare, e molta voglia di starmene da sola a riflettere. Le dico di avviarsi: io tornerò in centro a
piedi.
9

Dall’agriturismo alla piazza ci vuole mezz'ora; un’ora se come me avete visto un morto
questa mattina e dovete fare delle fermate lungo il fiume per riordinare i pensieri.
Mi guardo intorno, e penso a quanto questi alberi lungo il fiume mi siano familiari: le
querce, i castagni, le acacie. Ne ho visti di alberi negli anni in cui sono stata lontana, e spesso
ho pensato al rumore dei ricci di castagne sotto le scarpe. Ora sono di nuovo qui, e ciò che più
mi è familiare non sono le case basse con le pareti scolorite, ma il suono di una vipera che
sbuca da sotto le foglie; il fiume mezzo secco al quale non avevo mai fatto troppo caso.
Ripenso a Carlo Trezzo. Dove si sentiva a casa? Cos’aveva per lui l’effetto di una vipera
sotto le foglie? La sera ormai è arrivata: a novembre fa buio presto. Il bosco è quasi alle mie
spalle e la strada si illumina grazie al primo lampione del paese. Riapro il quadernino rosso.
Scritti con la mia calligrafia illeggibile tra una lista di cose da fare e una vecchia ricetta, ci sono i
miei appunti:
Corpo rovesciato, busta strappata, camion forzato, libro scomparso. Edicola e parco. Chi
è stato? Perché tutto stamattina? Rileggo. Corpo rovesciato, busta strapp…Porco cane!
Possibile che non ci abbia pensato prima? Accelero il passo. Cammino sempre più veloce, e
l’idea si fa più nitida. La piazza è silenziosa come stamattina: se fosse una domenica qualsiasi
sarebbe molto strano, ma oggi non lo è. Attraverso il parco e vado verso l’edicola. Sto correndo
e il vento freddo mi fa rabbrividire. Sento il battito del cuore che mi rimbomba nelle tempie.
Faccio appena in tempo a vedere che la macchia rossa sull’erba è stata ripulita e poi qualcosa
sbatte sul mio piede destro. Una pietra. Fa male? Non lo so, non sento niente, so solo che ho
già le chiavi in mano. Le gambe vanno da sole: salgo tre scalini e apro la porticina della mia
edicola. Accendo la luce. Proprio dove ieri avevo lasciato la busta con le riviste da restituire, lo
vedo: è lui, il nostro Colosseo, il manoscritto di “Ricette ribelli”.
Sapevo che l’avrei trovato qui. Ve l’avevo detto che qui a Vitalia siamo veggenti, no?
10

PODCAST ITALIANO CON AMORE


Grazie a tutti voi per il supporto Patreon!

Tiago Paladini Nick Mott Mason Holland


Daniela Olivert Erin Cannon Veerle
Gong Conny Leijen Lena Cynthia Semenic
Sandra Abigail Martínez Trejo Peter Gregersen Cordoba patricia
Karianne Musa Yorusun Adrian Abrahams
Kristina Gayel Favali Michel Coulon
Cecilia Soldati Dana Morgan Julia Kurzen
Marita van Herpen Tobias Oartleb Story Ebersole
Raoul Somers Claudie Br KAZUMI SHIOSAKI
José Odair Bocaletto Karin Woltersdorff Marian CB
Kostya Bruno Rocha Vivas Graham Clark
Rosangela Luchessi Ricardo Almeida garret sanchez
Daniela Kintscher Susan Sambuceti Thornton McCamish
Hajime Sugiyama Rama Ziv Yacimovich Sai Kin Lee
Alina Alvarez Scott Dennis Lynn Shirley
Gaspar De Jesus Miguel Angel Bibbo Gil Kerlin
Marcos GRIET DEMOL Gaeton Cavarocchi
Hank Vanessa Flores Johanna Thomas
Danièle Dalby Maria Luiza Bianco Yanagita Gérard Silighini
Brigitte mario scherrer Susan
Christopher Marshall Jo Williams Gonzalo Bayona
Albert Leo zum Vörde sive Vörding Katarzyna Gaworek
benoh Jane Gillespie Randall Mardus
Stella Campidelli Marion Boldt-Raulf Wesley Hinkle
Dave Buchanan Joel Spina Janis Paratore
Magdalena Smit Bert Romana
Olivia Schroeder Wolfram Brandt Martin
11

Esther Alberto Jay Steere


Анна Кудря Marco Polo Baptista William McCulloch
Kim Rowatt Ben Parker Roberta M. da Rocha Trevisan
Dominic Vallosio Mark Higgins Marcela Janátová
John Silvia Wachtveitl Flavia Biondi

