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Francesco Abate

Ultima di

campionato

Il Maestrale

Tascabili . Narrativa

Romanzo

Francesco Abate

Ultima di campionato
Dello stesso autore con Il Maestrale:

Il cattivo cronista, 2003

Editing

Giancarlo Porcu

Grafica e impaginazione

Imago multimedia

Foto di copertina:

Alessandro Contu

Archivio Imago multimedia

© 2004, Edizioni Il Maestrale

Redazione: via Massimo D’Azeglio 8 - 08100 Nuoro Telefono e Fax 0784.31830

E-mail: edizionimaestrale@tiscalinet.it Internet: www.edizionimaestrale.it

ISBN 88-86109-78-4

Il Maestrale

Improvvisamente tutto inizia a sciogliersi. I colori scivolano giù, corrono lungo


le mattonelline dei muri. E tutto inizia a liquefarsi. Il rosso si mescola con il blu
e i miei pensieri con i ricordi.

Mi piace ricordare. Arrivare allo stadio prima di tutti.

Al Campione è concesso. È concesso stare qua giù quando gli altri sono ancora a
casa, gli spalti sono vuoti e sul prato ronza il tagliaerba.

Improvvisamente qui tutto inizia a sgretolarsi. Gli armadietti e le panche


squamano polvere. E vanno giù come neanche la sabbia sulla gobba del
maestrale. Un vortice, la bufera. Poi, improvvisamente, la calma. Decomposto,
tutto. Molecola per molecola, atomo per atomo. Niente ora ha più una forma,
una linea, un senso. Come la mia vita, questa mia vita che se ne va pezzetto dopo
pezzetto.

Sto giù negli spogliatoi ad ascoltare, sopra di me, le gradinate che pian piano si
animano, i primi passi che rimbombano sul soffitto, poi lo zoccolio della
mandria che si fa sempre più intenso. Li sento, sento il loro ruminare di popcorn
e patatine, il loro mormorio che monta ed esplo-7

de in un boato quando tiro fuori la testa dal tunnel e sono Primo pezzetto

in campo.

Oggi è l’ultima, fra poche ore sarà l’ultima, anche se per tutti sarà la prima.

Prima di campionato, urlano i titoli dei giornali. Ma per me Stop, finito. Me ne


vado. Clic, schiaccio il grilletto e mi levo dai piedi, per sempre. Vanni Visco il
Campione salu-

È stato accertato che l’assassinio fu commesso nel se-ta e se ne va. Si arrangino,


loro e la palla che gira, il cam-guente modo: Schmar, l’assassino, si spostò
verso le nove pionato più bello del mondo, il mister che ha sempre ra-di sera
nella chiara notte…

gione, i compagni che fanno spogliatoio e gli altri più forti ma noi più fortunati.
Fa nulla se oggi è la prima e si aspet-Gooooooooollll!

tano da me le altre trentasei, girone d’andata e di ritorno.

Il quartiere affonda fra le fauci del tubo catodico, di-Anche se per tutti loro,
anche se per tutti voi, oggi è la pri-vorato da questo mostro televisore. E il caldo
fa il resto.

ma, per me è l’ultima. E come ogni buon suicida me ne va-Il caldo e l’umido,
per rendermi tutto più difficile, per do senza chiudere i conti. Se la finiscano loro
la stagione.

non farmi correre oltre la prima pagina.


…Schmar, l’assassino, si spostò verso le nove di sera nella chiara notte lunare
alla cantonata a cui Wese, la vitti-ma, doveva…

Cristalli liquidi rossi. Guardo l’orologetto che balla nel polso: troppo grande per
il mio polso. E non c’è stato nulla da fare, neanche con l’ultimo buco.

– Con un bell’orologio con il cinturino di pelle saremmo andati subito da signor


Sanna e ti avrebbe fatto un altro bel buchetto. Giusto giusto ti sarebbe stato. –
Mio nonno che non l’aveva mandata giù, che avrebbe voluto regalarmi un
quadrante classico, numeri in oro, come le lancette, e il cinturino di pelle liscia,
marron. – Oh, Vanni! se vuoi anche pitonato nero, come a tuo fratello…

Ma avevo voluto quello con la cassa rettangolare in vente del saldatore un altro
buco si sarebbe potuto fare.

plastica grigia e due pulsantini: uno per l’ora, l’altro per

– Se passi da me dopo pranzo, quando abbasso la ser-il giorno. Luminescenze da


allarme extraterrestre, come randa e ho meno da fare, possiamo provarci con il
sal-nei telefilm, come tutti i miei compagni. – E manco l’hai datore… – Signor
Sanna pidocchio e maneggione.

voluto provare, che almeno ci saremmo accorti che ti Guardo le barrette che
segnano i minuti: il due che di-stava largo… – Come gli altri ragazzetti del
quartiere che venta tre, il quattro che aspetta il cinque. E faccio balla-solo l’idea
di passare da signor Sanna, pidocchio e ma-re l’orologio sul polso, magro esile.

neggione, per comprare le batterie li spingeva a correre

– Come quello delle signorine ce l’hai…

oltre la sua bottega, lontano dal quartiere, verso il CorE mi viene un nervoso. Ma
un nervoso. Torno sul li-so e poi su per la via dei negozi dall’orologiaio-
gioiellie-bro.
re. Una fatica. Ma poi quelle stanghette riprendevano a comporre numeri
scatolati, come in certi ascensori. E

…Schmar, l’assassino, si spostò verso le nove di sera nel-senza pegno.

la chiara notte lunare alla cantonata a cui Wese, la vitti-

– E ora dove lo facciamo il buco? Nella plastica? Si-ma, doveva svoltare nella
strada dove abitava, da quella in gnor Sanna ha detto che non fa…

cui era il suo ufficio…

Signor Sanna e la sua botteguccia. Sanna: utensileria, merceria, drogheria… e


maneggeria gli avevano scritto Mi alzo di scatto, lancio il libro, corro alla
finestra, mi col pennello sul muro quelli del bar di fronte. Ci aveva sporgo più
che posso per cercare di centrare l’insegna dovuto passare due mani di tinta
signor Sanna maneg-Sanna. Ma lo sputo disegna una parabola che non supe-
gione per far sparire quelle lettere rosse. E quelli a ride-ra il marciapiede.

re e darsi di gomito mentre lui si era sporcato tutto il E sto per riprovarci.
Quando un altro urlo del quartie-grembiule azzurro, pur di fare veloce, e manco
se n’era re mi blocca la saliva. E quasi il cuore.

accorto, si era impollinato tutti i capelli. Una criniera Mi sembra che un fiume in
piena abbia rotto gli argini ispida, folta e nera che gli partiva poco sopra le
sopraci-e che da ogni finestra affluenti si siano riversati sulla stra-glia. Neanche
un animale della boscaglia. Ma un po’ più da e il livello sia salito e salito. Sino a
toccare quel terzo porco, specie con i ragazzetti che scaricavano le cassette piano
e superarlo per schiaffeggiarlo. Un’onda sonora del mercato ortofrutta, pesce e
pollami. Quelli che quan-anomala.

do uscivo per andare a scuola puzzavano già di sigarette Poi, come è arrivata,
l’onda si ritira. E il quartiere ri-e fatica.

mane lì nuovamente in silenzio. Solo il gracchiare dei te-levisori dà un senso a


questa giornata dove anche signor Guardo l’orologio e penso che forse con la
punta ro-Sanna ha buttato giù tutta la saracinesca che sta sempre 10

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a metà, anche la domenica. Anche quelli del bar di fron-Ma mi hanno fatto
attraversare la piazza tirato per la te non ce n’è uno appoggiato con gli stivaletti
al muro, maglietta sotto lo sguardo severo. Una corsa di pochi me-birroncino,
sigaretta in mano.

tri fra un via vai impazzito di gente con bandiere e gen-Non ci sono neppure i
cani. Denti aguzzi pronti a bec-te con bustoni carichi di spesa.

carmi dietro i sacchetti dell’immondezza che oggi nessu-Pochi portoni per


ricongiungerci con tutta la famiglia no ha avuto voglia di portare giù.

riunita. Zii, cugini a contorcersi davanti al megativù a Tutto si è fermato. Tutti


tranne me e queste barrette colori atterrato sul salone simil-déco per le nozze
d’argen-luminescenti che sembra non vogliano correre oltre i no-to dei nonni.
Persino mio fratello, Luigi, quello vestito vanta minuti. Sembra che se la
vogliano prendere calma.

sempre di nero, sempre in partenza per Monaco. Persi-L’otto lascia il posto al


nove… Troppo lento.

no lui con una blusa azzurra e lo scudetto verdebianco-Persino le zanzare.


Persino loro non roteano intorno rosso sul cuore.

ai lampioni luridi e gialli che già si sono accessi anche se il tramonto, questa
sera, se la sta prendendo calma, pu-C’era l’aria della notte, fredda da far venire i
brividi a re lui. E il sole se ne rimane lì, dietro i palazzi più alti, a chiunque.
Schmar…

dare un luce svogliata. E la notte non ne vuole sapere di arrivare.

Il piccolo Vanni, nella stanza del Cristo, leggo, divoro Sembra che tutto e tutti si
siano fermati, per questo il mio libro preferito.

benedetto mondiale. Tutti tranne il caldo e l’afa. Tutti tran-Leggo dribblando urla
disumane. Leggo e perdo la ne quelli che sgambettano dentro lo schermo
verdeblù.

marcatura fra fischi e battimani. Poi rileggo in uno stra-Ventidue disgraziati che
si azzannano per infilare la pal-no momento di vuoto sonoro. Solo un istante.
la dentro una ragnatela di disperazione. Su e giù, su e Gooooooooollll!

giù per il prato verde. Il pubblico ondeggia, batte le ma-Terzo urlo. Il palazzo
trema, i pavimenti ballano. Il tifo ni, urla, seguendo il rotolare di una sfera a
spicchi bian-erutta lapilli tricolori.

coneri. Italia-Germania. L’Asse post Badoglio: guerra di Maledetti. Ancora poco


e ci schiattavo. Il sangue si sa-pallonate.

rebbe fermato, gelato, pietrificato. Come in una magia A me la guerra non è mai
piaciuta. Neppure quella cattiva e maledetta.

con i fucili ad elastico. Da cortile a cortile.

Nessuna guerra e nessuna competizione.

Anche un cuore semplice può essere sfiorato dai pen-Ma ora la sfida ha invaso il
quartiere.

sieri più perfidi.

Sarei voluto restare in casa, finestre chiuse, serrande Acciuffo il pallone dei
cugini, lo piazzo al centro della abbassate. – Non vengo, sto qua…

stanza del Cristo e via, quattro, cinque, sei punizioni.

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A pararle le statuine in ceramica sistemate in cima a un miglia che piano piano si


ammassava sullo stipite della armadio immenso e inquietante. Un monolite
domestico porta e non osava andare oltre.

che fronteggia il grande Cristo in tela dall’altra parte del-Mi beccarono che
urlavo fra i cocci sparsi per la stan-la camera. Un dipinto scuro che mi ha sempre
messo terza. Erano tutti lì, appollaiati, accatastati l’uno sull’altro a rore. C’è lui:
Nostro Signore Gesù Cristo, con una faccia guardarmi stupiti in quel delirio da
cane fedele idrofobo.
da rockstar martire. Ti guarda fisso e con l’indice destro e il pollice sinistro si
allarga la ferita sul costato che sangui-

***

na. Rosso antico. E fa senso. L’aveva inchiodato mia nonna sopra il lettone alto
per farle compagnia. Perché il Saltello fra i cocci, fra cadaveri di statuine in
ceramica.

nonno - nozze d’argento a parte - si accucciava in una bran-Sono Vanni Martire


che invoca lo Spirito Santo saltellan-da della stanza degli attrezzi dove non la
sentiva russare.

do in cerchio con la testa prona al dio lampadario e le E dove nostro Signore


Gesù non lo osservava.

braccia rivolte al soffitto - il Cristo in tela non oso guar-Un cecchino. Un tiratore
scelto. Sfaldo le ceramiche a darlo - pronto al sacrificio. Sono un martire
bambino in pallonate. E Gesù mi è buon testimone.

attesa di lapidazione e frecce sul costato, olio bollente, Stacco la testa al


pescatore di Sorrento, mozzo l’om-scarnificazione. Pronto al sacrificio anche io
come No-brellino alla damina dell’Ottocento, infrango la promes-stro Signore
Gesù.

sa d’amore e unione eterna dei due innamorati sulla pan-Abbasso la testa, mi


copro con le mani e chiudo gli oc-china.

chi perché, forse, non vedere farà meno male.

Sento il passo di mio padre. E quello di mia madre. Si

***

avvicinano pesanti per lasciarmi a terra quasi morto. Quasi. Apro un occhio e mi
sembra che il Cristo mi sorrida.

Oggi i giornali dicono che ho gli occhi anche dietro la schiena. Che ho un senso
in più degli altri. Come un ra-
***

dar. Uno scandaglio sotto pelle. So da dove arriva la palla, so come intercettarla,
imbrigliarla e fare fuoco senza bi-Non ero destinato al neurologo, figurarsi allo
psicanali-sogno di guardare. Oggi.

sta.

Quando sei né bambino né uomo né ragazzo né vec-La decisione fu presa la


notte stessa. Fra i divani in pel-chio, non hai la coscienza di ciò che possiedi. Le
tue an-le marrone con le cuciture grosse.

tenne sono solo due bitorzoli, a gittata limitata. E questa è una cosa banale, che
tutti sanno.

Quindi, non percepii nulla. Non mi accorgevo della fa-14

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Secondo pezzetto

Pensano che dorma.

– Questo ragazzo è… è troppo sensibile… Uno che se ne sta chiuso a leggere il


giorno dei mondiali… ma va!

dàiiii!

Mio padre è sempre stato un tipo energico. Gestisce una conceria. Piccola
fabbrica di pellami.

– Oooh, ma cosa dici? Adesso perché a uno non gli piace il calcio…

Mia madre l’ha sempre pensata come mio padre ma non gli ha mai dato la
soddisfazione.

– E intanto ha sfasciato le statuine di tua madre… certo e… oh… belle belle non
erano…

A mio padre gli affari non sono mai andati male, vanno peggio a due o tre operai
che tornano a casa quando le vendite calano.

– Ha sbagliato… ha sbagliato…

Mia madre non ha mai avuto né alti né bassi. Insegna educazione fisica al liceo.

– È un ragazzo troppo chiuso, strano…

La matematica, anzi l’aritmetica ha sempre scandito la vita di mio padre. Un


pragmatico.

– Antonio, se tu ci parlassi di più sarebbe un po’ meno chiuso…

Lei non gli dà mai la soddisfazione.

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– Ecco, figurarsi se non era colpa mia… e sì e poi cosa ci cina. Sento il ronzio
del frigorifero. Un rumore di ghiac-parlo di filosofia? Quello è sempre chiuso sui
libri, libri, cio e bicchieri. La intravedo nella penombra tornare al sempre libri.
Come quel tuo zio, quello che si era buttato suo posto. E sento il suo odore dolce
e fresco.

dentro a una vasca…

Mio padre si scola il bicchiere e borbotta che ci manca-

– Era un pozzo…

vo solo io a far frullare le palle al nonno. Borbotta - frantu-Mia zia Lisa, la


gemella di mia madre.

mando i cubetti con i denti - che già il nonno ce l’aveva con

– Come?

lui per quella storia del prestito non saldato. No, non che

– Era un pozzo, si è ucciso buttandosi dentro a un poz-gliene fregasse molto


delle statuine della moglie, anzi. Ma zo, zio Franco. Non una vasca.
era giusto così per avere un’altra storia da rinfacciargli.

Mio padre ha sempre rispettato la zia Lisa, forse perché Mia madre vira la rotta
per evitare la collisione.

lei insegna matematica al liceo.

– Mi toccherà comprare una libreria più grande…

– Vasca, pozzo, insomma, vostro zio, quello che si è uc-Ha sempre avuto un
debole per l’arredamento, mia ma-ciso. Sempre sui libri era…

dre.

– Ah sì, ne ho visto una bellissima da Genca, un po’ ca-

***

ra, ma bella.

Anche la sorella.

Incompreso in una famiglia medio borghese. Ma questa Mio zio, zio acquisito
marito della zia sorella gemella è una cosa banale che tutti sanno.

della mamma, per lei, per la zia, non ha mai badato a spe-se. Mio zio Nannino, il
medico.

***

– Ascoltate, me lo prendo io il ragazzino. Ci penso io a dargli una seria


raddrizzata. Però oh… che mira il ragaz-Se non ci fossi, se non fossi mai esistito,
potrebbero par-zino.

lare ancora una volta del rigore sbagliato e dell’allenatore fumatore portato in
trionfo con la pipa che gli tremava.

***

Ma ci sono. Sono il capro espiatorio, il sale di ogni famiglia. Cosa ci vada a fare
mio fratello a Monaco non lo han-Lo ricordo perfettamente qua giù mentre mi
spoglio no ancora capito. Mio fratello Luigi ad ogni viaggio sem-lento e mi
guardo allo specchio. Pettorali, addominali, bi-pre più pallido.

cipiti, glutei, gambe. Ora è tutto quasi perfetto, scolpito Pensano che dorma, non
dormo.

nella carne. E non capisco, non capisco come questo cor-Nel salone ritorna per
qualche istante il silenzio. Perce-po è cresciuto su di me. Ma so cosa rimarrà di
questi mu-pisco mia madre che esce dalla stanza e punta verso la cu-scoli
allevati per la sfida. Cenere.

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Per l’ultima volta negli spogliatoi, giù nello stomaco di In sei mesi in questa
posta puzzolente fra l’odore mer-questa arena a farmi digerire per poi rinascere.
Solo, fra doso delle pernici moribonde, il piscio dei cani che sem-gli armadietti e
le docce in mattonelline coi colori sociali, bra varechina di straccio sporco, lo
stomaco dello zio che rosse e blu, sulla panca di sempre. I gesti di sempre ac-
gorgoglia, di cinghiale neppure l’ombra.

compagnati dall’eco dei primi petardi . Il suono del tifo, Sono un apprendista
cacciatore che diventerà appren-un grande botto, poi il vuoto.

dista uomo. E poi veterano.

È l’inizio, ma non è il mio inizio. Sono argilla da plasma-

***

re, ma non sono né argilla né plasmabile. Eppure non so-no offeso, umiliato e
offeso. Non sono ribelle, rabbioso e Lo zio Nannino. Medico all’ospedale
oncologico, la ribelle. Sono solo stupito. Solo cerco di aumentare la git-morte
che incombe fra le stanze del suo reparto la esorciz-tata delle mie antenne, dello
scandaglio sotto pelle. Spero za con un fucile sotto braccio, appostato fra la
boscaglia solo di vedermi spuntare davanti quella bestia demonio, in attesa che il
cinghiale gli passi davanti e bang, una fuci-ansimante, braccata dai battitori e dai
segugi. Quasi come lata in mezzo agli occhi, poco sopra le zanne di questo go-in
un racconto indiano, senza tigri ed elefanti. Invece nul-mitolo di filo spinato,
selvaggio, indomabile come neppu-la, il cinghiale lo centrano sempre qualche
centinaio di re una metastasi diffusa. Quella Nannino non può farla metri più in
là dalla nostra posta e mi tocca vederlo già fuori con una palla ad elica e allora
giù schioppettate vere morto, come dal macellaio, con le mosche che svolazzano
su un demonio cinghiale, diavolo e disgraziato.

intorno. E non sembra più quell’animale diavolo ma solo Ecco, io il cancro me


lo immagino così: un animale dia-un porco peloso. Sembra un maiale che non è
passato dal-volo nascosto nella boscaglia pronto a divorarti. A volte si l’estetista,
come certe turiste che mio fratello Luigi mi striz-risveglia per i fatti suoi, a volte
lo vai a tormentare così za l’occhio in spiaggia e mi fa: Tedesche. Mio fratello
Lui-tanto che alla fine si drizza sulle zampe, raschia gli zoccoli gi che è tornato
da Monaco con una più magra di lui. Più sulla pietra da farti cadere i denti e
sbuffa caldo alito nau-alta di lui, più bambina di lui. Ha gli occhi grandissimi,
seabondo e carica senza che nessuno possa più fermarlo.

blu blu. Ha i capelli biondissimi, quasi bianchi, rasati sul Anche se si sveglia per
i fatti suoi non lo puoi più fer-collo e le tempie, un ciuffone che le scende sul
viso e la di-mare.

fende dagli sguardi degli altri che si girano quando lei e Solo zio Nannino lo può
fermare. Solo Nannino con la mio fratello camminano in questa città.

sua palla ad elica. Ma solo qui, nella boscaglia di questi monti che sbeffeggiano
il mare. Giù, a valle, in città, non può.

Ma anche qui le cose da un po’ di tempo vanno male.

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Terzo pezzetto

Una volta avevano deciso di portarsi dietro pure me. Lo ricordo bene, qua giù. E
non mi sembrava vero, non mi sembrava possibile di poter trottare fra loro due e
affan-nare verso quel concerto. Non so se glielo avesse imposto mia madre
prima di andare per il fine settimana alla villa degli zii al mare. O se l’idea di
portarmi al concerto fu lo-ro. Fa nulla, ero eccitato lo stesso.

***

Concerti non ne ho mai visto. E neppure quelli che vanno ai concerti. Mi guardo
intorno e non posso credere che stiamo stretti stretti uno sull’altro con i biglietti
stretti stretti in una mano e l’altra per tenerci ancora più avvin-ghiati e non
perderci fra una folla che sa di birra e sudore, gelatina e lacche spray. Una catena
umana: io, Luigi, lei, un’amica che a lei la guarda proprio male, un amico che
sembra stia per addormentarsi da un momento all’altro, un altro che muove e
muove le mascelle e non la smette mai di parlare e mi sa che prima o poi la
mandibola si stac-cherà dal resto della testa e, infine, una piccolina che sbatte gli
occhi e sbatte gli occhi. Persino io sono più alto di lei.

Li guardo e hanno tutti gli stessi abiti neri, gli stessi ciuf-fi che coprono un
occhio, le stesse scarpe a punta che un 23

tipo sul pullman gli ha detto: Andate a schiacciare formi-

– Inghiotti, serve per non farti venire il mal di testa.

che negli angoli? E ha fatto ridere tutto il pullman.

Quasi non la sento perché la musica ci travolge.

Poi Luigi gli ha sputato in faccia, al tipo delle formiche,

– Per il mal di testa.

e tutto il pullman non ha più riso. Poi Mandibola ha tirato Ripete toccandosi le
tempie:

fuori un coltello, di quelli che si vede solo il manico e se

– Mal di testa…

schiacci salta fuori anche la lama, come in certi film. Il


– Ma io non ho mal di testa.

pullman si è svuotato alla fermata dopo. E Mandibola ha E urlo per farmi sentire
mentre uno mi viene quasi ad-schiacciato il pulsante, io ho chiuso un occhio ma
comun-dosso e poi un altro e un altro e un altro che ora sono cir-que ho visto che
ora erano loro, Luigi e la compagnia, a ri-condato da gente che si spinge e
sembra che si picchiano dere mentre Mandibola si pettinava con il coltello, che
era ma ridono e ridono e si divertono.

solo un pettinino.

– Dài butta giù.

Quando è stato il nostro turno per scendere ci abbiamo A me ora sembra che il
mal di testa mi verrà davvero e impiegato un po’ a svegliare quell’altro che si era
accascia-così la butto giù.

to su un sedile e non ne voleva sapere di alzarsi. Sveglio era Lei ride e ne


inghiotte un’altra e ne passa un’altra anche sveglio, si grattava e si grattava, ma
cosciente mica tanto.

a me e ce l’ho in mano e rido anche io, sarà la musica che Li guardo che ballano
e tutti ballano e io guardo verso il mi entra nello stomaco o questa gente che si
strattona per palco dove ci sono tre vestiti di nero, con scarpe a punta volersi
bene o chissà cosa.

per le formiche. Uno sta alla batteria, un’altra a una specie Sto per buttare giù
anche la seconda pastiglia e sto per di muretto di tastierine con mille cavi e
cavetti che sem-caricare tanta saliva da farla scivolare senza dolori quan-brano
flebo e uno che fa certi salti ma certi salti e urla al do sento dietro di me una
mano che mi tappa la bocca e microfono. Ma urla.

un’altra che con uno schiaffo mi fa volare dalle dita questa Tedeschi. Mi fa Luigi
e mi strizza l’occhio ma non gli medicina analgesica. Sono le mani di Luigi che
ora sono riesce bene perché anche a lui la mascella ha iniziato a tra-chiuse e
sfrecciano verso la faccia di Pastiglia. Due cazzot-ballare e scarrellare. E Lei lo
avvinghia e iniziano a urlare ti pesanti e poi un calcio allo stomaco. Quelli che
sono in-e a ballare insieme.
torno si fermano, quelli che sono intorno non si spingono E la tipa, quella tipa, li
guarda male, ma male. E tira fuo-più. La musica va, ma noi per un po’ non la
sentiamo.

ri una scatola di medicine e schiaccia via dalla stagnola Vediamo invece due
armadi da palestra, due gemelli del uno due tre quattro cinque sei pastiglie. Una
la butta giù e muscolo, acciuffare Luigi alle spalle e portarlo via mentre una la dà
a me.

lui si intorcina e si dibatte come una di quelle anguille del

– Dài inghiotti.

mercato prima e dopo la decapitazione. E la gente ripren-Faccio cenno di no con


la testa.

de a spingersi, io risento la musica e Pastiglia si rialza, la 24

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bocca e il naso sporchi di sangue. Io frugo e trovo i fazzo-la mia stanza, li


sentiamo ridere persino dal salone con i letti di carta che mi aveva ficcato mia
madre nella tasca divani in pelle marron e le cuciture grosse. E mia madre fa
prima di partire: Prenditi i fazzoletti Vanni che alla tua età la scocciata.

sei sempre con quel moccio. Maledetta sinusite.

– Antonio, vacci tu, digli di venire qui …

E le porgo i fazzoletti.

E lui, mio padre, non ci pensa neppure. Così sorride.

– Ma vaffanculo nano…

Quasi sghignazza e la guarda cercando complicità. Ma lei Per fortuna ho la


Tedesca affianco a me che mi tiene il non gli dà mai la soddisfazione e gli pianta
una faccia.
braccio e mi trascina via. Mi accarezza la testa e poi si volta.

– Vado io… – dico.

– Fanculo tu Puttana…

– Fermo lì tu…

E le lancia una lattina di coca e mi trascina via. Superia-Mia madre mi afferra


con lo sguardo. E non mi molla.

mo gente e gente e finalmente usciamo da questo posto Torno al mio libro e


penso a quando i miei sono partiti a dove tutta la settimana ci giocano quelli del
basket, ma Firenze per i nuovi ordini della conceria. Luigi si è subito oggi no.

chiuso nella stanza del lettone, quella dei miei. Risate e ge-Siamo fuori e c’è
Luigi che si fuma una sigaretta con i miti.

Gemelli del muscolo. Ci ha sempre saputo fare Luigi.

Risate e gemiti. Risate e gemiti che mi sono venute le

– Eccoli…

guance calde. Ma calde calde. E uno strano formicolio nel-E non mi danno il
tempo di parlare che mi corrono in-la pancia e poi pure più giù. Che oggi se ci
penso mi vergo-contro, mi aprono la bocca e Luigi mi infila due dita e gli gno
peggio di allora.

vomito tutta la camicia nera e sento raschiare naso e gola e Quando mia madre è
tornata ha preso Luigi e si è sigilla-sento una puzza. Ma una puzza.

ta con lui nella stanza del ferro da stiro. Lo ha stirato per

– Fatto, grazie a Dio…

bene. Poi la sera si è messa pure peggio. Quando Luigi e la I Gemelli ridono,
anche la Tedesca ride, Luigi mi fa Tedesca sono andati al clubino sotto casa.

l’occhiolino che stavolta gli esce.


Pensavano che dormissi, non dormivo. Percepii mia ma-

– Andiamo a casa Vanni.

dre uscire dal salotto e puntare verso la cucina. Sentii il Luigi si leva la camicia e
la butta via. E lei gli pizzica la ronzio del frigorifero. Un rumore di ghiaccio e
bicchieri.

pancia e riprendono a ridere.

La intravidi nella penombra tornare al suo posto.

Io dietro che sputo e sputo, uno schifo ma uno schifo.

Mio padre si scolò il bicchiere e borbottò che ci manca-Loro due davanti


abbracciati. Insieme andiamo verso casa.

vano solo Luigi e lei, lei e Luigi, a fargli frullare le palle.

Così non dico nulla quando si chiudono nella mia stan-Borbottò - frantumando i
cubetti con i denti - che già c’a-za per ore. Glielo devo. Dormo sul divano.

veva gli affari suoi. Mia madre non virò la rotta, per evitare Anche quando i miei
sono a casa, li sentiamo ridere nella collisione.

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– Ma scusa, tu te li immagini i genitori di questa ragaz-asino nudo. Che non so


perché ma dalle mie parti si è sem-za… abbiamo una responsabilità…

pre detto così: asino nudo.

Mia madre ha immaginato sempre i genitori degli altri. I

– Oh guarda Antonio, se volete… Se volete, se voi vole-figli degli altri.

te, questo sia ben chiaro, anche a Luigi lo porto a caccia


– Ma chissenefrega…

con me…

Pragmatico.

Mio zio e le sue terapie, la sua grammatica con regole

– Perdonami, ma come hai fatto a capire che avevano tutte sue. Le sue cure di
vita che forse meriterebbero pri-dormito… sì insomma… nel tuo letto?

ma una diagnosi e magari, prima ancora, qualche analisi Mia zia, una tipa
curiosa.

ma non lì su quei divani in pelle marron. Su quei divani do-

– Ci ho messo una foglia…

ve Gigi, e questo loro non lo sanno, ha dato il meglio di sé.

Per poco mio padre non moriva con un cubetto di Ma mio fratello in mezzo alla
boscaglia non sono mai ghiaccio nella gola.

riusciti a trascinarlo.

– Una che?

E il cubetto risalì su.

***

– Una foglia secca fra lenzuola e materasso… un vecchio trucco… basta saltare
sopra il letto e la foglia si sgre-Lo ricordo perfettamente. Qua giù mentre conto i
mi-tola. Ecco come ho fatto.

nuti e ogni mia mossa.

Mia madre è sempre stata peggio di un detective priva-Uno: levarsi l’orologio.

to, di quelli americani con l’impermeabile zozzo.


Due: slacciare il braccialetto.

– Oh guarda Antonio, se volete… Se volete, sia ben Tre: appendere la giacca.

chiaro, anche a Luigi lo porto a caccia con me…

Quattro: allineare le scarpe… cinque: bagnarsi i capelli Mio zio, mio zio medico
e le sue terapie.

con il gel…

– Persino nel letto di Vanni sono finiti a fare le loro zoz-Ricordo anche quando
feci l’errore di portarmi appres-zerie.

so un tascabile contro l’attesa infinita del bosco.

E mia madre non molla la presa.

Grave errore. Grave errore.

– Devi vedere le lenzuola in che condizioni le hanno ri-Zio Nannino me lo


strappò dalle mani.

dotte…

– ’Sti cazzi di libri!

E le mie guance diventano rosse e le mie orecchie s’in-Lo lanciò in aria e lo


impallinò senza pietà. Un colpo.

fiammano, i capelli si elettrizzano e vorrei morirci tra que-Poi un altro per


finirlo, a terra, con stizza.

ste lenzuola perché Gigi, Luigi mio fratello, questa volta, Fu in quell’istante che
vedemmo il cinghiale già diretto con le mie lenzuola, nulla c’entra. E mi
vergogno come un verso la nostra posta annusare l’aria e arrestarsi. Il demo-28

29

nio, alitando caldo, guardò Nannino, lo fissò. E lui, bocca Ora tracanna la birra,
Nannino. Rutta e segue con gli aperta, fissò il demonio che buttò fuori un ultimo
grugni-occhi i battitori che scendono paonazzi dalla collina senza to fumante,
girandosi lentamente, e riprese la boscaglia.

più fiato.

Lo zio non ebbe il tempo di ricaricare.

– Alla fine ci ho pure preso gusto, a fare il medico. Ma ogni domenica a caccia.
Modestamente non ho mai letto Lezione numero uno: mai contraddire il maestro.
Le-un romanzo. Però salvo la vita alla gente, io. La cultura, e zione numero due:
imitare il maestro, studiare ogni sua ascolta bene quello che ti dico, non può
essere tutta la tua mossa, archiviarla, metterla a profitto. La vita è un mestie-
esistenza. Altrimenti finisci per isolarti, per diventare un re che si impara a
bottega. E anche questa è una banalità marziano. C’è anche altro nell’esistenza:
caccia al cinghia-che tutti sanno.

le compresa.

