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Oh divino Kellos, ispira il nostro ingegno e guida le nostre

spade!

Invochiamo la Tua luce fiammeggiante nell’ora in cui

la tenebra torna ad addensarsi su Terrinoth:

Possa essa bandire le ombra da queste terre,

Ovvero rischiarare l’ora della nostra morte!

Parte Prima.

Una piovosa estate cedeva il passo all’autunno quando il


destino ci convocò nell’avamposto di Red Bridge - poco più
che un forte servito da una locanda - a metà strada tra le
libere citta’ di Forge, ai piedi delle montagne dei nani, e
Tamalir.

Dall’ultimo inverno le oscure armate di Waiqar l’Immortale


avevano fatto ritorno su Terrinoth. Dalle terre nebbiose
avevano assediato e raso al suolo Castle Talon prima di
invadere le terre a Nord di Greyhaven, dove erano state
finalmente contenute dalle forze delle dodici Baronie, ed in
particolare dallo sforzo del Barone Zachareth di
Carthridge, a capo degli eserciti alleati.
La vasta piana attorno a Red Bridge era rimasta immune
dal conflitto, resa sicura e impenetrabile dalle montagne
circostanti. In effetti gli affari nell’area stavano persino
beneficiando dei frequenti movimenti di truppe e del
commercio di armi dalla vicina Forge. “ Son cinquanta anni
che non si vede nulla di più brutto di uno gnomo ad est
dei Monti d’Ombra!” si rideva tra i mercanti. La guerra
era lontana.

In una calda sera di fine estate, la brezza trasportava


l’odore del cinghiale arrosto dalle finestre aperte della
Taverna del Rospo Blu, dove eravamo raccolti con numerosi
altri avventori intorno ai tavoli imbanditi all’esterno della
locanda; le sguattere si affaccendavano a servire boccali di
birra, un nano ubriaco balla sul tavolo al ritmo di una
melodia strimpellata da una menestrella, un vecchio con
un boccale in mano smuove la brace dei fuochi mentre
ruota l’arrosto.

E’ un attimo: il vociare del locandiere e le risate miste alla


musica ed al chiacchiericcio vengono interrotti
bruscamente da un colpo sordo; la risata di un avventore
si trasforma in un gorgoglìo mentre crolla pesantemente al
suolo; ed una donna comincia ad urlare quando una pioggia
di frecce incendiarie si abbatte sul retro del locale dalle
finestre aperte.

Dopo un istante di silenzio, si scatena il caos: il fuoco


divampa, la gente rovescia tavoli e panche nel tentativo di
uscire dalla locanda, scontrandosi con chi , dall’esterno, si
affaccia a curiosare, ignaro dell’avvenuto.
Ed ecco una nebbia innaturale levarsi dal fiume
nascondendo il paesaggio ai nostri occhi. Da essa
emergono orde di rianimati, pesantemente corazzati ed
armati di lunghe spade, arrugginite ma ancora
affilatissime. Sono capitanati da un enorme cavaliere
scheletro, le orbite vuote coperte da un elmo cornuto.
La sua voce sepolcrale e gracchiante fu udita solo dai più
vicini :“...Uccideteli tutti...” sussurrò, mentre sollevava un
guanto violaceo verso di noi. In virtù di qualche potente
stregoneria, ad un suo gesto le persone venivano scagliate
in aria come fossero fuscelli rapiti dal vento, e pareva che
la densa nebbia obbedisse al suo volere.

In pochi minuti la locanda fu completamente avvolta dalle


fiamme, e noi, rendendoci conto di non poter resistere
all’attacco, fuggimmo; cadendo, rialzandoci e cadendo di
nuovo, incalzati dalle orde della Legione di Ferro: perché di
questo si trattava, i temuti guerrieri non morti di Waiqar,
impossibilmente apparsi al di qua delle Montagne d’Ombra.
Ci asserragliammo nel vicino forte con le sue guardie. Qui
Avric, il Capitano della guarnigione, vedendo incombere la
disfatta, chiamò a sé noi , unici tra gli avventori a
brandire qualche arma; era evidente che l’attacco aveva
colto completamente impreparati gli uomini di Carthridge.

