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Ultima 20di 20campionato 20 20francesco 20abate
Ultima 20di 20campionato 20 20francesco 20abate
Ultima di
campionato
Il Maestrale
Tascabili . Narrativa
Romanzo
Francesco Abate
Ultima di campionato
Dello stesso autore con Il Maestrale:
Editing
Giancarlo Porcu
Grafica e impaginazione
Imago multimedia
Foto di copertina:
Alessandro Contu
ISBN 88-86109-78-4
Il Maestrale
Al Campione è concesso. È concesso stare qua giù quando gli altri sono ancora a
casa, gli spalti sono vuoti e sul prato ronza il tagliaerba.
Sto giù negli spogliatoi ad ascoltare, sopra di me, le gradinate che pian piano si
animano, i primi passi che rimbombano sul soffitto, poi lo zoccolio della
mandria che si fa sempre più intenso. Li sento, sento il loro ruminare di popcorn
e patatine, il loro mormorio che monta ed esplo-7
de in un boato quando tiro fuori la testa dal tunnel e sono Primo pezzetto
in campo.
Oggi è l’ultima, fra poche ore sarà l’ultima, anche se per tutti sarà la prima.
gione, i compagni che fanno spogliatoio e gli altri più forti ma noi più fortunati.
Fa nulla se oggi è la prima e si aspet-Gooooooooollll!
Il quartiere affonda fra le fauci del tubo catodico, di-Anche se per tutti loro,
anche se per tutti voi, oggi è la pri-vorato da questo mostro televisore. E il caldo
fa il resto.
ma, per me è l’ultima. E come ogni buon suicida me ne va-Il caldo e l’umido,
per rendermi tutto più difficile, per do senza chiudere i conti. Se la finiscano loro
la stagione.
Cristalli liquidi rossi. Guardo l’orologetto che balla nel polso: troppo grande per
il mio polso. E non c’è stato nulla da fare, neanche con l’ultimo buco.
Ma avevo voluto quello con la cassa rettangolare in vente del saldatore un altro
buco si sarebbe potuto fare.
voluto provare, che almeno ci saremmo accorti che ti Guardo le barrette che
segnano i minuti: il due che di-stava largo… – Come gli altri ragazzetti del
quartiere che venta tre, il quattro che aspetta il cinque. E faccio balla-solo l’idea
di passare da signor Sanna, pidocchio e ma-re l’orologio sul polso, magro esile.
oltre la sua bottega, lontano dal quartiere, verso il CorE mi viene un nervoso. Ma
un nervoso. Torno sul li-so e poi su per la via dei negozi dall’orologiaio-
gioiellie-bro.
re. Una fatica. Ma poi quelle stanghette riprendevano a comporre numeri
scatolati, come in certi ascensori. E
– E ora dove lo facciamo il buco? Nella plastica? Si-ma, doveva svoltare nella
strada dove abitava, da quella in gnor Sanna ha detto che non fa…
re e darsi di gomito mentre lui si era sporcato tutto il E sto per riprovarci.
Quando un altro urlo del quartie-grembiule azzurro, pur di fare veloce, e manco
se n’era re mi blocca la saliva. E quasi il cuore.
accorto, si era impollinato tutti i capelli. Una criniera Mi sembra che un fiume in
piena abbia rotto gli argini ispida, folta e nera che gli partiva poco sopra le
sopraci-e che da ogni finestra affluenti si siano riversati sulla stra-glia. Neanche
un animale della boscaglia. Ma un po’ più da e il livello sia salito e salito. Sino a
toccare quel terzo porco, specie con i ragazzetti che scaricavano le cassette piano
e superarlo per schiaffeggiarlo. Un’onda sonora del mercato ortofrutta, pesce e
pollami. Quelli che quan-anomala.
do uscivo per andare a scuola puzzavano già di sigarette Poi, come è arrivata,
l’onda si ritira. E il quartiere ri-e fatica.
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a metà, anche la domenica. Anche quelli del bar di fron-Ma mi hanno fatto
attraversare la piazza tirato per la te non ce n’è uno appoggiato con gli stivaletti
al muro, maglietta sotto lo sguardo severo. Una corsa di pochi me-birroncino,
sigaretta in mano.
tri fra un via vai impazzito di gente con bandiere e gen-Non ci sono neppure i
cani. Denti aguzzi pronti a bec-te con bustoni carichi di spesa.
ai lampioni luridi e gialli che già si sono accessi anche se il tramonto, questa
sera, se la sta prendendo calma, pu-C’era l’aria della notte, fredda da far venire i
brividi a re lui. E il sole se ne rimane lì, dietro i palazzi più alti, a chiunque.
Schmar…
Il piccolo Vanni, nella stanza del Cristo, leggo, divoro Sembra che tutto e tutti si
siano fermati, per questo il mio libro preferito.
benedetto mondiale. Tutti tranne il caldo e l’afa. Tutti tran-Leggo dribblando urla
disumane. Leggo e perdo la ne quelli che sgambettano dentro lo schermo
verdeblù.
marcatura fra fischi e battimani. Poi rileggo in uno stra-Ventidue disgraziati che
si azzannano per infilare la pal-no momento di vuoto sonoro. Solo un istante.
la dentro una ragnatela di disperazione. Su e giù, su e Gooooooooollll!
giù per il prato verde. Il pubblico ondeggia, batte le ma-Terzo urlo. Il palazzo
trema, i pavimenti ballano. Il tifo ni, urla, seguendo il rotolare di una sfera a
spicchi bian-erutta lapilli tricolori.
rebbe fermato, gelato, pietrificato. Come in una magia A me la guerra non è mai
piaciuta. Neppure quella cattiva e maledetta.
Anche un cuore semplice può essere sfiorato dai pen-Ma ora la sfida ha invaso il
quartiere.
Sarei voluto restare in casa, finestre chiuse, serrande Acciuffo il pallone dei
cugini, lo piazzo al centro della abbassate. – Non vengo, sto qua…
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che fronteggia il grande Cristo in tela dall’altra parte del-Mi beccarono che
urlavo fra i cocci sparsi per la stan-la camera. Un dipinto scuro che mi ha sempre
messo terza. Erano tutti lì, appollaiati, accatastati l’uno sull’altro a rore. C’è lui:
Nostro Signore Gesù Cristo, con una faccia guardarmi stupiti in quel delirio da
cane fedele idrofobo.
da rockstar martire. Ti guarda fisso e con l’indice destro e il pollice sinistro si
allarga la ferita sul costato che sangui-
***
na. Rosso antico. E fa senso. L’aveva inchiodato mia nonna sopra il lettone alto
per farle compagnia. Perché il Saltello fra i cocci, fra cadaveri di statuine in
ceramica.
braccia rivolte al soffitto - il Cristo in tela non oso guar-Un cecchino. Un tiratore
scelto. Sfaldo le ceramiche a darlo - pronto al sacrificio. Sono un martire
bambino in pallonate. E Gesù mi è buon testimone.
***
avvicinano pesanti per lasciarmi a terra quasi morto. Quasi. Apro un occhio e mi
sembra che il Cristo mi sorrida.
Oggi i giornali dicono che ho gli occhi anche dietro la schiena. Che ho un senso
in più degli altri. Come un ra-
***
dar. Uno scandaglio sotto pelle. So da dove arriva la palla, so come intercettarla,
imbrigliarla e fare fuoco senza bi-Non ero destinato al neurologo, figurarsi allo
psicanali-sogno di guardare. Oggi.
sta.
tenne sono solo due bitorzoli, a gittata limitata. E questa è una cosa banale, che
tutti sanno.
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Secondo pezzetto
dàiiii!
Mio padre è sempre stato un tipo energico. Gestisce una conceria. Piccola
fabbrica di pellami.
– Oooh, ma cosa dici? Adesso perché a uno non gli piace il calcio…
Mia madre l’ha sempre pensata come mio padre ma non gli ha mai dato la
soddisfazione.
– E intanto ha sfasciato le statuine di tua madre… certo e… oh… belle belle non
erano…
A mio padre gli affari non sono mai andati male, vanno peggio a due o tre operai
che tornano a casa quando le vendite calano.
– Ha sbagliato… ha sbagliato…
Mia madre non ha mai avuto né alti né bassi. Insegna educazione fisica al liceo.
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– Ecco, figurarsi se non era colpa mia… e sì e poi cosa ci cina. Sento il ronzio
del frigorifero. Un rumore di ghiac-parlo di filosofia? Quello è sempre chiuso sui
libri, libri, cio e bicchieri. La intravedo nella penombra tornare al sempre libri.
Come quel tuo zio, quello che si era buttato suo posto. E sento il suo odore dolce
e fresco.
– Era un pozzo…
– Come?
lui per quella storia del prestito non saldato. No, non che
Mio padre ha sempre rispettato la zia Lisa, forse perché Mia madre vira la rotta
per evitare la collisione.
– Vasca, pozzo, insomma, vostro zio, quello che si è uc-Ha sempre avuto un
debole per l’arredamento, mia ma-ciso. Sempre sui libri era…
dre.
***
ra, ma bella.
Anche la sorella.
Incompreso in una famiglia medio borghese. Ma questa Mio zio, zio acquisito
marito della zia sorella gemella è una cosa banale che tutti sanno.
della mamma, per lei, per la zia, non ha mai badato a spe-se. Mio zio Nannino, il
medico.
***
lare ancora una volta del rigore sbagliato e dell’allenatore fumatore portato in
trionfo con la pipa che gli tremava.
***
Ma ci sono. Sono il capro espiatorio, il sale di ogni famiglia. Cosa ci vada a fare
mio fratello a Monaco non lo han-Lo ricordo perfettamente qua giù mentre mi
spoglio no ancora capito. Mio fratello Luigi ad ogni viaggio sem-lento e mi
guardo allo specchio. Pettorali, addominali, bi-pre più pallido.
cipiti, glutei, gambe. Ora è tutto quasi perfetto, scolpito Pensano che dorma, non
dormo.
nella carne. E non capisco, non capisco come questo cor-Nel salone ritorna per
qualche istante il silenzio. Perce-po è cresciuto su di me. Ma so cosa rimarrà di
questi mu-pisco mia madre che esce dalla stanza e punta verso la cu-scoli
allevati per la sfida. Cenere.
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Per l’ultima volta negli spogliatoi, giù nello stomaco di In sei mesi in questa
posta puzzolente fra l’odore mer-questa arena a farmi digerire per poi rinascere.
Solo, fra doso delle pernici moribonde, il piscio dei cani che sem-gli armadietti e
le docce in mattonelline coi colori sociali, bra varechina di straccio sporco, lo
stomaco dello zio che rosse e blu, sulla panca di sempre. I gesti di sempre ac-
gorgoglia, di cinghiale neppure l’ombra.
compagnati dall’eco dei primi petardi . Il suono del tifo, Sono un apprendista
cacciatore che diventerà appren-un grande botto, poi il vuoto.
***
re, ma non sono né argilla né plasmabile. Eppure non so-no offeso, umiliato e
offeso. Non sono ribelle, rabbioso e Lo zio Nannino. Medico all’ospedale
oncologico, la ribelle. Sono solo stupito. Solo cerco di aumentare la git-morte
che incombe fra le stanze del suo reparto la esorciz-tata delle mie antenne, dello
scandaglio sotto pelle. Spero za con un fucile sotto braccio, appostato fra la
boscaglia solo di vedermi spuntare davanti quella bestia demonio, in attesa che il
cinghiale gli passi davanti e bang, una fuci-ansimante, braccata dai battitori e dai
segugi. Quasi come lata in mezzo agli occhi, poco sopra le zanne di questo go-in
un racconto indiano, senza tigri ed elefanti. Invece nul-mitolo di filo spinato,
selvaggio, indomabile come neppu-la, il cinghiale lo centrano sempre qualche
centinaio di re una metastasi diffusa. Quella Nannino non può farla metri più in
là dalla nostra posta e mi tocca vederlo già fuori con una palla ad elica e allora
giù schioppettate vere morto, come dal macellaio, con le mosche che svolazzano
su un demonio cinghiale, diavolo e disgraziato.
blu blu. Ha i capelli biondissimi, quasi bianchi, rasati sul Anche se si sveglia per
i fatti suoi non lo puoi più fer-collo e le tempie, un ciuffone che le scende sul
viso e la di-mare.
fende dagli sguardi degli altri che si girano quando lei e Solo zio Nannino lo può
fermare. Solo Nannino con la mio fratello camminano in questa città.
sua palla ad elica. Ma solo qui, nella boscaglia di questi monti che sbeffeggiano
il mare. Giù, a valle, in città, non può.
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Terzo pezzetto
Una volta avevano deciso di portarsi dietro pure me. Lo ricordo bene, qua giù. E
non mi sembrava vero, non mi sembrava possibile di poter trottare fra loro due e
affan-nare verso quel concerto. Non so se glielo avesse imposto mia madre
prima di andare per il fine settimana alla villa degli zii al mare. O se l’idea di
portarmi al concerto fu lo-ro. Fa nulla, ero eccitato lo stesso.
***
Concerti non ne ho mai visto. E neppure quelli che vanno ai concerti. Mi guardo
intorno e non posso credere che stiamo stretti stretti uno sull’altro con i biglietti
stretti stretti in una mano e l’altra per tenerci ancora più avvin-ghiati e non
perderci fra una folla che sa di birra e sudore, gelatina e lacche spray. Una catena
umana: io, Luigi, lei, un’amica che a lei la guarda proprio male, un amico che
sembra stia per addormentarsi da un momento all’altro, un altro che muove e
muove le mascelle e non la smette mai di parlare e mi sa che prima o poi la
mandibola si stac-cherà dal resto della testa e, infine, una piccolina che sbatte gli
occhi e sbatte gli occhi. Persino io sono più alto di lei.
Li guardo e hanno tutti gli stessi abiti neri, gli stessi ciuf-fi che coprono un
occhio, le stesse scarpe a punta che un 23
e tutto il pullman non ha più riso. Poi Mandibola ha tirato Ripete toccandosi le
tempie:
– Mal di testa…
pullman si è svuotato alla fermata dopo. E Mandibola ha E urlo per farmi sentire
mentre uno mi viene quasi ad-schiacciato il pulsante, io ho chiuso un occhio ma
comun-dosso e poi un altro e un altro e un altro che ora sono cir-que ho visto che
ora erano loro, Luigi e la compagnia, a ri-condato da gente che si spinge e
sembra che si picchiano dere mentre Mandibola si pettinava con il coltello, che
era ma ridono e ridono e si divertono.
solo un pettinino.
Quando è stato il nostro turno per scendere ci abbiamo A me ora sembra che il
mal di testa mi verrà davvero e impiegato un po’ a svegliare quell’altro che si era
accascia-così la butto giù.
a me e ce l’ho in mano e rido anche io, sarà la musica che Li guardo che ballano
e tutti ballano e io guardo verso il mi entra nello stomaco o questa gente che si
strattona per palco dove ci sono tre vestiti di nero, con scarpe a punta volersi
bene o chissà cosa.
per le formiche. Uno sta alla batteria, un’altra a una specie Sto per buttare giù
anche la seconda pastiglia e sto per di muretto di tastierine con mille cavi e
cavetti che sem-caricare tanta saliva da farla scivolare senza dolori quan-brano
flebo e uno che fa certi salti ma certi salti e urla al do sento dietro di me una
mano che mi tappa la bocca e microfono. Ma urla.
un’altra che con uno schiaffo mi fa volare dalle dita questa Tedeschi. Mi fa Luigi
e mi strizza l’occhio ma non gli medicina analgesica. Sono le mani di Luigi che
ora sono riesce bene perché anche a lui la mascella ha iniziato a tra-chiuse e
sfrecciano verso la faccia di Pastiglia. Due cazzot-ballare e scarrellare. E Lei lo
avvinghia e iniziano a urlare ti pesanti e poi un calcio allo stomaco. Quelli che
sono in-e a ballare insieme.
torno si fermano, quelli che sono intorno non si spingono E la tipa, quella tipa, li
guarda male, ma male. E tira fuo-più. La musica va, ma noi per un po’ non la
sentiamo.
ri una scatola di medicine e schiaccia via dalla stagnola Vediamo invece due
armadi da palestra, due gemelli del uno due tre quattro cinque sei pastiglie. Una
la butta giù e muscolo, acciuffare Luigi alle spalle e portarlo via mentre una la dà
a me.
– Dài inghiotti.
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E le porgo i fazzoletti.
– Ma vaffanculo nano…
– Fanculo tu Puttana…
– Fermo lì tu…
chiuso nella stanza del lettone, quella dei miei. Risate e ge-Siamo fuori e c’è
Luigi che si fuma una sigaretta con i miti.
– Eccoli…
guance calde. Ma calde calde. E uno strano formicolio nel-E non mi danno il
tempo di parlare che mi corrono in-la pancia e poi pure più giù. Che oggi se ci
penso mi vergo-contro, mi aprono la bocca e Luigi mi infila due dita e gli gno
peggio di allora.
vomito tutta la camicia nera e sento raschiare naso e gola e Quando mia madre è
tornata ha preso Luigi e si è sigilla-sento una puzza. Ma una puzza.
bene. Poi la sera si è messa pure peggio. Quando Luigi e la I Gemelli ridono,
anche la Tedesca ride, Luigi mi fa Tedesca sono andati al clubino sotto casa.
dre uscire dal salotto e puntare verso la cucina. Sentii il Luigi si leva la camicia e
la butta via. E lei gli pizzica la ronzio del frigorifero. Un rumore di ghiaccio e
bicchieri.
Così non dico nulla quando si chiudono nella mia stan-Borbottò - frantumando i
cubetti con i denti - che già c’a-za per ore. Glielo devo. Dormo sul divano.
veva gli affari suoi. Mia madre non virò la rotta, per evitare Anche quando i miei
sono a casa, li sentiamo ridere nella collisione.
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con me…
Pragmatico.
– Perdonami, ma come hai fatto a capire che avevano tutte sue. Le sue cure di
vita che forse meriterebbero pri-dormito… sì insomma… nel tuo letto?
ma una diagnosi e magari, prima ancora, qualche analisi Mia zia, una tipa
curiosa.
Per poco mio padre non moriva con un cubetto di Ma mio fratello in mezzo alla
boscaglia non sono mai ghiaccio nella gola.
riusciti a trascinarlo.
