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1. Definizione di linguaggio. Rappresentazione della realtà attraverso segni.

I linguaggi sono i mezzi attraverso i quali vengono soddisfatte le esigenze comunicative;


sono, in altre parole, sistemi di segni mediante i quali si comunica. Ciò significa che tali segni
acquistano senso logico solo se organizzati e collegati tra loro da regole precise, da una serie
di rapporti per cui ogni segno è definito dai collegamenti con gli altri segni. I linguaggi si
distinguono in linguaggio non verbale e linguaggio verbale, a seconda che i segni di cui
sono composti siano o no parole.

Il linguaggio può essere definito in vari modi secondo la linguistica contemporanea. È una
facoltà umana, una funzione neurofisiologica e una capacità psicologica (psicolinguistica del
linguaggio). È una facoltà semiotica1 condizionata dalle caratteristiche biologiche del
soggetto e dall’adattazione al canale di trasmissione.

È inoltre un prodotto culturale prettamente umano (linguistica strutturale). Linguaggio è


pure qualsiasi sistema semiotico (gestuale, cinetico) che sia utilizzato per rappresentare la
realtà e che funzioni come strumento di comunicazione. Il linguaggio mimico e gestuale
dipende dalla comunità culturale dove si sviluppa, è un’espressione non naturale né
spontanea, ma convenzionale come quello verbale.

Il linguaggio è uno strumento di rappresentazione simbolica della realtà, utilizzato


prevalentemente a fini conoscitivi e comunicativi. Rappresenta la capacità di associare suoni
e significati attraverso regole grammaticali. Dalla prima definizione si deduce che il
linguaggio possiede una triplice funzione: conoscitiva, in quanto permette di acquisire una
serie di conoscenze sulla realtà senza che ve ne sia esperienza diretta, simbolica, dal
momento che si basa sulla capacità di usare simboli e comunicativa, poiché permette la
comunicazione tra persone.

Alcuni sistemi semiotici sono connessi al linguaggio verbale (gestualità, mimica), mentre
altri sono indipendenti, come il linguaggio dei segnali stradali…Altri linguaggi, come quello
dei sordomuti, rappresenta una transcodificazione del linguaggio verbale.

Linguaggio umano: manifestazione de la capacità comunicativa e segnica dell’uomo, che si


materializza nel linguaggio verbale e non. Il linguaggio del vestire, delle arti…

1 Semiotica: scienza generale dei segni, della loro produzione, trasmissione e interpretazione, o dei modi in cui
si comunica e si significa qualcosa, o si produce un oggetto comunque simbolico. Segno come binomio di
significante e significato (identificato con il concetto o con l’oggetto denotato).
dimensioni non verbali, le cui definizioni sono state fornite da Balboni nel volume “Le sfide
di Babele” (2012, pagg. 129-130): cinesica, ovvero la “capacità di comprendere e utilizzare
gesti, le espressioni del viso, i movimenti del corpo”; - prossemica, cioè la “competenza
relativa alla vicinanza e al contatto con l’interlocutore”; - oggettuale, la capacità “che
rimanda all’uso di oggetti come strumenti per comunicare uno status sociale; - vestemica,
che rappresenta la “capacità di padroneggiare il sistema della moda”

Non si deve confondere il linguaggio verbale, definito come sistema organizzato di parole,
con la lingua, che è il prodotto di un determinato gruppo etnico o sociale di persone in una
precisa situazione storico-ambientale La lingua è il più complesso sistema di segni (le parole)
– organizzato tramite una rete di relazioni e di combinazioni – per mezzo del quale gli
appartenenti ad una collettività comunicano tra loro.

2. LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE

L’approccio comunicativo nell’insegnamento delle lingue ha le sue basi nella pragmatica. Il


linguaggio è considerato innanzitutto interazione e azione, per cui il linguaggio diventa una
forma di attività.

LA COMUNICAZIONE E I SUOI CODICI

La parola comunicazione deriva dal latino communico («mettere in comune, condividire») e


da communicatio («partecipazione, scambio»). Quando si comunica, infatti, si mettono in
comune messaggi e informazioni con altre persone. La comunicazione non è solo
trasmissione di informazioni/significati ma condivisione ed interazione. È una necessità
umana, è azione e processo e parte da una intenzione espressa dall’ emittente. In qualsiasi
situazione ci troviamo i nostri comportamenti esprimono sempre qualche cosa,
indipendentemente dalla nostra volontà. La comunicazione umana si esprime attraverso segni
linguistici ed extralinguistici.

