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Il linguaggio può essere definito in vari modi secondo la linguistica contemporanea. È una
facoltà umana, una funzione neurofisiologica e una capacità psicologica (psicolinguistica del
linguaggio). È una facoltà semiotica1 condizionata dalle caratteristiche biologiche del
soggetto e dall’adattazione al canale di trasmissione.
Alcuni sistemi semiotici sono connessi al linguaggio verbale (gestualità, mimica), mentre
altri sono indipendenti, come il linguaggio dei segnali stradali…Altri linguaggi, come quello
dei sordomuti, rappresenta una transcodificazione del linguaggio verbale.
1 Semiotica: scienza generale dei segni, della loro produzione, trasmissione e interpretazione, o dei modi in cui
si comunica e si significa qualcosa, o si produce un oggetto comunque simbolico. Segno come binomio di
significante e significato (identificato con il concetto o con l’oggetto denotato).
dimensioni non verbali, le cui definizioni sono state fornite da Balboni nel volume “Le sfide
di Babele” (2012, pagg. 129-130): cinesica, ovvero la “capacità di comprendere e utilizzare
gesti, le espressioni del viso, i movimenti del corpo”; - prossemica, cioè la “competenza
relativa alla vicinanza e al contatto con l’interlocutore”; - oggettuale, la capacità “che
rimanda all’uso di oggetti come strumenti per comunicare uno status sociale; - vestemica,
che rappresenta la “capacità di padroneggiare il sistema della moda”
Non si deve confondere il linguaggio verbale, definito come sistema organizzato di parole,
con la lingua, che è il prodotto di un determinato gruppo etnico o sociale di persone in una
precisa situazione storico-ambientale La lingua è il più complesso sistema di segni (le parole)
– organizzato tramite una rete di relazioni e di combinazioni – per mezzo del quale gli
appartenenti ad una collettività comunicano tra loro.
2. LINGUAGGIO E COMUNICAZIONE
EMITTENTE è colui che dà origine all’atto comunicativo, cioè trasmette il messaggio con
una intenzione esplicita o implicita.
DESTINATARIO è colui al quale l’atto comunicativo è destinato, cioè riceve il messaggio
CODICE è l’insieme di segni (e le regole per combinarli insieme) usati per comunicare, il
linguaggio. Perché il messaggio possa venire compreso deve venire formulato mediante un
codice (verbale o non verbale che sia) conosciuto sia dall’emittente sia dal destinatario.
Formulare un messaggio in un codice è una operazione di CODIFICAZIONE; comprenderlo,
ossia interpretarlo, è una operazione di DECODIFICAZIONE. Trasportare un messaggio da
un codice all’altro è una operazione di TRANSCODIFICAZIONE. Il linguaggio gestuale, le
varianti dialettali sono altri codici fondamentali che devono essere condivisi dall’emittente ed
il destinatario per assicurare la comunicazione.
CANALE (CONTATTO) è il mezzo fisico usato per la trasmissione del segno dall’emittente
al destinatario Il messaggio codificato dall’emittente deve poter arrivare al destinatario.
Più in generale la comprensione dei messaggi rinvia a tre diverse tipologie di contesti:
Oltre a quelli visti vi sono altri due/tre elementi (non definiti da Jakobson) che sono in
qualche modo collegati alle situazioni comunicative:
RUMORE = tutto ciò che disturba la comunicazione. Qualsiasi sia la natura del disturbo: •
legato all’emittente (per esempio, disturbi di pronuncia ad esempio) • legato al canale
(segnale telefonico disturbato) • legato al contesto (mancanza delle informazioni necessarie).
La comunicazione nella nostra società non si limita alle relazioni tra emittente e recettore.
Mass media: dalla mera comunicazione interpersonale alla comunicazione sociale.
Nella società odierna la comunicazione non si limita all’interazione tra emittente e ricettore,
basti pensare alle reti sociali, dove la componente sociale svolge un ruolo fondamentale nella
cultura collettiva.