Lo zio cerca di ritrovare la calma. Io sono rannicchiato Qua su, in questi monti
che ignorano il mare. Spero, su me stesso con le ginocchia quasi alla bocca e il
panino prego che una volta tanto i pallettoni centrino questo ma-stretto fra le
mani, appiccicato alle labbra. Mangio a pic-ledetto animale, così evito mio zio
maestro all’apprendi-coli bocconi, quasi svogliato. Ho lo sguardo basso. I miei
stato della vita e soprattutto il solito teatrino che mette in occhi seguono una
colonna di formiche e vorrei essere scena per tutta la compagnia a battuta finita.

operaia con il mio fardellino sulle spalle, in fila con mille Una prova di forza per
cercare di riconquistare fra quel-altre per scendere sotto terra e non tornare mai
più su.

la ciurma di impiegati del catasto, cassieri di banca, geo-

– Vedi sono convinto che la cultura apra la mente…

metri comunali, gli onori che gli competono almeno per Lo zio parla e fa la
punta a un ramo secco con un coltel-rango, lui medico a un passo dal primariato.

lo, il suo panino è poggiato sulla roccia affianco alle latti-Nannino piazza sulle
rocce della vallata le lattine vuote ne di birra che guardo con terrore.

della birra scolata nell’attesa del cinghiale diavolo demo-

– Mica ho inseguito la laurea per capriccio… oh… avrei nio che si prende gioco
di lui. Sistema il pallone da calcio, preferito correre per i boschi con la mia
doppietta sotto che immancabilmente rimbalza dal cofano della macchi-
braccio… se fosse per me avrei vissuto sempre qui ad na, con la meticolosità del
giocatore di golf più che del ri-aspettare i cinghiali.

gorista.

Nannino guarda la vallata che si anima di urla. Gli sbuffi Lo spettacolo, la


marionetta, sono io: asso della balisti-delle fucilate che disegnano il percorso del
cinghiale lungo ca che ad ogni pallonata butto giù anche la lattina più lon-il
costone. I cani impazziti che lo inseguono senza pietà.

tana, anche quella oltre la barriera dei rovi che mi serve un

– Mio padre era un famoso chirurgo e io cosa potevo fa-pallonetto per farla
fuori.

re? Medico sono diventato.

All’inizio la compagnia guardava ammirata. Poi, battu-30

31

ta dopo battuta, indifferente, annoiata. Alla fine, oggi più Fu l’unica frase che
Nannino disse durante il viaggio di che mai, insofferente.

ritorno mentre nel cassone della stationwagon cercavo di Sto per fare l’ennesimo
centro, il pallone rapido taglia riconquistare il posto rubatomi dai segugi
puzzolenti co-l’aria in direzione della lattina verde smeraldo, ma è più me la
spazzatura del lunedì. Mi dispiaceva, sapevo quanto veloce il commendator
Carcangiu che prende la mira, ci teneva alla battuta al cinghiale, però in fondo
ero con-schiaccia il grilletto e assassina il pallone prima che arrivi tento, addio
caccia, addio pallonate alle latte vuote.
alla meta.

Il boato della detonazione, poi quello fragoroso delle ri-

***

sate della compagnia.

– Oh Nannì, con questo tuo nipote ci hai proprio rotto i Oggi qua giù, nel mio
spogliatoio, il mio gioco preferito coglioni.

è dare calci alle bottigliette di plastica cariche di integra-Zio è di sale. Un metro


e novanta di muscoli e ciccia si tori salini. Con i ragazzi ci facciamo le
scommesse. Vinco scaglia sul commendator Carcangiu. In venti - ci si sono
sempre io. Sono il capobranco. E mi costa. I giovani ma-messi anche i battitori -
a malapena glielo levano dalle maschi che mi vogliono sfidare devono iniziare
da qui, dagli ni. Lui è meglio di un guerriero greco, barbaro ma princi-integratori
salini e qualcosa da centrare. Ma non sono mai pesco. Un gladiatore nell’arena,
solo contro tutti.

riusciti ad andare oltre. Sognano di essere me - più di me -

e da domani si scanneranno per spartirsi la mia eredità.

Sono Massimo Paolo Quintiliano! Comandante dell’armata del nord! Generale


delle Legioni Phoenix! Nipote di uno zio sbeffeggiato! Figlio di un padre
conciaio e di una madre rompiballe!

Vorrei urlare questo e scagliarmi nella mischia. Come in un libro, quando l’eroe
mascherato si svela e si prende in un colpo solo rivincita e vendetta. Ma non dico
niente.

Farei solo ridere tutti. Così guardo. Faccio lo spettatore e il tifo in disparte.

Pugni, urla, calci, una rumorosa testata e Cargangiu è un colasangue fra l’erba
fresca.

Ci costò l’espulsione dalla compagnia di caccia.


– Andrò a pernici.

32

33

Quarto pezzetto

I colori si impastano. E il rosso non è più rosso e il blu non è più blu. Ma i miei
ricordi restano cristallini e riflet-tono solo verità.

Il tifo è già un rumore assordante che potrebbe rintonti-re tutti, ma non me.
Potrebbe ubriacare tutti, ma non me.

Stanno intonando il mio nome. E le mie labbra tremano e i miei occhi ballano,
ma io non cedo, non ho mai ceduto.

Mai. Li sento qua sotto in questo spogliatoio freddo come fredda è stata la mia
vita, che non è mai stata la mia vita.

Questa mia esistenza che se n’è andata pezzetto dopo pezzetto.

Lo vidi arrivare a casa con la borsa della squadra carica di tutta l’attrezzatura.
Capii che non avevo più scampo.

Non mi disse nulla, non gli dissi nulla, sapevamo entram-bi che glielo dovevo.

Quando arrivammo al campo, un rettangolo verde in-castrato fra spalti e


gradinate immense, zio strinse la ma-no a un tipo strano, in tuta blu. Più che un
calciatore sembrava un pugile, tozzo con la faccia da mastino mezzo sangue, un
po’ arabo, un po’ ebreo. Mi consegnò a lui e disse solo: Non te ne pentirai, è un
vero fenomeno.

– E per mia moglie? – disse quello lanciandomi un’occhiata veloce.

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– È tutto apposto, Allarme, domani si libera un letto, Avanzo lento verso l’area
di allenamento scortato dagli venite alle 8 che la sistemiamo.
sguardi degli altri.

Fui barattato per un ricovero.

***

***

Commozione è una cosa strana che ti fa brulicare il na-Ecco, lo zio. Stringe la


mano al vecchio allenatore. Poi so, stringere lo stomaco e inondare di umidità
salata gli fa cadere la sacca sportiva sull’erbetta. E sento un tonfo occhi. I libri
dove ci si commuove li ho sempre scartati che echeggia nel mio cuore. E sento
l’odore di quest’erba tutti, buttati in un angolo. È un sentimento che non mi
fresca.

piace la commozione. Giocato a buon mercato.

Si volta e se ne va senza neppure un cenno per me.

Piego meticolosamente i miei abiti. Come quindici anni

– Dài cambiati…

fa in uno spogliatoio più piccolo e più puzzolente.

Gli allenatori hanno sempre modi duri e spicci.

Uno: piegare i pantaloni seguendo la riga.

– D-d-dove?

Due: allineare la camicia sulla gruccia.

Ma io non ci sono abituato.

Tre: stirare i revers della giacca.

– Qui… e dove?… non c’è tempo per andare nello spo-Quattro: arrotolare le
calze… cinque: controllare di-gliatoio.
stanza e allineamento fra scarpa destra e scarpa sinistra…

E indica una casupola in fondo al campo e gli altri ra-Allora mi massacrarono.


Oggi mi guardano tutti con ri-gazzini mi guardano e ridacchiano.

spetto perché sono il capitano, il fuoriclasse, il bomber

– Cazzo avete da ridere voi… forza con ’sti addomina-dei bomber. Vanni Visco,
il campione che si può permet-li… avanti… uno… due. E tu! Vanni! Muoviti!
Qui non tere manie.

c’è mica tempo da perdere.

Allora no. Allora ero l’ultimo arrivato. Io, le mie scar-Mi cambio a bordo campo
e mi guardo intorno. Gli altri pette con i tacchetti, maglia e calzoni rossoblù della
no-hanno già la faccia in terra, flessioni. Ma non mi staccano stra squadra: una
manciata di scudetti, qualche coppa e gli occhi di dosso.

tanti onori. Un altro tredicenne avrebbe dato un rene per Mi perdo con i lacci
delle scarpette. Disfo e ridisfo i fioc-entrare nei giovani della squadra io anche
due pur di non chi mille volte. Ora sono vestito di tutto punto e resto im-metterci
mai piede.

mobile al bordo del campo.

Gli altri mi impressionarono subito. Mi si appiccicaro-

– Avanti Visco! Che cazzo aspetti! Avanti! In campo co-no come mosche quasi
per testarmi, sicuramente per non me tutti gli altri!

farmi sentire a mio agio perché in fondo ero un intruso, in L’allenatore ha la voce
alta e rognosa.

cambio di un ricovero avevo saltato tutta la trafila, non fa-36

37

cevo parte della casta. Razza scelta, selezionata. Certo non Le mie antenne lo
percepiscono chiaro. Non sono offe-come oggi. Come tocca a certi ragazzini.
Certi che hanno so, né umiliato né offeso. Non sono neppure un ribelle, la faccia
più smarrita della mia.

rabbioso e ribelle come mio fratello che da giorni chiede

– Preferisci la zona o il tridente?

più soldi a mio padre per andare in Olanda.

– Catenaccio o gioco all’inglese?

La Germania non va più di moda. Va di moda l’Olanda.

– Oggi proviamo il 4-4-2 che ne pensi?

E mio fratello Luigi - mio fratello sempre più pallido e Se volevano farmi cagare
ci erano riusciti in pieno: cosa magro - dice che vuole tentare un import di
macchine usa-ne potevo sapere io che non distinguevo neppure un drib-te. Lo
dice perché sa che mio padre è un tipo pragmatico.

bling da un corner? Mi prese il panico, sarei voluto scap-Citroën, Renault, Diane


molte Diane. Io ho detto che pre-pare con una scusa o con un’altra ma non ne
ebbi il tem-ferivo la Diane alla Mercedes di papà. E loro, mio padre e po: ero già
sull’erbetta a zompettare come un piccolo ca-mio fratello, si sono girati e mi
hanno guardato con un vallo alsaziano al trotto da parata.

sorriso strano, storto. Una faccia che era: non ti dico ma ti Poi di corsa, poi a
terra e via con gli addominali.

sto dicendo tutto con questa faccia qua. E le mie guance Fu tutto naturale come
battere le ciglia e respirare.

sono diventate tizzoni e i capelli elettrizzati.

Una vera idiozia, non c’era tanto da usare il cervello, neppure fosse
quell’irlandese che avevo tentato di leggere

***
per tre volte ma mi ero fermato a pagina dieci senza capirci nulla. I muscoli
invece andavano da soli, fatti per quel-I ricordi della vergogna li ho tutti allineati
nella mia lo, non dovevo neppure faticare. Come se non avessi fatto mente, e
ogni tanto non so se saltano fuori o se li faccio altro nella mia vita.

saltare fuori io. Forse lo faccio per punirmi. Spine sul ca-A cagare se ne andò la
cricchetta dei fanatici. Li stesi a po, frecce sul costato, olio bollente e
scarnificazione. Non terra nel giro di tre mesi, facendogli svicolare il pallone fra
so.

le gambe, lasciandogli le scarpette all’asciutto, facendoli Quante volte è bastato


uno sguardo per farmi abbassare sbavare dietro di me, correndo verso la rete e
gol, ancora il capo e gli occhi, per farmi sentire nulla. Quante volte è gol e
sempre gol.

bastata una frase e io non ho avuto parole. Si chiama pron-Lo ricordo


perfettamente.

tezza di riflessi. E io ce l’ho solo in campo la prontezza di riflessi, quella forza


che ti salva e non ti fa sedimentare i ri-

***

cordi della vergogna nell’anima. Che non ti fa balbettare da solo: coglione,


coglione, brutto gran pezzo di un inuti-Superato il primo gradino
dell’apprendistato. Accetta-le coglione. Se avessi risposto, se non avessi chinato
il ca-to nel clan. Non sono uno di loro, sono uno come loro.

po, se, se e ancora troppi se di questa frustrazione che mi 38

39

fa più male di un rigore sbagliato. Io che alla voce rigore Quinto pezzetto

sbagliato ho scritto: Mai. Fesso e ragazzino.

***

Gigi, Luigi mio fratello, è tutta un’altra storia. Luigi sa dove fare breccia. Io
sono il figlio che non sa fare breccia e non fa domande. Preparo la borsa per la
trasferta, ho tut-Ho i polpacci duri. Stanotte ho dormito sui chiodi. Ferto ben
piegato e stirato sul letto. Anche mio fratello ha ro caldo arrugginito sulle
tempie, un laccio di cuoio stret-tutto ben piegato sul letto. La sua roba è tutta
nera, la mia to al collo. E non era il caldo. Ma i pensieri. I pensieri che tutta
rossoblù e sa di detersivo lavanda.

diventano bastardi, piccoli e disgraziati con quei denti Due fratelli con cinque
anni di differenza e un metro da aguzzi che se la prendono con i miei polpacci. E
non mol-letto a letto. Non ci eravamo quasi mai parlati, non ce n’e-lano.
Neppure ora che il massaggiatore fa scorrere sulle ra mai stato bisogno. Due
Incompresi in una famiglia me-mie gambe le sue dita. E si lamenta. – ’Zzo
Vanni. Oggi hai dio borghese. Anche questa è una banalità che molti co-i
muscoli tesi. Non mi inizierai così dalla prima giornata.

noscono.

Sembri un morto.

– Spaccagli il culo Vanni.

Quasi morto, e non è la prima.

Gigi mi allunga una cassetta e mi sorride.

– Spaccagli il culo e sul pulmino ascoltati questa.

***

Crede nella musicoterapia. La musica come terapia.

– Ti dà la carica giusta.

Eccomi. Ecco il piccolo Vanni Visco in questo vecchio Luigi sa tutto di musica e
mi allunga anche il suo walk-spogliatoio di provincia. Le pareti sono rovinate e
spor-man.

che, non come le nostre. Le docce piccole e gialle. Non


– Tieni, te lo regalo, ne comprerò uno nuovo ad Am-come le nostre. Le usano
per pisciare, questi qui.

sterdam.

Sono seduto sulla panca di legno marcio di questo cam-Sono il fratello più
piccolo che abbraccia uno scheletri-petto. I pali mangiati dalla ruggine, l’erbetta
incrostata di no vestito di nero. Afferro uno dei miei libri preferiti e sassi, al lato,
dietro le panchine, gli fanno la guardia due glielo porgo. – Per il viaggio, – dico,
– ti piacerà.

ciminiere enormi che sputano fumo e poco lavoro. In Lui sorride e mi stringe
forte. Sono triste perché oggi mi questo campetto, fra fabbriche e capannoni
grigi lontano sono spuntate le antenne e so - lo so - che questo è il nostro dalla
città, ho paura che il fischio dell’arbitro si confon-ultimo abbraccio.

derà con quello della pausa pranzo dello straordinario 40

41

domenicale. Allora dei tizi in tuta blu si appoggeranno al-i sassolini conficcati
nella suola, prendo la mira sulla foto-la rete metallica e faranno il tifo solo per
far fuori un po’ di grafia scolorita di una tipa che sembra una rockstar marti-
rabbia. Come l’anno scorso. Inciteranno i loro figli che re nuda. Con il pollice
destro si allarga la gamba destra, hanno le maglie con lo sponsor della ditta. Che
al primo con il sinistro la sinistra. Io miro al centro. E sparo i miei lavaggio ha
stinto. E anche se i nostri avversari ne vanno sassolini.

fieri, loro, i padri, sanno che è solo il marchio di una schia-

– Visco! Sarai anche bravo. Ma certe volte mi fai pro-vitù a basso costo. Non
come la nostra.

prio girare i coglioni…

Anche Signor Anicetto è teso.

Tiro fuori dalla sacca sportiva l’attrezzatura, poi raggo-


– Mi sembri capitato qui per caso… sembra che non te mitolo il filo delle
cuffiette e le nascondo fra pantaloni e ne frega niente di quello che sto dicendo.

maglione che sistemo sul fondo.

E di foto così nel suo armadietto ne ha una collezione.

Il walkman lo passo a Signor Anicetto che oramai ci è

– Guarda che tuo zio mi ha detto di marcarti stretto.

abituato. Lo ficca nel tascone del suo impermeabile da Ma sono meno sbiadite.

campo, una specie di scafandro che lo fa sembrare un pa-

– Oh bello cantando… lo sai in che ruolo giocavo io lombaro o forse un


benzinaio della miscelèn. Signor Ani-quando giocavo? Lo sai ?

cetto che non ha più un pelo nero in testa mentre a noi i E io lo sfido.

peli neri sono spuntati un po’ ovunque.

– No… In che ruolo giocava?

Signor Anicetto che ora nei tasconi si infila catenine e

– Stopper giocavo, e di centravanti come te me ne man-orologi e braccialetti e


inizia con la tiritera. Fa il ritiro del-giavo due prima di pranzo come aperitivo, e
uno dopo-le cianfrusaglie della squadra e parte con la lagna.

pranzo per digerire a tipo Fernet Branca. Hai capito?

– Questa è una partita difficile, decisiva, ne abbiamo già Lo guardo e faccio sì sì


con la testa.

parlato tutta la settimana è inutile tornare sull’argomento.

I compagni ascoltano la tiritera e si infilano le maglie.

***
– Fuori c’è tutto il paese. Vi stanno aspettando per farvi la festa.

È stato sempre così. Una in casa, una in giro per la pro-Ascoltano la lagna e si
arrotolano i calzettoni che sanno vincia. Qualche volta mi sono anche divertito.
Qualche di umido.

volta. Ma è durata poco, il tempo che Signor Anicetto

– Non siamo venuti qui per fare una scampagnata, vi vo-capì che per quei
campetti ero uno spreco.

glio concentrati. Solo così eviteremo di farci fare la pelle.

– Uno spreco sei o Visco, uno spreco sei.

Ora gli altri hanno il viso contratto, sono tesi, ora ascol-Proprio quando avevo
preso il ritmo e non mi pesava tano con attenzione. Io mi concentro sulle
scarpette, levo quasi più.

42

43

L’ultima me la ricordo bene, l’ultima con gli esordienti.

– Lobina! Per te che sei il capitano: al primo tempo sce-Ricordo bene tutto, qui,
in questo spogliatoio mentre sul-gli il campo in discesa, mi raccomando, di-sce-
sa. Ripeti!

la mia testa la mandria scalpita e insulta quelli dell’altra E Lobina ripete.

curva e quelli dell’altra città. I loro cori rimbombano sin

– Di-sce-sa.

qua giù, i loro tamburi ritmano segnali di guerra. Non mi E lui avanza nel
corridoio tra i sedili, fino a me.

ricordo quando hanno iniziato. Prima, quelli che c’erano


– Visco! tu basta che tiri la palla e se ne entra da sola in prima, molto prima, si
limitavano a picchiettare con i pie-porta, devi solo tirare. Ripeti! Ti-ra-re.

di sugli scalini e a scandire una marcetta di voci e battima-Signor Anicetto parla


come un cannone: botta, pausa, ni.

botta.

– RossoBlù, RossoBlù, Rosso…

E io non ripeto.

Sempre uguale, sempre la stessa. Prima quelli delle altre Il ritmo dei tornanti è
più serrato e i ragazzi stanno per città sin qua giù non ci venivano quasi mai. E
comunque vomitare.

non era guerra.

– Al secondo tempo, in salita, la parola d’ordine è difen-Me lo ricordo bene. O


almeno mi sembra, perché anche dersi… Difendersi! Ok? Lobina ripeti: di-fen-
der-si.

noi la domenica si andava in trasferta. E i grandi me li E Lobina non ripete,


vomita. Nel sacchetto. Che cola.

guardavo la sera che si muovevano dentro la tv.

– Guardate che questi di oggi sono abituati a giocare in quel campo. Non sono
calciatori sono alpinisti, ok?

***

Signor Anicetto il capitano di una nave in tempesta, imperturbabile.

Il pulmino si inerpica fra i tornanti su una strada disgra-

– Lobina! Dài a tutti le gomme americane. Solo una a ziata e scontrosa di


montagna, fuori un orizzonte lunghis-testa.

simo color piombo e una natura avvilita, secca e forse osti-Lobina distribuisce le
gomme da masticare e tutti co-le.

minciamo a masticare e ruminare in silenzio con le facce I compagni cantano a


squarciagola per non vomitare a bianchissime.

ogni curva. Ogni nota segue un colpo di saliva per riman-dare giù aranciate e
merendine che vogliono tornare su.

Aveva ragione Signor Anicetto. Pende. Un campetto ri-

– Ve lo avevo detto di tenervi leggeri!

pido, scavato fra l’incontro di due colline. Ma per me non In fondo al pulmino,
Signor Anicetto. In piedi, urla. Ur-fa differenza.

la e artiglia i sedili per non cadere. Capitano di una nave in Sono lontano dalla
loro porta, guardo le nuvole che fra tempesta, i legni scricchiolano malmenati
dalle onde e le un po’ toccheranno anche le nostre teste. Sono lontanissi-vele
guaiscono sfregiate dal vento.

mo dalla loro porta e scaglio un tiro prodigioso che entra 44

45

in rete sfiorando l’incrocio dei pali. I compagni mi circon-tica riparte. Spezza le


gambe percorrere il campo in salita.

dano e mi abbracciano. Il pubblico rumoreggia nel suo Fa esplodere i polmoni la


corsa forsennata e senza freni strano dialetto montano.

quando lo attraversiamo rapidi in discesa.

Ho lo sguardo che punta la fine della collina, mentre mi Mi esce sangue dal
naso. Ma non chiedo di sedermi in abbracciano. Mentre i compagni mi
abbracciano e sono panchina. Aspetto un altro gol. Poi tornerò a casa. A leg-
come una canna straziata dal vento, oscillo per non farmi gere.

buttare giù. Ho gli occhi che seguono un tracciato fra la vegetazione mentre
l’arbitro deve fare i conti con quelli dell’altra panchina che lo circondano e gli
sputano rabbia e saliva. E le mie pupille sono come radar, spie di uno di quei
satelliti che controllano dall’alto continente per continente, nazione per nazione,
città per città, quartiere per quartiere, casa per casa. E alla fine ti beccano lì in
quel tuo momento banale di vita. Che so, una partita di calcio mentre i compagni
si accatastano su di te fra questi monti che detestano il mare. Fra questa gente
che odia di domenica per odiare meno di lunedì, martedì, mercoledì, giovedì,
venerdì, sabato. Odio e rancore che ora vorrebbe far-selo allo spiedo questo
arbitro qui.

E il mio radar finalmente lo becca. Lo intercetta che passa veloce fra la


boscaglia. Lo guardo, mi guarda. Cinghiale diavolo e demonio. Un secondo e i
nostri occhi radar si incontrano, si scontrano, si riconoscono, prendono le misure
l’uno dell’altro, rapidi, veloci e tutto capiscono come solo il sonar di una bestia
sa fare nel tempo di un battere di ciglia. Un secondo, forse due, e sono già
nell’altra metà del campo trascinato dai compagni che urlano ancora. E lui,
demonio lucifero della boscaglia, fugge via, raschiando la terra, alito caldo e
nauseabondo, sperando di scamparla per un’altra domenica. Come me.

La partita riprende. E nessuno si è accorto di lui. La fa-46

47

Sesto pezzetto

Anicetto Allarme, 17 aprile 1941. Decise di degnare il mondo della sua presenza
quando la fortezza volante passò sopra questa città e le sirene iniziarono ad
ululare.

A lui piaceva raccontarla così: degnare il mondo della sua presenza… la fortezza
volante… e tutto il resto della tiritera. Lo faceva sentire meglio raccontarla così.

Sua madre stava già urlando e schiumando da un’ora.

Smise come iniziarono gli altoparlanti. Insomma, partorì fra le bombe.

Dunque, Allarme sta per allarme aereo. Anicetto sta per Sant’Anicetto, il santo
del giorno, 17 aprile appunto.

Il cognome non si è mai saputo, o forse nessuno lo ricorda più. Tanto per tutti è
sempre stato Signor Anicetto. Al massimo per quelli del quartiere, quello che si
affaccia sul porto, Anicetto Allarme. Mezzo arabo e mezzo ebreo.

Hanno sempre avuto un certo gusto a beffarla la vita da queste parti, una certa
voglia di non prenderla mai troppo sul serio, per non darle troppa soddisfazione,
dato che se ne prende già troppa di suo. E se così non fosse, se non avessero il
gusto di fregarla ogni tanto la vita, il fato, il di-vino disegno o vattelapesca tu
cosa è, il mio mister non lo avrebbero mai chiamato Allarme che non è il suo
sopran-nome ma proprio il suo nome registrato all’anagrafe.

Quello che il padre dettò all’impiegato fascista del muni-49

cipio fascista che non fece una grinza a sigillare sui reali ne… così bene… che
sono riuscito a formare… No, gli di-registri un nome da avanguardia futurista,
da gloriosa co sono riuscito a plasmare… No, forgiare… Sì, forgia-trincea. E
neppure il parroco fascista fece una grinza, per-re… forgiare un giovane
talentuoso… Sì, talentuoso mi ché poi Anicetto era il santo del giorno.

piace… Per me non chiedo niente…

Di Anicetto so solo questo, perché solo questo ci ha E mi strizza l’occhio.

sempre raccontato mille volte negli spogliatoi tirando

– Per me non chiedo nulla, sto bene dove sto… sem-fuori la sua carta d’identità
logora.

mai…

– A-ni-ce-tto Al-lar-me… Ripeti Lobina!

E ora anche lui preferisce proseguire nei pensieri.

E Lobina ripeteva e noi ridevamo, insieme a lui, Anicet-Mi porta di corsa


all’ultimo piano della palazzina della to Allarme.

società.

Di signor Anicetto so solo questo e che a modo suo mi Mi porta dopo che il
campionato è finito e sulla mia car-volle bene.

tella gol c’è scritto 54.

Mi lascia all’ingresso dello studio del cavalier Antoni.

– Sprecato sei, sprecato…

Uno studio immenso, il parquet scuro come i divani fatti Anche se ai piani alti
non ci è mai salito, Anicetto que-arrivare apposta dall’Inghilterra, pareti
blasonate di foto sta volta si è messo la giacca e i pantaloni e si è fatto co-in
bianco e nero delle squadre del passato, di coppe e me-raggio.

daglie tirate a lucido. Fiammanti come i libri riposti sugli

– Andiamo…

scaffali in ordine di colore: a sinistra quelli con le coperti-E mi prende persino la


mano e lo guardo e lui mi molla ne verdi, a seguire quelli marroni e infine quelli
neri.

ma solo perché è tutta bagnata, la sua.

Signor Anicetto si trattiene per pochi minuti poi sbuca Passo veloce, falcata
larga, come in allenamento e la cra-fuori e mi dice che devo tornare domani con
i miei genito-vatta che sembra un tergicristallo: ora a destra, ora a sini-ri per una
firmetta, niente di più.

stra. Metronomo dei suoi passi e dei miei che lo seguo e riordino i pensieri. Lui
pure. Io a voce bassa, lui alta. Fa le

***

prove per la prima. Ripassa e riprova.

– Dottor Antoni… anzi no… commendator Antoni…

Mai visto mio padre così felice. Mai visto Signor Anicet-questo ragazzo…

to così. Così senza una ruga sul viso, disteso, sereno. Né Poi mi guarda: – No, a
te ti lascio fuori, prima entro io, prima né dopo gli allenamenti, e tantomeno
dopo la che-poi ti chiamo…

mio della moglie sotto l’occhio di zio Nannino. Solo a fine Io faccio sì sì con la
testa.

partita l’avevo visto ridere.

– Dottor Antoni, la squadra dei ragazzini viene su be-

– Lobina! Ripeti! A-ni-ce-tto Al-lar-me…

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Ma forse era una risata nervosa. Che non gli ha mai di-Pigì, usa la penna come il
fioretto. Il polso volteggia nel-steso le rughe.

l’aria, disegna nuvolaglia di zeri. Sorride e tende la mano.

Mi chiedono poco, allenarmi e fare quello che so fare.

– Benvenuti.

Dire sempre di sì al mister che è un tipo un po’ più alto Mai visto mio padre così
felice, così raggiante. Così rag-di signor Anicetto, un po’ più giovane.

giante nel richiudere il portafoglio.

Non parla e mi guarda, mi guarda e non parla. Parla il commendator Antoni.

– Dalle 15 alle 18 allenamento con gli altri, tutti i giorni.

– Suo figlio avrà assistenza medica, formativa, non gli Anche il nuovo mister
deve dire qualcosa.

faremo mancare nulla. Fatta salva, ovviamente, la sua au-

– LunedìMercoledìVenerdì ci facciamo anche un’ora torità educativa.


di palestra, dalle 18 alle 19.

Io neppure li ascolto. Sono di nuovo un martire ragaz-Ordini e imposizioni.

zino pronto al supplizio che non durerà il tempo di due

– Sabato partitella, domenica si gioca…

schiaffoni. Sono un martire ragazzino e qui non c’è nep-E mi esce così: – E la
scuola? i compiti di scuola?

pure il Cristo in tela, Nostro Signor Gesù rockstar marti-Fesso, ragazzino e fesso
e ragazzino.

re che mi sorride.

Ridono tutti ora. Ride mio padre, ride il cavalier Anto-

– La ringrazio…

ni, ride il nuovo mister. Il vecchio Allarme inarca le so-Mai visto mio padre così
raggiante.

praciglia come dire: non dire altro, non dire altro fesso,

– Però io l’avverto: non si faccia illusioni. Non crei l’avrei voluta avere io
un’occasione così nella vita invece aspettative, a sé e al ragazzo.

io non l’ho avuta e tu sì e quindi stai zitto farà la tua feli-Il cavalier Antoni lo
tiene per le redini: cità che non è stata la mia, stai zitto e mannaggia a ’sta sto-

– È legittimo essere ambiziosi. La serie A… la naziona-ria dei tuoi libri, lo


troverai il tempo lo troverai il tempo le… la fama. Ma… bisogna considerare
tutto questo co-ma ora non dire nulla, nulla devi dire.

me un obiettivo secondario. Prima… c’è un piano forma-tivo, un progetto di


vita.

***
E mio padre si fa guidare:

– Certo… è evidente. Anch’io…

Anche questo ricordo è uno di quei ricordi che mi fa

– Vanni è una promessa, lo dicono tutti… ma non tutte provare vergogna,


vergogna nera.

le promesse vengono mantenute. Dipende dalla volontà, Li ho tutti ordinati nella


mia mente, i ricordi della ver-dalla fortuna… ma soprattutto dalla fatica. Per
questo io gogna, e ogni tanto non so se sbucano fuori o se li faccio avevo
pensato…

sbucare fuori io. Forse lo faccio per punirmi: chiodi sui Il presidente cavalier
Pier Luigi Antoni, per gli amici polsi, flagelli sulla schiena, piombo rovente e
mutilazio-52

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ne. Non so. Non so se sono loro a dominare me o io ad in questi stanzoni


immensi, fra le caldaie e gli spogliatoi ordinargli di tornare a galla. Non so.

della palestra, fra questi scaffali, alti, altissimi con la scaletta mobile con i
cuscinetti a sfera che corre veloce fra i Tutti si misero a ridere.

binari e si ferma alla Stazione dei libri romanzi, alla Sta-Fesso e ragazzino.

zione dei libri saggi, libri latini, libri greci, libri traduzio-Ai professori fu
imbucata a casa la busta con i blasoni ni, alla Stazione dei libri medievali
eccetera eccetera.

in rilievo della società. Abbonamento in tribuna numera-Qui non c’è nulla da


riordinare, nulla da sistemare, fa ta. Al preside fu imbucata a casa la doppia
busta con i tutto Ottavio. Qui non c’è nulla da riordinare se non le blasoni sociali
in rilievo. Tribuna d’onore.

mie idee. E Ottavio lo sa.


– Buonpomeriggio professore…

Me lo ha insegnato lui il segreto della memoria. Cioè,

– Buonpomeriggio cavaliere…

dire non mi ha mai detto nulla. Capire solo capire, in-tuire.

