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27/02/2020

Dobbiamo definire epistologicamente la linguistica educativa, quindi se è una scienza o no. In caso
affermativo , vuol dire

Quando una prassi umana diventa una scienza? Quando ha un oggetto ben definito, quindi va ben
definito il suo oggetto, quindi questo oggetto va definito in rapporto alle altre scienza.

Negli anni 70 Slovsky usa per la prima volta l’etichetta di linguistica educativa ma passano 20 anni
quando la comunità scientifica la identifica come una nuova scienza del linguaggio.

De mauro si chiede se davvero la materia della linguistica educativa è stata affrontata solo negli
anni 70? Perché all’inizio del 900 nota che ci sono diversi momenti che spostano indietro la data di
nascita della linguistica educativa:

-L’URSS e quindi la necessità di alfabetizzare masse enormi non tutte con russo come L1;
occorreva fare un’opera di normalizzazione di tutte le varietà presenti sul territorio russo.

- a Siena con la prima guerra mondiale nascono

- USA e tutti gli alleati hanno come problema di insegnare le lingue su tematiche specifiche della
guerra, insegnare velocemente; ciò porta i linguisti teorici anche a livello applicativo a formulare i
primi metodi automatizzati; (da ch

Nel 900 già ci si è occupati di linguistica educativa; tra l’altro la linguistica educativa nasce in italia
e non negli USA. De Mauro fa un salto di 2500 anni e comincia a ripercorrere tutta la storia del
pensiero linguistico alla ricerca di momenti, personaggi che abbiano avuto un interesse sul campo
linguistico educativo; nota che c’è una rete fitta e che il processo è complesso, pluridirezionale
( esigenze che nascono dal basso o che dall’ alto vanno a guardare al contesto didattico educativo)
analizza la materia dello sviluppo delle idee linguistiche. Il primo linguista che mostra un interesse
verso la didattica della lingua è Panini il cui intento è quello di ricostruire l’antico indiano a partire
dalle regole soggiacenti al modello e dal modello dell’uso linguistico. Panini è sollecitato da
questioni religiose (lettura del testo sacro) e, da quel momento in poi, nascono tutta una serie di
riflessioni che ritroviamo ancora oggi: ma da cosa traggono fondamento le regole della
grammatica? La risposta che si dà è che sono Categorie universali, cioè categorie soggiacenti a ogni
lingua. Oggi si può giustificare questa affermazione dal punto di vista neurolinguistico, affermando
che ci sono certe cose genericamente determinate. E’ Chomsky e la grammatica generativista ad
affermare che ci sono tante lingue che si somigliano; poco dopo Chomsky nascerà la linguistica
comparativa. Il presupposto degli approcci grammaticali (cioè delle attività di descrizione della
grammatica della lingua) è un presupposto universalista per cui tutte le lingue possono essere scritte
attraverso una batteria simile di concetti , di nozioni. Questa batteria universalista facilita
l’insegnamento e l’apprendimento delle lingue. Ciò che notiamo è che, sostanzialmente, si afferma
un modello di insegnamento linguistico per cui la lingua viene descritta e poi viene fatta
un’esercitazione sulla stessa: per esempio lo studio del greco prevede l’alfabeto come punto di
partenza, poi lo studio delle regole e le esercitazioni. Questo metodo ha attraversato i secoli ed è
stato a lungo tempo considerato come moderno. Nel 1600 in Francia c’è una congiunzione astrale
che mette insieme filosofi e grammatici: per esempio Cartesio riflette su cosa sia la conoscenza, il
pensiero, su come sia possibile conoscere, dandosi una spiegazione razionalista. Questo approccio è
alla base della ripresa che i grammatici della scuola di Port-Royal fanno a proposito della riflessione
aristotelica: è bastato perfezionarlo per applicarlo. Viene innanzitutto perfezionata la batteria
concettuale aristotelica di descrizione delle lingue; poi, vengono costruiti sulla stessa batteria
concettuale, dei manuali di lingua straniera (non soltanto grammatiche descrittive astrattema
grammatiche per apprendere e insegnare le lingue di cultura).

“Si inaugura così il richiamo all’ellissi…” (dispensa)

A questo punto tutti vogliono usare delle categorie universali per e razionali utili a descrivere le
lingue ma De mauro sostiene l’idea che tutte le lingue funzionino secondo regole razionali e
scientificamente provabili non funziona sempre.

