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Perry
Zero Hour
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8863551472
ISBN-13: 978-8863551471
Il Libro
mondiale. Tra le sue opere, i sette titoli della serie Resident Evil nonché
Principessa guerriera.
S.D. PERRY
ZERO HOUR
PROLOGO
Bill Nyberg sfogliò il rapporto “Hardy” che aveva estratto dalla valigetta ai
suoi piedi. Era stato un lungo, lungo giorno, e il soave dondolio del treno lo
rilassava. Era tardi, le otto passate, ma l’Ecliptic Express era quasi pieno,
come lo era solitamente all’ora di cena. Era un treno della compagnia e, da
quando era stato rinnovato — la Umbrella aveva speso molto denaro per
dare
un’aria snob a quel vagone ristorante, partendo dai sedili di velluto sino ad
arrivare alle lampade di cristallo — molti degli impiegati portavano lì le
loro famiglie o gli amici affinché usufruissero dell’ambiente. Cerano di
solito alcune persone che erano di fuori città che facevano i pendolari da
Latham, ma Nyberg avrebbe scommesso che nove passeggeri su dieci
lavorassero per la Umbrella.
Senza l’appoggio del gigante farmaceutico, Raccoon City non sarebbe stata
neanche una macchia
sulla strada.
Uno dei camerieri passò al suo fianco e lo salutò con un lieve movimento
della testa notando la piccola spilla della Umbrella sul bavero della sua
giacca, quello che identificava Nyberg come un passeggero abituale.
Nyberg gli restituì il saluto. All’esterno, lo splendore di un lampo fu seguito
rapidamente dal frastuono di un altro tuono. A quanto pareva si stava
avvicinando un temporale
estivo. Perfino nel gradevole fresco del treno, l’aria sembrava carica di
tensione per pioggia imminente.
E il mio impermeabile sta... nel bagagliaio ?
Fantastico. Tra l’altro aveva lasciato l’automobile alla fine del parcheggio
della stazione.
“Che diavolo...?”, cominciò col dire Nyberg, e ancora più acqua batté
contro il vetro. Ma quella non era acqua, perché l’acqua non rimaneva
incollata formando grosse masse oscure, perché
UNO
L'atmosfera nella carlinga era seria, ombrosa e scura come i celi frustati
dalle pale del velivolo. Gli scherzi e le barzellette erano cessati durante il
briefing di missione. Non si trattava di
un'esercitazione o di un allenamento.
Solo pochi giorni prima era stata rinvenuta la nona vittima, squarciata e
mutilata come se fosse passata in un enorme tritacarne. Stavano morendo
delle persone. Qualcosa o qualcuno attaccava
La mia prima missione. Ciò significa che è meglio che non faccia cazzate!
terribile avere una squadra di tipi duri come fratelli maggiori. A patto che
capissero che poteva badare a se stessa quando era necessario.
Almeno credo, aggiunse tra sé e sé in silenzio. Dopo tutto, era la sua prima
missione, e, benché fosse in perfetta forma fisica, la sua esperienza in
combattimento si limitava alle simulazioni video e alle missioni di
allenamento nel fine settimana.
formarsi delle nuvole. Non c’era dubbio sul fatto che sarebbero tornati a
casa bagnati. Almeno
sembrava essere una pioggia leggera; suppose che avrebbe potuto essere
molto...
Boom!
Era tanto concentrata a pensare al temporale che scendeva su di loro che,
per un secondo, perfino mentre l’elicottero si inclinava pericolosamente e
precipitava, credette che si trattasse del fragore di un tuono. Dalla cabina si
alzò una serie terribile di gemiti confusi e il pavimento di metallo
cominciò a vibrare sotto i suoi stivali. Captò l’odore caldo della gomma
bruciata e dell’ozono.
Un fulmine?
“Che cosa è stato?”, gridò qualcuno. Era Enrico, dal sedile del copilota.
“Atterraggio d’emergenza!”
Chiuse gli occhi per un istante, pensò ai suoi genitori... ma la discesa era
troppo violenta per potere pensare. I colpi e le frustate dei rami degli alberi
scuotevano l’elicottero con tale forza che l’unica cosa che Rebecca riuscì a
fare fu non perdere la presa. L’elicottero roteò fuori controllo e precipitò
con una spirale da brivido, tra scosse e sbandate. Un secondo dopo tutto era
finito. Il silenzio fu tanto repentino e assoluto che Rebecca pensò di essere
diventata sorda. Ogni movimento si fermo.
Fu allora che sentì il gocciolamento sul metallo fumante, l’ultimo rantolo
soffocato del motore e i feroci battiti del proprio cuore. Si rese conto che
erano a terra. Kevin c’era riuscito, e senza un solo rimbalzo.
“State tutti bene?”, Enrico Marini, il capitano, era seduto nel suo sedile,
girato all’indietro verso di loro.
“Ben fatto, Kev!”, esclamò Forest, e si sollevò un nuovo coro. Rebecca era
pienamente
d’accordo.
sicuramente lo è”.
cercarci”.
Quelli a cui faceva riferimento erano gli ufficiali del team Alfa della
S.T.A.R.S. Rebecca assentì con gli altri, senza sapere se dovesse sentirsi o
meno delusa.
Enrico tornò a toccarsi i baffi, lisciandoseli agli angoli della bocca con il
dito indice e pollice.
Uscirono uno a uno dalla cabina. Rebecca si rese conto della situazione in
cui si trovavano solo mentre si riunivano nell’oscurità.
“Tutto bene?”
Rebecca si girò e vide a Ken “Sully” Sullivan sorridere. Aveva tirato fuori
la sua arma, puntando la canna della nove millimetri verso il cielo
nuvoloso, un triste ricordo del perché fossero lì.
L’uomo alto rise, e i bianchissimi denti risaltarono sul nero della pelle.
“La verità è che lo facciamo sempre con le nuove reclute. E uno spreco di
elicotteri, ma
Rebecca stava per domandare che cosa pensasse il capo di polizia di quello
spreco — era nuova
nella zona, ma aveva sentito già dire che il capo Irons era famoso per la sua
taccagneria — quando Enrico si unì a loro, tirando fuori la sua arma e
alzando la voce così che tutti potessero sentirlo.
passare anche molto più tempo... ma non era necessario. Almeno per il
momento, erano soli.
Tutto sarebbe stato tranquillo e silenzioso se non fosse stato per i tuoni che
rimbombavano più vicino di quanto si aspettasse; il temporale stava per
arrivare su di loro. Il fascio di luce illuminò gli alberi, l’oscurità e dopo altri
alberi. Poi uno scintillio, sembrava...
“Guardi, capitano!”
Due uomini. Uno era stato sbalzato fuori dall’abitacolo e giaceva privo di
vita ad alcuni metri.
L’altro, l’uomo biondo davanti a lei, aveva ancora metà corpo dentro al
mezzo. Ambedue
disse.
Edward le prese il documento dalle mani e disse con voce carica di furia
quello che già si stava plasmando nella mente di Rebecca.
“Questi poveri soldati. Stavano solo facendo il loro lavoro, e quella canaglia
li ha uccisi ed è fuggito”.
Enrico, a sua volta, prese i documenti dalle sue mani e gettò loro una rapida
occhiata.
“Tranquilla, ragazzina”.
Kevin era seduto sul sedile del pilota, stava esaminando il portadocumenti
che lei aveva trovato. La vide e le indirizzò un saluto militare. Rebecca alzò
il pollice e girò le spalle mentre tornava a sfoderare la sua arma pronta ad
addentrarsi nella notte. In alto, rombò minaccioso un tuono.
della sua attenzione era concentrata sulla trasmissione che stava ricevendo
dalla squadra di pulizia.
“Tempo di arrivo stimato: trenta minuti, passo”, disse il pilota con una voce
scoppiettante che risuonò nella sala mal illuminata.
Ma ora tutto sta venendo fuori, pensò Wesker fissando gli schermi. La a
tenuta Spencer e i laboratori che la circondavano erano caduti a metà
maggio. L’Ufficio Bianco lo aveva considerato come un semplice
“incidente”, mettendo in isolamento i laboratori fino a che i ricercatori e il
personale infetto fossero passati a essere “non infetti”. Dopotutto,
succedono sempre degli errori.
Già da qualche tempo stava cercando il modo per uscire da tutto questo,
stanco di lavorare per
Assolutamente no, a patto che prima di farlo registrasse i dati, questo era
certo.
Investigatori, medici, tecnici — chiunque lavorasse per l’Ufficio Bianco per
più di una decade o due aveva l’abitudine di finire morto o scomparso.
George Trevor e la sua famiglia, il dottor
Pensandoci bene, lui aveva un’idea precisa su quanti fossero, lavorava per
l’Ufficio Bianco dalla fine degli anni Settanta, e per la maggior parte di quel
tempo era stato destinato solo all’area di Raccoon. Aveva visto i dottori
utilizzare un buon numero di individui per gli esperimenti, molti dei quali
aveva aiutato a catturare lui stesso. Avrebbe dovuto aver lasciato la
Umbrella già diverso tempo fa, ma se fosse riuscito a ottenere i dati che
volevano i pezzi grossi, avrebbe anche potuto organizzare sotto banco
un’asta che di certo sarebbe stata agguerrita, il regalo di addio per
E il soldato era solo un uomo, in fin dei conti; il T-Virus attaccava ogni tipo
di tessuto vivente, e c’erano gli altri... animali... per vederlo in azione, dalle
creazioni del laboratorio
fino alla fauna locale. Enrico doveva aver già. messo in azione il team
BRAVO, per cercare gli
intenzione di cercare.
camminare.
“Fallo per la grana, ragazzo”, disse Wesker, sciogliendosi in una risatina che
risuonò nell’oscuro vuoto.
Rebecca si girò verso il rumore mentre dirigeva il fascio della torcia e la sua
nove millimetri verso l’arbusto. La luce catturò l’ultimo movimento, le
foglie si muovevano ancora e la torcia
Guardò l’orologio convinta che fosse già l’ora di ritornare, ma vide che
erano passati appena
E ora cosa ci fa qui questo coso, in mezzo al bosco, a quest’ora della notte?
Percorse dall’alto in basso il treno col fascio di luce e scoprì che c’erano
cinque vagoni, di due piani ognuno. Proprio sotto il tetto dal vagone che
aveva davanti notò la scritta Ecliptic Express.
Dentro, alcune luci erano accese, ma erano molto tenui e producevano una
luce incapace di
Dio che pensiero! In quello stesso momento poteva trovarsi là dentro e aver
preso degli ostaggi.
La pioggia decise per lei; avrebbe dato un’occhiata rapida all’interno del
treno prima di fare
ritorno all’elicottero, giusto per assicurarsi che tutto tosse come doveva
essere, Se Billy non fosse stato lì, almeno poteva informare gli altri che il
freno era libero e tranquillo.
E, se ci fosse stato...
“Dovrai vedertela con me”, mormorò, e le sue parole si persero nel fragore
del temporale che
DUE
Billy era seduto al suolo tra due file di sedili mentre cercava di aprire le
manette con una
graffetta che aveva trovato. Una delle manette, la destra, si era rotta quando
la jeep si era rovesciata, ma preferiva comunque evirare di passeggiare con
un braccialetto rumoroso e incriminante. Doveva liberarsi anche dell’altra.
I cani, saranno stati quei cani... ma chi diavolo... chi li avrà aizzati?
Forse lo stesso tizio che aveva visto nel bosco. Doveva essere lui. Il tipo
che si era piantato davanti alla jeep e li aveva fatti schiantare dopo che
avevano perso il controllo. Billy era stato sbalzato fuori e, ad eccezione di
alcuni lividi, ne era uscito illeso. Ma i poliziotti militari che lo scortavano,
Dickson ed Eider, erano rimasti intrappolati sotto il veicolo rovesciato,
benché fossero ancora vivi. L’uomo che li aveva fatti uscire di strada,
chiunque fosse, era scomparso.
Aveva deciso di optare per una soluzione intermedia: chiedere aiuto via
radio per poi fuggire via... ma era stato allora che quei cani erano arrivati.
Tre bestie enormi, umide e orribili, non aveva avuto altra possibilità se non
correre per salvarsi la vita. Aveva notato subito qualcosa di molto, molto
strano in quegli esseri; se ne era reso conto perfino prima che attaccassero
Dickson, prima che gli strappassero la gola coi denti mentre lo trascinavano
fuori da sotto la jeep.
Billy pensò di aveva sentito un clic e cercò di aprire la manetta, l’aria sibilò
tra i denti con uno sbuffo quando si accorse che la chiusura di metallo
rifiutava di aprirsi. Maledetta cianfrusaglia.
Aveva trovato per caso una graffetta, benché ci fossero cose più utili sparse
ovunque — carte, borse, cappotti, oggetti personali — quasi tutto macchiato
di sangue. Chissà, avrebbe potuto trovare qualcosa di meglio che una
semplice graffetta se avesse cercato con più calma, ma ciò significava
rimanere nel treno, e farlo non sembrava affatto una buona idea. Per quanto
ne sapeva, quei cani potevano vivere lì, nascondendosi insieme al folle che
si lanciava davanti alle automobili in
movimento. Era salito su quel treno solo per sfuggire ai cani, per calmarsi e
pensare a quale sarebbe stata la sua prossima mossa.
Qualunque fosse stata la merda che quei boschi nascondevano, lui non
voleva farne parte. Si sarebbe tolto le manette, avrebbe cercato un qualche
tipo d’arma e magari avrebbe preso anche un portafoglio o due tra tutti quei
bagagli macchiati di sangue — era sicuro che ai proprietari non sarebbe
importato ormai — poi finalmente sarebbe ritornato alla civiltà. E dopo
chissà, Canada o forse Messico. Non aveva mai rubato prima, e neanche
aveva mai pensato di abbandonare il paese, ma arrivato a quel punto doveva
pensare come un criminale, soprattutto se aveva intenzione di
sopravvivere.
Sentì i tuoni, poi il soave picchiettio della pioggia su alcuni dei finestrini
rotti.
pesante quando una raffica entrò da uno dei vetri sconquassati. Magnifico.
A quanto pare avrebbe fatto una passeggiata in mezzo al temporale.
Merda!
secondi non sentì niente, poi un passo silenzioso, dopo un altro e un altro
ancora. Si allontanavano da lui, dirigendosi verso la parte anteriore del
vagone.
S.T.A.R.S. Avevano inviato una squadra alla sua ricerca? Non poteva
essere, non così in fretta.
Con i cani mutanti che scorrazzavano per i boschi? No, non sarebbe uscito
senza un’arma, in
nessun modo. Doveva esserci stato qualcuno della sicurezza sul treno, una
guardia privata con una pistola, l’unica cosa che doveva fare era trovarlo.
Billy scosse la testa. Aveva già visto morti più che a sufficienza nelle Forze
Speciali. Alla fine, se fosse arrivato a quel punto, avrebbe lottato o sarebbe
scappato, ma non sarebbe tornato a uccidere mai più. Almeno non uno dei
buoni.
Tre spari, provenienti dal vagone successivo. Una pausa, dopo altri tre,
quattro, e dopo il
silenzio.
A quanto pare non tutti i vagoni erano vuoti. Sentì che il nodo allo stomaco
si faceva ancora più stretto, ma non gli permise di fermarlo. Prese la prima
valigetta che trovò e incominciò a
Nel primo vagone non c’era segno di vita, ma doveva essere appena
successo qualcosa di molto
C’erano giusto alcune luci accese, quanto bastava per vedere qualcosa, ma
le ombre erano
Rebecca allungò la mano e toccò una delle macchie. Subito se la ripulì sui
pantaloni con una
Opera del tenente Coen forse? Dopotutto era stato accusato di omicidio...
ostaggi.
corpi recuperati dai boschi erano dilaniati e mutilati, e le scene del crimine
avevano lo stesso aspetto di quella del vagone del treno, con sangue
dappertutto. Doveva uscire di lì, contattare via radio il capitano e richiamare
il resto della squadra. Cominciò a dirigersi verso la porta, ma esitò.
Non poté astenersi dal domandarsi che cosa avrebbero detto i ragazzi
quando avessero visto
come lei avesse fatto tutto da sola. Avrebbero dovuto smetterla di chiamarla
“ragazzina”. Come
Oh, no!
Nel primo vagone già era stata dura, ma lì c’era della gente. Cinque
persone, che poteva già
scorgere da dove si trovava, tutti chiaramente morti, coi visi devastati dagli
artigli di qualcosa di sconosciuto e i corpi inzuppati di un’oscura umidità.
Alcuni erano ancora sui sedili, come se li avessero assassinati brutalmente
nel posto che occupavano. L’odore di morte poteva quasi toccarsi, come
quello di una carogna decomposta o della frutta marcia in una giornata
calda.
La porta si chiuse automaticamente alle sue spalle e Rebecca trasalì, col
cuore che le batteva con forza, vagamente cosciente che tutto quello era
davvero troppo per lei. Doveva chiedere aiuto, ma fu allora che sentì i
sussurri e sì rese conto di non essere da sola.
Mirò con la pistola verso il corridoio vuoto, senza essere sicura da dove
provenisse il suono e col cuore che le andava al doppio della velocità.
“Si identifichi!”, disse, con una voce più ferma e autoritaria di quanto si
aspettasse. Il sussurro continuò, soffocato e distante, stranamente spento in
mezzo al silenzio del vagone. Suppose che doveva essere così che faceva un
maniaco assassino, dondolando e sussurrando a se stesso dopo la follia
omicida.
Stava per ripetere l’ordine quando, sul suolo, verso la metà del corridoio,
vide la fonte del sussurro. Era una piccola radio a transistor, apparentemente
sintonizzata su una stazione di notizie AM. Camminò verso il congegno,
stordita dal sollievo. Era sola, dopotutto. Si fermò davanti alla radio,
abbassando la sua semiautomatica. C’era un corpo nel sedile accanto al
finestrino, alla sua sinistra, ma dopo una rapida occhiata iniziale evitò di
tornare a guardarlo. Gli avevano tagliato la gola e aveva gli occhi bianchi. Il
viso grigiastro e gli abiti laceri brillavano inzuppati da fluidi organici
dall’aspetto viscoso, facendolo apparire come uno zombie da film horror.