Negli anni sessanta Roman JAKOBSON elaborò un modello nel quale individuava sei
principali funzioni nella comunicazione verbale, che denominò rispettivamente referenziale,
emotiva, conativa, fatica, metalinguistica e poetica. Negli anni trenta il filosofo viennese
Karl Bühler aveva proposto un modello ternario, che includeva le prime tre funzioni esposte
in seguito da Jakobson, pur utilizzando una terminologia diversa. Jakobson ampliò questo
quadro teorico aggiungendo altre tre funzioni. Occorre premettere, con Jakobson, che
è difficile produrre atti linguistici che corrispondano a una sola delle funzioni del linguaggio:
la specificità di un dato enunciato non risiede tanto nel
monopolio dell'una o dell'altra funzione, ma nella preminenza esercitata dalla funzione in
esso saliente.
La funzione r e f e r e n z i a l e, definita anche denotativa o cognitiva/informativa,
è orientata verso il r e f e r e n t e (o contesto), ossia verso la realtà extralinguistica; i
messaggi prodotti in conformità a questa funzione tendono a trasmetterci una informazione,
una asserzione su un contenuto dell'esperienza, sia concreta (ad es. "oggi piove")
sia mentale (come quando si dice "la felicità non esiste") sia persino immaginaria ("i marziani
sono verdi"). La funzione referenziale trova espressione tipica nella terza persona verbale.
Quello di competenza linguistica è un concetto che si fa strada negli anni Sessanta del XX
secolo, con Noam Chomsky, il quale mette in contrapposizione il costrutto di competenza
con quello di esecuzione (ingl. competence vs performance). La competenza, secondo
Chomsky, è la conoscenza intuitiva che la persona nativa possiede fin dalla nascita, una
capacità innata dell’essere umano. Chomsky definisce questa capacità attraverso la sigla
LAD Language Acquisition Device. L’uomo possiede una capacità innata di analizzare la
lingua, trarre ipotesi sulle regole di funzionamento e verificarne tale funzionamento,
applicando le regole in maniera creativa. A prima vista il binomio chomskiano sembrerebbe
richiamare l’antinomia saussuriana di langue e parole, ma in realtà, se la performance
corrisponde per certi versi alla nozione di parole (riflette “the actual use of language in
concrete situations”), la competence di Chomsky è molto diversa dalla langue di Saussure: la
prima, infatti, in quanto ha sede nella mente del singolo parlante ed evoca “the speaker’s
knowledge of his language”, è individuale, mentre la seconda, nella misura in cui è sociale,
trascende l’individuo.
Per superare non solo il concetto saussuriano di langue ma anche l’astratta nozione
chomskiana di ‘competenza linguistica’ sono state avanzate proposte più articolate. Un primo
apporto critico si deve a Eugenio Coseriu, che ha rimodulato il costrutto prevedendo tre
gradi della competenza o ‘saperi linguistici’, tra loro strettamente interconnessi: una
competenza linguistica universale o sapere locutivo che indica il saper parlare in generale,
il “saper verbalizzare, dare forma linguistica comunicativa ai propri pensieri,
indipendentemente dalla lingua adoperata”; una competenza linguistica realizzata in una
lingua storica particolare o sapere idiomatico e una competenza linguistica testuale o sapere
espressivo che “concerne il parlare in una determinata situazione” (la citazione è tratta da
Coseriu 1997, p. 198) ed evoca la prerogativa dell’individuo di “saber confeccionar textos
adecuados a situaciones, temas o interlocutores”.
Una seconda rilevante innovazione è stata introdotta nel dibattito scientifico nel corso degli
anni Settanta con la categoria della c o m p e t e n z a c o m u n i c a t i v a (l’espressione
rende l’ingl. communicative competence). Il costrutto, per la cui origine si rinvia
comunemente all’estatunitense Dell Hymes (1971), implica che le abilità espressive del
parlante, accanto al rispetto delle regolarità formali di una lingua e al saper costruire frasi ben
formate da un punto di vista strettamente grammaticale, comprendano anche la capacità di
produrre enunciati adeguati alla specifica situazione comunicativa, In definitiva la
competenza comunicativa rimanda alla prerogativa “di usare efficacemente ed
appropriatamente le produzioni linguistiche all'interno di precisi contesti sociali”.