Ci provavo pure, studiavo, mi impegnavo, la sera, dopo Uno: leggere. Due:


leggere e ripetere. Tre: leggere e ri-l’allenamento e la palestra e gli addominali
alti e gli addo-petere e leggere. Quattro: ripetere e basta.

minali bassi. Ma nessuno mi voleva sentire, le interroga-Stazione libri romanzi:

zioni duravano nulla e volavano via con le solite due o tre

– La balenaccia! la balenaccia per la terza E, professo-domandine a piacere.


Peccato, persino la commedia che ressa Marinella Cardìa in Cossu. La
balenaccia: scaffale mi trascinava in un delirio di pene e castigo, rimase appe-
tredici, piano quarto scomparto A.

sa lì all’entrata senza speranza. Ecco ero senza speranza, E la scaletta corre


veloce con lui sopra ferroviere di bi-senza nessuna speranza.

blioteca, applicato.

– A metà anno per quelli della terza, la Cardìa, quella ra-

***

chitica della Cardìa, chiede sempre la balenaccia… e vai con la balenaccia!

Eccomi fra i corridoi del mio liceoginnasio. Eccomi E se la ride Ottavio mentre
le sue dita vanno sicure ver-che martello i tacchi su questi pavimenti lucidi e
questi so il terzo volume da destra, scaffale tredici, piano quarto soffitti altissimi.
E i miei passi rimbombano e sento il scomparto A.

brusio che arriva dalle porte scure che sigillano le aule.

– L’ebreuccio! vai con l’ebreuccio per il professor Italo L’unica cosa che sono
riuscito a ottenere è il mercoledì Ortu, terza C…

mattina. Il mercoledì mattina il preside ha detto che posE quasi canta mentre la
scaletta corre e fa rumore di tre-so aiutare Ottavio. Ottavio, applicato
bibliotecario della no sui binari. Tadàn tadàn. Verso la stazione dei libri rac-
biblioteca del liceoginnasio, sa cosa vengo a fare qua giù conti stranieri.

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– Pare così duro restar scapolo, e da vecchio, con grande Ottavio ha fatto il
carabiniere ausiliario a Roma, anzi a diminuzione della propria dignità…

Romma, come dice lui, faceva la ronda ai mercati.

Scaffale 21, piano quinto, scomparto A.

– Vai cor principe per professor Cugia…

– … chiedere ospitalità quando si vuol passare una sera in Ma ha gli accenti


sbagliati.

compagnia…

– Era dunque necessario a Moisè trovare il populo d’I-O forse scaffale 21, piano
quinto, scomparto E. Otta-sdrael, in Egitto, stiavo e oppresso dagli Egizii…
Becca vio si dà due pugni sulla tempia.

Vanni!

– … essere malato e dall’angolo del proprio letto per setti-Il libro precipita.
Canestro. E la scala riparte con un fi-mane intere contemplare la stanza vuota…

schio verso la Stazione dei libri fisica e chimica. Li odio i E se la ride di nuovo
mentre le sue dita vanno verso vo-libri di fisica e chimica.

lume nero, scaffale 21, piano quinto, scomparto E.

E seguo il rumore dei cuscinetti a sfera su questo bina-


– Tiè! beccato l’ebreuccio, un grande l’ebreuccio…

rio di scaffali.

E guarda me, che lo guardo da sotto. Lui sopra, all’api-ce della scala. Io sotto, al
primo piolo.

***

– Tiè! Vanni, ciappa. Questo te lo dovresti leggere anche tu…

Passi per gli addominali alti e per gli addominali bassi, E me lo lancia. E siamo
come nel baseball, lui lancia io gli assist e i passaggi fluttuanti, i pallonetti e le
fucilate agli acciuffo con il mio guantone, cesta in vimini che profuma incroci
dei pali. Potevo farlo, ok potevo farlo, senza prodi muffa-carta. E quasi non
faccio in tempo a beccare il blemi. Glielo concedevo, in fondo non mi costava
nulla.

primo che il secondo mi arriva come una freccia: Ma il resto no.

– Tiè! Vanni, quest’altro leggitelo tu, inizia dal raccon-Uno: leggere. Due:
leggere e ripetere. Tre: leggere e ri-to del babballotti…

petere e leggere. Quattro: ripetere e basta.

Lo guardo e non capisco. E lui capisce e si spazienti-Me la sarei fatta in testa la


mia biblioteca. Come Ottavio.

sce.

E oggi qua giù, in questo spogliatoio, sono convinto,

– Del babballotti, lo scarafaggio, dal racconto del cri-straconvinto, sicuro che se


sono arrivato qui, se sono arri-stiano che diventa babballotti, ma in che lingua
parlo?…

vato sino a qui, se ho resistito così a lungo, anche se oggi ho undici figli, il primo
è fisicamente poco appariscente…
posso dire Ultima di Campionato, be’ allora il merito, se Un colpo di reni e la
scaletta riparte.

merito ci deve essere, è di aver intuito il metodo.

– … ma serio e intelligente…

Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ri-Solo poche traverse più in
là.

petere e leggere. Quattro: ripetere e basta.

– Er principe! Er principeeeeeee …

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Settimo pezzetto

Prendo coscienza. Ma non perdo la calma. Anche se questa mia vita è un


apprendistato continuo. Hanno scoperto che sono un talento. Mi hanno fatto
passare di cate-goria. La gavetta riparte da capo.

Eccomi, sono nello scintillante spogliatoio dei tipi più grandi. Gli altri non mi
guardano ma io so che mi pensano. Ho lo scandaglio sotto pelle, io.

Sono la recluta e loro i veterani. Fra poco si avvicine-ranno ridacchiando, lo so.

Il branco ha sempre un capo. E anche questa è una co-sa banale che tutti sanno.

– E allora Vischio, Fischio o come cazzo ti chiami…

Eccolo, si chiama Demetrio ed è alto, altissimo. Non gli rispondo, levo dalla
sacca la mia attrezzatura. Tanto so che mi si farà più vicino e mi soffierà dietro
l’orecchio.

Poi mi passerà un dito sulla spalla come per levarmi della polvere. Su e giù,
sempre più insistente.
– Allora Fischio… a chi vuoi rubare il posto… qui tutti hanno un ruolo cerca di
non romperci le palle… al massimo qui c’è un posto come massaggiatore… di
coglioni.

I ragazzi intorno ridono, forzatamente. Ingrossano e esasperano le loro risate.


Chiudo la borsa e vado in campo mentre gli altri mi urlano alle spalle.

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– Fischio! Fischio! Fischio!

barriera è messa male… li sistemo e si spostano… si muo-Pecore bastarde e


maledette.

vono… mi levano la visuale…

Eccolo, il mio allenatore avanza oscillando spalle e fian-

***

chi.

Le scimmie chiamavano quel luogo la loro città Nessuno osa più sfidarmi oggi.
Nessuno, solo i compa-Come un orango.

gni per il gioco degli integratori salini. Il gioco della mira e fingevano di
disprezzare il Popolo della Giungla che per ora è un gioco, qua giù. Qua giù in
questo spoglia-Come un Bandar-Log. Animale dei rami.

toio dove tutti hanno passato pure di peggio per arrivare Si grattavano le pulci e
pretendevano di essere Uomini sino a qui, ma erano disposti ad accettarlo.
Sapevano e vo-Avanza con le braccia che gli pendono e le orecchie pic-levano.
Volevano arrivare sin qua giù nello stomaco del-colissime e basse. Su una testa
enorme.

l’arena. Erano pronti a prenderle e a darle. Io no, mi difesi

“Ecco noi siamo ora


solo. Sportivamente.

Simili in tutto all’uomo”

Come una scimmia a guardia del regno dei bipedi anco-

***

ra un po’ quadrupedi, il regno delle bestie uomini.

“Fratello, guarda, ti pende la coda!”

Davanti a me ho un giovane portiere, alto magro, con le Il mio allenatore avanza


con quei baffetti e pizzetto a mani grandissime, gonfiate dai guantoni. Sembra il
topo guardia della mandibola, un mezzo esagono sempre ser-di quel cartone
animato. Il ratto sadico con la faccia da rato. Oscilla verso la barriera composta
da cinque ragazzi, buono che tutto gli fila liscio, avventura dopo avventura
piomba su di loro e strattona il più alto.

alla faccia della logica e del destino.

– Minchioni, qua vi dovete mettere! Qua… quante vol-Ma non questo qui, non è
quel genere di topo. Questo te ve lo devo dire… Demetrio… qua… cazzo…
qua… E

non la acciuffa la palla, che entra rapida nella rete. La mia tu Visco avanti! dài!
ritira!

palla che entra rapida nella rete.

Sono Vanni Visco, il futuro campione. Sono il principe Lui si lancia ma cade
pesante con la faccia a terra.

della balistica che presto diventerà re.

E il nuovo allenatore urla come quello vecchio.

Eccomi, il piede destro tiene fermo il pallone sono pron-

– Paolettoooo!!!! cazzoooo!!! ma che cazzo hai oggi…


to a calciare ma ora li voglio far soffrire. Aspetto.

dieci… cazzo… dieci te ne sei fatto fare… neppure uno La mia faccia non
trasmette emozioni, i miei occhi pun-ne hai parato.

tano quelli di Demetrio. Sono il Conte delle vendette, il E Paoletto frigna.

Conte della rabbia e dell’orgoglio. Sono il piatto che va

– Mister Ettore… non è colpa mia… la barriera… la mangiato freddo, ma mica


tanto.

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Guardo la porta. Le pupille dei miei occhi si dilatano.

nea all’altro. Il mio filobus va dagli antichi rioni ai nuovi Calcio un siluro. I
ragazzi della barriera vedono passare quartieri, palazzoni che hanno l’aria di
avere già dato. So-rapidissimo il pallone sulle loro teste. Un siluro. Angolo no
cresciuti in fretta e con rapidità sono invecchiati. Mu-destro. Rete.

tui alti e case troppo strette che tutti hanno dovuto chiudere i balconi con i
profilati in alluminio bronzato e i vetri Riordino calzoncini e maglietta nella
borsa con i colori smerigliati per farsi un po’ di spazio.

sociali. Intorno a me parlano, disordinatamente, le loro Prima qui c’erano solo


zanzare, canneti e stagni dove ci voci sono in sottofondo. Ma capisco che
parlano di me.

affogavano le macchine rubate. C’era il silenzio che di-Resto imperturbabile.


Proseguo a riordinare le mie cose.

ventava fragore e confusione la domenica pomeriggio.

Uno: riporre le calze. Due: riporre i calzoncini. Tre: ri-Perché prima, qui, c’era
solo lo stadio, quello del nostro porre la sottomaglia. Quattro: riporre la
maglia… cinque: primo scudetto dove oggi ci fanno l’hockey, su prato.

anche la fascetta contro il sudore.

Il mio filobus viaggia dal viale sotto le carceri alla piazza Chiudo la cerniera
lampo della sacca, punto l’uscita e: della via per il mare. A volte mi piace
perdermi, sul mio fi-

– Ciao Vanni… ciao Vanni… a domani Vanni… ciao Và.

lobus. Con l’abbonamento vado da un capolinea all’altro, Non sono più la


matricola. E il trono di Demetrio inizia dal vecchio al nuovo. Su e giù, avanti e
indietro e ancora a vacillare.

avanti.

– Vanni, Vanni, scusa… se vuoi da domani veniamo al Si parte dal viale sotto le
carceri con gli alberi che quasi campo insieme, i miei per i diciassette anni mi
hanno re-si intrecciano, fanno tunnel e il sole non ci passa.

galato il Vespone…

Nessun rancore ma solo verità, la mia ingenua verità.

Fermata uno, due e tre: ci salgono gli studenti che tor-

– Ah, grazie Demetrio ma preferisco venire in filobus…

nano dalle lezioni. Hanno sempre mille fogli e copertine c’ho l’abbonamento…

lucide e fotocopie sotto il braccio. Ci sono quelli che chiac-Che è come un lascia
passare, questo abbonamento. La chierano e chiacchierano e quelli che fumano
sigarette e, chiave per aprire tutte le porte di questa città che non seduti sui
sedili, sprofondano la faccia e i mozziconi nei odio né amo. Che amo e odio
perché tutte le città dove sei libri. Sembra che ci siano i segreti del mondo in
quei libri nato sono così. E anche questa è una banalità che tutti e loro hanno le
facce di chi li capisce. Hanno facce serie.

sanno.
Soprattutto le ragazze, quelle che fumano le sigarette e i ragazzi non se le filano
neppure per un caffè al bar lercio Il mio filobus che taglia in due la città con i
doppi cavi dall’altra parte della fermata. Ma loro credono che con sospesi
nell’aria.

quelle sigarette e quelle facce preoccupate che figgono Taglia in due questa città
nel suo percorso da un capoli-nei libri qualcuno un giorno se le filerà un po’.
Andrà a fi-62

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nire che loro ci crederanno davvero che stanno interpre-magari i pittori e gli
attori - hanno fatto un convegno sul-tando i segreti e saranno le ragazze più
arroganti del l’immaginario ospedaliero e nel manifesto c’erano anche mondo.

le foto di Edvigefenec che è una bona, come tutti sanno, A volte sbircio e vedo
che i problemi del mondo sono con il culo così e le tette così che prima faceva
filmetti così numeri e numeri e frazioni ed equazioni. I problemi del e tutti in
corsia quando ci finivano speravano di trovarci mondo. A volte sbircio e vedo
che i problemi sono pensa-una così ed era l’unico motivo perché in ospedale
poteva-tori tedeschi e pensatori inglesi e pensatori americani no ancora sperare.

comparati con i pensatori russi.

Ma questa non lo capisce e minaccia querele. Perché la Comparati. Lo ha detto


quella che anche se ci sono posti classe infermieristica va tutelata nella sua
immagine. La a sedere si mette accovacciata, tipo falò indiano, nella piat-classe
infermieristica. E vorrei arrabbiarmi e ricordarle taforma con la sigaretta e il
libro e i problemi del mondo.

che quando gli infermieri di quella clinica non prendeva-

– Sto comparando…

no lo stipendio da mesi, lei in tivù non è apparsa e non c’è E il tipino che aveva
la stessa borsa con le frange in pelle stata conferenza stampa sulla classe
infermieristica, e sul-scamosciata le ha detto:

la sua immagine. L’immagine.


– Scusami…

Le ha offerto una delle sue sigarette fatte a mano e poi si

***

è messo lì fermo in piedi quasi a farle la guardia. Ogni sera sul mio filobus fanno
così, lei compara, lui fa la guardia.

Fermata cinque e sei: non sale mai nessuno. Sale qual-cuna solo la sera, la sera
prima della cena. Sono tutte don-

***

ne e sono tutte vestite di scuro, hanno anche il viso am-mantato di nero. Lo so da


dove vengono, vengono dai fra-Oggi qua giù, qui in questi spogliatoi dove si
comparati che soluzioni per i problemi del mondo non ne hanno no muscoli e
azioni, diversivi e tattiche.

ma aiutano a vivere. Lo ha detto mia nonna e io quando Non so che fine hanno
fatto i ragazzi del mio filobus. So incontro i frati penso sempre a Nostro Signore
Gesù Cri-solo della tipa che comparava. L’ho vista in tivù.

sto martire rockstar che gioca a pallone con la fascetta Onorevole non-so-che-
cosa del partito non-so-che-co-contro il sudore e i capelli lunghi.

sa ma che una volta in Consiglio Regionale doveva tutela-Coi frati ci abbiamo


giocato a pallone per un torneo di re i lavoratori ma che oggi, l’ho visto in tivù,
era solo Pasqua e di raccolta di soldi per i poveri della città, poveri preoccupata
di tutelare le infermiere di quell’ospedale e disgraziati e miserabili. I frati a
pallone ci giocano anche dove dei giovani infermieri - che fanno questo ma
avreb-bene e se la ridono sempre anche quando prendono certe bero voluto fare
altro, magari i registi, magari gli scrittori, batoste e nessuno di loro urla e fa
facce storte come i miei 64

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compagni e Mister Ettore che anche i frati sono avversari


– E minca mia a te! e stai attento con quei cazzi di fer-da umiliare.

ri…

Se la ridono con quei lacci di cuoio in fronte che gli Mi piacciono i palazzi
vecchi e ogni giorno scopro un bloccano i capelli lunghi, come le rockstar
martiri.

particolare che i restauri fanno brillare. Vorrei entrare in quelle case perché ho
come la sensazione che nascondano Alle fermate sette, otto, nove, dieci e undici
ci salgono segreti e misteri perché l’hanno vista crescere questa città.

quelli delle compere. E mi schiacciano e io, io, cedo sem-E cerco di leggere
rapidissimo le targhette in ottone luci-pre il posto alla signora più carica e più
rugosa.

do dei campanelli: notaio Fassino, avvocato Puxeddu

– Prego signora.

Corda, famiglia Cao Schinardi, famiglia Cao Schinardi,

– Grazie ragazzo.

famiglia Cao Schinardi. Quelli che hanno tre campanelli La strada è stretta
stretta e la gente entra nei negozi, luci di fila mi mettono invidia - chissà quali
segreti - e cerco di al neon, per non farsi schiacciare dal mio filobus. Qualcu-
scoprire le loro finestre e una volta ho visto affreschi ai no bestemmia e a
seconda del conducente sono rogne e soffitti e lampadari con gocce giganti.

una volta pure colpi brutti. Una volta, il conducente si è Ingegner Grimaldi Pilo,
dottor Maxia, niente. Quelli con infiammato perché i tipi - gente con le camicie
aperte sino le targhette in ottone lucido e liscio senza l’incisione - nien-allo
stomaco e i medaglioni e gli anelli - gli avevano cerca-te, appunto - hanno
segreti e misteri ancora più grandi.

to la madre. Lui ha tirato il freno a mano che sembrava un argano di ponte


levatoio medievale. Un rumore.
Alla fermata quattordici e quindici ci sono le scuole, i li-Si è levato il berretto
con la visiera e al più grosso lo ha cei e i ginnasi. E se non è orario di entrata-
uscita non sale e partito di testa. Come Nannino con il commendator Car-non
scende nessuno. Se è orario di entrata-uscita è uno cangiu quando abbiamo
chiuso la stagione venatoria. Ma schifo di casino e di puzza di ascelle e di piedi.

quello, il più grosso, non è crollato e lui e gli altri lo hanno sbranato il
conducente. Sono dovuti arrivare i vigili urba-Sul filobus deserto della sera mi
piace stare col muso ni a levarglielo dai canini. Però la gente del filobus al con-
appiccicato al vetro e sento le porte che stantuffano: apri e ducente pieno di
sangue lo ha applaudito quando è risali-chiudi, apri e chiudi. I segreti della
meccanica. E penso di to e siamo ripartiti.

essere a bordo di una carretta fantasma e maledetta che solca mari morti e porta
sospiri e lamenti.

Fermata tredici: salita fissa. Regolare che il filobus ci Abbasso gli occhi e aspiro:
oli e gomme grosse bruciate.

perda le antenne che ondeggiano nell’aria e quasi toccano Poi li riapro e lascio
che le lampadine giallolurido mi ac-i palazzi vecchi con gli operai che ci
lavorano sopra come cechino e vedo tutto sfumato, appannato, dilatato e i fari
ragni e urlano.

delle macchine che sono serpenti di luce che sgusciano ra-66

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pidissimi sull’asfalto. Fuggono in fretta in fretta. Via, lon-

***

tano da queste strade.

Appiccico naso e bocca al vetro grosso e respiro pesan-Le mie antenne, il mio
scandaglio sotto pelle, lo aveva-te. Sento l’odore della mia città che suda
condensa e ap-no rilevato subito. Forse il mio fisico era nato per questo panna
questi vetri.
ma la mia mente sarebbe potuta andare molto più in là e la Faccio scivolare le
labbra e sento il sapore, mare salato e mia anima non sarebbe stata soddisfatta.

polvere nera, gas di scarico. Una volta ci ho anche passato Ma non sono mai
stato un figlio ribelle. Non potevo es-la lingua, per assaggiare.

serlo, quel posto era di Luigi.

– Che cazzo fai ragazzo?!

Gigi che da mesi nessuno aveva avuto più notizie.

– Mi scusi signore, mi scusi signor conducente…

– Che cazzo vi fumate alla vostra età? e che cazzo…

***

Assaggio la città, avrei voluto dire.

– Cosa ha detto l’ambasciata, Antonio?

Alle altre fermate, sino al capolinea della piazza dello Mio padre è un tipo
pragmatico ma non senza cuore.

stadio vecchio per la via del mare, la gente scende e basta.

– Maria, non ti preoccupare l’ambasciata ha detto che La sera scendo solo io e


proseguo a piedi con la mia sacca Luigi sicuramente avrà conosciuto qualche
bella olande-rossoblù.

se, o è ancora con quella tedesca e ora chissà dove se la sta Mi guardo le scarpe
ed evito la riga fra una mattonella e spassando. È già capitato a tanti ragazzi,
vedrai che lo ve-l’altra. Riga, hop e salto. Riga, hop e rallento per non finir-
dremo spuntare con un’altra bella stangona…

ci sopra con la punta del piede.

Mia madre ci crede e non ci crede.


I palazzi sono tutti nuovi e alti, ma non brillano neppu-

– Speriamo… speriamo che non si presenti anche con re questi. Scendo qui
perché ora qui ci abito, oltre lo sta-un nipotino… in… in braccio…

dio dove una volta i ragazzi, i giovani della squadra, si alle-E piange.

navano e invece oggi ci alleniamo dall’altra parte della Vorrei essere anche io un
figlio ribelle. Presentarmi a città, un po’ fuori dalla città fra i campi di gomme
bucate, casa con tutti i miei libri nascosti nell’armadietto dello bruciate esauste.
In mezzo a questa diarrea di periferia c’è spogliatoio e dire:

il nostro campo verde smeraldo, gli spogliatoi lucidi, i pic-

– Non sarò un campione, non sarò nulla, mollo.

coli spalti di plastica colorata. Un’oasi arrogante nel de-Dire a mio padre che del
calcio non ne voglio più sape-serto di erba lercia dove qualche volta c’è pure
qualche re, dire a mia madre che vorrei fare cambio, cambio di vi-pastore e
qualche pecora ancora più lercia dell’erba e delta. Andare al liceo e basta e
studiare latino-greco e filoso-le gomme.

fia. I poeti e i narratori. Gli eroi e i sognatori.

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Ma non sono un figlio ribelle e neppure senza cuore.

Ottavo pezzetto

Così avrebbe detto mia madre - senza cuore - che ora si consuma nel salotto.

Vorrei fare questo ma oggi, oggi come posso?

Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere e leggere. Quattro:
ripetere e basta.

Un delirio convulso o forse un’irrazionale autodifesa. Insieme ai muscoli iniziai


ad allenare il cervello, col metodo.

Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere e leggere. Quattro:
ripetere e basta.

– Ottavio, Ottà…

Ottavio aveva un lettino dietro la stazione dei libri filosofia. E io ne approfittavo


per farmi un giro da solo sui binari. Su e giù, avanti e indietro. Una scimmia sui
rami.

– Ottà, ma libri moderni qui non ce n’è?

Ottavio stava sulla branda e fumava, piano piano e faceva cerchietti. Con la
mano destra pizzicava la sigaretta.

Pollice indice stretti sul filtro, il medio dritto, per aria.

Con la sinistra accarezzava il suo cirneco, cane da caccia in prepensionamento.

– Moderni come?

E faceva cerchietti.

– E moderni come? Moderni moderni. Qui il più re-cente avrà vent’anni.

Soffiava risposte insieme ai cerchietti.

– Sfasi sfila sfle sflentro.

– Come? Ottà, non sento…

– Prova alla libreria del centro!

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Ottavio scocciato e scazzato.


gli inni variati intendo,

– E dov’è?

i canti dei meccanici

– Ah, aaaah a regazzì, del centro, ho detto del centro.

Cinque, sei, sette e otto

E si spazientiva.

E ognuno canta il suo nome

– Dì che sei amico mio. Dì a Gabriele che ti mando io.

come deve essere

Tu però chiamalo signor Rocca. Senti, fai così. Vai lì e gli Nove

dici, bravo bravo: Signor Rocca mi manda Ottavio, Otta-Quello del carpentiere
mentre

vio il suo dipendente che ora sta al liceo. Vai lì, bravo bra-misura tavola o tronco

vo, e gli dici: sono qui per imparare. Tu digli così: sono Dieci, undici

qui per imparare, non comprare capito? Imparare. Non Quello del muratore
mentre

comprare.

s’avvia al lavoro o ne ritorna

– Ottà ho capito. Ma dov’è la libreria del centro?

Dodici, tredici e quattordici

– Sficino sfzona sfedonale, sfvia Sfvenezia, sfvia Sfve-E odo il canto del
calzolaio
nezia. Capito?! e mo non rompermi li cojoni.

seduto al deschetto

Quindici, sedici, diciassette e diciotto La beccai dall’alto del pullman che mi


portava al campo.

Quello del cappellano

Il filobus delle tre vuoto, con tutti i posti a sedere liberi.

che sta sempre in piedi

Le teche in legno scuro sul muro esterno e le copertine Diciannove

colorate.

Canta con gole aperte

Fu quella volta, mentre il walkman di mio fratello mi le sue forti canzoni

sparava nelle orecchie.

E 20… Melodiose!!!!

– Spaccagli il culo, Vanni.

Ci presi gusto e iniziai a farlo anche in partita.

Erano mesi che non avevano più notizie. Luigi, mio fratello.

Sì, fu da quel giorno che al rientro scesi dal filobus die-Fu quella volta, la prima
volta col metodo.

ci fermate prima e tornai a casa carico di nuovi libri na-Quattro: ripetere e basta.

scosti nella sacca fra la mia divisa rossoblù.

Ero lì, al campo, sull’erbetta, faccia in terra e via con le flessioni.


***

Le braccia andavano: uno, due, tre e quattro…

E con loro la mente:

Un campanellino legato alla porta, trilla e mi fa vibrare Sento cantare l’America

la schiena. Mi annuncia e vorrei farmi piccolo piccolo.

72

73

Ma dentro, grazie a Dio, non c’è nessuno. Alzo lo sguar-Anche la libreria


ondeggia, come il mio bus ad ogni fer-do: ci sono degli scaffali altissimi e libri,
tanti libri. Più di mata. Ma signor Rocca lascia fare, sa che il vortice prima quelli
della biblioteca del liceoginnasio. Abbasso lo sguar-o poi troverà il suo ordine
naturale.

do e il pavimento è sbilenco, le mattonelle bianche a ret-Alla cassa c’è anche una


signora dalle lentiggini rosse, tangoli verdi e neri litigano per stare in linea, e non
ci rie-come i capelli raccolti sulla nuca e bloccati da una grande scono. Le seguo
sino a che il mio sguardo non sbatte su matita. Batte veloce sui tasti bianchi e
rossi e infila i libri un bancone enorme e scuro. Alzo gli occhi, lentamente.

in bustine scintillanti, come i suoi occhi.

Sul banco ci sono i gomiti di un tipo sulla quarantina, ha Eccomi, sono incantato
al centro di questa giostra, fra gli occhi azzurrissimi, e quasi ride.

il parlottare fitto e il via vai ritmato dal campanello che

– Dài avanti, entra.

annuncia isterico entrate e uscite. Ho un libro in mano Giacca e pantaloni in


velluto liscio marron.

ma non lo leggo, guardo ma non vedo e non mi accorgo


– Prego accomodati.

che signor Rocca è lì davanti a me che mi sorride o forse Degli occhialini che gli
penzolano sulla camicia crema.

ride.

Entro ma mi nascondo subito dietro un espositore gi-Tremo ma mi butto.

revole. Afferro un libro e ci butto la faccia dentro.

– Sono qui per imparare… – e mi vergogno e mi guardo Il campanello suona ed


annuncia altra gente. Risuona e intorno.

il libraio non ha più occhi per me.

– Lo so, lo so, ti manda quel matto di Ottavio, vero?

– Giusta scelta signora…

Faccio sì sì con la testa.

Sbircio.

– Vieni, ti trovo io un posto tranquillo.

– L’ha letto? Signor Rocca?

E lo seguo.

– No, però ne parlano tutti bene, di solito leggo roman-Per me c’è un corridoio,
stretto e lungo e alla fine una zi non saggi.

stanza esagonale con i volumi che si arrampicano su una Il campanello vibra


ancora e ancora.

libreria a sei facce. Al centro una poltroncina girevole.

La libreria è peggio del mio bus quando mi porta a scuola. La gente spinge, si
agita fra gli scaffali, afferra, sfoglia, va alla cassa, poi ci ripensa e ritorna alla
cassa e poi agli scaffali e poi di nuovo alla cassa con altri libri. La libreria è
peggio del mio bus quando mi riporta da scuola con le signore che chiacchierano
e non la finiscono più e mi pun-gono le gambe con le buste della spesa cariche di
carciofi.

Fermata dodici e tredici.

74

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Nono pezzetto

Decollo, volo. Eccomi alla tre quarti, la palla al piede, salto un avversario. Me ne
trovo un altro davanti, finto, lo lascio di stucco e lo supero. Sono davanti al
portiere, a sinistra arriva un difensore. Prendo la mira, mi sento come un pilota
su un Mig. Avvistamento, puntamento, fuoco.

Lo lascio lì in ginocchio, la palla dietro la sua schiena e i miei compagni che mi


saltano addosso. Anche Demetrio.

Eccomi sul terreno di gioco che sarà il terreno della mia vita. E non ci sarà via di
scampo se lascio che il mio fisico faccia ciò che sa fare. Se le mie gambe
sapranno saltare e correre e dribblare e ballare con un pallone in mezzo ai piedi e
sapranno cucire nuove balistiche e infrangeranno le leggi della fisica e
dell’umano intelletto.

Sono nato per questo e forse anche per altro.

Eccomi, ecco che vado via da questo campo che non mi appartiene e corro verso
gli spogliatoi. Con la rabbia che mi divora le viscere.

E non ho nulla nella testa che possa darmi pace.

Corro sotto la doccia e rimango lì nudo sinché l’acqua calda non diventa tiepida
e poi fredda.

– Non credevo lo avessi così piccolo.


Demetrio mi guarda e le sue pupille sono due laser.

– Non è piccolo e poi fatti i cazzi tuoi.

E poi me ne pento. E poi mi vergogno.

77

***

to di palla. Steso al secondo, falciato al terzo. L’equazione era facile, mi avevano


preso per un birillo da buttare a Credo di essere stato il primo diciassettenne a
sedere terra, per un pischello da spaventare.

sulla panchina della squadra dei grandi, la serie A pro-Ok, gioco da ragazzi.
Dovevo soltanto saltare un po’ di prio nell’anno del nostro quinto scudetto.
Giocai poco, più, essere un po’ più veloce. Far fare al mio fisico quello anzi
nulla. Ma osservai tanto, tantissimo, abbastanza per per cui era stato creato.

capire che mi ero ficcato in un brutto guaio. Avrei potuto ingoiare e digerire tutta
la biblioteca nazionale britanni-

***

ca, non mi sarebbe bastato, avrei comunque dovuto fare i conti con tutti loro e
quelli che c’erano dietro e quelli che E allora eccomi, eccomi con la palla a metà
campo: pas-c’erano intorno.

so, mi smarco, corro sulla fascia, aspetto che ritorni la Lo capii dopo la prima
volta che scesi in campo, un an-palla, ed eccola puntuale. Un pallonetto per il
piede sini-no dopo. Lo stadio ululava e la squadra non girava. I stro che sposto
sul destro.

compagni avevano la testa imballata, le gambe imbriglia-La mia mente era uno
specchio

te. Il mister sbavava e ringhiava peggio di un cane da pre-vedeva ciò che vedeva,
sapeva ciò che sapeva.
sa. In campo i miei ragliavano come asini alla luna, ma In gioventù la mia mente
era solo uno specchio non si mettevano d’accordo, non si intendevano con gli
d’un auto in rapida corsa,

sguardi, figurarsi con le parole. Fu forse per rabbia, sicu-che coglie e disperde
frammenti di paesaggio ramente per umiliarlo che il mister fece cenno a Magni
di Un treno in maglia biancoazzurra mi punta, ma ho già uscire dal campo, a me
diede una pacca sulla spalla e bi-capito il gioco, arriverà dritto sulle caviglie,
basta aspet-sbigliò: Preparati.

tarlo sul binario e poi spostarsi all’ultimo istante. Lui an-Sugli spalti si scatenò il
finimondo, urla, fischi. Forse al drà dritto, mi sfiorerà ma non mi colpirà. Come
da copio-mister non venne risparmiata fra gli insulti neppure la cu-ne, volo verso
l’area di rigore.

gina di quinto grado. Ma lui era lì, impassibile, sicuro di Poi con il tempo grandi
graffi solcano lo specchio, voler punire Magni, il campione, il capocannoniere
che e lasciano che il mondo esterno vi penetri non era in grado di piegare quella
squadretta ancora fre-e il mio io più segreto vi affiori.

sca di serie B. Fischiavano, urlavano. Entrai in campo e Poiché questa è la


nascita dell’anima nel dolore, mi guardai intorno. Se tanta rabbia e tanta foga
l’avessero una nascita con vincite e perdite.

messa nelle loro vite, non avremmo avuto una città con il Ne arrivano altri due,
sul gioco a tenaglia non avrei 35 per cento di disoccupati.

scampo e allora… di nuovo sul mio Mig: avvistamento, Non fu un buon inizio.
Venni atterrato al primo contat-puntamento, fuoco. Angolo sinistro della porta.