Rebecca si piegò e raccolse la radio, sorridendo a se stessa nonostante la
paura che ancora la attraversava. Il suo
“maniaco assassino” era una donna che leggeva le notizie. La ricezione era
pessima e si sentiva lo stridio della statica ogni due o tre frasi. D’accordo,
era un’idiota. In ogni caso, era ora di avvertire Enrico.
movimento che notò nel sedile accanto al finestrino fu così lento e sottile
che, per un momento, credette che quello che aveva visto fosse un riflesso
della pioggia sul vetro. Fu allora che l’origine di quel movimento gemette,
con un lieve e misero lamento, e Rebecca capì che non poteva essere la
pioggia.
Il cadavere si era alzato dal sedile e si avvicinava verso di lei. La testa
deforme ciondolava
Si era sbagliata; quell’uomo non era morto, ma era evidente che fosse
impazzito dal dolore.
Doveva aiutarlo.
Non c’è molto nella cassetta dei medicinali, ma ho della morfina. Dovrebbe
aiutarlo a calmarsi.
Si girò, senza essere sicura di cosa fare, e vide due persone alle sue spalle,
in piedi nel corridoio che avanzavano verso di lei con gli stessi movimenti
rigidi e barcollanti dei mostri di un film dell’orrore, ambedue con un viso
inespressivo e ferito quanto quello dell’uomo dagli occhi bianchi.
“Fermo!”, gridò, girandosi verso l’uomo dagli occhi bianchi, ormai sin
troppo vicino. Se era
consapevole del fatto che gli stessero puntando un’arma contro, non lo
diede a vedere.
“Sparo!”
Rebecca sparò.
Rebecca si girò pregando che, con il rumore degli spari, gli altri due uomini
si fossero fermati, ma scoprì che li aveva quasi sopra, con gli sguardi vitrei
e i gemiti impazienti. Il primo colpo andò a conficcarsi nel collo dell’uomo
con l’uniforme, e mentre questo si dondolava all’indietro, Rebecca mirò
alla gamba del secondo.
“Dio!”, esclamò Rebecca, con una voce che quasi non le usciva dal corpo.
Ma gli uomini continuavano ad avanzare, non aveva tempo di porsi
domande né di pensare. Alzò
l’arma e sparò altre tre volte, tutti colpi diretti alla testa.
No, gli zombie non esistevano. Mentre cercava di capirci qualcosa, Rebecca
si accertò di aver
caricato il colpo in canna, in automatico come se fosse nel bel mezzo di uno
scontro a fuoco.
Non erano zombie, non come quelli dei film almeno. Se fossero stati già
morti, gli spari non li avrebbero fatti sanguinare a quel modo; se il cuore
non batte non può pulsare sangue.
Certo, ma ciò poteva significare che il tutto fosse dovuto a un qualche tipo
di malattia, forse qualcosa che bloccava i recettori del dolore.
Gli omicidi della foresta. Rebecca sentì gli occhi allargarsi ancora di più
mentre completava il puzzle. Se ci tosse stata una fuoriuscita di sostanze
chimiche o una malattia, avrebbe potuto colpire un gran numero di persone
nella foresta. spingendoli ad attaccare altri. Recentemente erano state
ricevute segnalazioni riguardo a cani selvaggi. Era possibile che l’epidemia
colpisse anche specie differenti? Alcune delle vittime erano state
parzialmente divorate, e almeno due dei corpi
presentavano morsi tanto umani quanto animali.
Il cadavere sul fondo del vagone si mosse di nuovo. Abbassò la testa fino ad
appoggiarla sul
petto, e tutti i pensieri sul come salvare Raccoon volarono via dalla sua
mente sconvolta. Rebecca si girò e corse fino alla porta di collegamento, in
preda al terrore. L’unica cosa che voleva in quel momento era uscire subito
di lì.
Non tardò molto a trovare un’arma, e fortuna volle che Billy conoscesse a
menadito la pistola
I jeans non erano la cosa migliore per portarsi dietro rutta quella merda.
Iniziò a cercare una giacca, ma poi cambiò idea; perfino con la pioggia era
una notte calda, e
ripetendosi che doveva andare via, ma senza decidersi a farlo. Non aveva
sentito nient’altro dal ragazzo della S.T.A.R.S. dopo i sette spari. Erano
passati solo alcuni minuti, se il ragazzo aveva avuto delle difficoltà non era
ancora troppo tardi per intervenire e...
spari; aveva passato troppo tempo a essere uno dei buoni per voltare le
spalle a qualcuno che aveva bisogno d’aiuto. E poi, se il ragazzo era morto,
avrebbe avuto un’arma in più.
“Sì, è per questo”, mormorò, perfettamente consapevole che era alla ricerca
di una ragione
qualsiasi per giustificare la sua decisione. Non c’era altro da fare, doveva
andare a dare un’occhiata.
Billy si accigliò, rendendosi conto che uno tra i cadaveri intorno a lui
avrebbe potuto essere
l’idiota che si era messo davanti alla jeep, causando l’incidente. Aveva
potuto giusto intravedere l’uomo, ma ricordava di aver pensato che
sembrava ammalato.
Chissà, forse uno di loro... ma no, questi erano morti ormai da giorni.
Il tipo sembrava morto da tempo; gli mancava parte della guancia sinistra, e
forse per questo sembrava gli stesse dedicando un ampio sorriso; i bordi del
tessuto, morto e nero, mostravano già i segni della decomposizione. Eppure
c’erano uno, due buchi di pallottola, e una pozzanghera di
sangue fresco gli circondava la testa e la parte superiore del corpo, come
fosse un’ombra rossa.
Billy toccò la pozzanghera, accigliandosi. Era ancora caldo. Il corpo più
vicino dopo questo, l’inserviente del treno, presentava un aspetto
abbastanza simile, ma una delle ferite era alla gola.
E il fatto che fossero pieni di buchi recenti suggeriva che avessero cercato
di attaccare il solitario membro della S.T.A.R.S.
Qualunque fosse stata la risposta, era il caso di andare via a gran velocità.
avesse avuto una maledetta coscienza, si sarebbe già dileguato nella notte.
“Schifo” non era proprio la parola più adatta, neanche riusciva a descrivere
quel terrore che gli si ritorceva nello stomaco, ma aveva visto perfino gli
uomini più forti paralizzati dalla paura e non voleva pensare troppo a quei
mostri o all’oscurità. Meglio prenderla alla leggera e proseguire, come se
fosse in un incubo del quale avrebbe riso domani.
porta chiusa che aveva una placca con su scritto UFFICIO DEL
CAPOTRENO. Doveva trovarsi
Billy avanzò di un paio di passi, alzò la sua arma e si mise dietro la figura
chinata. Sapeva che doveva evitare un confronto — ovviamente il ragazzo
era in perfette condizioni, mentre lui si
sentiva ancora un po’ acciaccato dall’incidente, inoltre avrebbe dovuto
essere già andato via da un bel po’ — ma voleva anche sapere che cosa
stesse succedendo, e quella poteva essere la sua unica opportunità di
ottenere delle informazioni.
del corridoio, vicino alla porta d’uscita di quel vagone, e se si era sorpresa
nel vedere Billy, lo nascose molto bene.
“Billy”, disse la ragazza con voce chiara e melodica. Le sue parole gli
fecero stringere i denti,
“Tenente Coen”.
Era scritto sul suo viso da folletto. Billy si rese conto che se la ragazza
pensava davvero che ci fosse una qualsiasi relazione tra lui e i morti del
treno e della jeep, molto probabilmente non aveva neanche la minima idea
di quello che stava succedendo realmente. Eppure non vide nessuna ragione
per distoglierla dalla sua convinzione, seppur errata. Stava cercando di fare
la dura, ma Billy notò comunque che la intimoriva.
“Uuh, vedo che”, disse “sei della S.T.A.R.S. Bene, senza offesa dolcezza,
ma sono sicuro di non andare troppo a genio né a te né ai tuoi amici.
Cosicché la nostra piccola chiacchierata deve finire ora ”.
Merda. Merda.
Billy si voltò e vide che la ragazza non aveva neanche sfoderato la sua
arma.
“No grazie, faccia d’angelo. Porto già le manette”, ripose, alzando la mano
sinistra e facendo
tintinnare i bracciali di metallo. Si voltò e fece per allontanarsi di nuovo.
“Potrei spararti, lo sai?!”, gli gridò dietro, con una traccia di disperazione
nella voce. Billy continuò a camminare. Lei non lo seguì e, dopo qualche
secondo, stava di nuovo attraversando la prima porta di collegamento.
Aprì la porta del vagone dove si trovavano i passeggeri morti con un sorriso
incerto, sollevato.
E si trovò davanti l’uomo morto che prima era accasciato sul sedile in
fondo, vacillante e con
l’unico occhio che gli rimaneva puntato su Billy. Con un gemito affamato,
la creatura barcollò in avanti ed estese le sue dita triturate come se volesse
afferrare la strada che lo divideva da Billy.
TRE
fermarlo.
Per non parlare del fatto che ti sei lasciata cogliere impreparata.
Aveva trovato un cadavere solitario nella parte anteriore del vagone, uno del
personale del treno, scoprendo quella che sembrava una chiave nella fredda
mano del morto. Visto che l’unica altra
porta dalla quale uscire dal treno era bloccata, aveva deciso di prendere la
chiave per poi ritornare attraverso il vagone passeggeri. Era tanto
concentrata nel cercare di prendere la chiave senza rompere le rigide dita
del cadavere che non aveva neanche sentito avvicinarsi il condannato a
morte, non finché non era stato troppo tardi. Ora, mentre camminava
nuovamente verso la parte anteriore del vagone, notò che la porta chiusa si
apriva solo mediante una scheda magnetica.
sarebbero occupati loro di Billy. E, cosa ancor più importante, non sarebbe
stata l’unica a sapere che qualche specie di morbo si era abbattuto sulla città
di Raccoon. Era curioso. Improvvisamente, acciuffare un assassino
ricercato era sceso bruscamente all’ultimo posto nella lista delle priorità.
Bam! Bam!
Prima ancora di toccare il tasto di trasmissione, udì due spari nel vagone
contiguo, proprio nella direzione in cui si era diretto Billy.
“Edward!”
camicia, la vena succlavia doveva essere stata recisa. Si sorprese che fosse
ancora in vita, e
ancora di più che avesse avuto la forza per saltare attraverso il finestrino.
dolore.
Rebecca premette la garza con forza, ma era già quasi inzuppata del tutto.
Zombi e mostri.
Un cane, era un cane enorme. Come nessuno dei cani che aveva visto in
vita sua. Avrebbe potuto
Così come le persone a cui aveva sparato poco prima erano state un tempo
esseri umani che
Rebecca sparò. Il colpo penetrò il petto del cane e lo lanciò all’indietro con
un acuto gemito di dolore, ma stavolta la bestia tornò in piedi. Si scosse
come per scrollarsi dell’acqua di dosso e ringhiò, pronto ad avventarsi
nuovamente su di lei, benché del sangue scuro e pustolante gli
Proprio come per la gente nel vagone passeggeri, sembrava che solo un
colpo alla testa potesse
finirlo. Rebecca alzò la pistola e sparò di nuovo. Questa volta dritto nel
centro della stretta testa. Il cane cadde, si scosse in un spasmo e rimase
immobile. Potevano essercene altri. Rebecca abbassò leggermente l’arma, si
girò verso i finestrini rotti e cercò di vedere attraverso l’oscurità e la
pioggia, tendendo l’orecchio a qualcosa che non fosse il suono del
temporale. Dopo alcuni secondi
ne fosse andato, che fosse morto nel breve lasso di tempo in cui lei stava
sparando contro quelle bestie canine, e sentì il senso di colpa che la
invadeva. Se solo fosse stata più rapida, se avesse bendato meglio la ferita...
Ma non l’hai fatto, e quanto più tempo stai qui seduta sentendoti colpevole,
più probabilità hai di finire come lui. Muoviti!
Che cosa?
Un’ondata di statica.
Nel vagone passeggeri vide il risultato dei due colpi che aveva udito poco
prima.
La vittima infetta che prima credeva di aver visto muoversi, benché non ne
fosse stata sicura, a quanto pare doveva essere stata “viva”, in fin dei conti.
Doveva aver cercato di attaccare Billy come gli altri avevano fatto con lei.
Si trattenne sulla porta in fondo al vagone da dove era entrata inizialmente e
osservo i corpi decomposti della gente a cui aveva sparato. Se Edward
aveva ragione, se la foresta era piena di quegli esseri, avrebbe dovuto
muoversi velocemente.
Per quanto fosse seria la malattia sconosciuta con cui avevano a che fare,
non poteva permettere che Coen scappasse. Si lasciò alle spalle il vagone
passeggeri e si affrettò ad attraversare la vettura vuota fino alla porta,
sperando che gli altri fossero già di ritorno all’elicottero.
Non sapeva bene come dare la notizia della morte di Edward; sarebbe stata
dura. Rebecca si
“Maledizione!”
Sentì il suono di una porta che si chiudeva e guardò a sinistra, verso la fine
del treno. Qualcuno si muoveva nel vagone successivo. Un altro passeggero
infetto, probabilmente. O Billy. In ogni
Poteva perfino essere un altro agente della S.T.A.R.S. Una volta approdata a
quell’idea, si sentì in dovere di dare un’occhiata, per quanto potesse aver
senso. Camminò rapidamente fino al fondo del vagone vuoto mentre si
preparava ad affrontare qualunque cosa. Non le sembrava possibile che
quella notte potesse accadere qualcosa di ancora più strano, ma, d’altronde,
la maggior parte di quello che le era già successo sembrava impossibile.
“La cosa si mette male”, disse lui, ma Rebecca sapeva che non si stava
affatto riferendo all’arma che aveva puntata in faccia. Non rispose, lo fissò
solamente e continuò a tenerlo sotto tiro con la nove millimetri. Billy
sapeva che i giochi erano finiti e alzò le mani. La manetta a penzoloni gli
colpì il polso.
“Quella gente, quelli che abbiamo ucciso, erano malati”, proseguì Billy.
Posso...?”
Billy sospirò.
Billy si avvicinò e abbassò le mani senza far caso all’arma che puntava al
suo viso.
“Ascolta ragazzina, non so se l’hai notato, ma ci sono dei mostri fuori di
testa su questo treno. Io voglio uscire di qui, ma da soli non avremmo
nessuna possibilità di riuscirci”.
“Speri che mi fidi di te? Non ho bisogno del tuo aiuto, posso gestire la
situazione da sola. E non mi chiamare ragazzina”.
“Mi chiamo Rebecca Chambers”, rispose lei, “ufficiale Chambers, per te”.
Perfetto, fallo pure. Chiama tutto l’esercito e dì loro che portino l’artiglieria
pesante. Possiamo aspettarli qui”.
Dannazione.
“Come sei arrivata qui?”, domandò lui. “Via terra o via aria? Siamo molto
lontano dal tuo mezzo di trasporto?”.
“In ogni caso questi non sono affari tuoi. Rimettiti le manette. La mia
squadra starà sicuramente aspettando fuori”.
Billy abbassò le mani. “Quanto sono lontani? Sei sicura che verranno a
cercarti qui?”
La ragazza si accigliò.
Crash!
scala e guardò verso l’alto con un’espressione decisa sul giovane viso.
Billy quasi sorrise. Era stato nelle Forze Speciali per sette anni e molto
probabilmente aveva
imparato a sparare prima che lei avesse finito la scuola superiore, eppure lei
stava proteggendo lui?
Che ragazza testarda! Con tutto quello che stava succedendo, mettersi alla
prova non avrebbe
dovuto essere la sua priorità. Billy sapeva che doveva seguirla, impedire
che si facesse ammazzare, ma aveva bisogno di un minuto per pensare. La
osservò arrivare al pianerottolo della scala e sparire girando l’angolo, senza
guardarsi mai dietro.
E anche lei aveva bisogno del suo aiuto; era troppo inesperta per stare lì da
sola.
E chi ti ha eletto suo paladino personale? Vai via! Non sei più uno dei
buoni, ricordi?
Oggi il capo ha impartito gli ordini riguardo alle indagini sul laboratorio
di Arklay... ci manderanno là la settimana prossima per controllare il suo
stato. Alcuni sono preoccupati per le condizioni del posto, per quello che
potrebbe esserci rimasto, ma come dice il capo, qualcuno deve dare per
primo un’occhiata. Bene, quel qualcuno siamo noi...
L’autore poi parlava della sua fidanzata, che si sarebbe arrabbiata sapendo
che stava lasciando la città. Billy proseguì, cercando nelle note quello che
aveva letto prima.
16 Luglio
...c’è ancora così tanto che non sappiamo sulle capacità del T- Virus. A
seconda della specie e dell’ambiente, anche solo una minima dose del T-
Virus può causare sorprendenti cambiamenti delle dimensioni, un
comportamento aggressivo e lo sviluppo del cervello... negli animali,
almeno.
19 Luglio
Quello a cui aveva sparato stava senza dubbio cercando qualcosa con cui
pranzare. Com’è che i
cannibali chiamano gli umani? Grossi maiali, ecco come. Quell’essere era
in cerca di qualche
ragazza. Fino a quel momento li aveva sistemati bene, aveva fatto fuori
perlomeno tre passeggeri senza impazzire. Poteva rimanere con lei fino a
quando fossero riusciti a trova una via di fuga, poi avrebbe studiato un
modo per scappare prima che il resto della squadra arrivasse, supponendo
che fosse rimasto ancora qualcuno di quella squadra. Una ragazza, la
ragazza, gridò dal piano superiore; un gridò di puro terrore. Billy afferrò
l’arma e si lanciò su per le scale; salì a due a due gli scalini, sperando di
non aver tardato troppo per prendere una decisione.
Nella parte alta della scalinata c’era una curva e poi una porta. Rebecca la
aprì lentamente come poté, spingendola con la canna della pistola, ed entrò.
Fu ricevuta da un fine fumo acre e dal tenue scintillio del fuoco che faceva
danzare le ombre sulle pareti. Era la sala da pranzo del vagone ristorante,
come aveva detto Billy, e doveva essere stata molto bella, coi tavoli coperti
da tovaglie di lino e le finestre con le tende color crema. Ora era tutto
sottosopra.
finestra del secondo piano e si fosse arrampicato sin là, ma, oltre a lui,
Rebecca non vide nessun altro nel salone. Chi altri avrebbe potuto fare i
pesanti passi che avevano sentito?
