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Perché parliamo di ricerca? A quale scopo introduciamo questo argomento? Per poter parlare
di nursing come scienza, bisogna dimostrare che esso si presta ad essere oggetto di ricerca
scientifica. Se oggi, in tutte le professioni come l’industria, l’indagine scientifica serve a
risolvere dei problemi e fornisce la base alle attività di programmazione, perché dovrebbe fare
eccezione proprio la professione infermieristica? Partiamo dalla parola PAZIENTE, che è la
persona, che non ha un ruolo passivo, dove si preferisce usare il termine soggetto o persona. Il
processo di nursing è un approccio sistematico alla pratica infermieristica che consente di
identificare, prevenire e trattare i problemi di salute reali o potenziali di una persona, di gruppi
di pazienti, famiglie o comunità. Allora sistematico vuol dire che si utilizza un metodo
scientifico, cioè per assistere una persona ci vuole conoscenza scientifica, che viene
dall'osservazione è il principale metodo di lavoro dell'infermiere, perché noi dobbiamo
osservare i fenomeni. ecco perché la ricerca è importante e dipende da molti fattori:
- Osservare vuol dire utilizzando tutti i NOSTRI 5 SENSI, non solo la vista, ma anche ascoltare il
respiro affannato di un paziente, il tatto per vedere se una zona è gonfia o calda, l'olfatto odore delle
feci, urine.
> D.M. 739/94 PROFILO PROFESSIONALE DELL'INFERMIERE, c'è scritto anche che
l'infermiere si occupa della persona che è inserita in un contesto, in una comunità. Anche perché lo
scopo dell'infermiere è quello della prevenzione ed educazione, non solo della persona stessa ma
anche di chi gli sta intorno.
- Processo, indica qualcosa che procede, che va step by step, inizi una attività finisce, ne inizi e
finisci, è come un percorso per raggiungere un determinato scopo.
Oggi si ha una concentrazione degli studi e della ricerca soprattutto su malattie molto diffuse,
dove il campionario possibile di persone da studiare è estremamente elevato.
La ricerca infermieristica si muove quindi al fine di ricercare i problemi più impattanti ed
estesi all’interno della popolazione. In questa ricerca le problematiche più studiate sono senza
dubbio le infezioni; queste rappresentano un problema importantissimo all’interno della
pratica clinica. Tra le principali infezioni prese in esame ci sono sicuramente quelle
respiratorie, in particolare quelle correlate a procedure infermieristiche (bronco aspirazione,
respirazione meccanica). Oltre alle infezioni respiratorie sono prese in esame quelle urinarie,
quelle chirurgiche e quelle legate all’utilizzo di accessi vascolari (sia periferici che centrali).
Dunque, la ricerca infermieristica ha l’obiettivo di sviluppare le conoscenze nell’assistenza
alla persona sana o ammalata; è, infatti, volta alla comprensione di meccanismi genetici,
fisiologici, sociali, comportamentali ed ambientali che influiscono sulla capacità della persona
o della famiglia a mantenere o migliorare una funzionalità ottimale e ridurre gli effetti negativi
della malattia.
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Ecco che la ricerca infermieristica presenta più campi di azione (pratica clinica, educazione
infermieristica, aspetti legali-amministrativi, organizzazione dei servizi sanitari). Si è notato
come sia necessario, all’interno della ricerca infermieristica, iniziare dalla pratica clinica, dove
è possibile evidenziare le problematiche da trattare, specifiche di un settore e di una
determinata categoria di patologie; successivamente, o contemporaneamente, unendo lo studio
della pratica clinica alla teoria riguardante la problematica rilevata, sarà possibile eseguire una
ricerca, su cui basare poi una nuova teoria, da applicare poi alla pratica. La cosa importante da
capire è la necessità di un appoggio teorico alla pratica, basato su studi già esistenti, che
andranno poi evidenziati nella bibliografia della ricerca che stiamo portando avanti. La ricerca
è quindi permessa da un intreccio di pratica e teoria, che partono dal paziente e tornano al
paziente nella loro applicazione finale.
Ma qual è il principale obiettivo della ricerca? Uno dei più importanti è sicuramente quello di
avere la possibilità di restare aggiornati, con le ultime nuove evidenze scientifiche, al fine di
permettere un’assistenza sanitaria migliore possibile.
Su cosa si basa questa ricerca? Cosa va ad aggiornare? La cosiddetta Evidence Based Nursing
(EBN), ossia ciò che è efficace perché dimostrato scientificamente (per esempio, tutto quello
che ritroviamo nelle varie linee guida).
Ma cosa contengono le linee guida? Contributi scientifici che, rispetto all’argomento, sono
stati dimostrati ed aggiornati (per esempio, l’enunciazione: “eseguire il lavaggio delle mani,
prima di una procedura invasiva”, sarà affiancata da una spiegazione della motivazione).