– Una che?
***
– Una foglia secca fra lenzuola e materasso… un vecchio trucco… basta saltare
sopra il letto e la foglia si sgre-Lo ricordo perfettamente. Qua giù mentre conto i
mi-tola. Ecco come ho fatto.
Quattro: allineare le scarpe… cinque: bagnarsi i capelli Mio zio, mio zio medico
e le sue terapie.
con il gel…
– Persino nel letto di Vanni sono finiti a fare le loro zoz-Ricordo anche quando
feci l’errore di portarmi appres-zerie.
dotte…
ste lenzuola perché Gigi, Luigi mio fratello, questa volta, Fu in quell’istante che
vedemmo il cinghiale già diretto con le mie lenzuola, nulla c’entra. E mi
vergogno come un verso la nostra posta annusare l’aria e arrestarsi. Il demo-28
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nio, alitando caldo, guardò Nannino, lo fissò. E lui, bocca Ora tracanna la birra,
Nannino. Rutta e segue con gli aperta, fissò il demonio che buttò fuori un ultimo
grugni-occhi i battitori che scendono paonazzi dalla collina senza to fumante,
girandosi lentamente, e riprese la boscaglia.
più fiato.
– Alla fine ci ho pure preso gusto, a fare il medico. Ma ogni domenica a caccia.
Modestamente non ho mai letto Lezione numero uno: mai contraddire il maestro.
Le-un romanzo. Però salvo la vita alla gente, io. La cultura, e zione numero due:
imitare il maestro, studiare ogni sua ascolta bene quello che ti dico, non può
essere tutta la tua mossa, archiviarla, metterla a profitto. La vita è un mestie-
esistenza. Altrimenti finisci per isolarti, per diventare un re che si impara a
bottega. E anche questa è una banalità marziano. C’è anche altro nell’esistenza:
caccia al cinghia-che tutti sanno.
le compresa.
Lo zio cerca di ritrovare la calma. Io sono rannicchiato Qua su, in questi monti
che ignorano il mare. Spero, su me stesso con le ginocchia quasi alla bocca e il
panino prego che una volta tanto i pallettoni centrino questo ma-stretto fra le
mani, appiccicato alle labbra. Mangio a pic-ledetto animale, così evito mio zio
maestro all’apprendi-coli bocconi, quasi svogliato. Ho lo sguardo basso. I miei
stato della vita e soprattutto il solito teatrino che mette in occhi seguono una
colonna di formiche e vorrei essere scena per tutta la compagnia a battuta finita.
operaia con il mio fardellino sulle spalle, in fila con mille Una prova di forza per
cercare di riconquistare fra quel-altre per scendere sotto terra e non tornare mai
più su.
metri comunali, gli onori che gli competono almeno per Lo zio parla e fa la
punta a un ramo secco con un coltel-rango, lui medico a un passo dal primariato.
lo, il suo panino è poggiato sulla roccia affianco alle latti-Nannino piazza sulle
rocce della vallata le lattine vuote ne di birra che guardo con terrore.
– Mica ho inseguito la laurea per capriccio… oh… avrei nio che si prende gioco
di lui. Sistema il pallone da calcio, preferito correre per i boschi con la mia
doppietta sotto che immancabilmente rimbalza dal cofano della macchi-
braccio… se fosse per me avrei vissuto sempre qui ad na, con la meticolosità del
giocatore di golf più che del ri-aspettare i cinghiali.
gorista.
– Mio padre era un famoso chirurgo e io cosa potevo fa-pallonetto per farla
fuori.
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ta dopo battuta, indifferente, annoiata. Alla fine, oggi più Fu l’unica frase che
Nannino disse durante il viaggio di che mai, insofferente.
ritorno mentre nel cassone della stationwagon cercavo di Sto per fare l’ennesimo
centro, il pallone rapido taglia riconquistare il posto rubatomi dai segugi
puzzolenti co-l’aria in direzione della lattina verde smeraldo, ma è più me la
spazzatura del lunedì. Mi dispiaceva, sapevo quanto veloce il commendator
Carcangiu che prende la mira, ci teneva alla battuta al cinghiale, però in fondo
ero con-schiaccia il grilletto e assassina il pallone prima che arrivi tento, addio
caccia, addio pallonate alle latte vuote.
alla meta.
***
– Oh Nannì, con questo tuo nipote ci hai proprio rotto i Oggi qua giù, nel mio
spogliatoio, il mio gioco preferito coglioni.
Vorrei urlare questo e scagliarmi nella mischia. Come in un libro, quando l’eroe
mascherato si svela e si prende in un colpo solo rivincita e vendetta. Ma non dico
niente.
Farei solo ridere tutti. Così guardo. Faccio lo spettatore e il tifo in disparte.
Pugni, urla, calci, una rumorosa testata e Cargangiu è un colasangue fra l’erba
fresca.
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Quarto pezzetto
I colori si impastano. E il rosso non è più rosso e il blu non è più blu. Ma i miei
ricordi restano cristallini e riflet-tono solo verità.
Il tifo è già un rumore assordante che potrebbe rintonti-re tutti, ma non me.
Potrebbe ubriacare tutti, ma non me.
Stanno intonando il mio nome. E le mie labbra tremano e i miei occhi ballano,
ma io non cedo, non ho mai ceduto.
Mai. Li sento qua sotto in questo spogliatoio freddo come fredda è stata la mia
vita, che non è mai stata la mia vita.
Lo vidi arrivare a casa con la borsa della squadra carica di tutta l’attrezzatura.
Capii che non avevo più scampo.
Non mi disse nulla, non gli dissi nulla, sapevamo entram-bi che glielo dovevo.
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– È tutto apposto, Allarme, domani si libera un letto, Avanzo lento verso l’area
di allenamento scortato dagli venite alle 8 che la sistemiamo.
sguardi degli altri.
***
***
– Dài cambiati…
– D-d-dove?
– Qui… e dove?… non c’è tempo per andare nello spo-Quattro: arrotolare le
calze… cinque: controllare di-gliatoio.
stanza e allineamento fra scarpa destra e scarpa sinistra…
– Cazzo avete da ridere voi… forza con ’sti addomina-dei bomber. Vanni Visco,
il campione che si può permet-li… avanti… uno… due. E tu! Vanni! Muoviti!
Qui non tere manie.
Allora no. Allora ero l’ultimo arrivato. Io, le mie scar-Mi cambio a bordo campo
e mi guardo intorno. Gli altri pette con i tacchetti, maglia e calzoni rossoblù della
no-hanno già la faccia in terra, flessioni. Ma non mi staccano stra squadra: una
manciata di scudetti, qualche coppa e gli occhi di dosso.
tanti onori. Un altro tredicenne avrebbe dato un rene per Mi perdo con i lacci
delle scarpette. Disfo e ridisfo i fioc-entrare nei giovani della squadra io anche
due pur di non chi mille volte. Ora sono vestito di tutto punto e resto im-metterci
mai piede.
– Avanti Visco! Che cazzo aspetti! Avanti! In campo co-no come mosche quasi
per testarmi, sicuramente per non me tutti gli altri!
farmi sentire a mio agio perché in fondo ero un intruso, in L’allenatore ha la voce
alta e rognosa.
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cevo parte della casta. Razza scelta, selezionata. Certo non Le mie antenne lo
percepiscono chiaro. Non sono offe-come oggi. Come tocca a certi ragazzini.
Certi che hanno so, né umiliato né offeso. Non sono neppure un ribelle, la faccia
più smarrita della mia.
E mio fratello Luigi - mio fratello sempre più pallido e Se volevano farmi cagare
ci erano riusciti in pieno: cosa magro - dice che vuole tentare un import di
macchine usa-ne potevo sapere io che non distinguevo neppure un drib-te. Lo
dice perché sa che mio padre è un tipo pragmatico.
sorriso strano, storto. Una faccia che era: non ti dico ma ti Poi di corsa, poi a
terra e via con gli addominali.
sto dicendo tutto con questa faccia qua. E le mie guance Fu tutto naturale come
battere le ciglia e respirare.
Una vera idiozia, non c’era tanto da usare il cervello, neppure fosse
quell’irlandese che avevo tentato di leggere
***
per tre volte ma mi ero fermato a pagina dieci senza capirci nulla. I muscoli
invece andavano da soli, fatti per quel-I ricordi della vergogna li ho tutti allineati
nella mia lo, non dovevo neppure faticare. Come se non avessi fatto mente, e
ogni tanto non so se saltano fuori o se li faccio altro nella mia vita.
saltare fuori io. Forse lo faccio per punirmi. Spine sul ca-A cagare se ne andò la
cricchetta dei fanatici. Li stesi a po, frecce sul costato, olio bollente e
scarnificazione. Non terra nel giro di tre mesi, facendogli svicolare il pallone fra
so.
***
39
fa più male di un rigore sbagliato. Io che alla voce rigore Quinto pezzetto
***
Gigi, Luigi mio fratello, è tutta un’altra storia. Luigi sa dove fare breccia. Io
sono il figlio che non sa fare breccia e non fa domande. Preparo la borsa per la
trasferta, ho tut-Ho i polpacci duri. Stanotte ho dormito sui chiodi. Ferto ben
piegato e stirato sul letto. Anche mio fratello ha ro caldo arrugginito sulle
tempie, un laccio di cuoio stret-tutto ben piegato sul letto. La sua roba è tutta
nera, la mia to al collo. E non era il caldo. Ma i pensieri. I pensieri che tutta
rossoblù e sa di detersivo lavanda.
diventano bastardi, piccoli e disgraziati con quei denti Due fratelli con cinque
anni di differenza e un metro da aguzzi che se la prendono con i miei polpacci. E
non mol-letto a letto. Non ci eravamo quasi mai parlati, non ce n’e-lano.
Neppure ora che il massaggiatore fa scorrere sulle ra mai stato bisogno. Due
Incompresi in una famiglia me-mie gambe le sue dita. E si lamenta. – ’Zzo
Vanni. Oggi hai dio borghese. Anche questa è una banalità che molti co-i
muscoli tesi. Non mi inizierai così dalla prima giornata.
noscono.
Sembri un morto.
***
– Ti dà la carica giusta.
Eccomi. Ecco il piccolo Vanni Visco in questo vecchio Luigi sa tutto di musica e
mi allunga anche il suo walk-spogliatoio di provincia. Le pareti sono rovinate e
spor-man.
sterdam.
Sono seduto sulla panca di legno marcio di questo cam-Sono il fratello più
piccolo che abbraccia uno scheletri-petto. I pali mangiati dalla ruggine, l’erbetta
incrostata di no vestito di nero. Afferro uno dei miei libri preferiti e sassi, al lato,
dietro le panchine, gli fanno la guardia due glielo porgo. – Per il viaggio, – dico,
– ti piacerà.
ciminiere enormi che sputano fumo e poco lavoro. In Lui sorride e mi stringe
forte. Sono triste perché oggi mi questo campetto, fra fabbriche e capannoni
grigi lontano sono spuntate le antenne e so - lo so - che questo è il nostro dalla
città, ho paura che il fischio dell’arbitro si confon-ultimo abbraccio.
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domenicale. Allora dei tizi in tuta blu si appoggeranno al-i sassolini conficcati
nella suola, prendo la mira sulla foto-la rete metallica e faranno il tifo solo per
far fuori un po’ di grafia scolorita di una tipa che sembra una rockstar marti-
rabbia. Come l’anno scorso. Inciteranno i loro figli che re nuda. Con il pollice
destro si allarga la gamba destra, hanno le maglie con lo sponsor della ditta. Che
al primo con il sinistro la sinistra. Io miro al centro. E sparo i miei lavaggio ha
stinto. E anche se i nostri avversari ne vanno sassolini.
– Visco! Sarai anche bravo. Ma certe volte mi fai pro-vitù a basso costo. Non
come la nostra.
abituato. Lo ficca nel tascone del suo impermeabile da Ma sono meno sbiadite.
cetto che non ha più un pelo nero in testa mentre a noi i E io lo sfido.
***
– Fuori c’è tutto il paese. Vi stanno aspettando per farvi la festa.
È stato sempre così. Una in casa, una in giro per la pro-Ascoltano la lagna e si
arrotolano i calzettoni che sanno vincia. Qualche volta mi sono anche divertito.
Qualche di umido.
– Non siamo venuti qui per fare una scampagnata, vi vo-capì che per quei
campetti ero uno spreco.
Ora gli altri hanno il viso contratto, sono tesi, ora ascol-Proprio quando avevo
preso il ritmo e non mi pesava tano con attenzione. Io mi concentro sulle
scarpette, levo quasi più.
42
43
– Lobina! Per te che sei il capitano: al primo tempo sce-Ricordo bene tutto, qui,
in questo spogliatoio mentre sul-gli il campo in discesa, mi raccomando, di-sce-
sa. Ripeti!
– Di-sce-sa.
qua giù, i loro tamburi ritmano segnali di guerra. Non mi E lui avanza nel
corridoio tra i sedili, fino a me.
botta.
E io non ripeto.
Sempre uguale, sempre la stessa. Prima quelli delle altre Il ritmo dei tornanti è
più serrato e i ragazzi stanno per città sin qua giù non ci venivano quasi mai. E
comunque vomitare.
– Guardate che questi di oggi sono abituati a giocare in quel campo. Non sono
calciatori sono alpinisti, ok?
***
simo color piombo e una natura avvilita, secca e forse osti-Lobina distribuisce le
gomme da masticare e tutti co-le.
ogni curva. Ogni nota segue un colpo di saliva per riman-dare giù aranciate e
merendine che vogliono tornare su.
pido, scavato fra l’incontro di due colline. Ma per me non In fondo al pulmino,
Signor Anicetto. In piedi, urla. Ur-fa differenza.
la e artiglia i sedili per non cadere. Capitano di una nave in Sono lontano dalla
loro porta, guardo le nuvole che fra tempesta, i legni scricchiolano malmenati
dalle onde e le un po’ toccheranno anche le nostre teste. Sono lontanissi-vele
guaiscono sfregiate dal vento.
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Ho lo sguardo che punta la fine della collina, mentre mi Mi esce sangue dal
naso. Ma non chiedo di sedermi in abbracciano. Mentre i compagni mi
abbracciano e sono panchina. Aspetto un altro gol. Poi tornerò a casa. A leg-
come una canna straziata dal vento, oscillo per non farmi gere.
buttare giù. Ho gli occhi che seguono un tracciato fra la vegetazione mentre
l’arbitro deve fare i conti con quelli dell’altra panchina che lo circondano e gli
sputano rabbia e saliva. E le mie pupille sono come radar, spie di uno di quei
satelliti che controllano dall’alto continente per continente, nazione per nazione,
città per città, quartiere per quartiere, casa per casa. E alla fine ti beccano lì in
quel tuo momento banale di vita. Che so, una partita di calcio mentre i compagni
si accatastano su di te fra questi monti che detestano il mare. Fra questa gente
che odia di domenica per odiare meno di lunedì, martedì, mercoledì, giovedì,
venerdì, sabato. Odio e rancore che ora vorrebbe far-selo allo spiedo questo
arbitro qui.
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Sesto pezzetto
Anicetto Allarme, 17 aprile 1941. Decise di degnare il mondo della sua presenza
quando la fortezza volante passò sopra questa città e le sirene iniziarono ad
ululare.
A lui piaceva raccontarla così: degnare il mondo della sua presenza… la fortezza
volante… e tutto il resto della tiritera. Lo faceva sentire meglio raccontarla così.
Dunque, Allarme sta per allarme aereo. Anicetto sta per Sant’Anicetto, il santo
del giorno, 17 aprile appunto.
Il cognome non si è mai saputo, o forse nessuno lo ricorda più. Tanto per tutti è
sempre stato Signor Anicetto. Al massimo per quelli del quartiere, quello che si
affaccia sul porto, Anicetto Allarme. Mezzo arabo e mezzo ebreo.
Hanno sempre avuto un certo gusto a beffarla la vita da queste parti, una certa
voglia di non prenderla mai troppo sul serio, per non darle troppa soddisfazione,
dato che se ne prende già troppa di suo. E se così non fosse, se non avessero il
gusto di fregarla ogni tanto la vita, il fato, il di-vino disegno o vattelapesca tu
cosa è, il mio mister non lo avrebbero mai chiamato Allarme che non è il suo
sopran-nome ma proprio il suo nome registrato all’anagrafe.
cipio fascista che non fece una grinza a sigillare sui reali ne… così bene… che
sono riuscito a formare… No, gli di-registri un nome da avanguardia futurista,
da gloriosa co sono riuscito a plasmare… No, forgiare… Sì, forgia-trincea. E
neppure il parroco fascista fece una grinza, per-re… forgiare un giovane
talentuoso… Sì, talentuoso mi ché poi Anicetto era il santo del giorno.
– Per me non chiedo nulla, sto bene dove sto… sem-fuori la sua carta d’identità
logora.
mai…
società.
Di signor Anicetto so solo questo e che a modo suo mi Mi porta dopo che il
campionato è finito e sulla mia car-volle bene.
Uno studio immenso, il parquet scuro come i divani fatti Anche se ai piani alti
non ci è mai salito, Anicetto que-arrivare apposta dall’Inghilterra, pareti
blasonate di foto sta volta si è messo la giacca e i pantaloni e si è fatto co-in
bianco e nero delle squadre del passato, di coppe e me-raggio.
– Andiamo…
Signor Anicetto si trattiene per pochi minuti poi sbuca Passo veloce, falcata
larga, come in allenamento e la cra-fuori e mi dice che devo tornare domani con
i miei genito-vatta che sembra un tergicristallo: ora a destra, ora a sini-ri per una
firmetta, niente di più.
stra. Metronomo dei suoi passi e dei miei che lo seguo e riordino i pensieri. Lui
pure. Io a voce bassa, lui alta. Fa le
***
Mai visto mio padre così felice. Mai visto Signor Anicet-questo ragazzo…
to così. Così senza una ruga sul viso, disteso, sereno. Né Poi mi guarda: – No, a
te ti lascio fuori, prima entro io, prima né dopo gli allenamenti, e tantomeno
dopo la che-poi ti chiamo…
mio della moglie sotto l’occhio di zio Nannino. Solo a fine Io faccio sì sì con la
testa.