“Mi scusi”, disse, fermandosi accanto al tavolo e notando che l’uomo aveva
il viso e le mani
“Signore...”
mischiavano l’une con le altre in una massa vivente anomala fino a formare
una scintillante torre nelle tenebre. Si rimodellarono, acquisirono forma e
colore, e di nuovo tornarono a dar vita
poter credere a quello che vedeva. Perfino sapendo che era formato da
cento, anzi migliaia, di orribili creature, non poteva vedere gli spazi tra loro,
non avrebbe saputo che non era un uomo se non per il fatto che lo aveva già
visto con i propri occhi.
Rebecca inciampò sui propri piedi nella fretta di scappare via e cadde a
terra, mentre il braccio si ricomponeva di nuovo, tornando all’indietro e
preparandosi per un nuovo attacco.
sufficientemente vicino così che il colpo successivo non sarebbe stato facile
da schivare, e Rebecca ebbe solo il tempo di pensare che era una ragazza
morta.
Lo videro grazie alla luce di un lampo, in piedi, su una bassa collina a ovest
del treno. Una figura solitaria — un uomo a giudicare dall’altezza e dalla
larghezza delle spalle — alzò le braccia in gesto di benvenuto mentre
cantava con una voce da soprano sorprendentemente dolce; una voce
verso la figura oscura. La ragazza poteva vedere come i lembi del suo
cappotto o della sua tunica ondeggiassero nel momento in cui le creature lo
risalivano sparendo sotto di lui.
Rebecca guardò Billy e vide nel suo viso la stessa confusione che c’era sul
suo.
sentì disfarsi il tenue vincolo che li univa. Ma prima ancora che potesse
rispondere, Billy sembrò rendersi conto che il suo tentativo di sarcasmo non
era proprio ciò che la situazione richiedeva.
QUATTRO
Aveva il cuore traboccante della canzone che si era diffusa dalle sue labbra
e che vibrava con tanta dolcezza nella selvaggia aria della notte,
richiamando a sé i suoi servi. Avevano compiuto la loro missione.
Il treno era pronto per l’inevitabile squadra di pulizia che sarebbe arrivata
quando il sole fosse tramontato. Avevano anche fatto in modo che la
maggior parte degli infettati si disperdesse nei boschi, chiuso le porte e
messo in marcia il motore. Voleva che fossero le sanguisughe ad
alimentarsi, e non i portatori del virus; una volta che la squadra della
Umbrella fosse salita sul treno, non avrebbe avuto alcuna via di scampo. La
pioggia cadeva sulle sanguisughe mentre queste
“Qualche idea?”
aveva appena passato. “Il vagone dove ci siamo incontrati, quello nella
parte anteriore treno, è chiuso. Dobbiamo riuscire ad aprire quella porta
arrivare fino alla motrice”.
Benché non gli piacesse per niente l’idea di girovagare solo per il treno, e
ancor di meno quella che anche lei fosse sola, Billy non poteva discutere
contro la logica di Rebecca.
“Comincerò dalla coda e procederò in avanti”, disse lei. “Tu ti occupi del
secondo piano. Ci
Sei tutta un pepe, non credi piccola?, penso Billy, ma preferì tenerselo per
sé.
Billy stava per replicare, ma vide la lucentezza negli occhi della ragazza.
Non stava parlando sul serio. Non del tutto perlomeno.
“Grazie”, disse gesticolando vagamente dal fondo del vagone. “Te ne devo
una”.
Prima che lui potesse risponderle, era andata via. Billy rimase a guardarla
per un momento,
sorpreso dalla volontà della ragazza di affrontare i pericoli del treno da sola.
Si chiese se fosse stato altrettanto coraggioso alla sua età.
Non si trattenne più del necessario. Suppose che la cosa migliore fosse
controllare i corpi degli impiegati del treno. Scese le scale e si trattenne solo
un momento per guardare verso la parte
acqua di mare putrida mista al marciume. Quando giunse in cima alle scale
vide la fonte dell’odore e inghiottì la bile.
sanguisughe mutanti.
C’erano due porte chiuse, una a ogni lato dello stretto passaggio, entrambe
contrassegnate da un numero, Per questo motivo, così come per il lussuoso
arredamento, suppose si trattasse delle cabine private. Aveva indovinato.
Apri la prima porta, la 102, e si ritrovò in una piccola camera da letto ben
arredata e, per fortuna, senza corpi ne sangue. Sfortunatamente non c’era
molto altro, se non un mucchio di articoli personali in un piccolo armadio.
C’erano carte, un album di foto e un portagioie.
Quando aprì la porta della 101 sentì crescere una nuova speranza. Lì,
poggiato a terra come un
C’era una porta alla fine del corridoio, che conduceva presumibilmente al
secondo piano del
vagone contiguo, proprio vicino alla testa del treno. Pensandoci bene,
probabilmente era meglio ricongiungersi con la ragazzina il più presto
possibile. Non aveva paura di stare da solo, non era per quello, e non era
neanche preoccupato per Rebecca. Ma era stato abbastanza anni in servizio
da
imparare che stare da soli nel bel mezzo di un combattimento era la cosa
peggiore da fare. La porta non era chiusa a chiave e si apriva su un grande
salone vuoto, estremamente elegante. Alla sua
destra c’era il bancone in legno di un bar, levigato e ben fornito. Vicino alle
pareti si allineavano eleganti tavoli che lasciavano libera un’ampia porzione
del pavimento in moquette costosa, mentre degli splendidi lampadari
pendevano dal soffitto. Come nel vagone precedente, nessuna traccia di
sangue né di corpi. Billy gettò un’occhiata dietro il bancone per poi
dirigersi verso la porta posta all’altro estremo del salone. Sentì una strana
inquietudine mentre attraversava il largo spazio aperto della sala e strinse
con più forza il fucile. Quando fu quasi all’altro estremo dalla sala,
qualcosa si schiantò contro il soffitto.
Rebecca aveva appena deciso che l’ultimo vagone era sicuro quando il cane
la attaccò. Dopo
Billy era il suo unico porto in mezzo alla tempesta, per così dire; le aveva
salvato la vita, ma fidarsi di lui più dello stretto necessario sarebbe stato da
idioti.
quello che, per fortuna, era stato un breve tratto, si rialzò in un spazio di
immagazzinamento
binari. In fondo al compartimento c’era una porta con una finestrella nel
centro. Rebecca si avvicinò con l’arma spianata e vide l’oscurità in
movimento dall’altro lato del vetro. Il rumore del treno si fece più forte;
finalmente aveva raggiunto l’ultimo vagone, Guardando verso l’esterno
sentì
Clic.
Si voltò udendo il leggero suono dietro la schiena e mirò verso il buio con il
cuore che le
tutta l’aria. Probabilmente era stata una delle scatole nel dondolarsi.
Come il resto in quel vagone — almeno per quanto riguardava il piano terra
— anche quel
Poteva quasi sentire i denti chiudersi sul suo braccio, e sapeva che un morso
di quel cane
Una delle zampe posteriori le aveva calpestato la spalla sinistra nel passarle
sopra. L’inaspettata quanto fortunata caduta le aveva regalato solo un
secondo. Rebecca ruotò sullo stomaco, allungò il braccio e sparò, colpendo
l’animale mentre si girava preparandosi per un nuovo attacco. Il primo
colpo andò troppo alto, ma il secondo infilò la pallottola appena sotto
l’occhio sinistro della povera bestia.
Il cane crollò al suolo, morto già prima che gli spasmi muscolari cessassero.
Il sangue incominciò a spargersi attorno all’animale.
Sempre supponendo che questo sia un virus, pensò, mentre fissava la massa
di carne marcia che un tempo era stata un cane. Quel misterioso T-Virus di
cui aveva parlato Billy aveva tanto poco senso quanto tutto il resto di quello
aveva visto stanotte.
Come si era diffuso? Qual era il suo grado di tossicità e con quale rapidità si
amplificava nel corpo del portatore? Raschiò la suola della scarpa contro
uno dei canili e sperò che quell’umido suono che aveva sentito si
cancellasse dalla sua memoria con la stessa facilità. D’improvviso, vide
qualcosa di brillante tra le ombre. Si chinò e raccolse un piccolo anello
d’oro dal design piuttosto originale. Non sembrava essere d’oro autentico e
probabilmente non valeva niente, ma tutto
sommato era bello e, tenendo conto di tutto quello che le era successo,
poteva considerarsi fortunata per essere lì a contemplarlo.
L’anello fu tutto quello che trovò. Non c’era nessuna scheda magnetica, né
altro che potesse
Prima di andare via guardò un’ultima volta verso il cane che giaceva riverso
sulla schiena,
sbranata a morte. Non avrebbe più abbassato la guardia; sperava solo che
Billy stesse avendo più fortuna di lei.
Santo Dio!
Non c’era tempo per pensare. Billy appoggiò il fucile da caccia sulla spalla,
alzò le canne e mirò al cranio basso e piatto della cosa. Tra il movimento
del treno e l’avanzare barcollante del mostro, necessitò di alcuni secondi
per mirare con precisione, alcuni secondi che sembrarono eterni. La
creatura si avvicinava, e a ogni risonante passo dei suoi duri e appuntiti
artigli l’elegante tappeto si lacerava. Billy strinse il grilletto, boom, e il
fucile rinculò contro la spalla con sufficiente violenza da causargli un
ematoma. L’essere lanciò un grido acuto e un fiotto di fluido latteo uscì a
pressione dal cranio corazzato. Billy non si trattenne a valutare il danno
inferto, tornò a mirare e sparò di nuovo.
Boom!
La cosa gridò ancora più forte, ma continuò ad avanzare. Billy aprì l’arma,
fece saltare le
Il colpo andò a segno, conficcandosi nel centro della terribile testa del
mostro, ormai appena a un metro da dove si trovava Billy, tanto vicino che
sentì il caldo residuo della polvere da sparo sulla sua pelle nuda. L’acuto
grido si fermò quando un grande pezzo irregolare di esoscheletro saltò in
aria dalla parte posteriore della testa del mostro, spruzzando sangue e
porzioni di massa cerebrale.
Un tremore scosse la cosa, le enormi pinze si contrassero verso l’alto,
aprendosi e chiudendosi, e la coda frustò l’aria. Con un borbottante grido
finale, il mostro stramazzò a terra e sembrò sgonfiarsi mentre le pinze e il
resto del corpo smettevano di muoversi.
L’odore che restava, come di grasso sporco, rancido e acido, era quasi
irrespirabile, ma Billy
rimase immobile per più di un minuto, volendo essere sicuro che il mostro
fosse morto. Poteva vedere dove erano penetrati i primi due colpi,
leggermente a sinistra del cranio, benché l’ultimo fosse stato il migliore
poiché aveva scortecciato l’armatura che proteggeva i suoi occhi neri e
luccicanti, devastando la massa cerebrale.
Cosa diavolo era quello? Lo osservò inorridito, senza essere troppo sicuro
di volerlo sapere realmente. Doveva essere collegato ai cani e ai morti
viventi, al T-Virus. Il diario che aveva trovato diceva qualcosa sul fatto che
perfino una piccola dose poteva causare cambiamenti di dimensione e di
aggressività...
Questo significa che quel coso ne ha dovuti inghiottire come minimo dieci
litri.
stavano sperimentando.
In ogni caso, almeno per il momento, l’unica cosa che importava era che la
creatura fosse morta
— e avesse finito di cercare la chiave. Al diavolo l’andare da soli. Se il re
scorpione aveva fratelli o sorelle che facevano la ronda lì in giro, Billy
preferiva che fosse qualcun altro a doverci giocare.
Raccolse le cartucce che gli erano cadute e ricaricò il fucile. Quindi girò
intorno all’enorme carcassa pestilenziale del mostro e si diresse alla ricerca
di Rebecca. Chissà se lei aveva avuto maggior fortuna.
Mentre entrava nel vagone seguente, a Rebecca sembrò di udire dei colpi
d’arma da fuoco
provenienti dai vagoni alle sue spalle. Si trattenne sulla porta e si appoggiò
allo stipite ancora stordita, fissando il cane morto che riusciva a intravedere
da quella posizione e sforzandosi di ascoltare distintamente i rumori.
sangue del cane. Le seguì con lo sguardo. Le impronte degli stivali erano
rosse e strascicate, come se chi camminasse fosse ubriaco o... malato.
Alzò lo sguardo dal suolo e vide una parte di un braccio nudo; qualcuno che
non poteva vedere
era giusto alla fine del corridoio. Qualcuno alto. Qualcuno che indossava
degli stivali.
“Edward ?”
“Non obbligarmi a farlo”, supplicò, mentre una parte della sua mente si
domandava quanta
Quando Billy la trovò, alcuni minuti dopo, Rebecca era ancora lì, con la
pistola puntata contro il cadavere del suo amico.
CINQUE
spaventato dal fragoroso eco dei suoi passi lungo i corridoi cavernosi che lo
conducevano verso la sala di controllo B al primo livello sotterraneo.
Il posto era freddo e morto come una tomba, cosa che non sembrava affatto
una brutta analogia,
sapendo bene quello che vagabondava dietro le porte chiuse che aveva
superato. Sapeva di essere circondato da abbondante vita, o almeno da un
certo tipo di vita. In quel momento, tale
consapevolezza faceva sì che i vari echi prodotti dai suoi passi gli
risultassero ancora più sacrileghi, come se stesse urlando in un obitorio.
Che poi è quello che è realmente, anche se ancora non sono morti.
Sfortuna per loro. Lui e Annette si trovavano nei laboratori in città quando
c’era stata la
stesse già aspettando. Probabilmente sì. Birkin era in ritardo, non aveva
voluto abbandonare il suo lavoro neanche per un momento, ma Albert
Wesker era un uomo preciso e puntuale, tra le altre
Era possibile. Wesker era solo leale a Wesker, era sempre stato così, e
benché fosse da molto
tempo nei ranghi della Umbrella, Birkin sapeva che stava cercando la
maniera di uscirne. D’altra parte, sputare nel piatto dove mangiava non
faceva parte del suo stile, e Birkin conosceva Wesker da circa venti anni. Se
Wesker aveva causato tutto questo, non sarebbe certo rimasto là per vedere
che cosa succedeva.
Birkin arrivò alla fine del tratto di scale, si girò e salì sulla rampa opposta.
Presumibilmente, gli ascensori dovevano funzionare ancora, ma non voleva
rischiare. Non c’era nessuno là che potesse aiutarlo se qualcosa andava
storto. Nessuno eccetto Wesker, ma per quanto poteva saperne, il
Arrivato in cima alla seconda rampa di scale, Birkin udì qualcosa, un suono
leggero proveniente da dietro la porta che dava accesso al secondo livello
interrato.
Si trattenne un istante e immaginò quale anima perduta stesse dietro la
porta, battendo
all’orologio e iniziò a correre sul tratto finale di scale. Non voleva mancare
Wesker, supponendo che fosse ancora lì. Ma se non era stato Wesker, allora
chi? E come?
Tutti avevano pensato che si fosse trattato di un incidente, perfino lui stesso,
fino a qualche ora fa almeno, quando Wesker lo aveva chiamato per
spiegargli i fatti del treno. Gli incidenti erano troppi. Dio solo sapeva quanta
gente c’era con più che sufficienti ragioni per cercare di sabotare la
Umbrella, ma non era facile ottenere un passaggio anche solo per i livelli
inferiori in nessuno dei laboratori dì Raccoon. E se... Wesker aveva
menzionato qualcosa sul fatto che la compagnia volesse dei dati sul virus,
non semplici simulazioni, ma qualcosa di pratico; chissà, forse l’avevano
lasciato diffondere loro stessi.
O forse è così che pensavano di arrivare al suo G-Virus. Creare tutto questo
caos per poi
Era l’opera della sua vita, ma lo avrebbe distrutto piuttosto che lasciarlo
nelle mani di qualcun altro.
Prima che riuscisse ad aprir bocca, Wesker aveva già alzato una mano,
senza guardarlo,
“Aspetta”.
Birkin osservò come la giovane recluta, un ragazzo che non avrebbe mai
raggiunto la vecchiaia a causa T-Virus, sbatteva contro una piccola scrivania
in un angolo della sala, dondolandosi come facevano tutti i portatori, per
poi girarsi e dirigersi verso il tavolo con i computer. La videocamera lo
seguì. Poi, giusto quando Birkin stava per domandare a Wesker che cosa
stessero cercando, lo vide.
Birkin sbatté le palpebre, senza essere sicuro di quello che aveva visto.
Mentre ritornava verso i computer, il braccio della recluta si era allungato e
assottigliato, distendendosi fin quasi a toccare il suolo, per poi ritornare alla
sua forma originaria. Il tutto era durato meno di un secondo.
bassa e profonda.
“No”.
“Mutazione?”
Nella complicata serie di equazioni in cui si era trasformata la sua vita, tra il
lavoro e la famiglia, tra i disastri di Raccoon e i suoi sogni di riuscire a
creare artificialmente il virus perfetto, quello che avevano visto era
un’incognita.
“ Rebecca”.
Rebecca annuì.
La foresta di Raccoon, la stessa Raccoon City, tutto si trovava nei pressi dei
monti Arklay.
quella porta”.
Rebecca cominciò a camminare di nuovo verso la parte anteriore del treno,
poi sembrò averci
ripensato, forse non voleva vedere il cadavere del suo amico. Fissò gli occhi
sul pavimento e parlò a voce bassa.
“C’è un cadavere vicino la porta, un uomo con una chiave in mano”, disse.
Passò davanti a lei e avanzò lungo il corridoio fino ad arrivarne alla fine.
La mise via e spese un minuto per controllare la giacca del cadavere. In una
tasca trovò solo un mazzo di carte e nel taschino anteriore accanto un pugno
di mentine ricoperte di sporco... ma in un’altra c’erano diverse chiavi unite
da un anello. Due non erano etichettate, ma sulla terza era incisa nel metallo
la parola CAPOTRENO. Billy le mise in tasca e, dopo un momento di
riflessione, si inginocchiò e sfilò con attenzione la giacca al cadavere. Non
riuscì a evitare una smorfia di schifo notando la consistenza fredda e
spugnosa della sua pelle. Il poveraccio non sembrava aver contratto il virus,
ma una o più persone lo avevano morso ripetutamente. Dal viso e dalle
mani gli erano stati strappati grandi pezzi di pelle e muscolo; era il ridotto a
brandelli.
“La chiave che avevi visto era del vagone ristorante, dove siamo già stati”,
spiegò lui, poi tirò fuori il portachiavi dalla tasca, “ma può darsi che queste
aprano qualcos’altro”.