Accanto ad ogni raccomandazione (per esempio, “la medicazione deve essere cambiato ogni
volta che risulta sporca o se si stacca”) è presente una gradazione, che indica la forza che la
raccomandazione stessa ha (fortemente raccomandata, meno raccomandata, raccomandata
solo in alcuni casi, ecc.).
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> Questa gradazione, generalmente (poiché ogni linea guida varia il proprio sistema di
raccomandazione), viene identificata da una sigla costituita da un numero romano (da 1 a 6) e
da una lettera. Per esempio, una raccomandazione con grado “IA” sarà “estremamente
raccomandata”, mentre una con grado “5A” è “meno raccomandata”.
1. Tempo
2. Disponibilità dei soggetti
3. Disponibilità di attrezzature e strutture
4. Fondi (che comprendono anche il tempo che l’infermiere ha la possibilità di dedicare
alla ricerca)
5. Esperienza del ricercatore
6. Considerazione etiche (per esempio, nel 1965 accadde che alcuni medici iniettarono
cellule cancerogene in pazienti anziani per studiarne la reazione immunitaria: in questo
caso fu violato il principio etico)
Per esempio: vogliamo sapere se nelle persone con ulcera vascolare al terzo inferiore della
gamba (P) l’utilizzo dell’elastocompressione (I) ha un miglior risultato (C) rispetto all’uso
delle calze elastiche (O).
- RICORDA
I quesiti di ricerca possono essere posti o sotto forma di domanda o sotto forma di
affermazione. Per esempio: “Ogni quanto deve essere sostituito un accesso vascolare
periferico?”. Trasformiamola in affermazione: “Valutare se la sostituzione di un accesso
vascolare periferico a 72 ore (I) è efficace nella riduzione della flebite (O), rispetto alla
sostituzione a 4 giorni (C), nei pazienti ricoverati in chirurgia (P)”.
Altro esempio: “I trattamenti radio/chemioterapici causano Fatigue?”; questa domanda è mal
posta; scriviamo allora: “le donne sottoposte a radio/chemioterapia (P) rispetto a coloro che
non eseguono radio/chemioterapia (C) sviluppano fatigue (O)?”. In questo caso non c’è un
intervento dall’esterno (I).
2. Fase 2: scelta del metodo di ricerca (selezione del disegno, identificazione del
campione e degli strumenti da utilizzare)
3. Fase 3: raccolta dati (ma prima stesura protocollo di ricerca e raccolta e registrazione
dei dati)
2. Multicentrica: questa ricerca prevede un’analisi non più di un singolo luogo, ma di più
luoghi (dato internazionale, nato dalla somma di varie ricerche monocentriche); il vantaggio
maggiore di questa ricerca è che il risultato sarà sicuramente molto più attendibile di quello
derivante da una ricerca monocentrica. Inoltre, la ricerca multicentrica ci permette di ridurre il
tempo (avendo più soggetti da analizzare insieme, posso raggrupparli più rapidamente).
1. Aperta, in cui tutti (paziente, sperimentatore e colui che analizza i risultati) conoscono a
chi
viene dato il placebo e a chi viene somministrato il farmaco.
4. In triplo cieco, in cui anche colui che analizza i dati sa a chi è stato dato il placebo e a
chi
il farmaco.
Dopo tutto ciò che abbiamo detto, sarà bene sottolineare, come la ricerca migliore sia
quella prospettiva, multicentrica, in triplo cieco.
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• Trasversali, basati sulla prevalenza. Questo studio ci consente di vedere ad oggi quante
persone hanno un certo problema, senza distinguere i nuovi casi da quelli già presenti.
La ricerca trasversale può tuttavia non essere descrittiva di un andamento, in quanto
rappresenta solo la fotografia di un dato momento (potrei analizzare i dati del lunedì
per un certo evento, quando magari quelli della domenica sono totalmente diversi).
L’altro difetto è che non ci permette di capire quando è insorto un dato problema, in
quanto non prende in considerazione la temporalità di un certo evento. Se non
rappresenta quindi la normalità di una certa casistica, come può essere utilizzata al
meglio? E’ necessario, al fine di rappresentare quanto più possibile la normalità e la
totalità degli eventi considerati, prendere come indice rappresentativo tre prevalenze
diverse (per fare un esempio pratico, ne prendo una il lunedì, una il giovedì e una la
domenica, in modo da considerare quanto più possibile i dati di tutta la settimana). La
prevalenza ha tuttavia anche dei pregi: costa meno e necessita di un minor tempo per la
raccolta dati.
