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Il giardino
segreto
Copertina: © Shutterstock / Fona
Capitolo uno
«Signorina Musolungo
come cresce il tuo giardino?
Sei tu nata sotto un fungo,
o nei pressi del camino?»
«Sì.»
«È la brughiera» rispose con un sorriso. «Vi
piace?»
«No, per niente.»
«Perché non ci avete ancora fatto l’abitudine»
replicò Martha, tornando presso il camino. «Forse
vi sembra troppo grande e nuda, ma finirà per pia-
cervi.»
«A voi piace?»
«Certo» rispose Martha, continuando il suo la-
voro. «Mi piace, e non la trovo troppo nuda. Anzi,
è coperta di erbe che mandano un buon odore. In
primavera, poi, e in estate, quando fioriscono l’e-
rica e la ginestra, è una meraviglia. L’aria è fresca,
e c’è un buon profumo di miele tutt’intorno, e ron-
zano le api, e le allodole cantano così dolcemen-
te! Non mi piacerebbe proprio vivere lontano
dalla brughiera.»
Mary l’ascoltava piena di stupore. Com’era dif-
ferente quella ragazza dai servi indiani! Quelli
erano sottomessi e non facevano che inchini; non
si sarebbero mai permessi di discorrere coi loro
padroni da pari a pari. A quelli si davano ordini, e
basta. Mary non aveva mai detto né “per favore”
né “grazie”. Anzi, quando era in collera, aveva an-
che preso a schiaffi la balia. Pensò che Martha,
malgrado la sua aria buona e tranquilla, non si sa-
rebbe lasciata schiaffeggiare senza reagire, e tan-
to più da una bambina come lei.
«Siete una strana cameriera» disse sdegnosa.
CAPITOLO QUATTRO 29
«Un orto.»
«E quello?» chiese di nuovo Mary, indicando la
porta da cui il vecchio era entrato.
«Un altro orto» rispose questi asciutto. «E ce
n’è un altro ancora, e poi un frutteto.»
«Posso andarci?» domandò Mary.
«Se volete, ma non c’è nulla da vedere.»
Mary non rispose. Passò per la seconda porta, e
trovò un altro orto cintato, con altre verdure e
altre invetriate. Ma in uno dei muri c’era una
porta, e questa volta chiusa. Che fosse la porta del
giardino abbandonato da dieci anni?
Poiché non era affatto timida, anzi piuttosto
capricciosa e testarda, s’avvicinò a quella porta e
girò la maniglia. E, a dispetto del suo desiderio di
scoprire la porta misteriosa, quella si aprì facil-
mente, svelando agli occhi della bimba numerosi
filari di alberi da frutta spogli e ancora chiusi nel
loro sonno invernale. Anche il frutteto era circon-
dato da alti muri, ma, sebbene Mary guardasse
attentamente, non scoprì nessun’altra porta.
Eppure il muro esterno continuava, e pareva che
ci fosse un altro giardino al di là del frutteto: si
vedevano infatti cime di alberi.
Anzi, osservando meglio, Mary scorse, su uno
dei rami più alti, un uccellino col petto coperto di
piume rosse, che, d’un tratto, cominciò a cinguet-
tare, come se l’avesse vista e volesse richiamare
la sua attenzione.
Mary si fermò ad ascoltarlo, e quel suo canto
38 IL GIARDINO SEGRETO
CARO DICKON,
SPERO CHE QUESTA MIA VI TROVI TUTTI
BENE. LA SIGNORINA MARY HA MOLTI SOLDI E TI
PREGA DI ANDARE IN PAESE A COMPRARLE GLI
ARNESI DA GIARDINO CHE ABBIAMO VISTI IN
QUEL NEGOZIO, E DEI SEMI DI FIORI; CHE SIANO
I PIÙ BELLI E I PIÙ SEMPLICI DA COLTIVARE, PER-
CHÉ NON L’HA MAI FATTO PRIMA E IN INDIA ERA
TUTTO DIVERSO. SALUTAMI LA MAMMA E TUTTI
GLI ALTRI. LA PROSSIMA VOLTA CHE TORNO A
CASA HO TANTE ALTRE COSE DA RACCONTARVI:
LA SIGNORINA MI HA PARLATO ANCORA DEI
CAMMELLI E DEGLI ELEFANTI, E DEI SIGNORI
CHE VANNO A CACCIA DI LEONI E TIGRI.
TUA SORELLA MARTHA
«Vieni qui.»
Mary s’avvicinò. Non era brutto, anzi il suo viso
avrebbe anche potuto essere bello, se non fosse
stato tanto corrucciato. La guardò inquieto e sec-
cato, come se non sapesse nemmeno che cosa
dirle.
«Stai bene?»
«Sì.»
«Ti trattano bene?»
«Sì.»
Lo zio si passò una mano sulla fronte.
«Sei molto magra» disse.
«Sto ingrassando ora» ribatté Mary dura dura.
Che viso infelice aveva! Pareva che quei suoi oc-
chi neri e spenti non la vedessero neppure, e il
suo pensiero faticasse a interessarsi di lei.
«Ti ho dimenticata» disse. «Ma come potevo ri-
cordarmi di te? Volevo mandarti una balia o una
istitutrice, ma l’ho scordato.»
«Vi prego...» prese a dire Mary, ma un nodo in
gola la interruppe.
«Cosa volevi dire?»
«Sono troppo grande per una balia» disse Mary,
«e, per ora, non mandatemi un’istitutrice, vi
prego.»
Egli la guardò stupito.
