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Marco Amerighi
RANDAGI
Romanzo
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Prima edizione agosto 2021
www.bollatiboringhieri.it
Anno Edizione
2024 2023 2022 2021 1 2 3 4 5 6 7
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Randagi
A Mavie
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Parte prima
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1.
La maledizione Benati
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12 randagi
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la maledizione benati 13
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14 randagi
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la maledizione benati 15
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16 randagi
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18 randagi
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la maledizione benati 19
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20 randagi
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la maledizione benati 21
«Sssssh!»
Pietro si voltò. Sulla soglia di camera il Mutilo, con una
stecca da biliardo in mano, gli faceva cenno di seguirlo;
ecco chi aveva fischiato. Si alzò dal letto, imboccò il corri-
doio, ma temendo che avesse scoperto la fuga di Tommaso
e stesse per bacchettarlo, davanti al ripostiglio chinò la
testa e restò in attesa della punizione.
«Se la tiri giù, ti do duemila lire» disse suo padre.
«Cosa?»
Il Mutilo stava cercando una valigia di pelle rossa. Sa-
peva che era lassù, in cima a quell’armadio enorme, ma
non era riuscito ad afferrarla neanche salendo su una sedia,
e la scala stava su dal Maggiore, perciò era come se non
esistesse. Prima ancora che Pietro potesse rifargli la do-
manda, il Mutilo se lo caricò sulla schiena e gli porse la
stecca da biliardo.
«Buttala giù con questa».
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la maledizione benati 23
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2.
Un posto in cui pregare
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un posto in cui pregare 27
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28 randagi
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30 randagi
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32 randagi
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36 randagi
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3.
La Grande Occasione
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la grande occasione 55
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la grande occasione 57
Ti intervistano?
Figurati
Tv?
Mi metto il solito
IlVestitoDaBecchinoDelDipl
oma?NonMiStupireiSe1Giorn
oScendesseDallaGrucciaESiL
anciasseDallaFines.GuardaN
elMioArmadio.AltoSX
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4.
Fantasmi
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Parte seconda
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1.
Turbolenze (o Farsi un’idea su Dora)
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turbolenze (o farsi un’idea su dora) 101
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2.
Una cartolina da New York
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3.
Camera con vista
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4.
L’albero della scienza
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«Pronto?»
«Davide, sono io. Dormivi?»
«Che ore sono?»
«Le dieci. Senti, non posso venire».
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Stronzo!
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5.
Nella Valle della Morte
Da: tommasobenati@libero.it
A: pietroguitar@con.mascagni.liv.com
Oggetto: Around The World (Duft Punk, 1997)
Data: 10-03-2004, 17:02
Caro Bombolo,
prima di tentare di spiegarti che ci faccio in mezzo al
deserto delle Ande cilene c’è una cosa che voglio dirti, a
costo di sembrarti pazzo: ho sempre pensato che sarei
morto giovane. Lo so a cosa stai pensando e no, questa
e-mail non è la versione aggiornata di uno dei nostri bi-
glietti né l’estremo saluto di un suicida. Anche se questi
ultimi due mesi sono stati i peggiori della mia vita, non è
per dirti addio che ti scrivo.
Mi sono chiesto spesso se questo mio tarlo del morire
giovane (come dovrei chiamarlo, Pietro, percezione, fi-
sima, terrore?) dipendesse dal clima da disastro nucleare
imminente in cui nostra madre ci ha cresciuti, dopo la tua
folgorazione. O se fosse invece originato dal pensiero che
ogni volta che il Mutilo partiva per uno dei suoi viaggi
di rappresentanza poteva essere l’ultima volta che lo
vedevamo.
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nella valle della morte 135
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6.
L’esplosione
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l’esplosione 147
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«Come?»
Sorrise.
«C’è poco da ridere, sai?»
«Lo so».
«Sei un caso disperato. Scommetto che tuo padre è l’op-
posto di te con le ragazze».
«Come fai a saperlo» disse Pietro.
«Involuzione. Si eredita sempre il peggio. È così che ci
estingueremo».
Quei pronomi riflessivi dimenticati, quelle parole tra-
dotte male o fuori contesto che nei momenti di rabbia o di
tensione emergevano come iceberg dagli oceani dei suoi
sproloqui, per Pietro erano la spia che sotto la Dora spac-
cona, sotto la Dora logorroica, sotto la Dora irriverente, si
nascondeva un’altra persona, affetta dal suo stesso sperdi-
mento e in attesa di un miracolo.