Perché De Mauro mette in gioco filosoficamente l’analisi razionale, la logica e l’arte del pensiero?
L’assunzione dei concetti aristotelici è il riferimento ad un quadro di questioni che hanno mosso le
scelte aristoteliche: per Aristotele la questione era se il linguaggio ci aiuta a conoscere e non “come
descrivo il greco”. Nel 600 la ripresa delle categorie aristoteliche per la descrizione grammaticale
da parte della scuola di Port-Royal fa il paio con il riferimento al fatto che la lingua è uno
strumento del pensiero. Il pensiero logico, scientifico, razionale si conforma secondo strutture
linguistiche parlare bene significa pensare bene, pensare bene significa pensare logicamente,
dunque bisogna parlare logicamente, quindi io che insegno la lingua devo insegnarla secondo
categorie logiche. Dunque non è soltanto un’attenzione alla batteria concettuale aristotelica ma la
ripresa del rapporto tra lingua e pensiero.

Nei titoli “nouvelle methode pour apprendre…” erano titoli accattivanti: la valenza era doppia, cioè
quella di convincere a comprare i propri libri e poi che le loro categorie d’analisi erano universali.

Un quadro complesso che genera una descrizione grammaticale pura, una strumentalizzazione
applicativa e un contesto scolastico e anche religioso. Il problema resta sempre quello di rapportarsi
alla sacralità del testo, ciò che davvero la divinità intendeva che non era un semplice gioco di
eleganza traduttiva ma un mettere le categorie razionali al servizio del testo autentico= ciò che la
divinità voleva effettivamente dire, ma è una nozione che nel 900 assumerà una nuova eccezione.

L’esigenza di un nuovo rapporto con il testo sacro nasce con la riforma protesta che diceva di avere
un rapporto diretto con il testo non mediato dalla dimensione ecclesiastica. Il fedele deve saper
leggere il latino nella sua lingua1 per entrare in contatto con il testo sacro, quindi la bibbia va
tradotta in tutte le lingue 1; in tal senso aumentare i livelli di competenza linguistica del popolo
diventa una necessità. La scolarità di base diventa scolarità obbligatoria. Bisogna scolarizzare la
popolazione anche per imparare a stare insieme all’interno di una comunità religiosa. Per
alfabetizzare come per l’Urss ho bisogno di uno standard linguistico, quindi non traduco solo la
bibbia ma fisso uno standard grafico, grammaticale, che diventa il modello che mi fa da guida. Nel
momento in cui sai che la lingua è tradotta in una lingua che ti è vicina, tu la usi. Quindi la spinta
politico- linguistica della riforma protestante inventa un più ampio schema di comportamento
linguistico andando ad impattare sull’oralità, che è luogo della incertezza, della continua violazione
della norma e viene quindi sostenuto da un punto di riferimento. A questo punto De mauro si chiede
perché i più grandi linguisti siano tedeschi: c’è una base storica. La storia religiosa, sociale, politica
e linguistica ha spinto ad una costante analisi della lingua orientata verso l’alfabetizzazione e
l’aumento delle competenze linguistiche.
Gli esempi di figure tedesche citate da De Mauro non sono linguisti, ma docenti, quindi attenti alla
dimensione didattica delle lingue.

Meiner il fondamento di un buon insegnamento descrittivo è una struttura di frase che sia la
norma (es. il predicato)

De Mauro ci dice in sostanza che i tedeschi nati nel clima della riforma protestante, e quindi
successori della riforma si dedicano alla storia delle lingue, alla descrizione delle lingue e
all’insegnamento delle lingue.

Adelung si inventa un giornale per bambini alla fine del ‘700.

Ad un certo punto de mauro introduce un’apertura verso altre parti del mondo ma anche un altro
problema: Lo studio delle lingue nazionali non è legato solo a questioni religiose o filosofiche ma
anche a questioni politiche. Verso l’800 in Giappone gli studi nazionali alimentano una certa idea di
nazionalismo; in Europa negli stessi anni con il romanticismo si fa quasi la stessa cosa nella misura
in cui si crea un’idea di nazione che mette insieme stato, popolo, lingua. Il suo popolo esiste se ha
una lingua propria.

La nazione: qualcosa di oppositivo= noi siamo x perché non siamo Y, ci distinguiamo da y. Il


concetto di altro inteso non come soggetto con cui interagisco ma come straniero. L’altro quindi
come estraneo dunque la nazione chiude la propria identità che diventa qualcosa di chiuso
rispetto a quella altrui.