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La mente vede il mondo come cosa a sé, stato un fenomeno ma per poco, morto a
23 anni alcoliz-e l’anima unisce il mondo al proprio io.

zato che non era riuscito a eguagliarsi e a reggere i ritmi.


Uno specchio graffiato non riflette immagine Chissà che faccia farà domani
quando mi troveranno, e questi è il silenzio della saggezza.

quando dovrà stendere il mio epitaffio. Potrebbe leggersi Spoonriver, così giusto
per prendere le misure. Ma ho

***

paura che anche scandendogli lentamente le sillabe lo scambierebbe per un


cocktail, tipo screwdriver o gin-fizz.

Quelli che stanno dietro, intorno, sono i peggiori. E an-Da giovane le mie ali
erano

che questo tutti lo sanno.

forti e instancabili

L’ho capito quella sera, con i capelli ancora bagnati e il ma non conoscevano le
montagne.

blazer infilato in fretta e furia, sotto i riflettori delle tele-Da vecchio conoscevo
le montagne, ma le mie ali stanche camere, ferito agli occhi dalla slavina dei
flash.

non potevano seguire

Prodigio, prodigioso era l’aggettivo più sprecato, non la visione.

sapevano dire altro. Un prodigio che aveva salvato la squa-Il genio è saggezza e
gioventù.

dra. E poi: Come ci si sente? Che effetto fa?

E come ci si sente e che effetto volete che faccia? Niente e nessuno avrei voluto
rispondere. Specie a quello che sentivo in cuffia. Mi urlava trafelato che prima di
me a quell’età solo un certo Passito dell’Uruguay nel milleno-vecentosettantadue
contro il Paraguay nella Coppa Sud America a Rio De Janeiro al
quarantaduesimo del secondo tempo arbitrato da tal Fritz tedesco ma oriundo ar-
gentino che aveva arbitrato pure Italia-Svizzera in amichevole…

Un autistico.

Lo vidi il lunedì notte alla tivù, sguaiato con quel colore di capelli biondo antico,
quasi bronzo. Sbraitava che i ragazzini al calcio non bisognava farli giocare, si
chiedeva se il mio equilibrio psichico avrebbe retto, che rischiavo di essere un
fuoco di paglia. Raccontò ancora del povero Passito, senza le censure del giorno
prima, perché, sì, era 80

81

Decimo pezzetto

Un cenno della mano e uno degli occhi. Rocca spulcia gli ordini aggiustandosi
gli occhialini a mezza luna. Chino su quel bancone in noce. Sul quel bancone
dove mi aspettava già una pila di libri. Quelli che stavo leggendo, spuntano i
segnalibro. Quelli ancora da leggere, con le pagine incollate.

– Seguimi, – mi aveva detto e ormai la strada la conoscevo.

Fra gli scaffali alti, imponenti, si apre il corridoio. Il corridoio stretto che porta
alla piccola stanza esagonale.

La libreria esagonale con al centro la poltroncina girevole in pelle rossa. La mia


poltroncina.

Signor Rocca non mi chiede mai una lira ma io pago puntuale a fine lettura.
Ritiro il libro che voglio non resti lì.

Signor Gabriele Rocca mi ha sempre capito. Bastarono solo due parole il primo
giorno. – Seguimi. – E lo seguii. –

Puoi leggere qui se vuoi, nessuno ti disturberà. – Bastarono poche parole. Come
con mio fratello. – Fagli il culo Vanni. – Gigi, mio fratello, che hanno trovato
gonfio co-me un palloncino in un canale di Amsterdam. Overdose, disse
l’ambasciata. E il viso mangiato dai pesci.

– Overdose, – disse mio padre nel salotto di casa tenen-83


do la mano di mia madre che iniziò a piangere e non smi-In questa città non era
difficile muoversi se eri qualcuno, se mai più. Del viso e dei pesci e della loro
voracità non le qualcuno del campo, dell’arena. Ti fermavano, ti stringe-disse
mai nulla.

vano la mano, ti facevano occhiolino, al massimo qualche autografo ma ti


lasciavano vivere in pace, ti lasciavano l’a-

***

ria.

In questa città non era difficile neanche fare affari se eri Gigi, solo Nannino ebbe
il coraggio di vederlo prima qualcuno. E tutti volevano farti fare l’affare e poi
dire: che gli saldassero sopra il coperchio di zinco.

Glielo fatto fare io l’affare. Appartamentini in centro, vil-Qui in questo


spogliatoio lo ricordo mio fratello. E de-lette in periferia, bifamiliari al mare,
ruderi da ristruttu-cido di farla finita come lui troppi anni fa. Anche io sono rare,
ruderi già ristrutturati con o senza termoascensore, diventato ribelle, ora che i
miei non ci sono più.

no animali, sì bambini, no garage, sì cantina grande e con Ci do un taglio netto


anch’io, ora, con coscienza. Non finestra, sì box auto, no riscaldamento
autonomo, sì ri-ho nessuno da far soffrire, io.

scaldamento centralizzato.

È rimasto zio Nannino e i cugini. Ma quelli li sento solo Alla fine ne ho preso
una sopra le banche. Sotto ci sono all’inizio della stagione quando gli invio
l’abbonamento.

uffici e basta. Sopra io che da qui vedo il porto e il mare.

È rimasto lo zio perché gli altri li ha divorati il dolore. In Ma ora, come ieri, a
casa ci sto poco. Oggi la sera in verità è restato anche mio padre, ma per metà,
un po’ qui poltrona con un libro, ieri davanti alla tivù con Demetrio e un po’
chissà dove. È restato ma non sente più nulla. Alche porta le videocassette per
rivedere ogni nostra azione meno credo. Così mi sembra quando vado a trovarlo
in ogni nostra mossa sul campo. E questa è una cosa che tut-clinica. Ma forse è
solo una mia speranza.

ti quelli del calcio sanno.

Eccomi sono qui che mi ricordo quando ero lì, al fune-Uno: registrare. Due:
guardare e riguardare. Tre: capire rale. Indosso la giacca della società. Affianco i
miei, die-e non sbagliare più.

tro tutta la squadra e signor Anicetto e Mister Ettore e Demetrio, quando ancora
mascherava. Demetrio quan-Demetrio e il mister nuovo e Magni che piangono
come do ancora eravamo compagni di squadra, anche se lui in vitelli. E ci sono
anche quelli che hanno scritto sui muri A c’è arrivato dopo di me. Anche se lui
era più grande, an-della città: Tutti a Torino per Gigi. E io non ho capito, che se
lui l’invidia l’aveva nascosta bene.

tutti chi? A Torino per chi? E perché? Per chi? Per loro?

Per me?

Eccomi a mettere nel conto le fregature. Ma non mi levo Per me che non posso
piangere né mai più dire “basta, dalla scatole per questo. Questo è troppo banale.
Non per sono anche io un figlio ribelle”?

questo, per nessun’altra ferita: non valgono quello che sto Dopo andai a vivere
con tutti i miei libri.

per fare. Le mie antenne lo sanno. Ho preso coscienza.

84

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Quello, quello fu solo un altro episodio nell’apprendista-tarmi, il piede segue il


ritmo, le spalle iniziano a roteare. I to. Tutto qua. E ora, qua giù, in questo
spogliatoio che sto miei compagni, intorno, sono già persi, lanciati. Spanti per
lasciare, mi scappa di nuovo da ridere e ora potrei an-sbraita e dice cose da
spogliatoio avanzato. Magni bisbi-che farlo, visto che i compagni hanno già
invaso l’area ar-glia frasi all’orecchio. Capisco che non fa differenza. Non
madietti, la barba fresca di barbiere che apre per loro la ci vuole metodo qui.
Non fa differenza tanto il risultato è domenica, e hanno iniziato a cambiarsi.
Urlano e come al lo stesso: quelle ridono e fanno certi risolini che sembrano
solito, già dalla Prima, organizzano l’andata in discoteca criceti.

del dopopartita: si scambiano minchiate, progetti e pre-Okey, chiaro, capisco


anche questo gioco, meglio anda-servativi, ridono perché sanno cosa li aspetta
questa not-re a ballare.

te, che si vinca o si perda.

– Ciao Vanni, sempre pensieroso? O stai pensando ai Prima di campionato,


riapre lo stadio, riapre la discote-bambini del Ruanda?

ca della domenica e la caccia è aperta.

La guardo ma non capisco. Poi provo a ricordare.

È stato così per ogni anno della mia carriera. Finita la Deve aver visto quella
trasmissione televisiva, quella del partita, di corsa a casa, poi a ballare. La prima
volta che mi calcio in favore delle adozioni a distanza. C’ero andato, ci hanno
portato avevo vent’anni, avevo resistito a lungo avevo devoluto qualche milione.

ma alla fine mi avevano convinto. Quel cinque a zero, tre

– Allora Vanni, due salti in pista?

gol miei, andava proprio festeggiato.

La guardo meglio e la riconosco. In quel talk-show era seduta affianco a me,


però non aveva detto niente: accaval-

***

lava le gambe e poi accavallava le gambe sino ai titoli di co-da. Nelle


trasmissioni successive le avevano permesso di Al Paradise Disco il pubblico è
diviso in tre categorie, fare qualcosa di più: le prime risatine e i primi sorrisetti.

anzi quattro: noi i calciatori, le donne, quelli che procura-no le donne ai


calciatori e infine quelli che invidiano noi i

***

calciatori, le donne e gli accompagnatori.

Le ragazze ci sfilano vicine, sorridono, abbassano lo Oggi è un’opinion maker.


L’ho vista l’altra sera che la sguardo nei loro vestitini, sui tacchi sproporzionati.
Arri-intervistavano sulla nuova caduta del governo, poi all’ul-vano a un soffio
dal nostro naso, ridacchiano, scortate sot-timo prêt-à-porter e infine a una
manifestazione di am-to braccio da uno che subito se ne va sussurrando: Hai vi-
bientalisti. Ma allora era solo un nome buffo: Vanesia Fle-sto che te l’ho
presentato?

sh. E un bel paio di gambe. Belle ma fragili. Dopo dieci La musica viaggia e non
è neanche il solito rigurgito di minuti di balli era già stanca. Si fece
riaccompagnare a ca-questi posti qua. Le luci tagliano l’aria e sto anche per but-
sa e si fece rimboccare le lenzuola, con me dentro.

86

87

***

Guai! Gli urlava Ottavio con la faccia del demonio dell’inferno dei cani
quadrupedi che vogliono diventare bi-Sono una corda, teso. Mai fatto. E ci provo
col metodo.

pedi. Quello muso basso, coda fra le pallette, se ne torna-Unisco i ricordi. Le


foto del vecchio spogliatoio, le foto di va dietro la stazione dei libri filosofia.

Signor Anicetto: rockstar martire bionda con un dito sul-

– Guai!

la coscia destra e un dito sulla coscia sinistra… Le code E questa rantola per
qualche minuto e poi di nuovo ad-delle cassette di Demetrio… In coda alla
nostra partita ci dominali alti, addominali bassi, flessioni, anche e glutei.
sono sempre due che se le danno di santa ragione, per po-E io alleno braccia e
mente.

chi minuti ma se le danno di santa ragione. Demetrio è Pieni di te ho miei poveri


occhi

sempre stato un po’ avido e ci registrava sopra - le nostre Uno, due, tre,
quattro…

azioni - i programmi della tivù del quartiere dopo le 2 di come un pantano è di


lume di luna

notte, zozzi zozzi. E poi di nuovo le nostre azioni.

E lei miagola: e cinq e se, e set e ott…

Uno: ricordare. Due: ricordare e ripetere. Tre: ripetere e ti adoro

e basta.

piegato sui ginocchi

Tipo: flessioni, flessioni, addominali alti, addominali E lei urla e trema come una
tarantola e spalanca la boc-bassi, glutei, fianchi.

ca. E nov e dieci, und e dò…

Lei urla, urla conficcandomi le unghie dietro la schiena.

o bionda che sei bionda

Tipo: lingua, culo tette, cazzo figa.

e sembri bruna

Mi sa che è così. Ma non si finisce mai.

Sto per esplodere e il calore mi infiamma lo stomaco, mi

***
pizzicano le guance poi il petto, mi scoppiettano i capelli poi la gola, mi si
asciugano le labbra e guaisco come il cane Frazzi sparito con la biondina
raccontò di certi giochi di di Ottavio con la prof Cardìa.

bocca, Spanti invece era inviperito perché quella da die-

– Guuuai! Guai! Guai a te!

tro non ne aveva voluto sapere, e via tutti gli altri a sfode-Ma questa mi sta
artigliando una palla, me la artiglia con rare posizioni, prestazioni, ritmi,
orgasmi, erezioni da re-le sue unghie smaltate e finte.

cord, eiaculazioni al rallenty.

– Guai!

È sempre stato così, ne ho visto mille giocatori finire E io riporto tutti a cuccia.
Come il cane di Ottavio giù nelle spire del Paradise. I pudori arrivano nei mesi
succes-nella biblioteca del liceoginnasio quando scendeva la prof sivi, pian
piano Frazzi iniziò a parlare sempre meno dei gi-Cardia, che era pure rachitica,
ma per lui che si attaccava ri di lingua della biondina che nel frattempo aveva
iniziato alla gamba non faceva differenza.

a chiamare affettuosamente Marzia. Spanti dal girone di 88

89

ritorno non si lamentò più della sua Erika. Le rivelazioni, i il diverso va sempre
tutelato e, ampiamente, con i dovuti kamasutra da spogliatoio, i racconti
boccacceschi forma-distinguo, compreso. Il diverso.

to tacchetti e calzoncini, finirono per farsi più rari. Un Così direbbe. Magari a
telecamere accese. Sulla mia processo inversamente proporzionale
all’avvicinarsi della tomba.

date dei matrimoni con la Erika e la Marzia, la Silvia e la Ridacchio perché il


solito stregone in vena di analisi psi-Janira, la Katy e la Natasha ex reginette del
Paradise.
cologiche azzarderà che in fondo temevo le donne e rifug-givo il confronto in
tempi dove l’esasperazione del rap-Questi, che hanno invaso il mio spogliatoio
per l’ultima porto e della competizione, come testimoniano i numero-di
campionato, questi della nuova squadra messa su con si sondaggi, hanno
scoperto il nervo e portato all’atten-gli stranieri, il Paradise Disco lo conoscono
solo dai rac-zione della pubblica opinione quella che una volta veniva conti di
noi veterani che ci andiamo per diporto, per un definita la guerra, o la pace
armata, con l’altra metà del po’ di allenamento in più, per sentirci superiori a chi
fra cielo, il sesso debole che oggi si prende ampiamente le sue quei divanetti ha
lasciato la libertà.

rivincite sebbene ricalcando il modello maschile.

E rido anche io ora con loro che col metro stanno misu-Così direbbe. Magari in
prima pagina. Dopo il mio fu-rando M’Botò, dicono che è un dinosauro, ottima
dote nerale.

per il Paradise.

Balle.

Ora rido perché l’altra mia carriera l’ho iniziata lì, in di-Temo solo che qualcuno
rientri nel mio mondo che si sco. Ridacchio perché so che il solito stregone in
vena di regge su un fragile equilibrio. E anche questa è una bana-analisi
psicologiche azzarderà che circolava in me un’olità che tutti sanno.

mosessualità velata. Con tutte le cautele possibili, igno-Ma è solo una questione
di istanti, domani il mio piane-rando la fattispecie del caso ed essendo fra l’altro
etica-ta verrà disintegrato da un meteorite gigante. Clic e mi le-mente
contrarissimo a qualsivoglia parere fondato su una vo dalle scatole.

conoscenza superficiale o soltanto a distanza del caso me-desimo, nonché col


massimo rispetto umano, azzarderà

***

in me un’omosessualità latente, non manifesta ma latente, non riconosciuta. E se


anche, sia ben chiaro, così fosse Dietro due, due che vendono assicurazioni e non
so costato, questo non avrebbe comunque inficiato le qualità sa, che hanno un
bar, anzi no un caffè e una boutique e dell’uomo e dello sportivo, e in egual
misura, perché lo non so cos’altro. Due che si occupano di non lasciare che
sportivo è prima ancora uomo che atleta. Perché se così del maiale nulla vada
perso, nulla vada buttato. Il maiale: fossi stato, questo in fondo non avrebbe che
potuto favo-noi giocatori di questa società. Porci con le braghe e le rire la mia
sensibilità. Anche perché le minoranze… E poi scarpette bullonate.

90

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Due che viaggiano verso i quaranta. Due che si masche-vuoi giusto tenere
d’occhio. Così quando lì in basso, o in rano con abiti alla moda e creme. Ma gli
occhi e la bocca le alto, scegli tu dove posizionarla - la finestrella dico - suc-
tradiscono.

cede qualcosa di grosso, zac, schiacci il pulsantino PP ed

– Due vecchie cadreghe.

ecco lo scambio di immagini. Il grande nel piccolo, il pic-Demetrio ha il vizio


per quelle più grandi di noi.

colo nel grande.

– Ci facciamo pagare tutto.

Il PP segue una teoria e dà una sicurezza in più al consu-E l’indole da puttana.

matore: ti fa tenere tutto sotto controllo.

Io mi diverto. Loro sono l’eccezione e confermano la E queste infatti erano due,


sono due, che vogliono tene-mia regola. Hanno due tettine che sembrano
pomodori re tutto sotto osservazione. Dominare.

secchi pugliesi. E lo so, levato il reggiseno sarà pure peg-Peccato però che poi i
tipi, i loro tipi, alla faccia del PP, gio. Ma hanno il culo niente male.

se la sono data per tempo, spariti, fuggiti.


– Merito dei massaggi.

Cioè questi se la sono data a gambe con le pubblicazioni Demetrio le ha


agganciate al centro di benessere in già fatte, i testimoni già in arrivo da chi sa
dove comunque quella villetta fuori città dove il giovedì si riversa mezza da
lontano che si era pure prenotato l’albergo migliore squadra.

della città.

Loro sono l’eccezione che confermano la mia regola: in-Svaniti, evaporati con
tipine ventenni o giù di lì. E que-tellettualmente piatte, umanamente aride e
arrabbiate.

ste due vecchie disgraziate, unite dal destino, si sono in-Furiose perché a
quaranta devono ancora uscire in cop-cazzate a morte. E sono rimaste sole con la
tivù pikciarin-pia, come ai sedici e ai venti, anni dico.

pikciar che ora non è neppure più tanto di moda.

Dunque la storia è così. La so bene perché ne ho visto Allora hanno iniziato a


odiare.

tante, troppe. Queste ai trenta erano convinte di essersi

– Voi uomini alla fine pensate solo a una cosa.

fermate e stavano programmando. Casa, arredo, fuori-E intanto ci spolpano con


gli occhi.

strada maxi lui, fuoristrada mini lei. I colori delle tende,

– Praticamente uno a fine serata mi guarda e fa: andia-gli sgabelli della cucina, le
poltrone in pelle, tv siderale mo da me o da te?

picture in picture, antenna spaziale, computer funambo-Le loro unghie,


perfettamente affilate e smaltate.

lico, tappeti design, letto design, cabina spogliatoio moda


– Dico, non so se mi spiego, ma chi ti credi, da Me o da moda.

Te? Ma manco abbiamo mangiato nello stesso piatto as-Il sistema picture in
picture è quello che ti permette sul-sieme. Da Me o da Te? Ma vai…

la tivù di aprire una finestrella con un altro canale e segui-Ma tanto non ci credo
che è andata così.

re due programmi in contemporanea. A tutto schermo la

– E io cosa ho fatto? Mollato l’ho, così impara, bavoso trasmissione che ti


interessa, su un riquadro quella che che ci stava pure perdendo i capelli e se li
tingeva con 92

93

quella cosa, quella cosa che fanno un casino di passaggi in erano così. Non so, so
solo che queste due ai trentuno, an-tivù…

ni dico, hanno dovuto riprendere. Sono tornate in pista e I passaggi in tv.

non ne avevano nessuna intenzione. E ora non hanno nep-

– Quella cosa, come si dice in italiano, lo spray…

pure più i numeri, sono modelli passati e di questi tempi In italiano.

ne girano certe che gli sfrecciano veloci affianco e loro si

– La bomboletta, la bomboletta che ti fa nera la pelle avviliscono.

della testa…

Non se l’aspettavano, e no che non se l’aspettavano. Po-Il cuoio capelluto.

trebbero farmi pena ma sono troppo arrabbiate e allora

– Come quel vostro compagno, quello che stava con affari loro.

quella che faceva le sfilate, quella che se la faceva anche Cacchi loro se a cena
hanno vomitato veleno su tutto e con quello che cià la concessionaria, lì, lì fuori
nella zona tutti, se per strappare i contratti migliori si spolpano il industriale,
quello che poi dicono, oh può anche essere di cliente, dopo essersi spolpate la
concorrenza, dopo esser-questi tempi, che le auto arrivavano rubate dai
parcheggi si spolpate il conto in banca per un fuori strada maxi mo-degli
alberghi in California, a Las Vegas…

da moda, una vacanza in Giamaica lusso lusso. Tanto nul-Geografie.

la, neppure girare a braccetto col nostro presidente, ri-

– Comunque quel vostro compagno che abbiamo ven-morchiare bestie a Nassau,


lucidare il vetro del nuovo duto, quello che abbiamo venduto perché era
depresso…

schermo piatto piatto che più piatto non si può, le salverà Abbiamo venduto?
Come: abbiamo?

dalla solitudine e dall’angoscia di non essere state qualco-

– Praticamente noi lo sappiamo che non era depresso.

sa per qualcuno.

Cioè l’abbiamo venduto…

– E col cazzo, scusa l’espressione, che a quello dieci mi-E lo sguardo è


complice.

lioni li davamo. Tutti e dieci no… praticamente arriviamo

– Dàiii e dài che lo sapete anche voi perché l’abbiamo lì che abbiamo pagato per
la piscina fronte stanza, perché venduto, dài che lo sapete… oh ma non ditemi
che crede-il depliant diceva fronte stanza e invece era lì a cento metri vate anche
voi che era depresso.

dopo un vialetto che secondo me ci passavano i serpenti Io, manco ho capito di


chi parlano, l’anno scorso ne nel vialetto. Allora lo abbiamo chiamato e li
abbiamo hanno venduto dieci, panchina compresa, cinque con i piazzato un
casino, primo che li facevamo perdere i clien-capelli così così e otto fidanzati
con modelle.

ti che assicurati con noi sono…

– Dài ci state prendendo in giro, lo sapevano tutti che si

– E anche clienti del caffè…

era beccato la sifilide e che abbiamo rifilato il pacco agli

– E anche clienti del caffè e minimo minimo li giravamo altri. Manco più sulle
gambe si reggeva.

all’agenzia del cognato che dopo che se n’è scappato con Forse pure prima -
prima della fuga dei tipi - queste due la sorella più piccola dopo aver lasciato la
più grande e si è 94

95

aperto un’agenzia da solo, li brillavano gli occhi solo al cerco di non cadere
infilandomi i pantaloni. Rido e De-pensiero. Oh a quello li brillano gli occhi solo
se lo telefo-metrio mi tappa la bocca. Guai se le svegli!

no io.

Rido mentre scappiamo nel corridoio e ripenso al loro Gli, pronome personale.

culo che fuori dai pantacollant era peggio dei secchi pu-

– Allora li ho detto che li scatenavo pure l’assicurazione gliesi.

e siccome ciò pure gli amici giornalisti…

E penso che alla fine oltre all’anima, l’odio ha asciugato

– Che anche loro vengono al caffè e li abbiamo fatto la a queste due anche i
tessuti.

polizza vita.
Rido mentre Demetrio mi sventola l’ultima Polaroid Gli, pronome personale.

scattata. Venuta mica male.

– Appunto… praticamente li abbiamo detto chiaro Rido mentre penso ai lori aliti
fetenti. Perché quando chiaro che prima o poi ce la pagava. Non è per i cento
uno odia, quando fende rabbia senza colpire, a casaccio, metri, non è per il
vialetto, anche se, sia ben chiaro, prati-allora gli puzza pure l’alito, e anche tutto
il resto. E so-camente io dei serpenti ciò davvero paura. Che schifo prattutto giù,
laggiù dico. Scientificamente provato, lo tutti viscidi…

dice la casistica. E lo dico pure io a Demetrio che ora se la Non sono viscidi.

ride di gusto, ma di gusto. E si porta indice e pollice sul

– Ma è una questione di principio, ci vogliono regole, naso, stringe le narici e


tira fuori la lingua. Che è proprio onestà, se vuoi fare questo lavoro sennò vendi
cipolle.

la mimica della puzza fetente e nauseabonda.

Che poi è quello che faceva, cioè che faceva la mamma:

– Però, bei numeri con quel piselletto…

vendeva cipolle e verdura al mercato civico, che poi venE mi guarda con quegli
occhi laser.

dendo cipolle secondo me la casa al figlio praticamente

– Vai affanculo.

non gliela comprava, i soldi non si fanno vendendo cipol-E non ci metto nessun
affetto e nessun pentimento.

le e quindi a chiusura di mercato faceva gli extra.

– Sì, vattene proprio affanculo.

E queste ne hanno una per tutti. Una per i peccati di tutti. Nessuna per i propri
peccati.

***

Eppure è così semplice. Chiodi sulle caviglie, frecce sul costato, olio e piombo
bollente, mutilazione e scarni-Sono stato Vanni Visco macchina del sesso, caldo
e ap-ficazione. Basta prendere coscienza. Ma queste coscien-piccicoso e
nauseabondo. Ma poi ho imparato, pian pia-za non ne hanno. Hanno solo un
micro-onde che gira ra-no. Ho imparato a scegliere. Ma soprattutto a scartare.

pido.

Così ho capito che si può andare oltre l’allenamento. Ol-Io invece prendo
coscienza. E giuro a Demetrio, Mai tre le Polaroid.

più, mentre fuggiamo in silenzio da una suite d’albergo e 96

97

***

sempre preparato con cura e metodo. In certi mi ci infila pure la recensione


ritagliata dai giornali: – Leggitela alla Il campanellino annuncia il mio ingresso e
Rocca mi sa-fine… – E non ho mai fatto diversamente, per non essere luta con
un cenno della mano e uno degli occhi, come influenzato, contaminato, ma solo
per capire, per pesare sempre, da anni ormai, e come sempre dopo avermi salu-
altre visioni.

tato in quel suo modo, riprende a spulciare gli ordini ag-Poi, verso sera, ora di
chiusura, mi ha sempre raggiunto giustandosi gli occhialini a mezza luna. Chino
su quel nella stanza esagonale, a parlare, per scambiarci le nostre bancone in
noce. Sul quel bancone dove mi aspetta già di visioni, e per capire se queste
pagine ci hanno dato oc-una pila di libri. Afferro i volumi, lui alza lo sguardo e
mi chi nuovi a rivedere il mondo fuori di qui.

sorride.

Ma da qualche tempo non è ogni mercoledì che signor Strano. Sono mesi che
non sorride più. Da quando il Rocca mi raggiunge nella stanza esagonale. Solo
uno sguar-campanellino vibra poco e raramente. E i capelli rossi del-do, due
battute, poi gli occhi sui conti fino a tarda sera.

la commessa non brillano più dietro la cassa.

Vado veloce verso la biblioteca esagonale. Punto veloce Li potrei portare a casa,
i libri. Come fanno tutti. Come verso il corridoio stretto. Veloce.

ho fatto per poco. Ma a casa piomberebbe Demetrio con Nessuno sa della


libreria. Ci arrivo dopo l’allenamento le cassette o le ragazze e la Polaroid.

del pomeriggio, strade del centro ancora deserte, e mi im-

– Io vorrei capire dove cazzo sparisci tutti i mercoledì.

buco rapido. Ora sì, ora la mia faccia è autografi e isterie.

Demetrio, apprensivo. Demetrio, che - l’avrei dovuto Questa città è cambiata.

capire - mi ha sempre marcato stretto. E si è accorto solo Non voglio rischiare,


anche se in libreria sono sempre del mercoledì.

meno i clienti ad entrare e sempre più rapidi ad ordinare.

Ma non sino alla libreria Rocca.

Arrivano, dettano un titolo e poi vanno via sbuffando Entro rapido nella tana di
libri e scaffali. Tana esagona-mentre signor Rocca fa spallucce.

le. Lei è lì sulla mia sedia. Lei è lì con i capelli lisci e lunghi Non mi dice mai
nulla Rocca e io non gli dico nulla.

e neri, le coprono il viso che è avvolto in un libro. Lei alza Non c’è bisogno.
Basta un cenno e il nostro saluto.

lo sguardo e fa brillare i suoi occhi ghiaccio. Ha un om-

– Ciao Lunedì…

bretto argentato come la montatura dei suoi grossi oc-Lui mi ha ribattezzato così,
Lunedì, solo io e lui sappia-chiali da lettura, ma che da lettura non sono. Sono
solo mo perché.

rettangoli di luce. Sembra una segretaria un po’ santa e un po’ zozza, come
quelle dei film anni Sessanta, quelle che È sempre bastato questo. Uno sguardo,
due battute, poi sbarrano la strada a chiunque sulla via del capo.

lui di nuovo con gli occhi sui conti e sui libri che mi ha

– Lucina, piacere.

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Ha il viso dolcemente affilato.

Undicesimo pezzetto

– Vanni, piacere.

E si chiude i capelli in una coda. Sempre più santa e sempre più zozza.

– Sei il nuovo commesso del signor Rocca?

E questa non lo sa proprio chi sono e mi illumino.

In campionato alta classifica, in casa mai piombati così in basso.

Ero andato a trovarlo la sera prima di Pasqua. Mi aveva scambiato per Gigi, mio
fratello. Come sempre.

– O Gigi, mamma com’è che sta?

– Papà, mamma sta bene.

Mamma l’avevamo seppellita l’anno precedente, ma la suora mi aveva pregato


di non contraddirlo, la suora disse la stessa cosa che mi avevano detto i medici,
la stessa che mi aveva consigliato zio Nannino. Lo ricordo perfettamente.
***

La stanza di mio padre dà sul giardino della clinica. Ve-sto i panni di Gigi e
mentisco, come ha sempre fatto lui, Gigi. Mi pesa sparare fesserie, mi pesa stare
in questa stanza che costa milioni al mese a metro quadro ed è solo una tomba
dello spirito. Di vivo mio padre ha solo il corpo, di sicuro non i ricordi. Non il
passato ma neppure il presente. Però qualche pezzetto di passato gli è rimasto
anche a lui, in un angolo miracolato del cervello, e sono pezzetti che avrebbero
fatto meglio a sparire come tutti gli altri.

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101

– Vanni?

stato il cervello su cui sventola alta la bandiera dell’armata

– Sì, papà, sono io, Vanni.

Valium.

– Vanni? Come sta Vanni?

– Bene papà, sta bene.

Eccomi che lancio la macchina, disperato verso la fab-

– Glieli passi i soldini della settimana?

brichetta delle pelli. Smezzo a tutta velocità il viale albera-

– Sì papà.

to, sollevo le foglie da terra e le faccio volare dietro di me

– E in fabbrica come va?

come mille coriandoli ramati. Eccomi che litigo con que-


– Bene papà.

sto vecchio lucchetto arrugginito di questa cancellata scon-

– E Vanni ti aiuta?

trosa. Corro nel piazzale di ciottoli bianchi, dribblo cada-

– Sì mi aiuta.

verini e pelli seccate dal sole, animalità varia squartata sul-

– Non è che sta sempre dietro le cataste a leggersi i libri?

la via delle boutique, quei pochi che non sono stati porta-

– No papà, aiuta.

ti via, a due lire. Supero il capannone della conceria che Mio padre ha il viso
deformato dagli psicofarmaci e un puzza ancora di morte acida di solventi. Punto
verso gli occhio che quasi non si apre più. Né si chiude più. Sta a uffici: muri
bianchi cariati da muffa verde e vetrate che metà, disgraziatamente. A metà
come lui, un po’ qui e un non specchiano più le lucertole in cerca di sole.

po’ chi sa dove.