Dora?
Sì.
Dora?
Dimmi.
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Dora?
Sì.
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Aspetta.
Che c’è?
Non andare.
Perché? Cosa vuoi da me?
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7.
Nel buio
Da: pietroguitar@con.mascagni.liv.com
A: tommasobenati@libero.it
Oggetto: Miss Misery (Elliott Smith, 1997)
Data: 11-03-2004, 10:47
Caro fratellone,
credo che tu sia impazzito, sì.
Per prima cosa, giusto per fare chiarezza, anche se non
so quanto riuscirò a essere chiaro in questo internet café
perché i gemelli egiziani che lo gestiscono cantano in con-
tinuazione, quando mi portavi sul Monte Serra non lo fa-
cevi per il tarlo, come scrivi, ma per costringermi a reggerti
il moccolo con le tue ragazze senza nome. O ti sei scordato
di quella volta, a dicembre, che stavo congelando, ci sa-
ranno stati al massimo dieci gradi, e ti venni a bussare al
finestrino e te mi dicesti: «Trovati una pecora e abbrac-
ciala, magari scopri che ti piace»? Due ore dopo scaricasti
la tipa e io mi beccai bronchite e partaccia di Tiziana.
Poco fa ti ho chiamato sul cellulare. Due volte. Non mi
hai risposto, di nuovo. Hai visto cosa sta succedendo qua?
Ho appena letto sui giornali che potrebbero esserci altre
bombe non esplose. Ovviamente mamma mi ha già chiesto
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nel buio 157
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nel buio 159
Rispondi, cazzo.
Pietro
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8.
Sotto il poster di Rafael Alberti
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«C’è qualcuno?»
Pietro ripeté la domanda senza pensare che, se anche
fosse stato presente un ladro, difficilmente gli avrebbe ri-
sposto di accomodarsi. Superato il cucinotto, si affacciò al
piccolo salotto su cui una cortina di fumo gravitava a
mezz’aria. Fece in tempo a notare con la coda dell’occhio
la sagoma di un uomo che si stava fiondando fuori dal
bagno e correva verso il salotto, e cercò di agguantarlo per
un braccio guadagnando una labbrata che gli avrebbe moz-
zato di netto la lingua, se solo lo sconosciuto non fosse
scivolato a terra permettendo a Pietro di placcarlo.
«Laurent?»
«Pietro?»
Indossava solo un paio di occhialini da nuoto azzurri e
uno slip rosso. Sebbene avesse smesso di allenarsi, il fran-
cese aveva ancora un fisico asciutto e scolpito. Pietro lo
vide sfilarsi gli occhialini mostrando due occhi enormi e
palpitanti.
«Si può sapere cos’hai combinato?»
«Io? Tu cos’hai combinato! Il tuo ritardo rischia di man-
dare tutto a puttane!»
Dopodiché agguantò l’accappatoio che penzolava dal
lampadario, glielo lanciò sulle spalle, e lo trascinò di nuovo
fuori, lungo le scale. Pietro avrebbe voluto chiedergli
dove stesse andando, farlo ragionare: insomma, su che
pianeta viveva, non aveva capito cos’era successo? Fuori
le strade erano avvolte da uno strano silenzio, come se dai
negozi, dai palazzi e dalle chiese fosse scomparsa qualun-
que presenza umana e quando Laurent salì su un taxi, la-
sciandogli lo sportello aperto, Pietro ebbe paura di restare
solo e lo seguì.
Scesero davanti al Parco del Retiro ma, trovando i can-
celli chiusi, girarono attorno all’inferriata finché non scor-
sero un’acacia le cui fronde pendevano dentro i giardini.
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9.
Rainbow Party
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10.
Fuori dai giochi
Da: pietroguitar@con.mascagni.liv.com
A: tommasobenati@libero.it
Oggetto: The Show Must Go On (The Queen, 1991)
Data: 27-3-2004, 13:55
Caro fratellone,
vaffanculo.
Avevi giurato che non saresti scomparso di nuovo e in-
vece hai staccato il cellulare e te ne freghi se noi ti cer-
chiamo dall’altro capo del mondo.
Vaffanculo a Tiziana, che ha troppa paura di restare sola
per cacciare di casa quello là. Quando le ho detto che eri
in Sudamerica, per poco non le prende un coccolone; lei e
la sua cazzo di fissazione di essere il parafulmine delle di-
sgrazie di famiglia.
