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Prologo
La notte giunse, buia e profonda. I sussurri delle sue creature erano coperti dagli scoppiettii delle fiamme delle
torce e di un piccolo fuoco di ramoscelli.
Solo la voce del vento tra le fortificazioni di legno, teneva accesa la certezza che il mondo era ancora vivo.
La pioggia del giorno prima aveva lasciato fango ed un odore di fresco sul terreno.
La primavera si rifiutava di arrivare; come se il respiro della Morte avesse permeato gli Elementi: Madre Natura
stessa, offesa, era avara di doni.
Troppe erano state le ingiurie arrecate a Lei e ai suoi figli; la sola nobile risposta a tanta infamia fu freddo e
silenzio.
Troppo sangue innocente nella terra, troppo dolore nell’aria, troppe grida nel cielo.
Cap. 1
L’odio non alimentava più l’animo di Kildakel; il suo corpo era ancora forte, la sua spada corrosa dal sangue, il
cuore solo una pompa, la mente fredda come la neve.
Il turno di guardia era quasi finito, la luna stava annegando tra le oscure cime di Green Torr; Kildakel sentiva il
bisogno di un po’ di riposo.
Gettò qualche pezzo di legna sul fuoco, e si preparò a soffiare nel corno, una volta soltanto.
Era il segnale che tutto era tranquillo e che per lui era giunta l’ora del cambio.
Il corno era piacevole al tatto. I fini ceselli nell’argento gli evocavano ricordi di un tempo migliore, l’amore e la
nobiltà della sua gente.
Lanciò solo una breve nota di richiamo, anche se la maggior parte degli uomini non riusciva a dormire in quelle
notti.
Un rumore di passi sulla scala di legno gli fece capire che il cambio stava arrivando.
Prese saldamente la torcia che illuminò il volto di Beltram. Nemmeno lui aveva dormito, i suoi occhi erano accesi
dall’attesa.
- “Salve Kildakel
- “Salve.”
- “Sempre di poche parole, eh?”
- “Non ho niente da dire, Beltram”
Troppe parole avevano saturato l’aria, da mesi; la maggior parte di esse erano precipitate a terra, ed ora
giacevano frammiste al fango e al sangue.
Quello che aveva detto Beltram non era vero: solo poche settimane prima alcuni di quei porci si erano insinuati
fino al villaggio e avevano gettato della carne putrida nei pozzi; tre donne erano state attaccate, pochi giorni
dopo, mentre raccoglievano l’acqua al ruscello.
I Druidi ed i Vecchi Saggi avevano a lungo discusso, cercando di capire perché quegli uomini si ostinassero ad
attaccare il loro villaggio. La risposta era soltanto una: “Odio”.
Un odio inspiegabile contro la bellezza e la pace. Laggiù non c’erano né oro né gioielli da depredare, solo le
ricchezze dell’animo.
“Le forze del Male odiano il Sole! Eravamo troppo luminosi; stanno cercando di oscurarci con nuvole d’angoscia
e di terrore. Non dobbiamo ascoltare la paura se vogliamo vincere!” – diceva spesso Grimdell, un vecchio con
una lunga e nobile barba. I più lo credevano pazzo, ma sarebbe stato più saggio ascoltare le sue parole, talvolta
Dio parlava attraverso la bocca dei folli.
Giunse il mattino, e trovò Kildakel addormentato da poche ore. Giaceva in un sonno profondo, senza sogni.
Il martellare del fabbro lo svegliò, come al solito e, come al solito, si domandò come quell’incubo sarebbe finito.
Un nuovo giorno ebbe inizio; Un tappeto di bruma sfiorava il suolo, creando uno scenario irreale. Il martello del
fabbro sul ferro, scandiva il mattino; il suono ricordava quello di una campana a morto.
Beltram smise di suonare l’arpa; chiuse le palpebre per un attimo e scosse la testa come se stesse uscendo da
una trance.
Un breve suono e Beltram saltando l’ultimo gradino della scaletta, scese a terra senza aspettare il cambio.
Beltram era un buon guerriero. In più, anche nei momenti peggiori, era capace di strappare un sorriso dal volto.
Ormai da anni la furia di Dalmar attraversava il mare cercando di sottomettere il popolo di Pahseron.
Raggiunsero presto il Dragon’s Inn. Il proprietario sicuramente stava ancora dormendo; ma era un divertimento
per i due tirarlo giù dal letto e fargli preparare la colazione in pochi minuti: in quei tempi i guerrieri erano molto
rispettati, e la gente gli concedeva di buon grado la licenza di essere sgarbati.
Prima di bussare alla porta Kildakel guardò la torretta: un altro uomo era già montato di guardia.
C’erano quattro torrette nel villaggio, da due di esse era possibile controllare il mare, dalle altre due le sentinelle
potevano avvistare gli attacchi dalla vicina foresta.
- “Salve Brunfir! Uova al formaggio e prosciutto … e latte con miele, grazie!” – Ordinò Beltram.
- “Sono costernato Signore … il formaggio è partito … solo latte e uova ancora … il miele è finito. Tutto finito.”
Brunfir era originario delle Terre del Sud; non parlava ancora molto bene la Lingua del Nord.
- “Oh Brunfir! Quand’è che rinnovi il menù?” – Lo stuzzicò Beltram.
La solita pantomima, un mattino ordinava una torta di mirtilli, un altro un arrosto di maiale. Sempre col medesimo
risultato: latte e uova.
- “Ho sentito delle strane voci ieri in strada. “ Disse Kildakel sedendosi al tavolo.
- “Che tipo di voci.” – Chiese Beltram.
- “Un uomo proveniente dalle Terre dell’Ovest sosteneva di avere visto gruppi di Orck muoversi sulle Colline
Blu; temeva che avessero l’intenzione di unirsi all’esercito di Dalmar.”
- “Orck? Ma sono mostri!”
- “Sì e non suonano l’arpa.”
- “Kildakel, ascolta un attimo! Come mai ogni tanto sei ostile verso di me?”
- “Non sono ostile; dai mangiamo qualcosa.”
Il sole spuntò anche a Dalmar, nonostante buie nubi si stessero radunando numerose sopra quelle terre.
I fiumi sembravano stanchi di scorrere. L’acqua cadeva dalle rocce senza scosciare.
Il muschio stava abbandonando la sua presa sulle pietre, ansioso di raggiungere la pace del mare.
In quelle terre desolate Re Herrick si trastullava la mente con i suoi sogni di potere.
Il suo castello raggiungeva il cielo dalla cima di un picco roccioso come un urlo pietrificato.
Egli aveva conquistato quasi tutte le Terre dell’Est, dal Pozzo della Morte alle Colline Blu.
Fiumi di sangue erano stati fatti sgorgare dalle vene di gente innocente dalle lame delle sue armate.
Non poteva ammettere come uno stupido villaggio nel nord stesse ancora resistendo ai suoi attacchi.
Una leggenda narrava che quel villaggio era protetto dal potere di un lago sacro inscritto in un cerchio
d’altissime montagne, col potere di donare forza e saggezza, ma il Re non aveva mai creduto a tali sciocchezze.
Nel corso della sua vita aveva imparato bene che il vero potere si conquistava e manteneva solo con temibili
armate e con le capacità della mente.
Quella mattina si svegliò di pessimo umore e con una sete terribile, come sempre.
Cap. 3
Gli uomini usavano chiamarli “Orck”. Erano creature dell’Oscurità, una leggenda raccontava che fossero usciti a
migliaia un giorno dal Pozzo della Morte, nel Sud Ovest.
In seguito si erano spostati nelle paludi delle Terre Occidentali. Gli Orchi erano molto corpulenti, non molto alti e
puzzolenti.
Mangiavano prevalentemente animali morti, ma non lasciavano da parte nemmeno ogni piccola creatura che
riuscivano a catturare. Per questo non era difficile convincerli ad unirsi ad un esercito di soldati in cambio di
buon cibo e un po’ di birra.
Anche se non era loro costume cacciare per nutrirsi erano terribili in battaglia.
Molte strane creature abitavano quelle terre; la razza umana era forse la meno popolare.
La più strana era certamente l’Obscurno, un mix tra un vampiro, un demone e l’Ombra.
Non era del tutto cattivo; si nutriva di ragni, servivano al suo organismo per secernere un veleno paralizzante.
Raramente attaccava per primo; ma quando lo faceva, paralizzava le vittime col suo veleno, quindi con denti
eterei succhiava loro parte della forza vitale, lasciandole quasi morte per alcuni giorni.
Poteva volare leggero, dato che non aveva un vero e proprio “corpo”; era materiale ed etereo allo stesso tempo,
come un’ombra.
Fortunatamente per gli umani e per le altre creature, anche se completamente nero, il suo corpo emanava una
luminescenza che lo rendeva visibile la notte.
In accordo con la sua natura, durante il giorno dormiva, per lo più in caverne umide, dove poteva trovare con
facilità ragni per colazione.
Ai Gup non dispiacevano neppure le bacche ed i frutti che abbondavano nel vicino bosco.
La sola cosa che odiavano era vestirsi ed uscire dalla confortevole acqua calda.
Era loro costume indossare soltanto stupendi gioielli con gemme e pietre preziose che trovavano tra le acque
del lago.
I Gup erano amichevoli di carattere, eccezion fatta nei confronti degli Obscurni e dei granchi.
Vicino a chiare cascate e in boschi puliti vivevano le Etheridi, piccole e fragili creature dotate di poteri magici.
Cap. 4
Dana stava spingendo il suo cavallo senza pietà. I suoi lunghi capelli biondi danzavano nel vento come le onde
di un mare d’oro.
Era la figlia del Governatore di Dantaria, una contea nel Sud Ovest.
Aveva sempre creduto nei benefici poteri d’Ellipticon, il Tempio nell’isola di Pahseron.
Le voci che quelle terre fossero in pericolo avevano raggiunto le porte di Dantaria.
Per molti giorni aveva implorato suo padre di mandare dei soldati in difesa di quel sacro luogo.
- “E’ troppo pericoloso.” – Diceva. – “Il viaggio e troppo lungo, perderei metà del nostro esercito durante il
viaggio. Conosco il tuo cuore, cara, ma ho bisogno dei miei uomini qui per difendere Dantaria.”
Dana decise giovanissima di diventare una guerriera; ora era una donna molto pericolosa, bravissima con l’arco
e i pugnali da lancio.
Stava spingendo oltre i limiti il suo cavallo per giungere a Wernenstall prima del tramonto.
Era partita da casa una settimana prima in gran fretta, lasciando soltanto poche parole scritte per il padre, nel
timore di essere fermata nel suo intento.
In pochi giorni avrebbe raggiunto il villaggio di Pahseron, laggiù avrebbe potuto finalmente seguire i dettami del
suo cuore per difendere ciò in cui da sempre credeva.
Cavalcava dall’alba al tramonto attraverso boschi e foreste, evitando sentieri e strade dove era probabile
incontrare una delle truppe di Herrick; scegliendo sempre la luce del sole, poiché la notte non era più sicura.
Beltram e Kildakel uscirono dalla locanda. La bruma del mattino aveva lasciato gocce luminose sull’erba.
Il vento era silenzioso. Un pallido sole lanciava i suoi raggi attraverso i rari squarci tre le onnipresenti nuvole
basse.
Il piccolo villaggio stava ancora resistendo poiché era costruito in un punto strategico.
Da un lato la fitta foresta non poteva essere attraversata da una grossa armata; dall’altro, il mare.
Dalle torri le sentinelle erano in grado di scorgere una nave anche molto distante, in questo modo i guerrieri
potevano prendersi il tempo necessario per organizzare le dovute difese.
Grosse catapulte erano mantenute sempre efficienti sulla spiaggia, e molte navi erano affondate in quelle acque.
Il portale era costruito con pesante e robusto legno di quercia; grossi catenacci di ferro lo assicuravano
permanentemente chiuso. Due guardie pesantemente armate sorvegliavano l’ingresso.
Un lungo tunnel scavato nelle roccia era l’unica via che conduceva ad Ellipticon. Molte trappole era disseminate
lungo la galleria.
Profondi pozzi nel pavimento, lame affilate nascoste nei muri. In più un meccanismo era stato costruito in modo
tale da poter far crollare il soffitto e chiudere definitivamente il tunnel.
Kildakel accese una torcia anche se ricordava la posizione d’ogni roccia della galleria.
Nessuno sapeva chi lo avesse costruito, sicuramente l’origine del lago non era naturale.
Il lago era scavato in un unico enorme blocco di marmo bianco e il suo perimetro descriveva un’ellisse perfetta,
come l’orbita di un pianeta.
Nel fuoco settentrionale una colonna di marmo sorgeva dalle profondità dell’acqua fino a pochi centimetri sopra
la superficie. Fini intagli decoravano la roccia levigata.
Chi dormiva in quel mistico luogo spesso aveva sogni molto particolari.
Nelle sue acque vivevano milioni di creature di una specie molto particolare, erano animali molto simili ai
calamari, ma erano trasparenti come meduse; il loro corpo aveva la forma di un lungo prisma.
Quando il sole illuminava l’acqua, una luce iridescente inondava il lago e la roccia bianca della montagna che lo
circoscriveva.
Entrando in quel luogo in un giorno di sole era come annegare in un mare di colori.
Là tutti i dolori e le sofferenze svanivano, e la mente poteva galleggiare sopra le nuvole della tristezza
raggiungendo quelle alte a sicure zone dove lo spirito degli uomini diventava capace di osservare le vicende
mortali con saggezza e sapienza.
Sistemò la torcia nel suo supporto sul muro. Di fronte a lui la porta che conduceva ad Ellipticon. Complicati
disegni dipinti con colori incredibili decoravano il portale privo di chiavistelli.
In pochi minuti i colori inondarono la montagna, l’acqua, e l’aria. Una sottile cortina di nebbia sopra il lago creava
un soffitto d’arcobaleno.
La mente di Kildakel cominciò a danzare con i colori. Dietro i suoi occhi rosso e nero, sopra il lago, una luce
iridescente.
Le preoccupazioni circa il possibile attacco di Herrick avevano creato una nebbia rosso sangue nella sua mente.
Un respiro.
L’aria fresca nei suoi polmoni gettò scintille azzurre nel rosso.
Una grande forza salì dai suoi piedi fino alla sua mente. Ora il rosso e il nero stavano acquistando consistenza,
luci bianche e blu in essi.
Improvvisamente la nebbia di sangue rovinò dietro i suoi occhi; soffiò fuori l’aria.
Il suo corpo era attraversato da scariche elettriche. Un balenio di luce rossa uscì dalla sua bocca, galleggiò
sopra il lago, virò al violetto e quindi al bianco … inspirò di nuovo.
Dentro … fuori!
Il suo corpo nudo e abbronzato era quasi invisibile nella stanza buia, ma Herrick lo conosceva come le sue
tasche, e poiché il Re amava dormire nudo, trovò presto un posto caldo e piacevole dove rinfrescarsi la
memoria.
Ora lei giaceva tra le sue braccia; il caffè stava cominciando a fare effetto. Re Herrick aprì gli occhi lentamente.
Il soffice seno di Drusilla sul suo petto lo aiutò a svegliarsi del tutto.