– Venderemo, quando sarà zona edificabile.

– Lo sai da chi ha preso questa storia dei libri?

Fu l’ultima cosa che disse mio padre prima che l’occhio Non ho voglia di
confessioni sul letto di morte. Anche gli cadesse giù.

perché lui non morirà. Subito, dico.

Sono nell’ufficio di mio padre che prendo a calci questa

– Ha preso da me, ma tu non dirglielo.

serratura bastarda, perché la chiave si è spezzata dentro.


Ora sono io che vorrei prendere una cascata di psicofar-Sfondo la porta e sono in
un magazzino dove non c’è una maci.

chiave inglese, né una sega, né un solvente o un martello o

– Dietro il mio ufficio, hai presente il deposito degli at-che so altro. Sono in
mezzo a pile di libri e pile di libri. C’è trezzi, i miei attrezzi…

la Stazione dei libri stranieri: la balenaccia, i ricordi coi

– Sì papà.

profumi, il tempo che se n’è andato, la linea d’ombra, il na-E vorrei soffocarlo.

vigatore, il cacciatore suicida, l’ubriacone sodomita, an-

– Tieni questa è la chiave.

che l’ebreuccio di quel cristiano che si trasforma in bab-E vorrei strozzarlo con il
tubicino della flebo.

ballotti. Tutti ci sono. C’è la Stazione dei libri nazionali:

– Quello che c’è dentro è di Vanni, digli che è tutto suo.

c’è il partigiano, il reduce, il suicida, l’assassinato, l’am-Vorrei chiedergli perché


ma tutte le schifezze che gli malato, lo storpio, il vanitoso, il borgataro e anche
quello squagliano nella flebo lo hanno invaso. Gli hanno conqui-palloso e
borioso e rompiscatole. Tutti ci sono.

102

103

Ci sono libri su libri mai aperti, mai sfogliati. Ci sono Demetrio passerà la
Pasqua con il suo procuratore.

volumi scorticati della loro copertina. E c’è un forte odore Non lo chiama più
Mister Ettore e lui non allena più i ra-di colla e pelle. Supero cataste di libri
scuoiati e c’è un gazzi della Primavera. Segue Demetrio e ora punta a farlo
banchetto e un’enorme libreria con le opere di mio padre.

sbarcare da quelli che abbiamo sempre con il fiato sul collo ma che lasciamo
sempre qualche punto più giù.

***

Non so se a loro serva uno così, uno con le sue doti. So che quelli vorrebbero
me. Ma a me non importa. Non vo-Ne ho visto tanti collezionare monete, far
tremare i pol-glio cambiare città, non voglio altri soldi, non voglio altre pastrelli
su bolli postali, altri perderci la vista laccando rogne e soprattutto non voglio
indossare il cappotto per minuscoli soldatini delle armate imperiali, sognare su
ae-otto mesi l’anno. Sto bene qua giù al calduccio.

roplanetti di plastica lucida.

Demetrio scalpita. Io no. Non vuole stare più con noi.

Mio padre ha sempre avuto la passione per la pelle, il Non vuole più far parte
della nostra squadra, vuol far cuoio. I libri credo che li comprasse a casse, forse
al chilo.

parte della sua squadra. Lui e signor Ettore. Affari&pal-Poi pian piano sradicava
le copertine in cartone lucido e lonate.

le ricomponeva, piegato sul suo banchetto. Forbice e martelletto. Caratteri in oro


per titolo e autore. Non ho mai Eccomi. Sono pronto per la partita dopo le
vacanze, do-capito, da quel giorno fino ad oggi qua giù, se lo facesse po le
vacanze di Pasqua. Sono stato solo e questa volta i liper renderli più eleganti o
forse per omologarli tutti, per bri non mi sono stati d’aiuto.

renderli parte di un solo grande libro, una collezione sen-Eccomi, come sempre
sono qui nelle viscere dell’arena za individualità. O forse perché era un
passatempo come prima degli altri. E sento lo zoccolio dei tifosi sulla mia te-un
altro. Di sicuro non li leggeva, di sicuro erano per me.

sta e percepisco chiaro Demetrio che se la prende con gli Non tornai in clinica,
anche se avrei voluto farlo e pren-armadietti, di brutto. Pugni e calci. E poi urla
disperate.
derlo a calci o forse abbracciarlo, non so. Chiamai Deme-Non vorrei
avvicinarmi. Ma poi mi avvicino.

trio.

– Fottitene, – gli dico.

Lo abbraccio e lui piange.

***

– Fottitene non ti meritano. E poi quelli non hanno scrupoli. Ti brucerebbero


come niente.

– Sono a cena a casa del mio procuratore E lui quasi si consola e mi parla a un
soffio dalle labbra.

Demetrio ha un procuratore, io no. Non l’ho mai volu-

– È vero che ti hanno offerto l’impossibile per andare?

to io. Anche se lui si era proposto.

Non dovrei dirlo ma la bocca si apre da sola.

– Mi spiace ma non posso.

– È vero.

104

105

***

Appena rimetto la cornetta a riposo il telefono squilla.

– Lucina… – dico con bocca impastata.

Fu la prima volta, la prima e unica volta che non portai


– Lucina?! Ma che cazzo Lucina!

la squadra al trionfo, che la curva non mi osannò, e i gior-Rimango muto.

nali e la tv restarono senza aggettivi. Ma solo per quei no-

– Vanni! Cazzo! Vanni!

vanta minuti.

– Presidente…

Fu un misero, inutile, zero a zero. E un lunedì che anNon capisco ma riconosco


la voce.

nunciava sconfitta.

– Visco… porca troia…

Afferrai il telefono e chiamai Lucina. Quella storia di Il presidente, il figlio del


cavalier Antoni, che quando mio padre mi bruciava ancora.

urla gela sempre il sangue a tutti.

– Sì presidente…

***

Balbetto.

– Visco… brutto figlio di puttana… figlio di troia male-

– Sono io…

detto… dimmi che non è vero… dimmi che non è vero…

– Lo so che sei tu.

o ti faccio spezzare subito le gambe… le gambe ti faccio La sua voce è un soffio


impercettibile.
spezzare…

– Come? – dissi, – Non sento…

– Co… cosa signor presidente…

– Lo so che sei tu… lo sai che non mi devi chiamare gli Continuo a non capire.

altri giorni…

– Vieni subito qua! Maledetto figlio di puttana! Subi-La sua voce è un soffio
urticante.

tooo!

– Lo so ma… avevo bisogno… avevo bisogno di fare

– Sì signor presidente…

due chiacchiere…

Sono nel panico.

– Non ora.

– Anzi no, stai fermo lì… stai fermo lì cazzo…

E riattacca.

– Sì signor presidente…

Pensavo che la cornetta nell’impatto con il muro si sfal-

– Fermo lì che sto arrivando io… e tu brutto figlio di dasse. La vedo alla
moviola: la mia mano che prima la puttana datti una mossa… pigia su quel cazzo
di accelera-strozza con rabbia, poi si apre e le dita si allungano men-tore…

tre la cornetta saetta verso il muro. Ma non si rompe, feri-Il brutto figlio di
puttana è Ignazio, il suo autista, quello sce l’intonaco e poi, richiamata dal filo -
neppure un ela-fissato con il full contact.
stico - se ne torna a pendere davanti alla tastiera dei numeri e allo scaffalino
degli elenchi.

– Brutto pezzo di merda… che cazzo è questa storia…

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Il presidente urla nel mio salone, urla e sventola un gior-

– Ah loro… allora non è vero che hai detto a Demetrio nale. Urla mentre Ignazio
ha i pugni conserti. Attende so-che ti hanno offerto l’impossibile per andare via.

lo un ordine.

Quasi svengo ma reggo.

– Sì è vero… ma…

Cerco di chiedere ma lui non mi fa parlare.

– Ma cosa?

– Ti sei venduto agli altri eh? vero?… maledetta serpe in Il presidente è una
superlocomotiva.

seno… leggi, leggi, leggi brutto stronzo…

– Ma cosa? Ma cosa!? Cosa credi che Ettore non me lo E fa per darmi il


giornale.

abbia detto… ah cosa credi? di essere furbetto?

– Anzi no… leggo io…

– Ma gli ho detto di no…

E lo apre.
La locomotiva frena.

– Ma che cazzo leggo… tanto lo so a memoria… sai cosa

– No?

dicono? sai cosa dicono? che la partita di ieri non l’hai vo-

– No, gli ho detto subito di no.

luta giocare perché tanto qui per te è finita che il prossimo E riprendo fiato.

anno te ne andrai dagli altri… figlio di puttana… dicono

– Gli hai detto subito di no…

che ti hanno offerto miliardi… maledetto!… dicono che Il presidente guarda


Ignazio, Ignazio guarda me e il tanto dal prossimo anno sarai libero… e potrai
fare quello presidente.

che vuoi… bastardo…

– No, gli hai detto di no…

– Non è vero!

Anche il presidente riprende fiato.

Tremo ma sono deciso.

– No no? O no cosa?

E il presidente sembra una locomotiva in partenza.

– No, resto qua.

Sbuffa.

E vorrei mordermi la lingua.


– Ah non è vero? Ah, non vero?

– Però… però quelli ci hanno provato? Ci hanno prova-

– Non è vero…

to, sì?

Tremo ancora ma sono sempre deciso.

– Sì, ma io non ho mai pensato di andare via…

– Senti brutto pezzo di merda… a chi cazzo vuoi pren-Poteva essere la mia via
di fuga. Clic e via dalle scatole.

dere per il culo…

Gli potevo dire sì e forse ne sarei uscito per sempre, via da

– Sono cazzate dei giornalisti…

questo incubo. Fuori dal pallone.

Quelli tanto hanno sempre fatto così.

– Glielo avrei detto, presidente…

– Cazzate dei giornalisti?! Ah cazzate dei giornalisti… o Ma non sono mai stato
disonesto.

cazzate tue?

Anche se per lui fa lo stesso.

– Loro.

– Quindi… quindi… se ti faccio firmare tu rifirmi?

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Il presidente è un tipo pragmatico, come mio padre pri-Sì, dalla prossima


stagione vado a prendere il ruolo che ma che l’occhio gli scivolasse giù.

mi compete. Anche se mi dispiace lasciare questa grande

– Certo…

città e voglio ringraziare il nostro presidente, il mio mi-Eccomi sono nel mio
salone con il presidente che se la ster, la squadra e tutta la tifoseria che mi hanno
regalato ride, con il suo autista figlio di puttana che se la ride.

anni d’oro.

– Guarda Vanni, io non so se tu lì ci dovevi andare dav-Perché va via solo oggi?

vero o no… frega un cazzo… se mi volevi fottere o me-Perché qualcuno aveva


messo il suo veto. O me o lui.

no… tu domani firmi e questo è quello che conta.

E alla fine hanno scelto lei.

Firmo, firmo. Non voglio passare per disonesto, diso-Evidentemente sì.


Evidentemente non hanno ceduto ai nesto mai.

ricatti di chi rischia di essere solo un fuoco di paglia. Han-

– Ascolta Vanni…

no fatto le loro valutazioni e alla fine hanno scelto. E sono Il presidente quasi mi
stacca via la guancia con un pizzi-contento di arrivare in questa grande città e
voglio ringra-co.

ziare il mio nuovo presidente, il mio nuovo mister, la

– Ricordati, mai fare confidenze ai giornalisti…

squadra e tutta la tifoseria che mi hanno regalato questo E se la ride ancora.


grande sogno. E mi dispiace se qualcuno ora si sta man-

– Io non ho mai parlato con i giornalisti…

giando le mani. Ma sono uno sportivo e so perdonare. Co-Vorrei stenderlo a terra


con una scarica di cazzotti ma me sono sicuro che i miei vecchi tifosi sapranno
capire poi con Ignazio sarebbe più tosta.

questa mia scelta. E sono contento di lasciare in armonia

– Lo so, lo so Vanni… tu no.

questa grande città e voglio ringraziare il mio vecchio pre-E gli vorrei far
ingoiare le loro risate che carambolano sidente, il mio vecchio mister, la squadra
e tutta la tifoseria nel mio salone.

che mi hanno concesso di realizzare questo grande sogno.

Vi davano per inseparabili amici.

***

Cosa vuole che le dica, evidentemente la gelosia è una brutta bestia.»

Quello è uno dei pochi giornali che conservo, di quel periodo dico. Quello
dell’intervista a Demetrio dopo Pasqua. E ho pure preso l’evidenziatore e ho
segnato domande e risposte, quelle che poi hanno scatenato una settimana di
dibattiti tv e rogne e lagne e urla negli studi e negli stadi.

«Allora va via?

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Dodicesimo pezzetto

Viaggiare mi è sempre piaciuto viaggiare. Con la Nazionale ho visto quasi tutto


il mondo. Ho visto aeroporti: sale d’attesa Vip, moquette e carta da parati.
Pantofoline in panno, cuffiettine, occhialini, salviettine, monoporzioni di tè,
caffè, zucchero, crema, burro e marmellata.

Questa delle monoporzioni l’ho letta da qualche parte e anche la mia vita è tutta
una monoporzione, di benzina solvente. Sì perché tutte quelle bustine da
strappare hanno tutte odore di officina di carrozziere. E non è una mia fissa: tè
alla benzina uguale a salvietta profumata. È l’in-volucro che le frega e quel
conservante per tenerle in vita fatto di fossili marciti e macinati e alla fine
liquefatti e di-stillati.

Ho visto alberghi con quello stesso odore: frigobar, cassaforte numerazione


automatica, tv satellitare, porno-noleggi. Pantofoline in panno, cuffiettine,
occhialini, salviettine, tè, caffè, zucchero, crema, burro, marmellata, cioccolata,
club sandwich in camera. Noccioline sottovuoto.

– Guai!

I nostri accompagnatori sono peggio di Ottavio con il suo cirneco e la prof


Cardìa, rachitica.

– Guaai! Per voi c’è la nostra roba.

E noi ritornavamo a cuccia. E il frigobar sigillato e il 113

club sandwich al primo morso. E solo il cibo degli spon-pensato a uno scherzo e
giù a ridere e pacche e risate e sor. La pasta come a casa, la dieta mediterranea. E
tutta la scambi di maglie. E Viscoo pronunciato come nelle comi-tiritera.

che. E gli inglesi, che se la ridono sempre, mi hanno pure Non le ho mai capite
queste nostre diete. Mai. Con gli messo in prima pagina. Affianco all’articolo di
una che, inglesi che si iniettavano la birra e giocavano ore sotto il non so chi
della famiglia reale, non so cosa le avevano fat-sole: dritto rovescio, dritto
rovescio. Prima della partita to. Ma aveva mezzo seno di fuori.

tornei di tennis si facevano. E poi si facevano noi.

Io avevo tutta l’anima di fuori in quella foto, con un sor-Mai capite. Con i
sudamericani con due occhi così che riso disgraziato e con gli occhi che
dicevano: Portatemi poi ci facevano ballare la rumba e pure la samba.
con voi, portatemi con voi. Ma tutti hanno pensato a uno Per fortuna che gli altri
non hanno mai avuto uno come scherzo, da campione.

me. Un Vanni Visco. Quello che poi riaggiusta tutto. O

E invece ci sarei voluto andare davvero e non tornare quasi.

mai più. Non so se lì fosse meglio, non so. A me, che ho vi-Io il mondiale non
l’ho mai vinto. Una volta terzi e l’al-sto solo spogliatoi e stadi, che ho acciuffato
tutto, tutto il tra quarti. Perché questo è un gioco di squadra mica per resto per
pochi minuti dal finestrino della corriera, a me caso. Ma qui sembra se lo siano
scordati. Da queste parti, sembrava meglio.

squadra, sembra una parola maledetta. Inutile. Senza senso.

Ho visto spogliatoi e stadi. Ho visto studi televisivi e qualche corsia d’ospedale.


Negli ospedali ci hanno sem-A volte sarei voluto salire in un altro pullman.
Come fa-pre portato per far visita a bambini lebbrosi, bambini po-cevano certi
atleti dell’est. Si imbucavano, sgattaiolavano sitivi, sieropositivi, bambini con
malattie che non avevo e una volta dentro urlavano: Chiedo asilo politico! Che
mai sentito e che non voglio più sentire.

sembrava quel gioco: Tocco! Chiesa, Libero tutti! E via in Portavamo i regali,
qualche maglia oppure facevamo un altro mondo.

qualche palleggio per farli sorridere un secondo, ma solo A volte sarei voluto
salire nel pullman che andava nella un secondo.

direzione opposta. Mettermi in coda dietro gli inglesi e gli C’è una squadra in
centro Africa che porta il mio nome accompagnatori degli inglesi con i
cognacchini mignon e Vanni Visco Football Club. Gli altri, i miei compagni con
le noccioline sottovuoto sempre in bocca. Monoporzioni la maglia azzurra, li
hanno ribattezzati i Pinocchietti perma con un altro odore.

ché le mine su cui sono saltati in aria gli hanno strappato E una volta l’ho pure
fatto.

via una o due gambe. Così corrono e giocano grazie alle Dài, portatemi con voi.
E tutti si sono messi a ridere protesi di legno, i Pinocchietti. Li chiamano così
alle mie quando mi hanno visto seduto in prima fila. E tutti hanno spalle, perché
davanti a me non osano. Però quando sia-114

115

mo scesi in campo tutti tenuti per mano con le magliette Lo stomaco si risveglia
e fa male. E non vedo la fine di di solidarietà sponsorizzate dalla ditta di palloni
qualcu-questo immenso campo di lucciole ad alto voltaggio.

no si è pure commosso. Qualcuno.

Ogni luce è una casa, una vita, due vite, tre vite. Ogni ba-Alla Nazionale credevo
non ci sarei mai arrivato. E zio gliore è un’attesa di morte, due morti, tre morti.

Nannino lo atterrò un micro infarto quando sentì il tiggì.

Una affianco all’altra, separate da muri mattoni e giar-Così mio padre se lo


ritrovò per qualche settimana a fargli dinetti steccati che ora non vedo ma che le
luci disegnano, compagnia. Mio padre che migliorò con l’umore quando
rettangoli su rettangoli.

gli portai in clinica le sue pelli, i suoi arnesi e tutti i libri an-A volte sarei voluto
essere mosca, o ape, o zanzara o for-cora da scuoiare e ricucire.

mica o qualsiasi altro cosino inutile e invisibile ed entrare Ora fa un po’ più di
fatica perché l’occhio resta sempre in ogni casa e spiare in ogni stanza e dietro
ogni porta.

giù. Ma almeno impegna la mente, dice la suora.

E questa se non è proprio una cosa banale è qualcosa Secondo me impegna solo i
muscoli ma tanto che im-che in molti vorrebbero.

portanza ha.

Ma qui la curiosità morbosa e ficchetta nulla c’entra.

Oggi qua giù negli spogliatoi non ha più importanza Qui nel mio cervello c’è un
altro interruttore che scatta.
nulla. E tutto scorre come se non fosse passato sulla mia Perché questa non me la
spiego, perché questa non me pelle. Mi rivedo portato in trionfo, mi rivedo con
le coppe la sono mai spiegata. Questa dell’alveare del mondo e del-in mano. Mi
osservo mentre scambio la mia maglia zuppa le città e che solo dall’alto vedi
commedia e tragedia sfre-di sudore con un’altra maglia più puzzolente.

garsi e mai toccarsi e mai influenzarsi divise solo da due Ecco, qua giù della
Nazionale mi rimangono gli odori.

peli di erba, un muro di legno e cemento.

E forse perché questa storia degli odori che si imprimono Uno: pensare ora in
queste case quanti stanno infiam-nella mente, nello scomparto dei ricordi, la
devo aver letta mando anima e carne. Due: pensare ora quanti in queste da
qualche parte. Di sicuro alla libreria Rocca che ha sem-case se le stanno dando
di santa ragione e il marito gonfia pre conservato in bella mostra tutte le mie
cartoline con il la moglie e lo zio tocca la nipote. Tre: pensare ora quanti timbro
postale di altri pianeti.

in queste case hanno i pensieri aguzzi assassini del sonno e Ecco, fu forse allora
che tutto iniziò a precipitare, di ri-stanno cercando una soluzione. Quattro:
pensare quanti torno da un giro negli altri mondi. Lo ricordo bene.

in queste case stanno cercando qualcuno, quanti si stanno accontentando e quanti


non si accontenteranno mai. Cin-

***

que: pensare quanti in queste case non vedranno domani.

E questa distesa di luci mi abbaglia e mi scatena lava e Altro pianeta, a nord di


qui. Ci piombo col buio e quan-terremoto dello stomaco.

do l’aereo apre le nuvole sfiora un tappeto infinito di luci.

Forse la colpa è delle mie antenne che hanno già perce-116

117
pito che qui non ci sarà solo un’amichevole con quelli che

– Ma è sicuro?

il calcio l’hanno inventato e io qui sarei voluto nascere o

– Certo signore. Ha chiesto di lei. Preferisce che dica magari scapparci. Magari
su uno di quei pullman.

che non è in stanza e non riesco a rintracciarla?

Questo nome non mi dice nulla e potrei anche negarmi.

La partita non conta questa volta. Se mai per me è potu-Ma la curiosità mi


travolge, questa volta. E faccio cenno di ta contare. Ogni tanto si fa così, per fare
spettacolo, per passarmi il telefono.

fare incassi, per annusarsi. E si fa di notte perché qui e giù Il tizio ufficiale in
divisa mi sorride, preme un tasto e da noi possano ingozzarsi gli occhi e lo
stomaco. Birrette, questo pezzo di plastica e bottoni si illumina. Sorride e
patatine, salatini e botte al pallone. E saloni con tutte le fa-borbotta alla cornetta
che sì mi ha rintracciato e che ora miglie riunite per questa Inghilterra-Italia.

sarò in linea. Mi fa un inchino e mi cede strumento e parola.

La partita è finita e sono al bar dell’albergo che bevo

– Pronto?

una cosa gassata con molto ghiaccio. Gli altri sono già a E sono curioso.

letto, esausti mentre io preferisco odorare un po’ queste

– Buonasera Vanni.

moquette che fasciano tutto senza ritegno. Pavimenti, pa-La sua voce aritmetica
non mi dice nulla, solo che ha un reti, mobili persino i bagni. Leggo depliant e li
annuso forte accento straniero questo suo italiano.

perché sanno di una muffa-carta tutta diversa.


– Non è stato facile trovare il tuo albergo…

Quasi non bado al tipo in divisa da ufficiale da stanza di E ascolto.

lusso con bagno che cerca di far di tutto perché io badi a

– E neppure fare questa telefonata ma alla fine ho cre-lui. Ma ho il naso su due


fogli plasticosi e sto per tirare duto che fosse giusto così…

fuori la lingua e provare il gusto che avrà.

– Giusto cosa?

– Mister Visco, una telefonata per lei.

– Non mi hai riconosciuto Vanni?

E parla un italiano perfetto.

– E no.

– Una telefonata per lei.

E faccio mente locale ma questo nome, Nadia, e questa Crede che non abbia
capito ed è colpa della mia faccia.

sfilza di cognomi, Reif von Kutschera, non mi dicono as-

– Una telefonata della signora Nadia Reif von Kutsche-solutamente nulla.

ra.

Nadia ballerina. Nadia giornalista. Nadia pubblicitaria.

E lo guardo ancora più stranito.

Nadia moglie di qualche compagno. Nadia parente lonta-

– Per me?
na. Nadia Nulla. Il vuoto.

– Sì, per lei signore.

– Eppure a casa tua sono restata quasi un mese quell’e-E mi porge un cordless
scintillante.

state con Gigi…

118

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La mia bocca si impasta, il mio cervello è una centrifu-chiunque possa fare di


me ciò che vuole. Compresa que-ga.

sta che è nulla e che ora mi costringe a stare qui ad aspetta-

– La tipa della foglia…

re mentre gli altri se la prendono con calma e si preparano Mi esce così, naturale.
Nadia della foglia.

per il pranzo all’ambasciata.

– La cosa?

Meno male che almeno li odio i pranzi all’ambasciata.

Il suo italiano si intorcina ma capisco che non capisce.

Ci sono quelli che hanno fatto fortuna fuori, ci sono i no-

– Scusa, ma io il tuo nome non l’ho mai saputo…

tabili e i farisei, i banchieri e gli uomini illustri, le donne il-Per Gigi era solo la
Tedesca e mi indicava le gambe rasa-lustri e quelle solo lustre, e giornalisti
corrispondenti, te e mi strizzava l’occhio. E io non gli ho mai sentito un
traffichini e trafficoni, e l’attore che qui ha fatto solo due nome ma solo baby di
qua e baby di là.
pubblicità, il pittore che da noi nessuno ricorda e lo scrit-

– Non fa nulla, sono passati tanti anni, troppi anni. Non tore che nessuno ha mai
ricordato. C’è la carne e il brodo, ti ricordi neppure di quella sera al concerto?
Ma non fa che fa spazio ma non sostanza. Ci sono quelli che non ne nulla. La
verità è che non sapevo neppure se ti avremmo possono più di pranzi e cene
all’ambasciata e quelli che li dovuto chiamare. Alla fine l’ho fatto e…
insomma… vor-aspettano per poter mangiare, e non solo cibo, e metterli rei
incontrarti, sai Gigi…

nel curriculum. Andato a pranzo ambasciata stretto mano La mia testa è un


frullatore che cerca di afferrare polti-a capo di stato.

glia ma gira a vuoto e rischia di fondere facendo girare le Li odio i pranzi


all’ambasciata e questa volta sono riu-sue pale taglienti nel nulla.

scito a scamparla, avrei preferito in un’altra maniera. De-

– Io domani sera parto…

vo incontrare la moglie di mio fratello, ho detto, e siccome Prendo le distanze,


mi difendo.

tutti lo sanno, tutti sanno quello che è accaduto - il canale

– Allora facciamo domani mattina…

di Amsterdam, il cadavere palloncino, l’overdose, i pesci E non mi dà neppure il


tempo di ribattere: voraci e tutta la tiritera - nessuno ha osato chiedermi di

– Domani mattina alle 10 saremo da te. Grazie Vanni, ci più.

conto.

E odio anche me stesso, me stesso che avrebbe dovuto E chiude. E io rimango


con questo pezzo di plastica e incollarla al telefono quella tedesca là e raschiarle
l’orec-tasti fluorescenti in mano. La luce pian piano svanisce, i chio: mi cerchi
ora? mi cerchi dopo tutti questi anni? e tu tasti tornano a riposo e io no.
dove eri quella notte ad Amsterdam mentre lui moriva affogato d’eroina e acqua
lurida e maledetta? e ora cosa Non ho chiuso occhio stanotte. Pensieri bastardi. E
ora vuoi da me? soldi? cosa mi vuoi mostrare? diari spaccia attendo che compaia
questa stanga bambina che più bam-lacrime? foto sbiadite? cosa vuoi da me?
perdono o con-bina non sarà. Attendo e rifletto e mi chiedo perché danna?
bambina puttana.

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Quasi prendo a calci un poggia piedi da poltrona quan-dalle vie intasate, oltre un
cancello ottocento rianimato do l’ufficiale con la divisa da stanza lusso
stamattina mi dall’elettricità. Oltre un salone infinito e una scala ancora guarda e
crede che sia un tic da calciatore campione. Mi di più. Davanti a una ex bambina
stanga che credo pro-guarda e affianco a lui c’è un tipo magro e poco alto. C’è
prio l’ultima cosa che vorrà da me sono i soldi.

un tizio che nuovo non mi è. Ha gli occhi azzurri azzurri e Lui la bacia, lei lo
bacia. Lui le accarezza il viso e lei tre-uno strano cappello in testa. Uno di quelli
che non saprei ma. E ha lo stesso viso di quando facevamo la colazione proprio.
Uno di quelli da pop star, per nulla martire.

insieme nella cucina della mia casa e mio fratello mi striz-Mi tende la mano e
pronuncia un nome che non capi-zava l’occhio e mi indicava di nascosto le
gambe rasate: sco. Avrà sì e no la mia età. Gli tendo la mano e sibilo il Tedesca.
Mille anni fa.

mio. Lui si illumina e mi sorride e non mi lascia la mano. E

Lei tiene gli occhi bassi, come sempre ha fatto. E lui le tartaglia altre cose -
perché questa lingua è tutta una bal-sistema i capelli e sembrano due sposi
ragazzini che devo-buzie - mentre intorno a noi quasi tutti gli ufficiali in divi-no
annunciare il loro matrimonio a una bestia che deve sa dell’albergo ci
circondano e sorridono. Sprizzano pre-solo scegliere a chi dei due sbranerà per
primo il cuore. La mura come se fossimo due bambini ai primi passi e uno bestia
sono io in piedi in questa casa di soldi e storia ma dei due potrebbe piombare con
il culo in terra da un mo-l’unica cosa che vorrei divorare è me stesso e la mia
curio-mento all’altro. Come se fossimo roba fragile, ci trattano.

sità.

Le mie antenne mi dicono che questo è un incontro fra

– Sei sempre stato un bambino sensibile…

capi di stato, quelli scelti dal popolo. E che mi sa che que-E quel sensibile glielo
vorrei far ingoiare.

sto è un evento. Il calciatore più famoso e…

– Un bambino speciale…

Solo ora, solo ora che sono sulla sua Ferrari nera - ho Anche questo vorrei farle
ingoiare.

letto che ne ha altre tre - so con chi sono. Anche se dei suoi

– Infatti sei diventato un uomo speciale, Gigi lo diceva Cd solo due ne ho.

sempre…

Non parla e mi sorride. Non parla e lascia che il motore Lascia stare Gigi, vorrei
dirle.

canti e che io mi guardi questa città. Supera quartieri e

– Non sapevamo, non potevamo sapere, ci sembrava un quartieri che tutti


conoscono e non sto a raccontare. Su-gioco…

pera gente e gente di ogni pianeta che tutti immaginano e Condanna o


assoluzione?

non sto a raccontare. E ogni curva presa al contrario lo

– Ci siamo fatti prendere la mano…

stomaco si ribalta e ogni rettilineo bruciato a mille l’ansia Si interrompe e trema.


E provo pietà e forse si vede dal cresce e mi travolge e mi chiedo dove mi sto
facendo por-mio viso perché lei ora guarda lui che sorride e sorride antare.

che a me.

Mi sto facendo portare in una villa ottocento lontano

– Io mi sono salvata grazie a Jay…

122

123

Finalmente mi ricordo il suo nome, il nome della pop ha i suoi cedimenti. Ecco
perché sono qua. Sono solo un star, che sui suoi dischi è un’altra sigla, tipo tribù
indiana.

cedimento matematico.

– E grazie a…

Jay poggia la sua mano sul mio fianco e fa una leggera E non parla più ma si
sposta verso un corridoio poco il-pressione. Io guardo Nadia e non dico nulla.
Come po-luminato e la seguiamo con Jay che mi appoggia una ma-trei. E non
faccio nulla. Come potrei. Anche questo è un no sulla spalla.

piccolo pezzetto di me che se ne va.

Nadia apre una porta ed entriamo in una stanza invasa Ci avviamo verso l’uscita.
In silenzio. Perché non ho dalla luce. Un fascio bianco abbacinante, accecante,
am-neanche nulla nella mia testa da poter ripetere e che mi plificato, irradiato da
una vetrata senza fine, quasi uno possa aiutare.

schermo che trasmette oltre questi vetri un prato smeral-E l’unica cosa che mi
esce prima di risalire su questa au-do. E non c’è finzione ma solo una strana
realtà. In mezzo, to nera è un Grazie. Ma avrei voluto dire di più e chiedere tra la
vetrata appena aperta e il prato, travolto dalla luce e farmi spiegare e accampare
pretese e altro che grazie.
bianca ci sono Io. Io seduto sul parquet scuro con la faccia Ma come potrei,
come potrei. E sono così schiavo degli al-immersa in un libro di colori e parole.
Io vent’anni fa. E

tri che non chiedo neppure un nome, il nome di Io quasi muoio. E Io alza lo
sguardo e ha i miei occhi neri nevent’anni fa.

ri e profondi e ha le mie sopracciglia prima grosse poi fini e arcuate e ha le mie


dita lunghe e affusolate che spostano il nostro ciuffo di capelli neri e sorride con
i nostri canini a punta muovendo in avanti il nostro mento un po’ pronunciato e
facendo tremare le nostre labbra che si aprono solo quando vogliono loro, su
questa pelle scura.

Io e me stesso, uno davanti all’altro. Poi Io dice qualcosa e ritorna con la faccia
sul libro.