Ma soprattutto vaffanculo a me. Perché lo sapevo. Sa-
pevo che sarebbe stata una perdita di tempo e io, demente,
ci sono andato lo stesso.
Sai cosa gli ho sempre invidiato al Mutilo? La capacità
di dimostrarsi al di sopra delle nostre aspettative. Te lo sai
come fa? Come fa a superarsi ogni volta?
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fuori dai giochi 187
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fuori dai giochi 189
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11.
Il bersaglio
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il bersaglio 201
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202 randagi
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il bersaglio 203
«Cosa sono?»
«Cosa sono? Spero tu stia scherzando, amore. Non hai
mai sentito parlare delle uova alla Dora?»
«Né sentite né assaggiate. Altrimenti non l’avrei chie-
sto, tesoro».
María doveva conoscere già la risposta perché si coprì la
bocca con una mano e soffocò una risata.
«Dolce Pep, vediamo come te lo spiego. Le uova saltate al-
la Dora sono una prelibatezza destinata a pochi fortunati».
Pep scosse la testa stizzito, come se gli fosse caduto in
testa un ragno e volesse scagliarlo il più lontano possibile.
«E allora? Perché io non sono uno di quei fortunati?»
«Oh, Pep, dolce Pep. Così bello e tardo. Le cucina
per i suoi uomini. E tu non sei abbastanza etero per
meritarle».
Aday gli pizzicò la camicia all’altezza del capezzolo e lo
baciò sulla bocca, mentre Pep fingeva di divincolarsi e
Dora serviva gli invitati. Quando arrivò il suo turno, Pie-
tro chinò lo sguardo sul piatto di huevos estrellados e in
quel preciso momento Elena sollevò un calice e fece un
brindisi in perfetto spagnolo: a un nuovo anno pieno di
amore per la mia bambina. L’attimo dopo scoppiò a ridere,
seguita da Pep e Aday. María riempì i calici e iniziò a can-
tare Tanti auguri.
Pietro guardò Dora. «È il tuo compleanno?»
«Così dicono».
«Perché non me l’hai detto? Se l’avessi saputo...»
«... ti saresti presentato con un regalo orripilante che
avrei buttato nella pattumiera».
«Ho portato una bottiglia a tua madre».
«E l’hai fatta felice. Domani, grazie a Dio, sarà un altro
giorno. Lei se ne sarà tornata da dove è venuta e io non
dovrò giustificarmi come sto facendo adesso. Forza, ordi-
niamo il sushi. Ho fame».
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il bersaglio 205
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206 randagi
tava niente, di lui o del fatto che potesse avere un’altra ra-
gazza? «Io vado a casa. Sono stanco e domani...»
«Devi studiare».
«Grazie dell’invito».
«Ti sei arrabbiato?»
Abbassò la testa e la rialzò, e rispose allo specchio cre-
pato: a uno dei venti riflessi di Dora che si stava dando il
rossetto. «Perché sto passando tutta la sera ad ascoltare i
resoconti dei tuoi ex fidanzati o perché mi vuoi appioppare
una tua amica?»
Pietro aprì la porta e fece un passo verso il corridoio ma
Dora lo girò e gli diede un bacio. Un bacio impacciato e
quieto, che non sembrava avere nulla a che vedere con la
tensione delle parole pronunciate un istante prima, ma che
piuttosto suonava come una richiesta di scuse. Di Pietro,
per non esser stato capace di dirle che gli importava di lei;
di Dora, per aver fatto di tutto per tenerlo lontano.
Due mani li costrinsero a separarsi. «Basta con queste
smancerie, voi due. Qua c’è gente che deve pisciare» disse
Aday.
Quando Pietro rialzò lo sguardò, Dora era già rientrata
in salotto.
La cena era arrivata al capolinea. Pietro si era quasi il-
luso di averla scampata quando, dopo un flan de nata con-
fezionato, la madre di Dora gli fece cenno di raggiungerlo.
Gli chiese da dove veniva, che lavoro facevano i suoi geni-
tori, se aveva fratelli, cosa contava di fare nella vita (Pietro
le rispose senza dilungarsi), e gli raccontò del suo tour in
Toscana, tra Viareggio, dove viveva e lavorava la sua mi-
gliore amica, Siena, le colline metallifere, Volterra e l’isola
d’Elba. Quindi guardò l’orologio e, come se si fosse ricor-
data solo allora di un impegno urgente, posò il ginocchio a
terra per alzarsi.