Billy aprì l’armadio mentre lei continuava a leggere il contenuto delle carte
sulla scrivania.
Cartine topografiche, cartoline e note varie attaccate sul retro della porta
d’ingresso, bollettini di spesa, libri sparsi qua e là e una valigetta chiusa.
Billy la raccolse e la scosse. Qualcosa si agitò all’interno, ma pesava troppo
poco. Poteva essere una chiave? Probabilmente no, ma poteva sempre
sperarlo.
Billy alzò lo sguardo mentre la giovane si tirava via un anello d’oro dal dito
indice, e prima
ancora che glielo consegnasse, seppe già che si trattava della seconda parte.
“Credo che abbiamo un vincitore!”, disse Billy, sorridendo. Era il suo primo
vero sorriso da...
Qualcuno aveva messo in moto quel treno maledetto. Era possibile che uno
degli impiegati fosse
ancora in vita, ma Wesker riteneva più probabile che fosse stato uno dei
portatori che, col cervello ormai in pappa, era caduto sui controlli. In ogni
caso, il pilota dell’elicottero non si era posto il problema, semplicemente
era stato posticipato il tempo di arrivo di alcuni secondi. Il loro tempismo
era un colpo di fortuna; se non lo avessero fermato in tempo, il treno
sarebbe andato dritto contro il centro di addestramento, schiantandosi, e
l’ultima cosa di cui avevano bisogno era richiamare
Immaginò di essere lì, sul punto dì bloccare il maledetto treno che avanzava
a gran velocità nella notte tempestosa, con l’arma sfoderata e gli infetti che
aspettavano di trovare il riposo eterno in un’esplosione di sangue e ossa.
“Sei sicuro che sia il virus? Voglio dire, non potrebbe trattarsi di un
dirottamento o di... un guasto meccanico? Siamo proprio sicuri che quella
squadra sia stata inviata per questo?”
Birkin fece un gesto con la testa verso il monitor in cui avevano visto il
soldato col braccio gommoso.
“Ne dubito. Non preoccuparti, William. Nessuno sa niente del tuo prezioso
G-Virus”. Non era
proprio vero, ma Wesker non era dell’umore giusto per consolarlo. “In
quanto al treno... chissà, forse il T-Virus si sta adattando molto meglio di
quanto pensassimo”.
Wesker. Se l’infezione del treno era un incidente, allora lui era la teiera di
sua zia Maddie, per così dire.
“La villa, i laboratori, il treno... Chi sarà stato?”, domandò Birkin a voce
bassa. “E perché?”
“Siamo sul treno, passo”. Il rumore delle eliche dell’elicottero era stato
rimpiazzato dal ritmico rumore di un treno in movimento.
Bisogna distruggere il treno. Tutte le prove devono sparire. Sono sicuro che
lo capisci, William.
“Gesù!”
Wesker strinse i denti con forza mentre, alle sue spalle, Birkin cominciava a
farfugliare in preda al panico. Sembrava fosse sorto un problema, dopotutto.
No, non cominciare a fare paragoni. Per quanto abbia fatto per aiutarti,
continua a essere un animale, e dimenticarlo può costarti la vita.
Oh.
Rebecca esitò mentre Billy avanzava rapidamente di alcuni passi per poi
chinarsi vicino ad un
soldato steso a terra. C’era un secondo corpo più o meno a un metro dal
primo. Entrambi
antigas.
Rebecca l’aveva già supposto, ma voleva accertarsene lei stessa. Gli passò
davanti ed esaminò i due corpi alla ricerca di qualche segno di vita. Notò le
strane emorragie che germogliavano dai piccoli lividi sulla pelle pallida.
Billy aveva ragione, e forse l’aveva avuta anche dicendo che aveva sentito
delle grida. Nonostante la pioggia, entrambi i corpi erano ancora caldi.
Si rialzò, tornò ad afferrare la ringhiera e seguì Billy fino alla porta della
cabina. Stava giusto pensando a che cosa avrebbero fatto se si fossero
trovati davanti un’altra porta chiusa quando vide Billy aprire la porta con
una spinta.
interdetta.
Rebecca tirò fuori la scheda magnetica dalla tasca del suo giubbotto. Non
c’erano numeri da
“Qui”, disse Billy, allungando la mano verso una leva che sporgeva da un
lato della console.
Erano i controlli che Rebecca aveva visto alla fine del treno. Billy scrisse
rapidamente SÌ.
Billy spinse la leva. Si mosse con facilità, con troppa facilità, e nuove
parole apparvero sullo schermo.
“Oh, deve essere uno scherzo! ”, esclamò Billy con una smorfia.
Billy fece segno di no con la testa, guardando verso l’oscurità che gli
passava davanti troppo in fretta.
“No, lascia che vada io. Non ti offendere, ma credo di poter correre più
veloce. C’è un sistema di intercomunicazione interna? Così posso avvertirti
non appena li avrò attivati”.
“La radio di Edward”, disse. “L’aveva prima che... credo che l’abbia ancora
addosso”.
“Fa’ attenzione”.
Il treno prese una curva troppo velocemente, e Rebecca chiuse gli occhi
pregando affinché il
Niente.
“Billy, mi senti?”
Merda!
“Ora, Rebecca!”
Rebecca vide una massa indistinta alla destra del treno, era apparsa tanto
velocemente che non si rese conto di cosa fosse fino a quando non la passò:
la banchina di una stazione ferroviaria. Il marciapiede del capolinea, e ciò
significava che l’unica cosa che c’era più avanti era il deposito dove
tenevano il maledetto treno. Questo significava che forse era già troppo
tardi.
“Tieniti forte!”, gridò per radio mentre afferrava la leva e la spingeva con
tutte le sue forze.
Rebecca sentì il proprio grido perdersi nello stridio del treno che cadeva di
lato e cominciava a scivolare. Il metallo si lacerava e le scintille brillavano
come se fossero fuochi d’artificio infernali.
SEI
riportato solo una lussazione alla spalla e alcuni graffi: niente di grave.
fianco, gli altri vagoni accatastati dietro di questa, bloccando quella che
doveva essere la gigantesca entrata del tunnel. Non aveva idea di dove
cercare il giovane membro della S.T.A.R.S. Non appena attivati i freni
posteriori, aveva iniziato a correre nuovamente verso la parte anteriore del
treno,salvo poi essere sbalzato indietro dal tremendo urto.
“Mmm...” Una sagoma giaceva vicino a un mucchio di pietre fumanti.
“Billy?”
Billy si girò e vide Rebecca camminare verso di lui, con la nove millimetri
in mano. Aveva una
“Gah!”, gridando dal disgusto, si tirò indietro fino a cadere col sedere sul
pavimento. Non poteva sapere se la creatura
moribonda fosse un uomo o una donna, poiché gran parte del suo viso e del
corpo erano sfregiati e danneggiati, tanto per la malattia quanto per
l’incidente. La creatura si mise lentamente in
La bocca era aperta e una bava tinta di sangue le scivolava tra i denti rotti
mentre si lanciava contro di lui.
fratturato della creatura, finendo ciò che restava della sua vita. Cadde sul
cemento accompagnata da qualcosa che risuonò quasi come un sospiro.
Billy si rimise subito in piedi, ed entrambi passarono alcuni secondi di
tensione percorrendo con lo sguardo i rottami alla ricerca di altri mostri
pericolosi.
risparmiato altre sofferenze, con due colpi precisi. Billy rimase sorpreso e
abbastanza impressionato dall’abilità di Rebecca.
“Stai bene?”
risvegliato. Il fucile era passato alla storia. Nessuno dei due suggerì di
cercarlo tra i resti del treno. I piccoli incendi si andavano via via spegnendo,
ma la spessa coltre di fumo nero che saliva fino al soffitto si faceva più
densa di minuto in minuto.
Wesker non lo ascoltava nemmeno. Batté sui comandi dei monitor e spostò
le immagini dalle
telecamere su altre stanze del centro, in cerca di qualcosa. Non aveva quasi
più proferito
“Mi stai ascoltando?”, chiese Birkin per l’ennesima volta negli ultimi
minuti. Era teso, e
“Che cosa? Direi che il treno sia già abbastanza pulito. Era per quello che
siamo venuti no?”
“Ah, ecco qui”, esclamò Wesker, premendo un tasto sotto uno degli
schermi.
Era l’atrio principale del centro, creato per dare il benvenuto tanto agli
ufficiali quanto ai soci dell’azienda nel mondo non troppo legale
dell’Ufficio Bianco.
Proprio mentre guardava, una mano era apparsa e aveva spinto via il
coperchio di una botola
quadrata.
nordovest della sala; lo seguì una donna di bassa statura vestita con
l’uniforme della più
“La ragazza è una recluta della S.T.A.R.S., una della squadra Bravo”,
rispose Wesker. “Nessuno
Wesker alzò lo sguardo verso lui con un sopracciglio inarcato. “Che cosa
vuoi dire?”
“Loro... beh, la ragazza è della S.T.A.R.S., e lui chissà per chi lavora... se
dovessero riuscire a scappare?”
“Non essere ottuso, William. Non hanno scampo. Anche se la struttura non
è sigillata, ci sono
portatori dappertutto. Tutto quello che devono fare è aprire una porta o
due... e smetteranno di essere un problema”.
Birkin si mosse inquieto. Odiava quel quadro. Gli ricordava come avesse
ottenuto la sua
promozione nella Umbrella, una cosa a cui non gli piaceva pensare.
Chi..., dove...
connesso...
Non era possibile, non aveva cuffie, e non era vicino a nessun sistema di
intercomunicazione,
l’acqua.
Il giovane tornò a guardarli, con un sorriso ancora più grande. Poi dalle
ombre emerse un uomo
alto e distinto, in giacca e cravatta, con i capelli impomatati pettinati
all’indietro. I suoi tratti erano marcati dall’età, ma energici, abituati a
comandare e dare ordini. Era lo stesso viso del ritratto nell’atrio.
Rise di nuovo, con una risata oscura e soave, una risata che non prometteva
niente di buono.
Non aveva alcun piano, a parte la distruzione della Umbrella. Aveva usato,
e avrebbe continuato a usare, tutti i metodi che aveva a disposizione: il
virus, i suoi piccoli e i falsi uomini che questi erano capaci di plasmare,
come il dottor Marcus...
Quello era stato come un regalo speciale per Albert e William, e li aveva
senza dubbio lasciati spaventati e confusi.
Il giovane sorrise. Che casualità che, tra tutti quanti, fossero loro quelli che
avrebbero assistito alla caduta della Umbrella. Con un po’ di fortuna,
avrebbe avuto l’opportunità di vederli morire, guardandoli negli occhi come
loro avevano fatto, senza nessuna pietà, osservando il dolore negli ultimi e
disperati momenti di vita del loro mentore. La loro morte non aveva
comunque alcuna
cessato di esistere.
Pensò all’uomo e alla donna del treno, a come poteva usarli ora che erano
entrati nel centro.
Istintivamente, la prima idea era stata quella di ucciderli per evitare che si
intromettessero, ma sembrava uno spreco. Dopo tutto, la Umbrella non era
anche il loro nemico? Avrebbero lottato per la loro vita, avrebbero lottato
per la loro libertà e, se ce l’avessero fatta, avrebbero attirato l’attenzione su
quel disastro, mettendo una croce sulla tomba della Umbrella.
E poi c’erano altri falsi uomini sparsi per tutto il complesso, e uomini creati
dalla moltitudine di sanguisughe, pronti ad infettare chiunque gli si
avvicinasse; erano stati loro i primi ad averlo aiutato a diffondere il virus.
portatori del virus che vagavano per gli ambienti del complesso, ma l’uomo
e la ragazza avevano già dimostrato di essere molto più resistenti di tanti
altri.
Gli studenti più brillanti di James Marcus ora lavoravano per limitare i
danni della Umbrella. Dopo tutti questi anni. Era una gran ironia.
“Non tanto quanto lo è stato vederlo sul treno”, rispose Rebecca, indicando
il ritratto con un
Rebecca assenti, benché dubitasse che fosse così. Gli zombie che aveva
visto sul treno e l’uomo del vagone ristorante, quello che somigliava a
James Marcus, non avevano gli stessi sintomi.
“Sì”, disse Billy, passandosi una mano tra i capelli e sorridendole con un
sorriso
sorprendentemente gradevole.
tuoi amici...”
Il suo tono era sbrigativo. La mano di Rebecca strinse più forte la nove
millimetri.
“E tu cosa farai?”
Rebecca lo seguì mentre si dirigeva verso la porta, senza sapere cosa fare o
cosa dire. Dubitava di riuscire a sparargli, soprattutto dopo che le aveva
salvato la vita, ma non poteva neanche lasciarlo andar via così.
l’elettricità, le luci... certo tutto quello che avevano visto fino a quel
momento era il deposito dove si era schiantato il treno, quell’atrio
stravagante e il tunnel seminterrato che li collegava. Non era molto per
poter giudicare.
“Ho visto almeno due porte nell’atrio, senza contare quella che sta in cima
alle scale”, proseguì Billy. “E se fossero tutte bloccate, posso sempre tentare
di strisciare attraverso i resti del treno fino ad arrivare fuori”.
Dio, che uomo irritante! Rebecca si diresse verso la casa, un po’ stupita,
quando raggiunse la porta, da come si sentisse sufficientemente sicura da
dargli le spalle. Anche perché se avesse voluto vederla morta, aveva già
avuto numerose occasioni per farlo. A dispetto di ciò che sapeva su di lui,
aveva difficoltà a pensare a Billy come a un uomo pericoloso. Il suo istinto
le diceva altro, e quella era una delle prime lezioni che si imparavano alla
S.T.A.R.S.: è possibile fraintendere le proprie intuizioni, ma queste
difficilmente sbagliano.
Billy la raggiunse mentre entrava nell’edificio, ed entrambi si fermarono,
immobili. Il quadro di Marcus era sparito.
Al suo posto c’era un varco, un’apertura buia nella parete. Dalla loro
posizione, alla fine delle scale, non c’era modo di vedere cosa ci fosse
dall’altro lato.
Rebecca stava per dire a Billy di rimanere dietro di lei quando lui la superò
con la pistola alzata.
Si mise al suo fianco, esaminando la stanza come era stata addestrata a fare,
e insieme salirono le scale fermandosi sul pianerottolo. La nuova apertura
dava su alcune scale che scendevano verso il basso in un corridoio anonimo
e debolmente illuminato.
“È quello che stavo pensando anch’io. E penso anche che potrebbe non
essere una buona idea”.
C’erano due porte al piano di sorto, una nella parete sinistra e un’altra in
quella destra. Al secondo piano, da dove si trovava, poteva vedere quattro
porte. Mentre era concentrata a guardarsi intorno, il tonfo di un forte colpo
arrivò da qualche parte alle sue spalle, all’interno del corridoio anonimo e
buio che si apriva dal pianerottolo delle scale. Suonava come qualcosa di
molto morbido e pesante che cadeva al suolo. Senza proferir parola,
entrambi si allontanarono dall’apertura.
“Allora, che ne dici di estendere un po’ più a lungo la nostra tregua?”,
domandò Billy, ma
SETTE
“Sei diventata matta? Non hai mai visto un film horror? E poi, guarda che è
successo l’ultima
volta”.
“Se non ricordo male, abbiamo trovato le chiavi per quella valigetta. E
quello di cui abbiamo
“Si, ma vivi”, replicò Billy. “È lampante che questo posto sia territorio
ostile. Se ho proposto una tregua è prima di tutto perché non voglio morire,
no?”
abbiamo le radio”.
Billy sospirò.
“Signorsì, signora”, scattò Billy con ironia. Alla ragazza non mancava di
certo l’attitudine al comando, anche se forse non doveva essere tanto
difficile dare ordini a un condannato quando stavi dalla parte della legge.
“Vediamo cosa c’è dietro la porta numero uno”, mormorò mentre apriva la
porta. Si tese, alzò la pistola e mirò. Era una sala da pranzo, un tempo
abbastanza elegante. Due, tre uomini infetti
“No”, rispose Billy, infastidito. “Ma non credi che dovremmo riconsiderare
il tuo piano? Passo”.
stanza era a forma di U, con una fila di lavandini fissati su due delle pareti e
quattro cubicoli con water che coprivano la terza parete, discretamente
nascosti dalla porta di entrata. Per quanto
cubicoli pendeva fuori dai cardini, il sedile del water sembrava essere rotto
e c’erano alcune
cianfrusaglie inutili sparse al suolo: bottiglie vuote, cocci con piante e altri
detriti improbabili per un bagno. Trovò una tanica di plastica con della
benzina in uno dei cubicoli. C’era dell’acqua
Poco dopo, si stava tirando tu la cerniera quando sentì qualcuno entrare nel
bagno. Un passo e
Col quarto passo un profilo apparve sullo specchio e Billy uscì dal cubicolo,
provando un
Lo zombie fece un altro passo e si mise sulla linea di fuoco di Billy. Questi
mirò accuratamente sopra l’orecchio destro dell’essere, non volendo
sprecare nemmeno un colpo, ma lo zombie si girò improvvisamente, a una
velocità maggiore di quanto si aspettasse. Si accovacciò leggermente,
La cosa esitò per un istante, mentre un liquido nero gli colava dalla ferita
che si era aperta
— mi blocca la strada...
Tirò fuori l’accendino che aveva trovato sul treno, ringraziando il cielo per
averlo preso, e
acuto inondò la stanza. Non era una voce, era lo stridere contemporaneo di
migliaia di piccole
Billy non sapeva se la benzina da sola sarebbe stata sufficiente, e non aveva
intenzione di
Ormai non gli importava dei piani di Rebecca. Dovevano riunirsi il più
presto possibile e uscire in gran fretta da quel diavolo di posto, anche a
costo di scavare i muri a mani nude.
4 dicembre
23 marzo
19 agosto
una mezza dozzina di riprove che davano lo stesso risultato, tutto è stato
stravolto. Ashford ancora continua a lavorare sui numeri della citosina
procedendo a ritroso, ma è solo un sogno. Dobbiamo continuare a
osservare i risultati.
30 novembre
Spencer ne sarà lieto, che sia dannato, anche se gli dirò solo che ho
ottenuto alcuni progressi, ma non a che punto sono, né come e né perché.
Ho già deciso il nome. Lo chiamerò T, da Tyrant, Tiranno. In suo onore.