– Volevo solo che lo vedessi, questo nostro figlio. Mio e di Jay.

E lei si stringe a Jay che la bacia sui lunghi capelli biondi.

– È nato tre mesi dopo che Gigi… e ora è nostro figlio.

Solo nostro. Ma credevo fosse giusto che lo vedessi.

E il suo italiano aritmetico è perfetto e anche le sue intenzioni, il suo scopo e il


suo fine. Ma anche l’aritmetica 124

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Tredicesimo pezzetto

La mente non l’ho fermata mai, i muscoli sì, qualche volta.

A fine campionato.

Li guardo questi muscoli e sembra che abbiano avuto una vita propria. Grande
pettorale, piccolo pettorale, retto dell’addome, traverso dell’addome, quadrato
dei lom-bi, deltoide, sopraspinato, sottospinato. Ritmi propri, esi-genze tutte
loro. Bicipite, tricipite, coraco-brachiale, brachiale.
Lo so perfettamente e non sono ricordi tanto lontani.

L’ultima volta è accaduto pochi mesi fa. Alla fine della festa, fra bandiere e giri
di campo e urla e battimani. Il teatrino della gioia. E tutti a urlare, tutti loro.
Perché io sono fuggito negli spogliatoi con la scusa dell’invasione di campo.

Abbiamo fatto il nostro dovere, no? L’abbiamo fatto perché con quello che ci
danno ci mancherebbe altro, ci siamo presi pure la soddisfazione e mo basta.

E invece no, baci e abbracci. Baci e abbracci. E quanto siamo stati bravi e quanto
siamo campioni. E quanti di noi il prossimo anno saranno qui? e l’anno prossimo
bastardi avversari? Ma che cazzata è? Ma che diavolo di cazzata è questa? Che
faccio brindo col nemico? mai.

Anche se nemico di arena, sempre nemico è. Me lo han-127

no insegnato loro. Fosse stato per me, se proprio avessi Solo un anno sono
andato in vacanza prima del tempo.

dovuto dare sfogo al mio fisico, all’indole del mio corpo, Una piccola frattura in
dirittura d’arrivo, una caduta con al massimo avrei militato - si dice così, militato
- nella un mastino terzino appiccicato dietro la schiena. Poi squadra dei frati con
i capelli lunghi da rockstar martire.

quello è venuto persino a trovarmi in ospedale e pure scu-Al massimo.

sa mi ha chiesto davanti alle telecamere e ai fotografi. Scu-Ma visto che qui mi


hanno ficcato in testa le loro regole, sa: il tempo di due riprese e due scatti, poi si
è voltato e in be’ le loro regole dicono che l’avversario è avversario.

ospedale non l’ho più visto.

Punto e basta. E quella di buttare fuori il pallone quando Mi hanno curato a


tempo di record, che se fossi stato uno è a terra, quella di restituire la palla è
l’unica farsetta pensionato, od operaio, o professore o qualsiasi altra cosa rimasta
in piedi delle vecchie regole che oggi hanno divo-starei ancora lì. Invece per me,
per noi, tutto sfreccia sulla rato.

corsia d’emergenza, disgrazie e rattoppi compresi.


E poi uno alla fine ci perde pure la testa, con queste gi-

– Fatti una bella vacanza Vanni.

randole di maglia. Quello che ti doveva lanciare in rete sei E me ne sarei voluto
andare a vedere quello che dico io, mesi fa, oggi è quello che ti deve gambizzare
prima di arri-che poi sono cose che tutti fanno. Tipo musei e quadri, ti-varci, alla
rete.

po monumenti e storia. E invece nulla. Avevo già la mia Uno si perde in questa
corsa forsennata all’ingaggio mi-prenotazione, la stessa prenotazione degli anni
passati gliore. La mano stretta ieri, la sciarpetta al collo con i colo-dove vogliono
che vada, dove mi controllano.

ri della società all’arrivo in aeroporto per uno scatto dei

– Ma come pretendi di metterti in fila davanti a un mu-fotografi, per una ripresa


della tv, è un patto che può vale-seo?

re solo sino a domani.

E tutti i torti non avevano.

Quindi non ho festeggiato. E tutti l’hanno presa per l’u-

– Ma hai presente chi sei? Ti assalterebbero in un secon-miltà del campione. Ma


era fastidio.

do, non ti mollerebbero un attimo.

Anche loro non mi mollano un attimo e io li ho sempre Ieri come oggi me li


guardo e scuoto la testa. Sartorio, lasciati fare.

quadricipite, pettineo, adduttore breve, adduttore grande, adduttore minimo.


Tibiale posteriore tibiale anterio-

***

re, peroneo lungo e peroneo breve.


Li guardo e tocco le ferite in rilievo su cosce e polpacci, Li ho lasciati fare anche
questa volta, stavolta, che i mu-sono i segni dell’arena e li ricordo tutti, uno per
uno. Ci pas-scoli sono esausti davvero. Grande gluteo, medio gluteo, so sopra le
dita e ricordo ogni botta, ogni contrasto. E mi piccolo gluteo. Colpa di questa
botta e di questa gamba fanno ancora male come male mi fa tutta questa mia
vita.

che è meglio si prenda un po’ di pensione.

128

129

– Fatti una bella vacanza Vanni.

E io cosa sono? Merda. Avrei voluto dire, ma non dico E io la vacanza già me la
faccio in questa giungla geome-nulla.

trica, con le palme, le piante, il verde, il fresco. Algebrico.

– Però ci sentiamo eh. Mi basta un Sms a sera, una te-I vialetti e il fresco e le
piscine una dietro l’altra. Gli uffi-lefonata.

ciali in divisa che ti salutano e si inchinano e gli ufficiali A me no. Ma non dico
nulla. E sono partito. Da solo.

senza divisa che controllano e provvedono e vedono perché nessuno ficchi i


piedi in questa riserva. E controllano Ma poi solo solo non resto. Perché questa è
la nostra ri-già dalla spiaggia che se per sbaglio ci finisce chi con que-serva
estiva e ci trovo sempre gente come me, gente peg-sta storia di paradiso non
c’entra nulla lo prendono a ran-gio di me. Gente che mi passa accanto e mi
sorride.

dellate.

– A cena da noi Vanni?

Sono in vacanza da solo perché Lucina prima ha detto E la tipa in costumino


striminzito boccheggia silicone.
di sì. Era l’alba di giovedì. Poi ha detto di no, al tramonto

– Abbiamo bloccato gli otto posti del Wawa-wawa re-di giovedì quando è
tornata dal suo avvocato e dai suoi staurant.

sensi di colpa, o forse di opportunità.

È il panzone dello scorso anno, liposoluto. Mostra i risultati della seduta


chirurgica che poi sono i risultati della

– Ci stiamo perdendo, lo sto perdendo…

sua scuderia da corsa e delle sue azioni non so che.

La solita tiritera. Ma rispondo uguale.

– Oh, non vorrai andare con quegli stronzi al Batabata!

– Ci stiamo perdendo chi?

Il chirurgo è passato in zona occipitale a dare una rinfor-E lei affonda:

zatina alla criniera grigia.

– Io e Raffaele.

– Che palle il Batabata, che palle la cucina orientale.

Raffaele è l’avvocato, il suo fidanzato.

Striminzita boccheggia silicone, chissà che giochi con

– Raggiungimi, allora. Solo per il fine settimana.

quei due canotti.

Provo con uno sconto.

Non parlo, sorrido e cerco la prima scusa.


– Non posso dirti di sì, forse.

– Dài non farti pregare Vanni, poi si va all’anfiteatro, c’è Lo sapevo. Suona già
come un no sicuro.

il premio letterario. Dài Vanni siamo in giuria e ci buttia-

– Deluso?

mo dentro pure te.

Vedi tu. Ma non le rispondo, la guardo e credo che basti.

Il Wawa-wawa e il Batabata hanno una piscina e un mi-

– Vanni, lo sai non posso perderlo. Ti prego cerca di es-nigolf di distanza. E li


conosco bene tutti e due. Ma cono-sere comprensivo. Non posso perderlo. Se
parto con te è sco anche Il nido delle rondini, la Capannuccia e il Galla fine. Non
voglio che sia la fine. Lo amo, troppo.

lery, la Baia e il Lucernino, Alba Rosa e Ganamala. Tutti i 130

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ristoranti di questa riserva turistica li conosco bene. E coper il karaoke e ora


Giorgio va da lei e dagli altri a cantare.

nosco la loro clientela. E il loro concorso letterario di giu-E così muove il


bacino, fa un giro, con un colpo del collo fa gno all’anfiteatro dove convergono
da tutti i ristoranti per svolazzare la sua frangetta che gli copre gli occhi azzurri
digerire.

azzurri, batte le mani, un piede avanti e l’altro di lato. Muo-Convergono anche


certi che ho visto in tivù e che tengo-ve il bacino e soffia sul microfono il meglio
della hit parano la rubrica nei giornali che contano. E sono amici del de. Stona,
eh se stona. E se non stonasse non lo chiamereb-popolo e del padrone. Puntano
qua a giugno per un pri-bero neppure, è questo che vogliono da lui, il lato umano
mo assaggio. A giugno quando ci siamo noi ultralusso del campione. Peccato che
lui sia convinto di far bene. E lei fuori stagione perché a luglio abbiamo già da
fare o cor-glielo fa credere. Chissà quante cose gli fa credere.

riamo da altre parti o facciamo correre gli altri.

Poi, vicino a Giorgio, c’è la tipa della destra destra, l’ul-Io avrei voluto fare le
ferie a luglio e ad agosto nelle tra destra, che piace anche alle donne della
sinistra e infat-spiagge affollate fra l’odore del sudore e degli abbronzan-ti
affianco ne ha una con un vestitino indiano, o indone-ti. Avrei voluto sedermi in
spiaggia, sul bagnasciuga della siano o tailandese, che sembra garza e si vede
tutto, ma spiaggia e guardare le ragazze che passano e misurargli tutto tutto.

tette e culo. E scegliere quella per la notte o quella da at-E alla fine mi eccito. E
poi vedo che la Destra la guarda e tendere qui sul bagnasciuga con la speranza
che passi an-la guarda male, perché lei guarda me. E io guardo lei, ma cora una
volta con l’amica presa per mano e che sorridano giusto perché è l’unica cosa da
guardare a questo tavolo.

e ridacchino, ancora una volta.

E ora parlano di libri ma di certe cose che io manco ho E invece no. Invece mi
toccano sempre quelli del mio sfiorato e mi fanno vomitare. E tutto possono fare
ma non giro. Gente che fa leggi e gente che le disfa, gente che az-parlare di libri,
che quello, campo mio è. Anche se qui tut-zanna per un emendamento e quasi si
massacra. E ora so-ti pensano che il mio campo è un altro.

no tutti qui al Wawa-wawa o al Batabata. Poi all’anfitea-

– Vanni, quest’anno ti voglio con noi nei box.

tro con calciatori, modelle, giornaliste, ballerine, attrici e L’ex panzone non mi
molla.

tutta la tiritera che ci sbattono tutti sulla carta patinata.

– Ti do un testone. Ti basta un testone?

Eccomi. Eccomi che mangio con l’ex panzone e Stri-E mi chiedo perché parli
come un ragazzino a un con-minzita, Giorgio che gioca nella squadra che mi sta
trop-certo rock.
po sul culo e la fidanzata che lo porta a tutte le sue trasmis-

– Ti fai riprendere, dici che tifi per noi. Indossi la nostra sioni tv. Perché lei ha 28
anni e già quattro o cinque trat-shirt. Un testone, solo questo per un testone.
Tanto lo so smissioni tivù. Ha iniziato che ballava su un tavolo. Ora fa che non
hai il procuratore. Un testone dritto dritto nelle ballare gli altri.

tue tasche. Vecchia lenza il Vanni… La sa lunga il Vanni e Gli ha fatto fare
persino la pubblicità di uno di quei cosi non passa il piattino a nessuno.

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E se la ridono e mi guardano compiaciuti e meno male

“Questo questo qua sì, e anche questo, sì pure que-che siamo agli amari. Loro
sono agli amari, io non bevo, sto…”

mai. Mantengo il controllo, sempre. Non mi va di manda-E mi vedo mentre li


depenno con la matita. Mentre lui re a risposo il mio cervello, mai. Me lo godo
così il mio cer-perde un po’ del sorriso.

vello, è la parte migliore di me e ci tengo che sfrecci come E lo vedo che


risponde verde limone, giallo itterizia.

e dove vuole senza additivi. Neanche minimi, neanche

“Bene tutti li ha letti. Bene. Complimenti. Spero che le stagionali.

sia piaciuto anche a lei quello dell’Avvoltoio, una bella storia ambientata in
Canada…”

Ho la cartellina in mano e ho affianco il presidente ab-E lo so che mi vorrà


tendere trappole. Tagliole arruggi-bronzato abbronzato, ma così abbronzato che
mi chiedo nite che non conoscono la pietà. E basterà solo saltare ve-come faccia
con quelle sue trasmissioni tivù e quella sua loce perché si richiudano senza il
mio piede dentro. Un rubrica dei giornali che contano. Amico del popolo e del
rumore di vecchia ferraglia ma non di carne lesa. Avvilita padrone.
e offesa.

– Mai letto qualche libro?

“Il tipo non si chiama Avvoltoio ma Condor e la storia è La sua voce è come
l’autoradio di certi che quando pas-un ritratto del Cile prima della dittatura di
Pinochet, sano, in macchina dico, fanno vibrare i vetri. E le ragazze quando
ancora si sperava in uno stato socialista e nella na-biondine che non lo perdono
mai di vista, le ancelle se-zionalizzazione. Ovviamente si svolge in Cile e non in
Ca-guaci biondine che mi sa anche loro scrivono qualcosa, nada. Ma si tratta di
un lavoro artefatto, scritto a tavolino, sghignazzano.

senza cuore. Forse perché oggi l’americalatina va. Credo

– Mai letto qualche libro?

che lo abbia scritto una di quelle ragazze, una di quelle Ripete perché la battuta
piace troppo alle ancelle seguaci.

che era qui con noi, ma ora non vedo più. Credo quella

– Qualcuno.

che la aiuta nei testi della trasmissione tivù, o sbaglio?

Le Ancelle si fanno più strette.

Quella, quella che ha conosciuto nei suoi corsi di scrittura

– Qualcuno… bene. E questi, questi qua, questi qua che creativa, o sbaglio?”

ha segnati sulla sua cartella li ha mai letti?

E mi immagino che gli faccio perdere anche l’abbronza-Faccio una pausa.


Anche io conosco la forza delle pau-tura. E le vedo le Ancelle che
incartapecoriscono i sorrisi.

se, adesso. E le ancelle zummano gli occhi e lui attende

“De gustibus. Ma non mi vorrà dire che non è di grande guardandomi e


sorridendo. Bastardo.

poesia almeno questo?”

E mi studio cosa dire. E rapido, veloce mi immagino co-E lo so che l’avrò in


pugno. E godo e mi riscalda lo sto-sa mi risponderà.

maco solo il pensiero che una volta tanto, una volta nella Mi immagino di dire.

mia vita avrò in pugno qualcuno.

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“Questo? C’è più poesia nei miei rigori che in questo.

re quel fischio maledetto che si ferma e lascia Giorgio sul-Ma poi mi scusi, ma il
tipo, questo tipo, non scriveva gui-la bestemmia finale.

de di ristoranti famosi? Sì, guardi sono quasi sicuro che è E tutti ridono. Ride
Giorgio, ride questo qua che mi lui, mi sembra che sua madre fosse conoscente
di mia zia.

guarda di merda e mi strappa dalle mani la cartellina.

Sì è lui quello che ha scritto la guida dei ristoranti famosi e Mentre le ancelle
iene, spazzine della savana geometrica, si è fatto accompagnare in viaggio dalla
mamma, sì me lo lo seguono lanciandomi l’ultima occhiata.

ricordo lo ha raccontato a mia zia.”

– Lo dicevano, vuoto pneumatico…

E mi immagino tutto e sono pronto alla sfida. Ho tutto E finisce qui.

programmato e calcolato. Dirò questo e risponderà quello. Sono pronto. Sto per
rispondere.

***
– Allora Visco, li ha letti o no… pronto Visco… c’è? è su questa terra? o la
mandiamo a prendere?

Anche questo è uno dei ricordi della vergogna. Vergo-Il tempo a volte è una
macchina perfida.

gna nera e disgraziata. Li ho tutti in fila indiana nella mia

– Non si imbarazzi, se non li ha letti, lo dica, anche io mente, i ricordi della


vergogna, e ogni tanto se ne aggiun-non so tirare una palla, avanti su non si
vergogni… o non ge uno. Uno nuovo in coda alla fila. Si piazza lì e fa avanza-mi
vorrà dire che ha i riflessi così lenti anche in campo…

re di due passi tutti gli altri.

E le ancelle sono peggio di iene, avvoltoi sciacalli, mi Ecco, io me lo immagino


così. Ci sono i miei ricordi, i ri-spolpano con gli sguardi, mi scarnificano con
quelle risa-cordi della vergogna, che bussano al portone della memo-tine.

ria. Ma non apro, tengo duro. Quelli spingono. Metto Sto per tentare il recupero
in zona Cesarini, ultimi se-puntelli, travi grosse inchiodate agli stipiti. Quelli
sono condi prima del fischio finale. Come faceva Cesarini, sem-un ariete e fanno
cigolare i legni e gracchiare le cerniere.

brava tutto perduto e via, lui riaggiustava la partita.

Accatasto mobili, armadi, sedie. Ma loro sono tutti lì dalLe mie labbra si
muovono ma un fischio assordante ci l’altra parte che premono e alla fine il
portone vibra, mu-trafora le orecchie e la ragione. Un fischio che arriva dal
gugna che neanche il pianto delle balene, sordo e profon-palco. È Giorgio, prova
il microfono e speriamo che quel-do. Loro spingono e quello si lamenta. Loro
premono e li della ditta del karaoke lo vedano e gli levino per sempre mi gela il
sangue questo rumore qui. Mi sembra un canto la pubblicità. Combatte con un
fischio che gli scuote la funebre a labbra chiuse, l’inno della sconfitta. E alla fine
il frangetta e tutti si girano e tutti ridono.

portone crolla, cede. E quasi mi schiaccia.

– Il presidente sul palco! Porco cazz…


Chiodi sui polsi, flagelli sulla schiena, piombo rovente e Urla come fa in campo.
Nell’arena con le telecamere mutilazione. Frecce sul costato. A volte lo so. A
volte sono che lo beccano sempre, certe bestemmie. Urla per supera-loro, i
pensieri della vergogna che m’invadono la mente, a 136

137

dominare me, non io ad ordinargli di tornare a galla. Ora poi bianche bianche,
come le rapstar per nulla martiri e lo so.

molto nere. Anche nell’anima.

In camera da letto, nell’armadio della camera da letto,

***

ho una macchina digitale e anche la Polaroid. Pensavo di scattare qualche foto,


in questa mia vacanza. Ho sempre

– Gentilissimi amici, signore carissime…

pensato di scattare qualche foto ma non c’è stato mai nul-Il microfono non
fischia più. Il Presidente conosce il la da scattare in queste vacanze fotocopia,
qui nella giun-suo mestiere. E il concorso letterario anche questa estate gla
matematica. Sono sempre tornato senza uno scatto.

ha il suo campione.

– Faccio un salto in camera e arrivo.

Vince il Condor. Non c’era dubbio. Vince il Condor alla E Destra mi sorride e
con una mano ficca le unghie sul faccia del mio voto. Il poeta ristoratore arriva
secondo. E

culo di Sinistra e con l’altra quasi strozza la bottiglia. E ho si abbracciano e si


fanno fotografie. L’ex panzone stappa paura che il vetro esploda.

la bottiglia e tutti sono in piedi nei loro abiti lucidi, sulle


– Faccio un salto in camera e arrivo.

loro pelli lucide. E io mi do.

Mento, e fuggo. Non ho intenzione di avere ricordi con Alla mie spalle sento la
musica che irrompe nell’anfitea-queste qui. Ricordi e null’altro. L’avevo giurato:
Mai più.

tro dell’architetto delle ville e del lusso, sento questa cafo-nata latina che prima
muovi il braccio destro, poi il sini-La Polaroid è carica. Magari mi sarebbe
piaciuto fare stro, una piroetta e le anche e la gamba destra e la gamba degli
scatti con Lucina. Sventolare rapido il negativo sin-sinistra e poi il battimani.
Tutti insieme. Alè. E penso a ché il nero non avrebbe lasciato posto al rosso, poi
alle no-Gigi, alla musicoterapica. Alla musica come terapia e qui stre sagome in
arancione, alla fine ai nostri visi prima sfu-ci vorrebbe un internamento per
secoli con dosi massicce mati, poi abbronzati su un mare cobalto. Con Lucina
non per tutti, tutti loro.

ho mai fatto una foto.

Taglio veloce, punto al mio bungalow, che bungalow La Polaroid è una pistola
nella mia mano destra. Mi co-non è. È tutto tranne un bungalow, più reggia che
capan-rico, spengo il cellulare, alzo la cornetta del telefono sul na.

comodino bambù. Spengo la luce.

Punto veloce e quasi sbatto su quella della destra destra Clic… Clic… Clic…
Clic… Clic… Clic… Scarico i fla-e la sua tipina della sinistra sinistra col vestito
garza sem-sh sui miei occhi aperti, una sventagliata senza pietà, cari-pre più
trasparente.

ca da sei. Una raffica che mi fa lacrimare. Forse dormirò

– Un bagno nella piscina del nostro bungalow?

meglio.

E stringe una bottiglia di spumante con le sue dita lun-La Polaroid è a terra che
frigge e vomita i miei scatti, la ghe e le sue unghie lunghe, rettangolari, prima
bianche faccia della disperazione.

138

139

Quattordicesimo pezzetto

La campanella non segna il mio ingresso. È rotta, andata da tempo. Ma pensavo


che in queste ferie Rocca l’avesse aggiustata. Punto verso di lui, verso il
bancone. Ma ve-do che non è solo. E quello non è un cliente.

Rocca parla fitto fitto e quello ha l’aria fastidiosa di un piazzista in carriera. È un


tipo sui trenta, elegante, troppo elegante, abito scuro, valigetta, pettinatura
perfetta e occhiali da sole della marca che sponsorizzo.

Rocca alza lo sguardo verso di me. Ma è solo un attimo.

I suoi occhi chiedono aiuto. Ma io non so che fare. Quello lo travolge di parole.
E lui scuote la testa.

Rocca mi riguarda come per dire: Fa nulla dài, me la sbrigo. E quello non sta
zitto un secondo.

– Io sono stanco, Gabriele. Quanti anni hai? Non sei un bambino. Vuoi fare
l’eroe? Vai, ti prendi un mitra e parti, che il mondo è pieno di occasioni. Ma
santa Madonna, lo capisci che vendere libri è un mestiere? Tu vendi e gli altri
comprano, Gabriele. Si chiama azienda. In italiano si chiama azienda, non
missione. Non ce la fai con i libri? Ci apriamo un bel disco bar, qui in centro, i
tavolini fuori…

vendiamo birre, cocktail… soldi a palate… soldi facili…

Vuoi vendere libri? Cazzi tuoi… ma almeno puntiamo su edizioni economiche…


quelle che ci tirano dietro per due lire… quelle… quelle… da supermarket…

141

Nella libreria c’è anche Lucina, che forse era già qui,
– Glielo spieghi lei…

forse mi aspettava già nella nostra stanza. Oggi è merco-Dice a me.

ledì, il nostro giorno. Ci incontriamo sempre qui, poi pro-

– Glielo spieghi lei, chedè miliardario, che si tratta solo seguiamo da me.

di mettersi al passo… ci sono librai che fanno i soldi… l’a-Lucina mi tiene per
un braccio e mi guarda come dire: zienda… il fatturato… ciò che conta è
l’ultima cifra in Che diavolo succede? Io sgrano gli occhi e non ho rispo-basso a
destra.

ste. Poi penso che tutto è legato al fatto che io e lei siamo Rigonfio il petto ma
Lucina mi trascina verso la biblio-rimasti gli unici fedeli clienti della libreria
Rocca. Ma non teca esagonale. E i miei passi si fanno pesanti ed echeggia-lo
dico, tanto Lucina ha già fatto l’equazione.

no nel corridoio che oggi sembra più stretto e sembra non Il tipo piazzista ha il
viso a un soffio da quello del no-finire.

stro libraio. Il nostro libraio è stanco come non l’abbia-Vorrei dirvi una cosa
molto piacevole e allegra mo mai visto e non ha la forza di reagire.

Sento lontana la voce del nostro libraio.

– E poi, Gabriè, non farmi quella faccia da via Crucis, Adesso, non c’è tempo per
discutere… ma, in due parole perché lo sai che ho ragione io. I debiti sono
debiti. Orga-Mi sembra un lamento.

nizzati. Altrimenti dimenticatela questa baracca. Ti porto Voi già sapete che il
giardino dei ciliegi sarà venduto per via anche le mutande.

coprire il debito

Il nostro libraio reagisce più per noi che lo guardiamo Sento le urla del tipo e il
trillo del suo telefonino.

che per se stesso.


L’asta è fissata per il 22 agosto, ma non inquietatevi, mia

– Adesso basta, Alessio. Ho… ho u… una dignità an-cara. Dormite in pace: c’è
una soluzione… c’è una soluzio-ch’io. Basta.

ne…

Ma il piazzista non molla. Perché vede la bocca del nostro libraio tremare forte.

Quando non sentiamo più nulla, io e Lucina sbuchiamo

– Basta che? basta che? Poveri figli tuoi, con un padre co-fuori. Il signor Rocca
sembra al termine di una maratona, sì. Non vuole che gli spostino la polvere, fa
l’umanista e…

esausto, e la catenella che gli ha sempre retto gli occhiali è Il tipo guarda me.

anche lei sfinita. Si spezza e le lenti cadono a terra frantu-

– E ormai nel tempio della cultura ci entrano solo i cal-mandosi in mille pezzi.
Ma nessuno sembra accorgersene.

ciatori…

Né noi, né lui.

Gonfio il petto, ma Lucina mi stringe il braccio e Ga-

– Lunedì ben tornato… e la tua gamba?

briele mi supplica con i suoi occhi azzurri che ora brillano Signor Rocca legge
troppo, anche i giornali.

ancora di più, ora che sono umidi e incorniciati dai capel-

– Tiene, non dia retta a quelli là…

li bianchi.

– Ah… tutto a posto quindi?


142

143

Si è sempre preoccupato per me.

Viaggiare mi è sempre piaciuto viaggiare. Soprattutto

– Sì, io sì.

con Lucina. Ma solo sulle pagine della mia libreria.

E io solo ora di lui.

– Vanni non posso, lui potrebbe sospettare.

– Quello… quello sai, è il fratello di mia moglie, una E siamo rimasti a casa.

specie di piaga, non capisce praticamente nulla…

A lei sono sempre piaciuti gli americani e abbiamo vola-

– Uhm… brutto aspetto. Pessimo.

to insieme sul delta del Mississipi e sulle mille luci di New Ma vorrei dire di più.

York.

– Ha un figlio, sette anni. Stravede per te.

Allacciati, i corpi stretti l’uno all’altro E tira fuori un foglio e una penna.

La mia bocca incontra la sua.

– Abbi pazienza Lunedì: così me lo levo di torno per un Il ragazzo e la ragazza


presero a muoversi su e giù per il po’…

vialetto

Lucina mi guarda con una faccia e vorrebbe chiedermi E succhio la sua lingua
calda e profumata.

cos’è questa storia di Lunedì, perché Rocca mi chiama Ballavano

Lunedì. Io firmo, paghiamo i nostri libri che oggi sono Sposto le sue gambe sulle
mie spalle.

più del solito e andiamo via. Ma saremmo dovuti restare.

E quando il disco finì, ricominciarono

– Perché ti chiamava Lunedì…

Scivolo con la lingua sui suoi piedi.

Non le rispondo.

E quando anche quello finì

– Ah, perché?

Il mio sedere oscilla.

Ma non cedo e lei sbuffa.

Il ragazzo disse: Sono ubriaco

Il suo gomma piuma.

***

La ragazza disse: No che non lo sei

E i miei occhi si chiudono fra le sue cosce.

Alla fine credo di aver sbagliato tutto. O quasi. Sono Invece sì che sono ubriaco

stato uno di quei tipi, come dire?, poco tempestivi. In-Un piano elettrico scorre
fra le mie tempie, una sequen-somma, ho sempre sbagliato i tempi. Sono restato
quando za elettronica. Recito a voce alta e spingo forte, deciso ma dovevo
scappare. Sono scappato quando dovevo restare.

morbido, senza fretta.

La vita è un’altalena. E anche questo tutti lo sanno.

Non è che non avessi la coscienza. Cioè sapere lo sape-Con Lucina non ho mai
preso cioccolate calde, non ho vo, ho lo scandaglio sotto pelle. Ma fra coscienza
e azione mai visto un film di Natale, non ho mai fatto regali passeg-ce ne passa.
E pure questo lo sanno tutti.

giando a braccetto per le strade illuminate di gente e colo-Saremmo dovuti


restare.

ri. Non ho mai pranzato dai suoi, non ho mai riso con le 144

145

sue amiche. Non ho mai litigato con urla e musi lunghi e

– Cosa mi devi dire?

poi fatto pace. Con Lucina ho diviso la mia biblioteca e la E attendo. Ma soffro
queste attese.

mia casa. Il mercoledì. Non so più per quanto.

– Parto, ci trasferiamo a Roma.

È stata Lucina a farmi andare verso nuovi suoni. Lucina E non so più bene dove
vuole arrivare stavolta Lucina.

a farmi uscire dall’apprendistato. Dalla nausea al vortice

– Ci? Ci chi?

caldo. Sino alla solitudine.

– Io e Luisa, Luisa la mia amica.


Manco me la ricordo questa Luisa.

Mi è sempre piaciuto viaggiare. E poi tornare. Sentire

– Ah sì Luisa.

l’aria calda e appiccicosa, un sifone sparato in bocca non E ora non capisco. E la
laurea? E l’avvocato che un gior-appena l’aereo srotola la sua lingua di scalini
acciaio sul-no vorrà o dovrà, non l’ho ancora capito, sposare?

l’asfalto della pista.

– Mi hanno offerto un’occasione d’oro.

Mi è sempre piaciuto tornare nella mia casa che si affaccia

– L’Università?

sul porto. Con le finestre aperte, le serrande quasi abbassa-

– Ma no… di lavoro.

te e la luce che appena filtra dalle fessure. La mia casa fresca Non capisco
proprio. Di lavoro? Ma quale lavoro? Lu-e pulita. Silenziosa, dove far riposare le
orecchie inquina-cina va ancora all’Università.

te di suoni tamburi, di urla fischi, di commenti parole.

– Hai presente il cognato di Rocca… l’altro giorno.

Le fessure delle serrande sono piccoli rettangoli di luce Le mie antenne hanno
fatto cilecca. Non hanno funzio-che fanno caleidoscopi di luce. Mi siedo e
aspetto Lucina.

nato, non hanno percepito nulla. Il vuoto assoluto. Non mi hanno messo al riparo
per tempo da questa valanga di

– Sei il mio lato oscuro.

bitume incandescente che mi sommergerà. Peggio dell’o-


– Sono cosa?

lio bollente.

So già dove vuole arrivare. Ho le antenne, io.

E la guardo storto. Che devo avere una faccia da demo-

– Sei il mio peccato e il mio sogno.

nio cinghiale diavolo della boscaglia. Ma lei non perde la

– Sono quello del mercoledì.

calma e mi guarda con i suoi occhi ghiaccio e il suo om-Taglio corto.

bretto ghiaccio.

Mai dire a una donna, a Lucina, una cosa così.

– Dài Vanni, non fare così… lo sai che i libri sono la mia

– Non ho quello del mercoledì, né del lunedì, né del ve-passione, sono tutto
quello che ho e ho sempre voluto. Il nerdì. Stronzo. Ho Raffaele. E te, il mio lato
oscuro.

mio sogno. Sto accarezzando il mio sogno.

– Cosa mi devi dire?

Scuoto la testa e la riscuoto, neppure fossi un mulo in-Lucina conosce la forza


delle pause. E abbassa gli occhi nervosito con una sacca davanti e una dietro, per
non spor-per qualche istante. Per qualche secondo non parla.

care.

146

147
– Insomma, Vanni quello con un suo amico romano apre

***

una piccola catena di libri, sai quelle catene…

– Di libri da supermercato… e poi Raffaele, che dirà il

«Questo era il mio trance, questa era la mia fuga. Que-tuo Raffaele?

sta è stata la mia fuga. Poi il resto solo sbiadite copie.