Wendy julio patricio JOSÉ TAUMATURGO DA ROCHA


Cesar Gonzalez M. M. Shelley Cochran
Emmanuelle Herbet Evgeniya Vatamanyuk Ken Johnson
Patrick Dan A. Dearybury Hollie
Kathrin Dettmar Bogdan Kulinich Lucy P
Antoine Bodin obiegala jenny Renate
Lourdes Norma Luc Froyen
Aejandra Carrillo Alfiya Chris Loreto
CRISTINA COUSIN Jean-Francois Rein Jonkman
FV Eric Flannagan ingrid maclean
Felice Emy Gabriel Medici
P-A Foriel Mag. Astrid Klammer Mariël Geens
Chet Steve Still Ian
Daniele B. Zampieri de Oliveira Annette Bellacosa Gary Campanella
Krzysztof Paliga Michael Heiden Daniel Kearney
Tali Freedman lyudmila St Eric Gibney
Valery Filiu Will Leasure Steffi Lammers
Philip Cammarata Karolina Paterova Ame Ara
Aline Leonello Dr. Jörg Hahn miriam C. j. franco bottino
Saif Viviana Jacober sue r
Nancy Haydee Faccio Hristina Bekova Octavio
Patrice Alina Moisiuk Scott Cory
Tavis Danz Mark Roh Cesar pedroso pacheco
Benno No Molly Stockley Barbara Bailey
Juliana Aparicio Mark Roh Maria Fernandez
12

玉芳 江 Mercedes Maria Stella Schmidt Marques


Vivi Vivi Steven Van Leemput ERIK G
Robert Rodger Catherine Laughlin Alison Young
LC Carol Squire Catia Maria Bianco Peres
Gunilla Moisto Noam Flinker Brianna Landes
Helle Mellerup Maja Deb Schmidle
Roberto Armelin Liz Lloyd Dave Wilson
Oxana Martine Jhabvala Baud André
Sandra Marostica Robert Alison Wayne Jones
Zuzana Pikuliaková Durand Kyle Messerschmitt
Joseph Zagari Dorothea Steckhan nilzete casadio
Mirjam Nelson Guda Paula Trone
Gauhar Gauhar Christopher Cascarano Vale
florencia Hosanna Tim Damiani
Baruch Gitlin Michala Bettina Hochholzer
Janet Young Luka Valas Dietrich Hueck
Milos Vuckovic Dan Ryan Tony
lori colella Jean Owen McGillicuddy
Vicki Kenny Ana Flávia Juliana Pimenta
Valeria Canobbi Tor Arne Folkestad Alejandro Camarillo
Helmut Eifert Carlo Krampitz Luiz Lima
Hiroko Jennifer Barrie Woodcock
Gabrielė Siriūnaitė Warren Katlijn Hofman
Christine Ania Chojowska-Szymańska Diane Selkregg
Elizabeta Pereverzeva MandorLina Victoria Wilson
Nicole Lüders Brad Steven Fabiana Fernandez
Gianna Gurgel Bottagisi James Simpson
Mariana Vitro Nina dalla Germania adrian batterley
LAURA I MOLINA Rossi Knapp Georges Collonge
Anastasia Skoriukova Vera Lucia Kirdeiko Sandro Cuccia
FUATI FUATI Mike Morgan Linda Townsend
13

Maria rosalia briggiler Beatriz Lope Chia


gilberto avanzo Jon Moore Martha Summerlin
Merina Patty Brayden Maike
Katarina Zubkova Shelley Dennis Silvana Weller
Bente Klerke Sandra Janet Chittock
Pilar Sanz Rainer Schwing Beata Sikelová
Andrew Anderson Adrian Leibovici Phuong Anh Le
Pat James Natacha Andreas Hauri
Tetiana CARMELA LINDENBAUM José Caleffi Netto
Magdaléna Tibenská Lisa Dubinsky Flavia Guedes
France A Mark Morreale Julio Degastaldi
Gary DiNoia Scott Green Saray Lorenzo Díaz
Susanne Dave Van Ooijen Chen Reis
Brianna Casey ETIENNE Paula Depieri
Marian Coombs-Bucci Vicente Conte Thatiane Werneck
Renata Jasierska-Nagel Carl carin mascetti
Jan D'Huyvetter Carol Owen Goodheart Raymundo Cortés
Antoine Bodin Emil Rinaldi Jakue
LoeP George Armenante Linda Arnold
José Caleffi Netto Matt Caligiuri 元 杉山
Erin Burgman André Judith Tzur
Miruna Andreea Găman helen Alexander da Costa
Eduardo Bonilla William D Ryder

Potrebbero piacerti anche