Entrambi gli studi necessitano di 2 gruppi da analizzare, al contrario degli studi osservazioni
trasversali e longitudinali, in cui studiamo una popolazione unica.
Grazie a questa tipologia di analisi è possibile capire se, magari, il fattore di rischio può essere
realmente responsabile della formazione di una certa patologia o meno. Ma quali difetti ha
questo tipo di studio? Il costo elevato e l’inadeguatezza all’analisi di patologie rare. Quali
vantaggi presenta, invece? Rappresenta una misura diretta dell’incidenza, ha la possibilità di
valutare effetti multipli di un unico fattore di rischio e la possibilità di studiare fattori di rischio
rari.
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—Gli studi caso-controllo (retrospettivi), invece, partono dall’analisi dei malati, al fine di
andare a capire quanti di questi sono stati esposti ad un fattore di rischio e quanti, invece, no. I
vantaggi quali sono?
Costano meno (abbiamo già tutti i dati raccolti), hanno la possibilità di valutare fattori di
rischio multipli per un’unica patologia e hanno anche la capacità di andare ad analizzare una
malattia rara (questo grazie al fatto che partiamo dalla malattia al fine di capire se il fattore di
rischio è legato al suo insorgere e non il contrario, come nel caso degli studi di coorte!!!).
Tuttavia, fra i difetti troviamo il fatto che forniscono solo la stima del rischio nella
popolazione, perché non ci permettono di capire quale era il fattore di rischio anni prima dello
studio.
• Case series, che si basano sulla descrizione di un certo numero di casi clinici,
relativamente al quadro clinico, alla storia naturale e di un trattamento; anche questi,
solitamente, si riferiscono a quadri insoliti. È, inoltre, uno strumento utile per generare
ipotesi sulle cause di una malattia, sulla sua evoluzione o anche sull’effetto di un
trattamento. Può capitare che, talvolta, una nuova tipologia di manifestazione
patologica si presenti in un gruppo di persone.
In questo caso, se non ci sono stati altri casi segnalati in letteratura, è necessario
studiare l’evento, correlando eventuali terapie, alimenti, sostanze con cui le persone
sono venute a contatto, con l’insorgere della patologia. In caso non sia presente una
terapia risolutiva, è necessario evidenziare anche ciò che viene fatto per risolvere il
problema, assieme al risultato di tale procedura, in quanto, in caso non funzioni o
magari vada a generare un aggravarsi del problema, la segnalazione evita che altri si
trovino nella stessa complicanza.
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Particolare Olistica
La verità è dinamica
La verità è unica
La ricerca di triangolazione
Le due tipologie di ricerca, come visto, sono dunque estremamente differenti fra di loro, quasi
opposte. Esiste, tuttavia, una particolare ricerca, detta ricerca di triangolazione, che permette
un’unione fra queste due modalità di analisi.
La ricerca di triangolazione prevede, infatti, che il ricercatore incroci due disegni di ricerca di
tipo quali-quantitativo. Il ricercatore, dunque, dietro uno stesso tipo di ricerca, si pone obiettivi
sia quantitativi che qualitativi.
Per fare un esempio pratico possiamo prendere uno studio già eseguito, riguardante la
malinconia puerperale e la depressione postpartum, che rappresenta proprio il titolo
dell’articolo.
In che termini parleremo di questi fatti? Immaginiamo che al titolo si aggiunga l’informazione:
studio osservazionale.
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Cosa ci si aspetterà quindi da questo studio? Sicuramente troveremo un’osservazione riguardo
l’andamento di questo evento nel tempo, che tipo di conseguenze le donne hanno avuto da
questa condizione clinica, quanto i parti plurimi possono influenzare l’evento, quanto i parti
gemellari o singoli, quali tipi di sintomi si sono presentati; e ancora, quante donne hanno
tentato il suicidio, quante hanno avuto necessità di un ricovero ospedaliero, ecc...
Questi sono tutti dati numerici, sui quali verrà eseguita un’analisi statistica, da cui verranno
fuori tassi, percentuali, da confrontare con dati passati o futuri.
Se invece, ci troviamo di fronte ad un articolo che ha per titolo l’esperienza della depressione
postpartum, con l’aggiunta del dato: studio fenomenologico, troveremo elementi di studio
diversi. In questo caso l’articolo tratterà della sensazione soggettiva di come la donna ha
vissuto il fenomeno della depressione postpartum.
Saranno, quindi, assenti i dati numerici ma, al contrario, lo studio sarà impostato sotto forma
di narrazione, dove le varie persone riassumeranno il loro vissuto (generalmente in questi
articoli si sottolineano le parole chiave, per far capire come più persone vivono e raccontano le
stesse sensazioni).