1. LO SCHEMA DELLA COMUNICAZIONE E I SUOI INTERPRETI Roman Jakobson


(1896–1982), linguista statunitense di origine russa, ha descritto il processo comunicativo
indicandone sei elementi essenziali, ricorrenti in qualsiasi forma di comunicazione: mittente
(o emittente), destinatario (o ricevente), messaggio, referente o contesto, canale e codice.

EMITTENTE è colui che dà origine all’atto comunicativo, cioè trasmette il messaggio con
una intenzione esplicita o implicita.
DESTINATARIO è colui al quale l’atto comunicativo è destinato, cioè riceve il messaggio

MESSAGGIO è l’insieme di informazioni inviate dall’emittente al destinatario. Può avere


varie forme (visuale, acustica, scritta ecc.) Trasmette un maggiore o minor grado
d’informazione, insieme ad altri aspetti sociali ed espressivi.

CODICE è l’insieme di segni (e le regole per combinarli insieme) usati per comunicare, il
linguaggio. Perché il messaggio possa venire compreso deve venire formulato mediante un
codice (verbale o non verbale che sia) conosciuto sia dall’emittente sia dal destinatario.
Formulare un messaggio in un codice è una operazione di CODIFICAZIONE; comprenderlo,
ossia interpretarlo, è una operazione di DECODIFICAZIONE. Trasportare un messaggio da
un codice all’altro è una operazione di TRANSCODIFICAZIONE. Il linguaggio gestuale, le
varianti dialettali sono altri codici fondamentali che devono essere condivisi dall’emittente ed
il destinatario per assicurare la comunicazione.

CANALE (CONTATTO) è il mezzo fisico usato per la trasmissione del segno dall’emittente
al destinatario Il messaggio codificato dall’emittente deve poter arrivare al destinatario.

CONTESTO è il quadro d’insieme delle informazioni e conoscenze (linguistiche, storiche,


culturali e situazionali) che, essendo comuni sia al mittente sia al destinatario, consentono
l’esatta comprensione del messaggio.

La conoscenza del codice non garantisce la comprensione del messaggio e quindi il


realizzarsi della situazione comunicativa. Il messaggio decodificato viene rapportato ad un
insieme di informazioni possedute dal destinatario (comuni all’emittente) e solo allora è
possibile la comprensione. Questo insieme di informazioni viene definito CONTESTO.

Più in generale la comprensione dei messaggi rinvia a tre diverse tipologie di contesti:

– CONTESTO SITUAZIONALE = ambiente fisico, insieme di condizioni in cui avviene la


comunicazione: la frase “Occorre un buon taglio” significa cose diverse se espressa dal
barbiere, dal sarto, o trovandosi in una situazione difficile. “È rosso” (al semaforo)

– CONTESTO LINGUISTICO = insieme di informazioni forniteci dagli altri elementi


linguistici: la frase “50.000 giovani impazziti.” induce ad un senso di smarrimento se non
fosse chiarito il senso con il successivo “Ieri sera a Milano il concerto di Vasco Rossi”).
“Fermati! È rosso!”
– CONTESTO CULTURALE = come conoscenze di fatti, persone, idee, oggetti cui si
riferisce la frase “La Caritas accusa il Governo: sugli immigrati ha fallito” per essere
pienamente compresa presuppone delle conoscenze relative al che cos’è la Caritas, di quale
Governo si sta parlando, quali norme sono state emanate dal governo con riferimento agli
immigrati. Questa città ha poca “movida”.

Oltre a quelli visti vi sono altri due/tre elementi (non definiti da Jakobson) che sono in
qualche modo collegati alle situazioni comunicative:

RUMORE = tutto ciò che disturba la comunicazione. Qualsiasi sia la natura del disturbo: •
legato all’emittente (per esempio, disturbi di pronuncia ad esempio) • legato al canale
(segnale telefonico disturbato) • legato al contesto (mancanza delle informazioni necessarie).

RIDONDANZA = ripetizione della stessa informazione, magari usando codici diversi. Se


per chiamare una persona oltre al messaggio linguistico “vieni!” uso, contemporaneamente
anche altri tipi di codice, ad esempio un cenno della mano e un sorriso, io moltiplico la stessa
informazione e quindi si può parlare di ridondanza. La ridondanza, nelle intenzioni, si attua
per facilitare la comunicazione.

La comunicazione nella nostra società non si limita alle relazioni tra emittente e recettore.
Mass media: dalla mera comunicazione interpersonale alla comunicazione sociale.

La pragmatica considera l’atto comunicativo dentro una situazione comunicativa determinata,


includendo gli aspetti linguistici ed extralinguistici.

