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Isabella Mattazzi

IL LABIRINTO CANNIBALE
VIAGGIO NEL
MANOSCRITTO TROVATO A SARAGOZZA
DI JEAN POTOCKI

Milano
2007
© 2007 Isabella Mattazzi
isabella.mattazzi@unibg.it

per la presente edizione


© 2007 Arcipelago Edizioni
Via Carlo D’Adda 21
20143 Milano
info@arcipelagoedizioni.com
www.arcipelagoedizioni.com

Prima edizione maggio 2007

ISBN 978-88-7695-358-3

Tutti i diritti riservati

Ristampe:
7 6 5 4 3 2 1 0
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È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa


la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

In copertina:A. Kircher, Labyrinthus Aegyptiacus, 1679. Si trova in: A. Kircher, Turris


Babel, Amsterdam, Ex Officina Janssonio-Waesbergiana, 1679.
INDICE

I LABIRINTI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

II CIBI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

III SERRATURE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

IV SPECCHI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 71

V LIQUIDI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 87

BIBLIOGRAFIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 107
Anche non volendo entrare nel merito di un lavoro di carattere strettamen-
te filologico, ogni lettura critica del Manuscrit trouvé à Saragosse deve
necessariamente fare i conti con l’incertezza strutturale della genesi delle
sue pagine.
I curatori delle edizioni storiche del romanzo di Potocki, Roger Caillois
(Paris, Gallimard, 1958) e René Radrizzani (Paris, José Corti, 1989), si
sono dovuti confrontare con una dispersione capillare di documenti, con
testi mozzi, varie riscritture, traduzioni di traduzioni.
Gli stessi François Rosset e Dominique Triaire, curatori dell’edizione più
recente del Manuscrit (Louvain-Paris, Peeters, 2006) hanno optato (con un
significativo avanzamento delle ipotesi sulla nascita e la storia del testo) per
la scelta di una doppia pubblicazione, facendo uscire due “Manoscritti”:
una prima versione del 1804, lasciata incompiuta dall’autore alla 45° gior-
nata, e una versione del 1810, questa volta completa (61 giornate) e, per
molti aspetti, significativamente diversa dalla precedente.
Quale è allora il vero testo di Potocki? Quello del 1804? Quello del 1810?
Un primo abbozzo scritto nel 1794, o ancora quello del traduttore ottocen-
tesco Edmund Chojecki ripreso in parte da René Radrizzani, o quello tron-
co di Roger Caillois?
Di fatto scegliere una copia al posto di un’altra vorrebbe dire scartare deci-
samente una serie di elementi che hanno costituito e costituiscono tuttora il
fascino della scrittura di Potocki e del suo mondo di meraviglie. Il
Manoscritto, libro senza corpo, opera senza un luogo preciso che ne con-
tenga e protegga sistematicamente il senso, più che ad un nucleo compatto
fondato su un’equivalenza immediata tra testo e significato, sembra somi-
gliare piuttosto ad una costellazione, ad una nebulosa di temi e figure del-
l’immaginario, dispersi certo, divergenti anche, eppure incontestabilmente
affini e riconoscibili all’interno dell’universo letterario di fine Settecento.
Sebbene quindi l’edizione del Manuscrit trouvé à Saragosse a cui si fa qui
principalmente riferimento è la versione del 1810 (61 giornate) curata da
François Rosset e Dominique Triaire, sono stati presi in esame durante la
stesura del presente lavoro sia il secondo volume della stessa edizione (Ma-
nuscrit trouvé à Saragosse-1804), che il Manoscritto (64 giornate) curato
da René Radrizzani, opera sulla quale di fatto sono andati costituendosi gli
studi specialistici degli ultimi vent’anni.
Per quanto riguarda la grafia di nomi e luoghi, si è scelto pertanto di uni-
formarsi alla edizione 1810, rimandando alla consultazione in nota per
eventuali discrepanze con le stesure precedenti del testo.

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IL LABIRINTO CANNIBALE
VIAGGIO NEL
MANOSCRITTO TROVATO A SARAGOZZA
DI JEAN POTOCKI
CAPITOLO I

LABIRINTI

Hic inclusus vitam perdit


Adrumeto, labirinto musivo

Le comte d’Olavidès n’avait encore établi des colonies


étrangères dans la Sierra Morena; cette chaîne de monts
sourcilleux qui séparent l’Andalousie d’avec la Manche
n’était alors habitée que par des contrebandiers, des ban-
dits et quelques Bohémiens qui passaient pour manger
les voyageurs qu’ils avaient assassinés, et de là le pro-
verbe espagnol: “Las Gitanas de Sierra Morena quieren
carne de hombres”.1
Ancor prima di essere un luogo abbandonato da dio, la
Sierra Morena è soprattutto un luogo abbandonato dal re e dal
suo potere giurisdizionale. È uno spazio semidesertico, incolto,
non toccato da alcuna forma strutturante. Come se non bastasse,
il cannibalismo, infrazione estrema, rottura ultima di ogni pos-
sibile coscienza aggregativa, sembra minare dal profondo la si-
curezza e il passo di chiunque si avventuri oltre l’ultimo riparo
abitato di Andujar.
La geografia dell’universo romanzesco di Potocki è in primo
luogo la geografia sociale di un mondo hors-la-loi. Assassini,
contrabbandieri, uomini per loro stesso statuto al di fuori della
regolarità rassicurante di un preciso ordine civile, sono gli abi-
tanti irregolari di una terra irregolare. Nella valle di Los Her-
1
J. Potocki, Œuvres IV,1 Manuscrit trouvé à Saragosse (version de
1810), Louvain-Paris, Peeters, 2006, p.30.

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IL LABIRINTO CANNIBALE

manos non si batte moneta, non esiste tribunale, sguardo e pa-


rola del sovrano conoscono impotenti la legge indefinita della
sospensione.
E del resto non soltanto chi risiede all’interno delle terre del
Manoscritto (il bandito Zoto, l’eremita, il gitano Avadoro), ma
anche chi in questo spazio arriva, forestiero per caso o per ne-
cessità, sembra improvvisamente dover sottostare agli impera-
tivi e ai vincoli di un nuovo ordine del quotidiano, letteralmente
trascolorando, abbandonando ogni habitus precostituito per pe-
netrare all’interno di una vera e propria società autonoma retta
da un’economia, un linguaggio, un’etica e persino uno spazio
e un tempo suoi propri.

Innanzitutto un’economia. Il denaro pare non avere alcuna


funzione all’interno della Sierra Morena. Certamente non di
tipo pratico. Tralasciando il breve accenno alle attività fuori-
legge dei contrabbandieri di Avadoro nessuno compra, investe,
vende2.
Lo stesso Alphonse Van Worden, capitano delle guardie val-
loni e primo narratore del romanzo, sembra attraversare il dif-
ficile cammino da Andujar a Madrid senza alcun soldo in
tasca3. Differentemente da parecchi suoi consimili settecente-

2
L’astensione da ogni tipo di attività commerciale riguarda princi-
palmente la vita all’interno dell’universo a-sociale della Sierra Morena.
Nelle singole storie raccontate dai personaggi (narrazioni di secondo grado),
il tema del denaro è invece presente a segnalare il sostanziale stacco tra lo
scenario senza legge della cornice narrativa e una “realtà esterna” ancora or-
dinata secondo i precisi parametri del vivere civile.
3
Per quanto riguarda la redazione del Manoscritto del 1804, in un
unico caso Alphonse mostra di avere del denaro con sé durante il viaggio
nella Sierra. All’arrivo dell’Ebreo Errante dentro la capanna dell’eremita
(IXème journée), il giovane soldato getta nel cappello dello sconosciuto
una “pièce d’or” a conferma, più che della propria generosità, dell‘estremo
potere di fascinazione del misterioso personaggio. Anche in quest’unica ac-
cezione, il denaro sembra però essere stato del tutto spogliato di qualsiasi

– 10 –
LABIRINTI

schi (uno per tutti Alvare, il giovane ufficiale innamorato del ro-
manzo di Cazotte, alle prese con un sistema di crediti e debiti
estremamente dettagliato4), Alphonse vive una situazione quasi
infantilizzante. Grazie alle leggi non scritte dell’ospitalità no-
made, alla carità cristiana dell’eremita o alla gentilezza sedut-
tiva di Emina e Zibeddé, cibo e vino gli vengono offerti come
puri doni spontanei. Altrimenti, in mancanza di un ospite, è il
caso a prendersi cura delle necessità primarie del giovane sol-
dato sotto le forme di un paniere di fichi e di arance abbando-
nato sulla strada, o di un letto trovato intatto in una locanda
senza avventori5. Persino il suo cavallo viene nutrito e strigliato
durante la notte senza che nessuno sembri apparentemente in-
teressato a richiedere un qualche compenso per il proprio di-
sturbo:
Il me fallut faire à pied toute la vallée de Los Hermanos
et celle de la venta, ce qui ne laissa pas de me fatiguer

carattere economico per farsi gesto, non monetizzabile, di pura dépense (un
atto perfettamente equiparabile, in questo, al dono delle castagne che poco
più avanti l’eremita farà all’ebreo). “L’inconnu se mit à genoux devant moi
et ôta son chapeau. Alors je vis qu’il avait un bandeau sur le front. Il me pré-
senta son chapeau de l’air dont on demande l’aumône. J’y jetai une pièce
d’or (…) après m’avoir donné cet avis, l’inconnu se mit à genoux devant
l’ermite qui remplit son chapeau de châtaignes” (J. Potocki, Œuvres IV, 2
Manuscrit trouvé à Saragosse [1804], Louvain-Paris, Peeters, 2007, p.88).
4
Cfr. J. Cazotte, Le diable amoureux (1772).
5
“Lorsque nous fûmes arrivés à Los Alcornoques, je trouvai sur
l’abreuvoir un panier rempli de feuilles de vignes; il paraissait avoir été
plein de fruits et oublié par quelque voyageur. J’y fouillai avec curiosité et
j’eus le plaisir d’y découvrir quatre belles figues et une orange” (J. Potocki,
op.cit., p.37).
“Boitant tout bas, je gagnai les bords du Guadalquivir, et j’y trouvai
le déjeuner que les deux voyageurs avaient abandonné; rien ne pouvait me
venir plus à propos, car je me sentais très épuisé. Il y avait du chocolat qui
cuisait encore, du sponhao (“de l’esponjado” nell’edizione Radrizzani)
trempé dans du vin d’Alicante, du pain et des oeufs” (Ivi, pp.50-51).

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IL LABIRINTO CANNIBALE

et de me faire souhaiter beaucoup de retrouver mon che-


val. Je le retrouvai en effet: il était dans la même écurie
où je l’avais laissé et paraissait fringant, bien soigné et
étrillé de frais, mais j’avais vu tant de choses extraordi-
naires que celle-là de plus ne m’arrêta pas longtemps6.
L’assenza simbolica del denaro, la mancanza di figure le-
gate per tradizione letteraria alle leggi di scambio e di compra-
vendita (l’auberge della Venta Quemada ancor prima di essere
un luogo di fantasmi è una locanda senza un oste)7, si fonda, al-
l’interno del Manoscritto, su una precisa logica di dissoluzione
e sovvertimento di ogni ordine sociale costituito. L’universo
eterogeneo della Sierra Morena è un universo senza classi.
Un’unica tavola, un unico cibo, un unico piacere di raccontare
e ascoltare accomunano il gitano Avadoro, un eremita, un
grande di Spagna, Rébecca l’ebrea, senza alcuna differenzia-
zione di gesti, di trattamento, di status.
Certo, possiamo intuire della ricchezza delle principesse
Emina e Zibeddé dalla magnificenza dei costumi, dai gioielli o
dall’apparato di négresses pronte a servirle, ma questo étalage
di ori e di stoffe, più che ad un sistema di codici immediata-

6
Ibidem
7
Occorre sottolineare che questo evidente vuoto all’interno dell’in-
sieme di pratiche chiamate a regolare la quotidianità di Alphonse è esten-
sibile alla quasi totalità dei personaggi presenti nella Sierra Morena. Si
confronti infatti il modo, certamente poco ortodosso, con cui il cabalista si
procurerà la cena durante la notte trascorsa alla Venta Quemada: “Je partis
un peu tard et n’arrivai ce jour-là qu’à la venta Quemada. Je trouvai ce ca-
baret abandonné par la peur des revenants, mais comme je ne les crains pas,
je m’établis dans la chambre à manger, et j’ordonnai au petit Nemraël de
m’apporter à souper. Ce Nemraël est un petit génie d’une nature très ab-
jecte, que j’emploie à des commissions pareilles, et c’est lui qui est allé
chercher votre lettre à Puerto Lapiche. Il alla à Andujar où couchait un
prieur des bénédictins, s’empara sans façon de son souper, et me l’apporta.
Il consistait dans ce pâté de perdrix que vous avez trouvé le lendemain
matin” (Ivi, p.118).

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LABIRINTI

mente definibile all’interno di un mercato economico, appar-


tiene piuttosto al dominio senza numeri della fiaba, ad un’ac-
cumulazione dagli intenti puramente fascinatori così come
l’immensa vena d’oro che giace nelle caverne sotterranee della
Sierra, alimento di tutta la famiglia dei Gomelez e a ben vedere
di tutti gli abitanti della valle, è un bene non calcolabile, non ad-
domesticabile secondo le regole numeriche di una moneta o di
un qualsiasi valore commerciale8.

Un solo, evidente spartiacque gerarchico sussiste all’interno


della comunità della Sierra Morena: il linguaggio9. La società
dei personaggi di Potocki è una società fondata sulla parola. Si
parla (si narra) in ogni occasione nel Manoscritto. In primo
luogo a tavola, ma anche in viaggio, camminando, cavalcando.
Qualunque viandante, uomo o donna, sano o indemoniato, si
trovi a passare lungo i sentieri della catena montuosa che di-
vide Mancia e Andalusia diviene innanzitutto il portatore di un
racconto. Quello della propria vita, beninteso (così faranno
Emina, Zibeddé, Pascheco, Alphonse, Zoto, il cabalista, Ré-
becca, Torres Rovellas, Velasquez, e lo sceicco dei Gomelez)10,
ma anche quello della vita di qualcun altro. Avadoro, primo fra
tutti, sembra essere il detentore di una tale quantità di storie (e
di vite) da far sospettare una sua qualche vocazione demiur-
gica, ma lo stesso si potrebbe dire dell’ebreo Ben Mamoun, o
di Alphonse, di Velasquez divulgatori entrambi del segreto dei
loro padri.

8
La quantificazione delle risorse della miniera coincide infatti con il
loro stesso esaurirsi. Cfr. nota 167.
9
La maggior parte degli studi su Jean Potocki ha trattato ampiamente
il problema del linguaggio e della sua strutturazione all’interno del Mano-
scritto. In particolar modo si segnala: F. Rosset, Le théâtre du romanesque.
Manuscrit trouvé à Saragosse entre construction et maçonnerie, Lausanne,
L’Age d’Homme, 1991.
10
Nell’edizione del 1804 anche l’ebreo errante.

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IL LABIRINTO CANNIBALE

Non soltanto mezzo piacevole di scambio e di intratteni-


mento, la parola all’interno del Manoscritto è un vero e pro-
prio organo creativo. Spazio vitale creato dalla volontà del
proprio autore, l’universo della Sierra è a sua volta un universo
creatore, un mondo fecondo, padre di innumerevoli altri mondi.
Accanto alla comitiva erratica dei compagni di Alphonse (tutti
narratori in prima persona della propria storia), Potocki co-
struisce un gruppo altrettanto vario di personaggi non presenti
fisicamente tra i fuochi dell’accampamento zingaro, ma evo-
cati, chiamati a comparire attraverso la narrazione. A loro volta
anch’essi, puri miraggi nominali in bocca ad un narratore effi-
mero sembrano possedere il dono del raccontare, leggendo
nomi, avvenimenti in libri inesistenti (inesistenti perché a loro
volta frutto di un racconto) o riportando fatti, avventure ascol-
tate da altre voci ancora, da altre bocche, fantasmi di fantasmi
di una realtà puramente linguistica.
Medium evocativo di un mondo sempre più complesso, il
linguaggio si trova allora ad essere un vero e proprio strumento
di potere, l’unico fattore discriminante di una qualche suddivi-
sione di forze all’interno della Sierra Morena.
In un sistema totalmente penetrato dalla parola, chi narra di-
venta il detentore di una verità impossibile a dimostrarsi, im-
possibile ad accogliersi se non per un atto di sottomissione
altrui alla propria autorevolezza verbale. Scegliendo di dire o di
omettere parti della propria storia, colui che racconta tiene in
mano le fila di un intero universo. All’interno della scrittura di
Potocki nulla infatti è più vero della narrazione stessa. Senza il
linguaggio, nel Manoscritto, non esiste realtà.
Ma di quale realtà si tratta allora, o meglio di quante realtà?
Strumento gerarchico di brutale spartizione di poteri tra narra-
tore e ascoltatore, il linguaggio nella Sierra è uno strumento
soggetto a numerose alternanze democratiche. Romanzo co-
struito su un costante crescendo di incontri, il Manoscritto si
definisce via via attraverso un continuo accumulo di punti di
vista. Qualsiasi personaggio di Potocki è a suo turno narratore

– 14 –
LABIRINTI

e narratario, creatore del cerchio della propria vita e a sua volta


inglobato, assorbito nel perimetro linguistico del racconto di
un altro. “Lorsqu’il prend la parole, scrive François Rosset, le
narrateur se définit au centre de son récit comme la cause pre-
mière, l’unique déterminant et le seul garant de la figure qu’il
trace autour de soi en racontant. (…) Dès lors que le narrataire
met en doute la parole du narrateur, c’est tout le récit qui est en
cause. Le récit de Rébecca confirme ainsi ce que nous avait
montré le récit de Pascheco: lorsque le narrateur éveille la dé-
fiance du narrataire, le récit se présente comme un cercle privé
de sa propriété essentielle qui est la fixité du centre. C’est un
cercle défectueux, comme le discours du cabaliste qui ne peut
pas tout dire, comme l’ensemble de toutes les sciences possi-
bles qui ne peuvent tout savoir”11.

Un uguale problema, un uguale numero infinito di verità pos-


sibili, sembra sfiorare del resto anche l’ordine morale dell’uni-
verso di Potocki. Allevato dal padre secondo le regole ferree
dell’onore spagnolesco, Alphonse ha un preciso corpus di inse-
gnamenti e di regole da osservare12. Coraggio, rispetto delle isti-
tuzioni, fedeltà alla parola data, obbedienza alla legge del padre
costituiscono il bagaglio identitario della sua giovane vita di sol-
dato del re; per tutto il Manoscritto Alphonse terrà fede al giu-
ramento fatto alle sue due cugine-amanti di non rivelare a
nessuno (neppure di fronte agli emissari dell’Inquisizione e sotto
minaccia di tortura) la loro unione; nessun tremito mai, neppure
al risveglio dopo la sua notte d’amore accanto ai corpi esangui
di due impiccati; obbedienza cieca alla parola del sovrano che
gli ingiunge per lettera di “non entrare ancora in Castiglia” tra-

11
F. Rosset, op.cit., p.39.
12
Un’interessante ipotesi sul tema del padre come elemento di strut-
turazione e destrutturazione della parola all’interno del Manoscritto la for-
nisce Jan Herman, con: “La désécriture du livre”, in: “Europe”, n°863, mars
2001.

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IL LABIRINTO CANNIBALE

sformando un percorso di appena quattro giorni, quello da An-


dujar a Madrid, in un’interminabile avventura di sessantuno
giornate13; soltanto un piccolo stupore, un minimo, impercetti-
bile alzare di sopracciglio di fronte al racconto autobiografico di
Zoto, capo rispettato e feroce di una banda di tagliagole:
Il (Zoto) nous quitta donc, en nous demandant la per-
mission de reprendre le lendemain le fil de son récit.
Mais ce qu’il avait dit me donnait beaucoup à penser. Il
n’avait cessé de vanter l’honneur, la délicatesse, l’exacte
probité des gens à qui l’on aurait fait grâce de les pen-
dre. L’abus de ces mots, dont il se servait avec tant de
confiance, brouillait toutes mes idées14.
L’elogio di Zoto per la lealtà, l’onore, il senso dell’amicizia
che regolano la vita quotidiana di un brigante pongono Al-
phonse, per la prima volta, di fronte al dubbio di una possibile
seconda via, di un sistema di valori altro rispetto agli insegna-
menti paterni.
Il libro d’onore (quasi un testo sacro per Alphonse bambino)
in cui Van Worden-padre, eccellente spadaccino, annota punti-
gliosamente la cronaca e le ragioni dei propri duelli sembra
dover improvvisamente dover ridurre il proprio spazio di auto-
revolezza di fronte alla violenza sauvage del bandito Testa-
lunga, di Zoto stesso, o degli uomini di Avadoro (“Je répondis
au vieillard qu’ayant l’honneur d’être capitaine aux gardes wal-
lonnes, je ne devais chercher de protection que celle de ma pro-
pre épée. Cette réponse le fit rire et il me dit: -Seigneur cavalier,
les mousquets de nos bandits tueraient un capitaine aux gardes
wallonnes tout comme un autre; mais quand ils seront avertis,
vous pourrez même vous écarter de notre troupe. Jusque-là, il
y aurait de l’imprudence à le tenter. Le vieillard avait raison et
j’eus quelque honte de ma bravade”)15.
13
Sessantasei per l’edizione Radrizzani.
14
J. Potocki, op.cit., p.88.
15
Ivi, p.141.

– 16 –
LABIRINTI

La società anarchica della Sierra Morena si regge su un si-


stema di pratiche comportamentali del tutto estraneo agli im-
perativi su cui si fonda il resto della Spagna. È una società dove
è lecito avere due spose in un unico letto e da loro avere due
figli (cosa questa a cui Alphonse sembra abituarsi senza alcun
cenno di fastidio16), dove non esisteno codici di regolamenta-
zione o di contenimento della violenza, ma soltanto ordalie bru-
tali, vendette, regolamenti di conti.
Nel centro esatto di una Spagna quanto mai veritiera, il
mondo dei briganti di Zoto costituisce una sorta di faglia, un
universo sospeso contemporaneamente dentro e al di fuori del
tempo. Valore, coraggio, lealtà sembrano essere, durante il
viaggio di Van Worden, termini relativi, staccabili e riattacca-
bili come etichette nominali sopra gli oggetti simbolici di una
realtà improvvisamente del tutto svincolata da un qualsiasi pro-
getto di uniformità e soprattutto di prevedibilità della legge mo-
rale (“Je vois avec chagrin, sono parole dell’eremita ad
Alphonse, que vous vertus reposent sur un point d’honneur fort
exagéré, et je vous avertis que vous ne trouverez plus Madrid
aussi ferrailleur qu’il était au temps de votre père. De plus les
vertus ont d’autres principes plus sûrs”)17.
Come tutto il suo secolo prima di lui, Alphonse compie al-
l’interno dell’universo a contrario della Sierra un apprentis-
sage linguistico ancor prima che sociale. Sbugiardando la legge
del re o la parola del padre (una parola già zoppa nella sua re-
golamentazione ossessiva di un improbabile codice del com-
portamento d’onore) è un’intera tradizione settecentesca che
riflette sui limiti del proprio linguaggio, sulla relatività di uno

16
Dall’edizione 1804: “L’on croit communément qu’il est impossible
d’aimer plus d’une femme à la fois. C’est sans doute une erreur, car vous
m’êtes également chères. Mon cœur ne vous sépare point et, comme sur
mes sens, vous y régnez toutes les deux avec le même empire” (J. Potocki,
Œuvres IV, 2 Manuscrit trouvé à Saragosse [1804], cit., p.309).
17
J. Potocki, op.cit., p.75.

– 17 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

sguardo fondamentalmente impossibilitato a imprigionare il


mondo in una griglia rigida di verità.
Di qui la sconfitta, il suicidio di Don Diègue Hervas, dot-
tore di Salamanca e scrittore di un’Opera Universale in cento
volumi, sfinito, sfiancato dalla vastità di un lavoro continua-
mente riscritto, rivisto, sottratto alla fame dei topi nel tentativo
(condannato in partenza) di rincorrere una scienza in piena evo-
luzione18. Di qui la struttura stessa del Manoscritto, narrazione
sfaccettata di un unico evento sostanzialmente inafferrabile,
impossibile a cogliersi se non come somma, come risultante di
una serie interpretativa sempre manchevole, sempre imperfetta
perché costretta, per costituzione, ad esaurire il proprio senso
parziale nel momento stesso del racconto.

È difficile tenere un calendario all’interno della Sierra Mo-


rena. I giorni, le notti scivolano uno dopo l’altra senza alcun
riferimento allo scorrere del tempo storico.
Al di fuori della Sierra, la Spagna, il mondo intero pulsano
secondo una serie numerica di nomi e di date, seguendo la trac-
cia scritta delle settimane, dei mesi, degli anni. Imboccata la valle
di Los Hermanos, la vita si misura soltanto in giornate di viag-
gio. Una lunga catena di journées, una uguale all’altra, azzerate
nella propria singolarità da una perenne identità nominale.
Certo, la divisione in giornate è di prammatica per uno scrit-
tore che si pone, come modello narrativo, il romanzo a cornice.

18
“Mon père avait ôté ses habits et s’était revêtu d’un drap de lit en
forme de linceul. Il était assis et regardait le soleil couchant. Après une
assez longue contemplation, il éleva la voix et dit: -Astre dont les derniers
rayons ont frappé mes yeux pour la dernière fois, pourquoi avez-vous
éclairé le jour de ma naissance? Avais-je demandé à naître? Et pourquoi
suis-je né? Les hommes m’ont dit que j’avais une âme, et je m’en suis oc-
cupé aux dépens même de mon corps. J’ai cultivé mon esprit, mais les rats
l’ont dévoré; les libraires l’ont dédaigné. Rien ne restera de moi, je meurs
tout entier, aussi obscur que si je n’étais pas né. Néant requis donc ta proie”
(Ivi, p.349).