Drusilla lo fissò negli occhi per un attimo e gli sussurrò nell’orecchio: - - “Lo sai che non ci bado.”
Herrick sorrise e le diede un altro profondo bacio. Quindi scese dal letto e aprì le finestre.
- “Tutti i giorni questa merda di tempo! Nebbia, nuvole e vapori puzzolenti dalle paludi. Uno di questi giorni
dovrò ordinare a quei vermi di buttare giù tutto e di costruire una bella serra di palme da cocco.”
- “Sì.” – Disse piano Drusilla dal letto – “Faremo l’amore tutto il giorno tra i fiori tropicali.”
- “Bleah!” – Sputò Herrick – “Mettiamoci al lavoro! Per favore chiama Hugo, voglio sapere se quei maiali degli
Orck stanno arrivando o se sputtanano il loro tempo per fottersi tutte le Etheridi che incontrano per strada.”
- “Va bene. Vuoi mangiare qualcosa prima?”
- “No, cara, grazie. Ho una fogna nello stomaco. Magari più tardi.”
- “Non dovresti bere così tanto.”
- “E’ solo stress Drusilla, non ti preoccupare, sto bene.”
Hugo entrò nella stanza dopo pochi minuti con una pila di carte.
Il Re si alzò dal letto e si avvicino la sua bocca al naso di Hugo. La cena della sera prima mista al vino arricchì il
suo nobile alito.
Costeggiò per un po’ il fiume finché raggiunse una radura nel bosco con una zona d’acqua ferma.
Dana approfittò di quell’opportunità per abbeverare il cavallo. La sua pelle era madida di sudore; anche lei aveva
bisogno di un po’ di riposo.
I suoi capelli erano pieni di foglie: aveva dovuto attraversare un tratto di foresta e molti alberi stendevano bassi i
loro rami; con il suo vestito di pelle leggera Dana sembrava una ninfa.
Nella sua borsa c’erano carne secca, formaggio e acqua. Si sedette vicino all’acqua per mangiare qualcosa.
La radura sembrava un posto sicuro, il vento sussurrava gentilmente tra gli alberi, e un sole caldo brillava nel
cielo.
Dana discendeva da un’antica stirpe di nobili guerrieri; i suoi antenati avevano sempre combattuto in difesa dei
deboli e per il giusto trionfo della libertà.
Non aveva mai visto Ellipticon, molti uomini anche in Dantaria credevano fosse un luogo fantastico, solo una
leggenda, ma lei non era mai stata di questo parere; in più, gente innocente stava soffrendo senza motivo nel
Nord.
Dana aveva sentito nel suo cuore il desiderio di raggiungerli e questo fu più che sufficiente a muovere il suo
spirito.
Sfogliò la mappa masticando un po’ di formaggio. Poteva anche non essere precisa: quell’area era lontana dai
percorsi abituali.
Dana stava controllando la mappa, quando un rumore dietro di lei le fece voltare la testa.
Da un cespuglio apparve un grosso lupo grigio. Dana si domandò per un istante come mai quell’animale stesse
cacciando da solo; poi notò i suoi occhi: erano bianchi e vuoti come due fori nel cranio.
- “Ciao carina.” – Disse il lupo. La sua voce era dolce, come una melodia.
Non c’era tempo per lanciare il pugnale, il lupo era troppo vicino ormai, un altro salto e sarebbe stato sopra di lei.
L’animale spinse sulle gambe posteriori per spiccare l’ultimo balzo fatale.
Dana si abbassò e quando la bestia le fu sopra, gli affondò il pugnale nel petto trapassandogli il cuore.
L’oscura creatura era ancora viva, evidentemente non era riuscita a raggiungere una caverna quel mattino, e si
era vista costretta a nascondersi nel corpo di un lupo.
Gli Obscurni potevano possedere le creature prive di volontà anche se ciò costava loro un notevole dispendio di
forze.
Essendo ormai esausto, aveva scorto in Dana una fonte d’energia; raramente gli Obscurni attaccavano gli
umani.
Ora la creatura era esposta al sole, il suo corpo d’ombra non poteva esistere nella luce; così si accasciò al suolo
e cominciò a dissolversi.
Un triste lamento uscì dalla sua bocca, ma in pochi secondi fu tutto finito.
La prossima pioggia avrebbe lavato via le poche tracce nere rimaste sull’erba.
Dopo pochi minuti trovò il ponte. Era proprio dove l’Obscurno aveva detto
La foresta vicino al villaggio era molto antica; alberi secolari salivano alti centinaia di metri nel cielo, coperti di
spesso muschio.
Tra gli alberi, incantevoli ruscelli scrosciavano gentilmente. Non c’erano sentieri visibili per attraversarla.
Per questo motivo tutte le creature che vivevano laggiù, compresi alberi e cespugli erano grati di questo, ed
ognuno di loro mostrava il proprio amore in accordo con la loro natura.
Il Popolo delle Eheridi che un tempo viveva in quasi tutti i boschi e le foreste di quelle terre, aveva trovato un
rifugio sicuro nella Grande Foresta; solo un altro piccolo gruppo ancora viveva sulle Colline blu.
Avevano un aspetto umano ma erano un po’ più piccole di dimensioni. Le loro ossa erano cave. Sulle spalle
delle femmine un paio d'ali iridescenti si spiegavano nell’aria.
Le Etheridi avevano anche poteri magici; erano in grado di privare della vista, e per parecchie ore, qualsiasi
creatura vivente, compresi gli esseri umani.
Usavano i loro poteri con saggezza ma a volte anche per puro dispetto.
Avevano inoltre il dono della telepatia ed erano in grado di lenire il dolore e di curare alcune malattie.
- “Senti, la nostra vita non ha senso, stiamo sprecando il tempo aspettando di morire nella prossima
battaglia.”
- “Se hai qualche piano dillo questa sera al consiglio.”
- “Penso che dovremmo andare nelle Terre del Sud e cominciare un’altra vita.”
- “Credo che faresti meglio ad andare al lago, Beltram.”
- “Preferisco le donne.”
Un grosso braciere era già stato piazzato nella piazza principale. Tutt’intorno erano stati sistemati i posti a
sedere, in modo da descrivere un gran cerchio.
Quello era un Consiglio pubblico; tutti potevano partecipare ed esprimere il loro pensiero.
I posti a sedere erano riservati ai Druidi, ai Vecchi Saggi e ai guerrieri più valorosi.
Tutti gli altri, uomini e donne, potevano assistere in piedi.
Grossi falò con enormi spiedi erano sparsi un po’ dappertutto pronti per essere accesi.
Qualunque fosse stato l’esito dell’assemblea, alla fine ci sarebbe stata una gran festa, con buon cibo e musica
per tutti.
La gente del villaggio non avrebbe permesso che piani di Herrick intaccassero il loro amore per la vita.
Cap. 10
Il Governatore di quella città era un vecchio amico di suo padre, anche se quella contea era caduta da anni sotto
il dominio di Herrick.
Le porte della città erano aperte, ma due guardie con gli emblemi di Herrick sulle uniformi la guardarono
minacciose.
La guardia la osservò pensosa per un istante, quindi urlò qualcosa ad un altro soldato dentro le mura.
L’anello era il dono che il Governatore le aveva fatto il giorno della sua nascita.
- “D’accordo!” - Decise la guardia dopo aver osservato attentamente l’imperturbabile viso di Dana - “Consegna
l’anello al Governatore.”
Il soldato scomparve dietro le imponenti mura di Wernenstall. Le due guardie sulla porta risero fragorosamente
mostrando impunemente i loro pensieri.
- “Soldato!” - Rispose impassibile - “Non hai il permesso di indagare nella mia vita privata!”
- Chiedo scusa, Signore. Ma sto eseguendo le direttive di Re Herrick”. - Replicò sbarrandogli la strada con la
lancia.
- “Soldato! - Ruggì Theodore - “Sono ancora io il Governatore di questa città! Non dimenticartelo...ho ancora il
potere di sbatterti in una segreta!”
Poi Theodore si avvicinò di un passo alla guardia scostando la lancia e cambiò il tono della sua voce:
- “Apprezzo molto il tuo senso del dovere, soldato, ma non permetto a nessuno di sbarrarmi la strada!”
- “Chiedo scusa Signore.” - Disse la guardia ritirando l’arma.
- “Dana è soltanto un nomignolo, soldato, ed è mia ospite.”
- “Agli ordini Signore!” - Bofonchiò la guardia.
- “Cara Rose, che tu sia la benvenuta in Wernenstall!” - Disse il Governatore afferrando le briglie del suo cavallo.
- “Un bel giorno ti taglierò le palle!” - Sussurrò Dana nell’orecchio della guardia, ora di nuovo impassibile,
attraversando la porta.
Al villaggio tutto era pronto per il Consiglio; ogni sedile era occupato.
Un lungo, profondo suono del corno radunò la gente nella piazza.
Un grosso falò era stato acceso alcune ora prima. Ora il carbone, rosso e vivo, stava pulsando nel braciere.
Il Druide si spostò di fronte al braciere, e con un piccolo ramoscello di nocciolo tracciò alcuni segni esoterici ad
ogni punto cardinale, sussurrando parole incomprensibili per i presenti.
- “Le forze del male detestano il Sole! Eravamo troppo luminosi; stanno cercando di oscurarci con nubi cariche di
paura! Non dobbiamo ascoltare la paura se vogliamo vincere!” - Questo spesso diceva Grimdell, un vecchio
uomo con una lunga barba. - “Molta gente pensa che io sia pazzo, ma farebbero meglio ad ascoltare le mie
parole. Talvolta Dio parla attraverso la bocca dei folli.”
- “Per cortesia, Grimdell...” - Disse il Druide - “...prova a dire qualcosa di diverso qualche volta.”
Due sedili erano vuoti ora, e due donne, dopo aver chiesto licenza al Druide presero parte all’assemblea.
- “Mi domando...” - Iniziò una di loro - “...se Herrick abbia una mamma...”
Il fuoco si spense.
- “No, non sei troppo vecchio.” - Una bellissima Etheride stava volando sopra le loro teste. - “Tutti voi siete
vittime di un potente incantesimo. Herrick vi sta attaccando con forze oscure; per questo la vostra mente non è
lucida come dovrebbe.”
- “Cosa dici?” - Protestò il Druide - “Herrick non ha la più pallida idea di cosa sia la Magia!”
- “No, ma ha un potente Mago al suo servizio; noi Etheridi possiamo sentire la malvagità di quell'uomo. E’ molto
forte; incenso ed erbe non sono sufficienti! Questa è Magia Nera! Se non trovate presto una soluzione, le vostre
menti non riconosceranno più la Vera Luce ...posso dirvi di più: quel Mago ha un esercito d’Obscurni al suo
comando. Tutto ciò mi è stato riferito dalle nostre sorelle che abitano le Colline Blu. Siate prudenti! Devo andare
ora; questo posto sta diventando troppo tetro per i miei gusti.”
Il Druide lo osservò.
- “Hai avuto un’idea molto saggia, guerriero! Nessun potere oscuro non ha mai turbato la sacra pace d’Ellipticon.
Uomini, prendete cinque grandi bracieri! Uno di essi deve essere più grande degli altri, e portateli nel Tempio!” -
Ordinò.
Tutti i trabocchetti posti lungo il tunnel che conduceva al lago sacro furono resi inoffensivi per permettere alla
gente di passare.
Ellipticon non aveva mai visto una folla così grande radunarsi attorno alle sue acque.
Tutti tacevano.
Il braciere più grande fu posto nel punto più a nord del Tempio, così come aveva disposto il Druide.
I rimanenti quattro furono posti in punti equidistanti tra loro vicino al perimetro del lago.
Il Druide, dal Portale, sorvegliava che tutto fosse svolto nel migliore dei modi.
Mentalmente verificò che fosse possibile disegnare, con una linea ideale, una grande stella con un vertice in
direzione del Nord, connettendo i punti contrassegnati dai cinque bracieri. Al centro di essa sorgeva la Sacra
Colonna di Ellipticon.
Intanto nubi minacciose si stavano radunando sopra il lago. La luna fu presto oscurata.
Solo una debole luminescenza proveniente dalle sconosciute profondità del lago ancora rischiarava il Tempio.
- “Dobbiamo accendere ora i fuochi nei bracieri, nobile Druide? - Domandò un uomo.
- “Non ancora.” - Rispose - “Solo le torce per ora.”
- “Che cosa pensi di fare?” - Chiese Kildakel.
- “Dobbiamo contrastare quelle nubi, non sono naturali. Ellipticon ha molti poteri segreti.
Il Druide chiuse il Portale, dietro di se. Sul lato interno erano incise frasi scritte in una lingua dimenticata. Quindi
ricopiò alcune di esse su di una pergamena. Poi si avvicinò alle acque del lago.
Molti trattennero il respiro. Aprì la pergamena ed iniziò a parlare al lago in una strana lingua.
- “allosh ta! rgash kayeuta! seeashh! olma ta gore! itta itta lincxss! allosh ta! allosh ta!
Quindi ordinò di accendere il braciere a Nord, quindi quello di sud est, nord ovest, nord est e sud est in
sequenza.
Con una rapidità sconcertante, in pochi secondi la punta dell’immane colonna sormontava la montagne,
rivelando che la parte sommersa non fosse di marmo, ma di cristallo.
Un cristallo luminoso.
Era di un materiale capace di conservare nella sua struttura i colori del lago di giorno.
Ora un vortice di scintille colorate stava salendo dall’acqua descrivendo una spirale intorno al Sacro Pilastro. In
pochi secondi i colori raggiunsero il cielo. Scintille rosse e blu illuminarono le nuvole.
Le nubi scure implosero, come risucchiate dalla colonna di roccia. Due spirali ora si muovevano rapide attorno
ad esso: una luminosa saliva verso l’alto, ed una nera, dal cielo, s’inabissava nelle profonde acque di Ellipticon.
In pochi minuti il cielo divenne chiaro, illuminato da un balenio di luci; l’acqua del lago, invece, divenne nera
come l’inchiostro.
Un possente rombo salì dalle profondità d’Ellipticon e un cono di luce scaturì dal lago illuminando il cielo, un
arcobaleno di colori.
Le acque tornarono di nuovo limpide e cristalline; nel cielo iniziò un’aurora boreale.
- “Ci sono riuscito!” - Sussurrò il Druide - “L’incantesimo è spezzato!” - Gridò - “Quel mago avrà presto un gran
brutto mal di testa.” - Pensò.
Tutta la gente gridò di gioia. Ci sarebbe stata una gran festa al villaggio, quella notte.
Cap. 12
Drusilla stava osservando lo strano marchingegno davanti a lei, l’ultimo regalo di Herrick.
Un gran letto di soffici e colorati cuscini era stato approntato nel centro della Stanza della Sera, una delle nove
camere del castello riservate per lei.
Da laggiù poteva comodamente osservare il tramonto, ma questa volta era molto più interessata al suo nuovo
giocattolo.
Sospeso sopra il letto vi era uno schermo zeppo di cristalli, collegato ad una misteriosa e strana macchina
costruita dal mago Duregal.