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Ma forse era una risata nervosa. Che non gli ha mai di-Pigì, usa la penna come il
fioretto. Il polso volteggia nel-steso le rughe.
– Benvenuti.
Dire sempre di sì al mister che è un tipo un po’ più alto Mai visto mio padre così
felice, così raggiante. Così rag-di signor Anicetto, un po’ più giovane.
– Suo figlio avrà assistenza medica, formativa, non gli Anche il nuovo mister
deve dire qualcosa.
schiaffoni. Sono un martire ragazzino e qui non c’è nep-E mi esce così: – E la
scuola? i compiti di scuola?
pure il Cristo in tela, Nostro Signor Gesù rockstar marti-Fesso, ragazzino e fesso
e ragazzino.
re che mi sorride.
– La ringrazio…
ni, ride il nuovo mister. Il vecchio Allarme inarca le so-Mai visto mio padre così
raggiante.
praciglia come dire: non dire altro, non dire altro fesso,
– Però io l’avverto: non si faccia illusioni. Non crei l’avrei voluta avere io
un’occasione così nella vita invece aspettative, a sé e al ragazzo.
io non l’ho avuta e tu sì e quindi stai zitto farà la tua feli-Il cavalier Antoni lo
tiene per le redini: cità che non è stata la mia, stai zitto e mannaggia a ’sta sto-
***
E mio padre si fa guidare:
sbucare fuori io. Forse lo faccio per punirmi: chiodi sui Il presidente cavalier
Pier Luigi Antoni, per gli amici polsi, flagelli sulla schiena, piombo rovente e
mutilazio-52
53
della palestra, fra questi scaffali, alti, altissimi con la scaletta mobile con i
cuscinetti a sfera che corre veloce fra i Tutti si misero a ridere.
binari e si ferma alla Stazione dei libri romanzi, alla Sta-Fesso e ragazzino.
zione dei libri saggi, libri latini, libri greci, libri traduzio-Ai professori fu
imbucata a casa la busta con i blasoni ni, alla Stazione dei libri medievali
eccetera eccetera.
– Buonpomeriggio cavaliere…
blioteca, applicato.
***
Eccomi fra i corridoi del mio liceoginnasio. Eccomi E se la ride Ottavio mentre
le sue dita vanno sicure ver-che martello i tacchi su questi pavimenti lucidi e
questi so il terzo volume da destra, scaffale tredici, piano quarto soffitti altissimi.
E i miei passi rimbombano e sento il scomparto A.
– L’ebreuccio! vai con l’ebreuccio per il professor Italo L’unica cosa che sono
riuscito a ottenere è il mercoledì Ortu, terza C…
mattina. Il mercoledì mattina il preside ha detto che posE quasi canta mentre la
scaletta corre e fa rumore di tre-so aiutare Ottavio. Ottavio, applicato
bibliotecario della no sui binari. Tadàn tadàn. Verso la stazione dei libri rac-
biblioteca del liceoginnasio, sa cosa vengo a fare qua giù conti stranieri.
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– Pare così duro restar scapolo, e da vecchio, con grande Ottavio ha fatto il
carabiniere ausiliario a Roma, anzi a diminuzione della propria dignità…
compagnia…
– Era dunque necessario a Moisè trovare il populo d’I-O forse scaffale 21, piano
quinto, scomparto E. Otta-sdrael, in Egitto, stiavo e oppresso dagli Egizii…
Becca vio si dà due pugni sulla tempia.
Vanni!
– … essere malato e dall’angolo del proprio letto per setti-Il libro precipita.
Canestro. E la scala riparte con un fi-mane intere contemplare la stanza vuota…
schio verso la Stazione dei libri fisica e chimica. Li odio i E se la ride di nuovo
mentre le sue dita vanno verso vo-libri di fisica e chimica.
rio di scaffali.
E guarda me, che lo guardo da sotto. Lui sopra, all’api-ce della scala. Io sotto, al
primo piolo.
***
Passi per gli addominali alti e per gli addominali bassi, E me lo lancia. E siamo
come nel baseball, lui lancia io gli assist e i passaggi fluttuanti, i pallonetti e le
fucilate agli acciuffo con il mio guantone, cesta in vimini che profuma incroci
dei pali. Potevo farlo, ok potevo farlo, senza prodi muffa-carta. E quasi non
faccio in tempo a beccare il blemi. Glielo concedevo, in fondo non mi costava
nulla.
– Tiè! Vanni, quest’altro leggitelo tu, inizia dal raccon-Uno: leggere. Due:
leggere e ripetere. Tre: leggere e ri-to del babballotti…
sce.
vato sino a qui, se ho resistito così a lungo, anche se oggi ho undici figli, il primo
è fisicamente poco appariscente…
posso dire Ultima di Campionato, be’ allora il merito, se Un colpo di reni e la
scaletta riparte.
– … ma serio e intelligente…
Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ri-Solo poche traverse più in
là.
– Er principe! Er principeeeeeee …
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Settimo pezzetto
Eccomi, sono nello scintillante spogliatoio dei tipi più grandi. Gli altri non mi
guardano ma io so che mi pensano. Ho lo scandaglio sotto pelle, io.
Il branco ha sempre un capo. E anche questa è una co-sa banale che tutti sanno.
Eccolo, si chiama Demetrio ed è alto, altissimo. Non gli rispondo, levo dalla
sacca la mia attrezzatura. Tanto so che mi si farà più vicino e mi soffierà dietro
l’orecchio.
Poi mi passerà un dito sulla spalla come per levarmi della polvere. Su e giù,
sempre più insistente.
– Allora Fischio… a chi vuoi rubare il posto… qui tutti hanno un ruolo cerca di
non romperci le palle… al massimo qui c’è un posto come massaggiatore… di
coglioni.
59
***
chi.
Le scimmie chiamavano quel luogo la loro città Nessuno osa più sfidarmi oggi.
Nessuno, solo i compa-Come un orango.
gni per il gioco degli integratori salini. Il gioco della mira e fingevano di
disprezzare il Popolo della Giungla che per ora è un gioco, qua giù. Qua giù in
questo spoglia-Come un Bandar-Log. Animale dei rami.
toio dove tutti hanno passato pure di peggio per arrivare Si grattavano le pulci e
pretendevano di essere Uomini sino a qui, ma erano disposti ad accettarlo.
Sapevano e vo-Avanza con le braccia che gli pendono e le orecchie pic-levano.
Volevano arrivare sin qua giù nello stomaco del-colissime e basse. Su una testa
enorme.
***
– Minchioni, qua vi dovete mettere! Qua… quante vol-Ma non questo qui, non è
quel genere di topo. Questo te ve lo devo dire… Demetrio… qua… cazzo…
qua… E
non la acciuffa la palla, che entra rapida nella rete. La mia tu Visco avanti! dài!
ritira!
Sono Vanni Visco, il futuro campione. Sono il principe Lui si lancia ma cade
pesante con la faccia a terra.
dieci… cazzo… dieci te ne sei fatto fare… neppure uno La mia faccia non
trasmette emozioni, i miei occhi pun-ne hai parato.
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nea all’altro. Il mio filobus va dagli antichi rioni ai nuovi Calcio un siluro. I
ragazzi della barriera vedono passare quartieri, palazzoni che hanno l’aria di
avere già dato. So-rapidissimo il pallone sulle loro teste. Un siluro. Angolo no
cresciuti in fretta e con rapidità sono invecchiati. Mu-destro. Rete.
tui alti e case troppo strette che tutti hanno dovuto chiudere i balconi con i
profilati in alluminio bronzato e i vetri Riordino calzoncini e maglietta nella
borsa con i colori smerigliati per farsi un po’ di spazio.
Uno: riporre le calze. Due: riporre i calzoncini. Tre: ri-Perché prima, qui, c’era
solo lo stadio, quello del nostro porre la sottomaglia. Quattro: riporre la
maglia… cinque: primo scudetto dove oggi ci fanno l’hockey, su prato.
Il mio filobus viaggia dal viale sotto le carceri alla piazza Chiudo la cerniera
lampo della sacca, punto l’uscita e: della via per il mare. A volte mi piace
perdermi, sul mio fi-
avanti.
– Vanni, Vanni, scusa… se vuoi da domani veniamo al Si parte dal viale sotto le
carceri con gli alberi che quasi campo insieme, i miei per i diciassette anni mi
hanno re-si intrecciano, fanno tunnel e il sole non ci passa.
galato il Vespone…
nano dalle lezioni. Hanno sempre mille fogli e copertine c’ho l’abbonamento…
lucide e fotocopie sotto il braccio. Ci sono quelli che chiac-Che è come un lascia
passare, questo abbonamento. La chierano e chiacchierano e quelli che fumano
sigarette e, chiave per aprire tutte le porte di questa città che non seduti sui
sedili, sprofondano la faccia e i mozziconi nei odio né amo. Che amo e odio
perché tutte le città dove sei libri. Sembra che ci siano i segreti del mondo in
quei libri nato sono così. E anche questa è una banalità che tutti e loro hanno le
facce di chi li capisce. Hanno facce serie.
sanno.
Soprattutto le ragazze, quelle che fumano le sigarette e i ragazzi non se le filano
neppure per un caffè al bar lercio Il mio filobus che taglia in due la città con i
doppi cavi dall’altra parte della fermata. Ma loro credono che con sospesi
nell’aria.
quelle sigarette e quelle facce preoccupate che figgono Taglia in due questa città
nel suo percorso da un capoli-nei libri qualcuno un giorno se le filerà un po’.
Andrà a fi-62
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nire che loro ci crederanno davvero che stanno interpre-magari i pittori e gli
attori - hanno fatto un convegno sul-tando i segreti e saranno le ragazze più
arroganti del l’immaginario ospedaliero e nel manifesto c’erano anche mondo.
le foto di Edvigefenec che è una bona, come tutti sanno, A volte sbircio e vedo
che i problemi del mondo sono con il culo così e le tette così che prima faceva
filmetti così numeri e numeri e frazioni ed equazioni. I problemi del e tutti in
corsia quando ci finivano speravano di trovarci mondo. A volte sbircio e vedo
che i problemi sono pensa-una così ed era l’unico motivo perché in ospedale
poteva-tori tedeschi e pensatori inglesi e pensatori americani no ancora sperare.
– Sto comparando…
no lo stipendio da mesi, lei in tivù non è apparsa e non c’è E il tipino che aveva
la stessa borsa con le frange in pelle stata conferenza stampa sulla classe
infermieristica, e sul-scamosciata le ha detto:
***
è messo lì fermo in piedi quasi a farle la guardia. Ogni sera sul mio filobus fanno
così, lei compara, lui fa la guardia.
Fermata cinque e sei: non sale mai nessuno. Sale qual-cuna solo la sera, la sera
prima della cena. Sono tutte don-
***
ma aiutano a vivere. Lo ha detto mia nonna e io quando Non so che fine hanno
fatto i ragazzi del mio filobus. So incontro i frati penso sempre a Nostro Signore
Gesù Cri-solo della tipa che comparava. L’ho vista in tivù.
sto martire rockstar che gioca a pallone con la fascetta Onorevole non-so-che-
cosa del partito non-so-che-co-contro il sudore e i capelli lunghi.
65
ri…
Se la ridono con quei lacci di cuoio in fronte che gli Mi piacciono i palazzi
vecchi e ogni giorno scopro un bloccano i capelli lunghi, come le rockstar
martiri.
particolare che i restauri fanno brillare. Vorrei entrare in quelle case perché ho
come la sensazione che nascondano Alle fermate sette, otto, nove, dieci e undici
ci salgono segreti e misteri perché l’hanno vista crescere questa città.
quelli delle compere. E mi schiacciano e io, io, cedo sem-E cerco di leggere
rapidissimo le targhette in ottone luci-pre il posto alla signora più carica e più
rugosa.
– Prego signora.
– Grazie ragazzo.
famiglia Cao Schinardi. Quelli che hanno tre campanelli La strada è stretta
stretta e la gente entra nei negozi, luci di fila mi mettono invidia - chissà quali
segreti - e cerco di al neon, per non farsi schiacciare dal mio filobus. Qualcu-
scoprire le loro finestre e una volta ho visto affreschi ai no bestemmia e a
seconda del conducente sono rogne e soffitti e lampadari con gocce giganti.
una volta pure colpi brutti. Una volta, il conducente si è Ingegner Grimaldi Pilo,
dottor Maxia, niente. Quelli con infiammato perché i tipi - gente con le camicie
aperte sino le targhette in ottone lucido e liscio senza l’incisione - nien-allo
stomaco e i medaglioni e gli anelli - gli avevano cerca-te, appunto - hanno
segreti e misteri ancora più grandi.
quello, il più grosso, non è crollato e lui e gli altri lo hanno sbranato il
conducente. Sono dovuti arrivare i vigili urba-Sul filobus deserto della sera mi
piace stare col muso ni a levarglielo dai canini. Però la gente del filobus al con-
appiccicato al vetro e sento le porte che stantuffano: apri e ducente pieno di
sangue lo ha applaudito quando è risali-chiudi, apri e chiudi. I segreti della
meccanica. E penso di to e siamo ripartiti.
essere a bordo di una carretta fantasma e maledetta che solca mari morti e porta
sospiri e lamenti.
Fermata tredici: salita fissa. Regolare che il filobus ci Abbasso gli occhi e aspiro:
oli e gomme grosse bruciate.
perda le antenne che ondeggiano nell’aria e quasi toccano Poi li riapro e lascio
che le lampadine giallolurido mi ac-i palazzi vecchi con gli operai che ci
lavorano sopra come cechino e vedo tutto sfumato, appannato, dilatato e i fari
ragni e urlano.
67
***
Appiccico naso e bocca al vetro grosso e respiro pesan-Le mie antenne, il mio
scandaglio sotto pelle, lo aveva-te. Sento l’odore della mia città che suda
condensa e ap-no rilevato subito. Forse il mio fisico era nato per questo panna
questi vetri.
ma la mia mente sarebbe potuta andare molto più in là e la Faccio scivolare le
labbra e sento il sapore, mare salato e mia anima non sarebbe stata soddisfatta.
polvere nera, gas di scarico. Una volta ci ho anche passato Ma non sono mai
stato un figlio ribelle. Non potevo es-la lingua, per assaggiare.
***
Alle altre fermate, sino al capolinea della piazza dello Mio padre è un tipo
pragmatico ma non senza cuore.
se, o è ancora con quella tedesca e ora chissà dove se la sta Mi guardo le scarpe
ed evito la riga fra una mattonella e spassando. È già capitato a tanti ragazzi,
vedrai che lo ve-l’altra. Riga, hop e salto. Riga, hop e rallento per non finir-
dremo spuntare con un’altra bella stangona…
– Speriamo… speriamo che non si presenti anche con re questi. Scendo qui
perché ora qui ci abito, oltre lo sta-un nipotino… in… in braccio…
dio dove una volta i ragazzi, i giovani della squadra, si alle-E piange.
navano e invece oggi ci alleniamo dall’altra parte della Vorrei essere anche io un
figlio ribelle. Presentarmi a città, un po’ fuori dalla città fra i campi di gomme
bucate, casa con tutti i miei libri nascosti nell’armadietto dello bruciate esauste.
In mezzo a questa diarrea di periferia c’è spogliatoio e dire:
coli spalti di plastica colorata. Un’oasi arrogante nel de-Dire a mio padre che del
calcio non ne voglio più sape-serto di erba lercia dove qualche volta c’è pure
qualche re, dire a mia madre che vorrei fare cambio, cambio di vi-pastore e
qualche pecora ancora più lercia dell’erba e delta. Andare al liceo e basta e
studiare latino-greco e filoso-le gomme.
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Ottavo pezzetto
Così avrebbe detto mia madre - senza cuore - che ora si consuma nel salotto.
Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere e leggere. Quattro:
ripetere e basta.
Uno: leggere. Due: leggere e ripetere. Tre: leggere e ripetere e leggere. Quattro:
ripetere e basta.
– Ottavio, Ottà…
Ottavio stava sulla branda e fumava, piano piano e faceva cerchietti. Con la
mano destra pizzicava la sigaretta.
– Moderni come?
E faceva cerchietti.
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– E dov’è?
E si spazientiva.
Tu però chiamalo signor Rocca. Senti, fai così. Vai lì e gli Nove
dici, bravo bravo: Signor Rocca mi manda Ottavio, Otta-Quello del carpentiere
mentre
vio il suo dipendente che ora sta al liceo. Vai lì, bravo bra-misura tavola o tronco
vo, e gli dici: sono qui per imparare. Tu digli così: sono Dieci, undici
qui per imparare, non comprare capito? Imparare. Non Quello del muratore
mentre
comprare.
– Sficino sfzona sfedonale, sfvia Sfvenezia, sfvia Sfve-E odo il canto del
calzolaio
nezia. Capito?! e mo non rompermi li cojoni.
seduto al deschetto
colorate.
E 20… Melodiose!!!!
Erano mesi che non avevano più notizie. Luigi, mio fratello.
Sì, fu da quel giorno che al rientro scesi dal filobus die-Fu quella volta, la prima
volta col metodo.
ci fermate prima e tornai a casa carico di nuovi libri na-Quattro: ripetere e basta.
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Sul banco ci sono i gomiti di un tipo sulla quarantina, ha Eccomi, sono incantato
al centro di questa giostra, fra gli occhi azzurrissimi, e quasi ride.
che signor Rocca è lì davanti a me che mi sorride o forse Degli occhialini che gli
penzolano sulla camicia crema.
ride.
Sbircio.
E lo seguo.
– No, però ne parlano tutti bene, di solito leggo roman-Per me c’è un corridoio,
stretto e lungo e alla fine una zi non saggi.
La libreria è peggio del mio bus quando mi porta a scuola. La gente spinge, si
agita fra gli scaffali, afferra, sfoglia, va alla cassa, poi ci ripensa e ritorna alla
cassa e poi agli scaffali e poi di nuovo alla cassa con altri libri. La libreria è
peggio del mio bus quando mi riporta da scuola con le signore che chiacchierano
e non la finiscono più e mi pun-gono le gambe con le buste della spesa cariche di
carciofi.
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75
Nono pezzetto
Decollo, volo. Eccomi alla tre quarti, la palla al piede, salto un avversario. Me ne
trovo un altro davanti, finto, lo lascio di stucco e lo supero. Sono davanti al
portiere, a sinistra arriva un difensore. Prendo la mira, mi sento come un pilota
su un Mig. Avvistamento, puntamento, fuoco.
