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La notazione Dasiana ed i suoi ampliamenti.

Con le lettere alfabetiche fu creato un sistema appropriato al repertorio di melodie liturgiche di una
chiesa che in età carolingia (VIII-X sec.) era in piena espansione.
In ciò la notazione serviva solo marginalmente alla diffusione della musica; il suo compito era
piuttosto quello di accertarne la correttezza (recte).
Poter scrivere una melodia era la prova che tutto in essa era giusto, che obbediva alle leggi razionali
della scienza e di conseguenza ad un ordine divino.
Nei secoli IX e X la scrittura aveva fondamentalmente tratti più normativi che descrittivi, calibrata
all'esigenza di una monodia regolata. In questa fase la scrittura, inaspettatamente, ostacolava la
polifonia.

I primi documenti nei quali si accenna in maniera inequivocabile alla musica polifonica risalgono al
IX secolo.
- Ubaldo di St. Amand (c.ca 840-930) “De harmonica institutione” spiega come la “consonantia”
consista nella combinazione calcolata di due note, accennando alla sovrapposizione di una voce
“virilis” con una “puerilis” e definisce questa forma “canto organisatio”, termine analogo ad
“organum” con cui vengono definite le prime forme musicali a due voci.
Il termine di questa pratica vocale sarebbe derivata dall'organo, sul quale era possibile la
combinazione simultanea dei suoni.

- abbas Hogerus (IX secolo) “Musica enchiriadis”, nasce dalla prassi di aumentare la solennità di
alcuni canti grazie all'impiego di gruppi di esecutori, che li eseguivano i ottava o su diversi registri
(intervalli).
Per scegliere un registro più comodo si poteva optare per la quinta come intervallo tra voci diverse.
Ciò per il canto non rappresentava alcuna difficoltà, ma si scontrava con il sistema teorico e
conseguentemente con il sistema di scrittura (quindi con ciò che era considerato “giusto”).
I suoni che si producevano con il parallelismo alla quinta GIUSTA non potevano rimanere nel
sistema tradizionale delle lettere alfabetiche.
Allora, nella sequenza scalare dei suoni, sopra il SI compare a distanza di quinta una X senza nome
(il moderna Fa diesis) e sotto il Si bemolle una Y (il moderno Mi bemolle).
Queste nuove lettere diventano legittime perchè compaiono in connessione con una melodia
regolare associata all'impiego dell'intervallo perfetto (giusto) di quinta.
L'Autore di Musica enchiriadis trova una scappatoia in una leggera variante “tagliata” del segno F
che ora denota un fa diesis.
In definitiva, Hogerus creò un nuovo sistema téleyon comunque basato sulle vecchie regole.
Il punto di partenza era il tetracordo centrale delle note finali D-E-F-G intorno al quale furono
raggruppati altri tre tetracordi con la stessa struttura vincolante e con il semitono al centro:

Hogerus raggiunse il suo scopo richiamando in vita l'antica prassi di synaphé e diazeuxis, facendo
tuttavia valere solo il principio della diaxeusis (vedi le frecce).
Tutti i tetracordi erano separati da un tono intero.
In questo sistema le due voci parallele producono soltanto quinte giuste. Ogni singola nota ha una
quinta perfetta sia sopra che sotto.
Fin qui il principio teorico; ora si trattava di dare al nuovo sistema i suoi segni.
Hogerus escogitò dei segni peculiari, legati alla tradizione.
Scelse un segno fondamentale della grafia della grammatica, con lineetta ed uncino, il cui nome del
tutto neutro era semplicemente “segno” (DASIA) e che di solito stava per il suono iniziale aspirato
di una “h”.

Questo segno fondamentale veniva dotato di appendici alla sua estremità superiore (una piccola “s”
o una piccola “c”) in modo da permettergli di annotare quattro diversi suoni ordinati secondo la
successione intervallare T-S-T:

Il fatto che gli elementi grafici dei segni vengano descritti esattamente nel modo in cui Boezio
descrive i segni greci delle note, parla a favore di un riferimento intenzionale ai modelli antichi.

Per tutti i tetracordi valevano gli stessi segni.