Al contrario della ricerca quantitativa, che ha bisogno di grandi numeri, quest’ultima, ossia
quella qualitativa, non necessita di un’estensione numerica dei soggetti studiati.
Ma perché, considerando l’aspetto soggettivo del secondo studio, date le esperienze
culturalmente diverse, influenzate da mille fattori, il ricercatore si fa bastare poche persone per
raccontare e descrivere l’esperienza?
Il motivo è legato al fatto che il ricercatore, nel vedere che già 5 o 10 donne, diverse, con
esperienze diverse, un supporto familiare diverso e culture diverse, hanno avuto la stessa
esperienza negativa, può ritenersi soddisfatto della raccolta dati: lo studio risulta già saturo
degli elementi necessari: pianto, paura di inadeguatezza, estraneazione dal figlio, ecc...
Il vissuto alla fine trova degli anelli di congiunzione, detti, di saturazione, che non richiedono
che si vada avanti nel continuare a raccogliere dati sul campione.
Riassumendo, la principale differenza fra studi osservazionali e studi sperimentali è che nei
primi lo studioso imposta lo studio, osserva, trascrive e valuta, mentre nei secondi lo studioso
imposta lo studio, interviene modificando la storia naturale, osserva, trascrive e valuta.
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>>>Inoltre, mentre negli studi osservazioni non è mai presente la randomizzazione dei
campioni (scelta casuale, che permette che i dati da analizzare siano completamente distaccati
da qualsiasi possibile influenza del ricercatore), negli studi sperimentali c’è sempre
randomizzazione. Infine, questi ultimi necessitano sempre di almeno due gruppi di confronto.
—Fra queste due tipologie di analisi è presente un’ulteriore modalità di ricerca, chiamata
studio quasi sperimentale.
Questo imposta lo studio allo stesso modo di quello sperimentale; tuttavia, analizza un gruppo
non randomizzato, valutando un primo momento, in cui ci sono determinate caratteristiche da
evidenziare, e un secondo momento, che magari è cambiato. Si analizza in questo modo cosa è
variato dopo il cambiamento rispetto ai parametri studiati; tuttavia, è bene sottolineare che il
gruppo è lo stesso e non viene randomizzato, come avviene invece nello studio sperimentale.
Ovviamente fin quando una persona non viene randomizzata, non possiamo sapere se riceverà
l’uno o l’altro. Inoltre, in caso la ricerca sia in doppio cieco, non sapremo neanche noi, al
momento della randomizzazione, cosa le verrà somministrato, in quanto solo al termine dello
studio verrà rivelato quale dei gruppi aveva un certo farmaco e quale, invece, il placebo.
NB: i pazienti che si perdono all’interno dello studio, per vari motivi (morte, abbandono, ecc)
vengono detti tecnicamente: drop out.
Se viene perso un numero maggiore del 20%, lo studio perde di veridicità, di conseguenza non
sarà considerato come studio valido.
Tuttavia, nel caso che ci sia un drop out, anche questi soggetti deceduti vengono considerati
nell’analisi statistica: in questo caso parliamo di intention to treat (intenzione al trattamento);
tutti i pazienti entrati nello studio devono pesare statisticamente.
La sperimentazione
determinata variabile. Ecco che, quindi, andiamo a considerare i cosiddetti criteri di inclusione
e di esclusione del campione.
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Attraverso i primi, andremo ad esporre tutte le caratteristiche che vogliamo includere nel
nostro studio, mentre con i secondi andremo a listare tutte quelle che, invece, vogliamo che
siano completamente escluse dall’analisi.
Immaginiamo uno studio sulle medicazioni di ulcere di natura vascolare. È presente un nuovo
tipo di medicazione, da testare sul campo (già approvato per la diffusione in ospedale).
Dovrò prima di tutto scegliere dei criteri di inclusione e criteri di esclusione nello studio, per
esempio: uno studio prevede un trattamento A, B o C, più o meno invasivi; per partecipare allo
studio, quindi, visto che ancora non è avvenuta la randomizzazione, una persona potrebbe
ricevere uno dei tre. È necessario, al fine di evitare l’uscita dallo studio una volta iniziato, che
la persona accetti fin da subito di volersi sottoporre ai trattamenti, senza sapere quale gli
capiterà; in caso contrario, non entrerà nello studio.
In questo caso è bene fare una prima considerazione riguardante l’età come criterio. Questa
non
viene quasi mai scelta come fattore predisponente all’ingresso o all’uscita dallo studio, in
quanto, facendo un esempio pratico: se scelgo di far entrare nello studio pazienti over 60,
come mi comporto
in caso di un 59enne, che non è poi così diverso da come sarà l’anno successivo? Per eliminare
in base alla fascia d’età dobbiamo sempre domandarci se è possibile che questa incida molto
sullo sviluppo del problema o sulla rapidità e facilità di guarigione (basti pensare ad una ferita
chirurgica,
che nel giovane cicatrizza molto più rapidamente e con meno complicanze).