Retroazione o feedback. Informazione di ritorno che comunica l'effetto sortito e rappresenta


una risposta/reazione.

Nella società odierna la comunicazione non si limita all’interazione tra emittente e ricettore,
basti pensare alle reti sociali, dove la componente sociale svolge un ruolo fondamentale nella
cultura collettiva.

Secondo l’approccio pragmatico, l’atto comunicativo espresso in situazioni comunicative


concrete è al centro del processo di analisi del parlato, in quanto la pragmatica si interessa
tanto degli aspetti linguistici come degli elementi extralinguistici.

LE FUNZIONI DEL LINGUAGGIO secondo il modello di JAKOBSON

Negli anni sessanta Roman JAKOBSON elaborò un modello nel quale individuava sei
principali funzioni nella comunicazione verbale, che denominò rispettivamente referenziale,
emotiva, conativa, fatica, metalinguistica e poetica. Negli anni trenta il filosofo viennese
Karl Bühler aveva proposto un modello ternario, che includeva le prime tre funzioni esposte
in seguito da Jakobson, pur utilizzando una terminologia diversa. Jakobson ampliò questo
quadro teorico aggiungendo altre tre funzioni. Occorre premettere, con Jakobson, che
è difficile produrre atti linguistici che corrispondano a una sola delle funzioni del linguaggio:
la specificità di un dato enunciato non risiede tanto nel
monopolio dell'una o dell'altra funzione, ma nella preminenza esercitata dalla funzione in
esso saliente.

La funzione r e f e r e n z i a l e, definita anche denotativa o cognitiva/informativa,
è orientata verso il r e f e r e n t e (o contesto), ossia verso la realtà extralinguistica;  i
messaggi prodotti in conformità a questa funzione tendono a trasmetterci una informazione,
una asserzione su un contenuto dell'esperienza, sia concreta (ad es. "oggi piove")
sia mentale (come quando si dice "la felicità non esiste") sia persino immaginaria ("i marziani
sono verdi"). La funzione referenziale trova espressione tipica nella terza persona verbale.

La funzione e m o t i v a (o espressiva) è invece indirizzata verso l’e m i t t e n t e, del quale


proietta in primo piano una determinata emozione ovvero l’atteggiamento rispetto a ciò di cui
si parla ("Sono stanco. Non ce faccio più!";  "Come sei elegante!";  "Che angoscia!"). Gli
enunciati in cui prevale la funzione emotiva si caratterizzano per la frequenza di frasi
esclamative, interiezioni ecc.

La funzione c o n a t i v a (o persuasiva) è orientata verso il d e s t i n a t a r i o. Sono


messaggi essenzialmente conativi quelli che trovano espressione grammaticale in frasi
imperative ("Fai presto!"; "Alzati!"), esortative ("Su, usciamo!") o nel vocativo ("Ma ti prego,
cara, accetta questo regalo!"). La persona verbale tipica di tale funzione è la seconda; ma
possono aversi anche tecniche comunicative indirette che comportano altre strategie ("non
sarebbe male se chiudessimo il finestrino").

La funzione f a t i c a o di contatto, si esplica in messaggi, privi di autentica carica


informativa e referenziale, che servono essenzialmente per stabilire, prolungare e mantenere
o anche riattivare la comunicazione. Sono da considerare essenzialmente fatici i convenevoli
e gli enunciati di cortesia che si producono nelle comuni interazioni verbali (ad es. "ciao,
come va?";, gli attacchi di conversazione, in particolare quelli con cui si dà inizio ad una
telefonata ("Pronto), le formule rituali e vuote di significato come ho capito,
da intendere alla stregua di un segnale che significa "ti sento, continua pure”.
La funzione fatica è dunque orientata sul c a n a l e, quasi a verificare che il circuito
comunicativo sia sempre operante e a prevenire una situazione di silenzio, che il
parlante avvertirebbe come inusuale e anomala.

La funzione m e t a l i n g u i s t i c a si ha ogni qual volta il discorso è focalizzato sul c o d i


c e ; il messaggio convoglia informazioni sulle strutture linguistiche, fa del codice
stesso l'oggetto della comunicazione. È stata la logica moderna che ha introdotto la
distinzione tra due livelli di linguaggio, il ‘linguaggio oggetto', che parla di entità estranee al
linguaggio come tale e appunto il metalinguaggio (termine proposto da Alfred Tarski nel
1930) che parla del linguaggio stesso. Sono innanzitutto tipicamente metalinguistici, ad
esempio, i contenuti di una lezione di linguistica, le prescrizioni di una grammatica ovvero le
definizioni dei vocabolari; ma, "lungi dall'essere limitate alla sfera della scienza,
le operazioni metalinguistiche si dimostrano parte integrante delle nostre attività linguistiche
quotidiane": è ad esempio metalinguistico l'enunciato di un parlante che precisi "Capisci
quello che voglio dire?";  ed ancora fanno sistematico ricorso al
metalinguaggio e a interpretazioni metalinguistiche i bambini nella fase
dell’apprendimento del linguaggio.