– 18 –
LABIRINTI

I vari decameroni, eptameroni, Canterbury Tales hanno certa-


mente fornito il legno sul quale incidere le diverse storie della
comitiva erratica di Avadoro. Ma in questo caso il problema
non sembra riguardare più di tanto la scelta di un canone lette-
rario da rispettare nei suoi vincoli formali. In questa terra di
confine, in questo luogo-cerniera senza leggi né storia, anche il
tempo, lo spazio sono un tempo e uno spazio senza legge.
Così come racconta Barthes per gli equilibri simbolici che
regolano e sostengono l’universo sadiano19, anche all’interno
del racconto di Potocki il viaggio inteso come puro sposta-
mento, come deambulazione diegetica da un posto ad un altro,
non insegna nulla. Come Juliette, prigioniera della ripetizione
identica di un’unica scena primaria, anche per Alphonse Van
Worden avanzare tra i luoghi non significa per nulla avanzare
nel romanzo.
La ripetizione costante di un unico accadimento (l’incontro
amoroso del giovane soldato con le principesse Emina e Zi-
beddé e il suo successivo risveglio il mattino dopo sotto la forca
all’imbocco della valle, punto iniziale del percorso e del rac-
conto) segna incessantemente il passo della scrittura di Potocki
riproponendosi ora come segmento narrativo vissuto più volte
dallo stesso Alphonse20, ora come avventura accaduta più o
meno similarmente agli altri membri della compagnia.
Per tutto il testo Van Worden, Pascheco, il Cabalista, Ré-
becca, Velasquez, si ritrovano a turno sdraiati sotto la forca di
Los Hermanos, riportando ogni volta il racconto all’inizio
esatto della propria narrazione e ottenendo così, anche da un
punto di vista spaziale, l’azzeramento inquietante di un qual-
siasi spostamento. Cinque i risvegli all’imbocco della valle,
cinque le versioni differenti di una stessa storia, e infiniti gli
echi di questo avvenimento dispersi come schegge tra le pa-
19
Cfr. R. Barthes, Sade Fourier Loyola, Paris, Seuil, 1971, p.21.
20
Nella redazione del Manoscritto del 1804 Alphonse si risveglia una
seconda volta sotto la forca ritrovandosi disteso tra i due impiccati e il corpo
del cabalista ancora addormentato.

– 19 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

gine del romanzo in un continuo scomporsi e ricomporsi, cao-


tico e al contempo perfettamente ordinato, di un’unico seg-
mento tematico, di un’unica traccia, tesa come un filo, a guidare
il lettore all’interno di una struttura polimorfa, complessa, ap-
parentemente senza uscita.

L’immagine del labirinto è pressoché onnipresente tra le pa-


gine del Manoscritto. Rocce, alberi caduti in mezzo al sentiero
costringono spesso il viandante ad abbandonare la linea retta
del proprio cammino. Caverne, precipizi, vuoti improvvisi si
aprono inaspettati davanti agli zoccoli dei cavalli costringendo
a lunghi détours, alla scelta ogni volta di nuovi sentieri, all’ac-
cettazione supina di un sorte non più governabile secondo i pa-
rametri geografici del vivere civile.
È facile infatti smarrire la strada in un luogo dalle innume-
revoli direzioni, ora simile ad un assembramento tortuoso di
gomiti, di anse, di ostacoli:
Il faut convenir que la vallèe de Los Hermanos semblait
très propre à favoriser les entreprises des bandits et leur
servir de retraite. L’on y était arrêté tantôt par des ro-
ches détachées du haut des monts, tantôt par des arbres
renversés par l’orage. En bien des endroits le chemin
traversait le lit du torrent ou passait devant des cavernes
profondes, dont l’aspect malencontreux inspirait la dé-
fiance21.

Nous descendîmes les montagnes et tournâmes dans de


creux vallons, ou plutôt dans des précipices qui sem-
blaient atteindre aux entrailles de la terre. Ils coupaient
la chaîne des monts sur tant de directions différentes
qu’il était impossible de s’y orienter ni de savoir de quel
côté on allait22.

21
J. Potocki, op.cit., p.36.
22
Ivi, p.80.

– 20 –
LABIRINTI

ora invece presentato nella forma di luogo desertico, senza vita,


perennemente uguale a se stesso:
Je ne vis rien que la plaine déserte et sauvage, nulle
trace d’hommes, d’animaux ou d’habitants, nulle route
que le grand chemin que j’avais suivi, et personne n’y
passait. Partout le plus grand silence. Je l’interrompis
par mes cris, que les échos répétèrent au loin23.
La stessa Venta Quemada appartiene di fatto, per forma e
struttura, al variopinto genere delle costruzioni a dedalo: (“Je
traversai beaucoup de chambres et de salles. La plupart étaient
revêtues en mosaïques jusqu’à la hauteur d’un homme, et les
plafonds étaient en cette belle menuiserie où les Maures met-
taient leur magnificence. Je visitai les cuisines, les greniers et
les caves; celles-ci étaient creusées dans le rocher; quelques-
unes communiquaient avec des routes souterraines qui parais-
saient pénétrer fort avant dans la montagne, mais je ne trouvai
à manger nulle part”24).
La dilatazione improvvisa dello spazio, la moltiplicazione
dei luoghi e delle distanze all’interno di un perimetro architet-
tonico apparentemente piccolo, costituisce uno degli elementi
caratterizzanti della struttura labirintica. Fondato su un conti-
nuo variare delle proporzioni spaziali, su un costante slitta-
mento delle prospettive ottiche, lo spazio del labirinto è uno
spazio vivo, metamorfico. All’interno di un povero hostal di
via, si nascondono sale stuccate, cucine, corridoi; dentro ad una
cabane male in arnese (come quella in cui Orlandine si appar-
terà con Thibaud de la Jacquière), riposano arazzi di fiandra,
poltrone di velluto, candelabri, letti intessuti d’oro veneziano25.

23
Ivi, p.34.
24
Ivi, p.36.
25
“Si bien dit-il, si bien dit-elle que tout en marchant et devisant, ils
arrivèrent au bout du faubourg, à une chaumière isolée dont le petit nègre
ouvrit la porte avec une clef qu’il avait à sa ceinture. Certes, l’intérieur de
la maison n’était pas d’une chaumière. On y voyait belles tentures de Flan-

– 21 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Luogo di annullamento di ogni verosimiglianza prospettica,


il labirinto proietta le proprie fughe in ogni campo direzionale,
aprendosi all’infinito, annullando limiti e confini all’interno di
ognuno dei suoi elementi strutturali (“Je m’élançai sur mon
cheval et le mettant tout de suite au plus grand trot, j’arrivai au
bout de deux heures sur les bords du Guadalquivir, qui n’est
point là ce fleuve tranquille et superbe dont le cours majestueux
embrasse les murs de Séville. Le Guadalquivir, au sortir des
montagnes est un torrent sans rives ni fond”26), o precipitan-
dosi in verticale, facendo sprofondare la propria struttura com-
plessa fin dentro le viscere della terra.
Il palazzo sotterraneo di Zoto, la caverna dello sceicco, veri
e propri dedali di cunicoli e stanze buie, amplificano, raddop-
piandone la funzione straniante, il tracciato tortuoso della
Sierra. Ad una ragnatela di strade interrotte in superficie, si ac-
compagna sotterraneamente un gioco continuo di pieni e di
vuoti, di scale, gomiti, falsi passaggi. Una struttura binaria, op-
positiva e allo stesso tempo speculare, che Potocki, mutuan-
done certamente l’uso dalla passione del romanzo gotico per
cripte e cantine, sembra riprendere più e più volte all’interno
del Manoscritto27.

dres à personnages si bien ouvrés et portaits qu’ils semblaient vivants, des


lustres à bras en argent fin et massif, de riches cabinets en ivoire et ébène,
des fauteuils en velours de Gênes, garnis de franges d’or, et un lit en moire
de Venise” (Ivi, p.132).
26
Ivi, pp.34-35.
27
Romanzo gotico, e non soltanto. Nel Dictionnaire infernal di J.A.S.
Collin de Plancy (voix Bohémiens), fascinazione per il sottosuolo, sincre-
tismo religioso, e una certa propensione per l’irrazionale sembrano trovare
vasta eco all’interno della storia leggendaria del popolo zingaro: “Vers le
milieu du quatorzième siècle, l’Europe, et principalement les Pays-Bas,
l’Allemagne et la France, étant ravagée par la peste, on accusa les juifs, on
ne sait pourquoi, d’avoir empoisonné les puits et les fontaines. Cette accu-
sation souleva la fureur publique contre eux. Beaucoup de juifs fuirent et
se jetèrent dans les forets. Ils se réunirent pour être plus en sûreté et ména-
gèrent des souterrains d’une grande étendue. On croit que ce sont eux qui

– 22 –
LABIRINTI

Ad ogni costruzione-labirinto corrisponde quasi sempre un


dedalo intricato che ne rode le fondamenta; il castello della
principessa di Mont-Salerne28 e il suo lago sotterraneo; le se-
grete sotto il palazzo della duchessa di Medina Sidonia; la
stessa Venta Quemada, costruita sull’equilibrio instabile di una
serie apparentemente infinita di caverne29.
Mondo superficiale e mondo ctonio, luce del giorno e bra-
ceri accesi sembrano formare un tutt’uno nell’universo simbo-
lico di Potocki quasi fossero le membra sparse di un unico
corpo, di un’unica sostanza viva sottomessa ad improvvise

ont creusé ces vastes cavernes qui se trouvent encore en Allemagne et que
les indigènes n’ont jamais eu intérêt à fouiller (…) Pendant leur demi-siè-
cle de solitude ils (les juifs) avaient étudié la divination et particulièrement
l’art de dire la bonne aventure par l’inspection de la main; ce qui ne de-
mande ni instrument, ni appareil, ni dépense aucune; et ils comptèrent bien
que la chiromancie leur procurerait quelque argent” (J.A.S. Collin de
Plancy, Dictionnaire Infernal (1844), Paris, Lacour, 1993, p.93).
28
“Monte-Salerno” nell’edizione 1804.
29
E ancora: il labirinto sotterraneo di Osymanydas, unico dedalo nel
testo di natura non puramente letteraria (pur non facendo cenno alle sue ro-
vine nel suo Voyage en Turquie et en Egypte del 1784, sono più che note le
conoscenze approfondite di Potocki sulla geografia e la cultura egizie). “Ici
les porteurs firent du feu et nous portèrent encore quelque cent pas jusqu’à
une espèce de môle où des barques étaient amarrées. Mes porteurs m’of-
frirent ici quelque nourriture; eux-mêmes se fortifièrent en buvant et en fu-
mant du hascisch, qui est une espèce de chanvre. Ensuite ils allumèrent une
masse résineuse qui répandait un grand éclat; ils la portèrent à la proue d’un
bateau. Nous nous embarquâmes et nos porteurs devenus rameurs nous fi-
rent naviguer sous terre tout le reste du jour. Sur le soir, nous arrivâmes à
un bassin circulaire où le canal se partageait en plusieurs branches. Syd-
Hamet me dit qu’en cet endroit commençait le labyrinthe d’Osymanydas,
si célèbre dans l’antiquité. La partie souterraine de l’édifice est la seule qui
subsiste encore. Elle communique avec les caves de Louxor et avec toutes
les cavernes de la Thébaïde. (…) Le lendemain on recommença de ramer.
Notre barque avançait sous des galeries spacieuses, couvertes en pierre pla-
tes d’une dimension prodigieuse. Quelques-unes étaient couvertes d’hiéro-
glyphes” (J. Potocki, op.cit., pp.554-555).

– 23 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

leggi di crescita e di diminuzione. Nel momento in cui Al-


phonse, nella sua notte d’amore, abbandona la reliquia che
porta al collo in una fessura della roccia nell’antro dei Gome-
lez, è giocoforza che la ritrovi il mattino dopo tra le assi scon-
nesse del pavimento della Venta Quemada. Durante il suo
sonno, infatti, l’immenso labirinto della Sierra Morena ha cam-
biato forma, mutando l’ordine delle sue strade, la disposizione
dei luoghi, il respiro stesso delle sue carni architettoniche:
J’étais occupé de ces réflexions, lorsque le cabaliste me
fit remarquer quelque chose de brillant entre les ais mal
joints du plancher. J’y regardai de plus près, et je vis
que c’était la relique que les deux soeurs avaient ôtée
de mon cou. J’avais vu qu’elles l’avaient jetée dans une
fente du rocher de la caverne, et je la retrouvais dans
une fente du plancher30.
Abitanti di uno spazio polimorfo i personaggi del Mano-
scritto, nomadi per necessità e per orgoglio identitario, diven-
tano allora i paladini di una vita continuamente mutevole, cieca
ad ogni qualsiasi stella polare, slegata da ogni riferimento alla
fissità rassicurante di un qualsiasi ordine stanziale. “Le laby-
rinthe, scrive Jacques Attali, raconte d’abord un voyage. Il ne
faut pas s’en étonner. Il exprime avant tout la sagesse laissée
par les nomades en legs aux sédentaires. Dans le désert, en
forêt, le premiers avancent, reculent, tournent, reviennent sur
leurs pas, se perdent, désespèrent. Leurs identités se forgent au
long de ce périple sans autre but que de survivre”31.

All’interno di un labirinto sono altri i nemici, altre le prove


rispetto alle comuni imprese da affrontare nel mondo diritto del

30
Questo episodio non è presente nella redazione del 1810, la cita-
zione è tratta dall’edizione 1804 del Manoscritto (J. Potocki, Œuvres IV, 2
Manuscrit trouvé à Saragosse [1804], cit., p.84).
31
J. Attali, Chemins de sagesse. Traité du labyrinthe, Paris, Fayard,
1996, p.63.

– 24 –
LABIRINTI

quotidiano. Innanzitutto il demone del dubbio: chi entra in un


dedalo deve prepararsi a scegliere continuamente tra due o più
istanze. Alphonse per tutto il viaggio sembra trovarsi di fronte
a innumerevoli biforcazioni, bivi, doppie opzioni logistiche e
morali32. Deve decidere, dopo aver letto l’avvertimento del-
l’oste della Venta Quemada, se accamparsi lì per la notte o ti-
rare dritto; se tradire il giuramento fatto alle due more o
difenderne il segreto fino alla fine; se continuare il proprio cam-
mino, al suo risveglio sotto la forca dei due impiccati, o andar-
sene definitivamente ripiegando i propri passi verso Andujar.
Naturalmente ogni scelta è una questione à jamais. Una
volta imboccata una via, automaticamente se ne chiudono altre,
per sempre (“Emina parut rêver un instant, puis, me regardant
avec l’air du plus vif intérêt, elle prit ma main et me dit: – Cher
Alphonse, il est inutile de vous le cacher: ce n’est pas le hasard
qui nous amène ici. Nous vous attendions; si la crainte vous eût
fait prendre une autre route, vous perdiez à jamais notre
estime”33).
Ma del resto, non sembra esserci altra alternativa al rischio
necessario di un errore. Chi è all’interno di un labirinto, non
può forzatamente abbracciarne l’intera struttura. Il suo è uno
sguardo parziale, una visione continuamente impedita. Da una
parete, da un’ansa, da un ostacolo.
32
Così come a suo tempo aveva fatto Massoud Gomelez: “Le lende-
main je me rendis au rendez-vous que m’avait donné ma mère. -Mon cher
Massoud, me dit-elle, vous voulez respirer un air plus libre et plus pur que
n’est celui de nos cavernes. Ayez donc la patience de vous traîner sur le
ventre sur ce rocher; vous arriverez à un vallon très profond et très étroit,
mais enfin l’air y est plus libre qu’ici. Dans quelques endroits, vous pour-
rez même gravir les rochers et vous verrez sous vos pieds un immense ho-
rizon. Ce chemin creux n’était dans l’origine que la fente d’un rocher qui
s’est crevassé en tous sens. C’est comme un labyrinthe de routes qui se
croisent. Voici donc quelques charbons; lorsque vous verrez des chemins
qui se traversent, marquez celui que vous avez fait. C’est le seul moyen de
vous y retrouver” (J. Potocki, op.cit., p.550).
33
Ivi, p.41.

– 25 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Nel vocabolario inglese una distinzione di termini divide chi


il labirinto lo vede dall’alto, da colui che invece vi è immerso
dentro. Maze-viewer e maze-trader rappresentano due polarità
prospettiche opposte rivolte ad una stessa struttura: lo sguardo
lucido del costruttore, visione sincretica capace di riunire in un
unico atto contemplativo l’inizio, il centro e la fine di un per-
corso, e l’occhio miope del viaggiatore, un occhio che sembra
esaurire il suo potere conoscitivo all’interno delle maglie strette
della propria stessa visione.
È questo il caso di Alphonse Van Worden. All’interno dello
spazio complesso della Sierra il suo passo è continuamente for-
zato a girare in tondo, a riandare sempre lungo lo stesso cam-
mino, così come sostanzialmente la sua parola è costretta,
all’interno del dedalo linguistico del Manoscritto, ad essere una
parola parziale, manchevole, colpevole, proprio perché in bocca
ad un narratore-personaggio, di non poter vedere (raccontare)
al di là del muro della propria prospettiva34. Alphonse non sa,
sostanzialmente perché non vede. Egli tiene in mano soltanto
una parte della verità dei fatti così come conosce soltanto una
parte esigua del labirinto.
Il continuo ritorno all’imbocco della valle di Los Hermanos,
il conseguente azzeramento di ogni minimo tentativo di avan-
zare nella Sierra, costituiscono un giusto scacco, una condi-
zione naturale per il giovane ufficiale delle guardie valloni. Non
conoscendo la strada diretta verso l’uscita, il viaggiatore di un

34
Varie sono le ipotesi interpretative che vedono il Manoscritto come
un libro dalla struttura labirintica. Segnalo qui il lavoro monografico di Luc
Fraisse, Potocki ou l’itineraire d’un initié, Nimes, Lacour, 1992: “Grâce à
l’ampleur qu’il confère à son roman, grâce aussi au cloisonnement qu’il in-
troduit entre les récits et les vies de ses personnages, Potocki expérimente
à l’intérieur d’un seul livre le principe qui fascinera plus tard Balzac, à par-
tir du Père Goriot, le retour des personnages. Le labyrinthe du Manuscrit
trouvé à Saragosse dessine une Comédie Humaine dont l’auteur aurait pré-
féré maintenir ensemble et même entremêler les divers volumes” (L.
Fraisse, op.cit., p.42).

– 26 –
LABIRINTI

dedalo deve considerare come inevitabile la possibilità di un


continuo perdersi, di un eterno vagare oscillatorio lungo l’intero
perimetro di una costruzione mai uguale a se stessa.
La forca di Los Hermanos, vera e propria soglia, porta di
legno conficcata nel terreno polveroso della valle a mostrare
con il suo doppio peso di cadaveri una dimenticata vicinanza
tra mondo dei vivi e regno dei morti, segna infatti l’ingresso di
uno spazio necessario nella sua strutturazione polimorfa. Al-
phonse Van Worden, soldato ancora imberbe (“votre merced me
permettra de lui observer que si le roi l’a honoré d’une compa-
gnie aux gardes avant que l’âge eût honoré du plus léger duvet
le menton de votre merced, il serait expédient de faire des preu-
ves de prudence”35), per poter diventare adulto, per poter passare
dalla legge del Padre che lo ha generato alla legge del Re che lo
attende a Madrid, deve forzatamente affrontare i pericoli di un
viaggio labirintico. Egli deve prendere il cammino più breve
per la capitale senza curarsi di alcun turbamento, “sans deman-
der s’il était le plus dangereux36”, perché questo è l’unico modo
per potersi immergere in una dimensione lattiginosa di pura per-
dita di sé. Una condizione estrema, quest’ultima, necessario
viaggio nell’al di là, per poter eseguire correttamente il géranos,
la danza ritorta della propria iniziazione37.

Luogo di azzeramento di ogni dimensione sociale, storica,


spaziale, la lingua scabrosa di monti che divide Mancia e An-
dalusia è la soglia, il limite per eccellenza. Universo aperto,
specchio e matrice del costante stato di anarchia sociale dei suoi
abitanti (così come, secondo Barthes, la clôture dell’universo
sadiano non può che essere specchio e matrice della autarchia

35
J. Potocki, op.cit., p.32.
36
Ibidem
37
Sullo stretto rapporto tra struttura labirintica e percorso iniziatico, ri-
mando, tra gli altri, ai noti studi di K. Kerényi riuniti nella edizione ita-
liana: Nel labirinto, Torino, Bollati Boringhieri, 1983.

– 27 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

sociale del modello libertino contenuto al suo interno38), il la-


birinto della Sierra Morena sembra possedere tutte le caratteri-
stiche dello spazio iniziatico.
“È come se vi fossero due “modelli” principali, scrive Victor
Turner in Il processo rituale, per i rapporti tra gli esseri umani,
modelli che si affiancano e si alternano. Il primo è quello della
società come sistema strutturato, differenziato e spesso
gerarchico di posizioni politico-giuridico-economiche, con
molti tipi di valutazioni che separano gli uomini in termini di
più e meno. Il secondo, che emerge in modo riconoscibile nel
periodo liminale, è quello della società come comunità o
comunione non strutturata e relativamente indifferenziata di
individui uguali che si sottomettono insieme all’autorità dei
majores rituali. Per gli individui e per i gruppi, la vita sociale è
un tipo di processo dialettico che comporta in successione
esperienze di alto e di basso, di communitas e di struttura, di
omogeneità e di differenziazione di uguaglianza e di disu-
guaglianza. Il passaggio da uno status inferiore a uno status
superiore avviene attraverso un limbo nel quale non c’è
status”39.
Universo non strutturato, la communitas di Avadoro si op-
pone-convive con il mondo sociale che la circonda. Società
dalla “morale aperta” come direbbe Bergson, senza classi,
senza unità di denaro, di tempo, di spazio, il mondo del Mano-
scritto si inserisce negli interstizi della vita civile spagnola
come un improvviso vuoto normativo, come una zona aggre-
gativa regolata dai parametri atemporali delle leggi del sacro.
Se l’accettazione del margine porta Alphonse, durante il suo
viaggio, a spogliarsi degli abiti secolari della propria vita pas-
sata, è l’esperienza della propria stessa morte ad aspettarlo lungo
il sentiero che conduce e oltrepassa la Venta Quemada. Una

38
Cfr. R. Barthes, op.cit., p.23.
39
V. Turner, The Ritual Process. Structure and Anti-Structure (1969),
tr. it., Il processo rituale, Brescia, Morcelliana, 2000, pp.113-114.

– 28 –
LABIRINTI

morte sociale, ritualizzata nella sua dimensione di perdita e stra-


niamento da un continuo liquefarsi, da un progressivo trascolo-
rare di ogni dato di realtà (logistico, morale, linguistico)
precedentemente certo. Ciò che prima era illecito, nella Sierra
diviene possibile. “I novizi sono al di fuori della società e la so-
cietà nulla può su di essi e tanto meno può estendere i suoi po-
teri per il fatto che essi sono costitutivamente sacri e santi, e
pertanto intoccabili e pericolosi come le divinità. Ne consegue
che se da un lato i tabù – in quanto riti negativi – innalzano una
barriera tra i novizi e la società generale, dall’altro questa è priva
di difesa nei confronti delle attività dei novizi (…) infatti du-
rante il noviziato i giovani possono rubare e depredare tutto ciò
che loro aggrada o cibarsi e adornarsi a spese della comunità”40.

Del resto status e communitas, ordine strutturato e anarchia


liminale, non sembrano essere due polarità in opposizione
quanto piuttosto due condizioni attigue e indispensabili una al-
l’altra. È la stessa voce del padre (sotto le forme imperative di
loi d’honneur 41) che spinge il giovane Van Worden ad intra-
prendere il cammino attraverso la Sierra Morena, così come è
la voce del re ad ingiungergli le modalità ed i tempi del suo al-
lontanamento marginale:

40
A. Van Gennep, Les rites de passage (1909), tr.it., I riti di passag-
gio, Torino, Bollati Boringhieri, p.98.
41
“Celui (l’hôte) de l’hôtellerie d’Andujar attestait Saint Jacques de
Compostelle de la vérité de ces récits merveilleux. Enfin, il ajoutait que les
archers de la sainte Hermandad avaient refusé de se charger d’aucune ex-
pédition pour la Sierra Morena, et que les voyageurs prenaient la route de
Jaen ou celle de l’Estrémadure. Je lui répondis que ce choix pouvait con-
venir à des voyageurs ordinaires, mais que le roi don Philippe Quinto ayant
eu la grâce de m’honorer d’une commission de capitaine aux gardes wal-
lonnes, les lois sacrées de l’honneur me prescrivaient de me rendre à Ma-
drid par le chemin le plus court, sans demander s’il était le plus dangereux”
(J. Potocki, op.cit., pp.31-32).

– 29 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Seigneur Alphonse,
C’est de la part de notre roi don Fernand quarto, que je
vous fais parvenir l’ordre de ne point entrer encore en
Castille. N’attribuez cette rigueur qu’au malheur que
vous avez eu de mécontenter le saint tribunal, chargé de
conserver la pureté de la foi dans les Espagnes. Ne di-
minuez point de zèle pour le service du roi. Vous trouve-
rez ci-joint un congé de trois mois. Passez ce temps sur
les frontières de la Castille et de l’Andalousie, sans trop
vous faire voir dans aucune de ces deux provinces42.
Il labirinto iniziatico, luogo illusorio di ambiguità e continue
mescolanze, appartiene infatti al mondo del quotidiano che lo
delimita e lo contiene come un vuoto indispensabile. È uno spa-
zio indifferenziato, muto, ma al contempo gravido di una parola
futura, di un discorso sociale realizzabile soltanto al di fuori
dei suoi confini evanescenti43. Prima che Alphonse possa giun-
gere a Madrid, entrando nel nuovo ordine di un universo adulto
(un universo senza più padri, di nuovo regolato dallo scandire
del tempo civile44), sono infatti le sessantuno giornate all’in-
terno della Sierra a deciderne la crescita, a sgrossarne la natura

42
Ivi, pp.113-114.
43
“Proprio per il fatto che la componente communitas è elusiva, diffi-
cile da puntualizzare, non la si può dire non importante. Qui viene a pro-
posito la storia della ruota del carro di Lao-Tse. I raggi della ruota e il mozzo
(cioé la parte centrale della ruota che tiene l’asse e i raggi) al quale sono
uniti sarebbero inutili, egli diceva, se non fosse per il buco, lo scarto, il
vuoto al centro. La communitas con il suo carattere non strutturato che rap-
presenta il “punto vivo” del reciproco rapporto umano, quello che Buber ha
chiamato das Zwischenmenschliche, potrebbe essere rappresentata dal
“vuoto al centro”, che è tuttavia indispensabile al funzionamento della strut-
tura della ruota” (V. Turner, op.cit., p.143).
44
“J’arrivai à Madrid le 20 juin 1739. Je reçus de la maison Moro une
lettre dont le cachet de cire noir m’annonçait quelque événement funeste.
En effet mon père était mort d’apoplexie” (J. Potocki, op.cit., pp.568-569).