Quell’apparecchiatura era in grado di immagazzinare la luce del sole, durante il giorno, in un contenitore nella
torre meridionale del castello; quindi un intricato sistema di tubi di cristallo la incanalava dalla torre allo schermo
sopra il letto.
Drusilla aveva sempre avuto molta cura della sua pelle dorata. Ma ultimamente in Dalmar il sole splendeva
sempre più di rado; per questo, Herrick aveva ordinato al mago di trovare subito una soluzione.
Quel macchinario era il risultato di mesi d'esperimento, ed ora Drusilla poteva avere il sole anche durante la
notte. Eccitatissima, girò la manopola su “Luce di Mezzogiorno”.
Immediatamente una calda luce solare fuoriuscì dai cristalli. Drusilla lasciò cadere distrattamente i pochi vestiti
leggeri che aveva addosso e si accoccolò tra i cuscini, facendo le fusa in quel piacevole tepore.
Herrick entrò nello studio di Duregal. La stanza era illuminata solo da candele nere.
Duregal si trovava in piedi davanti a una mappa in rilievo raffigurante il villaggio in miniatura; in essa il lago
mancava: evidentemente egli non ne conosceva l’esatta posizione.
Mentre Herrick entrò, il mago stava facendo sgocciolare della cera nera da una candela sul villaggio,
sussurrando strane parole. Sollevò la testa dalla scena per un istante, giusto per dire:
- “Sì, disturbate!”
- Che bel plastico” - Disse il Re - “Lo hai fatto tutto da solo?” - Herrick era ubriaco come la maggior parte delle
sere.
Duregal lo fissò per un istante negli occhi; il lampo d’odio che scoccò tra i due avrebbe potuto accendere una
candela.
Il Re cominciò a ridere; amava prendersi gioco del mago, come di chiunque altro.
Duregal non si curò di lui a lungo; versò altra cera nera, delle misture d’erbe e carbone e tuonò:
Herrick cominciò a passeggiare su e giù per lo studio con un’espressione pensierosa in volto.
- “Mi sono appena reso conto...” - Continuò il Re - “...che ora so con certezza in cosa sei veramente esperto.”
- “In cosa, Vostra Maestà?”
- “In malattie mentali.”
Duregal stava bruciando di rabbia quando un assordante rombo di tuono ruppe il silenzio.
Il mago aprì le finestre pensoso. Un poderoso vento invase la stanza spegnendo le torce.
- “Aha! Un’altra magia! E’ andata via la luce! Che l’Oscurità avvolga Dalmar!” - Continuò il Re.
- “Vi ho già detto di non scherzare sulla magia; tutto ciò ha l’aria di essere un vile contrattacco !” - Disse
gravemente Duregal.
Il vento crebbe d’intensità; gli alberi si piegavano sotto la sua furia impetuosa.
Drusilla era sotto la lampada mezza addormentata; sdraiata sul letto di cuscini non si era ancora accorta del
terremoto.
Quando Herrick raggiunse la sua stanza, il cielo s’illuminò a giorno: bagliori colorati stavano provenendo da
nord, illuminando le nuvole del cielo di Dalmar, mentre la terra tremava pericolosamente.
Il grosso cristallo posto sulla torre meridionale e collegato col letto solare di Drusilla, cominciò a vibrare.
Quando il mare di luce nel cielo raggiunse il castello di Herrick, un unico potente fulmine colpì il cristallo.
Cap. 13
I flauti di Pan delle Etheridi stavano ancora riempiendo di gioia i cuori degli uomini.
Per tutta la notte avevano volteggiato sopra il villaggio suonando canzoni che risollevavano lo spirito.
Il sole stava sorgendo. Una leggera brezza dal mare non permetteva alla nebbia di condensarsi come al solito.
Cielo e aria erano cristallini quella mattina.
Grimdell era seduto sotto un albero con un largo sorriso dipinto sul volto. I suoi vecchi occhi brillavano di felicità.
Kildakel non stava ridendo per nulla, aveva ancora nelle narici l’odore del sangue dell’ultima battaglia.
Saltò sul cavallo; sapeva benissimo che un periodo molto duro lo stava aspettando.
Non aveva mai temuto gli uomini; nel momento in cui un altro guerriero decideva di sfidarlo, Kildakel non aveva
alcun pensiero oltre la sua sopravvivenza.
Non aveva tempo di pensare al coraggio del suo antagonista. Non attaccava mai per primo; se qualcuno
decideva di farlo, costui aveva già messo in conto la possibilità di morire. L’aveva scelto; in qualche modo.
Ogni uomo, anche il più malvagio, manteneva sempre una scintilla di coscienza nel suo cuore, e Kildakel aveva
sempre la possibilità di scoprire il suo lato debole.
Gli Orck erano meno degli animali; così per vincere si doveva essere più bestiali ancora per intuire in anticipo le
loro mosse.
Come Kildakel, gli Orck non temevano la morte. Gli Orck non si curavano neppure della stessa vita.
Per trovare pace nei suoi pensieri, cavalcò per un po’ sulla spiaggia, respirando la fresca aria del mattino.
Cap. 14
Dalle abissali profondità di un’umida caverna, Lutracon stava dormendo nel silenzio.
Le gocce dalle stalattiti erano le uniche cose che indicavano lo scorrere del tempo.
Da secoli il grande drago non aveva trovato nel suo cuore una buona ragione per svegliarsi.
L’ultimo terremoto aveva staccato una piccola candela di roccia, che dal soffitto della caverna rovinò sulle suo
possenti spalle.
Una scossa elettrica attraversò la sua immensa spina dorsale. Lutracon socchiuse occhio e la sua lingua
incontrò il profumo dell’aria.
Dana dormì solo poche ore. Passo la maggior parte del suo tempo a parlare con Theodore circa gli ultimi
avvenimenti.
Il vecchio uomo appariva molto preoccupato circa l’impresa che la giovane donna aveva iniziato. Ma una fiera
luce balenava anche nei suoi occhi mentre ne ascoltava le parole, mostrando così i suoi più sentimenti profondi.
- “Cara, tu parli bene. Ma hai considerato che Ellipticon potrebbe essere solo una leggenda?” - Domandò
Theodore.
- “Ellipticon è sempre esistito nel mio cuore! Per ora è la cosa più reale di tutte. Questo è più che sufficiente per
me. Se non esiste significa che il mio errore sarà stato quello di cercare un luogo sacro nel mondo invece di
cercarlo nella mia anima. Se Ellipticon esiste veramente non riuscirò mai a perdonarmi se un giorno dovesse
cadere nelle mani di Herrick. In entrambe le ipotesi non avrò sprecato il mio tempo!”
Queste furono le sue parole prima di andare a dormire. Theodore rimase senza parole, con un fiero e
soddisfatto sorriso sulla bocca.
Il cavallo di Dana stava lappando un po’ d’acqua, quando la giovane guerriera si avvicinò. L’animale alzò di
scatto la testa scrollando gocce tutt’intorno a se.
Un lurido sentiero di sporcizia attraversava le Colline Blu; resti d’ossa masticate ed escrementi erano la palese
traccia del passaggio dell’esercito degli Orck.
Stormi di mosche prosperavano nell’immondizia, nascendo e morendo a migliaia in quella disgustosa fogna
sotto il cielo aperto.
Gli Orck avevano raggiunto la grande pianura, alla base delle colline blu. Di quel passo, in pochi giorni
avrebbero raggiunto la foresta.
Uno dei loro sergenti gorgogliò alcuni ordini. Metà dell’armata stava ancora dormendo, sbavando saliva e altri
liquidi sull’erba blu.
L’altra metà stava scavando tra gli escrementi del giorno prima in cerca di qualcosa di commestibile per
colazione.
All’orizzonte una nube di polvere si stava avvicinando. Il sergente gorgogliò più forte.
Herrick era ancora sveglio quella mattina; per tutta la notte Drusilla si era lamentata a causa della sua pelle
bruciata.
Il re era fuori di sé. Più di una volta si era domandato in che modo avrebbe potuto ucciderla.
Oltre ai lamenti aveva dovuto sopportare l’odore di menta dell’unguento di Drusilla. Non aveva dormito una
singola ora, e questo non accadeva da anni.
Si alzo dal letto gettando distrattamente le lenzuola sulla pelle rossa di Drusilla.
Il re apri la porta.
Herrick stava bruciando di rabbia quando Hugo infilò la testa nella porta.
- “Buongiorno Sire.”
- “... volevo dire ... spero abbia trascorso una buona notte, Sire.”
- “... err... orse Vostra Maestà gradirebbe ... un po’ di ... caffè?”
- “Sua Maestà gradirebbe una tazza del mio piscio!” - Urlò Drusilla dal bagno.
- “Basta! Grazie Hugo. Leggerò il resto del bilancio da solo.” - Interruppe Herrick - Prepara il mio cavallo, voglio
parlare ai soldati.”
Sulla prima linea la fanteria: grossi scudi con il muso di un lupo dipinto su di essi.
Sulla seconda gli arcieri, quindi la cavalleria.
Lunghe lance mostravano le loro terribili lame taglienti sullo sfondo. Gli stendardi rossi con il lupo nero si
stavano muovendo lentamente nel debole vento del mattino.
- “Tutti voi sapete bene che da anni un villaggio di vili contadini resiste al potere di Dalmar.”
Molti cavalli colpirono il terreno con gli zoccoli, percependo il nervosismo degli uomini.
Herrick fermò il cavallo e rimase in silenzio per alcuni minuti; analizzò l’umore dei soldati. Gli uomini avevano lo
sguardo fisso nel vuoto.
- “Lo so che abbiamo già tentato di attraversare la foresta perdendo molti dei nostri uomini, ma ora le cose sono
cambiate!”
La maggioranza dei soldati stava guardando a lui, ora, dal balcone Duregal assentiva in silenzio, ben cosciente
che molti uomini lo stavano osservando.
- “Sapete anche che nemmeno il mare è una buona via, e che non possiamo dividere l’esercito per attaccare su
entrambi i fronti. Ma siatene certi! Questa volta non rischierò di perdere neanche un soldato per sottomettere
quelle merde fottute.”
Ora aveva la totale attenzione dell’esercito. Spronò il cavallo e parlò più forte.
- “Un altro esercito farà il lavoro più sporco al posto nostro! Esatto! Il potente esercito degli Orck si sta
avvicinando alla foresta, cavalcando sotto le bandiere di Dalmar.”
- “Toccherà agli Orck di morire in battaglia questa volta; a noi non resterà altro che sferrare l’attacco finale dal
mare, quando l’esercito dei nostri nemici sarà decimato.
Gli altri moriranno, a noi resteranno i tesori ... e le loro donne!”
- “E non è tutto!”
Ora tutti i soldati lo guardavano in silenzio.
- “Sir Duregal, con i suoi magici poteri, è riuscito ad incantare centinaia d’Obscurni! Ora sono nostri
schiavi....succhieranno la vita dagli assassini dei vostri compagni!”
Nei suoi sogni di drago, il lento movimento delle galassie era costante e magnifico nella sua incredibile
maestosità.
Poteva estendere la sua mente fino ai limiti estremi dell’Universo; sempre aveva trovato ordine e perfezione,
ovunque.
Il terremoto non era riuscito a svegliare Lutracon, ma qualcosa nel suo sogno millenario cambiò.
L’immagine dell’Universo si duplicò, per in istante, come se le stelle ed i pianeti si riflettessero in uno specchio.
Nell’immagine riflessa il tempo accelerò, vide in pochi minuti le stelle esplodere in supernova, intere galassie
collassare in giganteschi buchi neri.
Ruggì inconsciamente e tastò l’aria con la sua lingua. I suoi sensi svegliarono una piccola porzione della sua
coscienza quiescente.
Aprì un occhio, vide per un secondo la lieve luminescenza della caverna. Il profumo della terra sulla sua lingua
gli ricordò che era ancora vivo.
Quando gettò i suoi occhi attraverso lo spazio infinito di nuovo, il riflesso oscuro era sparito.
Le orbite ellittiche di stelle e pianeti erano ancora là, con la loro intera, indescrivibile bellezza.
Beltram entrò nella sua abitazione. Appese la sua arpa ad un uncino sul muro e sedette sul letto, pensoso.
Stava diventando ogni giorno più triste, ultimamente; poteva trovare sollievo solo dalle corde della sua arpa.
Da mesi si rifiutava di entrare in Ellipticon per lasciare che la sua tristezza gli defluisse dall'animo.
Il Druide gli aveva insegnato che nutrire il dolore col dolore era molto pericoloso, ma in quei giorni era sordo ad
ogni buon consiglio.
Aveva lasciato la moglie pochi mesi prima, poiché aveva sentito che questa non lo amava più; ora si stava
domandando se lei non l’avesse mai amato.
La sua mente era piena di dubbi e sprecava il suo tempo giocando con essi.
Rivisitava con la mente tutti i momenti in cui era stato con lei, rivivendo gli episodi in cui aveva avuto torto, in cui
lei aveva avuto torto.
Cercava disperatamente un altro punto di vista, una nuova prospettiva capace di salvificare gli eventi passati,
ma non riusciva a fare atro che sovrapporre artificiosamente nuove tinte ad un passato troppo invadente, che
d’istante in istante stava ottenebrando il suo presente.
Ogni nuovo pensiero creava un altro filo nella ragnatela di pensieri: Beltram era il ragno e la mosca nel
medesimo istante.
Il suo animo stava scendendo lentamente nel regno delle ombre; e un giorno non lontano avrebbe dovuto
combattere una dura ed aspra lotta.
L’unica battaglia dove spade e scudi erano inservibili: la guerra contro sé stessi e i fantasmi della propria
mente...la sola battaglia nella quale i suoi compagni non avrebbero potuto aiutarlo.
Si strofinò gli occhi e si alzò in piedi. Guardò fuori dalla finestra e vide alcune persone del villaggio occupate
nelle loro mansioni.
Il conciatore di pelli stava asciugando larghe pezze di pellame, alcune donne stavano chiacchierando mentre
facevano il bucato.
Beltram, incredulo della loro serenità, riusciva solo a pensare a quanto stupidi e incoscienti fossero;
inconsapevoli che un giorno sarebbero morti in qualche modo e che in un breve istante la loro miserabile vita
sarebbe finita senza significato.
Una lunga, asciutta lacrima. Prese l’arpa e cercò di suonare il migliore epitaffio per il suo cuore morente.
Cap. 20
Kildakel stava cavalcando attraverso la foresta, quando un ramo radente gli graffiò il volto; un semplice piccolo
graffio fu sufficiente a scatenare il lui una furia d’emozioni represse. Estrasse la spada da dietro le spalle e
spronando il cavallo cominciò a tagliare tutti i rami e i piccoli alberi che incontrava sul suo cammino, spingendo il
cavallo al limite delle sue forze.
Una rabbia immensa crebbe nel suo cuore, continuò a correre distruggendo tutto ciò che intralciava la sua
marcia, in preda di un’euforica, incontrollabile follia.
La forma contorta d’alcuni alberi nodosi gli ricordarono le sembianze degli Orck. Saltò giù dal cavallo e sfogò la
sua ira su quei manichini vegetali.
Con gli occhi rossi di rabbia e odio, perse totalmente il controllo. Anni di duro e severo allenamento sembravano
non avere avuto alcun’utilità; svanirono nella sua mente in un attimo.