Chiese il nostro aiuto. La guarnigione stava attendendo


l’arrivo da nord di una carovana di rifornimenti di ritorno
da Forge, ed era necessario andare loro incontro ed
avvisarli, onde evitare che cadesse in mano nemica. A nord
inoltre si trovavano alcuni villaggi tributari delle Baronie,
forse già travolti dall’orrore manifestatosi quella sera a
Red Bridge, ma comunque vitali per garantire
l’approvvigionamento delle truppe che combattevano ad
ovest. Ma era anche vitale scongiurare che le Baronie
fossero colte di sorpresa da un attacco proveniente dalle
quelle terre finora ritenute sicure, e dunque Avric avrebbe
tentato di farvi ritorno, scortando gli abitanti sopravvissuti
con le poche guardie rimastegli. Allora fuggimmo nel
crepuscolo fiammeggiante, coperti da una sortita eroica di
Avric e delle guardie superstiti.

Giungemmo di soppiatto al ponte da cui quel luogo prende


il nome, ma qui - nascosto dalla nebbia - era di posta un
orrido, gigantesco necroverme cavalcato da uno scheletro
ghignante, che ci costrinse alla fuga: riuscimmo alfine a
guadare il fiume in piena, ingrossato dalle inusuali, forti
piogge degli ultimi giorni, e ci mettemmo in salvo.
Giunti quindi nei pressi di un alto pino - come ci era stato
indicato dal capitano della guarnigione - incontrammo una
delle guardie che doveva guidarci a nord; ma questi era
mortalmente ferito e poté solo sussurrare poche parole di
disfatta prima di spirare. Sul suo corpo trovammo un
lasciapassare firmato da Avric e ce ne impadronimmo
prima di fuggire nel buio della foresta, verso nord.

In sei lasciammo vivi Red Bridge quella sera, sei avventori


finora sconosciuti gli uni agli altri: un giovanissimo nano
berserker, chiamato Arbus Scannamerriod; un borioso
Satiro di nome Fang, profeta e vendicatore; Gorgoroth Il
Divoratore, un ignudo negromante seguito dal suo
inquietante servitore scheletrico. Vi erano poi Lindel l’elfo
dall’età indefinibile, lesto di piede e lesto di mano; Nanok
delle Spade, l’impavido guerriero avverso alle corazze e
infine Aiyana Glenridding La Seduttrice, a un tempo
guerriera e maestra di rune.

Parte Seconda.

Attraversammo il bosco nella notte, oppressi dal tanfo


dell’uomo-capra, ed al mattino, mentre costeggiavamo il
fiume in prossimità di alcune rovine, respingemmo
l’agguato di un merriod ed alcuni goblin.
L’attacco aveva spinto alcuni di noi distante dalla strada
principale, scoprendo una radura ed una grossa capanna
evidentemente abitata; l’avidità ebbe la meglio su di noi, e
massacrammo un troll nella sua stessa capanna, pur di
impadronirci dei suoi poveri averi..
Giungemmo poi ad una radura pervasa da un ronzio simile
a quello di un alveare, dove a poca distanza dalle rovine di
un tempio si ergeva un tronco coperto di rune elfiche.
Venuti da presso ci arrivarono da ogni direzione i dardi di
numerosi folletti nascosti tra i rami. Tentammo
inutilmente di interpretare il significato delle rune, sotto il
tiro implacabile di quelle fate, tanto che La Seduttrice
svenne dalle ferite ricevute, finche’ di colpo il tronco mutò
in una Talea dell'Aymhelin, attaccandoci con furia
irresistibile, trafiggendoci con i suoi aculei ed
immobilizzandoci con le sue radici simili a tentacoli.
Fu solo l’intercedere dell’elfo Lindel, che finalmente aveva
compreso l’eloquio dei folletti, a far desistere questi ultimi
dall’ucciderci: egli poteva parlarne la lingua, e comprese
che i folletti avevano attaccato il nostro gruppo vedendovi
l’uomo-bestia. Lindel garantì che non eravamo una
minaccia per loro e per il bosco: quelle magiche creature
tolleravano a stento la presenza tra noi del satiro Fang,
poiché a loro dire da alcuni giorni gli uomini-bestia della
zona erano come impazziti, devastando la foresta e
dedicandosi a oscuri rituali.