Eccomi sul terreno di gioco che sarà il terreno della mia vita. E non ci sarà via di
scampo se lascio che il mio fisico faccia ciò che sa fare. Se le mie gambe
sapranno saltare e correre e dribblare e ballare con un pallone in mezzo ai piedi e
sapranno cucire nuove balistiche e infrangeranno le leggi della fisica e
dell’umano intelletto.
Eccomi, ecco che vado via da questo campo che non mi appartiene e corro verso
gli spogliatoi. Con la rabbia che mi divora le viscere.
Corro sotto la doccia e rimango lì nudo sinché l’acqua calda non diventa tiepida
e poi fredda.
77
***
sulla panchina della squadra dei grandi, la serie A pro-Ok, gioco da ragazzi.
Dovevo soltanto saltare un po’ di prio nell’anno del nostro quinto scudetto.
Giocai poco, più, essere un po’ più veloce. Far fare al mio fisico quello anzi
nulla. Ma osservai tanto, tantissimo, abbastanza per per cui era stato creato.
capire che mi ero ficcato in un brutto guaio. Avrei potuto ingoiare e digerire tutta
la biblioteca nazionale britanni-
***
ca, non mi sarebbe bastato, avrei comunque dovuto fare i conti con tutti loro e
quelli che c’erano dietro e quelli che E allora eccomi, eccomi con la palla a metà
campo: pas-c’erano intorno.
so, mi smarco, corro sulla fascia, aspetto che ritorni la Lo capii dopo la prima
volta che scesi in campo, un an-palla, ed eccola puntuale. Un pallonetto per il
piede sini-no dopo. Lo stadio ululava e la squadra non girava. I stro che sposto
sul destro.
compagni avevano la testa imballata, le gambe imbriglia-La mia mente era uno
specchio
te. Il mister sbavava e ringhiava peggio di un cane da pre-vedeva ciò che vedeva,
sapeva ciò che sapeva.
sa. In campo i miei ragliavano come asini alla luna, ma In gioventù la mia mente
era solo uno specchio non si mettevano d’accordo, non si intendevano con gli
d’un auto in rapida corsa,
sguardi, figurarsi con le parole. Fu forse per rabbia, sicu-che coglie e disperde
frammenti di paesaggio ramente per umiliarlo che il mister fece cenno a Magni
di Un treno in maglia biancoazzurra mi punta, ma ho già uscire dal campo, a me
diede una pacca sulla spalla e bi-capito il gioco, arriverà dritto sulle caviglie,
basta aspet-sbigliò: Preparati.
tarlo sul binario e poi spostarsi all’ultimo istante. Lui an-Sugli spalti si scatenò il
finimondo, urla, fischi. Forse al drà dritto, mi sfiorerà ma non mi colpirà. Come
da copio-mister non venne risparmiata fra gli insulti neppure la cu-ne, volo verso
l’area di rigore.
gina di quinto grado. Ma lui era lì, impassibile, sicuro di Poi con il tempo grandi
graffi solcano lo specchio, voler punire Magni, il campione, il capocannoniere
che e lasciano che il mondo esterno vi penetri non era in grado di piegare quella
squadretta ancora fre-e il mio io più segreto vi affiori.
messa nelle loro vite, non avremmo avuto una città con il Ne arrivano altri due,
sul gioco a tenaglia non avrei 35 per cento di disoccupati.
scampo e allora… di nuovo sul mio Mig: avvistamento, Non fu un buon inizio.
Venni atterrato al primo contat-puntamento, fuoco. Angolo sinistro della porta.
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La mente vede il mondo come cosa a sé, stato un fenomeno ma per poco, morto a
23 anni alcoliz-e l’anima unisce il mondo al proprio io.
quando dovrà stendere il mio epitaffio. Potrebbe leggersi Spoonriver, così giusto
per prendere le misure. Ma ho
***
Quelli che stanno dietro, intorno, sono i peggiori. E an-Da giovane le mie ali
erano
forti e instancabili
L’ho capito quella sera, con i capelli ancora bagnati e il ma non conoscevano le
montagne.
blazer infilato in fretta e furia, sotto i riflettori delle tele-Da vecchio conoscevo
le montagne, ma le mie ali stanche camere, ferito agli occhi dalla slavina dei
flash.
sapevano dire altro. Un prodigio che aveva salvato la squa-Il genio è saggezza e
gioventù.
E come ci si sente e che effetto volete che faccia? Niente e nessuno avrei voluto
rispondere. Specie a quello che sentivo in cuffia. Mi urlava trafelato che prima di
me a quell’età solo un certo Passito dell’Uruguay nel milleno-vecentosettantadue
contro il Paraguay nella Coppa Sud America a Rio De Janeiro al
quarantaduesimo del secondo tempo arbitrato da tal Fritz tedesco ma oriundo ar-
gentino che aveva arbitrato pure Italia-Svizzera in amichevole…
Un autistico.
Lo vidi il lunedì notte alla tivù, sguaiato con quel colore di capelli biondo antico,
quasi bronzo. Sbraitava che i ragazzini al calcio non bisognava farli giocare, si
chiedeva se il mio equilibrio psichico avrebbe retto, che rischiavo di essere un
fuoco di paglia. Raccontò ancora del povero Passito, senza le censure del giorno
prima, perché, sì, era 80
81
Decimo pezzetto
Un cenno della mano e uno degli occhi. Rocca spulcia gli ordini aggiustandosi
gli occhialini a mezza luna. Chino su quel bancone in noce. Sul quel bancone
dove mi aspettava già una pila di libri. Quelli che stavo leggendo, spuntano i
segnalibro. Quelli ancora da leggere, con le pagine incollate.
Fra gli scaffali alti, imponenti, si apre il corridoio. Il corridoio stretto che porta
alla piccola stanza esagonale.
Signor Rocca non mi chiede mai una lira ma io pago puntuale a fine lettura.
Ritiro il libro che voglio non resti lì.
Signor Gabriele Rocca mi ha sempre capito. Bastarono solo due parole il primo
giorno. – Seguimi. – E lo seguii. –
Puoi leggere qui se vuoi, nessuno ti disturberà. – Bastarono poche parole. Come
con mio fratello. – Fagli il culo Vanni. – Gigi, mio fratello, che hanno trovato
gonfio co-me un palloncino in un canale di Amsterdam. Overdose, disse
l’ambasciata. E il viso mangiato dai pesci.
***
ria.
In questa città non era difficile neanche fare affari se eri Gigi, solo Nannino ebbe
il coraggio di vederlo prima qualcuno. E tutti volevano farti fare l’affare e poi
dire: che gli saldassero sopra il coperchio di zinco.
scaldamento centralizzato.
È rimasto zio Nannino e i cugini. Ma quelli li sento solo Alla fine ne ho preso
una sopra le banche. Sotto ci sono all’inizio della stagione quando gli invio
l’abbonamento.
È rimasto lo zio perché gli altri li ha divorati il dolore. In Ma ora, come ieri, a
casa ci sto poco. Oggi la sera in verità è restato anche mio padre, ma per metà,
un po’ qui poltrona con un libro, ieri davanti alla tivù con Demetrio e un po’
chissà dove. È restato ma non sente più nulla. Alche porta le videocassette per
rivedere ogni nostra azione meno credo. Così mi sembra quando vado a trovarlo
in ogni nostra mossa sul campo. E questa è una cosa che tut-clinica. Ma forse è
solo una mia speranza.
Eccomi sono qui che mi ricordo quando ero lì, al fune-Uno: registrare. Due:
guardare e riguardare. Tre: capire rale. Indosso la giacca della società. Affianco i
miei, die-e non sbagliare più.
tro tutta la squadra e signor Anicetto e Mister Ettore e Demetrio, quando ancora
mascherava. Demetrio quan-Demetrio e il mister nuovo e Magni che piangono
come do ancora eravamo compagni di squadra, anche se lui in vitelli. E ci sono
anche quelli che hanno scritto sui muri A c’è arrivato dopo di me. Anche se lui
era più grande, an-della città: Tutti a Torino per Gigi. E io non ho capito, che se
lui l’invidia l’aveva nascosta bene.
tutti chi? A Torino per chi? E perché? Per chi? Per loro?
Per me?
Eccomi a mettere nel conto le fregature. Ma non mi levo Per me che non posso
piangere né mai più dire “basta, dalla scatole per questo. Questo è troppo banale.
Non per sono anche io un figlio ribelle”?
questo, per nessun’altra ferita: non valgono quello che sto Dopo andai a vivere
con tutti i miei libri.
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È stato così per ogni anno della mia carriera. Finita la Deve aver visto quella
trasmissione televisiva, quella del partita, di corsa a casa, poi a ballare. La prima
volta che mi calcio in favore delle adozioni a distanza. C’ero andato, ci hanno
portato avevo vent’anni, avevo resistito a lungo avevo devoluto qualche milione.
***
***
sh. E un bel paio di gambe. Belle ma fragili. Dopo dieci La musica viaggia e non
è neanche il solito rigurgito di minuti di balli era già stanca. Si fece
riaccompagnare a ca-questi posti qua. Le luci tagliano l’aria e sto anche per but-
sa e si fece rimboccare le lenzuola, con me dentro.
86
87
***
Guai! Gli urlava Ottavio con la faccia del demonio dell’inferno dei cani
quadrupedi che vogliono diventare bi-Sono una corda, teso. Mai fatto. E ci provo
col metodo.
– Guai!
la coscia destra e un dito sulla coscia sinistra… Le code E questa rantola per
qualche minuto e poi di nuovo ad-delle cassette di Demetrio… In coda alla
nostra partita ci dominali alti, addominali bassi, flessioni, anche e glutei.
sono sempre due che se le danno di santa ragione, per po-E io alleno braccia e
mente.
sempre stato un po’ avido e ci registrava sopra - le nostre Uno, due, tre,
quattro…
e basta.
Tipo: flessioni, flessioni, addominali alti, addominali E lei urla e trema come una
tarantola e spalanca la boc-bassi, glutei, fianchi.
e sembri bruna
***
pizzicano le guance poi il petto, mi scoppiettano i capelli poi la gola, mi si
asciugano le labbra e guaisco come il cane Frazzi sparito con la biondina
raccontò di certi giochi di di Ottavio con la prof Cardìa.
tro non ne aveva voluto sapere, e via tutti gli altri a sfode-Ma questa mi sta
artigliando una palla, me la artiglia con rare posizioni, prestazioni, ritmi,
orgasmi, erezioni da re-le sue unghie smaltate e finte.
– Guai!
È sempre stato così, ne ho visto mille giocatori finire E io riporto tutti a cuccia.
Come il cane di Ottavio giù nelle spire del Paradise. I pudori arrivano nei mesi
succes-nella biblioteca del liceoginnasio quando scendeva la prof sivi, pian
piano Frazzi iniziò a parlare sempre meno dei gi-Cardia, che era pure rachitica,
ma per lui che si attaccava ri di lingua della biondina che nel frattempo aveva
iniziato alla gamba non faceva differenza.
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ritorno non si lamentò più della sua Erika. Le rivelazioni, i il diverso va sempre
tutelato e, ampiamente, con i dovuti kamasutra da spogliatoio, i racconti
boccacceschi forma-distinguo, compreso. Il diverso.
to tacchetti e calzoncini, finirono per farsi più rari. Un Così direbbe. Magari a
telecamere accese. Sulla mia processo inversamente proporzionale
all’avvicinarsi della tomba.
E rido anche io ora con loro che col metro stanno misu-Così direbbe. Magari in
prima pagina. Dopo il mio fu-rando M’Botò, dicono che è un dinosauro, ottima
dote nerale.
per il Paradise.
Balle.
Ora rido perché l’altra mia carriera l’ho iniziata lì, in di-Temo solo che qualcuno
rientri nel mio mondo che si sco. Ridacchio perché so che il solito stregone in
vena di regge su un fragile equilibrio. E anche questa è una bana-analisi
psicologiche azzarderà che circolava in me un’olità che tutti sanno.
mosessualità velata. Con tutte le cautele possibili, igno-Ma è solo una questione
di istanti, domani il mio piane-rando la fattispecie del caso ed essendo fra l’altro
etica-ta verrà disintegrato da un meteorite gigante. Clic e mi le-mente
contrarissimo a qualsivoglia parere fondato su una vo dalle scatole.
***
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Due che viaggiano verso i quaranta. Due che si masche-vuoi giusto tenere
d’occhio. Così quando lì in basso, o in rano con abiti alla moda e creme. Ma gli
occhi e la bocca le alto, scegli tu dove posizionarla - la finestrella dico - suc-
tradiscono.
secchi pugliesi. E lo so, levato il reggiseno sarà pure peg-Peccato però che poi i
tipi, i loro tipi, alla faccia del PP, gio. Ma hanno il culo niente male.
della città.
Loro sono l’eccezione che confermano la mia regola: in-Svaniti, evaporati con
tipine ventenni o giù di lì. E que-tellettualmente piatte, umanamente aride e
arrabbiate.
ste due vecchie disgraziate, unite dal destino, si sono in-Furiose perché a
quaranta devono ancora uscire in cop-cazzate a morte. E sono rimaste sole con la
tivù pikciarin-pia, come ai sedici e ai venti, anni dico.
– Praticamente uno a fine serata mi guarda e fa: andia-gli sgabelli della cucina, le
poltrone in pelle, tv siderale mo da me o da te?
Te? Ma manco abbiamo mangiato nello stesso piatto as-Il sistema picture in
picture è quello che ti permette sul-sieme. Da Me o da Te? Ma vai…
la tivù di aprire una finestrella con un altro canale e segui-Ma tanto non ci credo
che è andata così.
93
quella cosa, quella cosa che fanno un casino di passaggi in erano così. Non so, so
solo che queste due ai trentuno, an-tivù…
della testa…
– Come quel vostro compagno, quello che stava con affari loro.
quella che faceva le sfilate, quella che se la faceva anche Cacchi loro se a cena
hanno vomitato veleno su tutto e con quello che cià la concessionaria, lì, lì fuori
nella zona tutti, se per strappare i contratti migliori si spolpano il industriale,
quello che poi dicono, oh può anche essere di cliente, dopo essersi spolpate la
concorrenza, dopo esser-questi tempi, che le auto arrivavano rubate dai
parcheggi si spolpate il conto in banca per un fuori strada maxi mo-degli
alberghi in California, a Las Vegas…
schermo piatto piatto che più piatto non si può, le salverà Abbiamo venduto?
Come: abbiamo?
sa per qualcuno.
– Dàiii e dài che lo sapete anche voi perché l’abbiamo lì che abbiamo pagato per
la piscina fronte stanza, perché venduto, dài che lo sapete… oh ma non ditemi
che crede-il depliant diceva fronte stanza e invece era lì a cento metri vate anche
voi che era depresso.
– E anche clienti del caffè e minimo minimo li giravamo altri. Manco più sulle
gambe si reggeva.
all’agenzia del cognato che dopo che se n’è scappato con Forse pure prima -
prima della fuga dei tipi - queste due la sorella più piccola dopo aver lasciato la
più grande e si è 94
95
aperto un’agenzia da solo, li brillavano gli occhi solo al cerco di non cadere
infilandomi i pantaloni. Rido e De-pensiero. Oh a quello li brillano gli occhi solo
se lo telefo-metrio mi tappa la bocca. Guai se le svegli!
no io.
Rido mentre scappiamo nel corridoio e ripenso al loro Gli, pronome personale.
culo che fuori dai pantacollant era peggio dei secchi pu-
– Che anche loro vengono al caffè e li abbiamo fatto la a queste due anche i
tessuti.
polizza vita.
Rido mentre Demetrio mi sventola l’ultima Polaroid Gli, pronome personale.
– Appunto… praticamente li abbiamo detto chiaro Rido mentre penso ai lori aliti
fetenti. Perché quando chiaro che prima o poi ce la pagava. Non è per i cento
uno odia, quando fende rabbia senza colpire, a casaccio, metri, non è per il
vialetto, anche se, sia ben chiaro, prati-allora gli puzza pure l’alito, e anche tutto
il resto. E so-camente io dei serpenti ciò davvero paura. Che schifo prattutto giù,
laggiù dico. Scientificamente provato, lo tutti viscidi…
dice la casistica. E lo dico pure io a Demetrio che ora se la Non sono viscidi.
vendeva cipolle e verdura al mercato civico, che poi venE mi guarda con quegli
occhi laser.
– Vai affanculo.
non gliela comprava, i soldi non si fanno vendendo cipol-E non ci metto nessun
affetto e nessun pentimento.
E queste ne hanno una per tutti. Una per i peccati di tutti. Nessuna per i propri
peccati.
***
Eppure è così semplice. Chiodi sulle caviglie, frecce sul costato, olio e piombo
bollente, mutilazione e scarni-Sono stato Vanni Visco macchina del sesso, caldo
e ap-ficazione. Basta prendere coscienza. Ma queste coscien-piccicoso e
nauseabondo. Ma poi ho imparato, pian pia-za non ne hanno. Hanno solo un
micro-onde che gira ra-no. Ho imparato a scegliere. Ma soprattutto a scartare.
pido.
Così ho capito che si può andare oltre l’allenamento. Ol-Io invece prendo
coscienza. E giuro a Demetrio, Mai tre le Polaroid.
97
***
tato in quel suo modo, riprende a spulciare gli ordini ag-Poi, verso sera, ora di
chiusura, mi ha sempre raggiunto giustandosi gli occhialini a mezza luna. Chino
su quel nella stanza esagonale, a parlare, per scambiarci le nostre bancone in
noce. Sul quel bancone dove mi aspetta già di visioni, e per capire se queste
pagine ci hanno dato oc-una pila di libri. Afferro i volumi, lui alza lo sguardo e
mi chi nuovi a rivedere il mondo fuori di qui.
sorride.
Ma da qualche tempo non è ogni mercoledì che signor Strano. Sono mesi che
non sorride più. Da quando il Rocca mi raggiunge nella stanza esagonale. Solo
uno sguar-campanellino vibra poco e raramente. E i capelli rossi del-do, due
battute, poi gli occhi sui conti fino a tarda sera.