23 ottobre
Non posso pensare a loro come a essere umani. Sono solo cavie per i test,
questo è tutto. Sapevo che le mie ricerche mi avrebbero portato a questo
giorno.
No.
13 gennaio
11 febbraio
Spencer, maledetta sia la sua anima, sa delle mie sanguisughe, della mia
bella colonia, e questa...
questa persecuzione, non finirà fino a che uno di noi due non sarà morto.
Non posso fidarmi di nessuno... Chissà, forse solo di Albert e William, le
mie torri; loro credono nel mio lavoro, ma dovrò eliminare gli altri. La
partita si avvicina alla fine. Cercherà di prendere la mia regina, ma vincerò
io. Scaccomatto, Oswell.
essere i tre piani interrati dell’edificio, comprese alcune zone senza nome
che forse conducevano all’esterno.
L’altra sembrava essere dei piani superiori, con una stanza segnata
OSSERVATORIO vicino a
Dopo tutto quello che aveva passato quella notte — l’atterraggio forzato
con l’elicottero, il treno, Billy, il deragliamento, e ora questo — continuava
ancora a sperare che apparisse la cavalleria, che qualcun altro si facesse
carico di tutto, così che la rimandassero a casa per consumare una cena
calda, dormire un bel po’ e svegliarsi il giorno dopo per cominciare di
nuovo la sua vita normale.
Ma, apparentemente, era tutto il contrario, ed era sempre più invischiata nel
mistero di Marcus e delle sue creature, nella Umbrella e dei suoi terribili
esperimenti.
I due camminarono fino alla fine del corridoio, poi attraversarono la porta
di un ufficio
un ambiente senza uscite dove un tempo venivano tenuti gli esemplari vivi.
Era da tempo ormai che non c’erano più gabbie lì, e la stanza era ormai
vuota. Il giovane non era certo del perché i due avessero scelto una strada
senza uscita fino a quando li vide dirigersi verso l’angolo nordovest e
guardare verso un rettangolo nero vicino al soffitto.
Il condotto di ventilazione. Non c’era sulla mappa. Forse credevano che
fosse una via
Il giovane scosse la testa. Le stanze private del dottore Marcus, la sala dove
un tempo
niente.
A meno che...
affamate. L’unica cosa che doveva fare era lasciare che i suoi piccoli
aprissero una gabbia o due...
come due individui di studio. Potevano morire, certo, ma in fin dei conti la
loro dipartita avrebbe ritardato solo di poco la fine della Umbrella.
Il giovane abbozzò un sorriso affilato come una lama mentre Billy spingeva
Rebecca alzandola
fino alla griglia di ventilazione. La ragazza ci strisciò dentro fino a sparire
dalla sua vista. Non sarebbe stato divertente se alcuni esemplari della serie
dei primati si fossero uniti al gioco?
OTTO
Rebecca si spinse nel condotto di ventilazione senza far troppo caso allo
strato di polvere e alle ragnatele che le si erano attaccate sui capelli e sui
vestiti e ignorando la sensazione claustrofobica dovuta alle soffocanti sottili
pareti di metallo. La mappa mostrava solo il condotto che univa due stanze
nel primo piano sotterraneo, ma c’erano degli spazi vuoti nel secondo
livello sotterraneo che sembravano far parte anch’essi del sistema.
Sembrava possibile che uno dei condotti si aprisse sull’esterno. Quell’idea
non aveva entusiasmato Billy — “possibile” non era esattamente la stessa
cosa di “probabile” — aveva detto, ma entrambi furono d’accordo che
valeva la pena tentare.
Almeno non sembra essere troppo lungo, pensò Rebecca, mentre strisciava
verso il rettangolo di luce che si apriva più avanti. Una fine griglia di
metallo copriva l’uscita, ma saltò via con pochi colpi, tintinnando sul suolo
sottostante.
Diede un’occhiata alla grande stanza fatta di pietra. Sotto il tremolio di una
lampada morente, l’ambiente sembrava vuoto, freddo e umido. Rebecca
afferrò il bordo dell’apertura e saltò giù rotolando con una capriola appena
toccato il terreno. Si rialzò, si ripulì l’uniforme e osservò la stanza.
Oh Gesù!
Sembrava una prigione sotterranea medievale, grande e scura come una
grotta di pietra. Dalle pareti di roccia pendevano catene di ferro arrugginito,
dalle quali, a loro volta, pendevano delle manette. C’erano vari strumenti
che Rebecca non riuscì a riconoscere, ma che evidentemente
potevano essere stati utilizzati solo per infliggere dolore. Tavole con chiodi
ossidati, corde annodate a grappoli e, vicino a una fontana coperta di muffa
e sporcizia, c’era una specie di armatura
“Non credo che ‘bene’ sia la parola più adatta”, rispose “ma io sto bene.
Passo”.
Rebecca osservò le pareti alla ricerca di un’altra griglia, e ne vide una a tre
metri o anche di più di altezza.
Una pausa.
“Sembra che si apra su una piccola stanza che riporta al corridoio da dove
siamo passati”, la
credeva di aver mai sentito prima, ma che allo stesso tempo le risultò
stranamente famigliare. Era un grido acuto, simile a quello di una...
scimmia...
direzioni. Rebecca alzò lo sguardo giusto in tempo per vedere una creatura
pallida e dalle lunghe membra che la osservava dal condotto di ventilazione
del soffitto. La creatura mostrò i denti, grandi e affilati, mentre sembrava
voler afferrare l’aria davanti al suo petto muscoloso con le agili dita,
stridendo orribilmente. Prima che Rebecca potesse fare un passo, la creatura
saltò dal condotto di ventilazione fino alla parete, rimbalzò sulla roccia e
atterrò in posizione accovacciata su una pila di tavole al centro della stanza.
Le labbra tirate lasciavano scoperti i denti giallognoli. Era come un
babbuino dal pelo corto e bianco, eccetto per i grandi squarci nel manto da
cui si intravedevano brillanti fasci di gonfio muscolo rosso. Non sembrava
fosse stato attaccato o ferito, ma era come se i suoi muscoli fossero cresciuti
tanto da lacerare la pelliccia. Le zampe erano troppo grandi e le unghie
troppo lunghe e la creatura se le trascinava dietro tracciando dei segni sul
suolo di pietra mentre si avvicinava a Rebecca dalla pila di tavole, con un
sorriso malizioso sul viso contorto.
Piano...
sopra. Il rumore era sempre più forte man mano che più animali malati si
avvicinavano. Quello
“Sshhh”, disse con voce soave, tanto per calmare l’animale quanto per far
tacere Billy.
Uno di loro le colpì la testa con una zampa e gli artigli affilati le
strapparono i capelli.
interesse.
“L’ho fatto?”
“Sì!” Birkin era visibilmente arrabbiato. “Non voglio che si intrometta più
nessuno della
sistemato”.
Birkin assentì con un gesto, tuttavia Wesker lesse l’inquietudine brillare nei
suoi occhi. Birkin aveva paura del suo nuovo contatto con i pezzi grossi
della sede, ed evitava di avere qualunque relazione con lui. Wesker non
poteva biasimarlo. C era qualcosa in quel Trent, quella strana
“E che cosa faccio con... lui?” Birkin fece un gesto con la testa verso gli
schermi.
“Un fanatico vendicativo. Molto bravo con gli effetti speciali, ma credo che
brucerà anche lui, come qualunque altra cosa qui dentro”. Wesker non ne
era troppo convinto, ma non era interessato a risolvere anche quel mistero.
Non era il detective di qualche romanzo da quattro soldi incentrato sulle
cospirazioni, spinto dalla necessità di arrivare fino in fondo alle cose. Per
esperienza
personale, sapeva che le anomalie normalmente tendevano a risolversi per
conto loro, in un modo o nell’altro.
Wesker si avviò verso la porta, gli stivali che tintinnavano sulla rete
metallica. Birkin lo seguiva come un cucciolo fa con il padrone.
Uscirono dalla sala di controllo. Wesker si diresse con passo svelto verso la
fine del corridoio e Birkin gli corse dietro per rimanere al suo fianco.
Raggiunto l’ascensore, le porte si aprirono e Wesker ci si infilò dentro.
Birkin si fermò di fronte a lui. Sotto la luce brillante del corridoio, Wesker
poteva vedere l’ombra della pazzia che segnava il viso dello scienziato.
Delle grandi
occhiaie scure gli circondavano gli occhi e aveva un lieve tic a un angolo
della bocca. Wesker si chiese vagamente se Annette avesse notato la discesa
di suo marito nei più profondi pozzi della paranoia, ma era sicuro di no.
Quella donna era cieca a tutto tranne che alla “grandezza” del lavoro di suo
marito. Che disgrazia per la figlia, avere due genitori del genere.
“Billy, aiuto!”
Billy aveva iniziato a correre non appena sentite le urla degli animali e il
fragore dei colpi d’arma da fuoco, ed era già nel corridoio quando l’atterrito
grido di Rebecca gracchio nella radio.
Corse più in fretta mentre si infilava le mappe nella tasca posteriore, l’arma
in mano, maledicendosi per averla lasciata andare nel condotto di
ventilazione. Lì, davanti a lui, c’era la porta, non troppo lontano dal corpo
di uno dei ragni giganti. Gli si lanciò contro e la spinse con la spalla mentre
abbassava la maniglia. Questa si aprì con un scricchiolio e Billy entrò nella
stanza. Le lampade fluorescenti sul soffitto, danneggiate, lampeggiavano
con un effetto stroboscopico, regalando alla stanza un aspetto surreale,
simile a un qualche tipo di laboratorio, benché in un angolo ci fosse una
specie di branda ricoperta di muffa.
Billy indietreggiò fino all’angolo dove la porta si univa col muro di pietra.
Non voleva stare con le spalle al muro, ma lo preoccupava molto di più
lasciare la schiena esposta a un attacco. Le scimmie continuarono a
ballonzolare avanti e indietro, urlando.
“Quaggiù!”
La sua voce sembrava lontana. Poi vide il buco, a pochi metri di distanza.
Pezzi di legno
Ma non era morta. Scosse la testa e avanzo di nuovo. Billy pensò fosse
finita, le scimmie erano troppo forti, troppo organizzate. Non poteva sparare
ad una di esse senza rimanere esposto
all’attacco di un’altra...
Rebecca non replicò, ma lui la vide stringere i denti. Bene, forse la paura le
avrebbe tenuto salda la presa.
sprecare altro tempo. Mise il braccio come fa un quarterback nel bel mezzo
di una partita
importante e caricò contro la creatura. La spinse con tutta la forza che aveva
e la superò correndo mentre lo zombie indietreggiò cadendo a terra. Billy
era già troppo lontano perché il grido frustrato e affamato della creatura
potesse arrivare alle sue orecchie. Attraversò il corridoio, passò davanti agli
orribili corpi dei ragni e salì le scale. Tirò fuori il caricatore dalla sua nove
millimetri e se lo mise in tasca, cercò a tentoni quello di scorta e lo infilò
nell’arma proprio mentre attraversava l’atrio.
Resisti, resisti...
Non esitò neanche un momento prima di entrare nella sala da pranzo. Aprì
la porta di colpo e
corse dentro. Vide due zombi fuori dalla sua traiettoria, a una distanza
relativamente sicura con il tavolo che ne intralciava il passaggio. Il terzo
invece si trovava proprio vicino alla porta che sperava lo avrebbe condotto
da Rebecca. Era il soldato con la forchetta infilzata sulla spalla, e Billy si
fermò giusto il tempo di prendere la mira e sparare due colpi alla sua testa
che grondava di liquido nero.
Il primo andò a vuoto, ma il secondo gli fece volar via buona parte dell’osso
posteriore del
Il corpo rimase immobile per un istante, e Billy gli passò davanti prima che
cadesse a terra.
Destra o sinistra?
La sala più ampia era fredda e umida, con pareti e pavimento di pietra. La
attraversò correndo
mentre lanciava uno sguardo verso il grande monumento che c’era sulla
sinistra, quello che,
Occhi ciechi lo fissavano dalle facce degli animali scolpiti nella pietra,
osservandolo mentre
correva. Girando l’angolo sentì un grido provenire dal corridoio che aveva
davanti. Riconobbe
La voce alla radio suonava disperata e Billy accelerò senza fare caso alla
parte del suo cervello che gli ordinava di fermarsi e di aspettare che
l’animale si mostrasse, così da potergli sparare mirando a distanza sicura.
E Billy, che era stato un gran corridore alle superiori, saltò. Le passò sopra
atterrando a due passi dalla porta, proprio quella che cercava, mentre la
scimmia gridava furiosa alle sue spalle. Se la porta fosse stata chiusa si
sarebbe cacciato in un mare di guai, ma per fortuna non fu così. La
attraversò a gran velocità, si lanciò di getto e scivolò fino ad arrivare al
grande buco nel suolo.
Rebecca era lì, era ancora lì, reggendosi con un’unica mano che ormai stava
per scivolare. Lasciò cadere la pistola e allungò il braccio afferrando la
ragazza per il polso proprio quando le dita stavano perdendo
definitivamente la presa, ormai stremate.
oscuro. Billy provò una soddisfazione che quasi aveva dimenticato esistesse
dopo tutti quei mesi passati in prigione: quella di sapere semplicemente di
aver fatto la cosa giusta, e di averla fatta bene.
Billy la tirò definitivamente fuori dal buco, facendo leva sul suo peso,
tirandola praticamente sopra di lui in una sorta di rozzo abbraccio. Invece di
spingersi via, Rebecca lasciò che la tenesse per un momento, stringendosi a
lui, incapace di contenere le lacrime di gratitudine e di sollievo.
Billy sembrò capire quello di cui Rebecca aveva bisogno e la strinse forte.
Era stata tanto sicura di cadere, di morire, persa e dimenticata in qualche
sotterraneo puzzolente, il cadavere divorato da animali infetti...
Passato un momento rotolò via da lui, asciugandosi il viso con una mano
tremante. Entrambi si
“Sì, lo so”, ripose lei. “E so anche che non sei un assassino, Billy. Perché ti
stavano portando a Regarthon? Hai... sei davvero coinvolto in quegli
omicidi?”
“Si potrebbe dire che sia così”, rispose. “Io ero lì, comunque”.
Ero lì...
Quella non era la stessa cosa che dire di aver ammazzato qualcuno.
“Non credo che stanotte tu abbia ucciso le guardie che ti scortavano; credo
che sia stata una di quelle creature e che solo tu sia riuscito a sopravvivere
fuggendo”, insistette Rebecca. “E, anche se non ti conosco da molto, non
credo neanche che tu abbia ucciso ventitré persone”.
“Non importa”, replicò Billy, guardandosi gli stivali. “La gente crede quello
che vuole credere”.
“Importa a me”, affermò Rebecca con tono gentile. “Io non voglio
giudicarti. Voglio solo sapere.
“Lo scorso anno inviarono la mia unità in Africa per intervenire in una
guerra civile”, spiegò.
“Il caldo uccise la metà di noi. Il nemico fece il resto, facendoci fuori uno a
uno. Quando
Qualcuno doveva pagare per tutto quello che avevamo passato, lo capisci?
Per tutta quella rabbia e quel dolore. Solo che non c’era nessun
nascondiglio. L’informazione
“Il capo squadra ci ordinò di radunarli, e noi così facemmo”, continuò Billy.
“Poi ci disse di...”
La sua voce si spezzò. Allungò la mano, raccolse la pistola dal suolo e se la
mise nella cintura, con tanta rabbia quanta quella con cui si alzò, voltandosi.
Anche Rebecca si rimise in piedi.
“Lo hai fatto?”, chiese ancora Rebecca, studiando il viso dell’uomo, i suoi
occhi, decisa
Rebecca si girò mentre lui avanzava. Vide una pila di rottami di metallo
appoggiati contro il
muro. Seminascosto tra questi, c’era quello che sembrava essere un fucile
da caccia.
“Ed è carico?”
Poi sorrise di nuovo: “Le cose migliorano. Chissà, forse non ce la faremo a
uscire di qui, ma c’è una scimmia nel corridoio che sta aspettando di
provare questa meraviglia”.
essere, per la prima volta, di fronte al vero Billy Coen. In quel momento si
rese conto di aver fallito completamente la sua prima missione.
Billy era suo prigioniero tanto quanto lei lo era di lui. Supponendo che
fossero riusciti a
sopravvivere, se Billy avesse deciso di fuggire, lei non sarebbe stata in
grado di fermarlo.
Questo sì che è un bel modo per iniziare una carriera nelle forze
dell’ordine.
NOVE
“C’è una nota qui. Dice essenzialmente che bisogna andare dal più debole
al più forte
“È una specie di enigma”. Afferrò una delle sbarre di metallo della grata e
la scosse. “Deve
Billy. Stupido. Perché complicarsi la vita? Tirò fuori le mappe dalla tasca
posteriore e le esaminò.
“Sembra ci siano solo un paio di ambienti là dietro. Non vedo nessuna via
d’uscita”.
“Sì, ma forse là dentro c’è qualcosa che può tornarci utile. Che male può
farci?”
Rebecca sorrise girandosi verso l’animale in pietra che aveva più vicino,
una tigre sulla cui
Rebecca lesse i due restanti a voce alta. Le parole sotto il lupo erano: IL
MIO ACUTO
ZAMPE. La bestia cornuta. Billy tornò dal cervo e lesse di nuovo la parte
sul “mostrare le corna con orgoglio.”
“Deve essere l’aquila; stringe un serpente con gli artigli”, ripose Billy.
Suppongo che, dopo tutto, valesse la pena risolvere quel maledetto enigma.
sarebbe servita a molto, così come il paio di caricatori rapidi; Billy dovette
spiegarle che quegli arnesi tondi in metallo servivano per ricaricare
rapidamente una rivoltella con pallottole calibro .50.
“Voglio dire, non che tu non sia attraente, ma sei... io sono... voglio dire...”
“Scendiamo o saliamo?”, chiese Rebecca una volta tornati nella sala delle
statue.
“C’è un osservatorio al piano di sopra, giusto?”, chiese Billy. Rebecca
annuì.
genere”.
Preferiva morire lottando per la sua vita piuttosto che essere giustiziato...
ma c’era Rebecca da considerare. Era una persona buona, onesta e sincera,
e avrebbe fatto tutto il possibile per portarla fuori di lì.
criminale, ma decise rapidamente che era meglio così. Per la prima volta da
quel terribile giorno nella giungla sentì che si piaceva di nuovo, che era
tornato se stesso.
loro forza d’animo. Dopo aver consultato le mappe per qualche secondo, si
erano diretti verso il piano di sopra, presumibilmente all’osservatorio;
benché i suoi piccoli potessero sentire le loro voci, non erano riusciti a
distinguere le parole.