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il bersaglio 207
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208 randagi
Dora?
Sì.
Non andare, resta qui.
Perché?
Credo di essermi innamorato.
È una che conosco?
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il bersaglio 209
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12.
Farsi un’idea su Dora II
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13.
L’errore
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l’errore 229
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14.
Bienvenidos a Bolivia
Da: tommasobenati@libero.it
A: pietroguitar@con.mascagni.liv.com
Oggetto: Nothng Else Matters (Metallca, 1992)
Data: 28-4-2004, 09:18
Caro fratellno,
t scrvo dalla sala rcreatva degl nfermer d un pccolo ospe-
dale a un centnao d chlometr da La Paz, n Bolva. Prma che
t prenda un nfarto, sto bene. Ho ancora dolore cane alla
cavgla e alle costole, ma ogn gorno m alzo e cammno con
un trepped che m ha prestato Nuño, un vcno d letto sem-
pre d buon umore.
Come avra capto, la tastera del computer non funzona
bene. Soprattutto l tasto che vene dopo la h. Ho provato
a pulrla con uno spazzolno ma gl nfermer s sono mess a
rdere e ho lascato perdere. M sa che m consderano l pù
grosso coglone dell’unverso. Vsto come sono andate le
cose, come posso dargl torto?
Nuño ha detto che anche gl nfermer hanno bsogno d
qualche dversvo ogn tanto. Spece n quest gorn d angosca.
Forse l’avra sentto alla tv. Un gruppo d mnator n scopero
ha sequestrato l poltco che era andato a ncontrarl e ora
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bienvenidos a bolivia 231
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15.
Dammi retta, per favore
Da: pietroguitar@con.mascagni.liv.com
A: tommasobenati@libero.it
Oggetto:
Data: 29-4-2004, 13:59
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16.
Bozze
Da: pietroguitar@con.mascagni.liv.com
A: tommasobenati@libero.it
Oggetto: Hurt (Johnny Cash 2002, cover dei Nine Inch
Nails)
Data: 28-4-2004, 22:59
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bozze 239
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17.
Torneranno le scure rondini
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torneranno le scure rondini 247
Non poteva salire da lei, per dirle cosa, poi? Che aveva
avuto paura? Che aveva ceduto alla vertigine che lo pren-
deva ogni volta che pensava al futuro, come durante quel
disastroso provino a Londra?
La città inviava gli ultimi segnali di una serata estiva: il
cigolio dei ventilatori sopra i tavoli vuoti dei ristoranti
all’aperto; il baluginio di una tv accesa dentro un garage;
un netturbino che puliva la piazza con un idrante. Poi, di
colpo, il lampione sopra il muretto sfarfallò e si spense.
Avvolto dal buio Pietro ripensò a quello che gli aveva
detto la madre di Dora durante la cena di compleanno, che
le ragazze come sua figlia sceglievano sempre la persona
sbagliata. Perché non aveva scelto lui, allora, nella vita ave-
va commesso una caterva inenarrabile di sbagli.
Non era un problema del lampione: anche le insegne degli
alimentari cinesi, i fari del viadotto dei suicidi e quelli che
circondavano la cattedrale, e anche le maestose fronde dei
platani della piazza erano state inghiottite dall’oscurità.
Sollevò lo sguardo in direzione dei balconi liberty del
terzo piano e ricordandosi della notte in cui era saltata la
luce e Dora si era messa a piangere, pensò a come sarebbe
stato facile: raggiungere il citofono,
Sei in casa?
leggere il nome scritto a mano sulla buca delle lettere,
doramas asturias manfredini,
Sto arrivando, resisti,
salire le scale di corsa, tre gradini alla volta – l’atto di
valore più atletico e romantico della sua esistenza,
Eccomi!
spalancare la porta d’ingresso,
prenderle il volto tra le mani,
Scusa,
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18.
Children
Da: tommasobenati@libero.it
A: pietroguitr@con.mascagni.liv.com
Oggetto: Children (Robert Miles, 1996)
Data: 29-7-2004, 08:30
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19.
Mi stai prendendo per il culo?