Vado veloce verso la biblioteca esagonale. Punto veloce Li potrei portare a casa,
i libri. Come fanno tutti. Come verso il corridoio stretto. Veloce.
Arrivano, dettano un titolo e poi vanno via sbuffando Entro rapido nella tana di
libri e scaffali. Tana esagona-mentre signor Rocca fa spallucce.
le. Lei è lì sulla mia sedia. Lei è lì con i capelli lisci e lunghi Non mi dice mai
nulla Rocca e io non gli dico nulla.
e neri, le coprono il viso che è avvolto in un libro. Lei alza Non c’è bisogno.
Basta un cenno e il nostro saluto.
– Ciao Lunedì…
bretto argentato come la montatura dei suoi grossi oc-Lui mi ha ribattezzato così,
Lunedì, solo io e lui sappia-chiali da lettura, ma che da lettura non sono. Sono
solo mo perché.
rettangoli di luce. Sembra una segretaria un po’ santa e un po’ zozza, come
quelle dei film anni Sessanta, quelle che È sempre bastato questo. Uno sguardo,
due battute, poi sbarrano la strada a chiunque sulla via del capo.
lui di nuovo con gli occhi sui conti e sui libri che mi ha
– Lucina, piacere.
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Undicesimo pezzetto
– Vanni, piacere.
E si chiude i capelli in una coda. Sempre più santa e sempre più zozza.
Ero andato a trovarlo la sera prima di Pasqua. Mi aveva scambiato per Gigi, mio
fratello. Come sempre.
La stanza di mio padre dà sul giardino della clinica. Ve-sto i panni di Gigi e
mentisco, come ha sempre fatto lui, Gigi. Mi pesa sparare fesserie, mi pesa stare
in questa stanza che costa milioni al mese a metro quadro ed è solo una tomba
dello spirito. Di vivo mio padre ha solo il corpo, di sicuro non i ricordi. Non il
passato ma neppure il presente. Però qualche pezzetto di passato gli è rimasto
anche a lui, in un angolo miracolato del cervello, e sono pezzetti che avrebbero
fatto meglio a sparire come tutti gli altri.
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– Vanni?
Valium.
– Sì papà.
– E Vanni ti aiuta?
– Sì mi aiuta.
la via delle boutique, quei pochi che non sono stati porta-
– No papà, aiuta.
ti via, a due lire. Supero il capannone della conceria che Mio padre ha il viso
deformato dagli psicofarmaci e un puzza ancora di morte acida di solventi. Punto
verso gli occhio che quasi non si apre più. Né si chiude più. Sta a uffici: muri
bianchi cariati da muffa verde e vetrate che metà, disgraziatamente. A metà
come lui, un po’ qui e un non specchiano più le lucertole in cerca di sole.
Fu l’ultima cosa che disse mio padre prima che l’occhio Non ho voglia di
confessioni sul letto di morte. Anche gli cadesse giù.
– Dietro il mio ufficio, hai presente il deposito degli at-che so altro. Sono in
mezzo a pile di libri e pile di libri. C’è trezzi, i miei attrezzi…
– Sì papà.
profumi, il tempo che se n’è andato, la linea d’ombra, il na-E vorrei soffocarlo.
che l’ebreuccio di quel cristiano che si trasforma in bab-E vorrei strozzarlo con il
tubicino della flebo.
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Ci sono libri su libri mai aperti, mai sfogliati. Ci sono Demetrio passerà la
Pasqua con il suo procuratore.
volumi scorticati della loro copertina. E c’è un forte odore Non lo chiama più
Mister Ettore e lui non allena più i ra-di colla e pelle. Supero cataste di libri
scuoiati e c’è un gazzi della Primavera. Segue Demetrio e ora punta a farlo
banchetto e un’enorme libreria con le opere di mio padre.
sbarcare da quelli che abbiamo sempre con il fiato sul collo ma che lasciamo
sempre qualche punto più giù.
***
Non so se a loro serva uno così, uno con le sue doti. So che quelli vorrebbero
me. Ma a me non importa. Non vo-Ne ho visto tanti collezionare monete, far
tremare i pol-glio cambiare città, non voglio altri soldi, non voglio altre pastrelli
su bolli postali, altri perderci la vista laccando rogne e soprattutto non voglio
indossare il cappotto per minuscoli soldatini delle armate imperiali, sognare su
ae-otto mesi l’anno. Sto bene qua giù al calduccio.
Mio padre ha sempre avuto la passione per la pelle, il Non vuole più far parte
della nostra squadra, vuol far cuoio. I libri credo che li comprasse a casse, forse
al chilo.
parte della sua squadra. Lui e signor Ettore. Affari&pal-Poi pian piano sradicava
le copertine in cartone lucido e lonate.
renderli parte di un solo grande libro, una collezione sen-Eccomi, come sempre
sono qui nelle viscere dell’arena za individualità. O forse perché era un
passatempo come prima degli altri. E sento lo zoccolio dei tifosi sulla mia te-un
altro. Di sicuro non li leggeva, di sicuro erano per me.
sta e percepisco chiaro Demetrio che se la prende con gli Non tornai in clinica,
anche se avrei voluto farlo e pren-armadietti, di brutto. Pugni e calci. E poi urla
disperate.
derlo a calci o forse abbracciarlo, non so. Chiamai Deme-Non vorrei
avvicinarmi. Ma poi mi avvicino.
trio.
***
– Sono a cena a casa del mio procuratore E lui quasi si consola e mi parla a un
soffio dalle labbra.
– È vero.
104
105
***
vanta minuti.
– Presidente…
nunciava sconfitta.
– Sì presidente…
***
Balbetto.
– Sono io…
– Lo so che sei tu… lo sai che non mi devi chiamare gli Continuo a non capire.
altri giorni…
– Vieni subito qua! Maledetto figlio di puttana! Subi-La sua voce è un soffio
urticante.
tooo!
– Sì signor presidente…
due chiacchiere…
– Non ora.
E riattacca.
– Sì signor presidente…
– Fermo lì che sto arrivando io… e tu brutto figlio di dasse. La vedo alla
moviola: la mia mano che prima la puttana datti una mossa… pigia su quel cazzo
di accelera-strozza con rabbia, poi si apre e le dita si allungano men-tore…
tre la cornetta saetta verso il muro. Ma non si rompe, feri-Il brutto figlio di
puttana è Ignazio, il suo autista, quello sce l’intonaco e poi, richiamata dal filo -
neppure un ela-fissato con il full contact.
stico - se ne torna a pendere davanti alla tastiera dei numeri e allo scaffalino
degli elenchi.
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– Ah loro… allora non è vero che hai detto a Demetrio nale. Urla mentre Ignazio
ha i pugni conserti. Attende so-che ti hanno offerto l’impossibile per andare via.
lo un ordine.
– Sì è vero… ma…
– Ma cosa?
– Ti sei venduto agli altri eh? vero?… maledetta serpe in Il presidente è una
superlocomotiva.
E lo apre.
La locomotiva frena.
– No?
dicono? sai cosa dicono? che la partita di ieri non l’hai vo-
luta giocare perché tanto qui per te è finita che il prossimo E riprendo fiato.
– Non è vero!
– No no? O no cosa?
Sbuffa.
– Non è vero…
to, sì?
– Senti brutto pezzo di merda… a chi cazzo vuoi pren-Poteva essere la mia via
di fuga. Clic e via dalle scatole.
– Cazzate dei giornalisti?! Ah cazzate dei giornalisti… o Ma non sono mai stato
disonesto.
cazzate tue?
– Loro.
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– Certo…
città e voglio ringraziare il nostro presidente, il mio mi-Eccomi sono nel mio
salone con il presidente che se la ster, la squadra e tutta la tifoseria che mi hanno
regalato ride, con il suo autista figlio di puttana che se la ride.
anni d’oro.
– Ascolta Vanni…
no fatto le loro valutazioni e alla fine hanno scelto. E sono Il presidente quasi mi
stacca via la guancia con un pizzi-contento di arrivare in questa grande città e
voglio ringra-co.
questa grande città e voglio ringraziare il mio vecchio pre-E gli vorrei far
ingoiare le loro risate che carambolano sidente, il mio vecchio mister, la squadra
e tutta la tifoseria nel mio salone.
***
Quello è uno dei pochi giornali che conservo, di quel periodo dico. Quello
dell’intervista a Demetrio dopo Pasqua. E ho pure preso l’evidenziatore e ho
segnato domande e risposte, quelle che poi hanno scatenato una settimana di
dibattiti tv e rogne e lagne e urla negli studi e negli stadi.
«Allora va via?
110
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Dodicesimo pezzetto
Questa delle monoporzioni l’ho letta da qualche parte e anche la mia vita è tutta
una monoporzione, di benzina solvente. Sì perché tutte quelle bustine da
strappare hanno tutte odore di officina di carrozziere. E non è una mia fissa: tè
alla benzina uguale a salvietta profumata. È l’in-volucro che le frega e quel
conservante per tenerle in vita fatto di fossili marciti e macinati e alla fine
liquefatti e di-stillati.
– Guai!
club sandwich al primo morso. E solo il cibo degli spon-pensato a uno scherzo e
giù a ridere e pacche e risate e sor. La pasta come a casa, la dieta mediterranea. E
tutta la scambi di maglie. E Viscoo pronunciato come nelle comi-tiritera.
che. E gli inglesi, che se la ridono sempre, mi hanno pure Non le ho mai capite
queste nostre diete. Mai. Con gli messo in prima pagina. Affianco all’articolo di
una che, inglesi che si iniettavano la birra e giocavano ore sotto il non so chi
della famiglia reale, non so cosa le avevano fat-sole: dritto rovescio, dritto
rovescio. Prima della partita to. Ma aveva mezzo seno di fuori.
Io avevo tutta l’anima di fuori in quella foto, con un sor-Mai capite. Con i
sudamericani con due occhi così che riso disgraziato e con gli occhi che
dicevano: Portatemi poi ci facevano ballare la rumba e pure la samba.
con voi, portatemi con voi. Ma tutti hanno pensato a uno Per fortuna che gli altri
non hanno mai avuto uno come scherzo, da campione.
mai più. Non so se lì fosse meglio, non so. A me, che ho vi-Io il mondiale non
l’ho mai vinto. Una volta terzi e l’al-sto solo spogliatoi e stadi, che ho acciuffato
tutto, tutto il tra quarti. Perché questo è un gioco di squadra mica per resto per
pochi minuti dal finestrino della corriera, a me caso. Ma qui sembra se lo siano
scordati. Da queste parti, sembrava meglio.
sembrava quel gioco: Tocco! Chiesa, Libero tutti! E via in Portavamo i regali,
qualche maglia oppure facevamo un altro mondo.
qualche palleggio per farli sorridere un secondo, ma solo A volte sarei voluto
salire nel pullman che andava nella un secondo.
direzione opposta. Mettermi in coda dietro gli inglesi e gli C’è una squadra in
centro Africa che porta il mio nome accompagnatori degli inglesi con i
cognacchini mignon e Vanni Visco Football Club. Gli altri, i miei compagni con
le noccioline sottovuoto sempre in bocca. Monoporzioni la maglia azzurra, li
hanno ribattezzati i Pinocchietti perma con un altro odore.
ché le mine su cui sono saltati in aria gli hanno strappato E una volta l’ho pure
fatto.
via una o due gambe. Così corrono e giocano grazie alle Dài, portatemi con voi.
E tutti si sono messi a ridere protesi di legno, i Pinocchietti. Li chiamano così
alle mie quando mi hanno visto seduto in prima fila. E tutti hanno spalle, perché
davanti a me non osano. Però quando sia-114
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mo scesi in campo tutti tenuti per mano con le magliette Lo stomaco si risveglia
e fa male. E non vedo la fine di di solidarietà sponsorizzate dalla ditta di palloni
qualcu-questo immenso campo di lucciole ad alto voltaggio.
Ogni luce è una casa, una vita, due vite, tre vite. Ogni ba-Alla Nazionale credevo
non ci sarei mai arrivato. E zio gliore è un’attesa di morte, due morti, tre morti.
gli portai in clinica le sue pelli, i suoi arnesi e tutti i libri an-A volte sarei voluto
essere mosca, o ape, o zanzara o for-cora da scuoiare e ricucire.
mica o qualsiasi altro cosino inutile e invisibile ed entrare Ora fa un po’ più di
fatica perché l’occhio resta sempre in ogni casa e spiare in ogni stanza e dietro
ogni porta.
E questa se non è proprio una cosa banale è qualcosa Secondo me impegna solo i
muscoli ma tanto che im-che in molti vorrebbero.
portanza ha.
Oggi qua giù negli spogliatoi non ha più importanza Qui nel mio cervello c’è un
altro interruttore che scatta.
nulla. E tutto scorre come se non fosse passato sulla mia Perché questa non me la
spiego, perché questa non me pelle. Mi rivedo portato in trionfo, mi rivedo con
le coppe la sono mai spiegata. Questa dell’alveare del mondo e del-in mano. Mi
osservo mentre scambio la mia maglia zuppa le città e che solo dall’alto vedi
commedia e tragedia sfre-di sudore con un’altra maglia più puzzolente.
garsi e mai toccarsi e mai influenzarsi divise solo da due Ecco, qua giù della
Nazionale mi rimangono gli odori.
E forse perché questa storia degli odori che si imprimono Uno: pensare ora in
queste case quanti stanno infiam-nella mente, nello scomparto dei ricordi, la
devo aver letta mando anima e carne. Due: pensare ora quanti in queste da
qualche parte. Di sicuro alla libreria Rocca che ha sem-case se le stanno dando
di santa ragione e il marito gonfia pre conservato in bella mostra tutte le mie
cartoline con il la moglie e lo zio tocca la nipote. Tre: pensare ora quanti timbro
postale di altri pianeti.
in queste case hanno i pensieri aguzzi assassini del sonno e Ecco, fu forse allora
che tutto iniziò a precipitare, di ri-stanno cercando una soluzione. Quattro:
pensare quanti torno da un giro negli altri mondi. Lo ricordo bene.
***
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pito che qui non ci sarà solo un’amichevole con quelli che
– Ma è sicuro?
– Certo signore. Ha chiesto di lei. Preferisce che dica magari scapparci. Magari
su uno di quei pullman.
fare incassi, per annusarsi. E si fa di notte perché qui e giù Il tizio ufficiale in
divisa mi sorride, preme un tasto e da noi possano ingozzarsi gli occhi e lo
stomaco. Birrette, questo pezzo di plastica e bottoni si illumina. Sorride e
patatine, salatini e botte al pallone. E saloni con tutte le fa-borbotta alla cornetta
che sì mi ha rintracciato e che ora miglie riunite per questa Inghilterra-Italia.
– Pronto?
una cosa gassata con molto ghiaccio. Gli altri sono già a E sono curioso.
– Buonasera Vanni.
moquette che fasciano tutto senza ritegno. Pavimenti, pa-La sua voce aritmetica
non mi dice nulla, solo che ha un reti, mobili persino i bagni. Leggo depliant e li
annuso forte accento straniero questo suo italiano.
– Giusto cosa?
– E no.
E faccio mente locale ma questo nome, Nadia, e questa Crede che non abbia
capito ed è colpa della mia faccia.
ra.
– Per me?
na. Nadia Nulla. Il vuoto.
– Eppure a casa tua sono restata quasi un mese quell’e-E mi porge un cordless
scintillante.
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re mentre gli altri se la prendono con calma e si preparano Mi esce così, naturale.
Nadia della foglia.
– La cosa?
tabili e i farisei, i banchieri e gli uomini illustri, le donne il-Per Gigi era solo la
Tedesca e mi indicava le gambe rasa-lustri e quelle solo lustre, e giornalisti
corrispondenti, te e mi strizzava l’occhio. E io non gli ho mai sentito un
traffichini e trafficoni, e l’attore che qui ha fatto solo due nome ma solo baby di
qua e baby di là.
pubblicità, il pittore che da noi nessuno ricorda e lo scrit-
– Non fa nulla, sono passati tanti anni, troppi anni. Non tore che nessuno ha mai
ricordato. C’è la carne e il brodo, ti ricordi neppure di quella sera al concerto?
Ma non fa che fa spazio ma non sostanza. Ci sono quelli che non ne nulla. La
verità è che non sapevo neppure se ti avremmo possono più di pranzi e cene
all’ambasciata e quelli che li dovuto chiamare. Alla fine l’ho fatto e…
insomma… vor-aspettano per poter mangiare, e non solo cibo, e metterli rei
incontrarti, sai Gigi…
conto.
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Quasi prendo a calci un poggia piedi da poltrona quan-dalle vie intasate, oltre un
cancello ottocento rianimato do l’ufficiale con la divisa da stanza lusso
stamattina mi dall’elettricità. Oltre un salone infinito e una scala ancora guarda e
crede che sia un tic da calciatore campione. Mi di più. Davanti a una ex bambina
stanga che credo pro-guarda e affianco a lui c’è un tipo magro e poco alto. C’è
prio l’ultima cosa che vorrà da me sono i soldi.
un tizio che nuovo non mi è. Ha gli occhi azzurri azzurri e Lui la bacia, lei lo
bacia. Lui le accarezza il viso e lei tre-uno strano cappello in testa. Uno di quelli
che non saprei ma. E ha lo stesso viso di quando facevamo la colazione proprio.
Uno di quelli da pop star, per nulla martire.
insieme nella cucina della mia casa e mio fratello mi striz-Mi tende la mano e
pronuncia un nome che non capi-zava l’occhio e mi indicava di nascosto le
gambe rasate: sco. Avrà sì e no la mia età. Gli tendo la mano e sibilo il Tedesca.
Mille anni fa.
Lei tiene gli occhi bassi, come sempre ha fatto. E lui le tartaglia altre cose -
perché questa lingua è tutta una bal-sistema i capelli e sembrano due sposi
ragazzini che devo-buzie - mentre intorno a noi quasi tutti gli ufficiali in divi-no
annunciare il loro matrimonio a una bestia che deve sa dell’albergo ci
circondano e sorridono. Sprizzano pre-solo scegliere a chi dei due sbranerà per
primo il cuore. La mura come se fossimo due bambini ai primi passi e uno bestia
sono io in piedi in questa casa di soldi e storia ma dei due potrebbe piombare con
il culo in terra da un mo-l’unica cosa che vorrei divorare è me stesso e la mia
curio-mento all’altro. Come se fossimo roba fragile, ci trattano.
sità.
capi di stato, quelli scelti dal popolo. E che mi sa che que-E quel sensibile glielo
vorrei far ingoiare.