Questi segni, secondo la prassi già in uso nel greco antico, venivano ruotati o ribaltati, oppure
ruotati e ribaltati allo stesso tempo:

Ogni segno dice per sé se indica il primo, il secondo, il terzo o il quarto suono del tetracordo.
Il tipo di inclinazione esprime il tetracordo di appartenenza.
Ciò corrisponde all'antica doppia denominazione, dato che ogni nota può essere designata sia
dall'abbreviazione del nome sia dalla denominazione estesa (ad es.: prima nota del tetracordo
finale/primus finalis = D o terza nota di quello eccellente/tertius excellens=g).
Il sistema dei segni e dei nomi fu poi unificato secondo l'antico uso del “compendio”, per mostrarne
il funzionamento, nell'annotazione del testo e della melodia della sequenza “Rex coeli Domine”
appositamente creata, anche se questa volta vengono usati i nomi greci dei segni anziché quelli
latini: archoos (primo), deuteros (secondo), tritus (terzo) e tetrardus (quarto):
Esempio di organum a due voci per quinte parallele:

che possiamo così trascrivere:

I segni di Musica enchiriadis non si sono imposti.


A ragione, ad essi si rimproverava di negare le ottave.
Sarebbe stato il secolo XIII, nei manoscritti di Notre Dame, a inventare la possibilità di notazione
tramite un segno analogo al successivo bequadro neutralizzatore.
Nulla sollecitava il passaggio, in quanto nel secolo XII la prassi di cantare per quinte era scomparsa,
facendo spazio ad una organizzazione intervallare più flessibile per la quale si suggeriva un
continuo cambiamento nelle consonanze perfette (come avviene nel “Trattato di Milano”).
Laddove la notazione non permetteva una quinta perfetta, l'intervallo di quarta si offriva come
comoda alternativa.

Anche se i segni di Musica enchiriadis diventarono ben presto desueti, altri elementi della sua
notazione si sono trasferiti al sistema generale della scrittura musicale in modo vincolante.
Per consentire un riscontro sonoro e conferire ai nuovi segni lo stesso valore delle sillabe latine
considerate nel loro legame con il monocordo, Hogerus ampliò il suo metodo di rappresentazione
scritta delle note compiendo un passo ulteriore:
legò i segni dasiani alle corde di uno strumento. Qui dunque le corde (chordae), analogamente a
quanto avveniva negli stessi anni in De harmonica institutio di Hucbald, vennero raffigurate in una
maniera molto diretta e concreta, tracciando delle linee orizzontali.
Prendendo ad esempio una melodia nel primo modo ecclesiastico, il trattato Musica enchiriadis
riporta la linea melodica di un'antifona in due diversi modi:
- prima appiattito su una sola linea, con una successione e una combinazione di sillabe del testo e
segni delle note;
- poi sopra l'immagine di uno strumento, dove le note compaiono a ventaglio nello spazio, come su
un'arpa o un salterio. I segni dasiani diventano indicatori delle note delle singole corde.
Queste vengono sollecitate dal testo che in qualche modo le toccano.
Queste sillabe vengono connesse tra loro tramite dei trattini, in modo da ricreare graficamente
l'immagine del movimento melodico.
Nella funzione di indicatori dell'intonazione, i segni dasiani hanno il compito di rappresentanti del
sistema musicale. La corda stessa diventa segno del suono concreto in modo più pregnante di
quanto facevano le lettere del monocordo. Con ciò Musica enchiriadis inaugura una lunga serie di
esempi di notazione strumentale di intavolatura, che in un lungo percorso porta fino ai simboli usati
per indicare in modo semplificato i modi di suonare la chitarra tuttora in uso.

Ancora più profondo fu l'effetto della spazializzazione grafica. Le sillabe, alle quali sono attaccate
le note, spiccano come le teste arrotondate della notazione moderna.
Una volta che, con le modifiche grafiche apportate da Guido d'Arezzo nel secolo XI, fu conquistata
la capacità di visualizzare un decorso melodico, essa nella storia della musica europea non verrà più
abbandonata.
Perfino le lettere, secondo il modello di un incipitario musicale italiano di Abt Odo, risalente al
secolo X, potevano essere dislocate spazialmente, anche se le regole del testo avrebbero voluto che
rimanessero sulla stessa linea: è quanto accade in un manoscritto ginevrino del Micrologus di Guido
d'Arezzo, risalente al secolo XII, all'inizio della voce centrale per questo organum alla quinta:

Sinossi: esposizione sintetica e schematica di una materia. Nel caso specifico, la sinossi rappresenta
una visione d'insieme delle voci.

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