Il suo maestro di combattimento gli aveva insegnato di non odiare il proprio nemico.
- “L’odio ti fa disperdere energie e concentrazione e dona un gran vantaggio al tuo antagonista.” - Gli era stato
insegnato.
- “Queste tecniche vanno bene per gli esseri umani, non per le bestie!” - Pensava mentre tirava fendenti alle
piante - “Non posso rispettare una bestia!” - Urlava la sua anima.
- “Che cosa stai facendo? Miserabile!” - Gridò un’Etheride alle sue spalle.
Kildakel girò la testa brandendo la spada. Alcune meravigliose foglie verdi e rosse erano ancora attaccate sulla
lama.
L’Etheride lo osservò, pensosa; una luce smeraldina brillo nei suoi occhi verdi.
Senza ulteriori ripensamenti sbatté le mani; volò sopra Kildakel e lo rese cieco.
- “Questo ti calmerà per un po’, stupido umano!” - Disse l’Etheride con una voce carica di disprezzo.
Kildakel perse la vista immediatamente: la foresta, il cielo, il sole scomparvero assieme al mondo intero.
- “Dio!” - Sussurrò.
Kildakel si strofinò le palpebre...oscurità, ovunque; poteva solo sentire il rumore del suo respiro e del cuore che
pulsava rapido nel petto.
Cercò rialzarsi, non ricordava minimamente in quale punto della foresta si trovasse, dove fosse rimasto il
cavallo, dove fosse la strada del ritorno.
Mosse un passo in avanti e cadde sull’erba inciampando sulla sua stessa spada. La afferrò rapido.
L’odore dell’erba, il vento tra gli alberi, un gentile ruscello mormorava in lontananza.
Il rispetto verso la natura era un sacro precetto da secoli. Il suo odio l’aveva condotto a violare una sacra regola.
- “Ho violato il Sacro Giuramento!” - Gridò Kildakel affondando le sue dita nel muschio soffice.
Il rumore delle foglie mosse dal vento echeggiò nelle sue orecchie trasformandosi in un fastidiosissimo ronzio, il
mormorio del ruscello divenne un tuono.
Kildakel si mise a piangere, il sapore amaro del muschio nella sua bocca era l’unica certezza in quel mondo
d’oscurità.
Si sentì esausto. Presto la sua mente ebbe pietà del corpo spossato, e Kildakel cadde addormentato tra i
singhiozzi.
Il disprezzo verso se stesso crebbe nei suoi sogni: l’intoccabile, sacra bellezza della foresta era stata violata.
Aveva rotto uno dei Sacri Giuramenti. Era colpevole di avere permesso che le passioni prendessero il controllo
sulle sue azioni.
Nel sogno vide i rami degli alberi come braccia disarmate anelanti a raggiungere la salvezza, nel cielo limpido.
Si vide sollevarsi dalla sella del cavallo e come un terribile demone, raggiungere i rami più alti con la lama della
sua arma.
Divenne un gigante, sovrastante la foresta. Gli alberi millenari sembravano miseri giunchi sotto di lui; Kildakel
tagliò, tagliò e tagliò ancora!
Vide i ruscelli, i laghi e i fiumi inondarsi di sangue rosso sotto la sua furia.
Distrusse montagne con un calcio; vide meravigliose sculture di roccia diventare polvere sotto il maglio della sua
spada.
Continuò, dirigendo il suo odio contro ogni cosa viva e degna di rispetto.
Tagliò, uccise, distrusse, polverizzò ogni cosa nella sua vista, fino a quando intorno non rimase altro che un
desolato deserto di polvere. Quindi puntò la sua spada al cielo e ruggì una diabolica risata di vittoria.
Kildakel provò una sensazione sconosciuta fino allora, una profonda, oscura, piacevole soddisfazione.
Apri gli occhi; l’Etheride era vicino ad un albero, stava accarezzandone gentilmente il tronco.
Le profonde ferite sulla pianta si rimarginavano sotto il suo tocco delicato.
Kildakel si soffermò ad osservare il verde e nudo corpo dell’Etheride muoversi flessuoso nella natura incantata.
Eccezion fatta per le ali e la pelle verde, quella creatura sembrava una bellissima giovane donna.
Kildakel era così impegnato ad osservare la levigata e soffice verde pelle dell’Etheride che non si era reso
ancora conto di non essere più cieco.
Si sedette meglio sull’erba; la testa gli girava un po’, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dal corpo
dell’Etheride.
Stava mostrando le spalle a Kildakel, muovendo le mani lente e lievi sulla pianta; di tanto in tanto si spostava
indietro di un passo, inclinando la testa da un lato per osservare meglio i risultati del suo lavoro.
Kildakel dimenticò tutto circa il suo sogno, incantato dai gentili movimenti di lei.
Il suo morbido e seno danzava, invitante; i lunghi capelli color smeraldo, mossi dal vento, lasciavano intravedere
la schiena delicata.
Le gambe erano assolutamente perfette. Lunghe e toniche, la pelle verde aggiungeva un tocco d’intrigante
mistero a quella creatura.
- “Ehi!” - Disse l’Etheride, senza voltarsi - “Sembra che ti sia dimenticato che sono telepatica.”
Quindi girò la testa nella direzione di Kildakel e lo scrutò profondamente negli occhi per alcuni secondi,
sorridendo.
- “Ho visto che sei molto coraggioso contro degli alberi disarmati.” - Disse l’Etheride dando l’ultima carezza
lenitiva all’albero ferito.
Kildakel si guardò intorno: tutte le piante erano state guarite dall’Etheride. In fondo non aveva procurato grossi
danni alla Foresta; si rese conto che la maggior parte degli ultimi avvenimenti erano stati ingigantiti dalla sua
fantasia.
Rincuorato, cercò di liberarsi il volto dall’erba e dal muschio che vi si erano appiccicati, e si accorse d’avere
entrambe le mani profondamente ferite.
Un albero millenario non era un bersaglio molto adatto per allenarsi con una spada.
Il suo volto era bellissimo, così come il corpo; gli occhi color smeraldo erano profondi ed intelligenti, e
terribilmente sensuali.
Si sedette più vicino a Kildakel e mise le sue mani sopra quelle di lui.
Poi si fermò un istante ad osservare attentamente le ferite con i suoi incredibili occhi verdi: quindi riprese a
curarlo.
I sensi di Kildakel erano avvolti dal profumo selvaggio che emanava la pelle di quella creatura; il suo seno
danzava gentilmente a pochi centimetri dagli occhi del guerriero. Di colpo dimenticò tutto: la guerra, il dolore, la
sofferenza; la vergogna per quello che aveva fatto poche ore prima svanì come d’incanto.
Era incapace di realizzare per quanto tempo fosse rimasto a contemplare quella creatura ed il suo incredibile
sorriso.
Kildakel rimase senza parole; l’unica cosa che riuscì a fare fu quella di perdersi dentro quegli immensi,
intelligenti occhi verdi.
Il tramonto era prossimo quando Dana scorse i rami più alti della Foresta crescere lentamente sopra l’orizzonte.
Si era avvicinata molto alle terre del nord; nelle sue speranze avrebbe dovuto già essere ai margini della Grande
Foresta.
La sottile, fredda aria le tagliava i vestiti leggeri. Doveva assolutamente fermarsi per un po’.
Da molte ora non aveva incontrato alcun fiume o piccolo lago dove far abbeverare il cavallo.
Vicino ad un imponente spuntone di roccia trovò un luogo sicuro dove sostare. Alcuni grandi alberi creavano una
zona ombrosa dove era possibile riposarsi senza troppe preoccupazioni.
Secondo le sue mappe avrebbe dovuto esserci un piccolo lago nelle vicinanze.
Il suo cavallo marrone sembrava parecchio stanco; stava annusando un po’ d’erba senza mangiarla. Anche lui
aveva bisogno di una pausa dopo la lunga corsa.
Gli appigli taglienti sulla roccia sembravano solidi sotto le sue dita, e stimò che avrebbero retto il suo peso senza
problemi.
Dana si decise. Dalla cima avrebbe goduto di un meraviglioso punto d’osservazione: in questo modo avrebbe
guadagnato parecchio tempo, piuttosto che continuare a decifrare mappe imprecise in suo possesso. In più il
cavallo avrebbe avuto a disposizione tutto il tempo necessario per riposarsi a dovere.
Dopo circa mezz’ora raggiunse la cima, senza troppe difficoltà. Recava soltanto alcuni nuovi graffi sulle gambe.
Era proprio come aveva supposto. Da lassù poteva vedere molto lontano. A nord la foresta: buia e misteriosa
nella debole luce del tramonto. A nord ovest, mezzo nascosto da una fitta cortina di nebbia, c’era un piccolo
lago, approssimativamente a due ore di distanza.
Ad est, poco sopra l’orizzonte, una nube di polvere saliva nel cielo.
Cercò di osservare meglio, ma era troppo distante e il sole stava calando velocemente.
Il vento proveniente da nord le stava gelando i vestiti umidi di sudore sulla pelle, così decise di scendere. Aveva
già visto abbastanza.
Doveva raggiungere il piccolo lago che aveva scorto dalla roccia, finche c’era luce sufficiente per viaggiare in
sicurezza.
Cap. 22
Herrick era nella Sala del Vino; stava riflettendo sopra una raffinata bottiglia di Rosso di Dantaria.
Più che alla guerra era molto più interessato a come pareggiare le questioni con Drusilla.
Il re amava il temperamento della sua amante, ma non poteva tollerare di essere sottomesso da una donna.
In ogni caso non voleva agire in fretta. Aveva tutto il tempo per lasciare che la rabbia scavasse i giusti canali nel
suo cervello, rivelandogli il modo migliore di agire su di un piatto d’argento.
Sapeva benissimo che dopo alcune bottiglie di vino avrebbe trovato un’ottima strategia per farle rimangiare le
parole che aveva vomitato la sera prima.
Un’impresa davvero ardua, dato che Drusilla, in tutta la sua vita, non aveva mai chiesto scusa per nulla.
Il re lo fissò negli occhi da dietro la bottiglia; da quella prospettiva il vecchio mago era più piccolo della bottiglia di
vino.
Gli occhi di Herrick erano intelligenti ma freddi. La gelida, forte determinazione che guidava la sua mente
diventava nettamente visibile quando aveva bevuto un bicchiere in più.
Infatti, quando poté osservare meglio il volto del Re dietro la bottiglia, e udì il tamburellare ritmico delle sue dita
sul robusto tavolo di rovere, sentì pressante il desiderio di correre rapidamente fuori da quella stanza.
- “Ciao, mago!” - Il re, impassibile come una statua di marmo, lo colpì con una voce fredda e tagliente,
guardandolo fisso negli occhi.
Herrick era uno specialista nel percepire la paura negli altri e nel trovare l’esatto istante quando colpire e sentirla
crescere.
- “Buona sera, Vostra Maestà.” - Duregal mantenne le distanze - “Forse Vostra Maestà preferisce restare da solo
per qualche ora...ho scelto un momento sbagliato...?”
- “No, Duregal...” - Sorrise il Re, mantenendo inalterata l’espressione degli occhi - “Siediti che beviamo un
bicchiere in compagnia...non hai scelto un momento sbagliato...”
- “Pessimo incipit...” - Pensò il mago.
Quando Herrick permetteva a qualcuno di sedere al suo stesso livello e ripeteva le ultime parole del suo
interlocutore, significava che il re aveva bisogno di una vittima.
- “Volevo solo comunicare a Vostra Maestà che, d’accordo con i suoi ordini, una carovana di cibo e birra sta
raggiungendo l’esercito degli Orck nella pianura ai margini della foresta. Le due navi ammiraglie della Flotta
Reale sono pronte per l’attacco dal mare.”
Il re ascoltò il mago senza muovere lo sguardo, sempre con un leggero sorriso sul volto.
Tuttavia, nemmeno Duregal era un bambino, conosceva bene Herrick e non lo temeva più del dovuto.
- “Questo è tutto, Vostra Maestà, col suo permesso, ritornerei ai miei appartamenti.”
- “Non andartene, Duregal, bevi un po’ di vino con me...”
- “Vi ringrazio, Vostra Maestà, ma mi duole un po’ la testa questa sera, perdonatemi.” - mentì Duregal - “Se me
ne date licenza, chiedo congedo.”
Herrick versò un altro goccio di vino nel bicchiere attendendo la prossima mossa del mago.
Duregal aspettò qualche istante, quindi, dopo un breve inchino, si avvicinò all’uscita.
- “Sir Duregal!”
Suo malgrado si vide costretto a rientrare nella Stanza del Vino in una condizione di sudditanza.
Fortunatamente per Duregal il vino stava cominciando a far sentire i suoi effetti, e Herrick si stava annoiando di
quella pantomima.
- “Sì, Vostra Maestà. Sono riuscito a radunare un centinaio di quelle creature nella Grande Caverna nella
penisola di Booga, a sud di Dalmar, quella tra le paludi e ...”
- “Conosco quel posto...Duregal...” - Interruppe il re cominciando a fissarlo negli occhi di nuovo.
- “...chiedo venia, Vostra Maestà...” - Duregal dovette umiliarsi di fronte al crescente sorriso del sovrano sotto gli
impassibili, sottili occhi semichiusi - “...tuttavia, gli Obscurni sono sotto un incantesimo particolare di cui non Vi
posso parlare dettagl...”
- “Non m’interessano i tuoi pasticci, mago!” - Lo interruppe di nuovo il Re.
- “Sono ben nutriti e in attesa dei Vostri ordini.” - Continuò nonostante la voce strozzata.
Il mago uscì dalla stanza lasciando il re nell’umore giusto per meditare sulla personale vendetta contro Drusilla.
Uno di essi gli stava rammentando che tutte le terre che aveva conquistato, tutte le persone che aveva ucciso,
tutti gli avvenimenti che gli erano occorsi e ogni azione che aveva compiuto sembravano finalizzati ad incontrare
e conoscere Drusilla.
Aveva odiato quell’uomo a prima vista; aveva avuto, subito, la sensazione che stesse cercando di insegnare
precetti in cui non credeva lui stesso, un disgustoso coacervo di regole slegate e prive di significato da seguire
pedissequamente.
Era molto giovane a quel tempo, ed aveva sentito in cuor suo che se avesse continuato a subire quella
situazione passivamente, tutta la felicità della gioventù sarebbe svanita, lentamente, sotto l’azione erosiva degli
ipocriti insegnamenti di quell’uomo stanco della vita. Avrebbe permesso, prostrato, che le radici della tristezza
attecchissero, profonde, nel suo animo.
Così un giorno decise di seguire il suo istinto, la sola cosa sulla quale poteva ancora contare: lo uccise senza
pietà né rimorsi.
Divenne presto Re, ed imparò che il dar valore di verità alle opinioni altrui, equivaleva ad intraprendere di buon
grado il sentiero che conduceva lentamente alla morte. Altrettanto presto, si rese conto che non poteva fidarsi di
nessuno.
Scoprì che tutte le persone che incontrava lungo il suo cammino, avevano una lama nascosta, pronta per la sua
schiena.