Si domandò che cosa avrebbero trovato lì, nei laboratori del Dottor Marcus.
Chissà, magari alcune cose da poter rubare. Voleva che scoprissero tutto ciò
che c’era da sapere sulla vera natura della Umbrella, anche se non gli
piaceva troppo vederli ficcare il naso tra i tristi ricordi della brillante
carriera di Marcus.
Billy e Rebecca attraversarono le stanze della zona est del primo piano e
tornarono nell’atrio
condotti verso il terzo piano ed entrarono nella tromba delle scale con le
armi spianate. I loro giovani visi erano determinati e, apparentemente, senza
paura. Li osservò cominciare a salire gli scalini e si trovò davanti a un
dilemma emotivo. Voleva che avessero successo, ma voleva anche vederli
morire. Esisteva un modo per avere entrambe le cose?
Il tragitto fino al terzo piano era stato tranquillo, benché si fossero dovuti
affrettare per
“Che cosa credi che stessero allevando?”, domandò Billy con vote bassa.
“Il posto sembra sicuro. Potremmo provare una porta per uno. Basta aprire
e guardare, niente
separazioni, ok?”
Rebecca assenti con un gesto. Si sentiva molto più sicura ora che aveva una
buona scorta di
“Prenderò il patio”.
“Ehi”, Billy la chiamò proprio quando era arrivata davanti alla porta.
Aveva in una mano quello che sembrava un libro e, nell’altra, altri due.
Rebecca aguzzò la vista e vide che erano fatti di pietra e che avevano un
estremo arrotondato.
“Che cosa sono?”, domandò Rebecca. La sua voce, benché bassa, si sentì
perfettamente nell’aria
fredda e quieta.
“Forse sono oggetti decorativi”, rispose. “Ognuno ha una parola incisa sulla
parte anteriore”.
animali”.
bassa voce.
Rebecca si girò verso la porta e alzò l’arma mentre girava il pomello. Era
chiusa a chiave.
Sospirò e rilassò le spalle, rendendosi conto di quanto fosse stata tesa,
aspettandosi un qualche tipo di attacco.
“Ok, sto...”
Qualunque cosa fosse, era grande, e si stava avvicinando man mano che il
suono aumentava.
“Andiamo!”
Rebecca cominciò a correre col cuore che le batteva forte nel petto,
temendo di guardare verso la piscina, ma anche di non farlo. Avverti un
movimento, qualcosa di scuro e denso, e corse più
Quello che vide per poco non le fece perdere qualsiasi pensiero coerente.
“Corri!”, gridò Billy, e la ragazza corse più veloce che poté, respirando il
fetore della creatura, un terribile odore aspro che le avrebbe causato la
nausea se avesse avuto il tempo di
Proprio quando raggiunse Billy, lui sparò, caricò di nuovo il fucile e tornò a
sparare mentre lei si tuffava dall’altro lato della porta. Non appena la
ragazza fu al sicuro, lui saltò indietro e chiuse rapidamente i battenti.
Mezzo secondo dopo udirono distintamente il suono del corpo corazzato del
mostro che
“Non ritorniamo là”, suggerì Rebecca, desiderando con tutte le sue forze
che non ci dovessero
più passare.
Il braccio del telescopio era nella parte più alta, fuori della loro portata.
Dietro di lei, Billy stava gettando uno sguardo al resto della strumentazione:
console, computer e altri dispositivi che non riusciva a riconoscere.
Rebecca si girò di nuovo verso il telescopio e guardò il ripiano alla base,
rimanendo senza fiato. C’erano tre cavità, tutte con la forma di una lapide,
dritte in un estremo e ricurve nell’altro.
“Non vedo radio qui, ma...”, disse Billy prima che lei lo interrompesse.
“Dimmi che hai ancora
quelle tavole di pietra”, disse.
Billy si girò a guardare il ripiano mentre apriva il marsupio. Tirò fuori le tre
tavole, ognuna del volume di un libro tascabile, ma più sottili. Rebecca le
prese e richiamò alla memoria lo
“Suppongo che sappiamo già dove ci tocca andare”, scherzò Billy, tentando
di abbozzare un
DIECI
“Salame piccante?”
“Aagh”, protestò lui con una smorfia, godendo della conversazione. Non
avevano avuto molto
tempo per conoscersi, ma sentiva una sorta di legame tra loro, una
connessione che spesso aveva notato con altri durante un combattimento.
“Cibi arancioni?”
“Sì. Sai, quel colore arancione innaturale. Ormai l’hanno messo nei
maccheroni al formaggio,
Rebecca sorrise.
“Giusto l’età per votare”, rispose lei, con un tono leggermente sulla
difensiva.
Prima che potesse chiederle come fosse entrata nella S.T.A.R.S. alla sua
giovane età, lei
aggiunse: “Sono una dei tanti bambini prodigio, laureata al college e tutto il
resto. E tu quanti anni hai, nonno? Trenta?”
“Ventisei”.
Rebecca rise.
“Ho detto: lascia che ti porti una sedia a rotelle! ” , gridò, prendendolo
ancora in giro. Billy non riuscì a trattenersi dal ridere. Ridevano ancora
quando passarono davanti a una piccola cabina di guardia alla destra della
passerella e videro dentro un corpo, disteso al suolo.
più oscure. Non era un posto molto invitante, ma Billy non vide nessuno
zombie o uomini-
prima.
Alcuni ampi scalini davano su una porta a due ante. Billy rimase a vigilare
sugli ombrosi sentieri mentre Rebecca salì fino alla porta scuotendola.
“Stai indietro”.
Ma era anche quasi distrutta; almeno la metà delle panche era rovesciate, e
poteva vedere l’esterno da un enorme buco nel soffitto, non lontano da dove
si trovavano.
Billy assentì con la testa. Non tanto l’altare quanto per quello che c’era
intorno.
“Mi sentirò meglio quando saremo usciti di qui”, disse Billy, alzando
leggermente il tono della voce, accorgendosi che anche lui stava
sussurrando.
l’oscurità nella parte alta del tetto; si era avvicinato quanto bastava perché
un’ondata di respiro putrido li raggiungesse, come se fosse fatto di carne
marcia.
Billy spinse indietro Rebecca con una mano e afferrò i pomi rotti della porta
con l’altra. La
Scesero gli scalini correndo, e Rebecca girò verso destra seguita da Billy.
Verso quel lato
Alla destra della stradina, un po’ più avanti, c’era quello che sembrava
essere un ascensore, situato vicino alla parete della chiesa. Billy non era
sicuro che fosse l’opzione migliore, ma poteva sentire chiaramente il battito
delle ali da qualche parte sopra le loro teste e il feroce grido del pipistrello
alla ricerca di prede.
Era piccolo, non c’era quasi posto per tutti e due. Si spinsero dentro e
videro che l’unica
direzione era verso il basso. Meglio così, Billy non aveva nessun voglia di
visitare il campanile della chiesa e scoprire se quel folle pipistrello avesse
qualche fratello o sorella da quelle parti.
“Ok, vada per B2”, disse Billy, sperando di non essersi infilati in una
trappola.
Billy si mise davanti a Rebecca, preparò il fucile e sperò che le porte non
stessero per aprirsi su un’orda di creature infette, ansiose di gustare uno
spuntino notturno.
Uscì cautamente, con Rebecca subito dietro. Come nel palazzo del centro di
addestramento,
Rebecca rimase vicino alla prima porta mentre Billy ispezionava il resto del
corridoio. C’era
l’ambiente più luminoso che avevano visitato in tutta la notte. Oltre agli
scaffali, c’erano diversi tavoli bassi e una piccola scrivania con un’antica
macchina da scrivere poggiata sopra. Billy si avvicinò al tavolo più vicino e
prese un pezzo di carta.
“Per nascondere una foglia, mettila nella foresta. Per nascondere una
chiave, fa’ che sembri una foglia”.
anfibi...”
“Vieni a vedere questo”, la richiamò Billy. Mentre lei girava l’angolo, Billy
prese il tavolo più vicino e lo spinse sotto il foro. Ancora non era sufficiente
per raggiungerlo...
“Porrei salire io”, propose Rebecca. “Dare un’occhiata in giro e trovare una
corda o qualcosa di simile per far salire anche te”.
Billy si accigliò.
“Non lo so. L’ultima volta che sei voluta andare a cercare qualcosa...”
Billy salì sul tavolo e intrecciò le dita per darle una spinta. Rebecca salì
dopo di lui, gli mise il piede destro sulle mani e una mano sulla sua spalla.
Era leggera come una piuma; probabilmente Billy avrebbe potuto alzarne
due senza troppi sforzi.
La spinse su con facilità e Rebecca sparì dalla sua vista passando attraverso
il buco. Un secondo dopo, si affacciò.
trovare”.
“Rebecca!”, urlò, con lo sguardo impotente inchiodato sul buco nero nel
soffitto.
spostato degli oggetti che avevano lasciato dei segni: tracce dietro le sedie e
impronte digitali sulle bottiglie dei campioni. Rebecca gettò una rapida
occhiata all’ambiente circostante e si chinò sul buco. L’espressione di Billy
era tesa.
Si girò e percorse di nuovo la stanza con lo sguardo. Notò che era più
grande di quanto avesse
divideva l’area in due parti. Non l’avrebbe notato se non fosse stato per una
debole, pallida luce bluastra che sembrava essere emanata da qualche punto
della zona nascosta. Tenendo la nove
millimetri in mano fece un passo dietro l’angolo e... lanciò un grido. Stava
quasi per sparare al mostro luminoso che galleggiava all’interno di un tubo
cilindrico di fronte a lei prima di rendersi conto che non era vivo.
“Rebecca!”
disgustata e, stava per allontanarsi, quando si rese conto che uno dei cilindri
era differente dagli altri.
Perché qualcuno dovrebbe fare una sanguisuga finta per poi metterla...
Sbatté le palpebre ricordando il pezzo di carta che Billy aveva letto: “Per
nascondere una foglia, mettila nella foresta. Per nascondere una chiave...”
“Il tappo non verrà via...”, si fermò, vedendo Billy tirare il tubo al suolo,
vicino al tavolo. Il giovane le sorrise, e saltò giù schiacciando il cilindro col
tacco dello stivale. Il vetro scricchiolò, e un secondo dopo Billy aveva la
chiave in mano. “Risolto”, disse. “Andiamo”.
Billy si accigliò.
“Sei sicura ?”
chiamami”.
Rebecca diede alcuni colpi alla radio. “Nessun problema”. Billy la guardò
per un istante, poi si voltò e si allontanò. Rebecca osservò di nuovo il
laboratorio concentrando l’attenzione sulle due grandi scrivanie della
stanza.
santuario privato del Dottor Marcus e lo aveva dato a Billy. Tutto quello che
avrebbero dovuto fare era raggiungere la funivia, forse scassinare una
serratura o due e poi correre via verso la libertà.
Invece, sembrava che non volessero proprio lasciare in pace la memoria del
dottore, che volessero violare le poche cose private che aveva lasciato.
“A meno che noi non li fermiamo”, disse ai piccoli, mentre osservava Billy
usare la piccola
effige per aprire le stanze di Marcus e Rebecca curiosare senza rispetto tra
le carte private del dottore. Osservare quei due era stato un interessante
diversivo, ma ora si era stancato. Il mondo avrebbe saputo la verità sulla
Umbrella anche senza di loro.
UNDICI
Come aveva sospettato, il santuario che chiudeva il corridoio era una porta
e la piccola statua della sanguisuga che aveva trovato Rebecca si incastrava
perfettamente nella “serratura”.
cantava che aveva visto là fuori. Era quello l’autentico Marcus? Non
sembrava possibile. Nel diario che Rebecca aveva trovato, Marcus rivelava
deliri paranoici contro Spencer, sospettando che
volesse impadronirsi del suo lavoro; e questo accadeva circa dieci anni fa.
La gente che perdeva la testa, normalmente, non era in grado di continuare
il proprio lavoro. Ad ogni modo, Rebecca stava aspettando. Lasciò da parte
quel mistero minore e spinse la stravagante porta con la canna del
I mobili in legno erano molto antichi: c’era un tavolo basso, delle sedie e
una grande scrivania centrale. Lo spesso tappeto attutiva i suoi passi.
acquario che dominava l’angolo nordest, proprio vicino a lui. Era ricolmo
d’acqua e illuminato da una luce azzurrina, anche se vuoto.
Billy si sforzò per vedere meglio, avvicinandosi. No, non era vuoto. Non
c’erano pesci, né rocce, né piante, ma c’erano numerose cose che
galleggiavano sulla superficie, cose non piacevoli, ormai irriconoscibili, ma
non per questo meno grottesche. Sembravano essere pezzi di carne umana,
ma
senza forma, senza ossa, come pezzi amputati e deformi. Billy si allontanò
rapidamente, nauseato dai pallidi oggetti galleggianti. Uno degli armadi a
parete era aperto. Si avvicinò e gettò un’occhiata ai libri che c’erano dentro.
Su uno degli scaffali giaceva un vecchio album di foto, lo prese. Sapeva di
dover tornare da Rebecca, ma la curiosità lo pungeva e si domandò se il
busto della porta
Billy studiò la foto e dedusse che il giovane nel mezzo poteva essere James
Marcus. Qualcosa
Non lo avevano visto molto bene, ma aveva la stessa aria, le stesse spalle
larghe... “Potrebbe
Tutta quella storia era come un puzzle, e stava cominciando a pensare che
aveva appena trovato
Billy si avvicinò, prese il piccolo oggetto dalle dita pallide della statua e
sorrise quando si rese conto di cosa si trattava.
Un’altra chiave per un’altra porta segreta. E questa poteva essere davvero
loro biglietto d’uscita.
Giorno 1
Giorno 8
Giorno 12
Giorno 23
Giorno 31
L’ultima nota le illustrò chiaramente fino a che punto era arrivata la follia
del dottor Marcus.
Giorno 46
“Ehi!”
Era Billy, che chiamava dal piano di sotto. Rebecca lasciò le carte e
camminò fino al buco,
“C’è una porta con il busto di Marcus lassù?”, domandò Billy. Rebecca fece
segno di no con la
testa.
“Non lo so. Non in questa stanza, comunque. Stavo leggendo qualcosa in
più sugli esperimenti di questo fanatico. Vuoi che dia un’occhiata?”
Billy esitò.
“Perché non aspetti che salga e diamo un’occhiata in due? Lascia solo che
trovi un tavolo o
qualcosa per...”
“Farò attenzione”, assicurò Rebecca. “Non hai detto che c’è un’altra porta lì
sotto? Forse
“Ha una serratura a combinazione”, rispose Billy. “A meno che tu non abbia
un set di
Rebecca sospirò. Era un peccato che Jill Valentine non fosse con loro.
Faceva parte della squadra Alfa e, secondo Barry, era in grado di forzare
qualsiasi...
Billy assentì. Rebecca si allontanò dal buco e ritornò in fretta alla scrivania
e alle note di Marcus.
questa”.
In verità non avrebbe voluto fare niente da sola, soprattutto dopo l’incontro
con i primati, ma visto che si trovava già lì al primo piano, aveva senso che
fosse lei a dare uno sguardo veloce.
La porta del laboratorio dava su un breve corridoio con tre porte, oltre a
quella che aveva attraversato. La prima porta, a destra, era chiusa a chiave.
Non lo era, ma per il modo in cui era disposto, doveva essere connesso al
primo laboratorio.
Un movimento. Lì, vicino al tavolo della parete divisoria, c’era uno degli
uomini infetti, scarno e giallognolo, con gli occhi bianchi e la bocca aperta
e affamata. Si trascinò verso di lei producendo un suono gorgogliante dal
fondo della gola. Era lento, molto lento. Rebecca guardò lo spazio tra lui e
la porta che aveva di fronte mentre sentiva il peso della chiave sanguisuga
nella mano. Si lanciò di scatto, avanzò fino alla porta e l’aprì,
richiudendosela dietro prima che lo smunto zombie potesse fare un altro
passo. Era entrata in una sala operatoria, vecchia e sporca; le piastrelle, un
tempo sterilizzate, erano ricoperte di un leggero strato grigio di sporcizia.
Dio fa che ci sia qualcosa per cui valga la pena entrare, pensò mentre
aggirava una barella rovesciata, e che sia in bella vista, se non è troppo
disturbo.
Sul fondo, la sala si apriva verso destra. Rebecca scavalcò il secondo corpo,
girò l’angolo e cercò di non vomitare per l’atroce fetore. C’era un’altra
barella da un lato, con sopra una chiave di metallo. La prese, sentendo un
mix di emozioni. Aveva trovato qualcosa, questo era buono, ma...
“Rebecca?”
chiamata di Billy.
“Non c’è nessun quadrante per la combinazione”, rispose Billy con voce
irritata.
Per la prima volta dopo tanto tempo, si domandò cosa stessero facendo i
suoi compagni di
A proposito...
prima porta che aveva visto e sperò che la chiave la aprisse, benché non
avesse molte speranze.
Non pensò neanche di usare la radio. Saltò sul tavolo posto sotto il buco,
lanciò il fucile al piano superiore e saltò, aggrappandosi al bordo del foro
con entrambe le mani. Prima aveva dubitato delle sue capacità, ma in quel
momento l’eventualità di non essere in grado di salire non gli attraversò
nemmeno la mente. Con un grugnito di fatica sollevò il corpo nel buco,
prima appoggiandosi sui
Ma che diavolo...
Un gorgogliante fiume di sangue sgorgava dai resti del collo e da quel poco
che rimaneva della
Billy non si mosse per qualche secondo, in ascolto, alla ricerca di qualche
altro suono, altri
“La borsa sulla mia cintura”, gli disse. “Dentro c’è una bottiglia di
disinfettante, garze e cerotti...
mi ha solo graffiato. Non mi ha morso”.
Era pallida; fece una smorfia di sofferenza quando Billy pulì e coprì la
ferita, ma lo sopportò bene, tollerando il dolore piuttosto che cedere a
questo. Era una brutta ferita e probabilmente aveva bisogno di alcuni punti
di sutura, ma sarebbe potuta andare molto peggio. Quando Billy finì,
Rebecca fece un cenno con la testa indicando la porta mezza aperta che
avevano davanti.