– 30 –
LABIRINTI

“un peu simple”45. Sono le prove del labirinto, più che la vitto-
riosa sconfitta dei suoi mostri, il vero materiale, il ferro, il
legno, con cui costruire la propria nuova corazza di giovane
uomo.
Le prove iniziatiche di un labirinto cannibale, divoratore di
ogni forma precostituita di spazio e di tempo. I mostri di un la-
birinto abitato esso stesso da cannibali dove mangiare o essere
mangiati, fagocitare o essere fagocitati, sembra rappresentare
certamente ben più di una semplice avventura commestibile.

45
“Puis il (le cabaliste) me dit: “Non, vous n’êtes pas des nôtres; vous
vous appelez Alphonse, votre mère était une Gomelez, vous êtes capitaine
aux gardes wallonnes, brave, mais encore un peu simple” (Ivi, p.110).

– 31 –
CAPITOLO II

CIBI

KING Now, Hamlet, where’s Polonius?


HAMLET At supper
KING At supper? Where?
HAMLET Not where he eats,
but where he is eaten
W. Shakespeare, Hamlet

All’interno del Manoscritto non esistono quasi descrizioni.


Nessuna traccia dell’espressione del volto di Van Worden o del
brigante Zoto, pochi cenni sulla corporatura di Avadoro. Di Ré-
becca, dei suoi colori non comuni sappiamo soltanto attraverso
un qual certo stupore etnografico di Alphonse (“Pendant le vo-
yage, Ben Mamoun m’avait beaucoup parlé de sa savante
soeur, et je m’attendais à voir une Médée à la noire chevelure,
une baguette à la main, et marmottant quelques mots de gri-
moire, mais cette idée était tout à fait fausse. L’aimable Ré-
becca qui nous reçut à la porte du château était la plus aimable
et la plus touchante blonde qu’il soit possible d’imaginer”)46.
Neppure i luoghi rispondono di una connotazione specifica.
La Venta Quemada o la caverna dei Gomelez, al di là della loro
evidente strutturazione labirintica, non sembrano rivelare quasi
nulla della propria architettura (una vaghezza, questa, comune
a tutto il Settecento). Entro uno spazio convenzionale, costruito
su una funzione puramente retorica della descrizione, i perso-
naggi si muovono sulla superficie senza profondità del topos.
Dormono in letti invisibili, viaggiano su cavalli senza forma, si
46
J. Potocki, op.cit., p.121.

– 33 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

incontrano apparentemente senza rilevare alcun elemento di-


stintivo nell’abito, nel corpo, nei modi di chi sta loro di fronte47.
Soltanto un unico dato sembra sottrarsi con ogni evidenza agli
interdetti linguistici della parola di Potocki: il cibo.
Tra le pagine del Manoscritto, e questo salta immediata-
mente agli occhi, ci si nutre in maniera estremamente detta-
gliata. Che si tratti di Alphonse, di Avadoro o di personaggi
minori all’interno delle singole narrazioni, l’elenco delle loro
abitudini culinarie, il menu di ogni singolo repas viene fornito
con un interesse classificatorio praticamente sconosciuto per le
altre funzioni del quotidiano48. Conosciamo il vino, le olive ec-
cellenti, le cipolle dolci con salsa e i cardi conservati nell’aceto

47
Si confronti, a questo proposito, l’unica descrizione, nel testo, della
fisionomia di Alphonse ricavata da un assunto generale del suo servo Lopez
sulla natura inquietante dei valloni: “Hélas, dit-il pourquoi ne m’en suis-je
pas rapporté à Fray Heronimo de la Trinidad, moine, prédicateur, confes-
seur et l’oracle de notre famille (…) Il m’avait bien dit que les officiers aux
gardes wallonnes étaient un peuple hérétique, ce que l’on reconnaît aisé-
ment à leurs cheveux blonds, à leurs yeux bleus, et à leurs joues rouges, au
lieu que les vieux chrétiens sont de la couleur de Notre Dame d’Atocha,
peinte par saint Luc” (Ivi, p.34).
48
L’attenzione di Potocki per il cibo non sembra tralasciare né le sue
modalità, le più disparate, di ingestione, né le sue valenze di ordine di-
chiaratamente simbolico:
“Cependant les heures se passaient. Je commençais d’avoir faim et,
comme j’avais entendu dire que les cachots étaient quelquefois garnis de
pain et d’une cruche d’eau, je me mis à chercher avec les jambes et les pieds
si je ne trouverais pas quelque chose de semblable. Effectivement je sentis
bientôt un corps étranger qui se trouva être la moitié d’un pain. La difficulté
était de la porter à ma bouche. Je me couchai à côté du pain et je voulus le
saisir avec les dents, mais il m’échappait et glissait faute de résistance. Je
le poussai tant, que je l’appuyai contre le mur; alors je pus manger, parce
que le pain était coupé par le milieu. S’il avait été entier, je n’aurais pu y
mordre. Je trouvai aussi une cruche, mais il me fut impossible de boire. À
peine avais-je humecté mon gosier, que toute l’eau se versa” (Ivi, p.76).
“Ce fut aussi à la fin de ma douzième année que l’on nous boucla,
tous les deux avec beaucoup d’exactitude, et pour que rien ne démentît la

– 34 –
CIBI

apparecchiati per il giovane Van Worden all’inizio della se-


conda notte; il latte di capra, lo zucchero, il pane, le radici cotte
nell’acqua sulla tavola del mattino seguente; le quattro pernici
in un bacile di vermeil di Thibaud de la Jacquière (stessa pas-
sione per la cacciagione condivisa dal brigante Zoto, con l’ag-
giunta questa volta di abbondante frutta candita); le castagne e
i croccanti dei frati di Benevento; i gelati, le aranciate e i bi-
scotti del duca d’Arcos; il paté di pernici di Ben Mamoun; la
cioccolata della zia di Velasquez, e così via.
Certo, attraverso il cibo, Potocki sembra compiere quella
azione di definizione e di differenziazione sociale tra i perso-
naggi così lungamente evitata, come abbiamo visto, dalla strut-
turazione stessa del romanzo. Cibi poveri (castagne, rape,
radici) e cibi ricchi (cioccolata, carni fredde, frutta candita)
sono inscrivibili all’interno di un sistema di codici immediata-
mente riconoscibile, così come il dettaglio della assenza di
carni impure nella olla potrida offerta da Emina e Zibeddé ad
Alphonse è un indizio identitario più significativo di un qual-
siasi costume o gioiello moresco. Ma la presenza di un ele-
mento così marcato all’interno di un insieme apparentemente
neutro, l’attenzione per il dettaglio in un sistema linguistico
poco caratterizzante, o perlomeno scarsamente attratto da una
dimensione morfologica delle forme, sembra andare ben al di
là di un semplice escamotage funzionale. Se il più delle volte
la bellezza del corpo femminile viene rappresentata da una per-
fezione sostanzialmente muta nella sua volontà di astrazione
(“deux beautés dont les appas ne sauraient être conçus par les
mortels”, “c’étaient des charmes si délicats que leurs âmes se
voyaient à travers”)49, lo sguardo dettagliato di Potocki arriva,
in fatto di cibo, fino a soffermarsi sulla descrizione del vasel-
lame o addirittura delle tovaglie:
pruderie du signe sous lequel j’étais né, l’on ne nous donna à manger que
des animaux vierges, avec l’attention de ne me faire manger que des mâles,
et des femelles à ma sœur” (Ivi, p.115).
49
Ivi, p.120.

– 35 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Le couvert fut mis à l’abri d’un caroubier, près de la


tente du chef. Nous nous étendîmes sur des peaux de
cerfs, et l’on nous servit sur une peau de buffle en façon
de maroquin, qui nous tenait lieu de nappe. La chère fut
bonne, surtout en gibier. Le vin était versé par les filles
du chef, mais je donnai la préférence à l’eau d’une
source qui sortait du rocher à deux pas de nous50.
Assente il denaro, il cibo diviene l’unica moneta in corso al-
l’interno della Sierra; trovata per caso o offerta, rubata, accolta
o rifiutata in segno di disprezzo, la nourriture nel Manoscritto
ne assolve la funzione sociale di trasmissione e di scambio vi-
tale51. “Il momento della fame, scrive Mario Bacchiega, è il
momento della depressione, dell’angoscia, dei rimpianti, dei ri-
morsi, della morte; il momento del pasto e del ritrovamento
della forza è invece sollievo, riparazione, ringraziamento, frui-
zione, comunione con l’oggetto del desiderio, resurrezione, vita
che continua. Distribuire ad altri il cibo è, né più né meno, che
distribuire la vita, creando, nel contempo, un rapporto di soli-
darietà con tutti i membri della comunità che hanno ricevuto
quel cibo”52.

La tavola, il convivio costituiscono il perno centrale attorno


al quale ruotano gli equilibri narrativi del libro. Dividendo lo
stesso cibo, la società mista dei narratori-personaggi di Potocki
assume un corpo comune. I suoi singoli elementi, così diversi
per religione, classi e culture, riconoscono tra loro, mangiando,

50
Ivi, pp.141-142.
51
È significativo a questo proposito il vero e proprio passaggio di te-
stimone tra i due temi all’interno del testo. Con il procedere del racconto
verso la sua conclusione, la curiosità descrittiva di Potocki per il cibo si fa
sempre meno incisiva fino a quasi a scomparire lasciando spazio al denaro,
suo sostituto simbolico, che sembra entrare a buon diritto (anche se pur
sempre nelle narrazioni di secondo grado e non direttamente nel mondo
senza legge della Sierra) all’interno del Manoscritto (Cfr. Cap.IV).
52
M. Bacchiega, Il pasto sacro, Padova, C.I.D.E.M.A., 1971, p.46.

– 36 –
CIBI

un’affinità organica, quasi familiare. Se a fine testo quasi tutti


i narratori della Sierra si sapranno, attraverso il racconto dello
sceicco, uniti nel nome antico della famiglia dei Gomelez, la
loro comunione, la loro parentela di sangue viene in un certo
senso già attualizzata, resa visibile dalla tavola apparecchiata
dell’accampamento zingaro.
La cena condivisa ha per Potocki anche una chiara funzione
strutturante: attorno ad una tavola è certamente più facile per-
mettere il fluire armonico di una narrazione collettiva piuttosto
che durante una marcia necessariamente in fila indiana (consi-
derato lo spazio esiguo di un sentiero di montagna). All’interno
di un pasto comune, il discorso raggiunge nello stesso tempo
l’intera comunità degli ascoltatori rendendoli uguali, pari grado
rispetto alla superiorità linguistica del narratore. Sono vari in-
fatti gli interventi di Rébecca, di Emina, di Zibeddé, di Vela-
squez e dello stesso Alphonse a sottolineare, con la loro
andatura contrappuntistica, la tensione coesiva del discorso-
pasto di Potocki:
Comme le chef bohémien en était à cet endroit de son
récit, l’un de ses affidés vint lui parler d’affaires. Il nous
pria de lui permettre de remettre au lendemain la suite
de son histoire, et s’en alla vaquer aux soins de son petit
empire.
- En vérité, dit Rébecca, je suis très fâchée de cette in-
terruption: notre chef a laissé le comte de Rovellas dans
une triste situation et s’il reste jusqu’à demain dans
l’amphithéâtre, il n’y aura plus moyen de lui porter de
secours.
- N’en soyez point en peine, lui répondis-je, soyez sûre
qu’un homme riche ne reste point ainsi abandonné, et
vous pouvez vous en fier à ses piqueurs53.

53
J. Potocki, op.cit., p.187.
E ancora, dalla versione del 1804: “Comme le Bohémien en était à
cet endroit de son récit, on vint le chercher pour les intérêts de sa peuplade.
Lorsqu’il fut sorti, Velasquez prit la parole et dit:

– 37 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Nella versione del 1804, soltanto in un unico caso in tutta la


cornice narrativa del romanzo non si narra a tavola. L’arrivo
dell’Ebreo errante, viaggiatore maledetto costretto ad una Wan-
derung senza sosta, modifica la struttura statica della parola co-
munitaria per farne una sorta di discours en marche.
Forzatamente tutti i personaggi, per conoscere la storia di As-
suero, devono assecondarne il cammino, accompagnando con
l’ascolto l’eterno girovagare di un personaggio che sembra egli
stesso affermare “le caractère purement narratif du voyage dans
la Sierra Morena”54. Assecondarne il cammino, quindi, ma non
l’appetito. Neppure l’Ebreo errante può infatti sottrarsi alla
puntigliosità culinaria del proprio autore; il suo è un cibo che
deve potersi assumere camminando, necessariamente di pic-
cole dimensioni, non bisognoso di cottura o di una qualsiasi
trasformazione ad opera dell’uomo. Frutti selvatici raccolti nel
deserto africano, piccoli doni (come le castagne che l’eremita
gli verserà nel cappello all’alba della nona giornata) sono gli
elementi scarni di un pranzo erratico, caso unico nel Mano-
scritto, costituito da un solo e unico commensale55.

-J’ai beau faire attention aux récits de notre chef, je n’y puis rien
comprendre. Je ne sais plus qui parle ou qui écoute. Ici c’est le marquis de
Val Florida qui raconte son histoire à sa fille, qui la raconte au Bohémien,
qui nous la raconte. En vérité, cela est très confus. Il m’a toujours paru que
les romans et autres ouvrages de ce genre devraient être écrits sur plusieurs
colonnes, comme les traités de chronologie.
-En effet, dit Rébecca, on lirait dans une colonne que madame de Val
Florida trompait son mari, et dans l’autre on verrait ce que son mari deve-
nait par là” (J. Potocki, Œuvres IV, 2 Manuscrit trouvé à Saragosse [1804],
cit., pp.290-291).
54
F. Rosset, op.cit., p.46.
55
Il tema classico del monofagos, ovvero di colui che mangia da solo,
lontano dal consesso degli uomini perché malvagio o portatore di sventura,
ritorna qui, anche se in sordina, ad affermare la dimensione prevalente-
mente stanziale e comunitaria del pasto nella cultura di Potocki. Rébecca,

– 38 –
CIBI

Se cenare tra vivi sembra essere una delle forme più alte di
comunione per i personaggi del Manoscritto, altra cosa è ce-
nare con i morti. All’interno della passione narrativa di Potocki
per gli aspetti fagocitanti del quotidiano, sono numerose le “ta-
vole miste” apparecchiate lungo le pagine del romanzo: Lan-
dulphe de Ferrare e Blanca de Rossi, Thibaud de la Jacquière e
Orlandine, Ménipe de Lycie e la sua sposa vampiro.
L’incontro con il fantasma, la condivisione del pasto con un
corpo che per sua stessa natura non sembra più avere bisogno
di alcun nutrimento, rivela la funzione sostanzialmente inizia-
tica del codice nutrizionale nel Manoscritto. Il cibo per Potocki,
più che uno strumento di verosimiglianza, un pegno mimetico
a garanzia per il lettore di una qualche corrispondenza tra pa-
rola del testo e realtà, sembra essere un fatto simbolico, sotto-
messo pertanto alle leggi imperscrutabili del sacro56.

Velasquez, Alphonse, pur condividendo con l’Ebreo errante percorso e nar-


razione, non possono che fermarsi per dividere il cibo, allontanandosi così,
ogni notte, dalla condizione di sostanziale asocialità del viandante male-
detto per rinnovare il rito, tra i fuochi dell’accampamento, della propria
consanguineità. “Le récit du Juif errant, scrive F. Rosset, n’est motivé d’au-
cune façon par celui d’Avadoro; il ne procure aucun rebondissement nou-
veau dans l’enchaînement ultérieur des récits. Il se développe parallèlement,
accompagne en quelque sorte la marche des protagonistes et de leur di-
scours, occupant les heures et les journées passées sur la route, interrompu
à chaque fois par l’arrivée au but, au lieu du prochain campement. La soi-
rée en revanche, prolongée statiquement autour du feu de camp, est réser-
vée au récit du chef des Bohémiens, tandis que le Juif poursuit nuitamment
sa marche inexorable et circulaire, pour rejoindre au matin la compagnie
déjà en route” (F. Rosset, op.cit., p.46).
56
Anche tralasciando l’inevitabile confronto con la celebre cena tra
Don Giovanni e il Convitato di pietra, il pranzo con il fantasma o comun-
que il rapporto tra cibo e morte è un argomento certamente più che pre-
sente all’interno della produzione letteraria sei-settecentesca. I trattati di
Boyer d’Argens, Dom Calmet, Lenglet-Dufresnoy (per citare i più cono-
sciuti, di varia posizione sul tema) riportano tutti numerosi aneddoti in cui
il cibo sembra essere predominante nella caratterizzazione di un universo
occulto dai tratti dichiaratamente vampireschi. “Or, s’il était vrai que les

– 39 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

L’atto del masticare, sfida continua alla consistenza delle


forme, appropriazione del mondo attraverso la sua parcellizza-
zione è un procedimento riservato ai vivi. L’uomo, mangiando,
riducendo in poltiglia la realtà che lo circonda rivendica la pro-
pria integrità vitale. Distruggendo il mondo, egli stesso si sot-
trae alla propria distruzione.
Un morto che mastica produce invece un cortocircuito se-
mantico. Il corpo scheletrito di Blanca de Rossi che mangia, è
a sua volta un’entità equivalente al cibo che introduce. È un
corpo spaccato, bruciato, cotto. Tra le carni che inghiotte e le
sue carni straziate non esiste alcuna differenza; sprovvisto di
un apparato digerente, il fantasma della cortigiana non può smi-
nuzzare ulteriormente il cibo che gli viene offerto nel piatto;
introdotti all’interno di una struttura composta da una sostanza
simile a quella di cui sono fatti essi stessi, i bocconi non pos-
sono che cadere a terra, rivendicando così il sostanziale scacco
di un procedimento metamorfico impossibilitato a compiersi
per una sostanziale equivalenza dei propri elementi primi:
Le fantôme, s’avançant à pas lents, s’assit à table
comme pour souper. Landulphe, avec un courage que
le démon seul pouvait inspirer, osa prendre un plat et
l’offrir. Le fantôme ouvrit une bouche si grande que sa
tête parut se partager en deux, et il en sortit une flamme
rougeâtre. Ensuite il avança une main toute brûlée, prit
un morceau, l’avala et on l’entendit tomber sous la
table. Lorsque le plat fut vide, le fantôme, fixant Lan-
dulphe avec des yeux épouvantables, lui dit:

morts mangeassent dans leurs tombeaux, et qu’ils eussent envie ou besoin


de manger, comme le croyaient ceux dont parle Tertullien, et comme il sem-
ble qu’on peut l’inférer de la pratique de porter de la viande, des fruits et
du vin sur les tombaux des martyrs et des chrétiens, je crois même avoir des
preuves certaines, qu’en certains endroits l’on mettait auprès du corps des
morts en terre dans les cimetières, ou dans les églises, de la viande, du vin
et d’autres liqueurs” (A. Dom Calmet, Dissertation sur les apparitions des
anges, des démons, et des âmes des défunts (1751), Vol.II, Paris, Millon,
1986, p.81).

– 40 –
CIBI

- Landulphe, quand je soupe ici, j’y couche. Allons,


mets-toi au lit…57.
L’evidente somiglianza tra Blanca e il suo pasto, la stessa
metamorfosi di Landulphe, da ospite dispensatore di cibo
(“Landulphe osa prendre un plat et l’offrir”), a corpo-vittima,
pura carne passiva in attesa di essere divorata dalla sessualità
fantasmatica della cortigiana (“Allons, mets-toi au lit”)58, pone
all’interno del Manoscritto un problema complesso di continuo
scambio di ruoli.
Nella realtà sospesa dello spazio liminale, tra le vie senza
tempo del labirinto sacro, vita e morte, comunemente separate
da una parete ontologica senza breccia, sono invece compre-
senti. Non esistono differenze funzionali: colui che viene ini-
ziato è insieme vivo e morto, cacciatore e preda, divoratore e
divorato. Per Potocki, in sostanza, il problema del cibo non
sembra tanto risolversi negli equilibri ormai consolidati tra chi
mangia e che cosa, quanto piuttosto, nel rapporto, ben più in-
quietante, tra chi mangia chi59:

57
J. Potocki, op.cit., p.72 (il corsivo è mio).
58
Ancor più inquietante sembra essere la conclusione dello stesso epi-
sodio nella versione Chojecki del Manoscritto riportata dall’edizione Ra-
drizzani: “A présent, cher Landulphe, je dois te remercier de ton souper”.
Puis, lui posant les mains ensanglantées sur le cou, il se mit à rire en faisant
claquer sa mâchoire (J. Potocki, Manuscrit trouvé à Saragosse, Paris, Corti,
1989, p.49).
59
“Il pasto sacro primitivo non è un’assunzione pura e semplice delle
energie di colui che è stato divorato, come avviene per il pasto profano, ma
è soprattutto un fatto misterioso, e precisamente, l’acquisizione della di-
mensione dell’aldilà, ove si trova il trapassato che viene mangiato, così che
è possibile attingere a “quella” vitalità. Il feroce divoramento del congiunto,
dell’amico, del figlio, è un confronto disumano con la morte che, nell’urto,
produce uno schianto interiore, un vero salto ad un livello esistenziale di-
verso. Attraverso il pasto cannibalico, che proprio per questo è sacro, si for-
zano le barriere della vita a colpi di esperienze conoscitive, trasformanti, e
si entra così nel sacro” (M. Bacchiega, op.cit., p.59).

– 41 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Apollonius continua en ces termes:


- Cet or, cet argent et les autres ornements de cette salle
sont-ils à vous ou à cette femme?
Ménipe répondit:
- Ils sont à cette femme. Pour moi je ne possède que
mon manteau de philosophe.
Alors Apollonius dit:
- Avez-vous vu les jardins de Tantale qui sont et ne sont
pas?(…) Tout ce que vous voyez ici est comme ces jar-
dins. Le tout n’est qu’apparence, sans aucune réalité; et
afin que vous reconnaissiez la vérité de ce que je dis,
sachez que cette femme est une de ces empuses que l’on
appelle communément larves ou lamies. Elles sont fort
avides, non des plaisirs de l’amour mais de chair hu-
maine; et c’est par l’appas du plaisir qu’elles attirent
ceux qu’elles veulent dévorer (…) Aux paroles que pro-
nonça Apollonius, la vaisselle d’or et d’argent disparut.
Les échansons, les cuisiniers disparurent également60.
In un mondo completamente reversibile, nella condizione di
una strutturale instabilità dei dati oggettivi di realtà, anche il
soggetto sembra essere in bilico, preso nella trappola di un’im-
magine identitaria perennemente nell’atto di ruotare su se stessa.
All’interno della storia del giovane Ménipe de Lycie e del
suo sposalizio mancato (XIème journée), il banchetto di nozze
si rivela improvvisamente un luogo di desolazione. Costruita
sulla presenza illusoria di stoviglie, coppieri, cuochi, musici
fantasma, la tavola imbandita, spazio simbolico di comunione
e affratellamento, è al contempo altare per la consumazione del
pasto di una giovane sposa vampiro. In quale casella si trova in-
fatti il giovane Ménipe sulla scacchiera del gioco “magiare-es-
sere mangiati”? È colui che siede alla tavola del banchetto o è
il piatto offerto alla sposa? È lo sposo carnefice, fagocitatore
simbolico del corpo di sua moglie, o la vittima passiva di un
pasto cannibalico?
60
J. Potocki, op.cit., p.137.

– 42 –
CIBI

Alors l’empuse fit semblant de pleurer et pria Apollo-


nius de ne plus la tourmenter. Mais celui-ci la pressant
sans relâche, elle avoua enfin qui elle était: qu’elle avait
rassasié Ménipe de plaisirs pour le dévorer ensuite, et
qu’elle aimait à manger les plus beaux jeunes gens parce
que leur sang lui faisait beaucoup de bien61.
Se certamente il motivo del “sangue-cibo dei morti” è di de-
rivazione classica (basti ricordare, uno per tutti, l’episodio ome-
rico dell’incontro nell’Ade tra Ulisse e Tiresia)62, l’immagine
sei-settecentesca del vampiro, è intimamente connessa al tema
della masticazione63.
Uno dei primi trattati “moderni” sui vampiri, De mastica-
tione mortuorum in tumulis (1728), riporta come nelle zone
contadine della Germania, gli abitanti dei casolari vicini ai ci-
miteri sentissero, di notte, provenire dalle tombe insistenti ru-
mori di masticazione e stridor di denti. Voce ripresa in seguito
da Dom Calmet che racconta come, una volta scoperchiate le
bare, alcuni cadaveri venissero addirittura trovati con lembi del
sudario stretto tra i denti e le gengive serrate64.