Nessuno l’aveva ancora ucciso soltanto perché era molto temuto, e perché gli altri avevano bisogno della sua
intelligenza per soddisfare le loro brame di potere.
Herrick era più che consapevole di essere attorniato da pericolosi parassiti, di cui non si poteva liberare per
motivi contingenti.
Sicuramente non avrebbe esitato un singolo istante ad eliminarli tutti quanti senza pensarci, se necessario.
Drusilla...
Incontrò quella donna per puro caso. Non era di nobili origini, ma nei suoi occhi aveva provato un sentimento a
lui sconosciuto: la pace.
Quella ragazza era l’unica persona in tutte le migliaia di terre che aveva esplorato in tutta la sua intera vita, col
potere di donare pace al suo spirito.
Per quello non si rammaricava di tutti gli omicidi che aveva commesso.
Se non avesse ucciso il suo tutore da ragazzo, non avrebbe avuto, in seguito, il coraggio e la prontezza
necessari per uccidere il povero messaggero di Wernenstall, così non avrebbe avuto un pretesto per dichiarare
guerra a quelle terre.
Non avrebbe mai costruito i meravigliosi palazzi e castelli in Dalmar; le incredibili delicate sculture di cristallo nei
giardini di Wernenstall.
Non avrebbe mai sentito il piacere, l’ebbrezza della vittoria, che lo aveva spinto a conquistare la maggior parte
delle terre conosciute ... non avrebbe mai avuto la possibilità di incontrare Drusilla in quello sconosciuto villaggio
nel sud.
Probabilmente sarebbe diventato un vecchio e triste Re, in grado soltanto di ordinare quanta merda bisognava
spostare dalla stalla al letamaio.
Ora il suo regno era immenso, solo Dantaria e quel piccolo villaggio nel nord stavano ancora resistendo.
Dantaria era una nobile terra; da secoli i suoi sovrani governavano con giustizia e saggezza.
Re Randall IV temeva la brama di potere di Herrick, e, con un’intelligente diplomazia, era riuscito a mantenere la
pace tra i due reami.
Per lui, il solo fatto di prevenire le sue mosse, equivaleva ad una dichiarazione di sottomissione.
Ciò che Herrick non poteva mandare giù era la ragione per cui gli abitanti di quel villaggio nel nord preferissero
morire piuttosto che innalzare una semplice bandiera di Dalmar sulle sue porte.
Herrick non era un tiranno; avrebbero avuto la possibilità di continuare a vivere esattamente come prima, sotto il
suo dominio. Non riusciva a spiegarsi il perché di quella strenua resistenza.
Drusilla...
Herrick sorrise; si sorprese ad immaginare come avrebbe potuto fare l’amore con lei senza toccarle la pelle
arrossata.
Drusilla stava dormendo; il suono del suo respiro riempiva l’intera stanza.
Nella luce tremula delle candele appariva tranquilla e al sicuro come una bambina nella sua culla.
Il Re si sdraiò vicino a lei, piano, per non svegliarla; rimase a fissarla a lungo, aspettando di addormentarsi
ascoltando il suo respiro.
Ancora una volta, sentì nel suo animo, che avrebbe potuto sterminare il mondo intero senza esitazioni per quella
donna e che la felicità di quella meravigliosa creatura era l’unica cosa per la quale sarebbe stato felice di morire.
Domani avrebbe strapazzato Duregal, ordinandogli di trovare una cura rapida per la sua soffice, vellutata,
preziosa pelle.
Cap. 23
Dana raggiunse il lago quand’era notte inoltrata. Il sentiero si era rivelato troppo stretto per il suo cavallo, ed era
stata costretta a camminare lentamente.
Laggiù l’aria era stranamente tiepida, anche se una fitta nebbia le permetteva di vedere solo pochi metri innanzi
a sé.
Tuttavia, dal punto in cui si trovava, poteva intuire la presenza del lago dal rumore delle onde e da uno strano
gorgoglìo.
Il terreno era in discesa, ora, ed il sentiero si stava diventando sempre più stretto.
Dopo alcuni metri si accorse che poteva vedere più chiaramente il paesaggio intorno a sé; anche se non era in
grado di stabilire con certezza se ciò dipendesse dal diradarsi della nebbia o se stesse semplicemente
scendendo sotto la coltre di nebbia stessa.
Lego il cavallo ad un albero, e si avviluppo in una spessa coperta per trascorrere la notte.
Tuttavia non riusciva a prendere sonno, l’aria era troppo calda per rimanere vestita nella coperta di lana.
Così si spogliò, si liberò della leggera armatura di pelle e si accucciò nuda nella coperta di lana, godendosi
quell’inatteso tepore.
Cap. 24
Beltram era solo, nella sua casa vuota. Stava osservando il soffitto sdraiato sul letto con la sua arpa tra le mani.
Il suo suono gli appariva stranamente poco famigliare, come se avesse uno strumento diverso tra le mani.
Gettò l’arpa sul letto e si mise a sedere tenendosi la testa tra le mani.
Si alzò in piedi e cominciò a camminare avanti e indietro nella stanza chiedendosi se avrebbe fatto meglio a
ritornare da sua moglie.
L’indifferenza di quella donna aveva offeso irreparabilmente la sua dignità, e gli stava prosciugando l’animo degli
ultimi buoni sentimenti, uccidendo, lentamente il suo fiero cuore.
Aveva provato a conoscere altre donne, ma il suo cuore era diventato troppo arido; poteva provare emozioni,
sensazioni per esse ... non l’amore.
Ultimamente soltanto la musica e i suoi sogni erano stati in grado di donare un po’ di pace alla sua mente.
Ellipticon ... si ricordò della prima volta che aveva visto il lago, da bambino.
I meravigliosi colori danzanti lo avevano reso incredibilmente felice; si ricordò di quante volte avesse pregato
suo padre di ricondurlo di nuovo al Tempio.
- “Sì, c’è ancora una speranza...” - Pensò - “Non posso restare immobile ad aspettare che i vermi mi divorino il
cervello.”
Si sentì invadere dalla disperazione: Ellipticon mostrava i suoi poteri solo di giorno, sotto la luce del sole.
Rientrò nella sua stanza e sedette di nuovo sul letto; la sua arpa gli giaceva a fianco.
Aveva dato un nome a quello strumento, il nome di una giovane donna che aveva amato molto tempo addietro.
Forse la sola che fosse stata in grado di dargli ciò di cui aveva veramente bisogno. Ma non era con lui ora...
Accarezzò l’arpa sentendo forte il desiderio di piangere, ma i suoi occhi rimasero asciutti, come lo era il suo
cuore.
Beltram sentì un inquietante senso d’urgenza crescere dentro di se; non poteva esitare un altro istante...meglio
annegare nelle acque del lago, piuttosto che continuare a vivere in quella maniera.
Beltram non aveva tempo da perdere in chiacchiere. Sferrò un pugno al suo compagno e afferrò le chiavi.
L’altra guardia si mosse nella sua direzione, col chiaro intento di bloccarlo, ma una voce, chiara e imperiosa la
fermò.
- “Lascialo passare!”
Le mani di Beltram iniziarono a tremare, stava brandendo la grossa chiave come fosse una spada,
un’inquietante luce di follia balenava nei suoi occhi.
Beltram inserì la chiave nella toppa, stringendo con l’altra mano l’arpa così forte che le dita divennero esangui.
Aprì la porta. L’aria fresca del tunnel gli riempì i polmoni; riuscì a respirare meglio ora.
Mosse alcuni passi nel tunnel. Era passato molto tempo dall’ultima volta che aveva calpestato le grigie rocce
della montagna d’Ellipticon. Non ricordava bene dove fossero collocate le innumerevoli trappole per fermare gli
intrusi.
- “Ascolta il tuo cuore!” - Le ultime parole del saggio Druide ancore echeggiavano nella sua mente.
- “Quale cuore?” - Pensò.
Si sentì invadere dalla rabbia. Si voltò per ritornare sui suoi passi, ma vide il Druide chiudere la porta,
bloccandogli l’uscita.
Lo sferragliare del grosso catenaccio gli diede la certezza che la via del ritorno gli era preclusa.
Egli aveva tentato di violare un luogo sacro con la violenza, ora doveva dimostrare di avere avuto una buona
ragione per sanare il misfatto.
Toccando quella sbagliata avrebbe attivato un meccanismo che lo avrebbe ucciso, una lama avrebbe potuto
trapassargli il cuore, oppure una voragine avrebbe potuto aprirsi sotto i suoi piedi.
Paura...
Beltram stava cercando una scintilla di luce nella sua coscienza quando la torcia rotolò in una piccola
pozzanghera e si spense.
Oscurità; ora il tunnel era completamente buio. I trabocchetti anelavano una sua mossa falsa.
- “Ho attraversato questo tunnel centinaia di volte, posso farlo di nuovo! - Pensò - “Da qualche parte nella mia
mente, conosco il giusto percorso.”
- “Ascolta il tuo cuore!” - La voce del Druide echeggiò di nuovo nella sua testa.
Beltram cominciò a suonare l’arpa, lasciando che le sue dita scorressero liberamente sulle corde.
Quando sentiva che la musica gli rasserenava l’animo mosse un passo in avanti.
Improvviso, un sentimento di paura s’impadronì di lui, una nota fuori luogo stava ancora rimbalzando tra le pareti
del tunnel tagliandogli il cervello come una lama affilatissima.
Un altro passo, ora le sue dita correvano sicure lungo le corde tese.
Un passo ancora.
Non appena si accorgeva che la melodia che stava suonando diventava incerta o indeterminata, si fermava e,
come l’ago di una bussola, cercava la giusta direzione muovendosi soltanto quando le note scaturivano di nuovo
piacevoli.
In pochi minuti raggiunse le porte del Tempio.
L’acqua era immobile, il lago sembrava un gigantesco specchio che rifletteva la dolce e mistica luna nel cielo.
Beltram osservò il Tempio con tristezza. Si sedette vicino alla riva: l’acqua era priva di colori.
Riprese a suonare il suo dolce strumento, fissando l’immagine della luna riflessa nell’acqua...suonò la più triste
melodia che Ellipticon non avesse mai udito prima di allora.
Una lieve brezza discese dalle rocce della grigia montagna increspando dolcemente l’acqua del lago; solo
alcune leggere onde.
L’immagine della luna tremò. Beltram stava contemplando il pallido disco argenteo quando questo mutò,
lentamente, sollecitato dalle dolci onde, assumendo, prima indistintamente, poi sempre più nitidi, i lineamenti del
viso della ragazza che aveva amato.
Si mise a piangere silenzioso, continuando a suonare.
Il vento si fermò, repentino, e la luna ritornò ad illuminare le acque d’Ellipticon con il suo volto d’argento.
All’odio seguì la paura. Un gelo atroce s’impossessò dell’anima di Beltram. Una tristezza infinita gli inondò il
cuore.
Si alzò in piedi, osservando l’arpa che recava il nome della sua amata.
Una singola nota scaturì dal piccolo strumento quando questo toccò l’acqua.
Il suono echeggiò tra le imponenti pareti di roccia del Tempio, rotolò sulla superficie del lago, cambiò di
frequenza, sembrava non finire mai.
- “Ascolta il tuo cuore! - Le parole del Druide risuonavano nella sua mente.
Beltram cadde in ginocchio cercando di scorgere l’arpa sotto la superficie dell’acqua ... era troppo profonda.
Una lacrima scivolò sulla guancia di Beltram, incantato dalla bellezza del pianeta.
Improvvisamente il suono del Tempio si rivelò, limpido. Ellipticon stava urlando il nome della sola donna che
Beltram aveva davvero amato.
Il suo nome risuonò chiaro. Era da sempre racchiuso nel suo cuore.
Ritornò verso la porta del Tempio, l’animo era sereno, ora; decise di dare un’ultima occhiata a quel luogo
incantato, e con sua gran sorpresa vide, vicino alla riva del lago, la sua arpa.
Corse vicino a lei e s’inginocchiò. E nonostante la sua enorme eccitazione, non poté far a meno di notare che
adesso le corde sembravano d’argento.
Cap. 25
Kildakel era ancora nella foresta. L’esperienza dello scorso pomeriggio l’aveva scosso profondamente.
Aveva trascorso tutto il giorno cavalcando lentamente tra i rigogliosi alberi della Grande Foresta.
Riscoprì numerosi luoghi dove usava recarsi quando era più giovane; l’enorme salice sotto il quale incontrava la
sua ragazza, la radura ricoperta di muschio incredibilmente verde e soffice, il lago limpido vicino la cascata. I
funghi violacei crescevano ancora rigogliosi sulle rocce bagnate dall’acqua come dieci anni prima.
L’Iwiri era l’unica zona della foresta dove gli uccelli non cantavano. Era un luogo molto silenzioso, con alti alberi
scuri. Il terreno era povero d’erba, e il muschio sulle rocce era scuro e secco.
Il cavallo di Kildakel si fermò prima di entrare in quel luogo, nitrendo in segno di protesta. Kildakel lo spronò,
costringendolo a proseguire.
Il soffitto di foglie divenne presto molto folto. Kildakel si rammentò di quanto si fosse spaventato quando, da
giovane, era entrato nell’Iwiri per la prima volta.
Una leggenda narrava che l’Iwiri fosse un luogo abitato da presenze malvagie, ed ogni ragazzo del villaggio
doveva, prima o poi, trascorrere una notte intera da solo per dimostrare la propria virilità.
Era l’iniziazione dei guerrieri. Il superamento di quella prova era il primo passo richiesto prima di avere l’onore di
imparare l’arte del combattimento.
Prima di affrontare il nemico, i giovani aspiranti guerrieri dovevano dare prova di essere in grado di vincere le
paure del loro stesso inconscio.
Kildakel sorrise, pensando al sogno che aveva fatto quel giorno: aveva ancora molto da imparare dal suo
personale Iwiri.
Ora le sola emozione che provava in quel tetro luogo, era una profonda nostalgia della sua giovinezza.
La luna viaggiava alta nel cielo quando Kildakel decise di ritornare. Girò il cavallo e si diresse verso il villaggio.
Cap. 26
La nebbia notturna era stata spazzata via dalla brezza mattutina. Richiuse gli occhi, gustando ancora un po’ il
piacevole calore che fuoriusciva dai geyser; un lusso più che meritato dopo il lungo e faticoso viaggio.
Stava per riprendere sonno, quando alcuni rumori provenienti dal lago poco distante, attirarono la sua
attenzione; qualcosa si muoveva nell’acqua.
Sollevò la testa, ma alcuni cespugli non le consentivano di vedere bene il lago; così si alzo in piedi in
fretta...dimenticando d’essere ancora completamente nuda.
Con grande sorpresa, vide che numerose piccole e grassocce creature stavano facendo il bagno nell’acqua.
La maggior parte di esse indossava gemme colorate. Avevano tutta l’aria d’essere pacifiche ed inoffensive.
Il loro viso assomigliava vagamente al muso di un procione, ma erano prive di pelo. La loro pelle era
completamente glabra, eccezion fatta per un piccolo ciuffo sul petto dei maschi.
I piedi e le mani erano molto simili a quelle degli uomini. ma le loro gambe erano incredibilmente corte.