Ci invitarono a pregare le forze della Natura presso il loro


tempio, che un sortilegio aveva sinora mascherato ai nostri
occhi come un cumulo di rovine, e con i nostri oboli
fummo ristorati dalle ferite subite, beandoci della vista
degli immensi cumuli di tesori che i viandanti nel tempo
avevano donato al tempio. Ci promisero anche di inviarci
uno dei loro migliori scout, Ennon, appena fosse tornato da
un viaggio verso nord per indagare sui rumori di battaglia
avvertiti nella notte appena trascorsa.

Eravamo da poco ripartiti verso Est, quando al bivio per


Forge, segnalato da due enormi sculture di imponenti
guerrieri nanici dall’aspetto severo e truce, ci avvicinò
correndo un nano dai modi sospetti. Raccontò di esser un
mercante, derubato della sua mercanzia da un branco di
uomini bestia mentre era intento ai suoi bisogni dietro una
roccia, ed insistette non poco affinché accettassimo di
aiutarlo nel recuperare il maltolto, pur promettendoci poco
o nulla come ricompensa.

Giungemmo presto a un altare ove degli uomini-bestia


dovevano aver eseguito un sanguinolento rituale della cui
aura malvagia il nostro stesso compagno satiro non sapeva
spiegare l’origine. Un’entità malevola, estranea alle usanze
del suo popolo, aleggiava su quei luoghi.

Fu allora che avvistammo l’orrido ingresso di una grotta a


ridosso di un guado nel fiume. Il mercante nano rifiutò di
seguirci oltre, ma noi impavidi entrammo nell’oscurità,
rischiarata da una luce verdastra, un icore che sembrava
trasudare dalle pareti coperte di funghi.

Mentre avanzavamo tra miasmi velenosi si intensificava il


ritmo forsennato di tamburi tribali e nelle nostre menti si
insinuava una voce sibilante parole di odio. Numerosi
uomini-bestia ci assalirono tra i vapori venefici, istigati alla
lotta da un naga, simile nelle sembianze un’enorme serpe,
dal volto umano contorto in una smorfia malefica.
Quando credevamo ormai di avere ucciso la maggior parte
di quei bruti fummo confrontati dal loro signore: un
possente minotauro sotto la cui pesante massa corazzata
tremava anche il pavimento della grotta, che era cosparso
di ossa ed escrementi.

Il peso della sua ascia bipenne doveva essere enorme: ad


ogni colpo volavano stalagmiti e rocce, mentre tentavamo
a fatica di schivarne le spazzate.
Dopo una estenuante battaglia uccidemmo tutti quei bruti
e razziammo i loro tesori, particolarmente l’enorme scure
del minotauro, che solo il nano Arbus riuscì a sollevare, e
le rune del malefico serpente. Presto, udendo la battaglia
volgere al termine, il mercante nano si precipitò nell’antro
a recuperare la propria merce, e mostrando una
soprendente agilità, tentò lesto di fuggire senza retribuirci,
mentre ci copriva di insulti. Catturatolo, lo avremmo
senz’altro giustiziato se proprio allora dall’esterno non
fossero giunte delle voci che ci intimavano di uscire.

Fuori dalla grotta ci attendevano gli archi tesi di un


manipolo di guardie delle Baronie, capitanate da una
donna. Queste erano proprio i resti della scorta di quella
carovana che dovevamo rintracciare: ed erano alla ricerca
del nano infame, in realtà un rinnegato dalla sua stessa
razza incappato per caso nei resti della carovana, che
purtroppo era già stata assaltata dai mostri la sera prima;
il nano aveva fatto razzia di quanto rimasto, spogliando i
cadaveri e saccheggiando i carri distrutti.Dal canto nostro,
grazie al lasciapassare di Avric potemmo provare di non
essere suoi complici e confidammo alla Capitana della
pattuglia il nostro compito di raggiungere i villaggi
circostanti, spargere la notizia dell’invasione delle piane
occidentali, e riportare notizia sulla possibilità di continuae
a garantire gli approvvigionamenti per l’inverno.
Per aiutarci nel nostro proposito, le guardie ci fecero dono
di quelle armi che la guarnigione di Red Bridge non
avrebbe ormai più potuto brandire; li guardammo
incatenare il nano reietto, che aveva continuato ad
insultarci, finché un piattone dell’ascia di Nanok lo mandò
disteso per terra. E con questo ci separammo all’altezza
del bivio per Forge, incamminandoci in direzioni opposte..

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