61
Ivi, pp.137-138.
62
Sul tema classico degli usi alimentari, magici, terapeutici, simbolici
del sangue cfr.: P. Camporesi, Il sugo della vita, Milano, Garzanti, 1997; O.
Cavalcanti, Cibo dei vivi Cibo dei morti Cibo di Dio, Catanzaro, Rubbet-
tino, 1995; E. Tagliaferro, “Sangue: area lessicale nell’epigrafia greca ar-
caica”, in: “Sangue e Antropologia Biblica”, Roma, 1981.
63
Cfr.: J.C. Aguerre, La naissance du vampire au XVIIIème siècle,
Paris, Université de Paris VIII, 1981; P. Barber, Vampiri. Sepoltura e morte,
Parma, Pratiche, 1994.
64
A questo proposito non è certamente significativa la posizione scet-
tica di Dom Calmet nei confronti del fenomeno, quanto piuttosto l’attesta-
zione della sua importanza (della sua necessità di essere messo in
discussione) all’interno del dibattito settecentesco sulla esistenza dei vam-
piri: “Quant à ce quelques-uns avancent, qu’on entend ces morts manger et
mâcher comme des porcs dans leur tombeaux, cela est manifestement fa-
buleux et ne peut être fondé que sur des préventions ridicules” (A. Dom
Calmet, op.cit., p.213).

– 43 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Il morto sorpreso nel tentativo di perpetuare nel regno delle


ombre la consuetudine vitale del pasto, di parcellizzare, di spez-
zettare il mondo ancor prima di assumerne il dato vitale (il san-
gue), riunisce in un’unica immagine l’ossessione cannibalica e
la dimensione iniziatica della scrittura del Manoscritto. Non a
caso l’aspetto descrittivo della fisicità dei personaggi, quasi as-
sente in Potocki nei momenti di stasi, di integrità dei corpi,
sembra farsi invece improvvisamente importante, primario nel
momento in cui le membra si disfano. Come se il linguaggio
non potesse avere presa sul reale se non masticandolo, facen-
dolo a pezzi, la carne del Manoscritto è una carne torturata, ta-
gliata, costretta con la forza a sciogliere la propria consistenza
materica in un flusso continuo di liquido. La cura visiva per il
corpo che si apre per mangiare, per introdurre in sé il nutri-
mento, è la stessa attenzione per il corpo che si apre nel mo-
mento della morte.

La pratica della tortura ha per Potocki un ruolo puramente


descrittivo. Attraverso il suo lento disfacimento (o meglio at-
traverso il racconto di questo disfarsi) il corpo viene nominato,
visto in tutte le sue parti. Unghie, articolazioni, tendini, nel mo-
mento del loro stesso distruggersi sotto i colpi verbali dell’In-
quisitore, dettagliano, mostrano con chiarezza la vittima così
come la cavità vuota dell’occhio di Pascheco, la sua lingua ri-
torta ne dicono inequivocabilmente il volto (“Ses cheveux éta-
ient hérissés; un de ses yeux était crevé et il en sortait du sang;
sa langue pendait hors de sa bouche et laissait couler une écume
baveuse”)65. Nel momento in cui il corpo viene sottratto, pezzo
per pezzo, all’equilibrio armonico della sua totalità, il segno
linguistico si fa dettagliato, attento, semplicemente icastico66:

65
J. Potocki, op.cit., p.52.
66
Effusione descrittiva ed “effusione della materia” sottolineate anche da
F. Madonia nel suo saggio L’eshtétique de la laideur dans le Manuscrit trouvé
à Saragosse, in: (J. Herman, P. Pelckmans, F. Rosset, a cura di), Le Manuscrit
trouvé à Saragosse et ses intertextes, Louvain-Paris, Peeters, 2001.

– 44 –
CIBI

Alors l’autre pendu, qui m’avait saisi la jambe gauche,


voulut aussi jouer de la griffe. D’abord il commença par
me chatouiller la plante du pied qu’il tenait. Puis le
monstre en arracha la peau, en sépara tous les nerfs, les
mit à nu et voulut jouer dessus comme sur un instru-
ment de musique, mais, comme je ne rendais pas un son
qui lui fît plaisir, il enfonça son ergot dans mon jarret,
pinça les tendons et se mit à les tordre, comme on fait
pour accorder une harpe. Enfin il se mit à jouer sur ma
jambe, dont il avait fait un psaltérion67.

Il tema macabro della dissoluzione fisica e quello vivifica-


tore del nutrimento sembrano attingere nel Manoscritto ad
un’unica fonte simbolica. Offerta e sacrificio, cibo e sangue
sono gli estremi di un solo, incessante procedimento metamor-
fico. Un esempio per tutti, il racconto del primo incontro tra
Zoto ancora bambino e il principe di Rocca Fiorita, suo anta-
gonista di sempre:
La voiture s’ouvrit et j’en vis sortir d’abord un gentil-
homme braciere qui donna le bras à une belle dame, en-
suite un abbé et enfin un petit garçon de mon âge, d’une
figure charmante et magnifiquement habillé à l’hon-
groise, ainsi que l’on habillait alors les enfants assez
communément (…)Je fus si émerveillé de voir un si bel
habit à un garçon de mon âge que, ne sachant ce que je
faisais, j’allai à lui et je lui offris deux châtaignes que
j’avais à la main, mais l’indigne garnement, au lieu de
répondre à la petite amitié que je lui faisais, me donna
de son livre de prières par le nez, et cela de toute la force
de son bras. J’eus l’oeil gauche presque poché et, un fer-
moir du livre étant entré dans une de mes narines, la dé-
chira de façon que je fus en un instant couvert de sang68.

67
J. Potocki, op.cit., p.58.
68
Ivi, pp.91-92.

– 45 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Il motivo erotico della fascinazione del piccolo brigante per


una sorta di angelo-fanciullo dal vestito fiabesco, si articola
lungo il doppio canale di un codice di senso alimentare e
cruento insieme. All’offerta di cibo rifiutata, offerta di vita e di
abbondanza, si contrappone la fuoriuscita del sangue. Il dono
delle castagne, tentativo infantile di addomesticare la magia di
una bellezza tanto improvvisa quanto prima ignorata, non è suf-
ficiente. La posta del personale potlach di Zoto deve essere al-
zata con il dono dei propri liquidi interni, con la messa in atto
di un sacrificio di sangue dai termini dichiaratamente iniziatici
(“Je puis dire que depuis ce moment je n’ai plus été enfant, ou
du moins que je n’ai plus goûté les douces joies de cet âge”)69.

Che sangue e cibo siano in stretto legame con l’emersione


del desiderio, o quantomeno con la meraviglia che Eros neces-
sariamente produce nelle sue manifestazioni terrene, non è ir-
rilevante.
La carne, la carne che viene mangiata, o che viene ridotta ad
un ammasso informe di viscere è la stessa carne che viene desi-
derata, resa significante dall’atto sessuale70. Non a caso tutti i
personaggi che nel libro hanno un qualche incontro con l’uni-
verso femminile sono “animali carnivori” a tutti gli effetti, men-
tre gli altri (l’eremita, l’Ebreo errante) sembrano cibarsi soltanto
di latte, castagne o verdure.
Il corpo che si apre per mangiare o per morire si riassume
così, in un unicum, nel corpo che si apre per l’atto sessuale. Le
pernici della cena di Thibaud de La Jacquière, il corpo della

69
Ivi, p.92.
70
Su questa confusione tra sessualità e impulso antropofagico si veda,
nell’episodio di Thibaud de La Jacquière, la terminologia di caccia utiliz-
zata dal giovane per descrivere la sua strategia di corteggiamento: “Quel-
quefois même, elle faisait de faux pas et lui serrait le bras en voulant
s’empêcher de choir: alors le cavalier, voulant la retenir, poussait son bras
contre son cœur, ce qu’il faisait pourtant avec beaucoup de discrétion pour
ne pas effaroucher le gibier” (Ivi, p.128).

– 46 –
CIBI

sua amante demoniaca, la “charogne à demi pourrie” accanto


alla quale Thibaud si risveglierà il mattino dopo la sua notte
d’amore, sono la rappresentazione variata di un’identica fisi-
cità ora viva ora putrefatta, ora divoratrice ora divorata, ora in-
globante ora inglobata.
Attraverso il contatto fisico, ciò che viene preso (il cibo fa-
gocitato, le bocche, i seni delle donne) deve essere restituito.
Chi mangia, chi gode dell’atto sessuale, deve ripagare ciò che
ha consumato con il dono materiale, tangibile della propria vita.
Il tema antropofagico del Sacamantecas, “il mangiatore di
carne”, appartiene alla tradizione spagnola sei-settecentesca
come un topos ampiamente sperimentato dalla narrativa di ca-
rattere popolare71. La sangre humana, dal misterioso potere cu-
rativo e rigenerante, sembra esser stata un alimento di
eccellenza per intere generazioni di banditi, contrabbandieri,
personaggi satanici. Per non parlare, in ambito francese, della
spiccata predilezione per cosce e giovani braccia di Brisa-Testa
e del russo Minski (“tous les débris de cadavres que vous voyez
ici, ne sont que les restes de créatures que je dévore; je ne me
nourris que de chair humaine”)72.
All’interno del Manoscritto il cannibalismo è però un atto ti-
picamente femminile. L’aura nera della sua presenza inquie-
tante si tramanda, di bocca in bocca, nelle parole degli uomini,
nei racconti quasi sempre al maschile dell’esistenza di una re-
altà ingovernabile, di un mondo di donne-vampiro regolato
dalle leggi fameliche del desiderio. Primo tra tutti, lo stesso Po-
tocki, sorta di voce fuori campo a mettere in guardia, sulla so-

71
A questo proposito cfr.: J. C. Baroja, Vidas mágicas e Inquisición,
Madrid, Taurus, 1967; J. Renales, “De Argentario a Pandesowna (Avatares
del Bandolero Antropófago)”, in: “Fílologia Románica”, Madrid, Editorial
Universidad Complutense, n°8, 1991.
72
Sade, Histoire de Juliette ou les prospérités du vice (1797), Paris,
Union Générale d’Éditions, 1976, vol.II, p.224.

– 47 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

glia del testo, gli incauti lettori: Las Gitanas, le “zingare” ap-
punto, de Sierra Morena quieren carne de hombres73; poi l’In-
quisitore, ossessionato dalla natura demoniaca delle due
principesse di Tunisi; poi l’indemoniato Pascheco, a testimo-
niare con il suo unico occhio della bestialità dell’unione car-
nale tra il giovane soldato e due impiccati; poi Apollonius, poi
Thibaud e così via.
Un terrore, quello per le donne e i loro discutibili appetiti,
così tenacemente radicato nel tessuto simbolico della scrittura
da mettere in discussione ogni incontro d’amore, ogni cena ro-
mantica all’interno del libro.
Di fronte al pranzo di nozze in onore di Ménipe, strata-
gemma niente affatto sottile per mettre à l’engrais la vittima
umana di un pasto vampiresco, è quasi giocoforza infatti, re-
trospettivamente, non temere qualche cosa di simile per la “ta-
vola delle meraviglie” apparecchiata da Emina e Zibeddé la
prima notte alla Venta Quemada:
Nous nous mîmes à table et la même dame, avançant
vers moi un vase du Japon, me dit:
- Seigneur Cavalier, vous trouverez ici une olla podrida,
composée de toutes sortes de viandes, une seule excep-
tée, car nous sommes fidèles, je veux dire musulmanes.
(…)Lorsqu’on se fut aperçu que ma première faim était
apaisée et que je m’en prenais à ce que l’on appelle las
dolces, la belle Émina ordonna aux négresses de me
faire voir comment on dansait dans leur pays (…) Je de-
mandai à leurs belles maîtresses si elles dansaient quel-
quefois. Pour toute réponse, elles se levèrent et
demandèrent des castagnettes(…) Je les contemplai
quelque temps avec une sorte de sang-froid; enfin leurs
mouvements pressés par une cadence plus vive, le bruit

73
J. Potocki, op.cit., p.31. L’attacco della prima giornata è con ogni
evidenza ambiguo dal punto di vista della focalizzazione. Obiettivamente
è piuttosto difficile dare una risposta certa su chi sia l’autore delle riflessioni
iniziali sulla Sierra Morena e sui suoi abitanti.

– 48 –
CIBI

étourdissant de la musique mauresque, mes esprits sou-


levés par une nourriture soudaine, en moi, hors de moi,
tout se réunissait pour troubler ma raison. Je ne savais
plus si j’étais avec des femmes ou bien avec d’insi-
dieuses succubes74.
L’offerta delle carni cucinate nella olla potrida, accompa-
gnata all’offerta visiva delle carni, questa volta vive e sontuose,
delle due more, è ad un tempo uno strumento di fascinazione e
un mezzo pratico di ristorazione della vittima. Mangiando, go-
dendo della bellezza di Emina e Zibeddé, Alphonse si prepara,
alimenta il proprio desiderio, ingrassa il proprio corpo renden-
dolo adatto, sufficientemente pieno. Mettendo in bocca toutes
sortes de viandes, introducendo negli occhi la bellezza incom-
parabile delle sue due amanti, il giovane soldato compie i gesti
necessari per il proprio sacrificio, per quel salto (inevitabile per
ogni iniziando) oltre il limite sottile tra la lama del carnefice e
la gola dell’animale.
Ma fortunatamente per lui, questa volta il sacrificio non
sembra essere cruento. Non saranno infatti le sue viscere, il suo
sangue, il dono rituale di Alphonse alle due cugine, ma il suo
seme. Un sacrificio di sé dunque non più sottomesso alla vio-
lenza emorragica di una volontà divina, ma un dono civile (due
figli), regolato dalle leggi sociali della perpetuazione del génos:
- Jeune Nazaréen, me dit le scheik, vous reconnaissez en
moi l’ermite qui vous reçut dans la vallée du Guadal-
quivir, mais vous devinez assez que je suis le grand
scheik des Gomelez. Sans doute aussi vous reconnais-
sez vos épouses. Le Prophète a béni leur pieuse ten-
dresse. Toutes deux portent des fruits de leur union et
pourront perpétuer la race destinée à rendre le califat à
la maison d’Ali.75

74
Ivi, pp.39-40.
75
Ivi, pp.541-542.

– 49 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Interrompendo la circolarità infernale di un tempo perenne-


mente uguale a se stesso fatto di pasti e sacrifici, trasformando
un universo di cacciatori e prede in un mondo umanissimo di
padri e di figli, l’iniziazione di Alphonse Van Worden arriva
così alla sua fine.
Attraverso lo scambio sineddochico tra corpo e seme, attra-
verso il sacrificio evitato dell’identità di un singolo, barattata
con l’identità genetica di un’intera discendenza, la leggenda
nera delle due vergini impiccate può finalmente sciogliersi nella
fiaba felice di due spose fedeli. Il demone ambiguo del labi-
rinto è stato sconfitto. La sua fame estinta. La sua voce messa
a tacere.
Resta soltanto da capire quanto di questa fame, che cosa di
questa voce abbiano lasciato traccia, inevitabilmente e per sem-
pre, sul volto e negli occhi del giovane soldato.

– 50 –
CAPITOLO III

SERRATURE

Que d’enfants, si le regard pouvait féconder!


Que de morts, s’il pouvait tuer!
les rues seraient pleines de cadavres
et de femmes grosses
P. Valéry, Tel quel

Se per assurdo si potesse tracciare il profilo ideale di un per-


sonaggio di Potocki, ne risulterebbe certamente il ritratto di un
cieco.
La popolazione letteraria del Manoscritto è una popolazione
vorace, onnivora, ma è una popolazione senza occhi (o perlo-
meno continuamente angosciata dall’idea di doverli in qualche
modo perdere). Non a caso Velasquez, chiamato da Rébecca a
testimoniare della propria natura di uomo di scienza, non sem-
bra poter fare a meno di raccontarne i principi fondativi nei ter-
mini simbolici di un aveuglement originario: “Nous sommes
des aveugles qui touchent à quelques bornes et connaissent le
bout de quelques rues, mais il ne faut pas nous demander le
plan entier de la ville”76.
Il “modello di visione” di Potocki è perfettamente contenuto
dalle parole del geometra. Certo, in questo caso il discorso di
Velasquez ricalca un tema classico di apprentissage e di avvi-
cinamento al reale che, da sempre, ha visto la conoscenza e il
suo incedere rappresentarsi come un problema sostanzialmente

76
J. Potocki, op.cit., p.482.

– 51 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

di ordine prospettico77. Ma del tutto fuor di metafora, l’intera


popolazione del Manoscritto, sembra davvero camminare a ten-
toni, cercando, accarezzando gli oggetti del mondo continua-
mente hantée da un bisogno di luce, di una visione sempre più
nitida, più precisa.
Aprire gli occhi, vederci chiaro, sono le voci di una pulsione
scopica rinnovata, giorno dopo giorno, dal procedere ossessivo
della scrittura del romanzo. Che siano le “sante verità della
legge musulmana” o le cifre nascoste della mistica ebraica, en-
trambe velate per gli occhi profani di Alphonse Van Worden
(“Nous nous rions, sono parole del cabalista, de la présomption
de ceux qui imaginent que pour lire il suffise de l’organe ma-
tériel de la vue”78) esiste sempre, nello spazio narrativo di Po-
tocki, un rettangolo buio non ancora perforato dal cono di luce
dello sguardo, una presenza invisibile che sembra poter orien-
tare, con il magnete simbolico della propria penombra, i movi-
menti e le azioni di ogni singolo viaggiatore all’interno della
Sierra Morena.
L’esistenza stessa del Manoscritto, le sue ragioni letterarie,
si fondano su di un trou della visione. Il segreto della congiura
iniziatica dei Gomelez ai danni del giovane soldato, primo mo-
tore, a ben vedere, e unica causa di tutti gli avvenimenti del ro-
manzo, sembra essere un vuoto estremamente pesante nella
consistenza buia delle sue forme. Più e più volte Alphonse, rian-
dando agli avvenimenti fantastici che lo hanno ossessionato la
fatidica notte alla Venta Quemada si trova a raccontare da capo
la propria storia nei termini incerti di un tâtonnement visivo, di
un far più o meno luce su qualcosa di perennemente opaco, ve-
lato. Il buio degli infiniti fossati, pozzi, cantine, caverne, sot-
terranei attraversati dai passi incerti dei personaggi, è in primo
luogo una penombra conoscitiva, un vuoto di senso (e quindi

77
È superfluo sottolineare come il secolo di Potocki, le Siècle des lu-
mières appunto, affidi la propria stessa immagine identitaria ad una meta-
fora della visione.
78
J. Potocki, op.cit., p.116.

– 52 –
SERRATURE

narrativo) in evidente contraddizione con un universo dove


tutto è parola, dove ogni particolare angolo dell’esistenza sem-
bra essere illuminato dalla luce onnipresente del racconto:
Je pensai que l’on m’avait donné à la venta un breuvage
pour m’endormir et que pendant mon sommeil, on
m’avait transporté sous le gibet. Pascheco pouvait être
devenu borgne par un tout autre accident que par sa liai-
son amoureuse avec les deux pendus, et son effroyable
histoire pouvait être un conte. L’ermite, cherchant tou-
jours à surprendre mon secret sous les formes de la con-
fession, me paraissait être un agent des Gomelez qui
voulait éprouver ma discrétion. Il me parut enfin que je
commençais à voir plus clair dans mon histoire et à
l’expliquer sans avoir recours aux êtres surnaturels79.
Che la cecità all’interno del romanzo non sia un dato natu-
rale, una cataratta inscritta dalla nascita sotto le palpebre di ogni
singolo personaggio, ma sia una cecità indotta, creata da una
volontà esterna, non è incomprensibile per un luogo pensato e
rappresentato nei termini complessi di un rompicapo.
Entrando in un labirinto ogni uomo deve deporre, in un certo
senso, i propri occhi sulla soglia. Porte, gomiti, corridoi ricurvi,
sono vincoli oggettivi per lo sguardo allenato di qualsiasi viag-
giatore. La distanza conoscitiva tra l’osservatore e il mondo che
lo circonda si riempie improvvisamente di ostacoli. Gli oggetti
vengono sottratti allo sguardo nella loro interezza, sottomessi
a giochi di luce, frantumati e poi ricostruiti in un continuo per-
dersi e ricomporsi di una visione mai unitaria80.

79
Ivi, p.124 (il corsivo è mio).
80
Una strategia di frantumazione continua dello sguardo e della co-
noscenza messa in atto da Potocki lungo tutti i livelli tematici della narra-
zione. Si confronti ad esempio lo stratagemma ingegnoso per difendere il
segreto della grotta dei Gomelez: “Le secret des souterrains fut écrit sur un
parchemin qui fut ensuite coupé en six bandes, perpendiculairement à l’écri-
ture, qu’on ne put lire qu’autant que le six bandes étaient mises l’une à côté
de l’autre. Chaque bande fut confiée à l’un de six chefs de famille, et sous
peine de mort il lui était défendu de la communiquer à un autre”(Ivi, p.547).

– 53 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Ed è per questo allora che i personaggi del romanzo sem-


brano essere continuamente costretti ad indovinare la realtà da
dietro una porta, sorpresi nell’atto di chinarsi a guardare attra-
verso il gioco di una serratura, da una grata, da uno strappo
fatto nella stoffa di una tenda; Avadoro bambino, mentre vede
per la prima volta la duchessa di Medina Sidonia forzando le
garze del sudario del marito assassinato; la dueña Girona81, che
da una serratura ne aveva controllato il giusto assassinio; Ré-
becca, febbricitante per aver spiato di nascosto gli amplessi fe-
lici dei suoi due servitori; Pascheco, Busqueros, anche loro
chini, occhio premuto contro il legno della porta, a cercare di
vedere, di impossessarsi con lo sguardo della propria parte di
mondo; e poi l’interminabile lista di innamorati alla finestra
(altro “oggetto tecnico”, la finestra, fortemente coercitivo), co-
stretti a seguire, da padre Sanudo al conte di Penna Velez, il
loro amore à travers une jalousie82.
La scrittura di Potocki è sostanzialmente piena di tagli pro-
spettici aperti come fessure sull’intimità di uno spazio chiuso,
impossibile a conoscersi se non attraverso la forma complessa
di un regard encadré. Un percorso obbligato questo, costretto
non soltanto dalla grande quantità di barriere architettoniche
disseminate lungo le pagine del Manoscritto, ma estensibile,
proprio come un reale difetto ottico, all’intero sistema dei
campi visivi del romanzo:
Voici donc quel était ce costume: il ne consistait pro-
prement qu’en une chemise et un corset. La chemise
était de toile jusqu’au dessous de la ceinture, mais plus
bas, c’était une gaze de Mekhnès, sorte d’étoffe qui se-
rait tout à fait transparente si de larges rubans de soie,
mêlés à son tissu, ne le rendaient plus propre à voiler
des charmes qui gagnent à être devinés. Le corset ri-
chement brodé en perles et garni d’agrafes de diamants

81
“Giralda” nell’edizione1804.
82
Ivi, p.209.

– 54 –
SERRATURE

couvrait le sein assez exactement; il n’avait point de


manches, celles de la chemise, aussi de gaze, étaient re-
troussées et nouées derrière le col. Leurs bras nus étaient
ornés de bracelets, tant aux poignets qu’au-dessus du
coude83.

Confrontando la lunga sequenza narrativa che apre l’incon-


tro tra Alphonse e le due cugine nella prima giornata, il motivo
variopinto degli abiti sembrerebbe apparentemente in contrad-
dizione con un universo descrittivo, come abbiamo visto, dai
termini così dichiaratamente generici. I vestiti di Emina e Zi-
beddé costruiscono, attualizzano la presenza delle due princi-
pesse con una perfezione pittorica curata fin nei dettagli.
Potocki in questo caso è un modeliste più che attento alla forza
estetica della propria visione. Ma di che tipo di visione?
Rivestiti di garza trasparente e di nastri, di un corsetto che
arriva appena a coprire il seno, i corpi delle due principesse
espongono le proprie carni nude attraverso un sistema com-
plesso di sovrapposizioni non certamente dissimile da quelle
articolazioni architettoniche che altrove sembrano sottoporre
gli abitanti del Manoscritto a numerosi e complessi tours de
force prospettici.
Come una porta chiusa o una persiana malamente abbassata,
i costumi di Emina e Zibeddé costringono l’occhio dello spet-
tatore a un incessante lavorìo, ad una tensione dello sguardo
continuamente sollecitata a indovinare, attraverso la fessura di
una garza o la minima apertura di un’asola, il segreto di una
corporeità senza nome.
Ancora una volta assente, rinchiusa in una serie di defini-
zioni quanto mai vaga (“C’étaient deux beautés parfaites: l’une
grande, svelte, éblouissante, l’autre touchante et timide”84), la
fisicità dei corpi di Potocki viene qui rivestita di una serie di im-

83
Ivi, p.38.
84
Ibidem

– 55 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

pedimenti, di porte e chiavistelli ingegnati per poter nascon-


dere (o lasciar filtrare tra le maglie appena allentate) la luce at-
tutita della propria intimità.
Ben lontano dal fornire un ritratto sul genere “vrai”, il ve-
stito delle due more assolve quindi una funzione puramente
scenica. Il costume “di carattere”, “alla turca” (così come quello
“alla corsara” del pirata Lettereo, o quello “all’ungherese” del
principino nella storia di Zoto, anche in questo caso visibil-
mente in contrasto con la genericità descrittiva del corpo che ri-
copre85), non può che dichiarare apertamente, per costituzione,
la propria funzione di apparato illusionistico, di semplice mec-
canismo visivo escogitato non certo per dare un senso di realtà
alle forme, ma al contrario per esporne una natura, del tutto co-
struita, da sartoria teatrale86.

Il problema dell’occhio come forzatura, come tentativo di


trasformazione visiva della complessità del reale in un’imma-
gine scenica, vive, all’interno della tradizione settecentesca, in
stretta relazione con il tema fantastico della magia.
Scoperchiare case, sollevare la crosta intonacata delle pareti
rendendo improvvisamente visibili i cunicoli abitati del quoti-
diano, è affare di diavoli e creature alate. Il magico settecente-
sco, la sua diretta superiorità sul reale si esplicitano in una sorta
di strapotere voyeuristico, in una possibilità illimitata di vedere
e di mostrare al lettore una realtà intima, la sua, posta improv-

85
“Sa petite hongreline était de velours bleu, brodée en or et garnie de
zibelines; elle lui descendait à la moitié des jambes et couvrait même une
partie de ses bottines qui étaient en maroquin jaune. Son bonnet, également
garni de zibelines était aussi en velours bleu et surmonté d’une houppe de
perles qui tombaient sur une épaule. Sa ceinture était en glands et cordons
d’or, et son petit sabre enrichi de pierreries. Enfin, il avait à la main un livre
de prières monté en or” (Ivi, pp.91-92).
86
Un’uguale valenza illusionistica riscontrabile già in Sade, come sot-
tolinea giustamente Barthes. Cfr. R. Barthes, op.cit., p.27.