Dopo alcuni istanti Dana si rese conto di essere completamente nuda; arrossì e si chinò per raccogliere i vestiti.
Alcune di quelle creature ora la stavano osservando; e quando si resero conto che era sul punto di rivestirsi,
mostrarono la loro disapprovazione scuotendo la testa.
Dana iniziò ad infilarsi la piccola gonna di pelle leggera senza distogliere lo sguardo da essi, insospettita dal loro
comportamento. Una di quelle creature si staccò dal gruppo. Era un giovane maschio, con una pesante
espressione di disapprovazione dipinta sul buffo muso da procione.
Dana, svelta afferrò il pugnale; la creatura si fermò, scuotendo forte la testa in segno di diniego. Quindi sollevò
entrambe le braccia mostrando di essere disarmato. Disse anche qualcosa, con una voce sproporzionatamente
forte, rispetto alle sue dimensioni; ma parlava una lingua che Dana non conosceva.
Improvvisamente Dana si sentì molto stupida, seminuda con un pugnale, di fronte ad una piccola indifesa
creatura; così lasciò cadere l’arma sulla coperta ai suoi piedi.
Il Gup le sorrise, e si avvicinò; annusò Dana col suo naso umido, e quindi le toccò la gonna, dicendole, a gesti,
di toglierla.
Dana sulle prime si stupì, poi si rese conto che era assurdo pensare che quella piccola creatura potesse essere
sessualmente attratta da lei; sicuramente stava cercando di comunicarle qualcos’altro.
Incuriosita, e spinta dalle insistenze del Gup, che ora stava parlando in modo concitato, lasciò scivolare la gonna
a terra.
La creatura sorrise felice, e la prese per mano. Entusiasta, la condusse saltellando, al lago.
L’acqua era calda e piacevole. Il Gup si sedette, lasciando soltanto la testa fuori dell’acqua; molte altre creature
si stavano avvicinando, ora, incuriosite dall’arrivo della nuova ospite.
Dana decise di sedersi nell’acqua anche lei, onorando quella che sembrava essere un usanza dei suoi ospiti;
inoltre, dopo il faticoso viaggio, aveva davvero bisogno di un bagno.
L’acqua era davvero confortevole. Il Gup le offrì un piccolo granchio: sorridendo.
Dana si vide costretta a rifiutare, nascondendo abilmente il disgusto. La creatura rise forte e sgranocchiò il
granchio con i suoi denti aguzzi.
- “Mi chiamo Dana.” - Disse, cercando di stabilire una forma di conversazione un po’ più articolata.
- “Dana!” - Ripeté ancora colpendosi il petto con una mano....
Una femmina si avvicinò e le offrì una meravigliosa gemma dai colori iridescenti. Era davvero molto bella; Dana
notò che molte di quelle creature ne indossavano una simile.
- “Gup?”
IL Gup assenti muovendo la testa. Dana realizzò in un attimo: “Gup” era il nome di quelle le creature, come la
parola “uomini” per gli umani.
Era troppo difficile continuare a comunicare in quella maniera, così si alzo in piedi per muoversi verso acque più
profonde dove era possibile nuotare liberamente.
I Gup restarono ad osservarla dalla riva, stupiti: avevano le gambe corte e non erano in grado di nuotare.
Dana, immergendosi sott’acqua, notò che dal fondo roccioso del lago scaturivano innumerevoli colonne di
bollicine d’aria; era proprio come aveva immaginato: piccoli geyser.
Al suo ritorno trovò vicino alla riva una grande foglia piena di frutti, per lo più mirtilli. Li mangiò con supremo
piacere.
Quindi ringraziò tutti i Gup con cui aveva “parlato”, con un piccolo bacio sulla guancia.
Loro la ricompensarono con sorrisi colmi di felicità.
Si rivestì e balzò sul cavallo. Lasciò quel luogo meraviglioso sperando di potersi fermare di nuovo lungo la
strada del ritorno.
Cap. 27
Kildakel raggiunse le porte del villaggio quando era già mattino inoltrato.
Sulla grande porta di ingresso erano scolpiti nel legno i simboli del villaggio; al centro di essa un grande
quadrato con un cerchio inscritto. Nel cerchio una runa rappresentava il susseguirsi delle stagioni: Inverno ed
Estate. La runa aveva la forma di un rombo separato da una linea verticale che univa i due vertici.
A sinistra di questo simbolo vi era un enorme scudo con un cavalluccio marino sbalzato nel metallo. A destra un
altro grande scudo con un cigno stilizzato.
Sulla cima del portale, con colori brillanti erano dipinti altri simboli.
Un grosso cerchio arancione sopra una “M” verde smeraldo; sotto di essi, erano dipinte delle brillanti onde blu.
Questi simboli rappresentavano rispettivamente, il Sole, i Monti, e il Mare, e quindi i quattro elementi, Fuoco,
Terra, Aria, Acqua.
Tutto questo era stato dipinto sul portale, anche per ricordare a tutti i visitatori che in quel villaggio era possibile
entrare solo nel rispetto di Madre Natura e delle Sue creature.
L’onnipresente martellare del fabbro lo riportò in una dimensione più quotidiana, dopo le esperienze del giorno
prima.
Immediatamente vide Beltram seduto di fronte a un piatto di uova e una scodella di latte.
Kildakel depositò le sue armi vicino al tavolo e si sedette; Beltram era stranamente silenzioso quel mattino.
- “Com’è il bacon oggi?” - Scherzò Kildakel.
- “Non male.” - Rispose dopo un po’ - “Brunfir! Aggiungi qualche fetta di salmone sul pane al burro!” - Urlò in
direzione della cucina.
- “Certo, signore.” - Replicò Brunfir, rassegnato.
Kildakel si sentì sollevato vedendo il suo amico scherzare, benché avesse notato che si sforzava visibilmente
per farlo.
Quindi vide l’arpa e decise di cambiare argomento, cercando di metterlo di buon umore.
Kildakel lo guardò attento, sicuramente aveva detto qualcosa di sbagliato, ma non riusciva ad individuare che
cosa.
Entrambi risero. Brunfir si stava avvicinando con la colazione, aveva un’espressione stupita in volto;
probabilmente aveva udito le ultime parte della conversazione.
- “Oh Brunfir! Che cosa pensi sia più importante, l’amore o l’amicizia? - Gli domandò brusco Beltram.
- “Non so, signore, è una domanda difficile ... ci sono molte cose importanti ...”
- “Devi solo scegliere una delle due, svelto!” - Lo interruppe Beltram.
- “... err...l’amore ... suppongo ...” - Brunfir stava cominciando a sentirsi in imbarazzo.
- “Bravo!” - Disse Beltram - “Bisogna essere svelti!”
- “Sì signore!” - Brunfir raggiunse rapidissimo la cucina.
Kildakel stava ridendo forte.
Kildakel cercò di mangiare qualcosa, ma gli passò subito l’appetito; finì la colazione solo perché doveva farlo.
- “Può darsi che non sia cattivo come dicono.” - Rispose Beltram dopo qualche istante.
- “D’accordo, non sei obbligato a combattere se non lo vuoi.”
- “Sono un musicista!” - Beltram prese la sua arpa e suonò alcune note.
Il suono dell’arpa era alquanto diverso con le nuove corde; suoni di campanelli, onde del mare, vento tra le
foglie, centinaia di sonorità differenti stavano uscendo da quel singolo, piccolo strumento di legno.
Drusilla svegliò Herrick lavandosi molto rumorosamente nella stanza da bagno, vicino alla camera da letto. Era
mezzogiorno passato; la prima cosa che il re notò svegliandosi, fu l’odore di menta.
Evidentemente la sua pelle non era ancora guarita.
Si sedette meglio nel letto maledicendo il sapore amaro sulla lingua che ogni mattina lo aspettava, implacabile,
al risveglio.
Caffè caldo! Ecco di cosa aveva bisogno. Tirò una delle stole che pendevano sopra il letto per chiamare Hugo.
Drusilla entrò nelle stanza coperta solo da un asciugamano, la sua pelle era molto meno arrossata.
Lei non rispose. Si sedette sul letto e cominciò a spalmarsi dell’altra crema.
- “Puoi mettermi un po’ di crema sulla schiena?” - Domandò lei, senza guardarlo.
- “Certo.” - Rispose il re.
Herrick abbassò l’asciugamano, scostò i suoi capelli e accarezzò le sue spalle con l’unguento.
Non riuscì a terminare la frase realizzando di aver appena commesso un grave errore.
- “Hugo!” - Urlò il re - “Puoi entrare ... con il Vostro permesso, Lady Drusilla.
- “Sì, non m’importa di quell’eunuco.”
- “Lo sai, caro Hugo, cosa dovrebbero fare le persone educate prima di entrare in una camera da letto?”
- “Puoi parlare, Hugo.” - Continuò il re - “Per favore, rispondi: cosa fanno le persone educate prima di entrare in
una stanza?”
- “Buss...”
- “Troppo tardi!”
Il pugnale che Herrick teneva sotto il cuscino raggiunse in un lampo la fronte di Hugo.
Cadde a terra senza il tempo di esalare l’ultimo respiro.
- “Un altro omicidio!” - Gridò Drusilla - “Perché lo hai fatto? Non ce n’era alcun bisogno.”
- “Ho sempre odiato quella rana. - Disse Herrick sorridendo.
- “Quando uccidi i tuoi occhi diventano più verdi, lo sai?” - Disse Drusilla dandogli un profondo bacio.
Herrick si alzò dal letto, e spinse il corpo di Hugo fuori della porta.
Drusilla glielo lanciò e il re cominciò a pulire il pavimento dal sangue tenendo l’asciugamano sotto i piedi; quindi
con un calcio gettò tutto quanto fuori della camera e richiuse la porta.
Lei rise.
Herrick non era dell’umore giusto per quello, ma dato che Drusilla amava leggere i tarocchi, la lasciò fare.
- “Strano.” - Disse - “Non vedo la vittoria, no, per niente....no! Chiaro? Ma alla fine le carte non sono male, c’è
l’inizio di una nuova vita per te.”
- “Così non morirò.” - La stuzzicò Herrick. Non riusciva a spiegarselo: ma non era mai riuscito prenderla sul
serio quando leggeva i tarocchi; poteva solo pensare che l’amava.
- “No, non muori.”
- “Bene... quand’è che faremo di nuovo l’amore?” - Questa era la classica domanda di Herrick durante uno dei
suoi “consulti”.
Normalmente Drusilla rispondeva “presto” senza leggere le carte. Questa volta, invece, i suoi occhi si
rattristarono. Stese le carte di nuovo e scrutò di nuovo Herrick senza rispondergli.
Corse fuori della stanza saltando il corpo di Hugo, lasciando Herrick di pessimo umore.
Cap. 29
Duregal partì con due soldati in direzione della caverna degli Obscurni alcune ore dopo l’alba.
D’accordo con gli ordini di Herrick, gli Obscurni avrebbero dovuto sferrare il primo attacco per indebolire le difese
del villaggio, la notte.
Gli Obscurni potevano volare molto velocemente: partendo da Dalmar al tramonto avrebbero raggiunto il
villaggio prima dell’alba, e prima del sorgere del sole avrebbero succhiato via la maggior parte della forza vitale
a molti uomini.
Sfortunatamente per gli Obscurni vicino al villaggio non c’erano caverne dove nascondersi prima dell’alba; ma a
Duregal questo non dispiaceva per nulla.
Non poteva tenerli incantati per sempre; temeva che una volta ritornati in sé, potessero pianificare una vendetta
contro di lui.
Con i sacri poteri del lago, Herrick non sarebbe stato altro che una misero bambolotto alla sua mercé.
Cap. 30
Avevano bisogno di riposare almeno un giorno prima di affrontare la fitta e misteriosa Foresta.
- “Temo che i cavalli avranno dei problemi a muoversi tra quegli alberi.” - Disse Grumble, uno dei soldati inviati
da Herrick per guidare gli Orck attraverso la Foresta.
- “Non ti sbagli! Già un’alta volta siamo stati costretti ad abbandonare i cavalli ... dopo alcune ore di cammino è
difficile mantenere il giusto sentiero laggiù. Se si sbaglia percorso, dopo poche miglia la vegetazione diventa
talmente intricata che è impossibile proseguire cavalcando. Però c’è Trundle … conosce la Foresta come le sue
tasche: ci guiderà lui.” - Rispose Fruntir, un altro soldato.
- “Che tu sappia, Re Herrick ci ha dato qualche indicazione precisa a tale proposito?”
- “No. Ha solo ordinato di condurre gli Orck al villaggio. Questa notte gli Obscurni partiranno dalla penisola di
Booga e ci prepareranno il terreno: quando raggiungeremo il villaggio, la maggior parte degli uomini saranno
incapaci di reagire.”
- “Quanto tempo credi occorrerà per superare la foresta?”
- Se partiamo questa sera raggiungeremo il villaggio nella notte di domani... se camminiamo svelti.”
Trundle conosceva Herrick da sempre, era stato l’unico a restare sempre fedele al re senza chiedere nulla,
anche quando quest’ultimo commetteva i peggiori delitti.
Era l’unica persona sulla quale Herrick si sentiva di riporre la sua totale fiducia.
I suoi vecchi occhi brillavano ancora d’intelligenza; non si era mai chiesto perché il suo re aveva gettato tanta
sofferenza nel mondo. L’aveva visto nascere; aveva provato amore nel suo petto vedendo quel bambino nella
culla, e da allora lo aveva sempre appoggiato senza porre questioni.
Quelle strane creature stavano banchettando col cibo fresco inviato da Herrick, sprecandone buona parte,
Gli Orck non avevano alcun senso del dovere, e nessuna percezione del futuro.
Oggi avevano cibo in abbondanza, quindi potevano sprecarne in quantità nella fretta di gustare sempre nuovi
sapori; probabilmente il giorno dopo si sarebbero svegliati e si sarebbero visti costretti a ripiegare sulla carne
avariata rimasta attaccata alle ossa mezze masticate del giorno prima.
Trundle stava osservando la scena, stupito e divertito del loro strano comportamento.
Raccolse un grosso pezzo di prosciutto arrosto e lo lanciò agli Orck: immediatamente uno dei sergenti balzo sul
pezzo di carne e lo addentò.
Il tramonto si stava avvicinando; Duregal stava aspettando pazientemente, di fronte all’entrata della grande
caverna, che l’ultimo raggio di sole scomparisse dietro l’orizzonte.
L’ingresso della caverna era stato ostruito da una grande porta di legno.
Dentro gli Obscurni stavano dormendo, nell’inconsapevole attesa del loro ultimo viaggio.
Duregal aveva già incantato le loro menti con un ordine preciso: una volta aperta la porta non avrebbe dovuto far
altro che pronunciare una particolare parola e cento Obscurni avrebbero coperto il cielo come una gran nuvola
nera.
Il sole tramontò.
Duregal si avvicinò alla caverna; la sua torcia emetteva una luce insufficiente per quella grande antro, ma i corpi
fluorescenti degli Obscurni erano chiaramente visibili, appesi al soffitto di nuda roccia.
Duregal mosse alcuni passi tremanti nella caverna, gli Obscurni si svegliarono e iniziarono a discorrere con la
loro strana voce melodiosa.