In questo caso il fattore su cui vertere la scelta è la tipologia di ulcera, per esempio,
un’ulcera venosa anziché arteriosa.
EX. Nelle ulcere di tipo venoso, dovute a problematiche vascolari, non sarà tanto la
medicazione, quanto la circolazione stessa che favorirà la guarigione; ancora più nel dettaglio,
sarà la capacità dell’infermiere di eseguire un bendaggio elastico (che favorisce il ritorno
venoso dagli arti inferiori) a garantire la guarigione dell’ulcera.
Al contrario, le ulcere di tipo arterioso, guariranno principalmente per via della medicazione,
in quanto non si eseguono bendaggi. Ne consegue che in questo studio la scelta di inclusione
potrebbe essere sicuramente quella di scegliere ulcere arteriose.
Una volta scelto i criteri di inclusione, è necessario passare a quelli di esclusione, che in
questo caso potrebbero riguardare l’utilizzo di particolari farmaci (si cercano di togliere il più
possibile dei fattori confondenti, per esempio tutti quei farmaci che aiutano la guarigione).
Il paziente è reclutabile, quindi, dopo il consenso informato e dopo che siano stati applicati i
criteri di inclusione ed esclusione. A questo punto tutti i campioni vengono randomizzati (in
almeno 2 gruppi di confronto, ma possono essere anche di più; più gruppi ho, più devono
essere i campioni da utilizzare).
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Arrivati a questo punto, è necessario formare i gruppi e iniziare l’osservazione ponendosi,
come obiettivo per il termine, quello di arrivare alla granulazione del letto dell’ulcera.
Un altro tipo di studio è lo studio cross-over intra paziente; in questo caso abbiamo una
persona che viene reclutata per uno studio cross over. Questa volta viene randomizzato il
trattamento con il quale il paziente inizierà il suo percorso sperimentale.
In questo caso il paziente numero 1 inizia il protocollo A; successivamente, avrà una
sospensione del periodo sperimentale (wash out), per poi iniziare il trattamento B. Il risultato
della ricerca sarà dato da cosa, in quel paziente, funzionerà meglio. Un paziente numero 2 farà
il contrario, prenderà prima il farmaco B per poi passare al farmaco A.
La differenza rispetto ad uno studio sperimentale è dato dal fatto che in quest’ultimo noi
avremo due gruppi diversi a cui vengono somministrati farmaci differenti.
Al contrario questo studio ci consente di vedere su uno stesso soggetto gli effetti dei farmaci in
studio, magari in successione (cosa positiva in quanto non sarebbe possibile nell’altro studio).
In questo modo possiamo confrontare i farmaci e quindi capire quale è meglio. Per evitare che
il farmaco A influenzi la potenza del farmaco B (somministrato dopo nel paziente 1),
randomizzerò eseguendo il contrario sul paziente 2.
Ovviamente anche questo studio, per avere una validità scientifica, necessita di un alto numero
di persone. La cosa importante da notare è che negli studi cross over il paziente deve rimanere
uguale, sia nel periodo A che nel periodo B. Potrebbe succedere che nel periodo di wash out la
situazione peggiori tanto che è necessario variare la situazione clinica del paziente
farmacologicamente (per esempio somministrando anticoagulanti); in questo caso, si ha il drop
out, ossia l’uscita dallo studio, poiché nel secondo periodo, quando dobbiamo somministrare il
farmaco B, il paziente si trova in una condizione differente e quindi invalida il confronto tra la
soluzione A e la soluzione B.
Questo studio ha quindi una grande difficoltà organizzativa, in quanto si deve avere la garanzia
che la situazione patologica del paziente non cambi, se non grazie al farmaco somministrato.
Il lato positivo è, tuttavia, che questo studio ci consente di dimezzare le persone necessarie per
lo studio. Se infatti in uno studio sperimentale che confronta due farmaci servono 100 pazienti,
in questo caso ne bastano 50, in quanto vengono sperimentati entrambi su un solo soggetto.
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Il protocollo di ricerca
2. Obiettivi di studio
4. Disegno dello studio (se possibile con diagramma di flusso): bisogna chiarire se il
disegno
di studio è fenomenologico, qualitativo, quantitativo, ecc. (a volte, questo può apparire
già nel titolo; per esempio “valutazione delle ulcere: studio sperimentale”).
9. Consenso informato
10. Scheda raccolta dati: tutti gli strumenti utilizzati (per esempio le scale di valutazione
usate) devono essere allegati; se nel “programma dettagliato di studio” abbiamo scritto
di aver utilizzato una scala VAS, qui dovrà essere esposta.