Un fatto interessante della scuola russa è che la prima grammatica della lingua russa è stata scrittada
un tedesco, cosa che sembra entrare in conflitto col concetto di identità chiusa. Ma avere un
insegnante madrelingua di l2 può fornire una visione più chiara della L1?

L’idea di nazione

L’idea di nazione alimentava una storia, era vista un passo avanti rispetto al concetto di impero; per
avere un’ idea di nazione bisognava avere una propria lingua, per avere una lingua propria
bisognava spingere in avanti gli studi descrittivi della stessa. E’ quindi la nazione a spingere alla
descrizione di una lingua.

Nel 1791-1881 in Bulgaria nascono le prime scuole secolari dove vengono introdotte le prime
tavole per l’insegnamento per cui c’è una cooperazione tra allievi alla pari e non più il singolo
allievo che comunica le sue competenze linguistiche al docente.

Dal Giappone alla Russia, dalla Bulgaria a Malta abbiamo un momento in cui si afferma il concetto
di popolo-nazione e una spinta a mettere la lingua al centro come legante di questo nesso. Bisogna
descrivere una lingua e insegnarla( componente applicativa derivata dagli studi).

Viene citato il primo lavoro di scolarizzazione dell’ebraico (fine 700): è un esempio importante
perché consiste nella fondazione di una nuova lingua. In Grecia abbiamo dei casi in cui esiste una
varietà linguistica, ma è una lingua passata. L’uso dei parlanti che si riconoscono in quel gruppo è
alto, allora nasce l’esigenza di ricostruire una lingua che dal passato diventi ufficiale, demotiki o
“lingua del popolo” (è il caso dell’ebraico moderno). E’ una dialettica tra tradizione e esigenza di
far vivere la lingua come collante di una nazione.
Ascoli si accorge che in Svizzera il tedesco diverso che viene parlato debba essere usato come base
per la conquista di una competenza linguistica in tedesco standard. Prende il processo di nascita del
greco comune come modello. De Mauro si sposta poi su un piano politico: partendo dalla
dimensione nazionalistica della lingua (1 popolo=1 nazione=1 lingua), vuole giungere alla tematica
del rapporto tra monolinguismo e plurilinguismo

Ci dice che nella Grecia esistevano almeno due lingue: alta e bassa. Come farle convivere? C’è
qualcuno che su presupposti politico-filosofici si propone di sostituire una lingua con un’altra e ci
riesce.. ma la vita delle lingue è una continua differenziazione da fasce d’età a fasce d’età, da
gruppo sociale a gruppo sociale. Allora la questione del plurilinguismo attraversa qualsiasi
operazione, ognuna delle quali è di grande rilevanza.

Norvegia, Pag. 10: Gli Eschimesi avevano una propria lingua e avevano bisogno di una
standardizzazione della lingua per non farla perdere. Come scegliere i testi dai quali estrarre le
regole della lingua? Bergsland lo vuole capire sul campo, cercando di capire i loro usi e costumi
(sociolinguistica). Egli non aveva testi scritti di riferimento ma li andava a cercare sul campo,
andava in mezzo alla gente e facendo anche parlare i locutori. Estrae quindi le regole dall’uso
effettivo della vita pratica, le quali diventano poi grammatiche scritte per insegnare tali lingue.
Fissandola in una grammatica scritta, possono insegnare tale lingua e mantenerla stabile

Da Panini ai primi del 900 sono tutti i pionieri perché tutto ciò che fanno, lo fanno sotto la spinta di
interessi educativi.

2. LINGUISTI AL SERVIZIO DELL’EDUCAZIONE (secondo gruppo dopo gli Archegeti)

Non più pionieri ma continuano la loro opera. Qui De mauro ricorda Bloomfield padre del
comportamentismo: aveva elaborato un modello che permetteva di descrivere una lingua a partire
da dati empirici, la lingua dell’effettivo uso. Le grammatiche contrastive non partono dall’idea che
le lingue abbiano strutture soggiacenti identiche, ma che ognuna abbia la sua. La grammatica
contrastiva accomuna le lingue per mettere in evidenza le differenze, conseguenze sull’apprendente:
avrà più difficoltà sui punti di contrasto. Humboldt dice che le lingue sono prospettive di visione del
mondo, ogni lingua crea il mondo secondo le sue strutture.

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