Da: pietroguitar@con.mascagni.liv.com
A: tommasobenati@libero.it
Oggetto: Tonight, tonight (Smashing Pumpkins, 1995)
Data: 29-7-2004, 13:30
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Parte terza
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1.
Il mio petto è un mare profondo
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il mio petto è un mare profondo 255
aveva scritto T.
O la maledizione
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«Bomboloooo».
Pietro alzò la testa dal libro aperto sulla scrivania.
«Devo studiare. E non chiamarmi così».
Da quando era rientrato dalla Spagna, e a suo padre erano
stati concessi gli arresti domiciliari che gli avrebbero con-
sentito di scontare i restanti due anni e mezzo tra le mura
dell’appartamento al quarto piano, Pietro si era stabilito a
casa di sua nonna Lea, al piano di sopra. Cosa potevano
sedici gradini di distanza contro l’invadenza del Mutilo?
Non abbastanza. Per questo Pietro aveva imposto una re-
gola. Qualora a suo padre fosse venuto in mente di colmare
quello spazio e oltrepassare la porta del suo appartamento,
lui l’avrebbe denunciato per abbandono di domicilio.
«Così come?» T si fermò per guardare l’ombra di un pic-
cione che tagliava il pavimento assolato accanto alla sedia di
suo fratello, e s’infilò in bocca la pipa. «Bombolo?»
Pietro girò pagina. «Piantala».
«Perché sennò cosa mi fai... Bombolo?»
Non gli diede il tempo di rispondere e si lanciò addosso
a suo fratello, tirandolo giù dalla sedia e bloccandogli la
mandibola con una mano, mentre con l’altra gli serrava il
collo.
«Mi accompagni a comprare il tabacco?»
«No».
Invece di insistere, T lo lasciò cadere sul tappeto e si
avvicinò alla scrivania. Scrutò l’antologia di teatro del Sei-
cento e la sollevò per la costola con due dita, come se dalle
pagine stesse grondando l’inchiostro dei caratteri. Poi si
avvicinò alla finestra.
«Non fare il coglione».
«Vieni?»
«È del mio professore».
«Non credo che al cedro dell’Himalaya importi gran-
ché». Portò il libro dietro la testa e inarcò il busto; stava
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il mio petto è un mare profondo 257
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«E allora?»
T scalzò l’incarto dal tappo con l’unghia del pollice.
«Voglio fermarmi all’apice della felicità e guardarmi
attorno».
«Perché non ti fai un filmino quando sei in vacanza?»
«Non cerco un ricordo, Pietro. L’esatto contrario».
Strinse la presa attorno al tappo e sorrise. «Voglio vedere
il futuro prima che prenda forma».
Stappò la bottiglia sull’ultima sillaba e Pietro chiuse gli
occhi, un riflesso automatico che non aveva più perso da
quando suo padre lo obbligava ad aprire lo spumante a
Natale per vincere la paura dei botti. Nel buio di quella
frazione di secondo si proiettò al giorno delle nozze. Li
immaginò in mezzo a una prataia di margherite, entrambi
a piedi scalzi, circondati da un tentacolo di luci, lei in ve-
stito bianco e serto nuziale di fiori d’arancio, lui in com-
pleto italiano grigio perla e con il fermacravatte che Pietro
gli aveva regalato al rientro da Madrid come ringrazia-
mento per averlo spinto a saltare fuori dal guscio.
«Questo è il momento in cui dovresti dire che sei con-
tento, che Melany è una donna straordinaria e che andrà
tutto a meraviglia».
«Sono contento. Melany è una donna...»
«Ehi, non ci starai provando con la moglie di tuo
fratello?»
Sembrava un cane in mezzo alla neve: portava il peso su
un piede, lo trasferiva sull’altro. Se Pietro non l’avesse
conosciuto meglio di quanto conosceva se stesso, avrebbe
detto che si era calato qualcosa.
Melany era indubbiamente la donna della sua vita. T
glielo aveva ripetuto cinque milioni di volte. Ma adesso
che aveva sentito pronunciare quella frase che si sommava
all’annuncio via e-mail di un figlio in arrivo, era come se
attorno a T l’aria fosse esplosa in un’onda di particelle
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2.
Il più tosto figlio di puttana del Tirreno
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3.
Sorprese
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«Dove?»
«Qua vicino».
«Laurent, per favore».
«Viareggio».