Disporre di una adeguata competenza comunicativa significa dunque che, per produrre
enunciati accettabili, al locutore non basta l’osservanza di un sistema di regole strettamente
linguistiche (grafiche, fonologiche, morfosintattiche, lessicali); egli deve anche sapersi
avvalere di tutta una gamma di conoscenze e abilità relative da una parte alla dimensione
non verbale del linguaggio (gestualità, prossemica ecc.) e dall'altra agli aspetti extralinguistici
(di ordine culturale, sociale, pragmatico) in maniera tale da selezionare il comportamento
comunicativo che nel suo insieme risulti coerente con il contesto, sia linguistico che
situazionale.
http://www.edurete.org/pd/sele_art.asp?ida=3729
-saper fare con la lingua (saper usare la lingua come strumento di azione in differenti
contesti).
Il concetto proposto da Hymes può dunque essere interpretato come l’integrazione di diverse
competenze:
-Prossemica: (uso dello spazio e delle distanze spaziali in relazione allo scambio
comunicativo).
Il problema del nesso lingua-cultura viene riproposto con l’avvento degli approcci
comunicativi basati, come noto, sulla nozione di competenza comunicativa (o
sociolinguistica): una nozione di matrice sociologica ed antropologica introdotta, negli anni
70 del secolo scorso, dal sociologo Dell Hymes (1972). La competenza comunicativa, che
costituisce innanzitutto una critica alla nozione chomskiana di „competenza linguistica‟
adottata per definire la capacità linguistica umana, è intesa da Hymes come la capacità del
parlante di usare una lingua nel modo ritenuto più appropriato all’evento comunicativo in
atto. La competenza linguistica non costituisce per Hymes che una componente della
competenza socio-linguistica in quanto la scelta di come realizzare verbalmente quanto si
intende dire discende direttamente dagli aspetti socio-situazionali del contesto in cui la
3 Italiano LinguaDue, n. 2. 2012. A. Ciliberti, La nozione di ‘competenza’ nella pedagogia linguistica: dalla
‘competenza linguistica’ alla ‘competenza comunicativa interculturale’.
comunicazione ha luogo. Mentre alla nozione di „competenza linguistica‟ sottostà una
visione di lingua in quanto codice organizzato in un sistema di regole fisse ed immutabili, il
cui rispetto rende conto della correttezza formale dell’uso linguistico, con competenza
comunicativa si intende piuttosto: la capacità di usare un repertorio di atti linguistici,
prendere parte ad eventi linguistici, comprendere come gli altri li valutano. La riflessione di
Hymes fu fondamentale per lo sviluppo del cosiddetto „insegnamento comunicativo‟ di
lingue2, che, nella sua forma basilare, prevede la sostituzione degli approcci grammaticali
adottati fino ad allora con approcci di stampo funzionalista. La teoria linguistica che doveva
fornire l’apparato teorico per lo sviluppo della competenza comunicativa in L2 non fu però
quella di Hymes bensì la teoria degli atti linguistici elaborata dal filosofo del linguaggio
John Austin (1962) e sviluppata poi da John Searle (1969). La componente culturale
dell’insegnamento linguistico viene ad essere costituita dalle (micro) funzioni ‒ gli atti
linguistici ‒ espressi nella comunicazione in L2. A tale teoria si rifanno le specificazioni dei
sillabi cosiddetti nozionali-funzionali proposti dal Consiglio d’Europa nel Quadro Comune
Europeo di riferimento per le lingue, che sostituiscono, o integrano, i sillabi grammaticali e
che, a tutt’oggi, predominano nel panorama dei materiali didattici più in uso.