11. Bibliografia
Lo strumento della ricerca è quel mezzo o tecnica che ci permette di raccogliere dati su una
variabile o su un fenomeno. Molte volte può capitare che lo strumento di ricerca debba essere
creato “ad hoc”.
Gli strumenti di ricerca possono essere:
1. Non strutturati (interviste, storie di vita, diari, telecamere nascoste, specchi, ecc.)
2. Strutturati (questionari a domande aperte e chiuse, scale, check list, schede, ecc.)
Le evidenze scientifiche
Fino ad ora abbiamo visto le varie tipologie di studio e le modalità con cui esso si svolge; una
volta pubblicato, tuttavia, lo studio diviene un articolo scientifico.
La grandissima maggioranza di questi studi è in lingua inglese e si trova in archivi specifici
dove vengono raccolti, dopo essere stati “indexati”, attraverso l’index factor, ossia inseriti ed
approvati da riviste degne di essere archiviate in una banca dati biomedica.
Tra le riviste che vengono archiviate in med-line, esistono riviste di qualità migliore o
peggiore.
Ma cosa permette a queste di essere considerate più o meno di qualità?
Ogni rivista viene “impactata”, è presente quindi un impact factor, che varia ogni anno e
dipende da quante volte la rivista viene citata in studi o in pubblicazioni scientifiche.
Questo valore va da 0 – 2 a 15 – 20; una buona rivista medica si aggiorna tra i 5 e gli 8. Dopo
aver eseguito uno studio, è importante valutare bene a quale rivista inviarlo per la
pubblicazione. L’accettare o meno lo studio come valido dipende dal modo in cui è stato
eseguito lo studio, tuttavia, dipende anche dal tipo di studio e dall’impact factor della rivista.
Una rivista molto conosciuta e con un alto impact factor, per pubblicare un articolo scientifico
vorrà sicuramente che esso sia eseguito alla perfezione, mentre magari, una rivista meno
conosciuta, si accontenterà di qualcosa di meno elaborato.
Anche l’infermiere ha un proprio impact factor, che cresce tramite le pubblicazioni su
riviste scientifiche. In un curriculum questo valore viene inserito, come anche l’index factor.
Le evidenze prodotte dalla ricerca biomedica sono in genere risultati validi, tali da poter essere
generalizzabili e clinicamente rilevabili, che emergono da studi clinici condotti da colleghi
degnamente appartenenti alla comunità scientifica.
Inizialmente le evidence based nursing sono state prese molto male da medici ed infermieri, in
quanto, nella parola professionista è compresa la possibilità e la capacità di saper giudicare e
operare all’interno del proprio campo, che veniva ridotta dalla creazione di una serie di
raccomandazioni da dover applicare.
Le evidenze scientifiche tuttavia non possono essere applicate senza una conoscenza di fondo;
è infatti necessario considerare almeno tre fattori che concorrono all’applicazione o alla
mancata applicazione delle stesse.
È necessaria prima di tutto una formazione di base, che consenta di capire quali sono
Le linee guida dicono che un materasso antidecubito, per essere efficace, deve essere alto
almeno 10 cm. Per valutare l’efficacia, inoltre, con il paziente sdraiato sopra, dovremmo porre
una mano sotto il materasso; in caso il materasso funzioni, non si deve percepire
l’avvallamento. Un’altra procedura da applicare, oltre al materasso, che ha sempre a che fare
con l’evidenza scientifica, è la mobilizzazione del paziente, al fine di ridurre il rischio di
ulcera, garantire
Le linee guida raccomandano un cambio di posizione ogni 2 ore; tuttavia, queste non sono
ancora state chiarite, tanto che la raccomandazione non è IA. In questo caso, quindi, sarà il
sanitario a poter valutare e scegliere se, sulla base delle caratteristiche del paziente e della
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situazione generale, la persona necessiterà di una mobilizzazione più o meno frequente.
Con questo ragionamento possiamo capire come, nonostante le evidenze, talvolta sia il
giudizio clinico basato sull’esperienza a garantire la scelta migliore per l’assistito.
Ovviamente la scelta di astensione dall’applicazione delle linee guida deve essere
sempre giustificata sulla base di un ragionamento che abbia una validità scientifica!
Dall’altra parte abbiamo il cittadino, e quindi le preferenze del paziente. In caso la persona si
rifiuti di sottoporsi ad una procedura, raccomandata dalle linee guida o scelta sulla base
dell’esperienza e della conoscenza del sanitario, noi dobbiamo accettare il fatto che è lui a
decidere.