«Lo sai che non troverai l’ombra di una tedesca, sì? Le
turiste arrivano a metà maggio. Senti, se torni nelle va-
canze di Pasqua ti faccio fare il gran tour al completo. E
poi, se non te ne fossi accorto, qua sta per venire giù il
diluvio universale».
Laurent si tolse il cappello e alzò la testa al cielo. Quando
tornò a guardare Pietro i suoi occhi avevano qualcosa di
molto diverso dalla spensieratezza che aveva palesato fino
a quel momento.
«Se ti dicessi che mi restano tre giorni di vita, mi chie-
deresti di tornare a primavera?»
Pietro indietreggiò di un passo e sbatté contro il portone.
Ora che lo guardava bene, era chiaro che non fosse il ritratto
della salute: così smagrito, e poi quelle occhiaie.
«Dio, dovresti vedere che faccia hai fatto. Ah ah ah.
Non mi restano tre giorni, era solo un’ipotesi».
L’avrebbe preso a schiaffi, se solo ne avesse avuto la
forza.
«Chi c’è a Viareggio, Laurent?»
Lo vide rimettersi gli occhiali da sole e indicargli la
Mazda parcheggiata sul marciapiede.
«Com’è che dicono nei film? C’è solo un modo per
scoprirlo».
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4.
L’inchiostro dello scolaro
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l’inchiostro dello scolaro 307
«E se ti beccava il vicino?»
«Oh, ma mi ha beccato, infatti. Immagino di avergli
fatto troppa pena per denunciarmi. Ero a pezzi, per la
storia con Simon. Quando non mi drogavo pensavo a come
procurarmi la droga, te l’ho detto».
«Veramente non mi hai detto nulla, Laurent. Mi hai
trascinato qui senza...»
«E poi ho trovato Dora».
Dora. Lo stava portando da lei? Ma sì, era ovvio, per quale
altro motivo sennò? Perché non glielo chiedeva e si toglieva
il dente? In fondo, aveva pensato a Dora ogni singolo giorno,
nei mesi dopo il rientro in Italia; finché l’incidente di suo
fratello non l’aveva travolto come un’esplosione nucleare,
costringendolo a tagliare con il proprio passato.
«Così, per caso?»
«Il caso, dici. Era un caso che io fossi tornato a Madrid,
invece di stabilirmi a San Sebastián o in qualche altro pa-
ese della costa nord come dicevo da una vita? Era un caso
che io stessi bazzicando davanti alla Casa Encendida di
Lavapiés nel momento esatto in cui Dora usciva dal suo
incontro del mercoledì? Non credo».
Pietro abbassò ancora il finestrino e alzò la voce per
sovrastare il vento. «Quale incontro?»
«Devo ammettere che ero diventato uno specialista dei
gruppi di sostegno. Ma andavo anche a quelli di teatro,
informatica, cucito, educazione sessuale, lettura della Bib-
bia, non faceva differenza, purché fossero gratis e offris-
sero biscotti e caffè...»
Poi di colpo Laurent si girò verso il suo passeggero. Os-
servò la giacca nera di tweed e la camicia bianca che era
salito a mettersi prima di partire e la tracolla con il por-
tatile. E scoppiò a ridere.
«Sembriamo una barzelletta, vero? C’erano un gigolò,
un’esaurita e un italiano».
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5.
Diario di una pazza
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6.
Cosa abbiamo fatto?
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DECINEDIPASSERIMORTISULLA
PISTA.LEALISPEZZATEICRANI
FRACASSATI.COMESESIFOSSE
ROSCHIANTATICONTROU1MU
ROINVISIBILE!
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«Mangiato?»
«No, lanciato fuori dalla finestra. Mangiato, certo. Io
dico... spaghetti alle vongole».
«Non è un piatto così speciale».
«Lo dici tu. Per una che si è nutrita a insalata... tocca a
lei, Mister Palato Sopraffino».
Pietro pensò al giorno in cui il Mutilo aveva lasciato il
carcere ed era tornato a casa. Tiziana aveva passato la
notte a cucinare per replicare il menu di uno chef con due
stelle Michelin (insalata di erbe fini e spinaci, mimosa e
formaggio; bresaola cotta come uno shawarma, infusione
leggera alla bagna cauda e caviale; millefoglie di Cantucci
appiattiti e semifreddo di Ricciarelli). A Pietro sembrava
di sentirla ancora, la nausea che gli chiudeva lo stomaco a
ogni parola di complimento del Mutilo e la rabbia, il desi-
derio di prendere tutto quel ben di Dio e tirarglielo in
faccia.