– 56 –
SERRATURE

visamente in superficie87 (“Le voyeur en autrui se voit, scrive


Pierre Chartier, il se voit lointain, inaccessible objectivé: rêvé.
Il se voit identique, quotidien, vaguement ridicule: lui-même.
Il se voit protégé de tous les regards sauf du sien. À la fois se-
cret et offert, transparent et caché. Il se voit vu et voyant, pre-
sque divin”)88.
Come un qualsiasi diable borgne o boiteux, il monologo di
don Roque Busqueros della ventottesima giornata89, la sua di-
chiarata attività di silenzioso abitatore di solai, detentore di un
sapere visivo riservato solo ai topi, lo collocano immediata-
mente all’interno del vasto gruppo degli osservatori diabolici il-
luministi90. La sua presenza sui tetti di Salamanca è
perfettamente regolata dal codice visivo del magico settecen-
tesco91. E non a caso, affacciandosi, durante un’avventura in

87
Lo sguardo magico settecentesco, in questo, è certamente fratello
dell’occhio libertino, di quella visio perfettamente codificata che, come
scrive C. Reichler “implique d’abord que sujet et objet sont placés face à
face à l’intérieur d’un espace divisé; la séparation n’est pas absolue mais au
contraire franchissable. Cette barrière qu’on outrepasse sans la supprimer
répond au mouvement de l’interdit et de la transgression et dans notre scène
le franchissement est par essence visuel: la regard du sujet dérobe une in-
timité, s’empare d’un secret, mais la distance physique est momentanément
maintenue; elle exige la mise en place d’une représentation du corps de
l’autre, substitut que le sujet peut s’approprier et manipuler” (C. Reichler,
“La représentation du corps dans le récit libertin”, in: Aa.Vv. F. Moureau e
A.M. Rieu (a cura di), Éros philosophe - discours libertins des lumières,
Paris, Champion, 1984, p.86).
88
P. Chartier, “Asmodée ou l’effraction”, in: “Dix-huitième Siècle”,
12, 1980, p.213.
89
Trentacinquesima per l’edizione Radrizzani.
90
“Les maisons m’étaient fermées, mais les lucarnes m’étaient ou-
vertes. Tapi dans les greniers, j’étais au milieu de mes concitoyens sans
qu’ils le sussent; ils m’hébergeaient sans le vouloir, j’habitais leurs mai-
sons malgré eux, à peu près comme les rats. J’avais aussi de commun avec
ces animaux l’habitude de m’introduire dans le garde-manger quand je le
pouvais et d’en entamer les provisions” (J. Potocki, op.cit., pp.285-296).
91
Sulla tematizzazione letteraria del diavolo in questa occorrenza, oltre

– 57 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

notturna, dalla strada al davanzale di un interno, il suo viso


viene immediatamente accolto dai legittimi proprietari della
stanza come la proiezione fantasmatica di una testa di morto.
L’immagine di uno sguardo frontale (questa volta, esso stesso
encadré nel telaio della finestra), di un occhio proiettato come
un faro a interrompere l’intimità chiusa di un boudoir, per il
Settecento non sembra infatti poter fare a meno di rappresen-
tarsi con i tratti alterati di una maschera medusea:
J’appliquai mon échelle et je m’élevai de manière à ce
que ma tête seule pouvait être vue dans l’intérieur de la
chambre. La lune y donnait en plein. Néanmoins dans le
premier instant je n’y pus rien distinguer; mais ensuite
je vis un homme dans son lit qui me fixait avec des yeux
hagards. La frayeur semblait lui avoir ôté l’usage de la
parole, cependant il le retrouva et me dit: - Tête effro-
yable et sanglante, cesse de me poursuivre et de me re-
procher un crime involontaire92.

Che la realtà degli occhi, nello spazio fantastico della Sierra


Morena, sia fondata principalmente su una serie continua di im-
magini ingannevoli è cosa nota. Il lettore, sin dalle prime pa-
gine, è stato avvertito:
Ce n’est pas tout. Le voyageur qui se hasardait dans
cette sauvage contrée s’y trouvait, disait-on, assailli par
mille terreurs capables de glacer les plus hardis coura-
ges. Il entendait des voix lamentables se mêler aux sif-

al celeberrimo racconto di A. R. Lesage, Le diable boiteux (1707), vorrei


qui ricordare almeno tre titoli (manoscritti giacenti presso la sezione « Bel-
les Lettres-Fonds Anciens » della Bibliothèque de l’Arsénal di Parigi): Ano-
nimo, Le diable bossu, Nancy, chez Dominique Gaydon,1708; Anonimo, Le
diable babillard ou indiscret, Cologne, chez Pierre Marteau, 1711; Ano-
nimo, Le diable érémite ou aventures d’Astaroth banni de l’enfer, Amster-
dam, chez Pierre Paupie,1741.
92
J. Potocki, op.cit., p.297.

– 58 –
SERRATURE

flements de la tempête; des lueurs trompeuses l’égara-


ient, et des mains invisibles le poussaient vers des abî-
mes sans fond93.
Le stesse Emina e Zibeddé del resto non possono esimersi
dal consigliare ad Alphonse una condotta visiva più che pru-
dente: “Ne croyez pas le mal qu’on vous dira de nous. N’en
croyez pas même à vos yeux”94.
Ma sta di fatto che anche l’illusorietà e l’inganno, nel loro
procedere ostinatamente a contrario, possiedono però leggi
prospettiche ben precise. All’interno dello spazio labirintico, la
posizione, l’altezza da cui far partire il raggio ottico della vi-
sione, comportano in chi guarda una evidente alterazione delle
proprie capacità cognitive. Alphonse, durante la lunga marcia
in tondo della carovana di Avadoro, sembra soffrire di una con-
tinua miopia riguardo la natura identitaria delle due figlie del
capo zingaro; ora, da vicino, innegabilmente simili a tutte le di-
seuses de bonne aventure, ora, appena qualche tornante più in
basso, legate da una somiglianza inquietante al profilo esotico
delle due sorelle more:
Je m’habillai à la hâte et je montai sur ma mule. Nous
prîmes les devants avec quatre Bohémiens, tous bien
armés. Le reste de la troupe suivait de loin, ayant en tête
les deux jeunes personnes avec qui je croyais avoir
passé la nuit. Quelquefois les zigzags que les sentiers
faisaient dans les montagnes me faisaient passer à quel-
ques centaines de pieds au-dessus ou au-dessous d’elles.
Alors je m’arrêtais à les considérer, et il me semblait
que c’étaient mes cousines. Le vieux chef paraissait
s’amuser de mon embarras95.

93
Ivi, p.31.
94
Si fa qui riferimento all’edizione 1804 del Manoscritto (J. Potocki,
Œuvres IV, 2 Manuscrit trouvé à Saragosse [1804], cit., p.82).
95
J. Potocki, op.cit., p.142. Il problema dell’identité segmentée di
Emina e Zibeddé viene sottolineato anche da L. Fraisse nel paragrafo
“Comment construire un personnage de roman?” in: L. Fraisse, op.cit.

– 59 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

In questo caso la distanza dall’oggetto percepito, o meglio la


variazione di questa distanza, agisce come un vero e proprio
generatore di senso. La modificazione dello spazio visivo non
altera soltanto la prospettiva, rimpicciolendo o ingrandendo la
realtà, ma sembra quasi trasformarne la struttura, rifondarla,
riadattandone le molecole in una nuova composizione signifi-
cante. Diversamente da Chamisso o Hoffmann, il personale
“pervertimento del vedere”96 di Potocki non ha bisogno di alcun
oggetto tecnico, di alcun “elemento transizionale” per poter
raggiungere quella particolare condizione ottica in cui le cose
arrivano improvvisamente a rivelare il proprio envers. Senza
cannocchiali, microscopi, lenti correttive, i personaggi del Ma-
noscritto sembrano portare direttamente sulla retina la capacità
di indovinare la natura profondamente ambigua del reale.

Questo a maggior ragione nel momento in cui l’elemento


variabile si trova ad essere non più lo spazio prospettico in cui
muovere liberamente uno sguardo, ma lo stesso occhio che di
questo sguardo è il motore. In buona sostanza: un unico fatto,
due spettatori, due visioni differenti.
Nel Manoscritto del 1804, durante la notte trascorsa da Al-
phonse alla Venta Quemada, Pascheco, nascosto in un angolo
buio della stanza, assiste come testimone (come secondo nar-
ratore) alla scena primaria dell’incontro d’amore tra il soldato
e le due cugine97. Le versioni di Alphonse e dell’indemoniato,
96
“L’illusione operata (in Hoffmann) dal rovesciamento satanico si
realizza attraverso il pervertimento del vedere. Quella superiore potenza
visiva, che viene resa possibile dal cannocchiale, è opera di una perver-
sione che esclude il mondo e fissa lontano da esso, su un oggetto assoluto,
l’imago del desiderio” (F. Masini, “L’uomo della sabbia ovvero la preva-
ricazione dello sguardo”, in: E. T. A. Hoffmann, L’uomo della sabbia e altri
racconti, Milano, BUR, 1983, p.XI).
97
Il taglio integrale operato da Potocki di questa scena nella versione
1810 del Manoscritto rappresenta uno degli elementi più forti di discre-
panza tra i due testi. Si potrebbe dire in questo caso che l’operazione di ri-

– 60 –
SERRATURE

il mattino seguente, sembrano essere totalmente discordanti.


Le due fanciulle, due cadaveri. Lo sceicco di Gomelez, un
capro inquietante. La sequenza di carezze e di galanterie, un ri-
tuale orrendo di possessione demoniaca. “Cet exemple, scrive
François Rosset, nous montre que la différence dans l’inter-
prétation d’une même scène ne procède pas seulement de la
“personnalité” du narrateur, des traits particuliers qui le décri-
vent, mais aussi du point de vue d’où le narrateur assiste à la
scène qu’il va relater. Ainsi, le centre d’où rayonne la parole de
Pascheco est déterminé non seulement par le personnage lui-
même tel qu’il est décrit dans le texte, mais aussi par le lieu de
son témoignage”98:
Là, je vis le jeune cavalier qui ces jours derniers a cou-
ché dans notre ermitage. Il était sur son lit et avait au-
près de lui deux filles très belles, habillées à la
mauresque. Ces deux jeunes personnes, après lui avoir
fait quelques caresses, ôtèrent de son cou une relique
qui y était, et dès ce moment, elles perdirent leur beauté
à mes yeux, et je reconnus en elles les deux pendus de
la vallée de Los Hermanos. Mais le jeune cavalier, les
prenant toujours pour des personnes charmantes, leur
prodigua les noms les plus tendres. Alors l’un des pen-
dus ôta la corde qu’il avait à son cou et la mit au cou du
cavalier qui lui en témoigna sa reconnaissance par de
nouvelles caresses. Enfin ils fermèrent leurs rideaux et
je ne sais ce qu’ils firent alors, mais je pense que c’était
quelque affreux pêché99.

mozione visiva dell’incontro erotico tra Alphonse e le cugine, messa in in-


treccio nel 1804 con l’immagine letterale delle cortine del letto improvvi-
samente richiuse su loro stesse, nella seconda edizione del Manoscritto
sembra dotarsi di una funzione censoria più radicale, non più legata ad un
ambito strettamente tematico, ma direttamente in relazione con le radici
strutturali e compositive del libro.
98
F. Rosset, op.cit., p.33.
99
Dall’edizione 1804: J. Potocki, Œuvres IV, 2 Manuscrit trouvé à Sa-
ragosse (1804), cit., pp.85-86.

– 61 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

In questo caso Potocki arriva a toccare le radici stesse non


soltanto del proprio “sistema” di fabbricazione di senso all’in-
terno del romanzo, ma della validità dell’oggetto-testimonianza
tout court. “Un témoin, en tant que tel, come riporta Jacques
Derrida, est toujours aveugle. Le témoignage substitue le récit
à la perception. Il ne peut voir, montrer et parler en même
temps, et l’intérêt de l’attestation, comme du testament tient à
cette dissociation. Aucune authentification ne peut montrer,
présentement, ce que voit le témoin le plus sur, ou plutôt ce
qu’il a vu et garde en mémoire s’il n’a pas été emporté par le
feu”100.
Pascheco il guercio, osservatore menomato proprio nell’or-
gano che più di tutti dovrebbe garantirne la chiaroveggenza, è
il testimone per eccellenza. Dalla cavità del suo occhio vuoto,
l’indemoniato a cui un demone ha squarciato la pupilla per in-
trodurvi la sua lingua rovente, è il portatore del paradosso di
una cecità interna, intrinseca all’atto narrativo101.
Nel distacco incolmabile tra parola e cosa, vittoria dell’atto
di memoria sull’atto visivo, tutte le interpretazioni, tutte le ve-
rità del testo sono valide, perché in fondo non lo è nessuna. La
realtà, nel suo nucleo più irriducibile, in quello scambio vitale
e mortifero insieme che farà quella notte di Alphonse lo sposo
felice delle sue due cugine, rimane infatti un atto muto, muto
perché invisibile, ancora una volta impedito dalle cortine ser-
rate della sua fondamentale irrappresentabilità.

100
J. Derrida, Mémoires d’aveugle. L’autoportrait et autres ruines,
Paris, Editions de la Réunion des Musées Nationaux, 1990, p.106.
101
Altro tema certamente significativo è la perdita degli occhi come
simbolo di castrazione, Unheimlichkeit fortemente presente nella storia di
Pascheco tutta giocata ambivalentemente su una trasgressione di ordine
sessuale (l’accoppiamento dell’indemoniato con la matrigna e la sorella) e
sul conseguente “accecamento punitivo” da parte del doppio fantasmatico
(i fratelli impiccati) delle due donne.

– 62 –
SERRATURE

Accolto il dubbio su una possibile attendibilità del dato let-


terario come testimonianza, come copia conforme del reale, a
chi credere allora tra le diverse bocche del Manoscritto? A
quale realtà aderire, posta la sua impossibilità strutturale a tra-
sformarsi in parola? Chi sono insomma le due sorelle del ro-
manzo: gitane, principesse in esilio, impiccati, le due zie di
Velasquez, i due gemelli celesti destinati alle nozze di Rébecca?

Nella storia di Giulio Romati e della Principessa di Mont-Sa-


lerne raccontata dal capo degli zingari alla sua compagnia
(XIIème-XIIIème journée), il centro della narrazione, più che
l’avventura di un uomo alle prese con una fanciulla-fantasma,
sembra essere, a ben vedere, la descrizione stupita del palazzo
mirabolante della principessa.
Unicum in tutta la stesura del romanzo, la successione à ta-
bleaux delle stanze costituisce uno stacco evidente con la nar-
razione di genere avventuroso (le avventure di Avadoro
bambino) che ne fa da cornice:
Nous entrâmes dans une salle où tout était d’argent mas-
sif. Le parquet était en carreaux d’argent, les uns mats,
les autres polis. La tapisserie aussi d’argent massif imi-
tait un damas dont le fond eût été poli, et les ramages en
argent mat. Le plafond était ciselé comme les menuise-
ries des anciens châteaux. Enfin les lambris, les bords de
la tapisserie, les lustres, les cadres, les tables étaient du
travail d’orfèvrerie le plus admirable.(…) Nous entrâ-
mes dans une pièce à peu près semblable à la première,
si ce n’est que tout y était en vermeil, avec des orne-
ments de cet or nuancé qui était fort à la mode il y a
quelque cinquante ans. (…)Alors elle ouvrit une porte
latérale. Nous entrâmes dans une salle dont les murs éta-
ient revêtus de pierres de couleur, ayant pour frise un
magnifique bas-relief en marbre blanc qui régnait tout
autour102.

102
J. Potocki, op.cit., p.158.

– 63 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Anche in questo caso l’occhio di Giulio Romati non sembra


però essere custode e divulgatore di un portrait realista. L’in-
sistenza monomaterica nella strutturazione delle sale (una
stanza “tutta d’oro”, una “tutta d’argento”, una “tutta di
marmo”, una “tutta d’arte”) non soltanto apparenta il castello di
Mont-Salerne ad un topos architettonico (quello del Palais des
Merveilles) immediatamente riconoscibile come strumento di
fascinazione fiabesca, ma ancora una volta sembra costringere
lo spettatore ad uno sguardo costruito, forzato da una realtà
moncorde appunto a non poter uscire dalla dimensione fonda-
mentalmente coercitiva della propria gabbia visiva.
Con il procedere del racconto verso l’interno del palazzo, o
meglio verso le sue profondità, la struttura illusionistica della
visione di Romati si fa via via sempre più evidente. Il nano
giallo che era venuto a prendere su una piccola barca i due
ospiti si rivela essere una costruzione meccanica, prima di tutta
una serie di macchine ingannevoli (pavoni, pappagalli, dome-
stici in livrea) perfettamente attrezzate per eliminare ogni di-
screpanza ottica tra il freddo della propria superficie metallica
e la corporeità pulsante del mondo naturale103.
Il tema classico di una doverosa imitatio naturae dell’oggetto
a garanzia della propria identità di manufatto artistico viene spinto
da Potocki oltre i confini plausibili del virtuosismo visivo fino ad
arrivare al territorio ambiguo dove domina il fantasma. Se questa
commistione tra organico e inorganico era già chiara negli strati
più superficiali del castello, ora, nel sotterraneo, assume infatti i
toni violenti di un vero e proprio trauma della visione.

103
“Nous entrâmes encore dans un souterrain où mille autres automa-
tes nous offrirent le spectacle le plus singulier. Des paons faisant la roue éta-
lèrent une queue émaillée et couverte de pierreries. Des perroquets dont le
plumage était d’émeraudes volaient sur nos têtes. Des nègres d’ébène nous
présentaient des plats d’or, remplis de cerises en rubis, et de raisins en sa-
phirs; mille autres objets surprenants remplissaient ces voûtes merveilleu-
ses dont l’oeil n’apercevait pas la fin” (Ivi, p.164).

– 64 –
SERRATURE

Al centro del labirinto di automi, nel cuore esatto della co-


struzione fantastica, giacciono in un baule i corpi disseccati
delle dame d’onore della principessa. Fantasmi terrificanti di
cui Romati sembra dover fare esperienza attraverso la presa
d’atto di una morte-in-vita palesemente reale, evidente non più
per quelle leggi di un mimetismo che nei piani superiori aveva
dato vita a fiori e foglie di marmo o di metallo104, ma questa
volta rappresentata, incisa a fuoco sulla superficie piana delle
sue stesse carni:
Elle (la princesse) ordonna aux squelettes de rentrer
dans le coffre, puis elle me dit:
- Romati, rappelez-vous toute votre vie de ce que vous
avez vu cette nuit.
En même temps, elle me saisit le bras; je le sentis brûlé
jusqu’à l’os et je m’évanouis. (…)
Lorsque j’eus achevé mon récit, le supérieur me dit:
- Mon fils, ne portez-vous pas quelque marque au bras
que la princesse a saisi?
Je relevai ma manche, et je vis effectivement mon bras
tout brûlé et les marques des cinq doigts de la prin-
cesse105.
Vero e proprio palazzo di Atlante dove ogni realtà è illuso-
ria, il castello di Mont-Salerne è dunque ancora una volta il
simbolo di un limes.

104
“Le parquet était en lapis, incrusté de pierres dures en mosaïque de
Florence, dont une table coûte plusieurs années de travail. Le dessin avait
une intention générale et présentait l’ensemble le plus régulier. Mais lorsque
l’on en examinait les divers compartiments, l’on voyait que la plus grande
variété dans les détails n’ôtait rien de l’effet que produit la symétrie. En
effet, quoique ce fût le même dessin, ici il offrait l’assemblage des fleurs les
mieux nuancées, là c’étaient les coquillages les mieux émaillés, plus loin
des papillons, ailleurs des colibris. Enfin, les plus belles pierres du monde
étaient employées à l’imitation de ce que la nature a de plus beau” (Ivi,
pp.158-159).
105
Ivi, p.165.

– 65 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Monumento integro (nella avventura di Romati) e al con-


tempo rovina disgregata (nella cornice che contiene il racconto),
l’abitazione della principessa fantasma è un luogo di compre-
senze. Squame, scaglie metalliche, pelle, marmo, carne, ossa,
vita, morte, sembrano affiorare tra le pieghe di questo mondo
sospeso senza alcuna apparente articolazione o gerarchia.
Una condizione di perenne incertezza ontologica comune
alla quasi totalità del romanzo. Anche tralasciando la continua
reversibilità delle due fanciulle di Alphonse nella corporeità ca-
daverica dei due impiccati, organico e inorganico, illusione e
apparenza continuano a presentarsi nel Manoscritto come un
tema difficilmente aggirabile da Van Worden e dai suoi com-
pagni di viaggio; dal cabalista, con al collo una treccia di capelli
femminili mutata in un attimo in un cappio da impiccagione; da
Thibaud de la Jacquière, palesemente miope nella sua notte alla
capanna, preso in una trappola visiva fatta di arazzi con perso-
naggi “si bien ouvrés et portraits qu’ils semblaient vivants”106,
di piccoli servitori mulatti improvvisamente vecchi, deformi
come nani, di corpi femminili meravigliosi, ma dall’odore in-
sopportabile di putrefazione107.
Guardare, aprire gli occhi, sembra corrispondere allora per
i personaggi del romanzo alla assunzione dolorosa di una con-
dizione di strutturale liminalità. Il gesto dello sguardo di aprirsi
sul mondo, di spalancarsi forzando i legacci della propria con-
dizione di prigionia prospettica, porta in ultima istanza all’or-
rore di una visione contraddittoria.

106
Ivi, p.132.
107
Dall’edizione 1804: - Orlandine, Orlandine, s’écria-t-il, que veut
dire ceci? Orlandine n’était plus. Thibaud ne vit à sa place qu’un horrible
assemblage de formes hideuses et inconnues:
-Je ne suis point Orlandine, dit le monstre d’une voix épouvantable.
Je suis Belzébut et tu verras demain quel corps j’ai animé pour te séduire”
(J. Potocki, Œuvres IV, 2 Manuscrit trouvé à Saragosse [1804], cit., p.109,
il corsivo è mio).

– 66 –
SERRATURE

Il combattimento tra sonno e veglia di Alphonse all’alba del


secondo giorno, la pesantezza degli occhi di fronte al calore del
sole sono il preludio ad una visione di atrocità. Se le palpebre
semichiuse permettevano ancora la fantasticheria onirica della
notte, l’occhio finalmente aperto non può sottrarsi alla presa
d’atto, quanto mai violenta, di un impossibile, dell’abbraccio
tra due opposti, morte e vita, improvvisamente compresenti,
sostituibili l’una all’altra in una condizione di continua rever-
sibilità:
Enfin je me réveillai réellement; le soleil brûlait mes
paupières, je les ouvris avec peine, je vis le ciel, je vis
que j’étais en plein air, mais le sommeil appesantissait
encore mes yeux. Je ne dormais plus, mais je n’étais pas
encore éveillé. Des images de supplices se succédèrent
les unes aux autres, j’en fus épouvanté. Je me soulevai
en sursaut. Où trouverai-je des termes pour exprimer
l’horreur dont je fus alors saisi?…J’étais couché sous
le gibet de Los Hermanos. Les cadavres des deux frères
de Zoto n’étaient point pendus, ils étaient couchés à mes
côtés. J’avais apparemment passé la nuit avec eux. Je
reposais sur des morceaux de cordes, des débris de
roues, des restes de carcasses humaines, et sur les af-
freux haillons que la pourriture en avait détachés108.
Pezzi di corda, frammenti di ruote e stracci, feticci inorga-
nici di un universo inequivocabilmente morto, sono la condi-
zione di visibilità del reale nel momento in cui lo sguardo
dell’osservatore sembra non avere più impedimenti. Liberan-
dosi delle barriere, delle porte, delle sue stesse mani chiuse
sugli occhi a impedire il libero vagare dello sguardo109, ogni
personaggio di Potocki si trova di fronte ad un mondo doppio,

108
J. Potocki, op.cit, pp.49-50.
109
“Je ne savais plus si j’étais avec des femmes ou bien avec d’insi-
dieuses succubes. Je n’osais voir, je ne voulais pas regarder, je mis ma main
sur mes yeux et je me sentis défaillir” (Ivi, p.40).

– 67 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

simultaneo, in cui ogni oggetto sembra conoscere in presentia


il risvolto speculare della propria condizione.
Se Pascheco o Velasquez, velati nel nome e nello sguardo
da una cecità senza risoluzione, sembravano indicare un evi-
dente problema di impossibilità conoscitiva del soggetto nei
confronti del reale, è l’universo stesso, il mondo esterno di Po-
tocki a rivelarsi in ultima istanza del tutto inadatto a farsi cat-
turare nella immobilità visiva di un tableau figé.
Empire des fictions, come è lo stesso Settecento di Paul Va-
léry in contrapposizione con la barbarie conoscitiva dell’Ère
du fait, l’universo illusionistico della Sierra Morena ne incarna
sulla pagina letteraria quell’esigenza di choses absentes, di for-
ces fictives in grado di bilanciare, legittimandoli, l’ordine e la
stabilità di una crescente civilizzazione110. Al di là del mecca-
nismo perfettamente oliato della macchina sociale illuminista,
la scrittura di Potocki sembra andare verso la direzione imma-
ginaria di uno spazio metamorfico, di un mondo in cui poter
immettere un ordine delle cose non autoritario, non immobile.
Un mondo fluttuante, del tutto svincolato da ogni possibile ga-
ranzia di veridicità, fondato su una insistente liquidità come
tema dominante nella costruzione degli spazi, dei personaggi,
dell’identità stessa di colui che detiene il potere di parola (“Tout
ce que j’avais vu depuis quelques jours bouleversait tellement
mes esprits que ne savais plus ce que je faisais, et si quelqu’un
l’eût entrepris, il serait parvenu à me faire douter de ma propre
existence”)111. Un mondo fluido, di cui il Manoscritto stesso,

110
“Comme la barbarie est l’ère du fait, il est donc nécessaire que l’ère
de l’ordre soit l’empire des fictions – car il n’y a point de puissance capa-
ble de fonder l’ordre sur la seule contrainte des corps par les corps. Il y faut
des forces fictives. L’ordre exige donc l’action de présence de choses ab-
sentes, et résulte de l’équilibre des instincts par les idéaux” (P. Valéry, Pré-
face aux Lettres Persanes, in: Id., Oeuvres, Paris, Gallimard 1957, I,
pp.508-509).
111
Si fa qui riferimento all’edizione 1804: J. Potocki, Œuvres IV, 2 Ma-
nuscrit trouvé à Saragosse (1804), cit., p.84.