La funzione p o e t i c a (o estetica) si individua in quelle produzioni verbali nelle quali


l'accento sia posto sul m e s s a g g i o per se stesso. È da far rilevare, in linea con
le concezioni di Jakobson, che la funzione poetica si ritrova non solo in poesia,
dove certo tale funzione predomina, ma anche all'infuori della poesia, ogni qual volta cioè si
desideri produrre un enunciato stilisticamente ricercato ed esteticamente efficace.
Rientrano dunque a pieno titolo in tale funzione i moderni spot pubblicitari e  in generale 
promozionali, i quali si servono  dei dispositivi formali tipici del  linguaggio  poetico  pur
senza assegnare  loro  il ruolo  determinante, che  essi  svolgono  in poesia: ed  ecco  allora 
filastrocche, formazioni rimate e  vari  procedimenti ritmici, nonché  l'uso  di alcune  figure 
foniche: lo stesso Jakobson  richiamava in particolare l'attenzione sullo slogan politico I
like Ike, usato negli  anni Cinquanta  a  supporto  del candidato  Eisenhower durante  una 
campagna  elettorale per le presidenziali americane ed il cui successo si doveva alla struttura 
fonica, basata sull'allitterazione (si succedono tre dittonghi /aI/, ognuno dei quali 
è seguito da un suono consonantico).

COMPETENZA LINGUISTICA VS. COMPETENZA COMUNICATIVA


(file: 1.3competenza_comunicativa)

Quello di competenza linguistica è un concetto che si fa strada negli anni Sessanta del XX
secolo, con Noam Chomsky, il quale mette in contrapposizione il costrutto di competenza
con quello di esecuzione (ingl. competence vs performance). La competenza, secondo
Chomsky, è la conoscenza intuitiva che la persona nativa possiede fin dalla nascita, una
capacità innata dell’essere umano. Chomsky definisce questa capacità attraverso la sigla
LAD Language Acquisition Device. L’uomo possiede una capacità innata di analizzare la
lingua, trarre ipotesi sulle regole di funzionamento e verificarne tale funzionamento,
applicando le regole in maniera creativa. A prima vista il binomio chomskiano sembrerebbe
richiamare l’antinomia saussuriana di langue e parole, ma in realtà, se la performance
corrisponde per certi versi alla nozione di parole (riflette “the actual use of language in
concrete situations”), la competence di Chomsky è molto diversa dalla langue di Saussure: la
prima, infatti, in quanto ha sede nella mente del singolo parlante ed evoca “the speaker’s
knowledge of his language”, è individuale, mentre la seconda, nella misura in cui è sociale,
trascende l’individuo.

Lo svizzero Ferdinand de Saussurre, Corso di linguistica generale, 1916. Testo


fondazionale della linguistica applicata. Lingua come sistema di segni, utilizzazione di un
metodo uguale alle scienze esatte. Ad avviso di Saussure, la lingua è un sistema di segni che
esprimono idee. Saussure distingue nettamente tra “lingua” e “parola”: la prima rappresenta
il momento sociale del linguaggio ed è costituita dal codice di strutture e regole che ciascun
individuo assimila dalla comunità di cui fa parte, senza poterle inventare o modificare. La
parola è invece il momento individuale, cangiante e creativo del linguaggio, ossia la maniera
in cui il soggetto che parla “utilizza il codice della lingua in vista dell’espressione del proprio
pensiero personale”. Saussure distingue tra “significato” e “significante”: il significato è ciò
che il segno esprime; il significante è il mezzo utilizzato per esprimere il significato
(l’immagine acustica). L’inaggirabile limite che Saussure ravvisa nella linguistica a lui
precedente (e in particolare nella scuola “storico-comparativa”) sta nell’aver indebitamente
privilegiato la sfera evolutiva della lingua, a svantaggio di quella sistematica: in termini
strettamente saussuriani, è stata privilegiata la sfera “diacronica” della lingua rispetto a
quella “sincronica” (anche detta “statica”). La linguistica sincronica studia la lingua nella
sua simultaneità, cioè come essa si presenta in un certo momento; la linguistica diacronica
(anche detta “dinamico-evolutiva”) studia invece la lingua nella sua successione, cogliendone
cioè lo sviluppo temporale.
Per verificare la correttezza degli enunciati prodotti dal parlante, Chomsky adotta due
parametri: grammaticalità (ingl. grammaticalness) e accettabilità (accettability) precisando
che la prima “belongs to the study of competence” mentre la seconda “is a concept that
belongs to the study of performance”. Prendendo allora come riferimento la celebre frase
‘Idee verdi incolori dormono furiosamente’, essa non viola nessuna regola grammaticale ma
fallisce dal punto di vista dell’accettabilità.