– Quando fai così Vanni ti odio.

Ho cercato, ma non ho trovato. E quando ho preso non

– Vai a fare la commessa… per quel pezzo di merda.

è mai stato lo stesso. Sono volato via ma solo il lasso di un Quello che si vuole
cucinare Rocca, quello che lo vuole verso, poi tutto è morto. Subito dopo.»

sbattere fuori senza pietà.

E vorrei tirarle il collo. Il suo lungo collo.

Mi vergogno. Mi stupiscono questi miei pensieri, questi

– Ma tu vuoi la mia felicità o no? Da dove vuoi che inizi?

miei tentativi di scrittura. Invece questa frase l’ho lasciata Vuoi che inizi a
dirigere da Feltrinelli?

lì appesa su un foglietto giallo appiccicato al frigorifero.

E vorrei dare battaglia e spiegarle che io la penso diver-Aspetto che sbiadisca da


sola. Che se ne vada a farsi fotte-samente, che se uno è nemico di un mio amico
è mio ne-re da sola, che perda pian piano inchiostro.

mico. Che abbia in mano la dirigenza del gran circo o degli scaffali dei libri di
cucina e poi quelli delle diete e quel-
«Ho c rcato ma n n ho tro to. E qua o ho pr so non e ai li degli astrologi indovini
e dei segreti del microonde e dei stato lo stesso. S no vo ato via ma solo il lasso
di un v so, oi popoli scomparsi e tutta la tiritera. Non è l’offerta che tu to è
morto. Subi dop»

conta, è chi te la fa. E poi, a dirla tutta, questa è un’offerta che non conta. Penso
cose d’altri tempi, penso cose che La lascio lì perché mi ricordi che non sono un
poeta. Il oggi non valgono nulla.

mio talento è solo in campo. Nell’arena.

– Mi capisci Vanni, devo acciuffare l’occasione ora, senE questo è uno dei
pensieri della vergogna che voglio nò poi il treno passa e chissà quando ripasserà
per me.

resti marcato a fuoco sulla mia fronte.

Avere coraggio significa anche questo: saper aspettare, anche se aspettare


significa logorarsi.

***

– Prima la tua felicità Lucina.

Lei è raggiante.

Centrocampo. Il cielo si fa metallo. L’aria fredda blocca Eccomi, vedo un altro


pezzetto di me staccarsi dal mio il respiro.

corpo ma non del tutto. Via un’altra squama che resta ap-Nelle orecchie ho come
una tempesta di onde in un ma-pesa ad un filo e pende dalla mia carne. Non
spira il vento re nero.

e non se la porta via. Resta lì, pelle morta a ricordare al re-I padiglioni in due
conchiglie che suonano echi e ipno-sto, a tutto il resto del mio corpo, la fine che
farà.

tismo. Non sento altro e vedo solo le guance di questo 148


149

poliziotto municipale, vigile vigilante, che soffiano nel fi-lui alle stelle dove
attendo la mia collisione. Un cenno schietto, e capisco che è il mio turno.

del collo, solo uno me ne serve e la palla vola dentro la I muscoli si tendono, mi
lecco il braccio e ho il sapore rete.

salato giusto. Passo indietro e parto in avanti.

Ora sento, ora sento perché non è possibile non senti-Peggio per questo birillo in
maglia biancoblù, peggio re quest’arena che esplode.

per lui che si mette fra me e il mio destino e la mia rab-Ma non mi basta, non mi
basta mai, oggi. Quelli ripar-bia. Ho la falce nei piedi. Macino e taglio, macino e
ta-tono ma non vanno lontano. Indietreggiano e forse gli glio. E quello precipita
a terra e i miei rimorsi lo sfiorano basta la mia faccia. Forse gli bastano i miei
occhi che tra-appena con la coda dell’occhio. Il vigile non fischia, peg-smettono
le immagini di tutta la rabbia del mondo.

gio per lui, l’avevo detto.

– Vanni calmo.

Gli altri sono già tutti avanti, mastini della guerra con Ma non li voglio sentire i
miei, oggi.

la bava e l’alito fetido di chi vuole vittoria, costi quel che

– Vanni calmo.

costi.

E anche loro vedono i miei occhi e mai, credo mai, Il cielo si abbassa. La luce
svanisce.

hanno visto il loro capitano così.

E sono così veloce che gli altri mi sembrano rallentati Non c’è pietà. Non ci sarà
pietà e se questo mio corpo e mi sposto aspettando il pallone. Lo arpiono e lo
incol-

è fatto per questo, se è fatto per la sfida che sfida sia, al-lo al piede destro. Me lo
passo sul sinistro, il mio prefe-l’ultimo sangue.

rito. E li voglio fare impazzire questi qui. Balletto, uno

– Vanni calmo.

due e tre. E li lascio senza fiato e senza mosse questi due Ma non mi calmo.
Cerca e distruggi, cerca e distruggi.

che mi hanno mandato per fermarmi, ma non mi ferma-E anche il vigile urbano
non mi riconosce più.

no. Faccio rotolare la palla dal lato opposto del campo.

– Visco, che cazzo le prende? Si dia una calmata o la I miei mastini non mollano
la presa e sento il loro alito mando dritto negli spogliatoi.

fetente e ora sento anche le loro ossa che sfregano contro Coloro che odiano
intensamente, devono aver prima i loro muscoli. E i loro cuori che battono e
battono e amato intensamente

danno il ritmo a questa nostra discesa senza pietà.

E gli alito e non rispondo. I suoi occhi si abbassano.

Siamo in tre sotto la porta ma sembriamo in mille. Ar-Ma non le sue intenzioni.

riva la palla. Salto e mi sento levitare e mi sento lanciato Poi prende a corrermi
dietro per vedere che altra caz-verso il cielo. I miei occhi sono radar e la mia
testa non zata farò, ma non ce la fa.

attendeva altro.

Coloro che vogliono negare il mondo, devono aver pri-Ne ho uno affianco a me,
uno degli altri. Tenta di ag-ma accettato ciò che ora vogliono dare alla fiamme
ganciarmi la maglia. Ma non gli servirà. Porterò anche Supero tutti e i miei
mastini mi hanno già spedito il 150

151

pallone che mi cade davanti al piede. Mentre i birilli bian-Cognato sputato. O


forse è la mia immaginazione disgra-coblù affannano.

ziata. Lei mi ha scritto e inviato le foto. Non ho mai rispo-Eccomi. Io e questo


fesso con cappellino visiera, ultima sto.

difesa di questa parte del campo già messa a ferro e fuoco.

Un calcio per il pallone, un calcio per la vittoria e uno po-co dopo per la sua
faccia.

Vedo sangue e bava bianca sulla mia scarpa. Quello pie-garsi come un verme
trafitto da un amo, arrugginito. E il vigile che mi corre incontro con un
fogliettino rosso. Ridi-colo.

Esco fra urla disumane, strepiti, lancio di seggioline e l’assalto delle tifoserie.
Esco fra i rumori dei caschi che serrano le visiere, fra i manganelli che battono
sugli scudi.

Il fumo che invade l’arena.

Cerca e distruggi, cerca e distruggi.

Sono Lunedì, il selvaggio.

E i miei mi applaudono e si sgolano per me, sono sempre e ancora di più il loro
dio. Io vado negli spogliatoi, fra le mattonelline di sempre, i gesti di sempre.
Tanto lo so, fra dieci minuti riprenderanno la sfida.

***

Oggi Lucina è portavoce di un ministro. Ha sposato un avvocato. Non


quell’avvocato, un altro avvocato, quello che curò la vendita fallimentare della
catena del cognato di Rocca e non vive qui. Ha un figlio, ma non è
dell’avvocato, né il nuovo né il vecchio. Almeno così credo. Il figlio ha la stessa
faccia del cognato di Rocca. Almeno così sembra. Ha provato a scrivermi
qualche mail ma niente di più. E mi ci ha allegato qualche foto, lei e il bambino.
È il 152

153

Quindicesimo pezzetto

Solo al processo ero al posto giusto al momento giusto.

Anche se tutti hanno sempre pensato che fossi sempre al posto giusto al
momento giusto perché sono Vanni Visco, il campione miliardario. Il fenomeno.
Quello dalla carriera fulminante, senza macchia, senza peccato. Un esempio da
imitare perché in quell’aula di tribunale ci sono entrato a testa alta, da testimone.

***

Eccoci. Ci facciamo largo fra i fotografi che scattano e scattano e scattano. Ci


facciamo largo mentre i carabinieri fanno cordone e il signor giudice batte il suo
martelletto e urla mentre il pubblico ondeggia, rumoreggia, poi alla fine
minacciato – Faccio sgombrare l’aula! – ammutoli-sce. Come un cane alla
catena. Pronto a ripartire.

I processi si fanno così. Il primo giorno si convocano tutti. Avvocati e magistrati.


Accusati e accusatori. Impu-tati e testimoni. Si fa l’appello, come a scuola, e
come a scuola c’è uno che legge il riassunto.

Il riassunto di tutta questa storia, che tutti vogliono sapere e vedere da vicino, lo
fa un tipo alto, magro, con i capelli impomatati con un lungo mantello da
vendicatore.

Il Vendicatore dice che il 13 novembre alle ore 23 in via 155

Palestrina l’imputato Safi entra a casa di Loris Ettore, an-Da tempo lui e gli altri
sono sotto controllo, cimici spia ni 53, celibe.

dappertutto. Soprattutto a casa del Loris. Le cimici che Il pubblico segue in


assoluto silenzio.
registrano la voce tremante del Safi e la voce rassicurante Il Vendicatore dice che
il Safi e il Loris sono da tempo e ferma del Loris.

legati da rapporto professionale. Il Safi è calciatore presso Il Loris, dice il


Vendicatore, cerca di consolare il giova-la squadra di quella città che qui odiano
così tanto che il ne calciatore. Gli offre da bere, poi lo accarezza, lo bacia,
pubblico alla sola pronuncia si lascia andare a ringhi e lo porta nella sua camera
da letto dove si unisce carnal-ululati.

mente con lui come risulta dalla perizia medica.

– Faccio sgombrare l’aula!

Eccoci all’anteprima del finimondo. C’è il silenzio più Ringhia il signor Giudice.

assoluto. Solo un secondo. Poi la tempesta.

Così nessuno ha il coraggio di fiatare quando il Vendi-I cani rompono la catena e


non c’è martelletto del giudi-catore ricorda che per anni il Safi aveva militato
con noi e ce che tenga. Eccoci, la folla urla verso la gabbia dove De-che il Loris
Ettore era il suo procuratore ma prima ancora metrio Safi ha la testa fra le mani e
i carabinieri gli fanno allenatore della nostra giovanile dove il Loris e il Safi si
scudo.

erano conosciuti.

Fuori inizia anche a piovere e i tuoni, macello del cielo, Per loro, il pubblico,
basterebbe questo - il cambio di si confondono con il bordello in terra.

casacca, come recitano i giornali sportivi - per invocare Mezzora dopo ci siamo
solo noi, testimoni, accusati e l’alto tradimento e la garrotta.

accusatori. Il pubblico fuori sotto la pioggia. Il Vendica-Ascolto. Ma tanto la


storia la so già.

tore conclude e dice che chiederà 20 anni per omicidio Il Vendicatore si scolla
dalle spalle il mantello e dice che preterintenzionale, perché il Safi non
programmò nulla.
però i due vengono a discussione. Dice che da tempo, tra-Colpì per rabbia e
disperazione con quel vaso di cristallo.

mite il Safi, il Loris gestiva il mercato clandestino delle Colpì l’indomani


mattina quando il Loris gli disse che era scommesse. Gare vendute, risultati
concordati e molti meglio che si prendesse un periodo di pausa, come aman-
soldi per chi era della partita.

te e come calciatore.

E anche qui il pubblico riesce a trattenersi. Per questo Morte chiama morte.

hanno già sofferto leggendo sui quotidiani.

Spiega che il Safi è lì, dal Loris, per dirgli che non si può

***

andare più avanti che gli altri calciatori hanno paura. La voce si è sparsa, la
Finanza sa.

Un cappuccino decaffeinato con molta schiuma, un tè Il Vendicatore spiega che


Safi è molto agitato, quasi per me. Rocca dice che anche un goccio di caffè lo
rende piange, la sua voce trema. Lo sa perché il Safi non sbaglia.

nervoso, gli mette l’ansia. A me il caffè non è mai piaciuto, 156

157

non è una questione di gusto. È una questione di rito.

Sedicesimo pezzetto

Il cucchiaino che gira veloce in cerchi concentrici per animare lo zucchero. Ci


sono quelli che lo fanno girare da destra a sinistra, poi dall’alto verso il basso
come se doves-sero sollevare della sabbietta rimasta sul fondo.

E neppure il cappuccino mi è mai piaciuto. Ci sono quelli che si fanno fuori


anche tutta la schiuma, il fondo, e muovono il cucchiaino come se fosse una
benna e con l’altra mano inclinano la tazzina perché nulla rimanga sul Corro alla
libreria. È tardi, è ora di chiusura e non è fondo.

neppure mercoledì. Entro e il campanello non squilla, co-

È un rito avido.

me sempre ormai. Entro ma di Gabriele Rocca ci sono so-Rocca lascia sempre la


schiuma, poi si beve un bicchiere lo gli occhialetti a mezzaluna appoggiati sul
bancone. Le-d’acqua.

gno scuro e vetro scheggiato dove galleggiano le cartoline

– Dovresti andare lì e perdonarlo.

d’altri pianeti. Portogallo, Francia, Giappone, Brasile, Uru-Lo guardo appena,


poi punto gli occhi verso il mare che guay, Paraguay, Argentina, Algeria,
Germania, Lussem-oggi è in tempesta e manda certe onde sulla spiaggia che
burgo, non mi ricordavo di essere stato anche lì. Inghilter-l’acqua è arrivata sino
all’asfalto del lungomare ed è im-ra, qui sì. In basso a destra la mia firma:
Lunedì.

possibile camminare.

Vado lento verso la stanza esagonale, vado piano e lo

– Dovresti andare lì e perdonarlo, tanto la sua condan-chiamo. Ma c’è una


sirena, una maledetta ambulanza che na l’ha avuta.

copre la mia voce. E la mia voce si perde mentre la sirena Così ci siamo chiusi in
questo bar che sa di umido salse-striscia via.

dine.

Rigonfio i polmoni ma un’altra sirena mi blocca il respi-

– Tanto è agli occhi di tutti che razza di uomo è lui e che ro e mi frantuma i
timpani. Mi giro e dalla vetrina vedo razza di uomo sei tu.
che la gente dei negozi ha il naso all’insù e qualcuno corre Il barman mi guarda e
guarda la mia foto appesa sopra oltre la mia vista. E qualcuno corre verso la
libreria.

la cassa.

Il campanello suona, anche lui, e non la smette più.

– Chiedi un permesso speciale e lo vai a trovare in carce-Sbraita e segue il ritmo


delle sirene che vanno e che arrivare.

no. Trilla e non la smette più e ho davanti a me la faccia Ho paura che mi


toccherà un autografo.

sciolta della commessa del signor Rocca, quella che da un

– Vai lì e gli porti una parola di conforto.

po’ lavora alla pizzeria al taglio che sta di fronte e almeno Oggi Rocca non lo sto
ad ascoltare.

lì stacca scontrini.

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I suoi capelli non brillano più e le sue mani non sanno ta di gamba mentre il
cielo si striava di rosso e l’aria non più di colla fresca e carta profumata. Sento il
suo odore di diventava fredda come altri giorni, altre notti, alla stessa sugo
mozzarella e leggo nei suoi occhi la disperazione.

ora. Chissà come avrà fatto.

Non mi dice nulla e non le dico nulla. Anche perché ora Mentre saliva sorrideva
alla giovane guida, quella ap-c’è un poliziotto fra noi due.

pena uscita dall’università con la camiciola bianca e la

– Parenti?
targhetta della cooperativa appesa al taschino. Salivano e NoSì, rispondiamo
insieme e la guardo.

lei gli spiegava e gli spiegava quello che già lui sapeva.

E il poliziotto si innervosisce.

Tutto conosceva su quella torre che non aveva mai saputo

– Lei è parente?

proteggere la città che stava dentro le mura e neppure E il campanello non la


smette di urlare e io rispondo quella che era cresciuta oltre i bastioni, neppure la
sua li-No.

breria, a cui faceva ombra.

– Io sono la moglie.

Quando sono arrivati in cima lei è stata zitta per fargli E trema e poi sviene.

godere il panorama e questo cielo ancora chiaro e questo mare cromato e questo
sole ancora accecante. Non l’ha

***

visto bene perché per un attimo si è girata quando ha sentito salire il collega con
una truppa chiassosa di turisti ar-Ecco non è che farò molto diversamente. Ma
non così, mati di ghiacciolo. Dice che pensava che anche lui fosse non in quella
maniera.

un turista. Con quegli occhi blu.

Gabriele Rocca se n’era salito su verso il vecchio quar-Poi si è voltata e lo ha


visto sul muretto. Lo ha visto tra-tiere antico, sfiorando l’onda degli ultimi
acquisti, le rafitto dal sole con le braccia aperte come nostro signore gazze con le
gonne di carta velina, le buste grandi e scintil-Gesù martire richiamato al cielo. E
per un secondo, rac-lanti, le coppie col passeggino aperto e i vecchi col borsa-
conta, le è sembrato che spiccasse il volo. Solo per un se-lino leggero. Sfiorando
col palmo della mano la testa di condo.

una bambina che stringeva un cono alla panna e gli aveva sorriso. Poi, passo
lento, se n’era andato verso la torre,

***

quella torre che ogni mattina quando alzava la serranda della libreria, ogni sera
quando l’abbassava, lo guardava e Al funerale siamo andati in pochi. Io tra la
moglie di lui guardava lei. Alla fine c’è salito. Scalino dopo scalino, Rocca e
Ottavio il bibliotecario. Il prete ha fatto veloce, legno dopo legno. Mentre il sole
se ne andava giù lento, con un battesimo subito dopo e un matrimonio a seguire.

come capita da queste parti quando sta per arrivare il calI chierichetti non hanno
fatto svolazzare il turibolo con do. E chissà cosa avrà pensato ad ogni passo, ad
ogni alzal’incenso. Le cognate della sposa, quella di mezzogiorno 160

161

sono pure venute a parole con le cognate della sposa del-loro telecamerine, le
loro digitali, e si sono messi a fare le l’anno scorso che ora fa il battesimo del
primo figlio, alle prove delle riprese scricchiolando con le loro scarpe enor-nove.
E i chierichetti le hanno dovute dividere aiutati da mi e nere su questo marmo
che fu di santi e martiri.

Ivo, il sagrestano. Me lo ricordo Ivo nello spogliatoio dei E avrei voluto fare
questo e di più, quando mi hanno ri-ragazzi, terzo portiere. In partita solo una
volta e ci salvò conosciuto, i cognati. E hanno iniziato a filmare me, dan-pure.
Ma mister Ettore lo aveva rispedito al suo posto, dosi gomitatine, e sorrisetti e
spallucce complici. Felici.

quando non serviva più e aveva i suoi da far giocare. Così

– La smettete voi, che poi per Tamara e Giovanni non vi aveva scelto la squadra
della parrocchia dove almeno gio-basta la batteria.

cava titolare. E da lì non se n’è più andato se non per ve-Economia domestica,
da cognate.
nire allo stadio per guardare me insieme a tutti quelli delE qualcuno l’ha smessa
e qualcuno no. E nessuno si è la curva che si portano ancora vino e panini da
casa.

accorto di quella bara e del nostro libraio. Nessuno in Le cognate le ha dovute


dividere Ivo mentre noi prega-questa città.

vamo per il nostro libraio. Ma non ci siamo riusciti. E pre-gavamo mentre il


prete alla fine ha urlato: In cimitero eravamo in due, io e Ottavio. La moglie di

– O insomma! Ho messa da fare io! Ai fiori ci pensiamo Rocca se la sono presa


le suore e l’armata Valium. Se la so-fra dieci minuti, prima mettiamo quelli del
battesimo, poi no subito portata in un loro convento di montagna, le li leviamo e
mettiamo quelli del matrimonio.

suore. E non è mai più tornata.

Le cognate della sposa delle ore nove si sono calmate, Gli altri se la sono
svignata all’uscita della chiesa. Senza un po’ meno quelle di mezzogiorno che
avrebbero voluto neppure una scusa e chi ce l’aveva, la scusa, forse sarebbe
ereditare qualche composizione bianco giglio.

stato meglio che non dicesse nulla.

– Ceessu che miserabili che siete.

– Non puoi capire, non puoi capire Vanni mi si stringe il Così ci ha pensato il
prete a mettere pace.

cuore ma è tardi, anche mia madre sai com’è… vecchia e E io sarei voluto
scendere lì fra quei banchi imbanditi e sola. Oggi, sai, è il suo giorno.

sferrare calci e cazzotti e disfare i loro capelli a nido d’ape Giornata di Coppa.

da cerimonia. Staccare una per una le paillette appiccica-E della partitina al bar
di signor Sanna maneggione che te ovunque, su schiene poderose strette in abiti
scollati ha allargato la bottega e messo su un bell’ipermarket. Pu-lamé, su seni
avvizziti pompati da reggitutto con spalline re la bettola di fronte si è comprato.
Nessuno gli scrive più trasparenti che poi si vedono pure di più e sembrano il na-
nulla sul muro perché mezzo quartiere, il mio vecchio stro adesivo dimenticato
dalla sarta.

quartiere, gli deve qualcosa. Li ha fatti così i soldi, a stroz-E avrei voluto
prendere il candelabro più grande e zo, senza pietà. E senza scrupoli che
all’uscita ha guardato spaccarlo in testa pure ai cognati che sono arrivati con le
dritto dritto negli occhi Ottavio e glieli ha fatti abbassare.

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Ho ricambiato io per il mio bibliotecario ed è bastato que-Diciassettesimo


pezzetto

sto per capirci.

Abbiamo aspettato che i becchini infilassero la cassa dentro l’alveare, dentro


quel cassetto per morti. E il legno ha raschiato sul cemento freddo e secco, un
rumore maledetto. Poi abbiamo aspettato gli operai e ci hanno spalma-to il
cemento fresco e con un chiodo ci hanno segnato co-Io non ho nessuno a cui fare
l’ultima telefonata della se-gnome e nome. Per la lapide al mese prossimo.

ra, nessuno per la prima telefonata della mattina. Mi sve-Siamo rimasti lì, io e
Ottavio. E nessuno aveva nulla in glio con la musichetta del mio impianto stereo.
Anche la biblioteca, nella nostra biblioteca di parole e neuroni, da notte mi
addormento con una musichetta del mio impian-tirare fuori. È stato come se un
virus fetente, uno di quelli to stereo. Metto su un Cd, qualcosa di calmo, lento
rilas-da computer, fosse entrato nelle nostre teste e ci avesse di-sante, tappeti di
tastiere, intrecci di violini, roba moderna vorato tutto. E ci siamo guardati
disperati. E l’uno ha letto fatta in serie per impastarti la materia cerebrale, per
sten-negli occhi dell’altro.

derti il cervello. Roba fatta in serie, cofanetto su cofanet-E nessuno, né io né lui,


siamo stati più in grado di farlo.

to, raccolta su raccolta. Quelle per il viaggio, quelle per la Uno: leggere. Due:
leggere e ripetere. Tre: leggere e ripe-ritirata e quelle per il risveglio. La musica
come terapia.
tere e leggere. Quattro: ripetere e basta.

Mannaggia a Gigi.

Cinque: dimenticare, per sempre.

Solo che io li ordino e li compro su catalogo, i Cd dico, e su internet dopo


estenuanti ricerche per capire cosa sia meglio per me. Non ho lo stesso fiuto di
Gigi. E mannaggia ai pesci che gli divorarono la faccia. E all’eroina che gli
divorò la vita.

Luigi era un’altra storia. Luigi comprava pile di riviste, ascoltava i programmi
radio della notte, discuteva ore con i suoi amici. I suoi amici che non ce n’è più
uno vivo. Né Mandibola che l’ho visto tentennare sul tetto e poi venire giù, tutta
la sequenza senza pietà sul giornale del mattino, dicono che non voleva morire
corroso dalla malattia, e ha fatto il salto, anche lui. Né tutti gli altri di cui non
ricordo bene tutti i nomi ma mi vengono subito in mente i sopran-164

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nomi, visi, tic, e gli occhi, mi ricordo gli occhi di tutti loro Fa lui.

con quelle pupille enormi oppure improvvisamente spilli.

E questa tipa con due siluri sul petto e un cerchietto nel Mi ricordo i loro
profumi, dolci e alla moda, i sorrisi sbi-naso inizia a ridere.

lenchi, le loro discussioni interminabili, spirali senza sen-Anche Gigi ridacchia


un po’, ma senza troppa convin-so e senza verso.

zione.

Li guardo. Guardo lei e vorrei strapparle il cerchietto e Ecco me lo ricordo


perfettamente. In casa non c’è più guardo Gigi che mi accarezza con un mezzo
sorriso. Guar-un divano libero. Non c’è più un tappeto con almeno do la cucina.
C’è Mandibola che combatte con la pentola a quattro che se le danno di santa
ragione. C’è un odore for-pressione di mia madre.
te e penetrante, in tutta la casa. Come di varechina. Quel-

– Allora Vanni, ti va un po’ di cuscus?

la candeggina che martedì giovedì sabato signora Tina C’è Pastiglia, che mi sa è
stata perdonata e mi fa l’oc-sparge per tutta la casa, quando viene a fare le
pulizie.

chiolino.

Mi brucia gli occhi e mi dà alla testa questo odore. Ma

– Sei diventato un bel pischello…

credo che signora Tina e le sue mani nodose questa volta Ma mi sa che lo dice
solo per far piacere a Gigi. Perché non c’entrino nulla.

ora a me sembra che con la bocca sillabi Na-no. E sembra C’entrano dei tipi
piegati sul tavolino in marmo del sa-un pesce, piranha.

lone con i divani marrone e le cuciture grosse. Mai visti C’è gente che non so. In
tutta la casa c’è gente mai vista prima. Certe narici.

con la pelle bianca bianca che qui a luglio sono già tutti

– Spazzola, spazzola…

color pece. Anche i miei che ora sono a Firenze, come Urlano e ridono. Mentre
Gigi dalla cucina sputa parole sempre, sono partiti con un colore, ma un colore.

e saliva:

Guardo la nostra casa invasa da tipi che poggiano i pie-

– Lasciatene un po’ bastardi…

di sui muri del corridoio, fanno cadere le cicche per terra Così compaio in cucina
con la sacca della partitella del e nelle camere da letto, penso, sarà pure peggio.
Perché sabato.
Gigi ha dato ordini ben chiari.

– Già qua sei…

– Che nessuno salti sul letto dei miei…

Luigi si era dimenticato di me o forse no.

E allora tocca al tappeto, alla cassa panca, al tavolo dello

– Vuoi mangiare qualcosa?

studio, alla vasca da bagno, forse anche all’asse da stiro.

Faccio cenno di no con la testa.

Forse anche a quello, perché uno a una le ha detto: – Ades-

– Vado in camera.

so ti stiro per benino…

Faccio.

Osservo questi zombi che hanno invaso casa mia e pen-

– Meglio di no…

so che dovrò aprire la sdraio del mare, metterla sul terraz-166

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zino e cercare di dormire lì se non voglio domani essere cone, brillante, ametista
gli si intrufola nei calzoncini.

anche io un morto vivente che si aggira per il campo in ter-

– Figli di puttana che cazzo fate…

ra battuta di un cavolo di Memorial nel ricordo di non so Il primo colpo di


bandierina se lo becca proprio Paolet-chi e nel ricordo di non so perché.

to che gli tornano pure le pupille piccole piccole. E non solo quelle. Poi ce n’è
per tutti gli altri. Mentre io schivo Ecco, qua giù, nell’intestino crasso dell’arena,
penso a per una frazione questa bandierina con asta che un tipo quanti Memorial
avrei dovuto organizzare o pretendere con fascia tricolore e abito della festa
avvinghia e smazza che venissero organizzati. Memorial Luigi Visco, campio-
sulle nostre teste.

ne della balla, maestro di musica e del maneggio, dei festi-Credo che quella fu la
prima volta che vidi Allarme se-ni clandestini e dell’amore fraterno. Memorial
Alberto riamente preoccupato sul sedile del pulmino di ritorno in Satta, detto
Mandibola, grande preparatore di cuscus con città.

l’aggiunta di pachistano nero, stimato oratore e attento

– E mo chi glielo racconta al presidente che non ci han-conoscitore dell’universo


femminile. Che poi il novanta no voluto dare l’assegno…

per cento di chi ci gioca e chi va lì a vedere neppure sa di L’assegno: primi


classificati al Memorial Stefano Lias.

chi si sta parlando. Peggio va quando compare la vedova Ottantanove anni,


vedovo, senza figli, né figlie, fondatore o la madre in lutto che sembra così
piccola ma così picco-della polisportiva Jupiter.

la mentre noi l’abbracciamo su direttiva della panchina.

L’assegno che il signor sindaco avrebbe dovuto firmarci

– Al mio cenno tutti intorno…

prima che saltassimo addosso alla moglie.

Diavolo di un Allarme.

E quella piange, e noi a stringerci come neanche caval-Memorial Silvia Podda,


detta Pastiglia. Campionessa di lette e tutti sugli spalti a battere le mani. E alla
fine, è ovvio perfidia e sofferenza perché Gigi l’avrebbe voluto tutto che poi ne
succedono anche di belle.

per sé. Ma Gigi ha sempre avuto altro a cui pensare. Me la Il vecchio Allarme
non aveva ancora dato il via che noi, ricordo bene, la casa invasa.

campioni del Memorial, ci affracchiamo di corsa a una

– Abbassate quel merda di stereo… Silvia vai tu a dirgli piccoletta, tutta in nero,
con i capelli gialli, le mani con che se arrivano i vicini sono cazzi…

certi gioielli e il collo con certi giri e giri di perle. E quasi la Lei lo guarda, ma
non lo sente, suda e la sua fronte per-buttiamo giù. E quella non le sembra
neppure vero di avede gocce come neppure un lavandino sfondato.

re tanti ormoni in ebollizione tutti per lei. Ricambia gli ab-

– Stai sbrinando vecchia?

bracci e ricambia i baci e mi sa che va pure oltre. Paoletto, Gigi non le dà tregua.

il nostro portiere, mi guarda con gli occhi che non sa se E Cerchietto se la ride,
di brutto.

spaventarsi o iniziare a godere mentre una mano con zir-

– Ei vecchia, zia, dico a te. Stai sbrinando?

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Cerchietto ha il trucco liquefatto e le lacrime nere che le Lo so, lo capisco.


Perché in fondo non è che si muovano corrono lungo il viso e ride, e cacchio se
ride.

più di tanto, piccoli passetti a destra, piccoli movimenti di Pastiglia non riesce ad
aprire la bocca, prova a socchiu-bambini puzza di latte in girotondo.

dere il labbro superiore che sembra incollato a quello in-Come quei balli etnici,
folk: millimetriche variazioni.
feriore con quel vinavil bianco e appiccicoso e amaro.

Ma a loro sembra di sfrecciare alla velocità del suono e

– Sto bene, sto bene…

pure oltre. Gli sembra questo e altro, sennò non urlereb-Finalmente parla, anche
se le sue pupille stanno tra-bero così, che neppure in picchiata giù da una
montagna-montando, scivolano all’indietro e il bulbo è una palla russa, con i
polmoni che esplodono e lo stomaco che vor-bianca che fa impressione.

rebbe uscire da orecchie e narici.

– Stai sbrinando zia?

Reggono l’urto con lo spaziotempo, che a loro sembra

– Non sto sbrinando, non sto sbrinando…

chissacché. Sino a quando quella, quella con l’orecchino al Isterica la voce di


Pastiglia perde e riacciuffa l’assetto, naso, non scivola dalle loro braccia e
precipita sulla terra.

poi lo perde di nuovo. Come i suoi occhi che vanno e ven-Sento un tonfo.

gono oltre le palpebre.

Botta di testa, miseria che botta di testa. Un rumore tre-

– Tremenda sta roba, cazzo ci avete messo… altro che mendo di ossa e
mattonelle.

sbrinando, sono in piena, vecchio…

Gigi e Silvia la guardano. Muti. Lei è a terra immobile.