– 68 –
SERRATURE

con l’alterna marea delle sue vicende editoriali, le sue versioni


frammentarie, la leggenda della dispersione e del successivo
oblio dei suoi fogli, sembra portare intriso su di sé, vera e pro-
pria transustanziazione tra spirito e materia, il continuo scor-
rere.

– 69 –
CAPITOLO IV

SPECCHI

Au bout de la salle, et tout petits,


comme par le petit bout d’une lunette,
on voyait deux hommes parallèles,
en blouse blanche, devant deux tables parallèles,
sur lesquelles étaient étendues
deux formes parallèles aussi.
C’étaient deux cadavres de femmes.
A. Vialatte, Les Fruits du Congo

Nel mondo di Potocki i fatti non accadono mai una volta


soltanto e le persone non sono mai sole di fronte al proprio de-
stino.
Ciò che nel Manoscritto sembra dare peso e spessore ad
un’azione è il suo ripetersi all’infinito. Ciò su cui si fonda il ca-
rattere di ogni personaggio è la sua strutturale capacità di essere
elemento di una coppia (simbiotica o oppositiva non importa).
Se due sono i servitori di Alphonse, fuggiti entrambi all’im-
bocco della valle, due sono anche gli impiccati, due le sorelle
musulmane, due i fratelli Velasquez (di cui uno per un errore
imperdonabile si firmerà con il nome dell’altro, perdendo così
sposa e protezione del re), due le gemelle celesti apparse nello
specchio del cabalista, e così via come se il mondo, al di fuori
della unicità della voce narrante nel momento del racconto della
propria storia, non potesse che rappresentarsi sotto le forme in-
naturali di un’ossessione binaria.
La duplicità, lo sdoppiamento sono lingua comune all’in-
terno del romanzo. E se doppie o comunque molteplici sem-
brano essere sempre le possibilità di manifestazione di un unico
fatto, o nel caso dei personaggi di un’unica identità (Emina e

– 71 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Zibeddé, i fratelli Zoto, le sorelle Camille e Inésille…), lo spec-


chio, strumento ingannevole di rifrazione uguale e capovolta, di
questo curioso fenomeno è certamente l’immagine più diretta.

Tutto il Manoscritto è variamente disseminato di superfici


riflettenti. Il cabalista, Rébecca, Thibaud de la Jacquière si in-
namorano, perdono il senno, l’anima, di fronte a uno specchio.
La duchessa di Medina Sidonia, Blaz Hervas conoscono il pro-
prio destino attraverso la visione inaspettata di un’immagine
riflessa (un vero e proprio delirio ottico quello della duchessa
nel vedere, nel credere di vedere, il volto del marito112; una ri-
velazione, il Tau capovolto dei dannati inciso a fuoco sulla
fronte, per Blaz Hervas).
La duplicazione speculare dell’immagine pone ogni volta i
personaggi del Manoscritto di fronte ad una sorta di bivio fan-
tasmatico. Strumenti solo apparentemente riflettenti, gli specchi
non rimandano quasi mai un’immagine conforme all’oggetto
che viene posto loro di fronte. Come se lo sguardo attraverso la
superficie piana di un cristallo non sembrasse più rispondere ad
alcuna regola comune di rifrazione, nella Sierra Morena non è
possibile specchiarsi senza avere a che fare con la visione di
un’alterità inaspettata. Veri e propri miroirs enchantés, gli spec-
chi di Potocki contengono al proprio interno ora spiriti celesti,
ora piedi meravigliosi dalle pantofole ricamate, ora volti terri-
ficanti, senza quasi fare alcun cenno al profilo, pur fisicamente
presente, di chi di fronte a loro sta guardando:

112
“Hermosito se leva, et je crois qu’il voulut baiser le bas de ma robe,
ses genoux ployèrent sous lui, sa tête tomba sur les miens et ses bras m’en-
lacèrent avec beaucoup de force. Dans cet instant, je jetai les yeux sur une
glace: j’y vis la Mencia avec le duc, mais les traits de celui-ci avaient une
expression de fureur tellement effrayante que l’on avait de la peine à le re-
connaître. Mes sens furent glacés d’horreur. Je levai les yeux sur la même
glace et je ne vis plus rien. (…) La vision que j’avais eue me donnait be-
aucoup d’inquiétude, mais on m’assura que le duc était absent” (J. Potocki,
op.cit., p.264).

– 72 –
SPECCHI

Le lendemain devant mon miroir, j’y aperçus deux fi-


gures humaines qui semblaient être derrière moi. Je me
retournai et je ne vis rien. Je regardai dans le miroir, et
je les revis encore. Au reste, cette apparition n’avait rien
d’effrayant. Je vis deux jeunes gens dont la stature était
un peu au-dessus de la taille humaine. Leurs épaules
avaient aussi un peu plus de largueur, mais une rondeur
qui tenait de notre sexe. Leurs poitrines s’élevaient aussi
comme celle des femmes, mais leurs seins étaient
comme ceux des hommes (…) Je ne vous parle pas des
traits de leurs visages; vous pouvez imaginer si des
demi-dieux sont beaux, car enfin c’étaient là les Géme-
aux célestes. Je les reconnus aux petites flammes qui
brillaient sur leurs têtes113.
Macchine divinatorie più che strumenti di conferma narci-
sistica, gli specchi rimandano all’osservatore non certo una
copia conforme della sua stessa immagine, quanto piuttosto un
ritratto ben preciso del fantasma del proprio desiderio. L’alle-
anza inquietante tra pulsionalità e distorsione dello sguardo (os-
sessione altrettanto cara nel Settecento, pur con esiti diversi,
alla letteratura pornografica quanto ai deliri scopici del giovane
Rousseau)114appartiene a buon diritto nel Manoscritto all’uni-
verso ingannevole della specularità. Per Potocki Eros è a tutti
gli effetti una divinità ambigua. È il dio delle trappole. La sua
presenza silenziosa si avverte dietro ogni lastra lucente. L’arte
dei suoi raggiri coincide con la nascita stessa delle immagini.
Se nel caso di Rébecca o del fratello, l’elemento pulsionale
del racconto era pur sempre mediato dalla lettura ineffabile del
cabalismo ebraico, nella storia di Thibaud de la Jacquière, la
grande psiche al centro della stanza appartiene senza ombra di
dubbio al vasto gruppo romanzesco degli agents luxurieux:

113
Ivi, pp.171-172.
114
Rimando naturalmente al noto saggio di Jean Starobinski su Rous-
seau e il tema dello sguardo in: J. Starobinski, L’œil vivant, Paris, Galli-
mard, 1961.

– 73 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

- Il me vient une idée, dit encore Orlandine. Voici un


grand miroir. Allons y faire des mines comme j’en fai-
sais au châtel de Sombre. Je m’y amusais à voir que ma
gouvernante était faite autrement que moi. À présent je
veux savoir si je ne suis pas faite autrement que vous.
Orlandine plaça leurs chaises devant le miroir, après
quoi elle délaça la fraise de Thibaud et lui dit:
- Vous avez le col fait à peu près comme moi, les épau-
les aussi, mais pour la poitrine quelle différence! La
mienne était comme cela l’année passée, mais j’ai tant
engraissé que je ne me reconnais plus. Ôtez donc votre
ceinture, défaites votre pourpoint. Pourquoi toutes ces
aiguillettes?…
Thibaud, ne se possédant plus, porta Orlandine sur le lit
de moire de Venise et se crut le plus heureux des hom-
mes…115.
In una sorta di strip-tease raddoppiato (o meglio quadrupli-
cato, implicando nei fatti due persone nude di fronte ad uno
specchio), l’immagine binaria (riflessa e reale) di Orlandine
sembra suscitare in Thibaud una crescita ad infinitum del pro-
prio desiderio.
La duplicazione visiva dell’oggetto d’amore si rivela così
una trappola. Comportando un aumento oltre ogni limite della
spinta pulsionale, la visione erotica allo specchio viene a ca-
povolgersi nella rappresentazione diretta e immediata di un
manque, di una sorta di cecità dello sguardo di fronte alla
pressione incontrollabile degli istinti. “Le regard désirant,
scrive Jean Starobinski, braqué sur sa proie, ensorcelé par elle
ne peut demeurer en repos devant cette existence différente
de la sienne. Une impatience l’anime, une tension l’entraîne;
en fixant l’objet de sa convoitise, il lui fait déjà, silencieuse-
ment, un aveu qui est une avance. Le désir, s’il suit sa loi, se
transforme en acte, et s’expose aux périls de l’assaut. Dès

115
J. Potocki, op.cit., pp.132-133.

– 74 –
SPECCHI

l’origine il se hâte vers sa fin, c’est à dire vers l’enlisement


bienheureux de la possession116”.
Nel caso di Thibaud de la Jacquière, tra regard e possession,
tra il grande specchio in mezzo alla stanza e il letto veneziano,
c’è un abisso. Se attraverso la visione duplicata dello sguardo
desiderante di Thibaud, Orlandine era un’immagine vitale di
assoluta bellezza, lontano dal proprio riflesso, fattasi carne e
sangue nell’amplesso con il giovane, il demone Orlandine si ri-
vela un ammasso informe di sostanze in putrefazione. Come
ogni altro personaggio del Manoscritto, Thibaud è ancora una
volta cieco. Di fronte ai suoi occhi imperfetti, vita e morte si
sono scambiate nuovamente la maschera.
E non meno pericolosi sembrano essere gli amori allo spec-
chio di Rébecca e del fratello, terminati entrambi con il noto
episodio dell’accoppiamento notturno alla Venta Quemada e
con il successivo risveglio sotto la forca degli impiccati. Nel
momento in cui una stessa radice “guardare-vedere” accomuna
speculum (sede della rifrazione) a spectrum (fantasma), il de-
siderio, o meglio lo sguardo strabico del desiderio, sembra ope-
rare tra i due elementi una sintesi ingannevole. In Potocki ogni
immagine è necessariamente obliqua. Ogni specchio conduce
inevitabilmente ad una forca.

L’inganno come elemento visivo e conoscitivo intimamente


connesso alla rifrazione è presente nel Manoscritto sin nella
struttura delle sue pagine. Raccontando una stessa storia, tutti
vittime di un medesimo contagio narrativo, Alphonse, Pa-
scheco, Velasquez si riflettono l’uno nell’altro in una fuga pro-
spettica senza fine. Ogni narratore, ogni bocca che prende
parola si trova ad essere l’eco di una narrazione già avvenuta.
L’ordine di un universo costruito su un unico focus, su un unico
sguardo autoriale, sembra cedere il passo ad un sistema solare
a più soli, ugualmente lucenti, figli identici e dispersi di un ori-

116
J. Starobinski, op.cit., p.106.

– 75 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

ginario sdoppiamento (“Là je réfléchis sur tout ce qui m’était


arrivé et j’en vins presque à croire que des démons avaient,
pour me tromper, animé des corps de pendus et que j’étais un
second La Jacquière”117).
La congiura dei Gomelez, a ben vedere, non è infatti che un
inganno di specularità. L’inquetante étrangeté del romanzo,
come aveva già compreso Roger Caillois, non sembra riferirsi
tanto al gioco ambiguo di trasformazione delle due more nei
fratelli Zoto impiccati, quanto all’infinito sdoppiamento dei
narratori, al loro riconoscersi inesorabilmente in altri gesti, in
un’altra storia, in un altro nome (“Comment ne pas sentir, l’ex-
trême singularité d’une structure romanesque fondée sur la ré-
pétition d’une même péripétie? […] Le retour identique d’un
même événement dans l’irréversible temps humain représente
à lui seul un recours assez souvent employé par la littérature
fantastique. Mais je ne connais guère de combinaisons aussi
hardies, délibérées et systématiques des deux pôles de l’Inad-
missible – l’irruption de l’insolite absolu et la répétition de
l’unique par excellence – pour aboutir à ce comble d’épouvante
[…] Ce qui ne peut pas arriver se produit, ce qui ne peut arri-
ver qu’une seule fois se répète. Les deux se composent et inau-
gurent une espèce terrible de régularité”)118.
I personaggi del Manoscritto recitano tutti la stessa scena
passandosi un unico specchio di mano in mano, costretti in un
gioco narrativo congegnato quasi per mettere in evidenza le ca-
ratteristiche finzionali della propria struttura. Doppio uno del-
l’altro sembrano perdere via via il peso della propria unicità
identitaria, la sostanza di una propria tridimensionalità carnale
(anche se pur fittizia), per appiattirsi sulla superficie lucente di
pure funzioni narrative, tutti “anelli di una stessa invisibile ca-

117
J. Potocki, op.cit., p.134.
118
R. Caillois, “Destin d’un homme et d’un livre: Le comte Jean Po-
tocki et le Manuscrit trouvé à Saragosse”, in: J. Potocki, La duchesse
d’Avila. Manuscrit trouvé à Saragosse, Paris, Gallimard, 1972, pp.29-31.

– 76 –
SPECCHI

tena” improvvisamente evidente, anche a loro stessi, nei giri


senza apparente risoluzione del proprio corpo serpentino.

Non che il doppio in quanto tema non sia elemento centrale


nel testo, anzi. La rivelazione improvvisa di Emina e Zibeddé
come coppia di vampiri, l’immagine della donna come cada-
vere dissimulato, compresenza impossibile di volto e teschio,
sono l’emblema stesso dell’esperienza iniziatica.
Il fantastico, quella “hésitation prouvée par un être qui ne con-
naît que les lois naturelles, face à un événement en apparence
surnaturel”119, più che una categoria, una voce genealogica al-
l’interno della famiglia delle forme letterarie, sembra rappresen-
tare infatti, nel caso della scrittura del Manoscritto, quasi una
sorta di figura dell’immaginario, un vero e proprio materiale te-
matico in grado di penetrare letteralmente all’interno del ro-
manzo, oltrepassandone la superficie “di genere”, per farsi
condizione stessa di fattibilità del testo.
Il limite è il luogo del doppio, o meglio il doppio non è altro
che l’immagine condensata di quella condizione di improvvisa
simultaneità che sembra affiorare negli stadi intermedi del pro-
cesso rituale120. Che la matrigna e la zia di Velasquez siano

119
T. Todorov, Introduction à la littérature fantastique (1970), Paris,
Seuil, 1995, p.29.
120
Una compresenza sottolineata dalla stessa struttura compositiva del
libro (mi riferisco in questo caso alla stesura del 1804). Nel momento in
cui la formulazione dei racconti procede per cornici successive, è inevita-
bile che alcuni personaggi si trovino ad essere contemporaneamente vivi e
morti a seconda del diverso grado di mise en abîme del racconto.
“Lorsqu’il (le Bohémien) fut sorti, Velasquez prit la parole et dit:
- J’ai beau faire attention aux récits de notre chef, je n’y puis plus rien
comprendere: je ne sais plus qui parle ou qui écoute. Ici c’est le marquis de
Val Florida qui raconte son histoire à sa fille qui la raconte au Bohémien qui
nous la raconte. En vérité cela est très confus (…)Voici par exemple le duc
de Sidonia dont je dois étudier le caractère, tandis que je l’ai vu déjà mort”
(J. Potocki, Œuvres IV, 2 Manuscrit trouvé à Saragosse [1804], cit., pp.290-
291).

– 77 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

anche due demoni, che nella storia di Trivulce de Ravenne la


chiesa colma di fiori per le nozze sia anche la chiesa parata a
lutto e piena di scheletri della notte, è inevitabile nell’universo
senza storia del Manoscritto.
Essere contemporaneamente maschio e femmina, vivi e
morti nello stesso tempo, è infatti una caratteristica strutturale
del margine: “Gli esseri liminali, riporta Victor Turner, non
sono né da una parte né dall’altra; stanno in uno spazio inter-
medio (betwixt and between) tra le posizioni assegnate e di-
stribuite dalla legge, dal costume, dalle convenzioni e dal
cerimoniale. (…) La liminalità viene spesso paragonata alla
morte, al fatto di essere nell’utero, all’invisibilità, all’oscurità,
alla bisessualità, al deserto e a un’eclissi solare o lunare”121.
L’affioramento di un’inspiegabile compresenza, della pos-
sibilità improvvisa del mondo di trascolorare mutandosi in un
luogo di demoni, non sembra per Potocki appartenere tanto ad
una questione di modalità della scrittura, quanto piuttosto ad
una questione di modalità della realtà. Una realtà struttural-
mente doppia, o comunque fluida nella sua naturale tendenza
alla metamorfosi. Una realtà fatta di elementi inafferrabili, eva-
nescenti, sottoposti alla legge brutale di una costante reversibi-
lità; come Avadoro, travestito da donna nel suo passato
picaresco, sfigurato dal vaiolo, molteplice nei nomi, nelle vite,
negli amori (“C’est que le marquis Castelli ne ressemblait plus
du tout à don Juan Avadoro et que j’avais changé de visage en
même temps que de nom. Sûrement on n’aurait pas reconnu en
moi la fausse Elvire qui devait être vice-reine du Mexique”122);
come la sposa dalle due anime e dai due volti di don Phelipe
Tintero Largo (“Mon père cherchait en vain dans son épouse la
douce et tranquille personne qui lui baisait la main d’un air si
soumis. Il voyait au contraire une femme vive, bruyante, éva-

121
V. Turner, op.cit., p.112.
122
J. Potocki, op.cit., p.530.

– 78 –
SPECCHI

porée”)123; come le stesse leggi, gli insegnamenti morali che,


nelle parole di don Belial de Gehenna, sembrano da sempre go-
vernare il mondo e i suoi abitanti:
Des insectes très petits rampaient sur le sommet de hau-
tes herbes; l’un d’eux dit à l’autre:
- Voyez ce tigre couché près de nous, c’est le plus doux
des animaux. Jamais il ne nous fait de mal. Le mouton
au contraire, est un animal féroce; s’il en venait un, il
nous dévorerait avec l’herbe qui nous sert d’asile, mais
le tigre est juste, il nous vengerait”. Vous pouvez en con-
clure, Seigneur Hervas, que toutes les idées du juste et
de l’injuste, du bien et du mal, sont relatives et nulle-
ment absolues ou générales124.
Ancora una volta, ciò che è uno è anche doppio, o meglio du-
plice, diritto e storto ad un tempo. Tigre e pecora sono fratelli di
latte. Bene e male si tendono la mano lungo i due fronti dello
specchio.
Ma perché allora mettere in bocca ad un personaggio sata-
nico, come è a tutti gli effetti Belial de Gehenna, una fede re-
lativistica di cui sembra essere intessuto l’intero romanzo125?
In che cosa crede, in buona sostanza, Potocki-autore? Quale tra
i personaggi sembra portare più di ogni altro la livrea con i co-
lori del suo personale discorso: Alphonse, Velasquez, Avadoro,
l’ateo Hervas, l’eremita-sceicco, nessuno, tutti?

123
Ivi, pp.385-386.
124
Ivi, p.366.
125
Nella versione del 1804 d’altra parte, come osserva giustamente F.
Rosset, il messaggio relativista del Manoscritto sembra essere ancora più
importante, “fortement coloré par le courant matérialiste des Lumières qui
se manifeste de la façon la plus claire dans la combinaison des leçons du
Juif errant en matière de religion et des propos du géomètre Velasquez” (F.
Rosset, Présentation, in: J. Potocki, Oeuvres IV, 1, cit., p.7).

– 79 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Che il Manoscritto sia un testo anche fortemente ironico è un


dato di fatto. Ironiche sono spesso le sue fonti letterarie, ironi-
che le voci, i ritratti (anche se solo per un particolare, per un mi-
nimo capriccio della figura). Grottesco è il corpus dei temi:
carni disfatte, vini, cibi sempre in primo piano ad evidenziare,
con il chiaroscuro della propria materia, quella commistione di
alto e basso, di tragico e comico ossessivamente presente tra i
fili annodati del testo.
Il problema della distanza di Potocki dalla propria scrittura,
di un uso sapiente dei codici mentre egli stesso sembra credere
e insieme non credere al potere fascinatorio delle sue parole, si
fa luce nel Manoscritto all’interno di un percorso di progressiva
normalizzazione del discorso, di un successivo sfaldarsi delle
componenti più fantastiche e orrorifiche del racconto verso una
visione più razionale della narrazione. Il Manoscritto, non c’è
alcun dubbio, procede per continue modifiche e denegazioni
del proprio nucleo iniziale come se il mondo della Sierra Mo-
rena, inizialmente compatto, sospeso come una sfera imper-
meabile e piena sulle acque calme del mondo, cominciasse via
via a rivelare sulla sua superficie piccole crepe tematiche. Con
il procedere della carovana all’interno della Sierra e del ro-
manzo, i fantasmi, le apparizioni si fanno ad ogni passo più la-
bili, inconsistenti, fino a svanire completamente. Al cibo, dono
gratuito, subentra il denaro. Ai miracoli, la concatenazione na-
turale dei fenomeni. Allo scorrere senza legge del racconto, il
tempo domestico degli uomini.

Il tema del doppio in questo caso è esemplare. Elemento car-


dine nella strutturazione magica dell’universo di Potocki, lo
sdoppiamento, l’inquietante uguaglianza di ciò che dovrebbe
essere distinto, accomuna quasi tutti i racconti all’interno del
testo. Non da ultima la storia della duchessa d’Avila, narrata
da Avadoro all’accendersi dei fuochi della quarantesima sera126.

126
Cinquantacinquesima nell’edizione Radrizzani.

– 80 –
SPECCHI

Anche qui gli elementi del doppio ci sono tutti. Due sorelle
(una altera, l’altra ingenua, ma tanto simili fisicamente da sem-
brare quasi gemelle). Un uomo innamorato di entrambe. Una fi-
nestra, attraverso la quale intravedere, non visti, l’oggetto della
propria passione:
Les fenêtres des vis-à-vis étaient ouvertes et je voyais
jusqu’au fond de l’appartement. Léonore avait fait mi-
tonner une olla. Instruite dans ce grand art par sa gou-
vernante, elle en retirait les viandes et les rangeait dans
un plat, tout cela avec de grandes joies et des grands
rires. Puis elle couvrit la table d’une nappe très blanche
et de deux simples couverts qui semblaient attendre
deux époux. Léonore était en simple corset, les man-
ches de sa chemise relevées jusqu’aux épaules. On
ferma fenêtres et jalousies, mais ce que j’avais vu avait
fait sur moi une forte impression127.
A complicare la scena, la morte di una delle due. Una morte
propizia, da un punto di vista strettamente narrativo, perché in
grado di rilanciare il gioco dei raddoppi fino alle soglie ultime
della specularità, verso quella commistione di orrore e meravi-
glia che necessariamente accompagna la somiglianza tra un
corpo e la sagoma senza carne della propria imago fantasma-
tica:
Minuit sonna, je me mis à la fenêtre. Je vis dans la
chambre vis-à-vis, l’enfant endormi ainsi que la nour-
rice. La femme blanche parut une lampe à la main. Elle
s’approcha du berceau, regarda longtemps l’enfant, le
bénit, puis elle vint à la fenêtre et regarda longtemps de
mon côté. Puis elle sortit de la chambre et je vis de la lu-
mière dans l’étage supérieur. Enfin la femme blanche
parut sur le toit, en parcourut légèrement l’arête, passa
sur un toit voisin et disparut à mes yeux128.

127
J. Potocki, op.cit., p.396.
128
Ivi, p.403.

– 81 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

In apparenza, anche la storia di Léonore sembrerebbe così


aderire perfettamente allo schema collaudato della Sierra Mo-
rena e delle sue apparizioni. Elemento di una coppia femmi-
nile, personaggio al confine tra vita e morte, la figlia segreta
del duca d’Avila possiede ogni caratteristica necessaria per sod-
disfare le nevrosi autoriali di Potocki. La sua breve vita, i suoi
movimenti di fantasma, toccano, raccogliendoli in un unica
danza, tutti gli oggetti, tutti i nodi simbolici del libro: il cibo; la
finestra; un vestito femminile dalle maniche rimboccate; un fi-
glio; persino la presenza sinistra di un servitore nano, già fedele
compagno di Orlandine e della principessa di Mont-Salerne129.
Ma in questo caso, se di una danza di oggetti si tratta, il
passo è stato totalmente invertito. Macchinazione creata dalla
politica prudente della duchessa, Léonore non è mai morta, o
meglio non è mai esistita. Con un colpo di scena inaspettato
tanto per Avadoro quanto per il lettore, l’inquietante specularità
delle due sorelle viene a mutarsi ben presto nell’inganno po-
sticcio di una parrucca bionda, così come il nano bluastro in un
piccolo spazzacamino con due dita di biacca colorata sulle gote:
- Illustre chevalier de Calatrava, mettez-vous aux ge-
noux de la duchesse; elle est votre femme depuis plus
d’un an (…) Nous avons inventé une Léonore, fille du
duc et de l’infante, qui n’était que la duchesse elle-
même, coiffée d’une perruque blonde et légèrement far-
dée, mais vous n’aviez garde de reconnaître votre fière
souveraine dans la naïve pensionnaire des carmélites.
J’ai assisté à quelques répétitions de ce rôle et je vous
assure que j’y eusse été trompé comme vous (…) Ici,
mon cher Avadoro, j’implore de vous mon pardon; j’ai

129
“Minuit sonna, je fus à ma fenêtre. Bientôt je vis entrer non pas la
femme blanche, mais une sorte de nain qui avait le visage bleuâtre, une
jambe de bois et une lanterne à la main. Il s’approcha de l’enfant, le regarda
attentivement, puis il alla à la fenêtre, s’y assit, les jambes croisées et se mit
à me considérer avec attentino. Puis il sauta de la fenêtre dans la rue ou plu-
tôt il eut l’air de glisser et vint frapper à ma porte” (Ivi, pp.403-404).