Per superare non solo il concetto saussuriano di langue ma anche l’astratta nozione
chomskiana di ‘competenza linguistica’ sono state avanzate proposte più articolate. Un primo
apporto critico si deve a Eugenio Coseriu, che ha rimodulato il costrutto prevedendo tre
gradi della competenza o ‘saperi linguistici’, tra loro strettamente interconnessi: una
competenza linguistica universale o sapere locutivo che indica il saper parlare in generale,
il “saper verbalizzare, dare forma linguistica comunicativa ai propri pensieri,
indipendentemente dalla lingua adoperata”; una competenza linguistica realizzata in una
lingua storica particolare o sapere idiomatico e una competenza linguistica testuale o sapere
espressivo che “concerne il parlare in una determinata situazione” (la citazione è tratta da
Coseriu 1997, p. 198) ed evoca la prerogativa dell’individuo di “saber confeccionar textos
adecuados a situaciones, temas o interlocutores”.

Una seconda rilevante innovazione è stata introdotta nel dibattito scientifico nel corso degli
anni Settanta con la categoria della c o m p e t e n z a c o m u n i c a t i v a (l’espressione
rende l’ingl. communicative competence). Il costrutto, per la cui origine si rinvia
comunemente all’estatunitense Dell Hymes (1971), implica che le abilità espressive del
parlante, accanto al rispetto delle regolarità formali di una lingua e al saper costruire frasi ben
formate da un punto di vista strettamente grammaticale, comprendano anche la capacità di
produrre enunciati adeguati alla specifica situazione comunicativa, In definitiva la
competenza comunicativa rimanda alla prerogativa “di usare efficacemente ed
appropriatamente le produzioni linguistiche all'interno di precisi contesti sociali”.

Disporre di una adeguata competenza comunicativa significa dunque che, per produrre
enunciati accettabili, al locutore non basta l’osservanza di un sistema di regole strettamente
linguistiche (grafiche, fonologiche, morfosintattiche, lessicali); egli deve anche sapersi
avvalere di tutta una gamma di conoscenze e abilità relative da una parte alla dimensione
non verbale del linguaggio (gestualità, prossemica ecc.) e dall'altra agli aspetti extralinguistici
(di ordine culturale, sociale, pragmatico) in maniera tale da selezionare il comportamento
comunicativo che nel suo insieme risulti coerente con il contesto, sia linguistico che
situazionale.

http://www.edurete.org/pd/sele_art.asp?ida=3729

Il concetto di competenza comunicativa fu sviluppato dall’antropologo e linguista Dell


Hymes nel 1966 (cfr. con la competenza in termini chomskyani cioè la capacità del parlante
di produrre e comprendere infiniti enunciati linguistici a partire da un numero finito di
regole). Questo studioso riteneva che il parlante di una lingua dovesse essere in grado non
solo di applicare in modo corretto le regole grammaticali per produrre enunciati linguistici
validi (competenza grammaticale), ma anche di usare tali enunciati in modo appropriato in
rapporto al contesto comunicativo. Hymes dunque affermava che una persona era dotata di
competenza comunicativa quando era capace di scegliere “quando parlare, quando tacere, e
riguardo a che cosa parlare, a chi, quando, dove, in che modo” (Hymes 1979)2.

All’interno del concetto di competenza comunicativa si possono riconoscere diversi aspetti:

-sapere la lingua (conoscere fonologia, lessico, morfosintassi, sapere le regole di costruzione


di frasi e testi);

-saper fare lingua (saper parlare, leggere, scrivere, dialogare, tradurre);

-saper fare con la lingua (saper usare la lingua come strumento di azione in differenti
contesti).