«È quello che ha detto anche quella donna»
mormorò distratto.
Allora Mary ritrovò un po’ di coraggio.
«È la madre di Martha?» domandò timidamente.
112 IL GIARDINO SEGRETO
«Credo di sì.»
«Lei conosce i bambini» disse Mary. «Ne ha
dodici.»
Lo zio sembrò risvegliarsi dal suo torpore.
«Cosa vuoi fare?»
«Giocare in giardino» rispose Mary, sperando
che la voce non le tremasse. «In India non lo face-
vo mai; ma qui ho appetito e mi sto rinforzando.»
Egli l’osservava attentamente, ora.
«Lo ha detto anche quella donna, la signora
Sowerby, così credo che si chiami» ripeté, «che ti
avrebbe fatto bene, e che è meglio che ti irrobu-
stisca prima di metterti a studiare con una istitu-
trice.»
«Mi sento più forte quando gioco all’aperto e
viene il vento dalla brughiera.»
«E dove giochi?» chiese suo zio.
«Dappertutto» rispose Mary. «La mamma di
Martha mi ha mandato una corda, e io corro e sal-
to, e guardo se spunta qualcosa dalla terra. Non
faccio del male.»
«E non essere così spaventata!» disse lo zio
quasi irritato. «Che male vuoi fare, così piccina?
Fai pure quello che vuoi.»
Mary si portò una mano alla gola, come per
ricacciare un singhiozzo che stava per uscire, e
s’avvicinò d’un passo.
«Me lo permettete?» domandò tremante.
«Certo! Ma non aver paura! Sono il tuo tutore,
un povero tutore che non può darti né tempo né
CAPITOLO DODICI 113
«Ma perché?»
Un’ombra di tristezza passò sul viso di Colin.
«Perché la mamma è morta, quando sono nato
io. Lui crede che non lo sappia, ma l’ho sentito
dire dai domestici: quasi mi odia.»
«E odia anche il giardino, perché lei è morta»
disse Mary come parlando a sé stessa.
«Quale giardino?» domandò Colin.
«Un giardino che le piaceva» balbettò Mary.
«Ma tu sei sempre qui?»
«Quasi sempre. Una volta mi hanno portato al
mare, ma non ci sono voluto stare perché la gente
mi guardava. Tempo fa mi facevano portare un
busto di ferro per farmi stare dritto; ma un famo-
so dottore, venuto apposta da Londra per visitar-
mi ha detto che non serviva a niente. Anzi mi ha
ordinato di toglierlo subito e vivere all’aria aperta.
L’aria però non mi piace; preferisco starmene in
questa stanza.»
«Anche a me, in principio, non piaceva stare al-
l’aperto...» disse Mary. «Ma perché mi guardi così?»
«Perché ho ancora l’impressione di sognare a
occhi aperti, e che tu non sia che un fantasma.»
«Siamo svegli tutti e due» replicò Mary, e giran-
do lo sguardo a osservare quella camera in pe-
nombra, soggiunse: «Però sembra quasi un so-
gno davvero: noi due soli qui a parlare, nel mezzo
della notte, mentre tutta la casa dorme.»
«Non voglio che sia solo un sogno» protestò
Colin.
CAPITOLO TREDICI 123
gando la fronte.
«Certo! Ma non arrabbiarti, perché anch’io so-
no stramba, e anche Ben. Però lo sono meno da
quando ho scoperto il giardino e voglio bene a
qualcuno.»
«Non voglio più essere strambo» replicò Colin,
deciso; era un ragazzo orgoglioso e ogni osserva-
zione lo urtava. Rimase qualche istante soprap-
pensiero, ma a poco a poco il suo viso si tra-
sformò, illuminandosi di un dolce sorriso.
«Se andrò tutti i giorni in giardino cambierò, ve-
drai» concluse. «C’è della magia lì, e di quella
buona, ne sono sicuro.»
«Hai ragione, Colin. Lo credo anch’io.»
Da quel giorno presero a parlare di magia ogni
volta che si riferivano a qualche meraviglioso
cambiamento del loro giardino. E mille cose
avvennero nei mesi successivi, a confermare la
loro ingenua supposizione. Chi non ha mai posse-
duto un giardino non lo può capire, e chi ha la for-
tuna di possederlo saprà che non basterebbe un
libro intero a descriverne le meraviglie. Dapprima
sembrava che le verdi piantine non finissero mai
di spuntare ovunque, sull’erba, nelle aiuole, persi-
no nelle crepe dei muri. Poi vennero le gemme, e
a una a una si aprirono, svelando agli occhi stupi-
ti di Colin gli splendidi colori della tavolozza in
tutte le loro sfumature: dagli azzurri ai blu, dai
gialli ai rossi ai violetti. Nei suoi anni felici il giar-
dino si era letteralmente coperto di profumate
220 IL GIARDINO SEGRETO
Egregio Signore,
sono Susan Sowerby; alcuni mesi fa mi sono
permessa di fermarvi per parlarvi della signorina
Mary. E ora oso scrivervi. Signore, se fossi in voi
tornerei a casa. Credo che ne rimarrete contento
e, vogliate perdonare l’ardire, credo che anche la
povera signora ve lo chiederebbe, se fosse qui.
Sono la vostra serva devota
Susan Sowerby
Capitolo uno 3
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Capitolo diciotto 172
Capitolo diciannove 179
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Capitolo ventuno 200
Capitolo ventidue 211
Capitolo ventitré 217
Capitolo ventiquattro 229
Capitolo venticinque 242
Capitolo ventisei 249
Capitolo ventisette 258