La guardo e mi fa paura e un po’ pietà: cosa le tocca fare Gigi e Silvia guardano
me. Io guardo loro e abbiamo la per stare dietro a Gigi, penso. Poi sento
improvvisamente faccia della paura. La faccia del terrore è: zigomi allunga-lo
stomaco trafitto da un suono profondo e basso. Un ti, labbra ritirate oltre la
bocca, battito cardiaco accelera-suono che fa tremare il frigorifero e i vetri della
finestre to, capelli elettrizzati.

aperte che fa un caldo boia. Quelli nell’altra stanza non Uno… due… tre secondi
di silenzio assoluto. Mentre la hanno sentito ragioni e ora il mio stereo trasmette
vibra-musica spazza la casa con una folata gelida di chitarre zioni sovrumane.

straziate.

Gigi anche questa volta sbraita ma cambia gli ordini: E ripenso alle lezioni di
pronto intervento, quelle che

– Sdateci denstro con squel svolume… bsastardi…

una volta al mese ci fa il medico sociale ma nessuno di noi Manco gli escono le
parole, inizia a ridere e avvinghia Sil-lo sta mai ad ascoltare. Penso che forse
qualcosa la ricor-via che avvinghia Cerchietto e iniziano a ballare, in tre.

do, penso anche che sarei dovuto stare un po’ più attento Quasi in girotondo,
sbilenco. E ruotano, ruotano nella loro a quel corso.

giostra chimica. E le pareti diventano un vortice, anche le Poi Cerchietto riapre


un occhio. Mezzo occhio.

tazzine di ceramica di mia mamma poggiate sulle mensole

– Minchia… la testa…

color nocciola iniziano a volteggiare intorno alle loro teste.

Gigi riprende colore. Che poi proprio colore non è.

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E lei muove una mano poi l’altra in cerca di qualcosa su

– Io lo so che un giorno ci sposeremo e avremo tanti figli cui aggrapparsi,


tremando. Come sempre nella sua vita.

e un bel cane lupo, anzi un bassotto, voglio un bassotto e

– Minchia che botta… ma che cazzo ci avete messo nel-due gemelli da amare…

la roba…

Cerchietto che quasi decollava sui primi scalini.

Silvia la prende per mano e l’aiuta a rialzarsi. E per un

– Cogliona allacciati quegli stivaletti…

momento sembrano un’altalena che sta per rompere i car-Mandibola che provava
a tenere una lezione di botanica dini e mandare tutti a puttane.

applicata allo smercio a due accasciati sul tappetino di Nessuna delle due ha la
forza per reggere l’altra.

quella del piano di sotto che per fortuna era in vacanza al

– Dài vecchia andiamo a bagnarci la faccia…

mare. Ma non la nostra vicina. La nostra vicina non è mai Finalmente barcollano
oltre la cucina, escono dalla mia andata in vacanza. Mai.

visuale ma le sento. Le sento che prendono a pugni la porta a vetri del bagno, già
carico di gente.

Pensavano che dormissi, non dormivo. Percepii mia

– Dài bastardi aprite che questa qua sta male…

madre uscire dalla stanza e puntare verso la cucina. Sentii Poi tre giri di chiave,
poi tante risate e l’acqua che scor-il ronzio del frigorifero. Un rumore di ghiaccio
e bicchiere. E lo so che domani mi toccherà pulire anche il bagno.

ri. La intravidi nella penombra tornare al suo posto.


Guardo Gigi. E lo odio.

Mio padre si scolò il bicchiere e borbottò che ci manca-Memorial Cerchietto,


milite ignota.

vano solo Luigi e io, io e Luigi, a fargli frantumare le palle Prendo la sdraio e
provo a dormire in terrazzino.

dal condominio. Borbottò, disintegrando i cubetti con i denti, che già c’aveva gli
affari suoi col condominio. Mia

***

madre non virò la rotta, per evitare la collisione.

– Ma scusa, tu te li immagini i genitori di questi ragaz-Ecco me lo ricordo


proprio bene. Qua giù. Me lo ricor-zi… abbiamo una responsabilità…

do: le finestre spalancate per due giorni.

Mia madre ha immaginato sempre i genitori degli altri. I

– Dobbiamo far uscire tutta sta puzza di fumo…

figli degli altri.

Ginocchia a terra con straccio e spugnetta.

– Ma chissene frega…

– Tu vai avanti con la cucina, io passo al salone…

Mio padre è sempre stato un tipo pragmatico.

Gigi e la sua illusione di farla franca.

– Ah chi se ne frega? e intanto me la sono dovuta scirop-

– Poi passa alle impronte di scarpe del corridoio…


pare io la madre di quella lì che diceva che qui a casa no-Inutile, quando sono
andati via, alla vicina non è sfuggi-stra, dico, a casa nostra, le hanno fregato la
catenina, d’o-to nulla. E ti credo, con quelle urla, con Silvia che frigna-ro… hai
capito, pure del ladro ci danno…

va.

Tutto ma non ladro, mai stato ladro Gigi.

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Tormentato irrequieto, insoddisfatto, strafottente ma E anche questa è una cosa


banale e già vista che poi tutti ladro mai. Ha sempre e solo fatto male a se stesso,
come sanno come va a finire.

ogni membro della sua tribù. Ma la tribù ha sempre fatto pagare tutto a lui: le
tinte del corridoio - che sfrega che ti Così me la sono presa io la sua musica.
Quasi un risarci-sfrega l’alone era restato e forse pure peggio - lo zerbino mento.
Per quanto mi ha fatto soffrire.

del piano di sotto, la catenina, il buco di sigaretta sul diva-Ma non ho il coraggio
di metterla su, mi farebbe male no in pelle marron con le cuciture grosse - che
c’era sfug-un solo suono. Così la tengo lì sugli scaffali. Aspettando il gito - e
pure l’espulsione da scuola quando gli hanno bec-giorno che avrò un po’ più di
coraggio.

cato le pastiglie.

– ’Ngiorno Gigi…

Espulso… In realtà non se la sentirono di buttarlo fuo-

– ’Ngiorno Vanni…

ri, consigliarono a mio padre di mandarlo all’altro liceo, Oggi non ho nessuno
con cui dividere il risveglio.
quello, dissero, che era più fatto per lui. Così esuberante,

– Notte Vanni…

così incapace di applicarsi che per concentrarsi prendeva

– Notte Gì…

quelle capsule bianche. Aveva detto così: – Per concen-E neppure il riposo.

trarmi e rendere meglio, – quando gli altri avevano deciso Avevo il mercoledì
sera. Avevo il lunedì mattina. Por-che era meglio che pagasse solo lui.

zioni di vita che ora solo ricordo.

Lui demonio con le scarpe nere a punta per schiacciare le formiche negli angoli
dei muri e con quei capelli che

***

sembrano corna di diavolo all’insù gelatina nauseabonda e quella parlantina che


tutti li convinceva anche e soprat-Il lunedì mattina la libreria è sempre stata
chiusa.

tutto a fare le cose peggiori. Questo dissero. Perché que-Il lunedì mattina è
chiusa come quasi tutti i negozi della sto riferirono pur di salvarsi il culo quelli
della tribù.

città. Anche il campo è chiuso, niente addominali alti, ad-E lui a modo suo pagò,
un po’ convincendoli e un po’

dominali bassi, partitelle, tattiche…

convincendo se stesso.

Il lunedì mattina ci incontriamo con Rocca sulla spiag-

– Non fidarti mai di nessuno, mai Vanni… gente ’e mer-gia, sulla spiaggia che
addolcisce questa città. Che addol-da… gente ’e merda e pure coglioni e
cagasotto perché io civa questa città.
non mi sarei mai fatto beccare, io non me la sarei mai can-Passeggiamo fra la
sabbia borotalco e la battigia dove si tata, io non li avrei fregati… mai…

spegne il flusso del mare.

Quello è il giorno che iniziò a morire. Quel giorno che Questa dei colori
dell’acqua e della sabbia abbacinante lasciò il vecchio liceo per il nuovo più
adatto. Rimase solo, che non ci sono più è una di quelle storie che mi fa troppo
per un po’. Una sosta ai box, un altro giro e fu pure peggio.

male.

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Rocca ha un bastoncino dove ha montato in punta un

– Lattina di aranciata, coloranti, conservanti, additivi, chiodo acuminato. Io ho


una busta. Così mentre passeg-arancio due per cento. Acucar, polpas de laranja,
antioxi-giamo lui trafigge e io insacco tutte le schifezze che tro-dante acido
scorbico, acidulante acido citrico, regulador viamo. Lattine, carte gelato, carte
assorbenti, carte argen-de acidez citrato de sodio, antiumectante fosfato tricalci-
tate, oliate, abrasive, carte giornali, plastica, plexiglass, co, edulcorantes
artificiais aspartame, ciclamato de sodio cartone, compensato, balsa, sigarette,
sigari, tessuti, le-e acessulfame K, corante inorganico divido de titanio…

gni, assorbenti, tampax, lattici, preservativi, scarpe, cal-questa arriva dal Brasile
o forse dal Portogallo… Brasile ze, mutande, pantaloni, pannolini, canottiere. I
vetri e le Brasile…

bottiglie, si infila un guanto, e li tira su a mano. Anche le Trafigge la lattina e poi


fa per scaricarla verso di me che ruote.

apro la busta, sfilo dal chiodo con suono che raspa nei

– Colpa della risacca.


denti e insacco.

C’è sempre qualcuno che ci affianca correndo e ansi-

– Giornale settimanale, molte foto, pochi contenuti, mol-mando come un bue


attaccato all’aratro, la maglia sudata ti nudi poche inchieste. Casa editrice… non
si legge… ma e i calzoncini fradici fra l’ultima vertebra e il buco del cu-tanto
che differenza fa. Olè!

lo. Ci guarda, mi riconosce e rallenta il passo. E poi si in-Sbircio.

ventano qualcosa pur di sentirmi parlare. Qualcosa come:

– Ti piacciono i nudi?

– Colpa della mareggiata.

A volte, faccio io.

Ma è solo una scusa.

– Mai visto un film porno?

– Colpa degli uomini.

Preferisco partecipare, rispondo.

Rocca cerca sempre di tenerli a bada.

– Non sempre si può partecipare…

– Lei è Visco vero?

Forse sì.

Ma non rispondiamo mai.

– Cartone di acqua minerale…

E Rocca li smarca.
Lo infilza e lo sfiocina per leggerlo meglio.

– Lattina di aranciata.

– …da conservare in un luogo asciutto e lontano dai Quelli ci guardano strani,


muovono la testa e riprendo-raggi del sole… contenuto 1,5 l. Imbottigliato da…
sor-no a correre.

genti località di… caratteristiche chimiche e chimico fisi-

– Lattina di aranciata.

che… ioni presenti in un litro d’acqua, bicarbonato, clo-Scandisce le parole e le


strombazza, cameriere in una ruri solfati, sodio, potassio, calcio, magnesio,
fluoro, azo-pizzeria affollata che prende ordini e detta comande gal-to
ammoniacale, litio, iodio, nitrati, nitri… Alpi, viene leggiando fra i tavoli come
fa un pattinatore sul ghiaccio dalle Alpi… nord ovest…

in attesa di prendere il volo oltre il mondo dei terrestri.

– Hai mai bevuto l’acqua dal rubinetto?

176

177

No mai, rispondo. Signor Robinson.

dicembre, gennaio, febbraio, marzo. E anche se tira vento

– Mai… già con lo schifo che fa oggi, prima si poteva…

freddo ma appiccicoso.

E ci ripensa.

– Quanto ti pesa?

– Latte appena munto?


– Ce la faccio ancora…

No mai, rispondo.

E muovo la busta che ancora non è piena e faccio finta

– Pane, burro e marmellata?

di non capire.

No.

– Quanto ti pesa quello che fai?

– Pane burro e sale?

Lo guardo ma non ce la faccio. Non ce la faccio proprio, No.

alzo le spalle e abbasso lo sguardo.

– Non ti sei perso molto… Popz… ingredieten: mais,

– Non ti preoccupare, ognuno ha i suoi tempi. Verrà an-suiker. Olanda questa è


Olanda… boter, zout, lecithine…

che il tuo tempo. Tu almeno hai un tempo, il mio è finito.

E ridiamo e poi ci raccontiamo certe storie come fanno E mi viene da dire la


solita cosa banale che tutti sanno: gli amici quando non ha nemmeno importanza
stare a ri-

– Non dica così signor Robinson.

cordare su cosa e su chi.

Che mi sarei voluto prendere a pugni il cranio, scatola

– Tè o caffè?

cranica buona solo per reazioni azioni da campo.


Tè. Tanto lo sa, è inutile che mi tenti.

Al massimo con Rocca andiamo avanti sino a metà apri-

– Forma o sostanza?

le. Ma proprio al massimo. Poi ci siamo sempre fermati Sostanza.

perché la spiaggia, poi, inizia ad affollarsi, per me sareb-

– Essere o apparire?

bero rogne e guai e poi noi non ci facciamo più nulla, non E dài, che domande,
faccio io.

ci sentiremo più come nell’isola.

– Già troppo stupide e scontate, mi sto rincoglionen-

– Lunedì…

do… Italiani o americani?

– Signor Robinson.

Lo guardo e metto le mani come Gesù Cristo rockstar

– Ha portato le buste?

martire assunto al cielo. Palmi aperti, capo reclinato sulla

– Certo e lei la lancia, immagino Signore…

spalla destra. Che poi vuol dire: ovvio.

Oggi qua giù anche se questa storia non è roba da uomi-

– Ho capito, Lunedì, non siamo in giornata.

ni uomini, questa di Robinson e Lunedì non la metto fra i E lo stuzzico.


ricordi della vergogna ma fra i ricordi che un po’ mi fanno

– Arte o business?

tornare il sorriso, che mi fanno pensare che non c’era un E quasi mi fiocina una
scarpa con la sua lancia-chiodo.

bel nulla da arrossire. E questa è una cosa banale ma che Andiamo su e giù,
dodici chilometri ad andare e dodici nessuno vuole ammettere.

a tornare. Con il sole che ci scalda anche se è novembre, Fra i ricordi della
vergogna c’è quell’altro del Signor 178

179

Robinson Gabriele Rocca che se fossi arrivato prima in li-Diciottesimo pezzetto

breria, se avessi capito oltre i suoi sguardi, se avessi potuto portare indietro il
tempo. Mentre posso portare indietro solo i ricordi e i pensieri.

Solo per una cosa sono contento. Solo una. Almeno lui la storia della spiaggia se
l’è risparmiata. Almeno lui la morte della spiaggia non l’ha vista. Non ha visto la
sabbia nera, sulla bianca. La sabbia nera succhiata dagli abissi al Giro e rigiro gli
album e le figurine, li tengo qua giù nel largo, in mare aperto, la sabbia che non
ha mai potuto ve-mio armadietto. E tutti pensano che si tratti di un gesto dere la
luce che fa qua. E questo era facile da capire. Ma scaramantico. Anche il mister
che mi lascia fare mentre hanno preferito fare di testa loro. Il borotalco invaso da
impartisce i primi ordini e richiama ogni compagno al pietre e terra. Non ha
visto il progetto dei faraoni per proprio compito.

un’amministrazione giusta e una spiaggia da re. I progetti Passo i polpastrelli


sulla mia faccia dello scorso campio-e le comparazioni per salvare quello che
qualcuno scava nato e poi su quella del campionato di due anni fa e poi che ti
scava ruba che ti ruba si era fregato per fare mattoni quello di tre e quattro.
Eccomi sempre nella stessa posi-su mattoni, palazzi su palazzi, denari su denari.

zione, seconda pagina in basso a destra: numero undici,

– La vedi la spiaggia che arretra?


Visco Vanni e tutto il resto della tiritera.

– La vedo, la vedo.

Dicono che siano rarissime queste figurine. Dicono che

– Si portano via la spiaggia per fare l’impasto dei muri.

sono merce rara ma io mi sento come merce avariata. Mi

– Lo so.

sto decomponendo pezzetto dopo pezzetto, come questa

– E ora dovranno trovare una soluzione.

mia vita.

E la soluzione Rocca non l’ha vista.

E mi va di tirare le somme che poi è tutta una sottrazio-Non ha visto arrivare le


ruspe e le benne, le idrovore ne. Niente segni più, solo una sequenza di meno.
Meno sparare pioggia nero petrolio. Non ha visto il mare traspa-mio fratello,
meno suo figlio, meno mia madre, meno mio rente diventare caglio, ribollire oli
che quando ti tuffi ap-padre, meno Lucina, meno Rocca. E meno me stesso,
quel-piccicano il corpo e la mente. Nulla ha visto. E questo è lo che sarei voluto
essere.

l’unico motivo per cui oggi non piango. Qua giù ricordan-Meno sogni, meno
amicizie, meno affetti, meno aspira-do lui, nello sfintere dell’arena.

zioni, meno futuro, meno autodeterminazione che vuol dire scegliersi un destino,
una vita.

E anche questa è una lagna e che tutti sanno e che tutti si vergognano.

180

181
I pensieri della vergogna.

Sbradabang!!!

Meno i miei libri.

Cosa sarei potuto diventare? Se non calciatore cosa sa-Eccomi sono pronto, la
moviola si ferma, lo stadio mi rei potuto diventare?

invoca in piedi e batte le mani. Alzo in aria le braccia e lo-Non lo so. Ma so che
forse tutto doveva passare da qui, ro vanno in delirio. Non lo avevo mai fatto,
impazziscono, da questo maledetto e flatulento stomaco dell’arena e che urlano
il mio nome, pensano che sia un segnale all’avvio ogni passaggio fluttuante, ogni
galoppata, mischia furi-delle ostilità, il via al ruggito dell’arena. Invece è così
sem-bonda, verticalizzazione e progressione e gol ancora gol e plice: braccia
alzate, segnale di resa.

sempre gol, erano segni più. Un credito verso la liberazio-

È la mia ultima di campionato, l’arbitro mi stringe la ma-ne, due crediti, tre


crediti sono arrivato a mille crediti oggi no, lo guardo e penso chi glielo faccia
fare, lasciare l’impie-faccio il golden gol ritiro il premio e mi levo dalle scatole.

go da geometra ogni fine settimana per scorticarsi le labE mi viene da ridere.


Come sempre.

bra sul fischietto, urlare ordini, impartire punizioni, subi-Si ride, pure troppo,
qua giù. È la tensione che spesso fa re umiliazioni, processi del lunedì, insulti,
fischi. Per cosa, questo scherzo.

per che cosa?

Fuori lo stadio è pieno, gli altri la scorsa stagione hanno E noi qui sul campo per
cosa, per che cosa? Per i miliar-perso tutto per un soffio e tutto per colpa nostra,
mia. Il di che svaniranno con la gloria, per il solito teatrino della mister ci urla le
ultime istruzioni, è più schizzato che mai.

tv, per sperare che un domani qualcuno ancora si ricordi Ha la forfora


sedimentata sulla giacca blu, quella con il di noi.
simbolo della nostra società poco sopra il cuore. Per lui ti-ra aria di esonero se
non tiene il ritmo della scorsa stagio-Giro vorticosamente facendo perno sui
tacchetti, da ca-ne. Deve vincere tutto a partire da questo anticipo di sa-pogiro.
Cado a terra sull’erbetta e rido, rido. Lo stadio bato pomeriggio, conta su di me e
per oggi gli andrà pure piomba nel silenzio più assoluto, inebetito. L’arbitro ha
bene. Ma poi basta.

già fischiato ma resto a terra, vedo con la coda dell’occhio Lo ascolto e non lo
ascolto, mi sembra che tutto viaggi la barella che si avvicina, la precedo, mi
rialzo di scatto, il alla moviola, le sue labbra si muovono lente, quasi defor-
pubblico esulta stupito. Rialzo le braccia al cielo, di nuo-mi, mi indica di
continuo mentre sbraita e tutti mi guardavo boato.

no. Mentre mi preparo per la crocifissione.

Ok, mi arrendo ma prima chiudiamo questa benedetta Bene, è il momento di


andare, percorro il tunnel a scat-partita. Salgo sul Mig e volo.

ti, mi sembra di essere sotto gli effetti di una luce strobo che si fa sempre più
intensa.

Sbradabang!!!

182

183

Sbradabang!!!

Ultimo pezzetto

Sbradabang!!!

Sbradabang!!!

Domenica notte. Mi alzo e acciuffo il telefono. Per poco a zio Nannino non
viene una sincope, per poco non gli esplode una vena del collo. Ha già il
giornale sul tavolo, lo so, sorseggia il caffè amaro e aspetta che alle 3 la
compagnia di caccia lo venga a prendere. Lo avevano riammesso subito dopo la
mia prima convocazione in Nazionale. Ed era chiaro che sarebbe andata così.

La voce gli balla, non ci vediamo da tempo, gli sento persino tremare la mano
sulla tazzina di ceramica e gli chiedo se lo posso scortare come ai vecchi tempi
alla posta, nella boscaglia, quando era lui a scortare me.

– Li hai umiliati, Vanni, 4 a 0, 4 a 0, Vanni.

E piange.

– Ma insomma vengo o no?

E lui non risponde e riprende a singhiozzare.

Mezzora dopo. Sono sotto casa sua. La compagnia in fi-brillazione che mi


attende.

Scendo dal biemmevù, mi salutano con un applauso, i taccuini sfoderati, le


penne pronte per gli autografi a figli e nipoti. Zio cerca di tenerli a bada, di
metterli in fila, ma è inutile. E ora vorrei ricordare a tutti loro quando ci cac-
ciarono via, quando ci umiliarono fra le risate. Ma sarebbe una vendetta inutile.
Un misero contentino per misere persone. E non ho neanche troppa voglia di
riflettere e far 184

185

pesare a questo mio povero cervello che se c’è un inizio, se Lo guardo di spalle, i
capelli non ci sono più e sopra alla fine c’è stato un inizio, be’ tutto ha preso il
via con lo-l’undici ha solo una cornice grigia da orecchio a orecchio.

ro, per colpa loro, nella boscaglia.

La brina gli corre lungo la testa e gli cola sulla nuca, inzup-pandogli quei due
peli bianchi che distillano le gocce delE ora la mia macchina corre e divora
queste curve e sale la sua vecchiaia.

mentre arriva la prima luce. Guardo in basso e vedo que-Sapevo che non avrebbe
retto tutta l’attesa, che prima o sto nostro mare mare e questo nostro cielo cielo
che si toc-poi si sarebbe accasciato tra queste pietre. Una mano sul cano e si
specchiano a vicenda. Nulla si muove e mi sem-fucile, l’altra fra la guancia e la
roccia foderata di muschio.

bra di percorrere una natura quadro, di sfrecciare in una Gli capitava già dieci
anni fa figurarsi oggi.

fotografia. Qui dove nulla mi sembra più vero. Neanche Aspetto che il suo
respiro si faccia pesante e il viso si ri-questa musica, questo incontro di tasti
sfiorati che si in-lassi e le rughe si distendano. E il suo naso soffia un respi-
trecciano con queste corde pizzicate e scivolano via dagli ro esausto, stufo.
Anche lui di questa vita.

amplificatori di questa mia macchina da campione.

Il fucile glielo sfilo lentamente, pian piano. Lo imbrac-cio, carico e clic.

Eccoci siamo sui monti. Su questi monti che sbeffeggiano la spiaggia giù a valle
e mi chiedo con quale coraggio, Sbradabang!!!

loro colline di mare. Nella posta di sempre, in silenzio con le orecchie tese verso
il latrare dei cani lontani che cerca-no il cinghiale diavolo nella foschia, che
ondeggiano con coda e orecchie lunghe, galleggiano fra queste nuvole umide che
ci soffocano il respiro e ci bagnano i pensieri.

Sbucano col cuore tamburo fra questi fiumi di brina, pronti ad infilzare con i loro
denti questo demonio animale metastasi.

Nannino non è più Nannino. Sembra suo padre che ho conosciuto appena ma mi
è rimasto impresso nella memoria. Si è rinsecchito, come suo padre, e la camicia
che una volta a malapena gli conteneva il collo ora lascia intra-vedere l’undici,
quei due nervi della cervicale che vengono fuori e formano un bel numero
undici, come il suo vecchio.

186

187

Alla fine tutti i pezzetti sono volati via sulla gobba di un vento maestrale. Cenere
alla cenere, polvere alla polvere.
Nostro Signore Gesù Cristo rockstar martire mi è stato buon testimone e mi ha
sorriso e mi ha strizzato l’occhio.

Finii nuovamente sui giornali, occupai le prime pagine per settimane intere.

Oggi, oggi che stacco scontrini capisco forse che una storia così me la sarei
dovuta vendere prima. Non che i soldi mi manchino, anzi. Giusto così perché se
avevo deciso che finalmente era giunto il mio turno avrei dovuto portarmi via
tutto l’incasso. E quasi l’ho fatto.

Oggi, oggi che batto cassa ho alle mie spalle tutti i ritagli di giornale, tutti i miei
titoli. Sono Vanni Visco Martire della Sfiga. E mi vogliono più bene e quei titoli
glielo ri-corderanno per sempre che solo la sfiga poteva fermarmi.

O solo io potevo fermarmi.

“Vanni Visco perde un piede durante una battuta di caccia”, “Tragico incidente,
Visco perde un piede a caccia” e poi a seguire: “Visco ricoverato d’urgenza negli
Stati Uniti”, sottotitolo “Tenteranno di ricostruirgli il piede”.

Tenni testa per tre mesi sino all’ultimo e laconico titolo:

“Visco torna a casa, ma non potrà più giocare”.

189

Il piede me l’hanno ricostruito, da bambola, in plastica Il vecchio Allarme l’ho


spedito lì da tempo e giura, giu-lucida, però me lo hanno ricostruito.

ra e rigiura che anche a loro ha insegnato tutta la tiritera.

A calcio non posso più giocare. L’avevo detto, basta.

In un mezzo inglese, francese, italiano e pure con i disegni Clic, e mi levo dalle
scatole. Suicidio perfetto, fra gli onori delle fortezze volanti, quelle di quando si
decise di degna-e la gloria di chi se li gode però in vita.

re il mondo della sua presenza.


Tutto programmato, calcolato. Ma loro che credano quel-E quelli ripetono: –
Ani-ce-tto Al-la-rme.

lo che c’è da credere. San Vanni Visco Martire per Se Stes-E se la ridono di
brutto.

so ma che loro credano pure altro.

E finalmente me la rido pure io che qui quando ho fatto l’inaugurazione mi


hanno svuotato i banconi. E mi hanno

– Ottavio! Ottà dài una mano alla signora…

dato un sacco di soldi per i Pinocchietti e me ne danno an-Mi sono comprato la


libreria Rocca, libri, dischi, Cd. E

cora perché io sono Vanni Visco, l’imperatore del calcio mi sono preso anche il
vecchio Ottavio. Il cane cirneco ha ancora da eguagliare.

tirato le cuoia, stirato da uno in moto.

Stacco scontrini e firmo autografi a chi viene qui solo

– Signora il suo libro rilegato sarà pronto per domani, per pretesto, per prendere
una cosa ma soprattutto toc-incisioni in oro, sì incisioni in oro…

carmi, guardarmi, stringermi la mano. Così i miei libri ar-E ci ho messo pure
babbo nella stanzetta esagonale. Le rivano ovunque, nelle case di chi al massimo
sino a ieri ha copertine in pelle sono di moda, sono tornate di moda.

ospitato solo i fogli rosa dello sport. È la mia rivincita di fi-Sta lì e tiene
impegnate le mani ma non la mente, la ne carriera.

mente non c’è più o giusto un pochino. Vive in un mondo E anche questa è una
cosa banale, stucchevole e banale tutto suo. Chissà dov’è e dove va con quella
sua mente.

ma forse nessuno l’avrebbe mai immaginata.


Lo ha detto anche Nannino, medico quasi pensionato, che ora la domenica ci
porta lui, mio padre, a caccia e dice che si fanno certe risate… Ma non prendono
mai neanche un piccione.

Un po’ agitato lo sono, adesso, ma è una bella agitazione che mi solletica e mi


scalda lo stomaco perché fra un mese partiamo a trovare i Pinocchietti l’unica
mia squadra del cuore, l’unica squadra che ha un senso allenare oggi. Oggi che
con le mine è pure peggio. Oggi che nello stomaco delle arene e lì sugli spalti
hanno smarrito tutto.

– Ani-ce-tto Al-la-rme. Repeat boys!

190

191

Ultima di campionato è un’opera di fantasia. Ogni riferi-mento a personaggi


realmente esititi o esitenti, nonché a si-tuazioni realmente accadute è puramente
casuale.

INDICE

INDICE

Ultima di campionato

Primo pezzetto

Secondo pezzetto

17

Terzo pezzetto

23

Quarto pezzetto
35

Quinto pezzetto

41

Sesto pezzetto

49

Settimo pezzetto

59

Ottavo pezzetto

71

Nono pezzetto

77

Decimo pezzetto

83

Undicesimo pezzetto

101

Dodicesimo pezzetto

113

Tredicesimo pezzetto

127

Quattordicesimo pezzetto
141

Quindicesimo pezzetto

155

Sedicesimo pezzetto

159

Diciassettesimo pezzetto

165

Diciottesimo pezzetto

181

Ultimo pezzetto

185

Volumi pubblicati:

Tascabili . Narrativa

Grazia Deledda, Chiaroscuro

Grazia Deledda, Il fanciullo nascosto Grazia Deledda, Ferro e fuoco

Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche Emilio Lussu, Il cinghiale del
Diavolo (2a ristampa) Maria Giacobbe, Il mare (ristampa) Sergio Atzeni, Il
quinto passo è l’addio Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri Giulio
Angioni, L’oro di Fraus

Antonio Cossu, Il riscatto

Bachisio Zizi, Greggi d’ira

Ernst Jünger, Terra sarda


Salvatore Niffoi, Il viaggio degli inganni (2a edizione) Luciano Marrocu, Fáulas
(2a edizione) Gianluca Floris, I maestri cantori

D.H. Lawrence, Mare e Sardegna

Salvatore Niffoi, Il postino di Piracherfa Flavio Soriga, Diavoli di Nuraiò (2a


edizione) Giorgio Todde, Lo stato delle anime Francesco Masala, Il parroco di
Arasolè Maria Giacobbe, Gli arcipelaghi (ristampa) Salvatore Niffoi, Cristolu

Giulio Angioni, Millant’anni

Luciano Marrocu, Debrà Libanòs

Giorgio Todde, La matta bestialità (2a edizione) Sergio Atzeni, Racconti con
colonna sonora e altri «in giallo»

Marcello Fois, Materiali

Saggistica

Maria Giacobbe, Diario di una maestrina Bruno Rombi, Salvatore Cambosu,


cantore solitario Giuseppe Dessì, Paese d’ombre

Giancarlo Porcu, La parola ritrovata. Poetica e linguaggio in Francesco Abate,


Il cattivo cronista Pascale Dessanai

Gavino Ledda, Padre padrone

Salvatore Niffoi, La sesta ora

FuoriCollana

Jack Kerouac, L’ultima parola. In viaggio. Nel jazz Gianni Marilotti, La


quattordicesima commensale Salvatore Cambosu, I racconti

Giorgio Todde, Ei

Antonietta Ciusa Mascolo, Francesco Ciusa, mio padre Luigi Pintor, Servabo

Alberto Masala - Massimo Golfieri, Mediterranea Marcello Fois, Il tamburino


sardo

Francesco Abate, Ultima di campionato I Menhir

Salvatore Cambosu, Miele amaro

Narrativa

Antonio Pigliaru, Il banditismo in Sardegna. La vendetta bar-Salvatore


Cambosu, Lo sposo pentito baricina

Marcello Fois, Nulla (2a edizione) Giovanni Lilliu, La civiltà dei sardi
Francesco Cucca, Muni rosa del Suf

Giulio Angioni, Sa laurera. Il lavoro contadino in Sardegna Paolo Maccioni,


Insonnie newyorkesi Bachisio Zizi, Lettere da Orune

In coedizione con Edizioni Frassinelli Maria Giacobbe, Maschere e angeli nudi:


ritratto d’un’infanzia Marcello Fois, Sempre caro

Giulio Angioni, Il gioco del mondo

Marcello Fois, Sangue dal cielo

Aldo Tanchis, Pesi leggeri

Giorgio Todde, Lo stato delle anime Maria Giacobbe, Scenari d’esilio. Quindici
parabole Marcello Fois, L’altro mondo

Giulia Clarkson, La città d’acqua

Giorgio Todde, Paura e carne

Paola Alcioni, La stirpe dei re perduti Mariangela Sedda, Oltremare

Poesia

Giovanni Dettori, Amarante

Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo Gigi Dessì, Il
disegno

Roberto Concu Serra, Esercizi di salvezza Serge Pey, Nierika o le memorie del
quinto sole Finito di stampare

nel mese di aprile 2004

dalla Tipolitografia ME.CA. - Recco GE


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