Il concetto proposto da Hymes può dunque essere interpretato come l’integrazione di diverse
competenze:

-Linguistica: (abilità riguardanti la fonologia, il lessico, la sintassi…)

2 Le variabili socio-situazionali individuate da Hymes e che determinano l‟espressione linguistica sono


riassunte nell‟acronimo SPEAKING:
S (situation [situazione]
P (participants) [partecipanti]
E (ends) [fini o scopi]
A (act sequences) [sequenze di atti]
K (key) [chiave]
I (instrumentalities) [mezzi o strumenti]
N (norms) [norme di interazione
-Paralinguistica: (velocità di elocuzione, esitazioni, pause di silenzio, inflessione della voce,
differente andamento intonativo di un enunciato-PROSODIA);

-Cinesica: (gesti e mimica);

-Prossemica: (uso dello spazio e delle distanze spaziali in relazione allo scambio
comunicativo).

-Pragmatica: (uso dell’atto linguistico all’interno di una determinata situazione


comunicativa, capacità di usare in modo appropriato enunciati linguistici che “non descrivono
né constatano alcunché […] ma la cui emissione comporta o si identifica con il compimento
di un’ azione”

-Socio - culturale: (essere in grado di valutare se e in quale misura un determinato enunciato


linguistico è appropriato in rapporto al contesto socio – culturale in cui si vuole utilizzare)

 Il concetto di competenza comunicativa ha introdotto, in ambito didattico,


un approccio all’educazione linguistica di tipo comunicativo nel quale i diversi aspetti della
lingua oggetto di studio vengono affrontanti con l’intento di portare l’apprendente ad
affrontare molteplici contesti di scambio comunicativo. Quest’approccio all’insegnamento
linguistico, considerando la lingua come strumento per soddisfare bisogni comunicativi
concreti, ritiene importante che l’insegnante prepari le sue lezioni basandosi il più possibile
su situazioni autentiche, cioè vicine alla realtà quotidiana. Caratteristica di questo tipo di
didattica è l’attenzione centrata sul soggetto che apprende.

1.3 competenza comunicativa hymes.pdf 3

Il problema del nesso lingua-cultura viene riproposto con l’avvento degli approcci
comunicativi basati, come noto, sulla nozione di competenza comunicativa (o
sociolinguistica): una nozione di matrice sociologica ed antropologica introdotta, negli anni
70 del secolo scorso, dal sociologo Dell Hymes (1972). La competenza comunicativa, che
costituisce innanzitutto una critica alla nozione chomskiana di „competenza linguistica‟
adottata per definire la capacità linguistica umana, è intesa da Hymes come la capacità del
parlante di usare una lingua nel modo ritenuto più appropriato all’evento comunicativo in
atto. La competenza linguistica non costituisce per Hymes che una componente della
competenza socio-linguistica in quanto la scelta di come realizzare verbalmente quanto si
intende dire discende direttamente dagli aspetti socio-situazionali del contesto in cui la
3 Italiano LinguaDue, n. 2. 2012. A. Ciliberti, La nozione di ‘competenza’ nella pedagogia linguistica: dalla
‘competenza linguistica’ alla ‘competenza comunicativa interculturale’.
comunicazione ha luogo. Mentre alla nozione di „competenza linguistica‟ sottostà una
visione di lingua in quanto codice organizzato in un sistema di regole fisse ed immutabili, il
cui rispetto rende conto della correttezza formale dell’uso linguistico, con competenza
comunicativa si intende piuttosto: la capacità di usare un repertorio di atti linguistici,
prendere parte ad eventi linguistici, comprendere come gli altri li valutano. La riflessione di
Hymes fu fondamentale per lo sviluppo del cosiddetto „insegnamento comunicativo‟ di
lingue2, che, nella sua forma basilare, prevede la sostituzione degli approcci grammaticali
adottati fino ad allora con approcci di stampo funzionalista. La teoria linguistica che doveva
fornire l’apparato teorico per lo sviluppo della competenza comunicativa in L2 non fu però
quella di Hymes bensì la teoria degli atti linguistici elaborata dal filosofo del linguaggio
John Austin (1962) e sviluppata poi da John Searle (1969). La componente culturale
dell’insegnamento linguistico viene ad essere costituita dalle (micro) funzioni ‒ gli atti
linguistici ‒ espressi nella comunicazione in L2. A tale teoria si rifanno le specificazioni dei
sillabi cosiddetti nozionali-funzionali proposti dal Consiglio d’Europa nel Quadro Comune
Europeo di riferimento per le lingue, che sostituiscono, o integrano, i sillabi grammaticali e
che, a tutt’oggi, predominano nel panorama dei materiali didattici più in uso.