– 82 –
SPECCHI

plongé le poignard dans votre sein en vous annonçant la


mort d’une personne qui n’avait jamais existé, mais
votre sensibilité n’a point été perdue; la duchesse est
touchée de voir que vous l’ayez si parfaitement aimée
sous deux formes si différentes. Depuis huit jours, elle
brûle de se déclarer. Ici c’est encore moi qui suis le cou-
pable: je me suis obstiné à faire revenir Léonore de l’au-
tre monde. La duchesse a bien voulu faire la femme
blanche, mais ce n’est pas elle qui a couru si légèrement
sur l’arête du toit voisin. Cette Léonore n’était qu’un
petit ramoneur de cheminée, Savoyard de nation. Ce
même drôle est revenu la nuit suivante, habillé en dia-
ble boiteux. Il s’est assis sur la fenêtre et s’est glissé
dans la rue le long d’une corde attachée à l’avance”130.
Spalancata verso le altezze siderali dell’irrazionale, la for-
bice narrativa, quel distacco così marcato tra realtà e stato li-
minale, si richiude dunque di scatto. Se prima il romanzo
sembrava procedere lungo una sorta di passaggio obbligato dal
reale al fantasma (dai corpi pieni di Emina e Zibeddé alle carni
in macerazione dei due fratelli Zoto), ora è il fantasma a scin-
dersi nella figura, uguale e capovolta insieme, di un fantoccio
da teatro. Quasi si fossero volute toccare con mano le reali pos-
sibilità espressive del romanzo (e con lui di tutto l’immagina-
rio settecentesco) tendendo l’elastico della sua potenza
visionaria oltre il proprio limite per poi vederlo nuovamente ri-
tornare su se stesso, il racconto della duchessa d’Avila sembra
racchiudere meta-narrativamente l’intero corpo del Mano-
scritto, sbugiardandone però questa volta il riflesso in una ve-
rità da saltimbanchi fatta di fondi di bottiglia e spade di cartone.
Con la burla della falsa Léonore (come nell’inganno del dot-
tor Sangro-Moreno, chirurgo in cerca di cadaveri e sedicente
fantasma, o nel rivelarsi di Busqueros a figura intera e non più
testa mozzata, o ancora nell’ultimo e definitivo scacco ai de-

130
Ivi, pp.405-406.

– 83 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

moni del romanzo da parte di Massoud Gomelez) il Mano-


scritto si rivela così un universo di figuranti131. Un luogo ancora
ambiguo sì, ma questa volta di un’ambiguità diversa. Discono-
scendo la propria sostanza fiabesca, la scrittura di Potocki (con
una lucidissima messa a nudo del procedimento come suggeri-
rebbe Vicktor Sklovskij) arriva a mostrare le corde e i pesi che
sorreggono l’impalcatura del suo teatro di immagini. Morto il
fantastico, tolti di scena i suoi lamenti, le sue mani invisibili
pronte a far cadere i viandanti negli abissi più profondi del-
l’anima, Potocki non sembra contemplare un mondo vero, fatto
di pietra e di terra, ma ancora una volta una realtà evitata. Die-
tro la benda sull’occhio di Pascheco, in buona sostanza, c’è
un’altra benda. Dietro al fantasma, non si trova l’uomo, ma l’at-
tore.

Fuga senza fine di universi fittizi, il Manoscritto arriva così


al nucleo più profondo della sua struttura svelando dietro l’in-
ganno della specularità e dei suoi raddoppi, l’inganno più alto

131
“Le capucin n’eut pas plus tôt achevé sa phrase que j’entendis un
long gémissement, et trois spectres affreux se firent voir sur le mur du ci-
metière. Cette apparition et le gémissement dont elle fut accompagnée
épouvantèrent les quatre fossoyeurs et le capucin, leur chef: ils s’enfuirent
en poussant des grands cris. Quant à moi, j’eus peur aussi, mais l’effet en
fut différent, car je restai comme cloué à ma fenêtre et dans un état voisin
de l’anéantissement. Je vis alors que deux spectres s’élancèrent de dessous
le mur dans le cimetière et donnèrent la main au troisième qui avait de la
peine à descendre, Puis d’autres spectres parurent et sautèrent aussi dans le
cimetière jusqu’au nombre de dix à douze. Alors celui à qui les autres ava-
ient donné la main pour le faire descendre vint sous le portique examiner
les trois morts puis se tournant du côté des autres spectres, il leur dit:
- Mes amis, voici le corps du marquis de Valornez. Vous avez vu le
traitement que m’ont fait éprouver les ânes mes confrères. Cependant ils
s’étaient tous trompés en prenant la maladie du marquis pour une hydropi-
sie de poitrine. Moi seul, moi le docteur Sangro-Moreno, j’ai su toucher au
but, en y reconnaissant l’anguina polyposa, si bien décrite par les maîtres
de l’art” (Ivi, pp.229-230).

– 84 –
SPECCHI

della letteratura e delle sue forme. Che Emina e Zibeddé o i due


amanti infelici salvati da Avadoro abbiano imparato ad amare
scimmiottando Les amours de Medgénoun et de Leïllé e Fuen
de Rozas y Linda Mora, che il conte di Penna Velez abbia co-
nosciuto la passione erotica sui libri ancor prima di incontrare
Elvire de Torres, è inevitabile per un mondo dove le opere
d’arte si staccano ogni notte dalla cornice, gabbia e altare della
loro dimensione di alterità, per scendere al suolo, armate di
spada, pronte ad uccidere132. Il vero specchio del Manoscritto
è la superficie polita delle sue pagine. Lo scontro con il doppio,
la lotta con il fantasma è una lotta senza quartiere con il de-
mone della parola.
Una parola, in questo caso, quanto mai assoluta, perfetta-
mente compresa nello spazio senza aperture della pagina, nel
proprio farsi testo.
Una parola proprio per questo fragilissima, condannata per
sua stessa natura a far morire il proprio mondo in se stessa, ad
implodere (vera e propria miniera senza più metallo) esaurito
una volta per tutte il materiale liquido della sua scrittura.

132
“Le châtelain s’en alla. Je me mis à prier et de temps en temps à
mettre quelque bûche dans le feu, mais je n’osais trop regarder dans la salle,
car les portraits me semblaient prendre un air tout à fait vivant. Si j’en fi-
xais un, de suite il me paraissait cligner les yeux et tordre la bouche, sur-
tout le sénéchal et sa femme, qui étaient des deux côtés de la cheminée; je
crus voir qu’ils me jetaient des regards pleins de courroux et qu’ensuite ils
se regardaient l’un l’autre” (Ivi, p.376).

– 85 –
CAPITOLO V

LIQUIDI

Seigneur Avadoro vous composez là une liqueur


qui a fait bien du mal dans le monde;
que de complots, que de trahisons,
que d’artifices, que de mauvais livres!
Tout cela a coulé avec l’encre;
sans parler des billets doux,
et de toutes les petites conspirations
contre le bonheur et l’honneur des époux.
J. Potocki, Manuscrit trouvé à Saragosse

Il Manoscritto è un universo liquido. Liquida è la morale dei


suoi abitanti, liquidi sono gli spazi, le narrazioni, il sentimento
del tempo133.
Il tema della fluidità, ovvero di ciò che per sua natura è man-
chevole di una forma propria adattandosi ad ogni vaso o an-
fratto che ne possa disegnare il corso, sembra essere presente
lungo tutti i piani (metaforico, simbolico, fenomenico) della
scrittura di Potocki.
133
Liquidi sono anche i ricordi: “Je ne puis vous promettre la même
exactitude pour l’histoire de ma jeunesse. Si je reporte mon imagination à
cette brillante époque de ma vie, je n’y distingue qu’un tumulte de passions
diverses et comme le trouble confus des orages. Un entier oubli me dérobe
des choses qui alors remplissaient mon âme et les plaisirs qui la ravissaient.
À la vérité, j’entrevois l’amour heureux me souriant à travers les vapeurs
du passé, mais les objets de cet amour se confondent et je ne vois plus que
des images mêlées de belles qui s’attendrissent, des soubrettes qui servent
leurs flammes; je vois même des duègnes sévères ne pouvant tenir contre
ce touchant spectacle et réunir des amants qu’elles devaient à jamais sépa-
rer. Je vois la lampe secourable donner le signal d’une fenêtre, l’escalier
dérobé me découvrir une porte secrète” (J. Potocki, op.cit., pp.389-390).

– 87 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Medicine, veleni, o semplici rimedi oppiacei, le diverse so-


stanze che scorrono lungo il Manoscritto, decidono forse più
di ogni altra cosa del destino delle sue pagine. La liquidità, in
questo caso, non è infatti una condizione stagnante fatta di
acque immobili, indifferenti alla natura del mondo, ma è un
universo in movimento, continuamente modificato dallo spa-
zio circostante. Vino, sonniferi, cioccolata, sangue, siero,
sperma, inchiostro sembrano emergere da una sorgente seman-
tica inesauribile. Tutto il libro è un continuo versare, asciugare,
spandere, ritirarsi, entrare e uscire di fluidi134.
Ma un entrare-uscire da che cosa?

Il senso del liquido nel Manoscritto è principalmente un’af-


faire de corps. Certo, il fiume Guadalquivir, l’oceano Atlantico
o la sorgente-labirinto attraversata da Ondine sono elementi
paesaggistici di forte caratterizzazione, così come lo è, da un
punto di vista simbolico, il meccanismo ingegnoso di chiuse
che regola le sistematiche inondazioni della miniera dei Go-
melez135.
Ciononostante è indubbiamente al corpo che sembra essere
stato assegnato il ruolo di spartiacque, metaforico e letterale,
dei fluidi del testo. Morente, torturata, assetata, aperta nell’atto

134
Un primo studio sul tema dei liquidi all’interno del Manoscritto si
può trovare in: J. Herman, “Le traité des sensations de Potocki”, in: J. Her-
man, P. Pelckmans, F. Rosset (a cura di), Le Manuscrit trouvé à Saragosse
et ses intertextes, cit.
135
È interessante sottolineare come, nella costruzione perfettamente
coerente dell’universo di Potocki, gli elementi del romanzo siano costan-
temente sovrapposti gli uni agli altri a formare una sorta di tessuto tematico
estremamente compatto. Spesso i labirinti sotterranei del Manoscritto (Osy-
manydas, la grotta dei Gomelez, la sorgente di Ondine) sono infatti labirinti
anche sommersi dalle acque: “Au bout de trois heures, j’avais détaché plus
d’or que dix hommes n’en eussent pu porter. Alors je m’aperçus que le sou-
terrain se remplissait d’eau. Je gagnai l’escalier, mais l’eau s’élevait an-
core. Je vis donc qu’il me fallait remonter” (J. Potocki, op.cit., pp.541).

– 88 –
LIQUIDI

amoroso, o letteralmente a mollo (come sarà Velasquez quasi


annegato nel fiume), la fisicità dei personaggi di Potocki si
trova perennemente immersa in un travasare continuo di liquidi.
Se tra le pagine c’è dell’acqua, è quasi sempre per finire den-
tro una bocca. Se qualcosa sembra bagnare il suolo polveroso
delle strade di Spagna, è quasi sempre del sangue uscito a fiotti
dal fianco o dalla spalla di un duellante sfortunato.
Corpi morenti dunque, in primo luogo136. Nella fisiologia
equorea di Potocki, le malattie sono materie viscide che inta-
sano la sostanza spugnosa dei polmoni, le tracce di un corpo in
decomposizione si riassumono nelle garze sporche di siero ab-
bandonate sotto una forca, e la tortura, in fin dei conti, sembra
ridursi ad una semplice trasmutazione della sostanza corporea
da carne a liquido:
- Tu vois ces deux planches: on y mettra tes jambes, on
les serrera avec une corde. Ensuite, on mettra entre tes
jambes les coins que tu vois ici, et on les enfoncera à
coups de marteau. D’abord tes pieds enfleront, ensuite,
le sang jaillira de tes orteils, et les ongles des autres
doigts tomberont tous. Ensuite la plante de tes pieds crè-
vera, et l’on en verra sortir une graisse mêlée de chairs
écrasées. Cela te fera beaucoup de mal. Tu ne réponds
rien? Aussi tout cela n’est-il encore que la question or-
dinare... Cependant, tu t’évanouiras. Voici des flacons
remplis de divers esprits avec lesquels on te fera reve-

136
Sul legame tra elemento liquido e morte si confronti naturalmente il
noto saggio di Bachelard: “L’eau aussi est un type de destin, non plus seu-
lement le vain destin des images fuyantes, le vain destin d’un rêve qui ne
s’achève pas, mais un destin essentiel qui métamorphose sans cesse la sub-
stance de l’être (…) L’eau est vraiment l’élément transitoire. Il est la mé-
tamorphose ontologique essentielle entre le feu et la terre. L’être voué à
l’eau est un être en vertige. Il meurt à chaque minute, sans cesse quelque
chose de sa substance s’écroule. La mort quotidienne n’ est pas la mort exu-
bérante du feu qui perce le ciel de ses flèches; la mort quotidienne est la
mort de l’eau”. (G. Bachelard, L’eau et les rêves. Essai sur l’imagination
de la matière, Paris, Corti, 1942, pp.8-9).

– 89 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

nir…Lorsque tu auras repris tes sens, on ôtera ces coins


et l’on mettra ceux-ci qui sont beaucoup plus gros… Au
premier coup, tes genoux et tes chevilles se briseront.
Au second, tes jambes se fendront dans leur longueur.
La moelle en sortira et coulera sur cette paille, mêlée
avec ton sang…”137.
Torturato o ferito, il corpo sofferente sembra essere un’im-
mensa cavità colma di fluidi in perenne rischio di fuoriuscita.
Quelle carni così tese, quelle ossa dall’incastro così perfetto da
sorreggere senza sforzo il peso di un uomo, ad un primo accenno
di violenza diventano immediatamente liquide, graisse mêlée di
sostanza lattiginosa e senza forma. Il sangue, non appena libero
dal guscio senza spiragli della pelle, si fa sostanza primaria,
unico indizio dell’identità di un corpo nel momento della propria
morte inondando strade, scalinate, piazze, cortili, fontane:
J’entrai donc hardiment, mais à peine avais-je fait quel-
ques pas que je vis au milieu de la salle messire Taille-
fer en garde et me présentant la pointe de son épée. Je
voulus retourner à l’escalier, mais la porte était occupée
par une figure d’écuyer qui me jeta un gantelet. Ne sa-
chant plus que faire, je me saisis d’une épée que je pris
dans un faisceau d’armes et je tombai sur mon fantasti-
que adversaire. Il me parut même l’avoir pourfendu en
deux, mais aussitôt, je reçus au-dessous du coeur un
coup de pointe qui me brûla comme eût fait un fer
rouge. Mon sang inonda la salle et je m’évano-
uis.(…)Au milieu de la nuit, je m’éveillai en sursaut et
je vis devant mon lit messire Taillefer qui me menaçait
de son épée. Je fis le signe de la croix et le spectre parut
se fondre en fumée, mais je sentis le même coup que
j’avais cru recevoir au châtel de Tête-Foulque. Il me
parut que j’étais baigné dans mon sang 138.

137
J. Potocki, op.cit., p.77 (il corsivo è mio).
138
Ivi, p.377.

– 90 –
LIQUIDI

Elemento primo di composizione dei corpi, liquido vitale


per eccellenza, il cruor, il sangue versato, è il dono più intimo
che un uomo possa fare all’interno del mondo feroce di Po-
tocki. Immolando le proprie viscere, la vittima si offre nella sua
interezza, disperdendo al suolo non soltanto l’intero serbatoio
della sua sostanza sanguigna, ma la natura stessa della propria
identità.
Le funeste mangiatrici di viandanti del Manoscritto rappre-
sentano, in questo, il limite estremo. Le loro tavole vampire-
sche sono luoghi per eccellenza di passaggio e annullamento
identitario. La loro sessualità famelica rappresenta il pericolo
più alto per ogni incauto viaggiatore; veder fagocitata insieme
al proprio corpo la coscienza stessa della propria individualità.
“La metafora-vampiro, scrive Franco Moretti, “filtra” ossia
rende sopportabili alla coscienza, quei desideri e paure che essa,
giudicandoli inaccettabili, è stata costretta a reprimere, e di cui
dunque non può riconoscere l’esistenza. La formalizzazione
letteraria, la figura retorica ha perciò una doppia funzione:
esprime il contenuto inconscio e insieme lo nasconde. La let-
teratura contiene sempre entrambe queste funzioni (…) Dra-
cula libera ed esalta il desiderio sessuale. E questo desiderio
attrae ma – contemporaneamente – fa paura”139.
Nel terrore di perdere il proprio sangue, i personaggi di Po-
tocki (così come tutti i loro discendenti vittoriani) esprimono e
insieme nascondono il turbamento per l’immagine di un desi-
derio pulsionale così violento da comportare necessariamente
un vistoso allentamento dei confini dell’Io. La perdita di sé nel
gesto erotico, quella “négation de l’isolement du moi qui ne
connaît la pamoison qu’en s’excédant, qu’en se dépassant dans
l’étreinte où la solitude de l’être se perd”140, si traduce in sin-

139
F. Moretti, Segni e stili del moderno, Torino, Einaudi, 1987, pp. 130,
125.
140
G. Bataille, “Emily Brontë”, in: La littérature et le mal, Paris, Gal-
limard, 1957, p.13.

– 91 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

tesi, nell’universo trasfusionale del Manoscritto, in una morte


per dissanguamento.

Ma certamente non tutti i pasti sono terribili per Potocki. E


ci sono casi, come racconta Alphonse, “où la violence ne peut
sans crime répandre le sang innocent. Mais il en est d’autres
où tant de cruauté sert l’innocence en la faisant paraître dans
tout son jour”141.
L’innegabile rubedo delle lenzuola della Venta Quemada, a
testimonianza dell’avvenuto incontro tra Alphonse e le due cu-
gine, immette il tema del sangue e della sua fuoriuscita dal
corpo su di un piano totalmente diverso. In questo caso il dono
di sé delle due more a Van Worden non è segno indelebile di
una pura perdita, ma sembra essere il sigillo di una vittoria
certa, o meglio, di un’avvenuta mescolanza.
Unito al liquido seminale di Alphonse, il loro sangue, da ele-
mento puntuale, riconoscimento di una singola identità nel mo-
mento del suo stesso disfarsi, si è infatti trasformato nel cardine,
simbolico e letterale, della unitarietà della famiglia dei Gome-
lez.
Il “sang des Gomelez” (“Malheureux Nazaréen, tu as dé-
shonoré le sang des Gomelez. Il faut te faire mahométan ou
mourir”142) è il liquido dell’affratellamento genetico (la con-
sanguineità appunto), della coesione, del continuo rinnovarsi di
un’unica identità all’interno della catena senza fine delle na-
scite143. Sotto la corteccia dei due alberi aperti di fronte ad Al-

141
Dall’edizione 1804: J. Potocki, Œuvres IV, 2 Manuscrit trouvé à Sa-
ragosse (1804), cit., p.81.
142
Ivi, p.82.
143
“Jeune Nazaréen, vous voyez cet arbre d’or dont le riche feuillage
ombrage mon trône. Il qui représente notre généalogie; ces noms attachés
aux branches sont ceux des Gomelez qui sous différents noms ont occupé
les trônes de l’Afrique. Vous voyez devant moi cet autre arbre hérissé d’af-
freuses épines; les noms qu’on y lit sont ceux des Gomelez restés chrétiens

– 92 –
LIQUIDI

phonse all’interno della caverna dello sceicco pulsa un continuo


flusso arterioso di scambi e metamorfosi. La linfa rossa dei “fe-
deli alla legge del Profeta” scorre ad alimentare i diversi rami
della stirpe. Le sue foglie sono altrettanti nuclei fecondi. Dal
singolo dunque, ai molti. Dalla legge del re, all’imperativo fa-
miliare:
Lorsque j’eus fini de manger, mon hôte me pria de
l’écouter avec attention et me dit: (…)
- J’ose donc, Seigneur cavalier, vous demander votre
parole de ne rien révéler de ce que vous allez voir.
Il me parut, dans le premier instant, qu’étant au service
du roi d’Espagne je ne devais pas engager ma parole
avant de savoir si je ne verrais rien dans ce souterrain
qui fût contraire à ses intérêts. J’en fis l’objection au
derviche. Il me répondit:
- Seigneur cavalier, votre scrupule est à sa place, votre
bras appartient certainement au roi que vous servez,
mais vous êtes ici en des contrées souterraines où sa
puissance ne pénétra jamais. Le sang dont vous sortez
vous impose aussi des devoirs. Enfin la parole d’hon-
neur que je vous demande n’est qu’une suite de celle
que vous avez donnée à vos cousines”144.
Sorta di divinità bifronte, l’elemento liquido scivola tra le ge-
nerazioni del Manoscritto in un continuo mutare di polarità.
Chi muore, lo fa quasi sempre sommerso da una liquidità vele-
nosa o sanguigna. Chi nasce, molto spesso deve il suo conce-
pimento ad una sorta di fascinazione equorea. Se Rébecca si
scoprirà nelle ultime giornate, figlia naturale dello sceicco di

et qui ont langui dans l’obscurité. Puisse le saint Prophète éclairant votre
esprit vous faire passer de l’arbre de mort à l’arbre de la vie sainte et pure!“
(J. Potocki, op.cit., p.542).
Nell’edizione 1804 i due alberi sono riuniti in un unico fusto dalle
doppie braccia.
144
Dall’edizione 1804: J. Potocki, Œuvres IV, 2 Manuscrit trouvé à Sa-
ragosse (1804), cit., pp.310-311.

– 93 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Gomelez e di Ondine, ninfa-fanciulla uscita dallo specchio di


una sorgente, lo stesso Alphonse, con un padre dallo spiccato
talento per le fortificazioni militari, sembra addirittura far de-
rivare la sua presenza nel mondo alle cattive condizioni me-
teorologiche del nord Europa:
Cette inondation domestique ne déplut pas à mon père
parce qu’elle lui rappelait le siège de Lérida où il avait
passé trois semaines les jambes dans l’eau. Cependant
son premier soin fut de placer à sec le lit de son épouse.
Il y avait dans les salon de compagnie une cheminée à
la flamande autour de laquelle quinze personnes pou-
vaient se chauffer à l’aise, et le manteau de la cheminée
y formait comme un toit soutenu par deux colonnes de
chaque côté. L’on boucha le tuyau de cette cheminée et
sous son manteau, l’on put placer le lit de ma mère avec
sa table de nuit et une chaise, et comme l’âtre était élevé
d’un pied au-dessus, il formait une sorte d’île assez ina-
bordable. Mon père s’établit de l’autre côté du salon sur
des tables jointes par des planches et, de son lit à celui
de ma mère, on pratiqua une jetée fortifiée dans le mi-
lieu par une sorte de batardeau, construit de coffres et de
caisses. Cet ouvrage fut achevé le jour même de notre
arrivée au château, et je suis venu au monde neuf mois
après, jour pour jour145.
Spesso i fluidi del Manoscritto non sono sostanze pure, com-
patte quasi nella omogeneità liquida della loro composizione,
ma funzionano come reagenti chimici146. Sangue e sperma. San-
gue e ceneri. Sangue e vino. Vino e veleno. Addirittura ciocco-
lata e veleno.

145
J. Potocki, op.cit., pp.65-66.
146
“Oh restes adorés du plus aimable des époux! Que ne puis-je,
comme une seconde Artémisie, mêler vos cendres à ma boisson! Elles cir-
culeraient avec mon sang et ranimeraient ce coeur qui n’a jamais battu que
pour vous” (Ivi, p.233).

– 94 –
LIQUIDI

Il contatto tra due sostanze e la loro necessaria trasforma-


zione fa della liquidità una sorta di elemento mobile, soggetto
a inaspettati cambiamenti147; bevande apparentemente innocue
producono effetti devastanti (il conte di Medina Sidonia prima
di morire beve da una tazza di cioccolata chiaramente avvele-
nata148, ed è sinistro con ogni evidenza il bicchiere di rosso ac-
canto al letto di don Diègue Hervas il suicida); pozioni
alcoliche ad un primo sguardo sospette si rivelano, a lungo ter-
mine, semplici sonniferi:
- Malheureux Nazaréen, reprit encore le scheik des Go-
melez, avale d’un trait le breuvage contenu dans cette
coupe, ou tu périras d’une mort honteuse (…). Il me
parut qu’en pareille occasion l’honneur me commandait
le suicide. Je m’écriai avec douleur:

147
Una doppia economia alimentare riscontrabile del resto già in Sade,
come sottolineato da Barthes: “Chocolat restaurant: “Tout est dit: monsei-
gneur énervé se recouche; on lui prépare son chocolat…” ou: “Après son
orgie, le roi de Sardaigne m’offrit la moitie de son chocolat, j’acceptai; nous
politiquâmes” – Chocolat assassin: “Quand j’aurai bien foutu monsieur son
cher fils, nous lui ferons prendre une tasse de chocolat demain matin…” (R.
Barthes, op.cit., p.24).
148
Anche in questo caso è da sottolineare il continuo intrecciarsi dei
temi all’interno del testo. La scena dell’avvelenamento del conte di Me-
dina Sidonia viene spiata dalla dueña Girona dal buco di una serratura: “Je
fis venir la Girona et je lui rapportai le discours du docteur. Son trouble la
trahit.
-Vous avez, lui dis-je, empoisonné mon époux; comment une chré-
tienne se rend-elle coupable d’un pareil crime?
-Je suis chrétienne, me dit-elle, mais je fus mère. Si l’on égorgeait
votre enfant, vous deviendriez, peut-être plus cruelle que la lionne en furie.
Je n’eus rien à lui répondre. Je lui observai pourtant qu’elle aurait pu
m’empoisonner au lieu du duc.
-Non, me répondit-elle, j’avais l’œil au trou de la serrure, et si vous
aviez touché la tasse, j’entrais à l’instant” (J. Potocki, op.cit., p.266).