«Questi tortelli».
Dora scoppiò a ridere.
«Mi fiderò. Ma solo perché sei stato così gentile da farti
sequestrare da Laurent. Miglior luogo visitato?» disse pen-
sando alla casa sulla costa valenciana, e al viaggio di nozze
in Equador e nelle isole Galapagos che in quell’ultima notte
Jaime le aveva dispiegato davanti, male interpretando i suoi
dubbi. «Inizio io: un isolotto delle Galapagos chiamato
Daphne. Hai mai fatto il bagno con i pinguini e i leoni ma-
rini? È un’esperienza che non si può spiegare. Se il paradiso
non è quello, credo ci assomigli parecchio. Ora tocca a te».
Pietro si chiese quando ci fosse andata e perché, ma in-
vece di domandarglielo disse: «Io non mi sono mai mosso
di qua».
«Cristosanto, che noia che sei. Miglior scopata?»
Pietro arrossì e rischiò di strozzarsi con un tortello, e
Dora rise di nuovo.
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7.
Il sangue del martire
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8.
Il miracolo
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9.
Contro Dio il clamore fraterno
(E poi vienimi a dire che il nostro amore non è
grande come il cielo sopra di noi)
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Ringraziamenti
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Indice
Randagi
Parte prima
11 1. La maledizione Benati
26 2. Un posto in cui pregare
53 3. La Grande Occasione
77 4. Fantasmi
Parte seconda
99 1. Turbolenze (o Farsi un’idea su Dora)
109 2. Una cartolina da New York
110 3. Camera con vista
123 4. L’albero della scienza
134 5. Nella Valle della Morte
139 6. L’esplosione
156 7. Nel buio
160 8. Sotto il poster di Rafael Alberti
168 9. Rainbow Party
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386 indice
Parte terza
253 1. Il mio petto è un mare profondo
268 2. Il più tosto figlio di puttana del Tirreno
282 3. Sorprese
305 4. L’inchiostro dello scolaro
315 5. Diario di una pazza
331 6. Cosa abbiamo fatto?
347 7. Il sangue del martire
359 8. Il miracolo
373 9. Contro Dio il clamore fraterno (E poi vienimi
a dire che il nostro amore non è grande come il cielo
sopra di noi)
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Varianti
Stuart Evers
La luce cieca
Romanzo
Due generazioni sullo sfondo della storia dei nostri ultimi sessant’anni. Tutto
ha inizio nel 1959 quando Drum – figlio di un barista, working class – e
Carter – ricco esponente della classe più agiata – stringono amicizia durante
il servizio militare a Doom Town, un centro urbano nel nord dell’Inghilterra,
dove vengono simulate le conseguenze della bomba atomica. Nello stesso
luogo, Drum conosce Gwen, la donna che amerà tutta la vita e con la quale
avrà Anneka e Nathan. Carter sposa invece la fidanzata di sempre, Daphne,
e con lei avrà Thomas e Natasha. Le due famiglie saranno vicine di casa nella
proprietà di campagna di Carter, nel frattempo diventato un alto ufficiale
dell’esercito inglese, che offre a Drum di badare all’annessa fattoria. C’è un
segreto tra loro: la casa di Carter avrà presto un rifugio antiatomico, e, in
cambio della presenza di Drum sulla sua terra durante le sue molteplici as-
senze, Carter promette che Drum con la moglie e i figli avranno il privilegio
della salvezza nel bunker. Del resto, erano anni in cui lo scoppio della bomba
atomica sembrava solo una questione di tempo.
Nei decenni successivi seguiamo le vicende delle due famiglie: le incompren-
sioni tra genitori e figli, il voltafaccia di qualcuno, le difficoltà per tutti di
trovare la propria strada, lo sforzo per portare avanti gli impegni presi. Sullo
sfondo gli avvenimenti storici, politici e sociali che ci hanno segnato, dagli
scioperi anni Sessanta e Settanta, agli allarmi per la bomba atomica – ancora
numerosi in epoca Thatcher –, ai più recenti attacchi terroristici, ai rave party.