Negli ultimi anni si sono però intensificate le critiche agli approcci comunicativi in quanto
essi si occupano esclusivamente, o principalmente, degli usi funzionali del linguaggio e di
unità minime della comunicazione ‒ gli atti linguistici, appunto, ‒ e in quanto focalizzano
l’attenzione sui comportamenti linguistici trascurando ciò che fornisce significato ai
comportamenti stessi. Secondo i critici degli approcci comunicativi e dei materiali didattici
ad essi ispirati, il legame con la sfera culturale intesa in un senso ampio sarebbe andato perso
nell’insegnamento linguistico proprio a causa dell’influenza pervasiva e unilaterale della
teoria degli atti linguistici, in cui predominano aspetti di ordine micro linguistico e che non
contemplano anche una accezione ampia di „cultura‟. Inoltre, essi non propongono agli
apprendenti una riflessione esplicita, riflessiva e consapevole sulla diversità culturale: il che
si ritiene oggi indispensabile. …da p.3,4,5 concetti di cultura…

4.1. Le dimensioni ‘socio-linguistica’ e la dimensione ‘culturale’ della lingua. La


riflessione sulla diversità culturale parte dall’osservazione che, oltre alla competenza „socio-
linguistica‟, sottolineata dagli approcci comunicativi, esiste un altro tipo di competenza: la
„competenza culturale tout court’. Quest’ultima si esplica in un più ampio e sfumato tipo di
contesto, un contesto di natura sfuggente in cui non è possibile rapportare in modo diretto ed
univoco le realizzazioni linguistiche a singole variabili socio-situazionali12 . Il contesto
culturale tout court fa piuttosto da sfondo alla comunicazione, essendo costituito da
assunzioni implicite dei parlanti, dal sistema valoriale, dalle credenze, dagli atteggiamenti,
dai modi di pensare e di ricordare, i punti di vista, le attese di una comunità: dunque da
sistemi concettuali, cognitivi, psicologici, in base a cui i testi e i discorsi che si realizzano in
una comunità vengono prodotti e vanno interpretati. La distinzione tra „contesto socio-
situazionale’ e ‘contesto culturale tout court’ si rifà alla distinzione proposta da Halliday &
Hasan (1985) tra un „immediate environment’ ‒ o

pp.6-10 LEGGERE

1.LINGUAGGIO-E-COMUNICAZIONE.pdf

Le componenti della competenza linguistica:

1. livello fonologico (relativo al suono);

2. livello semantico (relativo al significato);

3. livello pragmatico (relativo al contesto).

1. Il livello fonologico

• È la capacità di riconoscere, distinguere e produrre suoni linguistici diversi.

• La più piccola unità di suono che si utilizza per differenziare le parole di una lingua è il
fonema (es. vocali e consonanti).

fonema (suono) e grafema (segno)

2. Il livello semantico

• La semantica si occupa di come, nel processo di comprensione, sequenze particolari e


familiari di suoni diventano unità dotate di significato.

• L’insieme dei vocaboli conosciuti e immagazzinati forma il lessico mentale.

• Nel processo di acquisizione, bisogna distinguere il vocabolario attivo (le parole che il
soggetto è in grado di utilizzare) dal vocabolario passivo (i vocaboli di cui si conosce il
significato pur non utilizzandoli nella produzione verbale).

Morfologia e sintassi formano la grammatica.


La grammatica è la successione di regole necessarie alla corretta costruzione di frasi,
sintagmi, e parole. è lo studio delle regole in base alle quali le parole e i suoni vengono
combinati per produrre un significato. Si distingue in:

• Morfologia: il legame tra fonologia e semantica, l’insieme delle regole che stabiliscono
come costruire parole complesse.

La morfologia è quella parte della grammatica che analizza e descrive le forme assunte dalle


parole a seconda della funzione che svolgono e dei significati che rivestono.

In linguistica, la morfologia si identifica con lo studio delle parti del discorso nella loro
flessione, cioè nelle variazioni a cui vanno soggette secondo le diverse funzioni
grammaticali; distinta dalla fonologia, che è lo studio esclusivo dei fonemi (per es. fama, dal
punto di vista della fonologia è parola composta di quattro elementi o fonemi, mentre dal
punto di vista della morfologia è parola formata dall'elemento radicale fam-, depositario del
significato, e dal morfema -a, che segnala il valore di singolare femminile)

Il morfema è l’unità minima di fonemi dotata di significato. La parola «tavolo» è composta


da due componenti: «tavol», dotato di significato lessicale ed «o», dotato di significato
grammaticale.

La morfologia studia la struttura interna delle parole e descrive le varie forme che esse
assumono a seconda delle categorie di numero, genere, modo, tempo, persona.

 È l’insieme delle regole che stabiliscono come costruire parole complesse a partire dalle
più piccole parti di significato contenute nelle parole (morfemi).