– Un bambino speciale…
Solo ora, solo ora che sono sulla sua Ferrari nera - ho Anche questo vorrei farle
ingoiare.
letto che ne ha altre tre - so con chi sono. Anche se dei suoi
– Infatti sei diventato un uomo speciale, Gigi lo diceva Cd solo due ne ho.
sempre…
Non parla e mi sorride. Non parla e lascia che il motore Lascia stare Gigi, vorrei
dirle.
che a me.
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Finalmente mi ricordo il suo nome, il nome della pop ha i suoi cedimenti. Ecco
perché sono qua. Sono solo un star, che sui suoi dischi è un’altra sigla, tipo tribù
indiana.
cedimento matematico.
– E grazie a…
Jay poggia la sua mano sul mio fianco e fa una leggera E non parla più ma si
sposta verso un corridoio poco il-pressione. Io guardo Nadia e non dico nulla.
Come po-luminato e la seguiamo con Jay che mi appoggia una ma-trei. E non
faccio nulla. Come potrei. Anche questo è un no sulla spalla.
Nadia apre una porta ed entriamo in una stanza invasa Ci avviamo verso l’uscita.
In silenzio. Perché non ho dalla luce. Un fascio bianco abbacinante, accecante,
am-neanche nulla nella mia testa da poter ripetere e che mi plificato, irradiato da
una vetrata senza fine, quasi uno possa aiutare.
schermo che trasmette oltre questi vetri un prato smeral-E l’unica cosa che mi
esce prima di risalire su questa au-do. E non c’è finzione ma solo una strana
realtà. In mezzo, to nera è un Grazie. Ma avrei voluto dire di più e chiedere tra la
vetrata appena aperta e il prato, travolto dalla luce e farmi spiegare e accampare
pretese e altro che grazie.
bianca ci sono Io. Io seduto sul parquet scuro con la faccia Ma come potrei,
come potrei. E sono così schiavo degli al-immersa in un libro di colori e parole.
Io vent’anni fa. E
tri che non chiedo neppure un nome, il nome di Io quasi muoio. E Io alza lo
sguardo e ha i miei occhi neri nevent’anni fa.
Io e me stesso, uno davanti all’altro. Poi Io dice qualcosa e ritorna con la faccia
sul libro.
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Tredicesimo pezzetto
A fine campionato.
Li guardo questi muscoli e sembra che abbiano avuto una vita propria. Grande
pettorale, piccolo pettorale, retto dell’addome, traverso dell’addome, quadrato
dei lom-bi, deltoide, sopraspinato, sottospinato. Ritmi propri, esi-genze tutte
loro. Bicipite, tricipite, coraco-brachiale, brachiale.
Lo so perfettamente e non sono ricordi tanto lontani.
L’ultima volta è accaduto pochi mesi fa. Alla fine della festa, fra bandiere e giri
di campo e urla e battimani. Il teatrino della gioia. E tutti a urlare, tutti loro.
Perché io sono fuggito negli spogliatoi con la scusa dell’invasione di campo.
Abbiamo fatto il nostro dovere, no? L’abbiamo fatto perché con quello che ci
danno ci mancherebbe altro, ci siamo presi pure la soddisfazione e mo basta.
E invece no, baci e abbracci. Baci e abbracci. E quanto siamo stati bravi e quanto
siamo campioni. E quanti di noi il prossimo anno saranno qui? e l’anno prossimo
bastardi avversari? Ma che cazzata è? Ma che diavolo di cazzata è questa? Che
faccio brindo col nemico? mai.
no insegnato loro. Fosse stato per me, se proprio avessi Solo un anno sono
andato in vacanza prima del tempo.
dovuto dare sfogo al mio fisico, all’indole del mio corpo, Una piccola frattura in
dirittura d’arrivo, una caduta con al massimo avrei militato - si dice così, militato
- nella un mastino terzino appiccicato dietro la schiena. Poi squadra dei frati con
i capelli lunghi da rockstar martire.
randole di maglia. Quello che ti doveva lanciare in rete sei E me ne sarei voluto
andare a vedere quello che dico io, mesi fa, oggi è quello che ti deve gambizzare
prima di arri-che poi sono cose che tutti fanno. Tipo musei e quadri, ti-varci, alla
rete.
po monumenti e storia. E invece nulla. Avevo già la mia Uno si perde in questa
corsa forsennata all’ingaggio mi-prenotazione, la stessa prenotazione degli anni
passati gliore. La mano stretta ieri, la sciarpetta al collo con i colo-dove vogliono
che vada, dove mi controllano.
***
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E io cosa sono? Merda. Avrei voluto dire, ma non dico E io la vacanza già me la
faccio in questa giungla geome-nulla.
– Però ci sentiamo eh. Mi basta un Sms a sera, una te-I vialetti e il fresco e le
piscine una dietro l’altra. Gli uffi-lefonata.
ciali in divisa che ti salutano e si inchinano e gli ufficiali A me no. Ma non dico
nulla. E sono partito. Da solo.
dellate.
– Abbiamo bloccato gli otto posti del Wawa-wawa re-di giovedì quando è
tornata dal suo avvocato e dai suoi staurant.
– Io e Raffaele.
– Dài non farti pregare Vanni, poi si va all’anfiteatro, c’è Lo sapevo. Suona già
come un no sicuro.
– Deluso?
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Poi, vicino a Giorgio, c’è la tipa della destra destra, l’ul-Io avrei voluto fare le
ferie a luglio e ad agosto nelle tra destra, che piace anche alle donne della
sinistra e infat-spiagge affollate fra l’odore del sudore e degli abbronzan-ti
affianco ne ha una con un vestitino indiano, o indone-ti. Avrei voluto sedermi in
spiaggia, sul bagnasciuga della siano o tailandese, che sembra garza e si vede
tutto, ma spiaggia e guardare le ragazze che passano e misurargli tutto tutto.
tette e culo. E scegliere quella per la notte o quella da at-E alla fine mi eccito. E
poi vedo che la Destra la guarda e tendere qui sul bagnasciuga con la speranza
che passi an-la guarda male, perché lei guarda me. E io guardo lei, ma cora una
volta con l’amica presa per mano e che sorridano giusto perché è l’unica cosa da
guardare a questo tavolo.
E ora parlano di libri ma di certe cose che io manco ho E invece no. Invece mi
toccano sempre quelli del mio sfiorato e mi fanno vomitare. E tutto possono fare
ma non giro. Gente che fa leggi e gente che le disfa, gente che az-parlare di libri,
che quello, campo mio è. Anche se qui tut-zanna per un emendamento e quasi si
massacra. E ora so-ti pensano che il mio campo è un altro.
tro con calciatori, modelle, giornaliste, ballerine, attrici e L’ex panzone non mi
molla.
Eccomi. Eccomi che mangio con l’ex panzone e Stri-E mi chiedo perché parli
come un ragazzino a un con-minzita, Giorgio che gioca nella squadra che mi sta
trop-certo rock.
po sul culo e la fidanzata che lo porta a tutte le sue trasmis-
– Ti fai riprendere, dici che tifi per noi. Indossi la nostra sioni tv. Perché lei ha 28
anni e già quattro o cinque trat-shirt. Un testone, solo questo per un testone.
Tanto lo so smissioni tivù. Ha iniziato che ballava su un tavolo. Ora fa che non
hai il procuratore. Un testone dritto dritto nelle ballare gli altri.
tue tasche. Vecchia lenza il Vanni… La sa lunga il Vanni e Gli ha fatto fare
persino la pubblicità di uno di quei cosi non passa il piattino a nessuno.
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“Questo questo qua sì, e anche questo, sì pure que-che siamo agli amari. Loro
sono agli amari, io non bevo, sto…”
sia piaciuto anche a lei quello dell’Avvoltoio, una bella storia ambientata in
Canada…”
“Il tipo non si chiama Avvoltoio ma Condor e la storia è La sua voce è come
l’autoradio di certi che quando pas-un ritratto del Cile prima della dittatura di
Pinochet, sano, in macchina dico, fanno vibrare i vetri. E le ragazze quando
ancora si sperava in uno stato socialista e nella na-biondine che non lo perdono
mai di vista, le ancelle se-zionalizzazione. Ovviamente si svolge in Cile e non in
Ca-guaci biondine che mi sa anche loro scrivono qualcosa, nada. Ma si tratta di
un lavoro artefatto, scritto a tavolino, sghignazzano.
che lo abbia scritto una di quelle ragazze, una di quelle Ripete perché la battuta
piace troppo alle ancelle seguaci.
che era qui con noi, ma ora non vedo più. Credo quella
– Qualcuno.
– Qualcuno… bene. E questi, questi qua, questi qua che creativa, o sbaglio?”
maco solo il pensiero che una volta tanto, una volta nella Mi immagino di dire.
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re quel fischio maledetto che si ferma e lascia Giorgio sul-Ma poi mi scusi, ma il
tipo, questo tipo, non scriveva gui-la bestemmia finale.
de di ristoranti famosi? Sì, guardi sono quasi sicuro che è E tutti ridono. Ride
Giorgio, ride questo qua che mi lui, mi sembra che sua madre fosse conoscente
di mia zia.
Sì è lui quello che ha scritto la guida dei ristoranti famosi e Mentre le ancelle
iene, spazzine della savana geometrica, si è fatto accompagnare in viaggio dalla
mamma, sì me lo lo seguono lanciandomi l’ultima occhiata.
programmato e calcolato. Dirò questo e risponderà quello. Sono pronto. Sto per
rispondere.
***
– Allora Visco, li ha letti o no… pronto Visco… c’è? è su questa terra? o la
mandiamo a prendere?
Anche questo è uno dei ricordi della vergogna. Vergo-Il tempo a volte è una
macchina perfida.
ria. Ma non apro, tengo duro. Quelli spingono. Metto Sto per tentare il recupero
in zona Cesarini, ultimi se-puntelli, travi grosse inchiodate agli stipiti. Quelli
sono condi prima del fischio finale. Come faceva Cesarini, sem-un ariete e fanno
cigolare i legni e gracchiare le cerniere.
Accatasto mobili, armadi, sedie. Ma loro sono tutti lì dalLe mie labbra si
muovono ma un fischio assordante ci l’altra parte che premono e alla fine il
portone vibra, mu-trafora le orecchie e la ragione. Un fischio che arriva dal
gugna che neanche il pianto delle balene, sordo e profon-palco. È Giorgio, prova
il microfono e speriamo che quel-do. Loro spingono e quello si lamenta. Loro
premono e li della ditta del karaoke lo vedano e gli levino per sempre mi gela il
sangue questo rumore qui. Mi sembra un canto la pubblicità. Combatte con un
fischio che gli scuote la funebre a labbra chiuse, l’inno della sconfitta. E alla fine
il frangetta e tutti si girano e tutti ridono.
137
dominare me, non io ad ordinargli di tornare a galla. Ora poi bianche bianche,
come le rapstar per nulla martiri e lo so.
***
pensato di scattare qualche foto ma non c’è stato mai nul-Il microfono non
fischia più. Il Presidente conosce il la da scattare in queste vacanze fotocopia,
qui nella giun-suo mestiere. E il concorso letterario anche questa estate gla
matematica. Sono sempre tornato senza uno scatto.
ha il suo campione.
Vince il Condor. Non c’era dubbio. Vince il Condor alla E Destra mi sorride e
con una mano ficca le unghie sul faccia del mio voto. Il poeta ristoratore arriva
secondo. E
Mento, e fuggo. Non ho intenzione di avere ricordi con Alla mie spalle sento la
musica che irrompe nell’anfitea-queste qui. Ricordi e null’altro. L’avevo giurato:
Mai più.
tro dell’architetto delle ville e del lusso, sento questa cafo-nata latina che prima
muovi il braccio destro, poi il sini-La Polaroid è carica. Magari mi sarebbe
piaciuto fare stro, una piroetta e le anche e la gamba destra e la gamba degli
scatti con Lucina. Sventolare rapido il negativo sin-sinistra e poi il battimani.
Tutti insieme. Alè. E penso a ché il nero non avrebbe lasciato posto al rosso, poi
alle no-Gigi, alla musicoterapica. Alla musica come terapia e qui stre sagome in
arancione, alla fine ai nostri visi prima sfu-ci vorrebbe un internamento per
secoli con dosi massicce mati, poi abbronzati su un mare cobalto. Con Lucina
non per tutti, tutti loro.
Taglio veloce, punto al mio bungalow, che bungalow La Polaroid è una pistola
nella mia mano destra. Mi co-non è. È tutto tranne un bungalow, più reggia che
capan-rico, spengo il cellulare, alzo la cornetta del telefono sul na.
Punto veloce e quasi sbatto su quella della destra destra Clic… Clic… Clic…
Clic… Clic… Clic… Scarico i fla-e la sua tipina della sinistra sinistra col vestito
garza sem-sh sui miei occhi aperti, una sventagliata senza pietà, cari-pre più
trasparente.
meglio.
E stringe una bottiglia di spumante con le sue dita lun-La Polaroid è a terra che
frigge e vomita i miei scatti, la ghe e le sue unghie lunghe, rettangolari, prima
bianche faccia della disperazione.
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Quattordicesimo pezzetto
I suoi occhi chiedono aiuto. Ma io non so che fare. Quello lo travolge di parole.
E lui scuote la testa.
Rocca mi riguarda come per dire: Fa nulla dài, me la sbrigo. E quello non sta
zitto un secondo.
– Io sono stanco, Gabriele. Quanti anni hai? Non sei un bambino. Vuoi fare
l’eroe? Vai, ti prendi un mitra e parti, che il mondo è pieno di occasioni. Ma
santa Madonna, lo capisci che vendere libri è un mestiere? Tu vendi e gli altri
comprano, Gabriele. Si chiama azienda. In italiano si chiama azienda, non
missione. Non ce la fai con i libri? Ci apriamo un bel disco bar, qui in centro, i
tavolini fuori…
141
Nella libreria c’è anche Lucina, che forse era già qui,
– Glielo spieghi lei…
– Glielo spieghi lei, chedè miliardario, che si tratta solo seguiamo da me.
di mettersi al passo… ci sono librai che fanno i soldi… l’a-Lucina mi tiene per
un braccio e mi guarda come dire: zienda… il fatturato… ciò che conta è
l’ultima cifra in Che diavolo succede? Io sgrano gli occhi e non ho rispo-basso a
destra.
ste. Poi penso che tutto è legato al fatto che io e lei siamo Rigonfio il petto ma
Lucina mi trascina verso la biblio-rimasti gli unici fedeli clienti della libreria
Rocca. Ma non teca esagonale. E i miei passi si fanno pesanti ed echeggia-lo
dico, tanto Lucina ha già fatto l’equazione.
no nel corridoio che oggi sembra più stretto e sembra non Il tipo piazzista ha il
viso a un soffio da quello del no-finire.
stro libraio. Il nostro libraio è stanco come non l’abbia-Vorrei dirvi una cosa
molto piacevole e allegra mo mai visto e non ha la forza di reagire.
– E poi, Gabriè, non farmi quella faccia da via Crucis, Adesso, non c’è tempo per
discutere… ma, in due parole perché lo sai che ho ragione io. I debiti sono
debiti. Orga-Mi sembra un lamento.
nizzati. Altrimenti dimenticatela questa baracca. Ti porto Voi già sapete che il
giardino dei ciliegi sarà venduto per via anche le mutande.
coprire il debito
Il nostro libraio reagisce più per noi che lo guardiamo Sento le urla del tipo e il
trillo del suo telefonino.
– Adesso basta, Alessio. Ho… ho u… una dignità an-cara. Dormite in pace: c’è
una soluzione… c’è una soluzio-ch’io. Basta.
ne…
Ma il piazzista non molla. Perché vede la bocca del nostro libraio tremare forte.
– Basta che? basta che? Poveri figli tuoi, con un padre co-fuori. Il signor Rocca
sembra al termine di una maratona, sì. Non vuole che gli spostino la polvere, fa
l’umanista e…
esausto, e la catenella che gli ha sempre retto gli occhiali è Il tipo guarda me.
– E ormai nel tempio della cultura ci entrano solo i cal-mandosi in mille pezzi.
Ma nessuno sembra accorgersene.
ciatori…
Né noi, né lui.
briele mi supplica con i suoi occhi azzurri che ora brillano Signor Rocca legge
troppo, anche i giornali.
li bianchi.
143
– Sì, io sì.
– Quello… quello sai, è il fratello di mia moglie, una E siamo rimasti a casa.
to insieme sul delta del Mississipi e sulle mille luci di New Ma vorrei dire di più.
York.
Allacciati, i corpi stretti l’uno all’altro E tira fuori un foglio e una penna.
vialetto
Lucina mi guarda con una faccia e vorrebbe chiedermi E succhio la sua lingua
calda e profumata.
Lunedì. Io firmo, paghiamo i nostri libri che oggi sono Sposto le sue gambe sulle
mie spalle.
Non le rispondo.
– Ah, perché?
***
Alla fine credo di aver sbagliato tutto. O quasi. Sono Invece sì che sono ubriaco
stato uno di quei tipi, come dire?, poco tempestivi. In-Un piano elettrico scorre
fra le mie tempie, una sequen-somma, ho sempre sbagliato i tempi. Sono restato
quando za elettronica. Recito a voce alta e spingo forte, deciso ma dovevo
scappare. Sono scappato quando dovevo restare.
Non è che non avessi la coscienza. Cioè sapere lo sape-Con Lucina non ho mai
preso cioccolate calde, non ho vo, ho lo scandaglio sotto pelle. Ma fra coscienza
e azione mai visto un film di Natale, non ho mai fatto regali passeg-ce ne passa.
E pure questo lo sanno tutti.
ri. Non ho mai pranzato dai suoi, non ho mai riso con le 144
145
poi fatto pace. Con Lucina ho diviso la mia biblioteca e la E attendo. Ma soffro
queste attese.
È stata Lucina a farmi andare verso nuovi suoni. Lucina E non so più bene dove
vuole arrivare stavolta Lucina.
– Ci? Ci chi?