Il mago era inquieto. Decise di non attendere ulteriormente, si schiarì la voce e gridò:
- “Okaum!”
Dana stava viaggiando in direzione della foresta; era in forte ritardo secondo i suoi piani, quando vide un piccolo
casolare con un camino fumante.
Girò il cavallo in quella direzione, da giorni non parlava con un essere umano: per lei poteva essere un’ottima
occasione per sapere qualcosa in più circa gli sviluppi della situazione. .
Impugnò i suoi pugnali da lancio e spinse con un piede la porta, sicura di trovare un corpo decomposto e peggio
all’interno.
La stanza si rivelò vuota, eccezion fatta per poche candele consumate su un tavolo marcio, di fianco ad un piatto
sporco.
L’odore in quel casolare era insopportabile, Dana dovette tapparsi il naso per non vomitare i deliziosi frutti che
aveva mangiato poche ore prima al villaggio dei Gup.
Sulla tavola alcuni strani segni erano disegnati con un pezzo di carbone; intorno ad essi giacevano delle ossa
bianche.
Improvvisamente, un acuto grido di donna tagliò il silenzio. Quindi una lunga risata.
Dana si concentrò cercando di percepire da dove provenissero quei rumori; sembravano provenire dal
sottosuolo.
Con circospezione la aprì. Vide una scala che scompariva nell’oscurità sottostante.
Le voci erano cambiate, ora, sembravano mugolii di piacere, sicuramente di una donna.
Per Dana quella situazione era troppo strana: non poteva girarsi e ritornare sui suoi passi. Trasse un profondo
respiro ordinando mentalmente al suo stomaco di tenere duro, ed iniziò a scendere le scale.
Le voci erano molto più chiare, ora; almeno due donne stavano facendo qualcosa di veramente piacevole,
ovviamente per loro, da qualche parte, giù, nell’oscurità.
La scala terminò in una piccola stanza; una torcia era accesa laggiù. Un breve, umido e buio tunnel sulla destra
terminava in un’altra stanza debolmente illuminata da una luce fioca.
Dana osservò meglio la stanza: si trovava sicuramente nell’anticamera della tomba di un antico guerriero.
I colori sbiaditi dal tempo riuscivano ancora ad illuminare lo splendido, grande sole intagliato sulla nuda roccia
sovrastante l’ingresso del tunnel, garantendo luce e pace al riposo dei resti mortali del nobile guerriero.
Dana non osava pensare cosa avrebbe potuto trovare nella stanza in fondo al tunnel.
Si mosse di pochi passi e udì una nuova voce; da quel punto sembrava il pianto di una bambina.
Dana impugnò uno degli stiletti che portava alla cintola tenendolo per la lama, pronta a lanciarlo se necessario;
lo stingeva così forte che alcune gocce di sangue caddero nella polvere di quel luogo sacro.
Non se ne accorse neppure: tutta la sue energie erano dirette a mantenere vigile la sua concentrazione. Trovò il
coraggio di muovere un altro passo in avanti in quel tetro tugurio.
Finalmente raggiunse la fine del tunnel; quello che vide superava ogni sua immaginazione.
Due donne, completamente nude, stavano facendo l’amore sulla tomba del guerriero.
I sacri simboli dipinti sulle pareti che avevano protetto la sua anima da secoli erano stati grattati via.
La sua gloriosa lama che aveva salvato il suo popolo dalla morte era conficcata nel terreno, il suo nobile teschio
era stato malamente fissato sull’elsa della spada e sfigurato con macchie di sangue.
Sul lato destro, una piccola bimba stava piangendo in una gabbia metallica; le sue braccia erano rosse di
sangue. Sedeva sul pavimento lurido, con la testa nascosta tra le ginocchia, per non vedere la scena che si
stava svolgendo innanzi a lei.
Contro il muro a sinistra rispetto all’entrata, un nobile grifone era legato alla parete.
Le sue enormi ali raggiungevano il soffitto, legate con robuste corde a degli anelli di metallo; i suoi potenti artigli
pendevano inerti a pochi centimetri dal terreno.
Candele nere accese sopra simboli misteriosi illuminavano, tetre, quello scenario da incubo. Sopra i lumi, uno
strano fumo si stava addensando in forme oscure, come se fosse dotato di vita propria.
La sua voce apparì strana a lei stessa, rotta da un misto di disperazione ed incredulità; sentì forte il desiderio di
piangere.
Una delle due donne girò la testa nella sua direzione, sorridendo; aveva una strana luce negli occhi.
Booassa si sedette sul corpo nudo della sua compagna per osservare meglio l’aspetto che il fumo stava
assumendo sopra le candele accese.
- “Non abbiamo tempo da perdere, Sqooassa, il nostro ospite d’onore sta per arrivare.” - Cantilenò l’altra,
indicando la forma sopra le candele - “Falla fuori!” - La sua voce era molto profonda ora, come quella di un
uomo.
Dana era terrorizzata, ma riuscì a trovare il coraggio necessario per alzare il pugnale e mantenere la voce ferma
e chiara.
Alzò la testa e chiuse gli occhi, trasse un profondo respiro accarezzando il suo corpo e quello della compagna;
quindi riaprì le palpebre. Al posto degli occhi ora ardevano due pezzi di carbone ardenti.
Immediatamente due palle di fuoco fuoriuscirono dalle orbite, volando rapide nella direzione di Dana.
Dana si gettò a terra, cercando di ripararsi col braccio destro, ma le due masse infuocate erano troppo grandi, e
la colpirono al viso.
Dana cadde sul pavimento dolorosamente ustionata, sotto le risa delle due streghe.
- “Povera ragazza” - Disse una di loro avvicinandosi al corpo di Dana - “Non è possibile che tu sia già morta.” -
La colpi con un calcio.
Dana stava soffrendo terribilmente, metà del suo viso era sfigurato, le braccia ferite pulsavano di dolore; teneva
gli occhi chiusi. Il pugnale era ancora saldamente stretto in mano.
Accasciata sul pavimento calcolò la posizione di una delle due streghe basandosi solo sul suono della voce;
anni di disciplinato allenamento erano ancora immagazzinati nella sua mente.
Sollevò per un istante la palpebra ancora intatta, giusto il tempo per individuare la giusta posizione del bersaglio;
in meno di un secondo il suo pugnale da lancio era conficcato nella fronte della strega.
Un triste lamento sgorgò dal petto della donna morente; rivoltò la testa all’indietro. L’impugnatura del pugnale
nella fronte era ora rivolta verso il soffitto e per un istante sembrò dipingere con la propria ombra una croce
scura sulla parete.
Le ultime energie vitali della donna fuoriuscirono fiammeggianti dalle sue orbite, bruciando le pareti della tomba;
quando esalò l’ultimo respiro, un liquido nero le uscì dal petto.
L’altra strega era rimasta a guardare, attonita, Dana era stata troppo rapida.
Ma non per molto, si alzò in piedi con un’inattesa velocità, i suoi capelli magicamente si levarono in aria, un grido
terrificante lacerò il silenzio.
Dana non attese la sua prossima mossa, spinta dal dolore, rientrò in possesso delle piene energie e la
fronteggiò mostrandole il volto ustionato.
Un gran vigore mosse il suo corpo provato; si lanciò con tutte le forze superstiti sopra la strega, facendola
stramazzare a terra.
Quindi le saltò rapida sul petto immobilizzandola al suolo; il pugnale volò rapido sul collo dell’arpia.
Dana esplose in un pianto dirotto. Lunghe, copiose lacrime scivolarono sulle sue guance bruciate. Aveva ucciso
per la prima volta.
- “Ben fatto, cara!” - Una profonda, chiara voce le fece alzare lo sguardo.
- “Non preoccuparti per la morte di quelle due oscure creature, ne hai salvato una molto più pura...” - Disse lui
puntando muovendo l’enorme becco nella direzione della piccola bambina che stava ancora piangendo nella
gabbia - “...ed anche la mia.” - Rise.
Dana scosse il capo, il dolore e la stanchezza le avevano fatto dimenticare che era ancora seduta sul petto della
strega morta.
Si alzò lasciando cadere a terra il pugnale, le ferite sulle braccia le dolevano terribilmente.
Sopra le candele, il fumo stava prendendo la forma di uno strano essere, due occhi rossi brillavano nell’abbozzo
di una testa.
Dana disincastrò il teschio dalla spada e lo sistemò rispettosamente sulla pietra tombale; il grifone la osservava
con ammirazione. Quindi estrasse la spada dal pavimento e tagliò la nuvola così come le era stato consigliato.
- “Sono Och’n’heim, l’ultimo discendente della nobile stirpe dei Grifoni del Tuono; le due streghe avevano
bisogno della virilità della mia anima e della verginità di quella fanciulla per cibare l’entità che si stava formando
sopra le candele. Nelle loro menti insane, presupponevano di ricavarne potere ed immortalità.
- “Perché hanno profanato i resti mortali di quel nobile guerriero? - Incalzò Dana.
- “Volevano impossessarsi di quello che non avevano più nei loro animi ... ma faresti meglio a non indagare in
questi misteri ...” - Replicò gravemente Och’n’heim.
- “Cosa non avevano più nei loro animi?”
- “Ciò che hanno sprecato e perso.”
- “Che cosa?” - Urlò Dana.
Il grifone girò la testa chiudendo gli occhi. Trasse un profondo respiro; grandi lacrime sgorgarono dai suoi occhi.
La grande e poderosa creatura legata al muro stava soffrendo tremendamente.
- “NOBILTA’!” - Grido improvvisamente fissando Dana negli occhi; i suoi poderosi artigli graffiarono
profondamente il pavimento.
Dana si vergognò di se stessa: stava procurando ulteriori motivi di sofferenza a quella creatura, ma era ancora
troppa spaventata. Il grifone avrebbe potuto ucciderla in un baleno se avesse voluto.
Gli occhi del grifone erano profondi e fieri; Dana rimase immobile fissando la loro nera profondità.
Dana vide nuvole scure sotto di lei, alti picchi rocciosi bucavano le nubi.
Stava volando.
Il cielo sopra le nuvole era chiaro; le montagne di roccia nuda erano illuminate da una strana luce violetta.
L’enorme palazzo bianco si ergeva di fronte a lei; poteva sentire l’aria fresca e pulita nei polmoni riempirle
l’anima di nuova purezza.
Un torrente d'energia percorse il corpo di Dana. Il dolore delle scottature fu scosso via dalla tonante voce del
grifone.
- “Puoi ritornare ora; sei sempre di fronte a me nella tomba del nobile guerriero, riapri gli occhi, guardami!” -
Disse il grifone.
Dana lo guardò; i suoi occhi erano buoni, la paura era svanita in un lampo.
Och’n’heim si avvicinò alla gabbia con la bambina addormentata, e colpì il lucchetto del catenaccio con il suo
robusto becco. Il cancellato si aprì immediatamente.
- “Assicura la piccola sopra le tue spalle ed afferra il mio collo! Stiamo per partire!” - Ordinò Och’n’heim.
Dana raccolse le corde usate per imprigionare il grifone e fabbricò una robusta imbracatura per la bambina.
Quindi seguì Och’n’heim fuori del casolare.
Liberò il suo cavallo dandogli l’ultimo bacio ed abbracciò il collo del grifone.
Dopo pochi minuti stava volando, con la piccola bimba sulla schiena, sopra l’immensa foresta.
Il grifone spiegò le sue possenti ali tagliando la fredda aria della notte in una larga virata sulla destra.
I muscoli tesi di Och’n’heim sotto il suo corpo le davano una piacevole sensazione.
Och’n’heim colpì l’aria con le ali per riguadagnare quota, quindi le spiegò di nuovo per virare a sinistra.
Da sud una strana nube fluorescente, del tutto innaturale, si stava muovendo verso nord.
Le ali possenti spinsero via l’aria fredda. Il grande grifone stava volando davvero velocemente, ora; guadagnò di
nuovo quota e si diresse verso la strana nuvola, ancora distante, più in basso.
Quindi ripiegò un poco le ali e iniziò una picchiata in direzione della nuvola.
In questo modo, spiegandole di nuovo, sarebbe stato in grado di volare alto nel cielo, in caso di pericolo.
Il proiettile piumato raggiunse la nube luminosa in pochi secondi.
Il grande grifone si mosse silenzioso nella notte fredda, guidato dalla luminosa Stella del Nord.
Cap. 33
Le due grandi navi erano ancorate nel porto di Dalmar, pronte ad accogliere Re Herrick ed il suo esercito.
I soldati stavano marciando sul lungo molo, i cavalli erano già a bordo.
- “Perché sei così triste questa sera? Non è la prima volta che parto per una battaglia.”
- “Non è niente...”
Herrick l’abbracciò.
- “E’ per qualcosa che hai visto nei tarocchi stamattina?” - Domandò Herrick.
- “Non morirai.” - Rispose lei baciandolo.
- “Allora, cos’altro?”
- “E’ solo una sensazione, sento che non ti rivedrò mai più!”
- “Se non muoio ti rivedrò di certo. Lo sai che ti amo.”
- “Lo so.”
- “Sarò di ritorno tra pochi giorni, prenditi cura della tua pelle.”
- “Sarà guarita al tuo ritorno.” - Sorrise maliziosa.
- “Devo andare ora.”
- “Non ti dimenticherò mai.” - Disse Drusilla cercando di nascondere una lacrima.
- “Cosa mi vuoi dire?”
- “Non farci caso.” - Gli disse baciandolo di nuovo - “Ti aspetto.”
- “D’accordo, non tradirmi con Hugo.”
- “Sei tremendo!” - Sorrise lei scompigliandogli i capelli.
Si baciarono di nuovo, a lungo; quindi Herrick salì a bordo della sua nave.
Cap. 34
Kildakel stava passeggiando nella piazza principale del villaggio osservando la gente: non sembravano
preoccupati del pericolo imminente.
- “Le forze del male odiano il sole, eravamo troppo luminosi! Stanno cercando di oscurarci con nubi d’angoscia.
Non dobbiamo aver paura se vogliamo vincere!”
- “Sto diventando vecchio, Kildakel, quando ero giovane ero un coraggioso e fiero guerriero, niente mi
spaventava. Ora è diverso...non posso aiutare i giovani con la forza dei miei muscoli, solo con le parole ...” -
Grimdell si accomodò meglio aggiustandosi la schiena contro il tronco dell’albero. - “Probabilmente stasera ho
bevuto troppo sidro, non avrei dovuto sprecare la mia frase migliore per delle misere ferite alle mani.” - Rise
forte.
- “Noi tutti ti rispettiamo Grimdell, non hai bisogno di scusarti.”
Grimdell giro rapido la testa nella direzione di Kildakel fissandolo con disprezzo. Quindi si alzo in piedi
inaspettatamente svelto.
Grimdell afferrò Kildakel per la collottola e lo sollevò di peso sbattendolo contro il tronco.
- “Questo è per la tua pietà.” - Disse calmo Grimdell dandogli una ginocchiata al basso ventre.
- “E questo è per la tua mancanza d'umorismo.” - Disse Grimdell ammaccandogli la faccia con il gomito.