 Il morfema è la più piccola unità linguistica portatrice di significato.

 Le parole (lessemi) sono segmentabili in unità più piccole (unità linguistica minima),
ciascuna delle quali è portatrice di una porzione del significato dell’intera parola, es. gatt-
(morfema lessicale) e -o (morfema grammaticale) sono due morfemi.

 Il morfema grammaticale può essere flessivo (come la –o in gatto) e derivazionale


(come -ism- o -ist-), che serve a formare parole nuove a partire da un lessema già esistente
(es. bar-ista).

 Il morfema può essere libero (come il, infatti) o legato (come gatt-o)
L’insieme delle parole di una lingua forma il lessico, un insieme finito ed eterogeneo
composto da 9 categorie grammaticali: nome, verbo, aggettivo, avverbio, pronome, articolo,
preposizione, congiunzione, e interiezione.

• L’affisso è un elemento che viene aggiunto alla radice di una parola. • Se aggiunto prima
della radice della parola, si chiama prefisso (es. Prevalere), se è aggiunto dopo, si chiama
suffisso (es. Figuraccia).

Sintassi: l’insieme delle regole che stabiliscono l’ordine delle parole all’interno di una frase.
Consente di comprendere come il significato delle parole può cambiare in funzione della loro
organizzazione e al loro ordine all’interno di una frase. L’unità base della sintassi è il
sintagma, che si divide in nominale (articolo + nome. Es. «Il mio amico Paolo») e verbale
(ausiliario + complemento. Es. «Vive a Roma»).

Gli aspetti del linguaggio

• L’aspetto denotativo riguarda la definizione di una parola (es. la sedia).

• L’aspetto referenziale riguarda la cosa a cui ci si riferisce in quel preciso contesto (es.
questa sedia e non la sedia in generale).

• Il rapporto parole-significato si modifica in funzione del senso che gli si dà e non


sommando i significati di ciascuna parola.

3. Il livello pragmatico

• Si riferisce alla capacità di comprendere i significati di parole e frasi in base al contesto in


cui vengono pronunciate e all’intenzione dell’interlocutore.

L’acquisizione del linguaggio

Innato o acquisito?

Acquisito: secondo i comportamentisti e Piaget 1896 - 1980, il linguaggio viene acquisito


attraverso l’esperienza. L’individuo non possiede alla nascita alcuna competenza linguistica.

Innato: secondo il modello generativo-trasformazionale di Chomsky 1928, esisterebbero


delle competenze innate, come il Language Acquisition Device (LAD) e la grammatica
universale. Chomsky riconosce l’esistenza di forme sintattiche ricorrenti in ogni lingua: le
parole sono raggruppate in frasi secondo un ordine lineare attraverso regole acquisite
ontogeneticamente insieme al linguaggio. Ambiente ed esperienza non sono sufficienti per
spiegare la ricchezza e la complessità dello sviluppo linguistico, né la relativa velocità con
cui viene acquisito.

• Differenza tra competence, la padronanza delle regole grammaticali che ci consente di


capire il linguaggio, e performance, la capacità di usare tali regole e procedure per produrre
il linguaggio. Nessun isomorfismo tra le due capacità. • Il linguaggio è autonomo rispetto agli
altri processi cognitivi.

Il modello di Halliday (1970)

• Il linguaggio come realizzazione degli atti di parola.

• Tre funzioni:

 Ideativa, attraverso la quale si struttura l’esperienza sia interna (coscienza) che esterna
(mondo);

 Interpersonale, che mantiene le relazioni sociali;

 Testuale, che opera nessi tra il soggetto e il contesto in modo da produrre discorsi dotati di
senso e non frasi sconnesse.

La teoria degli atti linguistici (Austin, 1962)

• Ogni frase corrisponde ad un atto linguistico.

• Gli atti linguistici possono essere:

• Performativi, se fanno riferimento ad intenzioni da realizzare. Es. «Ti telefono domani, te


lo prometto»;

• Constativi, se hanno unicamente una funzione descrittiva. Es. «Oggi è una pessima
giornata».

Ogni atto linguistico possiede tre livelli:

• Locutorio: si riferisce al rispetto di certe regole semantiche e sintattiche nel concatenare le


parole nella frase. Si riferisce alla forma;

• Illocutorio: esprime l’intento comunicativo. Si riferisce al significato;

• Perlocutorio: riguarda gli effetti extralinguistici prodotti dal nostro atto linguistico (quali
azioni possono derivare da ciò che si dice). Si riferisce alle conseguenze.

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