Con una struttura tradizionale, cronologica, ma con una scrittura contem-
poranea fatta di frasi brevi, incisive, precise, Evers ci racconta una storia
che mette insieme un respiro epico e uno sguardo intimo. Straordinari, in
questo romanzo, i personaggi, e straordinaria la riflessione che permea tutto
il libro, sull’amicizia e sui legami famigliari, ma soprattutto su quanto sia
difficile impedire che la paura costringa i nostri pensieri e detti i nostri
comportamenti. E su quanto sia difficile «fare la cosa giusta», nonostante
le migliori intenzioni.
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Varianti
Benjamin Myers
All’orizzonte
Romanzo
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Laura Lippman
La donna del lago
Romanzo
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Rufi Thorpe
La nostra furiosa amicizia
Romanzo
California, anni Zero. Bunny è bellissima, alta, bionda, con un padre costrut-
tore edile e una piscina in giardino. Michael – coda di cavallo lungo la schiena
e piercing al naso – vive con la zia nel piccolo cottage lì a fianco. Il giorno
in cui Bunny sorprende Michael a fumare nel suo giardino, lui scopre che la
vita della ragazza non è perfetta come sembra. Alta uno e novantadue, Bunny
sovrasta i suoi compagni. E per quanto sogni di primeggiare e qualificarsi per
le Olimpiadi, per lei sarebbe ancora più importante sentirsi normale, essere
accettata, avere un ragazzo, e al tempo stesso poter nascondere l’imbarazzante
problema di alcolismo del padre. Anche l’esile, intelligentissimo Michael ha
i suoi segreti.
A casa e a scuola finge di essere etero, ma poi cerca uomini online per incontri
anonimi che lo elettrizzano e insieme spaventano.
Quando Michael si innamora per la prima volta, un orrendo giro di pette-
golezzi malevoli comincia a circolare e le conseguenze di un gesto terribile,
accidentale, finirà per determinare in maniera imprevista il futuro di entrambi
i ragazzi, e della loro amicizia.
Rufi Thorpe ci regala la storia bellissima e tormentata di due esseri umani che
desiderano restare uniti, oltre le più disperate delle circostanze. E un’affa-
scinante riflessione sulla complessità e l’urgenza delle migliori amicizie, sulla
distanza che siamo disposti a percorrere per proteggere e difendere i nostri
affetti e su che cosa succede quando certi legami vengono sollecitati fino al
punto di spezzarsi.
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Varianti
Marie-Helene Bertino
Se non sai che sei viva
Romanzo
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Varianti
Andrea Tarabbia
Il demone a Beslan
Romanzo
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Varianti
Michele Cecchini
E questo è niente
Romanzo
È una strana forma di letargia quella che coglie all’improvviso gli abitanti di
via Cadorna, dove i più anziani sprofondano a turno in un sonno che dura
ventiquattr’ore e poi svanisce senza lasciare traccia.
Qui, in un piccolo borgo della campagna fiorentina alla metà degli anni Ses-
santa, vive Giulio, il nipote del dottore del paese. Giulio ha sedici anni e ne
dimostra la metà. Non si muove e non parla. Si definisce «un coso che ha due
braccia e due gambe, ma non funziona nulla». È tetraplegico.
Immobile nel suo lettino, Giulio osserva, rielabora gli scampoli di vita che gli
capitano a tiro, intercetta parole e reinventa l’esistenza a modo suo.
Insieme alle ipotesi che via via si dipanano sui motivi della letargia, Giulio
racconta di sé e della sua famiglia – il nonno autoritario, il padre indolente,
la madre a caccia di sogni – da cui emerge un quadro strampalato dei normali,
«gli esseri più misteriosi e più scontenti di tutti», messi straordinariamente a
fuoco da chi normale non è, anzi si vede affibbiato l’epiteto di infelice.
Improvvisamente per Giulio si apriranno le porte di un mondo nuovo e ina-
spettato grazie a uno dei medici che giravano per i paesi alla ricerca dei pic-
coli pazienti invisibili: un dottore alla rovescia ispirato alla figura di Adriano
Milani, fratello di don Lorenzo, che a lungo si batté perché la sanità restitu-
isse a questi bambini dignità di persona.
La scrittura di Michele Cecchini, lieve e insieme cruda, invita a entrare con
coraggio nei pensieri e nell’universo di chi non ha voce. Una fiaba senza fia-
besco, dal tono mai patetico e a tratti scanzonato. L’esistenza raccontata da
un bambino che non ha alcuna intenzione di rinunciare alla felicità e si lascia
«amare dalla vita come viene viene».
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