Kildakel cadde a terra boccheggiando nella polvere. Grimdell se ne andò fischiettando una canzone con la sua
bottiglia di sidro.
Entrambi si misero a ridere, quando un lungo suono di corno attirò la loro attenzione.
Parecchie persone uscirono di casa ... altri brevi note di corno ... era il segnale d’allarme per gli arcieri.
- “Il mio arco!” - Gridò Beltram. Si alzò e corse veloce a casa.
In cielo, rischiarato da una grande luna, un enorme uccello stava volando sopra il villaggio.
Anche il druide stava scrutando il cielo; l’uccello era ancora troppo lontano per essere identificato.
Lo strano animale stava discendendo sopra il villaggio descrivendo una larga spirale.
Och’n’heim stava volando prudente studiando le mosse della gente giù al villaggio.
- “ Veniamo in pace!” - Gridò appena raggiunse una distanza tale da potere essere udito dalla gente del villaggio.
- “Sto trasportando un bambino e una donna!” - Gridò di nuovo.
Il grande grifone toccò il suolo giusto nel mezzo della grande piazza. Immediatamente un cerchio di persone si
radunò attorno a lui.
- “Sono Och’n’heim, il Grifone del Tuono. Ho avuto l’onore di condurre sin qui questa nobile guerriera e questa
bambina umana bisognosa di cure. Ora è un’orfana, sono sicuro che qui troverà tutto l’amore necessario.
La gente rimase senza parole nell’ascoltare un uccello incredibile parlare così chiaro.
- “Dio mio! Questa bambina è ferita, per favore lasciamela portare a casa, posso guarirla.” - Disse la donna a
Dana.
- “Per favore, prenditi cura di lei, ha sofferto parecchio.” - Disse Dana ponendole la bimba tra le braccia.
- “Non ti preoccupare, ho cinque figli, so cosa fare.” - sorrise la donna.
Il Druide trasalì.
Era già a conoscenza degli Orck, le Etheridi lo avevano avvisato, ma gli Obscurni erano una novità.
- “Hai detto uno stormo, potresti essere più precisa?” - Domandò il vecchio uomo.
- “Un centinaio ... direi ... e stanno volando veloci! Sono sicura che avete abbastanza frecce da abbatterli tutti!”
- “Mia cara, le frecce sono totalmente inutili contro quelle creature, sono incorporei, non si può uccidere un
Obscurno con una freccia.”
Tutta la gente del villaggio era talmente attenta alla conversazione tra i due, che nessuno aveva notato che,
sopra le mura che circondavano il villaggio, erano appollaiati gli Obscurni; stavano osservando la scena in
silenzio.
Avevano volato a pelo d’acqua ed erano atterrati sulle fortificazioni di legno; erano creature silenziose ed
intelligenti: nemmeno le guardie si erano accorte di loro.
- “Abbassate gli archi!” - Ordinò il Druide - “Porgo il mio benvenuto al Popolo degli Obscurni.” - Gridò - “Quale di
voi è il capo?”
- “Non abbiamo capi. Noi tutti vogliamo parlare con te.”
- “Siete i benvenuti.”
- “Siamo in possesso di un’antica pergamena scritta dai costruttori d'Ellipticon. Noi non siamo di questo mondo.
Vogliamo che tu usi la pergamena nel Tempio per farci tornare al nostro pianeta.” - Dissero gli Obscurni.
- “Fatemi capire ... non siete stati mandati Herrick?” - Chiese il Druide.
- “Duregal, il mago, crede stupidamente di averci incantato con una delle sue magie, e così Herrick. In realtà noi
rispettiamo Ellipticon; il lago per voi è un luogo sacro, per noi è il mezzo per ritornare a casa. Non deve cadere
nelle mani di Duregal: è troppo malvagio. Vi aiuteremo a combattere gli Orck. In cambio vi chiediamo di leggere
le parole scritte sulla pergamena in vostro possesso nel Tempio.”
- “Siamo stanchi di vivere in questo mondo.” - Ripresero gli Obscurni - “Sta diventando ogni giorno troppo ostile
per noi...gli umani non sanno rispettare la nostra natura...vogliamo ritornare a casa.”
- “Abbiamo bisogno di una caverna per trascorrere il giorno; domani, dopo il tramonto attaccheremo gli Orck. In
cambio vi preghiamo di leggere il contenuto della pergamena in Ellipticon prima dell’alba.”
- “La vostra preghiera è accolta!” - Decise il Druide - “Potete dormire nel tunnel che conduce al lago. Guardie,
aprite le porte del Tempio!”
- “Ti ringraziamo profondamente.”
Prima dell’alba gli Orck iniziarono ad attraversare la foresta seguiti da una nuvola di mosche.
All’altro capo della foresta, gli uomini del villaggio di Pahseron, stavano preparando un'imboscata.
Gli arcieri salirono sugli alberi giganteschi. Nascosti dal fitto fogliame avrebbero potuto fermare molti Orck,
anche se le frecce da sole non erano di certo sufficienti per bloccare un esercito di mostri.
I cavalli non potevano muoversi con facilità nella fitta vegetazione, così i guerrieri sarebbero stati costretti a
combattere a corpo a corpo con gli Orck.
Numerosi buchi erano stati scavati nel terreno e coperti da tappeti di foglie; questo avrebbe fermato un’altra
porzione dell’esercito nemico.
In ogni caso la maggioranza degli uomini contava molto sull’aiuto degli Obscurni: quelle creature erano di certo
in grado di mettere fuori combattimento quasi tutti gli Orck.
E così avvenne: al tramonto, gli Orck si avvicinarono al luogo dell’imboscata, molti di loro caddero sotto le frecce
e le spade, ma solo dopo il tramonto, l’enorme armata degli Orck terminò la sua corsa.
Gli Obscurni attaccarono; più forza vitale succhiavano, più diventavano agili e precisi nei movimenti.
Solo Trundle si salvò, trovando rifugio su di un vecchio olmo, nascosto nella fitta foresta.
Cap. 36
Mancava poco all’alba: entro poche ore la luce del sole avrebbe acceso le potenti acque d'Ellipticon.
Il Druide aspettava paziente l’arrivo degli Obscurni, vicino le acque del lago.
Non amava molto quelle creature, ma sapeva che era solo un timore irrazionale; erano spaventosi a vedersi, ma
con le loro azioni avevano dimostrato d’essere leali e pacifici.
Inoltre aveva fatto una promessa; in tutta la sua lunga vita, il druide aveva sempre onorato la parola data.
Uno degli Obscurni si avvicinò al Druide mentre gli altri si stavano sedendo intorno al lago, descrivendo una
grande ellisse nera.
- “Questa è la pergamena che dovresti leggere; non devi fare altro. Il suono della tua voce sarà più che
sufficiente.”
- “Siamo molto grati a te e al tuo popolo per quello che stai facendo.” - Disse l’Obscurno prima di raggiungere i
suoi compagni.
“A-O-B-A-O-B”
Osservò gli Obscurni: erano seduti attorno al lago nell'attesa che lui si decidesse. Il sole stava per sorgere:
pensò che era inutile sprecare tempo ulteriore.
- “A-O-B-A-O-B”
Gli Obscurni osservarono l’acqua. Una luminescenza dalle sue profondità sali lenta verso la superficie; quindi un
cilindro di luce bianca salì nel cielo...sembrava raggiungere la fine dell’Universo.
Gli Obscurni volarono nella luce, il loro corpo etereo virò dal nero al bianco.
Divennero presto un tutt’uno con la luce.
Nel più profondo silenzio il cilindro luminoso si staccò dalla superficie del lago, velocissimo si perse nelle
profondità dello spazio.
Lutracon, nel suo antro, stava dormendo sognando l’Universo come sempre. Nel suo sogno vide due pianeti di
galassie differenti collegarsi con raggio di luce.
Espanse la sua coscienza fino a raggiungere l’aura del secondo pianeta. Percepì gioia.
Lutracon ruggì gentilmente.
Cap. 38
La battaglia sul mare fu breve. Gli uomini del villaggio erano ancora sulla strada del ritorno dalla foresta quando
le sue navi raggiunsero le Terre di Pahseron. Re Herrick aveva vinto ed era riuscito ad oltrepassare le mura.
Ora era di fronte la Portale di Ellipticon; l’odore del sangue era ancora nelle sue narici.
Nove soldati giacevano morti alle sue spalle; alcuni di loro caduti nelle trappole, gli altri uccisi da una lama
nascosta lungo il tunnel che conduceva al Tempio.
L’ultimo soldato che era riuscito a raggiungere incolume la porta stava esalando il suo ultimo reprimo da un
taglio nella gola.
Il re ripulì la lama della sua spada dal sangue del soldato ed attese alcuni istanti davanti al meraviglioso portale
decorato.
La maggioranza dei suoi uomini era caduta in battaglia, uccisi da frecce o dalle onde del mare.
Nemmeno Duregal era sopravvissuto; la sua nave era affondata sotto i colpi delle catapulte.
I pochi superstiti stavano attendendo il ritorno del Re, all’entrata del tunnel.
Lutracon graffiò il pavimento della caverna con i suoi artigli; il cuore gli pompò sangue freddo nel cervello.
Una leggera brezza stava muovendo le acque del Tempio; le nuvole nel cielo erano spesse e pesanti.
Herrick raggiunse il lago, osservò l’acqua domandandosi cosa avesse di tanto speciale quel posto.
Sicuramente era un luogo molto strano; le rocce bianche e levigate della montagna ... la forma perfetta del lago
... ma quello era tutto: un magnifico monumento costruito in onore di qualche divinità.
Con la punta della spada cercò di toccarle, col solo risultato di lavare via definitivamente tutto il sangue dalla
lama.
Lutracon si svegliò. Ruggendo, terribile, spalancò le ali distruggendo il delicato soffitto di stalattiti della caverna.
Il suo sogno si era bruscamente interrotto: una fitta nube rossa aveva turbato la sua visione dell’Universo.
Pompò aria fresca nei polmoni ed emise un altro profondo ruggito; una rabbia millenaria fece vibrare le pareti
della caverna.
Cominciò la sua inarrestabile marcia verso l’uscita: un’incrollabile determinazione stava muovendo quell’animale
antico verso la luce del sole.
Nel Tempio la forza del vento crebbe. Presto il sole ebbe la meglio sulla coltre di nubi; dall’acqua si
sprigionarono i colori danzanti.
Herrick rimase attonito di fronte a quello spettacolo incredibile: era sommerso da una caleidoscopìa di colori ...
preso dalle vertigini, cadde in ginocchio.
Dopo il primo momento di stupore, si rese conto che stava trattenendo il respiro da parecchio tempo; i polmoni
gli dolevano.
Nulla!
Drusilla...l’aveva abbracciata poche ore prima. Il suo profumo intenso gli era rimasto sulla pelle...inspirò
profondamente.
- “Io sono il Re!” - Urlò; la sua voce echeggiò sulle rocce, rotolando sull’acqua.
Una scarica d'energia gli squassò il corpo; si sentì un dio: come se fosse antico, incredibilmente antico. Più
antico del Tempio stesso.
Un uomo era in piedi di fronte a lui, il suo volto e il suo corpo erano lordi di sangue.
Il Re si alzo in piedi, lentamente, fissando Kildakel negli occhi; mosse alcuni passi nella sua direzione.
- “Bene, Kildakel, cosa ci fai nel mio Tempio?” - Disse Herrick sorridendo.
•“Questo non è il tuo Tempio, Herrick.” - Rispose Kildakel.
Il suo cervello era inondato da torrenti di lava che stavano distruggendo ogni freno mentale.
- “Hai ragione, Kildakel. Questo non è il mio Tempio. - Disse il Re calmo.
Il sole stava brillando luminoso, alto nel cielo; le figure scure dei due uomini erano gli unici punti di riferimento in
quell’arcobaleno di colori.
I loro occhi sembravano due opali danzanti, i loro visi due maschere psichedeliche.
Kildakel non poté far altro che parare una seconda volta; le sue mani stavano tremando sotto la potenza dei
colpi.
Stava annaspando per il dolore; con le ultime forze rotolò sul pavimento e si lasciò cadere in acqua.
Kildakel riuscì ad infilare la spada nel fodero dietro le spalle e raggiunse la superficie del lago.
La sagoma scura del re sulla riva sembrava irreale, come sospesa nella luce colorata.
Doveva guadagnare tempo, non poteva fronteggiare Herrick un’altra volta. La Sacra Colonna! Quello era l’unico
posto sicuro.
In pochi minuti raggiunse la roccia: nessun piede umano non aveva mai toccato quella pietra sacra.
Kildakel provò timore: troppe sacre regole erano state infrante. L’acqua era sporca di sangue, il Sacro Pilastro
violato ed un assassino era entrato nel Tempio.
Improvvisamente un forte dolore gli salì dalla gamba sinistra. Kildakel cadde sulla pietra liscia con un pugnale
nella carne.
- “Il pesciolino non può più nuotare...! Non più, mi dispiace, caro!”
Herrick si arrampicò sulla roccia, l’onnipresente sorriso ironico sembrava dipinto con milioni di colori sul suo viso.
- “Ora, guerriero, sono molto dispiaciuto che tu debba morire in questo modo miserabile dopo una vita di nobili
battaglie. Ma vedi, caro, sono avvezzo a prendere il bagno in confortevole acqua calda. Mi spiego meglio:
l’acqua era troppo fredda stamattina.” - Disse il Re appoggiandogli la lama sulla gola.
- “Sei solo un povero buffone!” - Sussurrò Kildakel.
Un’ombra oscura calò sul Sacro Pilastro. Herrick alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere un enorme artiglio
avvicinarsi sopra di lui.
In distanza alcune persone stavano guardando la scena: il Druide, Beltram, Dana e i pochi sopravvissuti del
villaggio.
Un leggero ruggito uscì dalle labbra di Lutracon. Quindi spostò l’enorme testa nella direzione di Kildakel.
Lutracon assentì, pensoso. Quindi afferrò i due umani e si spostò nel centro della sacra roccia.
Il Drago si alzò sulle gambe posteriori, e ricoprì i due umani con le sue larghe ali.
Un profondo suono vibrante uscì dalla sua bocca; in pochi secondi crebbe d'intensità.
La colonna di roccia stava galleggiando sopra la superficie del lago ora; il drago e i due uomini erano ancora
sulla cima.
Il tempo accelerò: il sole calò rapido dietro le montagne, la luna sorse e salì rapida nel cielo.
Con una velocità incredibile la colonna di roccia volò nella notte nella direzione della stella, silenziosa.
Dopo breve tempo la Sacra Colonna rientrò nella sua sede, nel fuoco settentrionale d’Ellipticon.
Beltram rimase senza parole, girò la testa verso il Druide con un’espressione interrogativa in volto.
- “Dana, sto diventando troppo vecchio per questo lavoro, penso che Ellipticon sia pronto per una nuova
Sacerdotessa. Torniamo al villaggio, abbiamo molto di cui parlare.”
Fine
Epilogo
Suona il campanello.
- “Sono io.”
Il caffè è ancora caldo nella tazza quando Anne e Thomas cominciano a fare l’amore.
Thomas si alza in piedi e raggiunge la finestra. Guarda la pioggia fuori del vetro.