– Ah sì Luisa.
l’aria calda e appiccicosa, un sifone sparato in bocca non E ora non capisco. E la
laurea? E l’avvocato che un gior-appena l’aereo srotola la sua lingua di scalini
acciaio sul-no vorrà o dovrà, non l’ho ancora capito, sposare?
– L’Università?
– Ma no… di lavoro.
te e la luce che appena filtra dalle fessure. La mia casa fresca Non capisco
proprio. Di lavoro? Ma quale lavoro? Lu-e pulita. Silenziosa, dove far riposare le
orecchie inquina-cina va ancora all’Università.
Le fessure delle serrande sono piccoli rettangoli di luce Le mie antenne hanno
fatto cilecca. Non hanno funzio-che fanno caleidoscopi di luce. Mi siedo e
aspetto Lucina.
nato, non hanno percepito nulla. Il vuoto assoluto. Non mi hanno messo al riparo
per tempo da questa valanga di
lio bollente.
bretto ghiaccio.
– Dài Vanni, non fare così… lo sai che i libri sono la mia
– Non ho quello del mercoledì, né del lunedì, né del ve-passione, sono tutto
quello che ho e ho sempre voluto. Il nerdì. Stronzo. Ho Raffaele. E te, il mio lato
oscuro.
care.
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– Insomma, Vanni quello con un suo amico romano apre
***
«Questo era il mio trance, questa era la mia fuga. Que-tuo Raffaele?
è mai stato lo stesso. Sono volato via ma solo il lasso di un Quello che si vuole
cucinare Rocca, quello che lo vuole verso, poi tutto è morto. Subito dopo.»
miei tentativi di scrittura. Invece questa frase l’ho lasciata Vuoi che inizi a
dirigere da Feltrinelli?
mico. Che abbia in mano la dirigenza del gran circo o degli scaffali dei libri di
cucina e poi quelli delle diete e quel-
«Ho c rcato ma n n ho tro to. E qua o ho pr so non e ai li degli astrologi indovini
e dei segreti del microonde e dei stato lo stesso. S no vo ato via ma solo il lasso
di un v so, oi popoli scomparsi e tutta la tiritera. Non è l’offerta che tu to è
morto. Subi dop»
conta, è chi te la fa. E poi, a dirla tutta, questa è un’offerta che non conta. Penso
cose d’altri tempi, penso cose che La lascio lì perché mi ricordi che non sono un
poeta. Il oggi non valgono nulla.
– Mi capisci Vanni, devo acciuffare l’occasione ora, senE questo è uno dei
pensieri della vergogna che voglio nò poi il treno passa e chissà quando ripasserà
per me.
***
Lei è raggiante.
corpo ma non del tutto. Via un’altra squama che resta ap-Nelle orecchie ho come
una tempesta di onde in un ma-pesa ad un filo e pende dalla mia carne. Non
spira il vento re nero.
e non se la porta via. Resta lì, pelle morta a ricordare al re-I padiglioni in due
conchiglie che suonano echi e ipno-sto, a tutto il resto del mio corpo, la fine che
farà.
poliziotto municipale, vigile vigilante, che soffiano nel fi-lui alle stelle dove
attendo la mia collisione. Un cenno schietto, e capisco che è il mio turno.
del collo, solo uno me ne serve e la palla vola dentro la I muscoli si tendono, mi
lecco il braccio e ho il sapore rete.
Ora sento, ora sento perché non è possibile non senti-Peggio per questo birillo in
maglia biancoblù, peggio re quest’arena che esplode.
per lui che si mette fra me e il mio destino e la mia rab-Ma non mi basta, non mi
basta mai, oggi. Quelli ripar-bia. Ho la falce nei piedi. Macino e taglio, macino e
ta-tono ma non vanno lontano. Indietreggiano e forse gli glio. E quello precipita
a terra e i miei rimorsi lo sfiorano basta la mia faccia. Forse gli bastano i miei
occhi che tra-appena con la coda dell’occhio. Il vigile non fischia, peg-smettono
le immagini di tutta la rabbia del mondo.
– Vanni calmo.
Gli altri sono già tutti avanti, mastini della guerra con Ma non li voglio sentire i
miei, oggi.
– Vanni calmo.
costi.
E anche loro vedono i miei occhi e mai, credo mai, Il cielo si abbassa. La luce
svanisce.
E sono così veloce che gli altri mi sembrano rallentati Non c’è pietà. Non ci sarà
pietà e se questo mio corpo e mi sposto aspettando il pallone. Lo arpiono e lo
incol-
è fatto per questo, se è fatto per la sfida che sfida sia, al-lo al piede destro. Me lo
passo sul sinistro, il mio prefe-l’ultimo sangue.
– Vanni calmo.
due e tre. E li lascio senza fiato e senza mosse questi due Ma non mi calmo.
Cerca e distruggi, cerca e distruggi.
che mi hanno mandato per fermarmi, ma non mi ferma-E anche il vigile urbano
non mi riconosce più.
– Visco, che cazzo le prende? Si dia una calmata o la I miei mastini non mollano
la presa e sento il loro alito mando dritto negli spogliatoi.
fetente e ora sento anche le loro ossa che sfregano contro Coloro che odiano
intensamente, devono aver prima i loro muscoli. E i loro cuori che battono e
battono e amato intensamente
Siamo in tre sotto la porta ma sembriamo in mille. Ar-Ma non le sue intenzioni.
riva la palla. Salto e mi sento levitare e mi sento lanciato Poi prende a corrermi
dietro per vedere che altra caz-verso il cielo. I miei occhi sono radar e la mia
testa non zata farò, ma non ce la fa.
attendeva altro.
Coloro che vogliono negare il mondo, devono aver pri-Ne ho uno affianco a me,
uno degli altri. Tenta di ag-ma accettato ciò che ora vogliono dare alla fiamme
ganciarmi la maglia. Ma non gli servirà. Porterò anche Supero tutti e i miei
mastini mi hanno già spedito il 150
151
Un calcio per il pallone, un calcio per la vittoria e uno po-co dopo per la sua
faccia.
Vedo sangue e bava bianca sulla mia scarpa. Quello pie-garsi come un verme
trafitto da un amo, arrugginito. E il vigile che mi corre incontro con un
fogliettino rosso. Ridi-colo.
Esco fra urla disumane, strepiti, lancio di seggioline e l’assalto delle tifoserie.
Esco fra i rumori dei caschi che serrano le visiere, fra i manganelli che battono
sugli scudi.
E i miei mi applaudono e si sgolano per me, sono sempre e ancora di più il loro
dio. Io vado negli spogliatoi, fra le mattonelline di sempre, i gesti di sempre.
Tanto lo so, fra dieci minuti riprenderanno la sfida.
***
153
Quindicesimo pezzetto
Anche se tutti hanno sempre pensato che fossi sempre al posto giusto al
momento giusto perché sono Vanni Visco, il campione miliardario. Il fenomeno.
Quello dalla carriera fulminante, senza macchia, senza peccato. Un esempio da
imitare perché in quell’aula di tribunale ci sono entrato a testa alta, da testimone.
***
Il riassunto di tutta questa storia, che tutti vogliono sapere e vedere da vicino, lo
fa un tipo alto, magro, con i capelli impomatati con un lungo mantello da
vendicatore.
Palestrina l’imputato Safi entra a casa di Loris Ettore, an-Da tempo lui e gli altri
sono sotto controllo, cimici spia ni 53, celibe.
Eccoci all’anteprima del finimondo. C’è il silenzio più Ringhia il signor Giudice.
erano conosciuti.
Fuori inizia anche a piovere e i tuoni, macello del cielo, Per loro, il pubblico,
basterebbe questo - il cambio di si confondono con il bordello in terra.
casacca, come recitano i giornali sportivi - per invocare Mezzora dopo ci siamo
solo noi, testimoni, accusati e l’alto tradimento e la garrotta.
tore conclude e dice che chiederà 20 anni per omicidio Il Vendicatore si scolla
dalle spalle il mantello e dice che preterintenzionale, perché il Safi non
programmò nulla.
però i due vengono a discussione. Dice che da tempo, tra-Colpì per rabbia e
disperazione con quel vaso di cristallo.
te e come calciatore.
E anche qui il pubblico riesce a trattenersi. Per questo Morte chiama morte.
Spiega che il Safi è lì, dal Loris, per dirgli che non si può
***
andare più avanti che gli altri calciatori hanno paura. La voce si è sparsa, la
Finanza sa.
157
Sedicesimo pezzetto
È un rito avido.
possibile camminare.
copre la mia voce. E la mia voce si perde mentre la sirena Così ci siamo chiusi in
questo bar che sa di umido salse-striscia via.
dine.
– Tanto è agli occhi di tutti che razza di uomo è lui e che ro e mi frantuma i
timpani. Mi giro e dalla vetrina vedo razza di uomo sei tu.
che la gente dei negozi ha il naso all’insù e qualcuno corre Il barman mi guarda e
guarda la mia foto appesa sopra oltre la mia vista. E qualcuno corre verso la
libreria.
la cassa.
po’ lavora alla pizzeria al taglio che sta di fronte e almeno Oggi Rocca non lo sto
ad ascoltare.
lì stacca scontrini.
158
159
I suoi capelli non brillano più e le sue mani non sanno ta di gamba mentre il
cielo si striava di rosso e l’aria non più di colla fresca e carta profumata. Sento il
suo odore di diventava fredda come altri giorni, altre notti, alla stessa sugo
mozzarella e leggo nei suoi occhi la disperazione.
Non mi dice nulla e non le dico nulla. Anche perché ora Mentre saliva sorrideva
alla giovane guida, quella ap-c’è un poliziotto fra noi due.
– Parenti?
targhetta della cooperativa appesa al taschino. Salivano e NoSì, rispondiamo
insieme e la guardo.
lei gli spiegava e gli spiegava quello che già lui sapeva.
E il poliziotto si innervosisce.
– Lei è parente?
– Io sono la moglie.
Quando sono arrivati in cima lei è stata zitta per fargli E trema e poi sviene.
godere il panorama e questo cielo ancora chiaro e questo mare cromato e questo
sole ancora accecante. Non l’ha
***
visto bene perché per un attimo si è girata quando ha sentito salire il collega con
una truppa chiassosa di turisti ar-Ecco non è che farò molto diversamente. Ma
non così, mati di ghiacciolo. Dice che pensava che anche lui fosse non in quella
maniera.
una bambina che stringeva un cono alla panna e gli aveva sorriso. Poi, passo
lento, se n’era andato verso la torre,
***
quella torre che ogni mattina quando alzava la serranda della libreria, ogni sera
quando l’abbassava, lo guardava e Al funerale siamo andati in pochi. Io tra la
moglie di lui guardava lei. Alla fine c’è salito. Scalino dopo scalino, Rocca e
Ottavio il bibliotecario. Il prete ha fatto veloce, legno dopo legno. Mentre il sole
se ne andava giù lento, con un battesimo subito dopo e un matrimonio a seguire.
come capita da queste parti quando sta per arrivare il calI chierichetti non hanno
fatto svolazzare il turibolo con do. E chissà cosa avrà pensato ad ogni passo, ad
ogni alzal’incenso. Le cognate della sposa, quella di mezzogiorno 160
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sono pure venute a parole con le cognate della sposa del-loro telecamerine, le
loro digitali, e si sono messi a fare le l’anno scorso che ora fa il battesimo del
primo figlio, alle prove delle riprese scricchiolando con le loro scarpe enor-nove.
E i chierichetti le hanno dovute dividere aiutati da mi e nere su questo marmo
che fu di santi e martiri.
Ivo, il sagrestano. Me lo ricordo Ivo nello spogliatoio dei E avrei voluto fare
questo e di più, quando mi hanno ri-ragazzi, terzo portiere. In partita solo una
volta e ci salvò conosciuto, i cognati. E hanno iniziato a filmare me, dan-pure.
Ma mister Ettore lo aveva rispedito al suo posto, dosi gomitatine, e sorrisetti e
spallucce complici. Felici.
– La smettete voi, che poi per Tamara e Giovanni non vi aveva scelto la squadra
della parrocchia dove almeno gio-basta la batteria.
cava titolare. E da lì non se n’è più andato se non per ve-Economia domestica,
da cognate.
nire allo stadio per guardare me insieme a tutti quelli delE qualcuno l’ha smessa
e qualcuno no. E nessuno si è la curva che si portano ancora vino e panini da
casa.
Le cognate della sposa delle ore nove si sono calmate, Gli altri se la sono
svignata all’uscita della chiesa. Senza un po’ meno quelle di mezzogiorno che
avrebbero voluto neppure una scusa e chi ce l’aveva, la scusa, forse sarebbe
ereditare qualche composizione bianco giglio.
– Non puoi capire, non puoi capire Vanni mi si stringe il Così ci ha pensato il
prete a mettere pace.
cuore ma è tardi, anche mia madre sai com’è… vecchia e E io sarei voluto
scendere lì fra quei banchi imbanditi e sola. Oggi, sai, è il suo giorno.
sferrare calci e cazzotti e disfare i loro capelli a nido d’ape Giornata di Coppa.
da cerimonia. Staccare una per una le paillette appiccica-E della partitina al bar
di signor Sanna maneggione che te ovunque, su schiene poderose strette in abiti
scollati ha allargato la bottega e messo su un bell’ipermarket. Pu-lamé, su seni
avvizziti pompati da reggitutto con spalline re la bettola di fronte si è comprato.
Nessuno gli scrive più trasparenti che poi si vedono pure di più e sembrano il na-
nulla sul muro perché mezzo quartiere, il mio vecchio stro adesivo dimenticato
dalla sarta.
quartiere, gli deve qualcosa. Li ha fatti così i soldi, a stroz-E avrei voluto
prendere il candelabro più grande e zo, senza pietà. E senza scrupoli che
all’uscita ha guardato spaccarlo in testa pure ai cognati che sono arrivati con le
dritto dritto negli occhi Ottavio e glieli ha fatti abbassare.
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ra, nessuno per la prima telefonata della mattina. Mi sve-Siamo rimasti lì, io e
Ottavio. E nessuno aveva nulla in glio con la musichetta del mio impianto stereo.
Anche la biblioteca, nella nostra biblioteca di parole e neuroni, da notte mi
addormento con una musichetta del mio impian-tirare fuori. È stato come se un
virus fetente, uno di quelli to stereo. Metto su un Cd, qualcosa di calmo, lento
rilas-da computer, fosse entrato nelle nostre teste e ci avesse di-sante, tappeti di
tastiere, intrecci di violini, roba moderna vorato tutto. E ci siamo guardati
disperati. E l’uno ha letto fatta in serie per impastarti la materia cerebrale, per
sten-negli occhi dell’altro.
to, raccolta su raccolta. Quelle per il viaggio, quelle per la Uno: leggere. Due:
leggere e ripetere. Tre: leggere e ripe-ritirata e quelle per il risveglio. La musica
come terapia.
tere e leggere. Quattro: ripetere e basta.
Mannaggia a Gigi.
Luigi era un’altra storia. Luigi comprava pile di riviste, ascoltava i programmi
radio della notte, discuteva ore con i suoi amici. I suoi amici che non ce n’è più
uno vivo. Né Mandibola che l’ho visto tentennare sul tetto e poi venire giù, tutta
la sequenza senza pietà sul giornale del mattino, dicono che non voleva morire
corroso dalla malattia, e ha fatto il salto, anche lui. Né tutti gli altri di cui non
ricordo bene tutti i nomi ma mi vengono subito in mente i sopran-164
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nomi, visi, tic, e gli occhi, mi ricordo gli occhi di tutti loro Fa lui.
E questa tipa con due siluri sul petto e un cerchietto nel Mi ricordo i loro
profumi, dolci e alla moda, i sorrisi sbi-naso inizia a ridere.
zione.
la candeggina che martedì giovedì sabato signora Tina C’è Pastiglia, che mi sa è
stata perdonata e mi fa l’oc-sparge per tutta la casa, quando viene a fare le
pulizie.
chiolino.
credo che signora Tina e le sue mani nodose questa volta Ma mi sa che lo dice
solo per far piacere a Gigi. Perché non c’entrino nulla.
ora a me sembra che con la bocca sillabi Na-no. E sembra C’entrano dei tipi
piegati sul tavolino in marmo del sa-un pesce, piranha.
lone con i divani marrone e le cuciture grosse. Mai visti C’è gente che non so. In
tutta la casa c’è gente mai vista prima. Certe narici.
con la pelle bianca bianca che qui a luglio sono già tutti
– Spazzola, spazzola…
color pece. Anche i miei che ora sono a Firenze, come Urlano e ridono. Mentre
Gigi dalla cucina sputa parole sempre, sono partiti con un colore, ma un colore.
e saliva:
di sui muri del corridoio, fanno cadere le cicche per terra Così compaio in cucina
con la sacca della partitella del e nelle camere da letto, penso, sarà pure peggio.
Perché sabato.
Gigi ha dato ordini ben chiari.
– Vado in camera.
Faccio.
– Meglio di no…
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zino e cercare di dormire lì se non voglio domani essere cone, brillante, ametista
gli si intrufola nei calzoncini.
to che gli tornano pure le pupille piccole piccole. E non solo quelle. Poi ce n’è
per tutti gli altri. Mentre io schivo Ecco, qua giù, nell’intestino crasso dell’arena,
penso a per una frazione questa bandierina con asta che un tipo quanti Memorial
avrei dovuto organizzare o pretendere con fascia tricolore e abito della festa
avvinghia e smazza che venissero organizzati. Memorial Luigi Visco, campio-
sulle nostre teste.
ne della balla, maestro di musica e del maneggio, dei festi-Credo che quella fu la
prima volta che vidi Allarme se-ni clandestini e dell’amore fraterno. Memorial
Alberto riamente preoccupato sul sedile del pulmino di ritorno in Satta, detto
Mandibola, grande preparatore di cuscus con città.
Diavolo di un Allarme.
per sé. Ma Gigi ha sempre avuto altro a cui pensare. Me la Il vecchio Allarme
non aveva ancora dato il via che noi, ricordo bene, la casa invasa.