In caso di rifiuto, quindi, non applicheremo l’evidenza scientifica (anche in questo caso, però,
sarà necessario giustificare la non applicazione, dovuta al rifiuto del paziente, sottolineando
che è comunque stata spiegata la necessità di tale procedura).
Ma quali sono gli studi che hanno una maggior forza, tale da divenire un’evidenza scientifica?
Per Evidence-Based Nursing (tradotto in italiano come infermieristica basata sulle prove di
efficacia) si intende come “il processo per mezzo del quale le infermiere e gli infermieri
assumono le decisioni cliniche utilizzando le migliori ricerche disponibili, la loro esperienza
clinica e le preferenze del paziente, in un contesto di risorse disponibili”.
L’EBN si basa su: situazione clinica e contesto, risorse disponibili, prove di efficacia e
preferenze del pz. Il tutto è contenuto comunque nell’esperienza clinica.
! ! !
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In cieco In aperto
I desideri del paziente vanno rispettati. Bisogna tenere conto delle preferenze, preoccupazioni,
aspettative, valori etici di ogni singolo paziente. Riguardo le preferenze, bisogna anche
spiegare alla persona perché è meglio fare una cosa rispetto a ciò che preferisce in quanto la
preferenza può comportare a diverse complicanze.
Le migliori “evidenze” prodotte dalla ricerca biomedica sono risultati validi, generalizzabili,
clinicamente rilevanti che emergono da studi clinici condotti da colleghi degnamente
appartenenti alla comunità scientifica mondiale. Molte ricerche infermieristiche non vengono
pubblicate solo su riviste infermieristiche ma anche in riviste biomediche.
La Evidence Based Practice è dato dalla ricerca infermieristica, fisioterapista, ostetrica, medica
e della medicina di laboratorio.
I risultati di ricerca vanno testati anche sul pz per vedere se il risultato contiene degli errori e
che quindi non è attendibile come risultato nella ricerca.
L’80% delle ricerche infermieristiche italiane è sostenuto dal lavoro degli studenti nelle tesi di
laurea: ciò non è positivo in quanto queste ricerche non verranno utilizzate nella vita
lavorativa.
È opportuno effettuare tante più ricerche possibili in modo da migliorare l’assistenza.
La ricerca è dato da un risultato di una ricerca dove vi era un quesito. L’EBN ci fornisce
questi quesiti.
A chi serve la ricerca?
Dopo aver svolto l’analisi, lo studio deve essere comunicato alla comunità scientifica e quindi
pubblicato. Pubblicare vuol dire però scrivere un articolo. Sarebbe opportuno scriverlo in
inglese per renderlo internazionale. Scriverlo in italiano è poco producente in quanto esistono
solo due riviste italiane su PubMed. Su Cinahl (minore a PubMed) ce n’è una sola. La
pubblicazione deriva dalla scelta dell’editore sulla pubblicazione o meno, infatti lo studio può
andare incontro a rifiuto, modificazione ecc. Il non pubblicare lo studio in una data rivista
permette però di presentare il medesimo studio a una rivista diversa. La modificazione invece
porta a perder del tempo nel riformulare alcune situazioni dello studio e porta alla rinuncia da
parte del ricercatore.
L’accesso ai risultati è anche una condizione importante: un accesso facilitato alle riviste fa in
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modo che la comunità scientifica possa venire a conoscenza di un determinato studio.
L’accesso molte volte è reso difficile dall’alto costo delle riviste.
Un altro problema è l’utilizzo nella pratica clinica: uno degli obiettivi della ricerca è dato
dall’eseguire il risultato trovato per modificare le vecchie azioni. Aggiornarsi è importante in
quanto migliora la qualità dell’assistenza e della salute del pz in quanto le ricerche tendono a
diminuire i costi, aumentare il tempo infermieristico a disposizione evitando di svolgere azioni
inutili ed aumentare le qualità di cure e di salute del pz in quanto lo sottopongono a minori
rischi.
Gli studi vanno svolti su studi non troppi grossi: devono esserci pochi outcomes (risultati)
ma robusti.
I più famosi nursing sensitive outcomes su cui l’infermiere dovrebbe concentrarsi sono: UdP,
infezioni, rischio di cadute, controllo dei sintomi (nausea, vomito post operatorio, in un malato
oncologico ecc.), polmoniti nosocomiali, ecc.
Un risultato di ricerca ha stabilito che la rilevazione del dolore per gli anziani è opportuno
rilevarlo con una scala verticale e non orizzontale in quanto l’anziano sa orientarsi meglio.
Infine, ancora un altro elemento negativo delle linee guida, è che spesso non vengono tenute in
considerazione le multi morbilità, ma solo i casi singoli, rendendo così difficoltosa talvolta
l’applicazione pratica della norma.