Negli ultimi anni si sono però intensificate le critiche agli approcci comunicativi in quanto
essi si occupano esclusivamente, o principalmente, degli usi funzionali del linguaggio e di
unità minime della comunicazione ‒ gli atti linguistici, appunto, ‒ e in quanto focalizzano
l’attenzione sui comportamenti linguistici trascurando ciò che fornisce significato ai
comportamenti stessi. Secondo i critici degli approcci comunicativi e dei materiali didattici
ad essi ispirati, il legame con la sfera culturale intesa in un senso ampio sarebbe andato perso
nell’insegnamento linguistico proprio a causa dell’influenza pervasiva e unilaterale della
teoria degli atti linguistici, in cui predominano aspetti di ordine micro linguistico e che non
contemplano anche una accezione ampia di „cultura‟. Inoltre, essi non propongono agli
apprendenti una riflessione esplicita, riflessiva e consapevole sulla diversità culturale: il che
si ritiene oggi indispensabile. …da p.3,4,5 concetti di cultura…
pp.6-10 LEGGERE
1.LINGUAGGIO-E-COMUNICAZIONE.pdf
1. Il livello fonologico
• La più piccola unità di suono che si utilizza per differenziare le parole di una lingua è il
fonema (es. vocali e consonanti).
2. Il livello semantico
• Nel processo di acquisizione, bisogna distinguere il vocabolario attivo (le parole che il
soggetto è in grado di utilizzare) dal vocabolario passivo (i vocaboli di cui si conosce il
significato pur non utilizzandoli nella produzione verbale).
• Morfologia: il legame tra fonologia e semantica, l’insieme delle regole che stabiliscono
come costruire parole complesse.
In linguistica, la morfologia si identifica con lo studio delle parti del discorso nella loro
flessione, cioè nelle variazioni a cui vanno soggette secondo le diverse funzioni
grammaticali; distinta dalla fonologia, che è lo studio esclusivo dei fonemi (per es. fama, dal
punto di vista della fonologia è parola composta di quattro elementi o fonemi, mentre dal
punto di vista della morfologia è parola formata dall'elemento radicale fam-, depositario del
significato, e dal morfema -a, che segnala il valore di singolare femminile)
La morfologia studia la struttura interna delle parole e descrive le varie forme che esse
assumono a seconda delle categorie di numero, genere, modo, tempo, persona.
È l’insieme delle regole che stabiliscono come costruire parole complesse a partire dalle
più piccole parti di significato contenute nelle parole (morfemi).
Le parole (lessemi) sono segmentabili in unità più piccole (unità linguistica minima),
ciascuna delle quali è portatrice di una porzione del significato dell’intera parola, es. gatt-
(morfema lessicale) e -o (morfema grammaticale) sono due morfemi.
Il morfema può essere libero (come il, infatti) o legato (come gatt-o)
L’insieme delle parole di una lingua forma il lessico, un insieme finito ed eterogeneo
composto da 9 categorie grammaticali: nome, verbo, aggettivo, avverbio, pronome, articolo,
preposizione, congiunzione, e interiezione.
• L’affisso è un elemento che viene aggiunto alla radice di una parola. • Se aggiunto prima
della radice della parola, si chiama prefisso (es. Prevalere), se è aggiunto dopo, si chiama
suffisso (es. Figuraccia).
Sintassi: l’insieme delle regole che stabiliscono l’ordine delle parole all’interno di una frase.
Consente di comprendere come il significato delle parole può cambiare in funzione della loro
organizzazione e al loro ordine all’interno di una frase. L’unità base della sintassi è il
sintagma, che si divide in nominale (articolo + nome. Es. «Il mio amico Paolo») e verbale
(ausiliario + complemento. Es. «Vive a Roma»).
• L’aspetto referenziale riguarda la cosa a cui ci si riferisce in quel preciso contesto (es.
questa sedia e non la sedia in generale).
3. Il livello pragmatico
Innato o acquisito?
• Tre funzioni:
Ideativa, attraverso la quale si struttura l’esperienza sia interna (coscienza) che esterna
(mondo);
Testuale, che opera nessi tra il soggetto e il contesto in modo da produrre discorsi dotati di
senso e non frasi sconnesse.
• Constativi, se hanno unicamente una funzione descrittiva. Es. «Oggi è una pessima
giornata».
• Perlocutorio: riguarda gli effetti extralinguistici prodotti dal nostro atto linguistico (quali
azioni possono derivare da ciò che si dice). Si riferisce alle conseguenze.