Sembrava sconvolta, stordita. Billy si diresse verso la porta, voleva stare tra
lei e qualunque altra cosa sarebbe potuta saltare fuori da lì. Si fermò davanti
al mostro senza testa e rimase a guardarlo.
“Al mostro della Laguna Nera hanno dato gli steroidi”, commentò Billy,
lanciando un’occhiata a
una volta rimase sorpreso dalla sua forza d’animo. Non era tanto facile
riprendersi da un attacco a sorpresa, soprattutto se proveniva da un incubo
come il mostro che aveva davanti. La maggior parte delle persone avrebbe
continuato a tremare per ore in preda al panico.
Rebecca si portò al suo fianco e spinse una delle grosse gambe della
creatura con la punta dello stivale.
ricombinanti...”
“Credo che psicotiche sia la parola che stavi cercando” disse Billy.
Rebecca annuì.
“Questo non si può negare. Vediamo se stava facendo la guardia a qualcosa
di importante”.
quello che aveva trovato nel resto del primo piano. Si ritrovarono in una
specie di canile, ma Billy era quasi sicuro che non fosse stato utilizzato per
tenere dei cani; c’era una pila di gabbie con sbarre d’acciaio, molte di
queste dotate di catene, e l’odore nell’aria era di animale selvaggio, un
fetore forte e pestilenziale.
... fino ad oggi gli esperimenti hanno dimostrato che quando il virus
Progenitor viene
somministrato a organismi viventi, si riscontrano violenti cambiamenti
cellulari che provocano i1
A quanto pare non potremo fare ulteriori progressi fino a quando non
inizieremo a usare l’uomo come organismo di base. La nostra
raccomandazione in questo momento e che gli animali
sperimentali debbano essere tenuti in vita per altri studi o come possibili
prede per i test sul campo di nuovi ibridi BOW, come l’imminente serie
Tyrant.
Gesù!
Billy frugò tra le pagine, cercando il resto della relazione, ma trovò solo una
manciata di orari di alimentazione macchiati di caffè.
“Ah!”
“Per niente. Era in una delle gabbie”. Gli lanciò l’oggetto. Billy lo prese e
sentì il proprio sorriso distendersi. Era esattamente quello che stavano
cercando, una specie di manopola rotonda fatta
apposta per incastrarsi nella parte frontale della porta a combinazione che
avevano trovato nel piano inferiore.
Rebecca assentì.
“Quattro, otto, sei, tre”, ripeté lei, alzando la mano per mostrargli che aveva
le dita incrociate.
DODICI
Osservò i due scendere giù per il buco, per poi tornare alla porta con la
serratura a combinazione.
possedevano una certa intelligenza animale; che cosa triste per il mondo che
dovessero essere
distrutti.
avrebbero avuto tempo di vederla in funzione; le loro vite erano sul punto di
finire. I piccoli li osservavano dall’ombra sotto la cabina e dai condotti
fognari semidrenati, raccolti in due forme umanoidi. Con un pensiero e un
sospiro, il giovane li rilasciò, lanciando i due alfieri barcollanti contro la
preda.
Un suono, un grido. Corrugò il sopracciglio e ordinò a uno dei falsi uomini
di andare a vedere
che cosa avesse gridato dall’oscurità che si apriva dietro di lui... e questo fu
attaccato da un Eliminator. Il primate saltò sull’umanoide praticamente dal
nulla, ululando mentre attaccava i
piccoli dritto al collo con le fauci gocciolanti. I suoni della lotta allertarono
Billy e Rebecca, che si trovavano sulla piattaforma. Rapidamente
prepararono le armi.
Furioso, il giovane vacillò senza sapere che fare; voleva farla finita con i
due, ammazzarli, ma era preoccupato per i bambini...
Osservò inorridito Billy sparare un unico colpo di fucile a uno dei falsi
uomini, colpendolo in pieno. Il giovane senti la moltitudine urlare, e lo
sciame diminuire.
“No, NO!”
I suoi piccoli non avevano mai affrontato un fucile. Non avevano la minima
idea di quanto
questo potesse far loro del male e in modo tanto rapido, ma non poteva
ritirarsi adesso, non durante l’attacco. I suoi pensieri si rincorsero per
indicare ai superstiti di unirsi al secondo falso uomo mentre l’Eliminator si
lanciava contro Billy, cercando di colpirlo con i grossi artigli. Il primate
lottò contro l’assassino, e ambedue caddero al di là della ringhiera,
sparendo nelle fogne con un grande spruzzo.
Se non fosse stato per il fatto che la ragazza era riuscita a rimettersi in piedi
e, col viso teso dalla furia, aveva preso il fucile caduto a Billy. Sparò verso
il falso uomo facendogli esplodere una delle braccia. I piccoli gridavano di
dolore mentre lei sparava ancora e ancora. Il giovane ora riusciva a
malapena a vederla; erano rimasti pochi sguardi su di lei, molte
sanguisughe stavano morendo
ancora di più.
Nella cabina della funivia trovò una Magnum stretta tra le fredde e
gommose dita di un morto.
Ricordò che Billy aveva con sé dei caricatori con cartucce del calibro .50
Magnum, ma lui era...
Rimanevano ancora due cartucce. Non voleva lasciarlo, ma pensò che non
fosse neanche troppo
saggio abbandonare la Magnum. Forse avrebbe trovato un altro deposito di
munizioni. La pesante
No...
No!
In cima alle scale c’era una porta aperta che dava su un grande magazzino
vuoto, con l’estremo
Cercò di rifiutare quell’idea per principio, ma la sua voce mentale non era
né terrorizzata né si stava lasciando andare al panico, era tranquilla e calma.
C’era una console di comando nella sezione nord della piattaforma del
montacarichi. Rebecca
studiò un attimo i controlli, alla fine decise che doveva scendere al livello
più basso, il B4, e lì cercare una via d’accesso per le fogne. Spinse un
pulsante. L’enorme piattaforma ottagonale diede una scossa e cominciò a
scendere. Le pareti del gigantesco pozzo che circondava la piattaforma
Stava per premere l’unico pulsante di chiamata che si trovava sul pannello
di controllo, quando si senti un soave campanello e l’ascensore si fermò al
suo piano. Indietreggiò velocemente, ma non c’erano né il tempo né il posto
per nascondersi. Si schiacciò quanto poté contro l’angolo contiguo alle
porte e sperò che, chiunque fosse, avesse troppa fretta per guardare indietro.
Le porte si aprirono. Rebecca strinse il fucile e trattenne il respiro. Uscì una
sola persona dell’ascensore, un uomo possente, con un giubbotto
antiproiettile...
Rebecca abbassò l’arma e sgranò gli occhi dalla sorpresa mentre Enrico
Marini si girava
“Non sparare!”
“No”.
“Li hai mancati per poco”, spiegò, “abbiamo trovato alcuni documenti...”.
Scosse la testa, come a negare una storia che sarebbe stata troppo lunga da
spiegare. Rebecca lo capì perfettamente.
“A est da qui c’è una vecchia villa”, continuò, “pensiamo che la Umbrella
la usi per i suoi
“Sì, ma ci siamo separati e...”, lasciò la frase a metà, senza sapere come
spiegarsi.
nel suo viso, forse la stessa storia che lei poteva leggere nel suo; erano
successe troppe cose e una spiegazione richiedeva più tempo di quello che
potevano permettersi. “Fa’ attenzione”, disse
sospirando.
piattaforma e voltarsi verso l’ascensore per poi sparire dalla sua vista.
Finalmente incontro la mia squadra e dico loro di andar via senza di me,
pensò, troppo stanca per sorprendersi della sua decisione. Almeno sapeva
che erano vivi. Quanto a Billy, dopo averlo trovato sarebbe andata — anzi
sarebbero andati — verso est e avrebbero raggiunto la sua squadra alla villa
della Umbrella.
Ispezionò l’ascensore dal quale era apparso Enrico e scoprì che conduceva
solo ai piani
Era lento, sembrava strisciare dal punto in cui Enrico l’aveva lasciato.
Rebecca si appoggiò
contro la porta, desiderando che fosse più rapido. Era troppo stanca per
fermarsi, temeva che poi non sarebbe più stata capace di tornare a
muoversi.
“Enrico?”, chiamò con una voce speranzosa che si perse nell’aria carica di
polvere.
Crunch.
Crunch.
... attaccarlo, i suoi sporchi artigli affondargli nella parte superiore delle
braccia. Ricordava di aver sbattuto con forza contro la ringhiera; ricordava
anche l’impatto contro l’acqua sporca, il sapore grasso e l’odore aspro
mentre veniva inghiottito. Ricordava Rebecca gridare il suo nome, la sua
voce perdersi mentre la corrente lo trascinava via. Ci fu l’urlo gorgogliante
dell’animale in preda ai panico, l’oscurità quando fu sommerso dall’acqua,
poi finalmente una sporgenza rocciosa, e un acuto dolore alla tempia. E ora
era lì. Da qualche parte.
Era ferito, stordito, perso. Alla sua destra, le acque ruggivano facendosi
strada in una gigantesca tubatura che conduceva verso il buio. Era un
condotto abbastanza grande da inghiottirlo
completamente. A una decina di metri alla sua sinistra c’era una specie di
passerella sospesa sopra l’acqua vorticosa, ma era come se fosse stata
lontana chilometri viste le sue possibilità di
raggiungerla. L’acqua era troppo rapida, la corrente troppo forte e lui non
era mai stato un gran nuotatore. Si tenne ancora più stretto. Era l’unica cosa
che poteva fare.
TREDICI
La creatura che sorse dalle macerie non somigliava a niente che Rebecca
avesse mai visto prima.
Era umanoide. Quasi umano, nel senso che aveva i tratti facciali di un
uomo, eccetto per il fatto che nessun uomo brillava con tale pallore; la pelle
era glabra e il corpo di un bianco quasi luminoso.
Un altro passo, e Rebecca vide apparire una crepa nel pavimento sotto le
grosse unghie nere dei piedi del mostro. La giovane si spostò ancora,
cercando di allungare la distanzia tra loro, quando, improvvisamente, la
cosa si mise a correre veloce, il suo braccio era come un riflesso torbido che
si abbassava e si rialzava a grande velocità.
porta arrivò all’altezza della sua testa, corse di nuovo dall’altro lato.
Dovette chinarsi per passare, e pregò che la cosa rimanesse intrappolata nel
montacarichi.
Merda!
Neanche sì voltò, istintivamente sapeva che non aveva più tempo. Si chinò,
cadde sulle
ginocchia e si lanciò di lato proprio nel momento in cui gli artigli calarono
sbattendo contro la porta dell’ascensore, perforando il metallo davanti a cui
stava in piedi fino a un secondo prima.
Pensa! Pensa!
Mirò alla creatura col fucile e si preparò per lanciarsi verso l’ascensore non
appena il mostro si fosse messo in moto. Il sorriso della creatura divenne
più ampio mentre inclinava leggermente le ginocchia, preparandosi a
scattare... e si mosse, solo un altro paio di falcate in corsa e sarebbe arrivato
a lei. Rebecca si chinò per schivarlo e corse fino alle porte dell’ascensore,
sbattendoci contro. Le afferrò con mani tremanti, le strattonò facendole
scorrere e si lanciò dentro. Quando si girò per chiuderle, la cosa stava già
muovendosi nuovamente verso di lei, in fretta, troppo in fretta.
Allora alzò il fucile e sparò senza avere neanche il tempo di mirare. Il colpo
centrò la spalla destra della creatura, che indietreggiò, gridando, mentre il
sangue schizzava a getto dalla ferita, ma Rebecca non si fermò a guardare
oltre. Chiuse rapidamente le porte e spinse il bottone più in basso sul
pannello dei comandi, poi chiuse gli occhi e cominciò a pregare.
Passarono i secondi. L’ascensore continuò a scendere giù e sempre più giù
finche non si fermò.
Stava bene... o almeno era viva, e quello era già qualcosa. Pregando di non
rivedere mai più
***
Quel grido... non aveva mai sentito nulla di simile, ma sapeva cosa lo aveva
prodotto, aveva
assistito alle fasi finali del progetto. Nient’altro poteva produrre un suono
del genere. Il prototipo Tyrant era libero.
Improvvisamente, le ombre che circondavano lo stretto tunnel gli
sembrarono troppo profonde,
Billy sentì qualcosa. Alzò la testa, pesante come mai, e riuscì a girarla
leggermente. Lì, verso sinistra, si era aperta una porta che dava sulla
passerella e ne uscì una figura umana.
“Billy!”
Era Rebecca, piegata sulla ringhiera, che chiamava il suo nome, e nel
vederla e sentirla, si
“Rebecca”, disse alzando il tono della voce, ma senza essere sicuro che
potesse sentirlo. Cercò di pensare a qualcosa da dirle, a qualcosa che lei
potesse fare, ma riuscì solo a ripetere il suo nome, di nuovo; la situazione si
spiegava da sola, e lui stava messo male. Se voleva aiutarlo, avrebbe dovuto
inventarsi qualcosa da sola.
“Billy, attento!”. Rebecca faceva frenetici gesti con una mano mentre
cercava la pistola con
QUATTORDICI
E invece era ancora lì, a metà di uno dei tunnel segreti d’uscita, col viso
pallido e tremulo per il terrore, il volto tramutato in una maschera di paura.
Il giovane capì solo in quel momento che forse si era intestardito troppo nel
voler accelerare gli eventi, nell’affrettare il loro destino. Ormai un
confronto era inevitabile... E poi, non aveva sempre voluto un pubblico,
qualcuno che potesse apprezzare la magnificenza della sua impresa? Inoltre,
presto sarebbe giunta l’alba, un momento molto pericoloso per i bambini,
perché i loro delicati corpi ardevano facilmente, anche con la luce solare
molto debole. Meglio che gli intrusi si
Rebecca non era sicura di dove si trovasse. I livelli e gli ambienti della
struttura sconosciuta erano incredibilmente intricati, ma continuò comunque
ad avanzare verso il basso. I corridoi erano tranquilli, ma due delle stanze in
cui era passata — una piccola sala di controllo dalla funzione sconosciuta e
una saletta per impiegati semidistrutta — erano infestate dagli zombie.
Aveva sparato solo contro due dei sette infetti in cui si era imbattuta, i
restanti erano troppo decrepiti e lenti per costituire una minaccia reale.
Avrebbe desiderato di aver avuto più tempo e più munizioni per finirli tutti,
per liberarli dall’incubo in cui si era trasformata la loro vita, ma l’avere
visto Billy ancora in vita le mise ancora più fretta.
un’altra porta e si ritrovò in una stanza con, in un lato, una vasca piena di
casse. Fino a quella notte non aveva creduto affatto negli zombie o in
cospirazioni con armi biologiche... Ad essere sinceri, non aveva creduto
neanche che si potesse fare deliberatamente tanto male a così tante
persone. Ciò che aveva visto, ciò che aveva sperimentato da quando era
salita su quel treno tutte quelle ore fa... Tutto era diverso, ora. Non sapeva
se sarebbe riuscita a guardare il mondo con la stessa innocenza di prima, se
sarebbe stata in grado di osservare una persona o un luogo senza
chiedersi se ci fosse qualcosa nascosto dietro alle apparenze. Non era sicura
se sentirsi furiosa o grata per la perdita di quell’innocenza; ma era certa che
rimanere nella S.T.A.R.S. avrebbe
significato stare dalla giusta.
mezza dozzina, sparse sugli scalini, i fili di melma lasciavano una scia
brillante sul metallo grigio.
Il grido furioso della creatura risuonava ancora nella sua testa. L’aveva
ferito, ma le probabilità che fosse strisciato in qualche angolo buio per
morire erano praticamente nulle. Le cose non erano mai tanto facili.
inghiottire la bile quando una le strisciò sullo stivale per poi riprendere la
sua strada. Perlomeno, la scala era breve; scese fino in fondo senza pestare
nessuna di quelle orrende creature e raggiunse la porta che c’era dall’altra
parte della stanza senza incorrere in ulteriori rallentamenti.
Quando la aprì, una nebbia fredda spruzzò la sua pelle sudata e il ruggito
delle tubature di scarico fu come una musica. Era una grande sala, dominata
da enormi condotti che sbucavano da un lato e dai quali l’acqua veniva
spruzzata su una serie di filtri di rete... e là, in mezzo ai detriti galleggianti...
“Billy!”
Rebecca corse verso Billy. Una cascata spruzzava acqua proprio vicino a
dove era sdraiato. Si
inginocchiò vicino a lui e gli mise la mano sul collo. Spostò le piastrine di
identificazione
“Riposa per un minuto”, disse, ma dovette sforzarsi per far passare le parole
dal nodo che le si era formato in gola. Voleva credere che Billy stesse bene,
ma era difficile che fosse cosi...
Il colpo alla testa sembrava essere la ferita peggiore e gli causava vertigini e
nausea, ma non era così grave come aveva temuto inizialmente. Dopo
qualche minuto, Billy si tirò a sedere e le sorrise debolmente.
“Ok ok”, disse, fremendo quando Rebecca gli toccò la tempia dolorante.
L’angolo della stanza era pieno di ossa ammucchiate. Ossa umane, levigate
per anni dal getto
“Alcuni dei vecchi esperimenti di Marcus?”, disse Billy a voce bassa; non
era una domanda vera
e propria e Rebecca infatti non rispose, annuendo solamente.
Toccò a Billy non rispondere, tenendo lo sguardo fisso sulle ossa con
un’emozione sconosciuta
Billy si sentiva uno schifo, ma seguì Rebecca mentre si dirigeva verso est,
desiderando con tutte le sue forze di lasciare al più presto quel maledetto
parco divertimenti di Marcus. Prima di svenire, almeno. Mentre avanzavano
in un labirinto di corridoi e stanze, Billy si sentì completamente
disorientato appena dopo aver girato il secondo angolo; Rebecca intanto gli
spiegava quello che le era successo da quando lui era caduto dalla
piattaforma della funivia. Aveva incontrato il capo della sua squadra e in
seguito aveva lottato contro una specie di supercreatura alla Frankenstein,
scontro in cui per poco non ci lasciava la pelle. Aveva trovato anche una
Magnum calibro .50 che
funzionava con alcune delle munizioni che lui si era portato dietro, e
tenendo conto che aveva
ancora con se il fucile, potevano contare su una notevole potenza di fuoco.
In definitiva, Billy pensò che avesse fatto persino meglio di quanto sarebbe
riuscito a far lui nelle stesse circostanze.