È necessario porsi in un’ottica di miglioramento per il futuro, al fine di rendere le linee guida
meno discutibili e più applicabili al singolo caso. Queste direttrici sono:
2. Cercare di dar vita a studi e, quindi, a linee guida maggiormente comprensibili sia
dal paziente che dai clinici
5. Costruire relazioni forti tra clinici e pazienti, applicando questi princìpi anche a livello
di comunità
Utilità dell’EBN
L’evidence based nursing è una parte dell’infermieristica che può essere notevolmente utile
per migliorare l’assistenza sanitaria; tuttavia, è fondamentale che l’applicazione di queste
norme siano comprese nel loro perché e giudicate effettivamente valide al fine di migliorare la
professione.
In questo senso è necessario approcciarsi, a seconda del proprio livello di conoscenza e
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della propria capacità di comprendere se un articolo è valido o meno, ad un determinato tipo
di letteratura. In persone o clinici non esperti nell’ambito della ricerca e dell’utilizzo della
letteratura, la cosa migliore per aggiornare le proprie conoscenze è basarsi su studi secondari,
ossia studi che partono già da studi eseguiti e approvati. Oltre a questo è possibile utilizzare,
senza incorrere in fregature o in articoli che sembrano validi (ma che non lo sono), le linee
guida e le revisioni sistematiche.
Le linee guida
La letteratura secondaria
• si stima che ogni giorno , i professionisti della salute si ponga sino a 5 domande per
paziente, che interessano le aree di diagnosi, prognosi, trattamento e prevenzione.
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Nella quasi totlità dei casi, i professionisti affrontano questi dubbi informandosi presso
i propri colleghi (opinioni di esperti), che sulla base delle loro conoscenze e della loro
esperienza, forniscono una risposta.
In pochi casi , si cerca direttamente nei nostri libri o su documenti aziendali, su
internet , utilizzando spesso i motori di ricerca generalizzati come google. Solo una
piccolissima parte, cerca le risposte alle proprie domande su banche dati.
Perché?
• Vi sono percorsi di formazione che affrontano superficialmente i temi della ricerca
delle info.
• Non si conoscono le banche dati, dalla presenza fisica, e come navigarci
• Molte banche dati osno a pagamento
• Il 99% dei casi sono in inglese , non dimestichezza lingua
• Non avere tempo giornalmente , dovrebbero esserci dei momenti in ogni turno dedicati
a questo.
Le conseguenze?
-difformità della pratica
-erogazione di prestazioni non ottimali
-scarsa crescita professionale
-esposizione dei pazienti a rischi non necessari poiché non si fa ricerca bibliografica
• Determinazione di costi non giustificati.
EBP LIMITI
-esistenza di zone grigie
-necessità di aquisire nuove competenze
• Poco tempo a disposizione
• Difficoltà ad eccedere alle risorse documentali
• Poca familiarità con la statistica, l'informativa, l'epidemiologia e la lingua inglese
• Risultati della ricerca non possono essere immediatamente importati nella pratica.
Le caratteristiche dell'info biomedica
è in crescita esponenziale, circa 2000000 di articoli pubblicati ogni anno in oltre 20000
riviste. Sino a 400000 citazioni aggiunte annualmente nel MDELINE. Lo stesso
argomento può essere pubblicato in riviste differenti. Ma la maggior parte della ricerca
scientifica è di scarsa qualità .
Ci sono degli step nella pratica dell'EBP=
• Formulating question : convertire il bisogno di info in quesiti correttamente formulato
• Getting evidence : ricerche con la massima efficienza, le migliori evidenze disponibili
• Appraising evidence: valutare criticamente la ricerca
2 GETTING EVIDENCE
si fonda su un approfondita ricerca biblio allo scopo di individuare le migliori evidenze
disponibili per la risoluzione del problema / quesito di partenza. La ricerca biblio può essere
effettuata attraverso due strategie :
• SCANNING ( strategia proattiva) sprvegianza e consultazione periodica per monitorare
la letteratur biomed
• SEARCHING (strategia reattiva) ricerca attiva rispetto ad uno specifico quesito che
nasce dall'attività assisstenziale quotidiana
3 APPRAISING EVIDENCE
consiste nella valutazione critica degli articoli scientifici, prendendo in considerazione quattro
dimensioni:
-VALIDITA’ INTERNA : Ricerca metodologica seguito nella conduzione dello studio con
l'obiettivo di minimizzare i BIAS ( errori sistematici).
-RILEVANZA CLINICA: stima entità della precisione del beneficio ottenuto.
-VALIDITA’ ESTERNA : riproducibilità della ricerca ( ir risultati dello studio possono essere
confermati da altri studi)
-APPLICABILITA’ : grado con cui i risultati della ricercsa possono essere applicati al proprio
paziente