– Abbassate quel merda di stereo… Silvia vai tu a dirgli piccoletta, tutta in nero,
con i capelli gialli, le mani con che se arrivano i vicini sono cazzi…
certi gioielli e il collo con certi giri e giri di perle. E quasi la Lei lo guarda, ma
non lo sente, suda e la sua fronte per-buttiamo giù. E quella non le sembra
neppure vero di avede gocce come neppure un lavandino sfondato.
bracci e ricambia i baci e mi sa che va pure oltre. Paoletto, Gigi non le dà tregua.
il nostro portiere, mi guarda con gli occhi che non sa se E Cerchietto se la ride,
di brutto.
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più di tanto, piccoli passetti a destra, piccoli movimenti di Pastiglia non riesce ad
aprire la bocca, prova a socchiu-bambini puzza di latte in girotondo.
dere il labbro superiore che sembra incollato a quello in-Come quei balli etnici,
folk: millimetriche variazioni.
feriore con quel vinavil bianco e appiccicoso e amaro.
pure oltre. Gli sembra questo e altro, sennò non urlereb-Finalmente parla, anche
se le sue pupille stanno tra-bero così, che neppure in picchiata giù da una
montagna-montando, scivolano all’indietro e il bulbo è una palla russa, con i
polmoni che esplodono e lo stomaco che vor-bianca che fa impressione.
poi lo perde di nuovo. Come i suoi occhi che vanno e ven-Sento un tonfo.
– Tremenda sta roba, cazzo ci avete messo… altro che mendo di ossa e
mattonelle.
La guardo e mi fa paura e un po’ pietà: cosa le tocca fare Gigi e Silvia guardano
me. Io guardo loro e abbiamo la per stare dietro a Gigi, penso. Poi sento
improvvisamente faccia della paura. La faccia del terrore è: zigomi allunga-lo
stomaco trafitto da un suono profondo e basso. Un ti, labbra ritirate oltre la
bocca, battito cardiaco accelera-suono che fa tremare il frigorifero e i vetri della
finestre to, capelli elettrizzati.
aperte che fa un caldo boia. Quelli nell’altra stanza non Uno… due… tre secondi
di silenzio assoluto. Mentre la hanno sentito ragioni e ora il mio stereo trasmette
vibra-musica spazza la casa con una folata gelida di chitarre zioni sovrumane.
straziate.
Gigi anche questa volta sbraita ma cambia gli ordini: E ripenso alle lezioni di
pronto intervento, quelle che
una volta al mese ci fa il medico sociale ma nessuno di noi Manco gli escono le
parole, inizia a ridere e avvinghia Sil-lo sta mai ad ascoltare. Penso che forse
qualcosa la ricor-via che avvinghia Cerchietto e iniziano a ballare, in tre.
do, penso anche che sarei dovuto stare un po’ più attento Quasi in girotondo,
sbilenco. E ruotano, ruotano nella loro a quel corso.
– Minchia… la testa…
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– Minchia che botta… ma che cazzo ci avete messo nel-due gemelli da amare…
la roba…
momento sembrano un’altalena che sta per rompere i car-Mandibola che provava
a tenere una lezione di botanica dini e mandare tutti a puttane.
applicata allo smercio a due accasciati sul tappetino di Nessuna delle due ha la
forza per reggere l’altra.
mare. Ma non la nostra vicina. La nostra vicina non è mai Finalmente barcollano
oltre la cucina, escono dalla mia andata in vacanza. Mai.
visuale ma le sento. Le sento che prendono a pugni la porta a vetri del bagno, già
carico di gente.
madre uscire dalla stanza e puntare verso la cucina. Sentii Poi tre giri di chiave,
poi tante risate e l’acqua che scor-il ronzio del frigorifero. Un rumore di ghiaccio
e bicchiere. E lo so che domani mi toccherà pulire anche il bagno.
vano solo Luigi e io, io e Luigi, a fargli frantumare le palle Prendo la sdraio e
provo a dormire in terrazzino.
dal condominio. Borbottò, disintegrando i cubetti con i denti, che già c’aveva gli
affari suoi col condominio. Mia
***
– Ma chissene frega…
va.
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ogni membro della sua tribù. Ma la tribù ha sempre fatto pagare tutto a lui: le
tinte del corridoio - che sfrega che ti Così me la sono presa io la sua musica.
Quasi un risarci-sfrega l’alone era restato e forse pure peggio - lo zerbino mento.
Per quanto mi ha fatto soffrire.
del piano di sotto, la catenina, il buco di sigaretta sul diva-Ma non ho il coraggio
di metterla su, mi farebbe male no in pelle marron con le cuciture grosse - che
c’era sfug-un solo suono. Così la tengo lì sugli scaffali. Aspettando il gito - e
pure l’espulsione da scuola quando gli hanno bec-giorno che avrò un po’ più di
coraggio.
cato le pastiglie.
– ’Ngiorno Gigi…
– ’Ngiorno Vanni…
ri, consigliarono a mio padre di mandarlo all’altro liceo, Oggi non ho nessuno
con cui dividere il risveglio.
quello, dissero, che era più fatto per lui. Così esuberante,
– Notte Vanni…
– Notte Gì…
quelle capsule bianche. Aveva detto così: – Per concen-E neppure il riposo.
trarmi e rendere meglio, – quando gli altri avevano deciso Avevo il mercoledì
sera. Avevo il lunedì mattina. Por-che era meglio che pagasse solo lui.
Lui demonio con le scarpe nere a punta per schiacciare le formiche negli angoli
dei muri e con quei capelli che
***
tutto a fare le cose peggiori. Questo dissero. Perché que-Il lunedì mattina è
chiusa come quasi tutti i negozi della sto riferirono pur di salvarsi il culo quelli
della tribù.
città. Anche il campo è chiuso, niente addominali alti, ad-E lui a modo suo pagò,
un po’ convincendoli e un po’
convincendo se stesso.
– Non fidarti mai di nessuno, mai Vanni… gente ’e mer-gia, sulla spiaggia che
addolcisce questa città. Che addol-da… gente ’e merda e pure coglioni e
cagasotto perché io civa questa città.
non mi sarei mai fatto beccare, io non me la sarei mai can-Passeggiamo fra la
sabbia borotalco e la battigia dove si tata, io non li avrei fregati… mai…
Quello è il giorno che iniziò a morire. Quel giorno che Questa dei colori
dell’acqua e della sabbia abbacinante lasciò il vecchio liceo per il nuovo più
adatto. Rimase solo, che non ci sono più è una di quelle storie che mi fa troppo
per un po’. Una sosta ai box, un altro giro e fu pure peggio.
male.
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gni, assorbenti, tampax, lattici, preservativi, scarpe, cal-questa arriva dal Brasile
o forse dal Portogallo… Brasile ze, mutande, pantaloni, pannolini, canottiere. I
vetri e le Brasile…
apro la busta, sfilo dal chiodo con suono che raspa nei
– Ti piacciono i nudi?
Forse sì.
E Rocca li smarca.
Lo infilza e lo sfiocina per leggerlo meglio.
– Lattina di aranciata.
– Lattina di aranciata.
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freddo ma appiccicoso.
E ci ripensa.
– Quanto ti pesa?
No mai, rispondo.
di non capire.
No.
– Tè o caffè?
– Forma o sostanza?
– Essere o apparire?
bero rogne e guai e poi noi non ci facciamo più nulla, non E dài, che domande,
faccio io.
– Lunedì…
– Signor Robinson.
– Ha portato le buste?
– Arte o business?
tornare il sorriso, che mi fanno pensare che non c’era un E quasi mi fiocina una
scarpa con la sua lancia-chiodo.
bel nulla da arrossire. E questa è una cosa banale ma che Andiamo su e giù,
dodici chilometri ad andare e dodici nessuno vuole ammettere.
a tornare. Con il sole che ci scalda anche se è novembre, Fra i ricordi della
vergogna c’è quell’altro del Signor 178
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breria, se avessi capito oltre i suoi sguardi, se avessi potuto portare indietro il
tempo. Mentre posso portare indietro solo i ricordi e i pensieri.
Solo per una cosa sono contento. Solo una. Almeno lui la storia della spiaggia se
l’è risparmiata. Almeno lui la morte della spiaggia non l’ha vista. Non ha visto la
sabbia nera, sulla bianca. La sabbia nera succhiata dagli abissi al Giro e rigiro gli
album e le figurine, li tengo qua giù nel largo, in mare aperto, la sabbia che non
ha mai potuto ve-mio armadietto. E tutti pensano che si tratti di un gesto dere la
luce che fa qua. E questo era facile da capire. Ma scaramantico. Anche il mister
che mi lascia fare mentre hanno preferito fare di testa loro. Il borotalco invaso da
impartisce i primi ordini e richiama ogni compagno al pietre e terra. Non ha
visto il progetto dei faraoni per proprio compito.
– La vedo, la vedo.
– Lo so.
mia vita.
l’unico motivo per cui oggi non piango. Qua giù ricordan-Meno sogni, meno
amicizie, meno affetti, meno aspira-do lui, nello sfintere dell’arena.
zioni, meno futuro, meno autodeterminazione che vuol dire scegliersi un destino,
una vita.
E anche questa è una lagna e che tutti sanno e che tutti si vergognano.
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I pensieri della vergogna.
Sbradabang!!!
Cosa sarei potuto diventare? Se non calciatore cosa sa-Eccomi sono pronto, la
moviola si ferma, lo stadio mi rei potuto diventare?
invoca in piedi e batte le mani. Alzo in aria le braccia e lo-Non lo so. Ma so che
forse tutto doveva passare da qui, ro vanno in delirio. Non lo avevo mai fatto,
impazziscono, da questo maledetto e flatulento stomaco dell’arena e che urlano
il mio nome, pensano che sia un segnale all’avvio ogni passaggio fluttuante, ogni
galoppata, mischia furi-delle ostilità, il via al ruggito dell’arena. Invece è così
sem-bonda, verticalizzazione e progressione e gol ancora gol e plice: braccia
alzate, segnale di resa.
bra sul fischietto, urlare ordini, impartire punizioni, subi-Si ride, pure troppo,
qua giù. È la tensione che spesso fa re umiliazioni, processi del lunedì, insulti,
fischi. Per cosa, questo scherzo.
Fuori lo stadio è pieno, gli altri la scorsa stagione hanno E noi qui sul campo per
cosa, per che cosa? Per i miliar-perso tutto per un soffio e tutto per colpa nostra,
mia. Il di che svaniranno con la gloria, per il solito teatrino della mister ci urla le
ultime istruzioni, è più schizzato che mai.
già fischiato ma resto a terra, vedo con la coda dell’occhio Lo ascolto e non lo
ascolto, mi sembra che tutto viaggi la barella che si avvicina, la precedo, mi
rialzo di scatto, il alla moviola, le sue labbra si muovono lente, quasi defor-
pubblico esulta stupito. Rialzo le braccia al cielo, di nuo-mi, mi indica di
continuo mentre sbraita e tutti mi guardavo boato.
ti, mi sembra di essere sotto gli effetti di una luce strobo che si fa sempre più
intensa.
Sbradabang!!!
182
183
Sbradabang!!!
Ultimo pezzetto
Sbradabang!!!
Sbradabang!!!
Domenica notte. Mi alzo e acciuffo il telefono. Per poco a zio Nannino non
viene una sincope, per poco non gli esplode una vena del collo. Ha già il
giornale sul tavolo, lo so, sorseggia il caffè amaro e aspetta che alle 3 la
compagnia di caccia lo venga a prendere. Lo avevano riammesso subito dopo la
mia prima convocazione in Nazionale. Ed era chiaro che sarebbe andata così.
La voce gli balla, non ci vediamo da tempo, gli sento persino tremare la mano
sulla tazzina di ceramica e gli chiedo se lo posso scortare come ai vecchi tempi
alla posta, nella boscaglia, quando era lui a scortare me.
E piange.
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pesare a questo mio povero cervello che se c’è un inizio, se Lo guardo di spalle, i
capelli non ci sono più e sopra alla fine c’è stato un inizio, be’ tutto ha preso il
via con lo-l’undici ha solo una cornice grigia da orecchio a orecchio.
La brina gli corre lungo la testa e gli cola sulla nuca, inzup-pandogli quei due
peli bianchi che distillano le gocce delE ora la mia macchina corre e divora
queste curve e sale la sua vecchiaia.
mentre arriva la prima luce. Guardo in basso e vedo que-Sapevo che non avrebbe
retto tutta l’attesa, che prima o sto nostro mare mare e questo nostro cielo cielo
che si toc-poi si sarebbe accasciato tra queste pietre. Una mano sul cano e si
specchiano a vicenda. Nulla si muove e mi sem-fucile, l’altra fra la guancia e la
roccia foderata di muschio.
bra di percorrere una natura quadro, di sfrecciare in una Gli capitava già dieci
anni fa figurarsi oggi.
fotografia. Qui dove nulla mi sembra più vero. Neanche Aspetto che il suo
respiro si faccia pesante e il viso si ri-questa musica, questo incontro di tasti
sfiorati che si in-lassi e le rughe si distendano. E il suo naso soffia un respi-
trecciano con queste corde pizzicate e scivolano via dagli ro esausto, stufo.
Anche lui di questa vita.
Eccoci siamo sui monti. Su questi monti che sbeffeggiano la spiaggia giù a valle
e mi chiedo con quale coraggio, Sbradabang!!!
loro colline di mare. Nella posta di sempre, in silenzio con le orecchie tese verso
il latrare dei cani lontani che cerca-no il cinghiale diavolo nella foschia, che
ondeggiano con coda e orecchie lunghe, galleggiano fra queste nuvole umide che
ci soffocano il respiro e ci bagnano i pensieri.
Sbucano col cuore tamburo fra questi fiumi di brina, pronti ad infilzare con i loro
denti questo demonio animale metastasi.
Nannino non è più Nannino. Sembra suo padre che ho conosciuto appena ma mi
è rimasto impresso nella memoria. Si è rinsecchito, come suo padre, e la camicia
che una volta a malapena gli conteneva il collo ora lascia intra-vedere l’undici,
quei due nervi della cervicale che vengono fuori e formano un bel numero
undici, come il suo vecchio.
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Alla fine tutti i pezzetti sono volati via sulla gobba di un vento maestrale. Cenere
alla cenere, polvere alla polvere.
Nostro Signore Gesù Cristo rockstar martire mi è stato buon testimone e mi ha
sorriso e mi ha strizzato l’occhio.
Finii nuovamente sui giornali, occupai le prime pagine per settimane intere.
Oggi, oggi che stacco scontrini capisco forse che una storia così me la sarei
dovuta vendere prima. Non che i soldi mi manchino, anzi. Giusto così perché se
avevo deciso che finalmente era giunto il mio turno avrei dovuto portarmi via
tutto l’incasso. E quasi l’ho fatto.
Oggi, oggi che batto cassa ho alle mie spalle tutti i ritagli di giornale, tutti i miei
titoli. Sono Vanni Visco Martire della Sfiga. E mi vogliono più bene e quei titoli
glielo ri-corderanno per sempre che solo la sfiga poteva fermarmi.
“Vanni Visco perde un piede durante una battuta di caccia”, “Tragico incidente,
Visco perde un piede a caccia” e poi a seguire: “Visco ricoverato d’urgenza negli
Stati Uniti”, sottotitolo “Tenteranno di ricostruirgli il piede”.
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In un mezzo inglese, francese, italiano e pure con i disegni Clic, e mi levo dalle
scatole. Suicidio perfetto, fra gli onori delle fortezze volanti, quelle di quando si
decise di degna-e la gloria di chi se li gode però in vita.
lo che c’è da credere. San Vanni Visco Martire per Se Stes-E se la ridono di
brutto.
cora perché io sono Vanni Visco, l’imperatore del calcio mi sono preso anche il
vecchio Ottavio. Il cane cirneco ha ancora da eguagliare.
– Signora il suo libro rilegato sarà pronto per domani, per pretesto, per prendere
una cosa ma soprattutto toc-incisioni in oro, sì incisioni in oro…
carmi, guardarmi, stringermi la mano. Così i miei libri ar-E ci ho messo pure
babbo nella stanzetta esagonale. Le rivano ovunque, nelle case di chi al massimo
sino a ieri ha copertine in pelle sono di moda, sono tornate di moda.
ospitato solo i fogli rosa dello sport. È la mia rivincita di fi-Sta lì e tiene
impegnate le mani ma non la mente, la ne carriera.
mente non c’è più o giusto un pochino. Vive in un mondo E anche questa è una
cosa banale, stucchevole e banale tutto suo. Chissà dov’è e dove va con quella
sua mente.
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INDICE
INDICE
Ultima di campionato
Primo pezzetto
Secondo pezzetto
17
Terzo pezzetto
23
Quarto pezzetto
35
Quinto pezzetto
41
Sesto pezzetto
49
Settimo pezzetto
59
Ottavo pezzetto
71
Nono pezzetto
77
Decimo pezzetto
83
Undicesimo pezzetto
101
Dodicesimo pezzetto
113
Tredicesimo pezzetto
127
Quattordicesimo pezzetto
141
Quindicesimo pezzetto
155
Sedicesimo pezzetto
159
Diciassettesimo pezzetto
165
Diciottesimo pezzetto
181
Ultimo pezzetto
185
Volumi pubblicati:
Tascabili . Narrativa
Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche Emilio Lussu, Il cinghiale del
Diavolo (2a ristampa) Maria Giacobbe, Il mare (ristampa) Sergio Atzeni, Il
quinto passo è l’addio Sergio Atzeni, Passavamo sulla terra leggeri Giulio
Angioni, L’oro di Fraus
Giorgio Todde, La matta bestialità (2a edizione) Sergio Atzeni, Racconti con
colonna sonora e altri «in giallo»
Saggistica
FuoriCollana
Giorgio Todde, Ei
Antonietta Ciusa Mascolo, Francesco Ciusa, mio padre Luigi Pintor, Servabo
Narrativa
Marcello Fois, Nulla (2a edizione) Giovanni Lilliu, La civiltà dei sardi
Francesco Cucca, Muni rosa del Suf
Giorgio Todde, Lo stato delle anime Maria Giacobbe, Scenari d’esilio. Quindici
parabole Marcello Fois, L’altro mondo
Poesia
Sergio Atzeni, Due colori esistono al mondo. Il verde è il secondo Gigi Dessì, Il
disegno
Roberto Concu Serra, Esercizi di salvezza Serge Pey, Nierika o le memorie del
quinto sole Finito di stampare