Rebecca tenne il fucile. C’era una bottiglia d’acqua sigillata sotto una delle
cuccette a castello, si alternarono, entrambi alla disperata ricerca di un po’
d’idratazione. A quanto pareva, nuotare nelle acque fognarie non aiutava
molto a calmare la sete.
“Mi ha detto che si stavano dirigendo verso est. Praticamente siamo fuori”.
“Credevo avessi detto che Enrico era salito con l’ascensore”, disse Billy.
Diede un colpo alla Magnum infilata nella cintura e la manetta sciolta che
gli pendeva dal polso risuonò battendole contro, un inaspettato promemoria
della sua vita prima dell’incidente con la jeep.
Quella vita sembrava così lontana ora, come se fosse stata quella di un altro
uomo...
Rebecca gli restituì il sorriso, fece per dire qualcosa ma si fermò di colpo,
fissandolo negli occhi, entrambi agghiacciati nel sentire il suono degli
spruzzi d’acqua sulla passerella di metallo.
quasi sussurrando. Billy doveva sforzarsi per sentirla sotto il battito ritmico
dei potenti motori delle pompe.
“Se riusciamo a farlo allontanare dalla porta, a fare in modo che corra,
potremmo riuscire a
Billy mirò accuratamente verso il rozzo viso della creatura. La cosa fece un
passo ed entrambi
indietreggiarono.
“E se invece l’ammazziamo?”
“No”, rispose Rebecca con la voce piena di panico. “Colpendolo lo farai
solo infuriare di più.
L’ho centrato con due colpi di fucile, uno dei quali praticamente a
bruciapelo, ed è ancora in piedi”.
scattare.
“Corri!”
sepolto nel petto della creatura; quello doveva essere il cuore. Il mostro
avanzò e i suoi opachi occhi si inchiodarono su Billy mentre alzava gli
enormi artigli.
Billy ipotizzò che molto probabilmente la battuta finale avrebbe incluso una
gag in cui la
Altra tremenda cannonata, più sangue per aria e il mostro urlò nuovamente.
Ma non cadde. Eppure non cadde ancora. Era difficile dire dove lo avesse
colpito, c’era sangue
“Spostati!”
chiedersi perché non c’avesse pensato anche lui, prima. La creatura non era
morta, ma a meno che non gli fossero spuntate le ali, non sarebbe riuscita a
seguirli molto velocemente. Billy alzò di nuovo la Magnum e mirò al cranio
bianco della cosa che cercava di strisciare usando gli artigli, determinato a
continuare l’attacco.
Ma la creatura riuscì solo a scivolare fino all’acqua scura della vasca, che
ribolliva di una
cerca della sua approvazione. Per quanto terrificante fosse stato, non si
sentiva troppo umano al pensiero di lasciare che quell’essere si
dissanguasse fino alla morte, soffrendo terribilmente. In un certo senso,
anche lui era una vittima della Umbrella; non aveva chiesto di nascere così.
“Fallo”.
QUINDICI
Camminarono lungo la diga sotto la nascente luce del giorno mentre il blu
profondo delle prime
ore dell’alba cedeva il passo a un grigio pallido e sbiadito che nascondeva
tutto, ad eccezione delle stelle più brillanti. Rebecca camminava
tranquillamente vicino a Billy, fissando le nuvole sempre più sparse. Stava
per cominciare un’altra calda giornata estiva anche se, al momento, stava
facendo del suo meglio per non tremare dal freddo; il sole non sarebbe
spuntato prima di un’altra mezzora, almeno. Era stanca, molto più di quanto
lo fosse mai stata in vita sua, ma il solo pensiero che quella lunga e terribile
notte stesse finalmente per finire, e che un nuovo giorno stesse per sorgere,
era abbastanza per impedirle di arrendersi.
In fondo alla passerella della diga c’era una breve scala che dava su una
porta. Salirono — Billy sempre davanti — ed entrarono nella sala delle
turbine; nel locale c’erano numerose ringhiere
aperta.
Un bastone bagnato, pensò, mentre si chinava per toccare il legno
luccicante.
Quando ritrasse la mano, si accorse che dei sottili fili di bava le si erano
attaccati alle dita, estendendosi dal bastone. Per mezzo secondo, le balenò
in testa la bizzarra idea che, per qualche ragione, le sanguisughe avessero
aperto e bloccato la porta, ma se la scrollò subito di dosso, ricordando a se
stessa che c’erano sanguisughe disseminate per tutto il complesso. Si ripulì
la mano sul giubbotto e raggiunse Billy, che nel frattempo era quasi arrivato
all’altro estremo del corridoio, intento a ricaricare la Magnum. La porta non
era chiusa a chiave e Billy la spinse. Un altro ingresso di cemento e metallo
che si apriva sull’ennesima stanza. Billy la attraversò sospirando. Rebecca
sospirò insieme a lui; quel posto non sembrava avere fine. Il locale odorava
come una spiaggia con la bassa marea, ma non riuscivano a vedere niente
dall’entrata poiché la stanza era fuori dalla loro vista. Avevano appena fatto
due passi verso l’interno quando sentirono il clic di una serratura e la porta
alle loro spalle si chiuse.
“Era chiusa anche prima, ma non a chiave. Non ha senso che si attivi la
serratura dopo essere entrati”.
Fu allora che Rebecca udì qualcosa, un suono basso che le fece tremare il
cuore.
Senza dire una parola, lei e Billy si allontanarono dalla porta, strinsero le
armi in mano e
girarono l’angolo...
Rimasero raggelati mentre contemplavano il vasto mare di vita che li
circondava, e che sembrava ricoprire ogni centimetro quadrato di parete,
gocciolando e strisciando dal soffitto al pavimento.
alzò la voce.
entrambi”.
Fece un movimento alzando le braccia e cambiò aspetto, la trasformazione
increspò il suo corpo
“Dottor Marcus?”
“Dieci anni fa, Spencer mi fece assassinare”, disse. I ricordi gli tornarono
alla mente, aiutato dalla moltitudine che ricorda per lui. Le immagini erano
sfocate e scure, senza colore, ma le sensazioni erano tanto forti quanto lo
erano state il giorno in cui aveva perso la vita. Si aspettava un attacco già da
qualche tempo, ma lo avevano colto comunque di sorpresa. Stava lavorando
nel suo laboratorio mentre i piccoli giocavano nella vasca ai suoi piedi,
quando la porta si era aperta improvvisamente e aveva sentito gli spari,
potenti e mortali. Ricordava il dolore di quando era caduto in ginocchio,
stringendosi i fori nel petto e nel ventre, ma ricordava soprattutto di aver
visto due volti familiari, quelli degli uomini che entrarono nella stanza, i
suoi brillanti discepoli, i suoi migliori allievi, che lo fissavano mentre
esalava il suo ultimo respiro.
“Quindi avete ragione. Sono Marcus, ma sono anche suo figlio e suo nipote,
o qualunque altra
Con l’intensificarsi della sua gioia, del suo trionfo, la moltitudine andò
verso di lui e lo risalì per le gambe, percorrendo la sua forma più familiare,
quella di James Marcus. Rise a crepapelle
vedendo il disgusto passare sulle facce dei suoi due giovani invitati,
crogiolandosi in quella
“Io ho causato la diffusione del virus”, disse. “Ora il mondo saprà quello
che ha fatto la
L’uomo, Billy, parlò di nuovo, con un’espressione d’odio sul viso e la voce
tesa di rabbia.
“Tu stai sognando. Sei malato, mostro contorto, o qualunque cosa tu sia. Ed
è vero che il mondo ti cercherà, ma solo per ammazzarti, per farla finita con
i tuoi deliri di pazzia!”
Che sciocco, quanta arroganza nella sua stupidità! Sentì una grande furia
invadere lui e i suoi bambini, macchiando la sua gioia e il suo trionfo.
Sentiva il suo corpo tremare dalla rabbia.
“Vedremo chi sarà a morire”, disse con voce carica di ira, ma non era più la
voce di Marcus, era tornato a trasformarsi nel giovane, o meglio nella
visione dei piccoli di Marcus da giovane. Si accigliò, senza capire molto
bene come o perché si fosse trasformato, lui non l’aveva richiesto, non
aveva né cantato ne voluto il cambiamento di forma.
Per la prima volta da quando era strisciato fuori dalla vasca solo pochi mesi
prima, e da quando lo sciame gli aveva dato nuova vita, perse il controllo
sulla moltitudine.
La cosa che era stata Marcus non poteva far altro che arrendersi,
abbandonandosi alla
sostanza appiccicosa.
le sue sembianze umane. Adesso tutto il suo corpo era formato da grossi
vermi neri, incollati da uno strillante reticolo di limo trasparente. L’essere
aumentò anche di volume; tutte le sanguisughe nelle vicinanze si unirono
alla moltitudine aumentandone massa e altezza. Dei lunghi tentacoli
Billy mirò con la Magnum verso l’enorme creatura, ma la cosa volò verso
l’alto facendo un gran
Billy sparò verso il soffitto, ma la cosa si era lasciata cadere di fronte a loro,
condensandosi leggermente nel toccare il pavimento un po’ come un
gigantesco giocattolo di gomma. L’essere si distese di nuovo e si sollevò al
di sopra di Billy e Rebecca; i suoi tentacoli scuri battevano l’aria mentre si
avvicinavano.
Nella parte più a sud del locale c’era sempre il pesante portone incassato
nella parete, ma li
Dopo appena pochi secondi, Billy sentì che stava per perdere conoscenza, e
il mondo che si
La regina lo lasciò cadere e si girò per affrontare il suo nuovo nemico. Billy
si schiantò al suolo.
Ignorando il dolore cercò con lo sguardo dove fosse finita la Magnum,
mentre più di cento
Billy si rimise in piedi e vide che Rebecca era di spalle alla creatura. Il
secondo colpo non era stato diretto verso la regina ma a un pannello di
controllo che si trovava vicino alla porta sud. La giovane tornò a sparare e,
contemporaneamente, tirò un violento calcio alla porta. Finalmente la porta
si spalancò ma la regina era già su di lei, due volte più alta e molto più
pesante della ragazza.
Billy si schiantò contro la parete sul fondo. Il dolore lancinante gli fece
capire che doveva essersi rotto una costola nell’atterrare pesantemente sul
pavimento di cemento. Rimase senza respiro, ma in pochi secondi era già in
piedi che correva verso la porta a sud, cercando di respirare mentre le
sanguisughe ancora scoppiavano sotto i suoi stivali.
Il mostro era più o meno alla sua stessa distanza dalla porta.
Billy non impiegò molto a capire che non sarebbe riuscito ad arrivarci
prima della regina, e
e poi la vide, non all’altro lato della porta sud come credeva, ma in mezzo
alla stanza, con il fucile puntato sulla regina e la schiena rivolta
all’inceneritore centrale. Billy si rese conto che doveva essere tornata di
corsa quando la regina era troppo occupata a lanciarlo contro la parete.
Billy corse verso la porta, pregando Dio che Rebecca avesse un piano. La
giovane continuava a
umido mentre il suo corpo continuava ad aumentare senza limiti. Billy era
arrivato alla porta sud ma si fermò; poteva sentire l’adrenalina percorrergli
tutto il corpo. Si frugò alla ricerca degli ultimi due proiettili per la Magnum.
insopportabile.
Billy continuò a tenere la regina sotto tiro con la Magnum fino a quando
Rebecca non gli passò
Si erano chiusi nel pozzo di un enorme montacarichi che saliva verso l’alto,
e a giudicare dalla profondità dell’ampio tunnel che si apriva in diagonale
verso un rettangolo di luce molto, molto lontana, sembrava proprio che
arrivasse in superficie. Si sorrisero come due bambini, troppo colmi di
felicità per potere parlare, ma durò solo per pochi istanti. I sorrisi sparirono
quando l’agonizzante regina torno a ruggire nel locale accanto, un
promemoria di quanto la morte fosse ancora tanto
vicina.
Senza dire neanche una parola, corsero fino alla console di controllo della
piattaforma
montacarichi. Billy studiò i comandi per un istante e alla fine, con una
preghiera speranzosa, attivò l’alimentazione. La piattaforma cominciò a
salire, portandoli in alto, lontano da quell’incubo.
SEDICI
L’agonia era eccezionale nella sua misura, uccidendola con una intensità al
di là di ogni sua
Nessuno dei due voleva pensare che sarebbe potuti incorrere in altri
problemi, ma dovevano
“Credo che quella puttana mi abbia rotto una costola”, disse, ma sorrise
leggermente, guardando verso la luce.
Rebecca fece un passo verso di lui, preoccupata, e allungò la mano per
toccargli il fianco, ma
prima che potesse farlo, un allarme cominciò a suonare nel pozzo del
montacarichi. Ogni livello che si lasciavano dietro aveva una porta con
sopra delle luci rosse scintillanti che proiettavano macchie color cremisi
sulla piattaforma.
registrazione.
Rebecca guardò subito verso l’alto per vedere a che punto fossero.
Rebecca la fissò a bocca aperta e quasi cadde quando Billy l’afferrò per il
braccio, tirandola a sé.
“C’è una scala laggiù!”. Billy fece un gesto vago verso un cartello con la
scritta USCITA
“Non c’è corrente”, ansimò Rebecca. “Ma dovranno pur esserci dei fermi
manuali,
almeno spero”.
Si diresse verso quello che sembrava essere un pannello fissato nella parete
più a est, mentre alle sue spalle Billy si girava cominciando a sparare con la
nove millimetri.
Lo sciame li rincorse. Gli si era staccata parte della materia sulla schiena
dove la luce del sole aveva colpito. La sua coscienza non era del tutto
animale, né umana, ma possedeva elementi di entrambe. Sapeva che il suo
nido era minacciato da un’altra forza, qualcosa che avrebbe distrutto la sua
casa in un batter d’occhio. Sapeva anche che la luce del sole significava
dolore, ma anche
morte; e infine sapeva che i due esseri umani che gli correvano davanti
erano la causa di tutto, erano loro gli artefici della sua imminente fine.
Uno degli umani si fermò, mirò con un’arma e sparò. I proiettili gli
attraversarono la carne,
Merda!
Billy rovinò al suolo mentre il mostro che era stato la regina saltava verso
di lui. Uno dei
Billy saltò in piedi e vide Rebecca nella parete ovest, occupata con un altro
pannello di controllo.
Si girò verso est e corse, guardando indietro per assicurarsi che la cosa lo
stesse seguendo.
Afferrò la ruota che faceva da chiavistello manuale, la girò e... era bloccata.
Non del tutto, ma dovette ricorrere a tutta la sua forza solo per farle fare
mezzo giro. Si sforzò ancora di più e sentì i suoi muscoli urlarle clemenza
mentre riusciva a farla girare ancora un po’.
Andiamo forza...
“Rebecca, muoviti!”
Lanciò uno sguardo alle sue spalle e vide che, in qualche modo, la regina le
si era avvicinata molto, anzi troppo; sarebbe arrivata da lei in trenta secondi
o meno, ma non poteva, non voleva correre via, sapeva che non avrebbe
avuto il tempo necessario per fare il giro e provare di nuovo, quindi si voltò
e provò ancora.
“Andiamo!”, urlò, mentre tirava l’ostinata ruota con tutte le forze che le
rimanevano... E la ruota si sbloccò, proprio nel momento in cui un grosso e
umido tentacolo le circondava la caviglia
La luce! La luce!
I due umani corsero via sparendo da un buco nella parete, mala creatura non
ci fece caso, non le importava, ormai. Si ritorse arrotolo agonizzante, grandi
pezzi di carne le si stavano strappando cadendo sul pavimento. Ampie
porzioni del suo corpo si disfacevano impiastrando il pavimento di cemento
e poi, finalmente, il suo nucleo rosa e palpitante rimase esposto alla luce
assassina e crudele, la luce purificatrice del giorno.
Quando l’edificio esplose, alcuni minuti dopo, della cosa ormai rimaneva
solo un pugno di
DICIASSETTE
Corsero con ampie falcate tra i tronchi degli alberi nella fresca aria
mattutina.
Erano usciti dagli alberi ritrovandosi in una piccola radura, proprio sulla
cima di una collina che si affacciava sulla foresta orientale di Arklay.
“Qui sembra sicuro”, disse Billy. Prese una gran boccata d’aria pulita e si
distese al suolo; i suoi muscoli lo ringraziarono. Rebecca fece lo stesso, e
alcuni secondi dopo il conto alla rovescia arrivò al termine.
“Quello deve essere il posto del quale parlava Enrico”, disse. Billy fece uno
sforzo per alzarsi e si mise al suo fianco. Là, a circa due o tre chilometri
sotto il pendio in cui si trovavano in quel momento, si vedeva un’enorme
tenuta circondata dagli alberi. Le finestre scintillavano sotto la luce
mattutina, dando l’idea che fosse chiusa e vuota.
Billy annuì, e improvvisamente non seppe che cosa dire. Lei doveva
desiderare di riunirsi alla sua squadra. E in quanto a lui...
E capì che anche lei sentiva la stessa strana nostalgia, lo stesso vago dolore
e la stessa tristezza che erano scesi su di lui come una morbida ombra.
Rebecca fece un lieve gesto di assenso, come se fosse entrata nella sua
mente e fosse stata
d’accordo con quello che vi aveva letto. Quindi alzò la testa, spinse indietro
le spalle e scattò in un saluto militare senza smettere mai di guardarlo negli
occhi.
EPILOGO
La polvere si spostò sui tavoli. Fili di terra caddero dai soffitti dei tunnel
sotterranei. E le creature che ancora vivevano lì rotearono i loro occhi
ciechi e morti verso le finestre e le pareti, ascoltando, brancolando nel buio,
sperando che il lieve movimento significasse che il cibo sarebbe arrivato
presto. Erano affamate.
FINE
Serie «Aliens»
Labyrinth
Berserker
Tyrant il distruttore
Caliban Cove
L'orrore sotterraneo
Nemesis
Codice Veronica
Zero Hour
The Transformation
Rising
Unity
Document Outline
Il Libro
L’Autore
ZERO HOUR
PROLOGO
UNO
DUE
TRE
QUATTRO
CINQUE
SEI
SETTE
OTTO
NOVE
DIECI
UNDICI
DODICI
TREDICI
QUATTORDICI
QUINDICI
SEDICI
DICIASSETTE
EPILOGO
I LIBRI DI S.D. PERRY