– 95 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

- Ô mon père, à ma place vous eussiez fait comme moi.


Puis je pris la coupe et la vidai d’un trait. Je sentis un
malaise affreux et tombai sans connaissance.
Puisque j’ai l’honneur de vous raconter mon histoire,
vous jugez bien que je ne suis point mort du poison que
j’avais cru prendre. Je tombai seulement en défaillance
et j’ignore combien de temps j’y suis resté149.
Veicoli di morte, mezzi efficaci di eliminazione di un corpo
(che il corpo sia proprio o altrui non importa), le bevande del
Manoscritto hanno anche, naturalmente, una funzione ristora-
trice. Di qui il liquore oppiato del cabalista in grado di resti-
tuire le forze ad Alphonse al suo secondo risveglio sotto la
forca, o le varie declinazioni del vino, vero e proprio “fuoco li-
quido” in grado di risvegliare (così come i bonbons canthari-
dés di don Belial) i sensi assopiti del più tiepido degli amanti150.
Ma al di là di una sua facile catalogazione all’interno della
vasta famiglia degli alimenti afrodisiaci, il vino di Potocki sem-
bra assolvere anche un’altra funzione. L’alcol, strumento ini-
ziatico, agisce nel Manoscritto come una sostanza psicotropa,
come una sorta di condizionatore esterno capace di indurre e
forzare i procedimenti di spossessamento del sé del labirinto.
Elemento medianico, vero e proprio tramite simbolico attra-
verso il quale (bevendo il quale) accedere alla materia fanta-

149
Dall’edizione 1804: J. Potocki, Œuvres IV, 2 Manuscrit trouvé à Sa-
ragosse (1804), cit., p.82.
150
“Thibaud n’eut pas plus tôt bu et mangé, qu’il lui sembla qu’un feu
liquide circulait dans ses veines” (J. Potocki, op.cit., p.132, il corsivo è
mio).
“Je gagnai mon lit et tâchai de m’endormir. La bonbonnière était sur
une table de nuit; elle répandait un parfum délicieux. Je ne pus résister à la
tentation; je mangeai deux pastilles, et j’eus ce qu’on appelle une nuit in-
quiète, c’est-à-dire agite par des songes (…) Le trouble de mes sens alla
jusqu’à l’emportement; je sentais le feu circuler dans mes veines, je voyais
à peine les objets environnants, une nuage couvrait ma vue” (Ivi, pp.362-
363, il corsivo è mio).

– 96 –
LIQUIDI

stica della narrazione, il vino è quasi onnipresente nel testo. Al


dérèglement di sensi causato dall’assunzione della bevanda al-
colica, corrisponde un cambiamento di prospettiva. Ad un suo
primo contatto con le vene del corpo, un improvviso trascolo-
rare della natura del mondo:
Je mangeai donc la totalité des fruits, après quoi je vou-
lus me désaltérer à la source voisine. Lopez m’en em-
pêcha, alléguant que l’eau me ferait du mal après les
fruits, et qu’il avait à m’offrir un reste de vin d’Alicante.
J’acceptai son offre (…) Effectivement, non seulement
je me trouvais rétabli, mais même dans un état de force
et d’agitation qui avait quelque chose d’extraordinaire.
La campagne me semblait émaillée des couleurs les plus
vives; les objets scintillaient à mes jeux comme les
astres dans les nuits d’été, et je sentais battre mes artè-
res, surtout aux tempes et à la gorge151.
Senza neppure arrivare al cliché demoniaco del patto di san-
gue proposto da Belial al giovane Hervas152, il legame tra alcol
e sostanza sanguigna, mescolati indissolubilmente in un’unica
miscela afrodisiaca, appartiene all’universo pan-sessuale di Po-

151
Ivi, pp.33-34.
152
“-Ô Belial ! m’écriai-je, Belial, je sais bien qui tu es, et pourtant je
t’invoque.
-Me voici, s’écria l’esprit immonde. Prends ce poignard, fais couler
ton sang et signe le papier que je te présente.
-Ah! bon ange, m’écriai-je alors, m’avez-vous tout à fait abandonné?
-Tu l’invoques trop tard, s’écria Satan, grinçant les dents et vomis-
sant la flamme. En même temps, il imprima sa griffe sur mon front. J’y
sentis une douleur cuisante et je m’évanouis, ou plutôt je me croyais éva-
noui, mais j’étais réellement en extase. Une lumière soudaine éclaira la pri-
son. Un chérubin aux ailes brillantes me présenta un miroir et me dit:
-Vois sur ton front le Thau renversé: c’est le signe de la réprobation.
Tu le verras à d’autres pécheurs; tu en ramèneras douze dans la voie du
salut, et tu y rentreras toi-même. Prends cet habit de pèlerin et suis-moi”
(Ivi, p.368).

– 97 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

tocki come una sorta di nucleo fondativo. Tutti i viaggiatori,


durante la notte alla locanda, bevono vino. Tutti i personaggi in
qualche modo implicati in una storia d’amore e di fantasmi
hanno prima brindato alla propria dannazione (al proprio dis-
sanguamento) con un bicchiere di rosso di Alicante (“Sacre
mort du grand diable, je lui veux dans ce vin bailler mon sang
et mon âme si jamais je deviens plus homme de bien que je ne
suis”)153.
Sostituto del sangue, suo doppio potenziato, il vino sembra
essere in diretto contatto con entrambe le parti, recto e verso,
dello specchio del mondo. Una capacità mercuriale, questa, di
improvvisa modificazione e fluidificazione dei diversi piani di
realtà spinta da Potocki fino all’estremo delle sue potenzialità
fantastiche, ben oltre la sua immediata evidenza materica, per
arrivare quasi a toccare le radici, liquide e nascoste, della fab-
bricazione stessa del linguaggio:
Il prit le livre, trouva la composition de l’encre et fut
très surpris de comprendre si bien une chose que les plus
beaux esprits de l’Espagne regardaient comme très dif-
ficile. En effet il ne s’agissait que de mêler de la teinture
de noix de galle avec de la solution de vitriol et d’y
ajouter de la gomme(…) Mon père acheta le livre et se
procura dès le lendemain les ingrédients nécessaires,
une balance pour les doses, enfin, le plus grand flacon
qu’il put trouver dans Madrid (…)Voyant que les beaux
esprits de Madrid avaient en moins de rien tari le plus
grand flacon qu’il êut pu trouver dans toute le ville, mon
père fit venir de Barcelone une dame-jeanne, de celles
où les matelots de la Méditerranée mettent leurs provi-
sions de vin. Il put faire ainsi, tout à la fois, vingt bou-
teilles d’encre, que les beaux esprits épuisèrent comme
ils avaient fait des autres154.

153
Ivi, p.126.
154
Ivi, pp.147-148 (il corsivo è mio).

– 98 –
LIQUIDI

Figlio di una perenne vendemmia e di un procedimento me-


tamorfico dai tratti dichiaratamente alchemici155, l’inchiostro è
gemello del vino. Bottiglie, damigiane, botti utilizzate dai ma-
rinai sulle navi del Mediterraneo sono gli stessi materiali che
servono a don Phelipe Avadoro per riscaldare, contenere, pre-
servare il liquido nero della scrittura.
Come il vino, l’inchiostro è esso stesso una sostanza psico-
tropa. Come il vino, anche l’inchiostro, è un materiale mute-
vole, perfettamente in grado di scorrere attraverso lungo tutti gli
infiniti anfratti della parola.
In un continuo travasare l’uno nell’altro, sangue, alcol e in-
chiostro sembrano essere infatti le diverse incarnazioni di
un’unica identità tematica. Solo chi ha bevuto vino, chi ne ha
mescolato il succo con il proprio sangue, può avere accesso alle
cavità nascoste del labirinto. Solo chi ha bevuto vino può farlo
fuoriuscire nuovamente dalla bocca che lo ha inglobato sotto le
forme nere e pastose del flusso narrativo.
Agli altri, a chi ha esaurito ormai il proprio compito e la pro-
pria parola (come Alphonse, per tutta la seconda parte del testo)
non può che corrispondere la trasparenza, l’assoluta mancanza
di segno grafico, dell’acqua:
Les belles apportèrent cependant une olle bien chaude
que des gens envoyés à l’avance avaient fait mitonner
pendant toute la matinée. Nous en mangeâmes copieu-
sement, le vieux chef et moi, avec la différence qu’il en-
tremêlait son manger de fréquentes accolades à une
outre remplie de bon vin, tandis que je me contentais de
l’eau d’une source voisine156.

155
“Mon père se décida donc à faire venir du Toboso une de ces gran-
des jarres de terre dont on se sert pour la fabrication du salpêtre. Lorsqu’elle
fut arrivée, il la fit maçonner sur un petit fourneau, dans lequel on entrete-
nait constamment le feu de quelques braises. Un robinet adapté au bas de
la jarre servait à en tirer le liquide, et en montant sur le fourneau, l’on pou-
vait assez commodément le remuer avec un pilon de bois” (Ivi, p.148).
156
Ivi, p.143.

– 99 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Che i liquidi del Manoscritto provengano in realtà dalla git-


tata simbolica di un unico flusso di inchiostro non è irrilevante.
Il materiale di cui è fatto il testo stesso, la scrittura, liquido
coagulato e rappreso in arabeschi dotati di senso, è di fatto la
sorgente di tutte le immagini equoree del racconto. Nel suo
fluire sulla pagina, l’inchiostro comprende e ingloba il veleno
degli scorpioni di Pascheco, la pozione del cabalista, il sangue
delle due vergini moresche nel momento del loro dépucellage
e contemporaneamente il seme di Alphonse che le feconda, il
bicchiere mortale di Diègue Hervas, e la limonata in cui un Ve-
lasquez oltremodo confuso cercherà di intingere la penna per
scrivere (con scarso risultato) su un tovagliolo157.
La scrittura è infatti il vero medium. Il labirinto, il recinto
iniziatico è un recinto fatto di parole. E se Avadoro, doppio au-
toriale di Alphonse, come osserva giustamente Jan Herman, ar-
riva a cadere da piccolo nella immensa botte di inchiostro del
padre assorbendone il contenuto da tutti i pori e rivendicando
così la propria identità di personaggio letterario, Alphonse
stesso sembra portare la natura del proprio destino direttamente
iscritta nel nome: Alphonse Van Worden appunto, Alfonso
Delle Parole158.

157
“Imaginant qu’il tenait une plume au lieu d’un crayon, il le trempa
dans son verre de limonade qu’il prenait pour son encrier. On le laissa faire”
(Ivi, p.414).
Nell’edizione 1804 si tratta invece di cioccolata: “Ici le géomètre
tira de sa poche des tablettes et un crayon, mais, s’imaginant tenir une
plume, il trempa son crayon dans le chocolat. Voyant ensuite que le chocolat
n’écrivait pas à son gré, il voulut essuyer sa plume contre son habit noir et
l’essuya à la jupe de Rébecca” (J. Potocki, Œuvres IV, 2 Manuscrit trouvé
à Saragosse [1804], cit., p.193).
158
Cfr: J. Herman, “Tout est écrit ici-bas. Le jeu du hasard et de la né-
cessité dans le Manuscrit trouvé à Saragosse”, in: “Cahiers de l’Associa-
tion Internationale des Études Françaises”, n°51, 1999.
È da sottolineare inoltre, come scrive F. Rosset, che la combinazione
Avadoro-Pandesowna non è altro che un anagramma di Van Worden. Cfr.:
J. Potocki, op.cit., p.143.

– 100 –
LIQUIDI

La stessa composizione del liquido nero di cui si serve don


Phelipe sembra suggerire del resto questa gemellarità indisso-
lubile tra immagine e segno, tra labirinto e scrittura. Impasto
di “teinture de noix de galle, gomme et solution de vitriol”,
l’inchiostro contiene in sé, nella sua stessa struttura composi-
tiva l’intero labirinto della Sierra Morena. L’acronimo
V.I.T.R.I.O.L. (Visita Interiora Terrae Rectificandoque Inve-
nies Occultam Lapidem)159, di nascita settecentesca e in uso
ancora oggi nelle cerimonie massoniche ad indicare il percorso
di purificazione necessario ad ogni adepto per arrivare a com-
piere felicemente la propria ascesi, racchiude e rappresenta, in
un unico gesto, il viaggio di Alphonse160. “Percorri le viscere
della terra e rendendo diritto ciò che è obliquo troverai la pie-
tra occulta” sembra essere l’impalcatura narrativa, ridotta ai
suoi elementi primi, del racconto di Potocki.
Attraversando le viscere della Sierra Morena, Alphonse Van
Worden ci conduce realmente alla soluzione dell’enigma. Scio-
gliendo il continuo circolo dei giorni, rendendo diritte le strade
del labirinto iniziatico, il giovane soldato arriva a toccare con
mano la materia nobile degli alchimisti. Una pietra filosofale
immersa ancora una volta in una liquidità silenziosa e protet-

159
Per una prima analisi del termine cfr.: J. Chevalier, A. Gheerbrant,
Dictionnaire des symboles, Paris, Laffont, 1970.
160
Certo, in questa sede, sarebbe forse azzardato tentare una lettura del
testo di Potocki come roman maçonnique, anche se il complotto iniziatico
di matrice massonica, l’ipotizzazione di una sorta di società segreta in
grado, a fin di bene, di dirigere i passi e manipolare i comportamenti di un
ignaro viaggiatore è un motivo certamente presente (da Séthos dell’Abbé
Terrasson, di inzio secolo, fino al più famoso Maister goethiano) tra le carte
tematiche del gioco letterario settecentesco.
Cfr. a questo proposito F. Rosset, Le théâtre du romanesque. Ma-
nuscrit trouvé à Saragosse entre construction et maçonnerie, cit.; C. Nico-
las, “Du bon usage de la franc-maçonnerie dans le Manuscrit trouvé à
Saragosse” in: “Les cahiers de Varsovie”, 3, 1975; D. Triaire, “Jean Po-
tocki franc-maçon”, in: “Ars regia” 3/4, 1993.

– 101 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

tiva. Un oro massonico estratto a fatica con mezzi di scavo,


mazze e scalpelli, dai rimandi simbolici più che evidenti:
Je descendis un millier de marches toujours dans l’ob-
scurité, puis j’arrivaià une caverne éclairée par plusieurs
lampes. J’y vis un banc de pierre sur lequel étaient ran-
gés des ciseaux d’acier et des maillets du même métal.
Devant le banc était un filon d’or de l’épaisseur d’un
homme. Le métal était d’un jaune foncé et paraissait très
pur. Je compris aisément que ce qu’on attendait de moi
était de détacher du filon autant d’or que je le pourrais.
Je pris le ciseau de la main gauche, le maillet de la droite
et en peu de temps je devins assez habile mineur161.
Che il Manoscritto rappresenti una riflessione sulla lettera-
tura e le sue forme lo rivelano del resto i monologhi di Al-
phonse, di Rébecca, di Velasquez interamente leggibili lungo
l’asse interpretativo di una doppia direzione:
- Quelle est donc, me dis-je en moi-même, quelle est
cette puissante association qui paraît n’avoir d’aute but
que de cacher je ne sais quel secret, ou de me fasciner
les jeux par des prestiges dont je devine quelquefois une
partie, tandis que d’autres circonstances ne tardent pas
à me replonger dans le doute. Il est clair que je fais moi-
même partie de cette chaîne invisible. Il est clair que
l’on veut m’y retenir encore plus étroitement162.
È quasi immediato indovinare nella chaîne invisible che len-
tamente sembra avvolgere Van Worden i giri contorti di una
trama narrativa e nella congiura dello sceicco dei Gomelez la
necessaria congiura di cui ogni autore sembra macchiarsi nei
confronti dei suoi personaggi (Potocki è, del resto, lettore at-
tento di Diderot163).

161
J. Potocki, op.cit., p.541.
162
Ivi, p.154.
163
Cfr. M. E. Zoltowska, “Potocki, lecteur des romans de Diderot”, in:
“Europe”, cit.

– 102 –
LIQUIDI

Libro di sangue, libro di vino, libro di veleni, di acque, di


umori del corpo, il Manoscritto è soprattutto un libro di inchio-
stro164. La Sierra Morena, luogo di compresenza dei contrari,
unico luogo vivo e morto ad un tempo, è il Manoscritto. I suoi
confini coincidono con quelli del romanzo, la sua struttura labi-
rintica con l’architettura complessa della narrazione. Uscito Al-
phonse dalla Sierra, divenuto uomo reale nella vita reale (è
significativa l’irruzione del tempo storico in chiusura di ro-
manzo: “J’arrivai à Madrid le 20 juin 1739…”165), degli equili-
bri iniziatici di questo mondo di parole non può infatti,
necessariamente, che rimanere più nulla. La pagina come con-
gelamento della dimensione vitale dell’esistenza nel tempo so-
speso del racconto si presenta come luogo liminale senza alcuna
possibilità di uscita da sé. Allontanarsi dai confini incantati della
Sierra Morena significa allontanarsi dalla scrittura stessa.
Una volta rivelato il suo segreto, portato alla luce il tesoro d’in-
chiostro (un oro liquido a tutti gli effetti) della sua letterarietà, il
labirinto è costretto a implodere, a franare letteralmente su se
stesso, cancellando ogni traccia del suo teatro di meraviglie166:

164
Cfr. J. Herman, “Tout est écrit ici-bas. Le jeu du hasard et de la né-
cessité dans le Manuscrit trouvé à Saragosse”, in: cit., pp.148-149: “Au bout
du labyrinthe, il trouvera enfin le filon d’or qui assurera la fortune de tous
ses descendants, jusqu’à son épuisement, dont Alphonse sera témoin (…)
L’explosion qui détruira le labyrinthe souterrain répond assez exactement à
l’explosion du livre, le livre qui fait éclater ses propres limites. Le secrète du
filon d’or, révélé par l’inscription sur la pierre, est donc confié au livre. Le
parchemin prend la relève de l’inscription. La prose du monde va devenir
libre. Mais cette écriture à l’encre n’est que le succédané d’une écriture plus
vieille qui correspond à l’inscription du monde dans sa propre matière. Le
secret est toujours déjà écriture, tout est déjà écrit ici-bas”.
165
J. Potocki, op.cit., p.567.
166
Potocki non è certamente il primo e neppure l’ultimo ad istituire un le-
game metaforico tra oro e linguaggio. A questo proposito si confrontino le tra-
duzioni come spiccioli di rame di Montesquieu o le cambiali poetiche di Goethe
analizzate da H. Weinrich nel noto lavoro del 1958 “Münze und Wort” (“Mo-
neta e parola”). Tr.it. in: H. Weinrich, Metafora e menzogna, Bologna, Il Mu-
lino, 1976.

– 103 –
IL LABIRINTO CANNIBALE

Désirant être délivré des craintes qui tous les jours me


devenaient plus insoutenables, j’ai voulu savoir si le
filon était réellement inépuisable: j’ai percé le rocher
dans différentes directions et j’ai trouvé que le filon
n’avait réellement que quelques barres de longueur.
Monsieur Moro a bien voulu prendre la peine de calcu-
ler la valeur de ce reste, ainsi que la quantité à qui pou-
vait en revenir à chacun de nous. Il a trouvé que les
principaux intéressés pouvaient prétendre à un divi-
dende d’un million de sequins, et nos coopérateurs à
cinquante mille. On a extrait tout cet or et il est déposé
dans une caverne assez éloignée d’ici . D’abord je veux
vous mener au filon ou vos verrez qu’il n’y a plus rien.
Ensuite nous irons prendre nos parts. Nous descendî-
mes dans l’escalier tournant; nous arrivâmes au tom-
beau et de là au filon qui effectivement ne contenait plus
d’or. Le scheik nous pressa de remonter. Lorsque nous
fûmes dehors, un bruit affreux se fit entendre. Le scheik
nous dit que des mines avaient détruit toute la partie du
souterrain où nous avions été167.
E ben poca cosa sembra essere la spiegazione razionale dello
sceicco168, quell’ultima cancellazione frettolosa dei fatti mera-

167
J. Potocki, op.cit., p.570.
168
“Don Henri de Sa, gouverneur de Cadix, est un de nos affiliés. Il
vous a récommandé Lopez et Mosquito qui vous ont abandonné à l’abreu-
voir dos Alcornoques. Vous avez bravement continué votre chemin jusqu’à
la venta Quemada. Là vous avez trouvé vos épouses. Mais au moyen d’un
breuvage narcotique, le lendemain vous vous êtes trouvé couché sous le
gibet des frères Zoto. De là, vous êtes venu à mon ermitage où vous avez
trouvé le terrible démoniaque Pascheco lequel n’est proprement qu’un sal-
timbanque basque qui s’est crevé un œil en faisant un saut périlleux. J’ai cru
que sa terrible histoire vous ferait quelque impression et que vous trahiriez
le secret juré à vos cousines, mais vous êtes resté fidèle à votre parole
d’honneur. Le lendemain nous vous avons mis à une épreuve bien plus ter-
rible: un feint inquisiteur vous à menacé des plus affreux supplices et n’a
pu vous intimider. Nous voulions vous mieux connaître et nous vous avons

– 104 –
LIQUIDI

vigliosi del romanzo così come ben poca cosa, rispetto al te-
soro perduto dei Gomelez, sarà l’incarico di governatore di Sa-
ragozza con cui Alphonse si assicurerà una onesta vecchiaia.
Al di fuori del tempo iniziatico della scrittura, al di fuori del
labirinto, vita e morte non possono più trovare alcuno spazio di
coincidenza.
E non c’è appunto ipotetico stato di veglia che non comporti
necessariamente la morte del sogno.

attiré au château d’Uzeda. Là de dessous la terrasse, vous avez vu des Bo-


hémiennes très ressemblantes à vos cousines et c’étaient elles en effet. En
entrant dans la tente du Bohémien, vous n’avez plus vu que ses filles qui,
soyez-en certain, n’ont eu aucune part à vos aventures” (Ivi, pp.566-567).

– 105 –
BIBLIOGRAFIA

La presente bibliografia fa riferimento unicamente ai documenti


direttamente inerenti alla realizzazione del libro. Per un catalogo esaustivo
delle opere di Jean Potocki e degli studi sul Manuscrit trouvé à Saragosse
si rimanda a: F. Rosset, Le théâtre du romanesque. Manuscrit trouvé à
Saragosse entre construction et maçonnerie, Lausanne, L’Age d’Homme,
1991; F. Rosset, D. Triaire, De Varsovie à Saragosse: Jean Potocki et son
oeuvre, Louvain, Peeters, 2000; D. Triaire, Inventaire des œuvres de Jean
Potocki, Genève, Slatkine, 1985.

Testi:

Potocki J., La duchesse d’Avila. Manuscrit trouvé à Saragosse (a cura di R.


Caillois), Paris, Gallimard, 1958
— La duchesse d’Avila. Manuscrit trouvé à Saragosse (a cura di R.
Caillois), Paris, Gallimard, 1967
— Manuscrit trouvé à Saragosse (a cura di R. Radrizzani), Paris, José
Corti, 1989
— Oeuvres I. Voyage en Turquie et en Égypte, Voyage en Hollande,
Voyage dans l’Empire de Maroc, suivi du Voyage de Hafez, Voyage
dans quelques parties de la Basse-Saxe, (a cura di F. Rosset, D.
Triaire), Louvain, Peeters, 2004
— Oeuvres II. Voyage à Astrakan et sur la ligne de Caucase - Mémoire
sur l’ambassade en Chine - Objets de recherche - Sophio-polis, (a cura
di F. Rosset, D. Triaire), Louvain, Peeters, 2004
— Oeuvres III. Théâtre - Histoire - Chronologie - Écrits politiques (a cura
di F. Rosset, D. Triaire), Louvain, Peeters, 2004
— Oeuvres IV 1. Manuscrit trouvé à Saragosse ‹version de 1810› (a cura
di F. Rosset, D. Triaire), Louvain, Peeters, 2006
— Oeuvres IV 2. Manuscrit trouvé à Saragosse ‹version de 1804› (a cura
di F. Rosset, D. Triaire), Louvain, Peeters, 2006
— Oeuvres V. Correspondance - Varia - Chronologie - Index général (a
cura di F. Rosset, D. Triaire), Louvain, Peeters, 2006

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IL LABIRINTO CANNIBALE

— Parades. Les Bohémiens d’Andalousie (a cura di D. Triaire), Arles,


Actes Sud, 1992
— Voyage dans les steppes d’Astrakhan et du Caucase (a cura di D.
Beauvois), Paris, Fayard, 1980
— Voyages en Turquie et en Égypte, au Maroc, en Hollande (a cura di D.
Beauvois), Paris, Fayard, 1980

Studi:

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J. Herman, P. Pelckmans, F. Rosset (a cura di), Le Manuscrit trouvé à
Saragosse et ses intertextes, Louvain, Peeters, 2001
Bacchiega M., Il pasto sacro, Padova, C.I.D.E.M.A., 1971
Bachelard G., L’eau et les rêves. Essai sur l’imagination de la matière,
Paris, Corti, 1942
Barber P., Vampiri. Sepoltura e morte, Parma, Pratiche, 1994
Baroja J.C., Vidas mágicas e Inquisición, Madrid, Taurus, 1967
Barthes R., Sade Fourier Loyola, Paris, Seuil, 1971
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Beauvois D., “Du cosmopolitisme à l’impérialisme”, introduzione a: Voyage
dans les steppes d’Astrakhan et du Caucase, Paris, Fayard, 1980
— “Jean Potocki voyageur”, introduzione a: Voyages en Turquie et en
Égypte, au Maroc, en Hollande, Paris, Fayard, 1980
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— “La genèse du Manuscrit trouvé à Saragosse”, in: “Les Cahiers de
Varsovie”, 3, 1975
— “Le Manuscrit trouvé à Saragosse et la technique romanesque du
XVIIIème siècle”, in: “Les Cahiers de Varsovie”, 3, 1975
— “Potocki, lecteur des romans de Diderot”, in: “Europe”, 863, 2001

– 112 –
Finito di stampare
nel mese di Maggio 2007
presso
Digital Print Service
Via Torricelli, 9
20090 Segrate – Milano

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