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Le lezioni dei cattivi maestri (3)

Benedetto Vertecchi

Se non fosse stato per il sopraggiungere di una sciagura peggiore di quella che, forse per
un eccesso di ottimismo, speravamo stesse esaurendo la sua carica distruttiva, è
probabile che staremmo oggi subendo ancora le presuntuose esibizioni di sedicenti
esperti di virologia. Nessuno avrebbe mai immaginato che in Italia ce ne fossero così
tanti, e di tipologie così diverse. Col succedersi dei mesi, dagli inizi del 2020, i mezzi di
comunicazione sono stati in larga parte requisiti da politici, capipopolo, imbonitori,
tablerondisti, e non so quanti altri, tutti protesi a dispensare la loro sapienza a un
pubblico supposto di ignari. Il rumore è stato assordante, e chi è riuscito a gridare più
forte spesso ha avuto la meglio. Chiudere le scuole, no riaprirle, chiuderle di nuovo,
scoraggiare ogni forma di assembramento, usare le mascherine, non usarle perché non
servono, la malattia non è peggiore di un raffreddore, gestire lazzaretti domestici per chi
si è infettato, ci sono già farmaci in grado di contrastare il contagio, ma no bisogna
avere pazienza fino a quando non sarà disponibile il vaccino capace di fermare la
pandemia, macché il vaccino non serve a nulla, chi è vaccinato si infetta come chi non
lo è, siamo vittime di una gigantesca truffa da parte delle grandi industrie
farmaceutiche, non si può spingere nessuno a vaccinarsi perché verrebbe soppressa la
libertà individuale, il vaccino è incostituzionale. Temo di essermi già troppo dilungato
nell’elencare un campionario degli argomenti che si sono dovuti ascoltare, e di cui non
siamo gli unici ad aver subito le conseguenze.
Passi per l’allarme sociale, i comportamenti impropri, gli sprechi imposti al sistema
sanitario e via seguitando. In questo contesto, nel quale interessa soprattutto prendere in
considerazione gli effetti sulla cultura diffusa nella popolazione e sull’educazione, mi
sembra importante rilevare che:
a) moneta cattiva caccia quella buona. Studiosi seri, che hanno dedicato anni di
ricerche allo studio della virologia, si sono trovati a contrastare le opinioni di parolai
da bar dello sport. Vale la pena di osservare che le affermazioni degli studiosi erano
necessariamente (se non altro per ragioni linguistiche) più sgradevoli e più difficili
da comprendere di quelle dei parolai e dei demagoghi che si erano specializzati nel
proporre ricette consolatorie per le categorie sociali al momento più esposte al
disagio connesso all’entrata in vigore di misure impopolari (per esempio, la
disciplina per l’accesso agli esercizi pubblici);
b) il sovraccarico al quale è stato sottoposto il sistema sanitario, per gli effetti delle
varie forme di negazionismo che hanno trovato credito in un pubblico imbonito di
slogan privi di fondamento, ha ridotto l’efficacia degli interventi dei quali ha fruito
la maggior parte dei malati, che si rivolgeva con fiducia alle istituzioni sanitarie;
c) non c’è stata nel pubblico, o c’è stata meno di quanto fosse lecito attendersi, la
crescita di consapevolezza circa le caratteristiche della malattia che, solo in Italia, ha
mietuto un numero di vittime pari a quello della popolazione di una media città di
provincia;
d) si sono manifestati, come purtroppo spesso avviene, atteggiamenti rivelatori di
sensibilità sociale, che si è espressa tramite iniziative di assistenza praticata a titolo
individuale o nell’ambito di associazioni, ma anche atteggiamenti dai quali è emerso

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il contrario, la volontà di speculare penetrando nei varchi lasciati aperti nei sistemi
di controllo pubblici e privati;
e) c’è stato un effetto devastante sulla cultura scientifica della popolazione in
conseguenza del manifestarsi di uno o più dei fenomeni menzionati nei quattro punti
indicati. Effetti di alone variamente combinati hanno portato a diminuire
l’attenzione nei confronti dei procedimenti che da uno stato iniziale in cui
prevalgono gli aspetti ignoti porta all’acquisizione di nuova conoscenza e quindi alla
comprensione di altri aspetti della realtà. Si è trattato di una devastazione che è
avvenuta a vari livelli, colpendo in modo diverso la popolazione adulta e quella
nell’età dello sviluppo. Gli adulti hanno ricevuto una falsa rassicurazione circa la
possibilità di accrescere la comprensione dei fenomeni sostenendola solo con
argomenti di senso comune, e quindi prescindendo dallo stabilire relazioni
attendibili tra le variabili che compaiono in un processo. Il povero Galileo sarebbe
restato sconvolto nell’ascoltare personaggi pubblici o semipubblici regredire a un
livello dell’argomentazione che solo in qualche caso poteva accreditarsi come
centrato sul principio della conferma, e negli altri ignorava dispositivi di maggiore
complessità già presenti nella logica classica. Del resto, come ha ben spiegato John
Stuart Mill, lo stesso principio della conferma offre un ben debole sostegno
all’espressione di giudizi scientifici, e si sarebbe dovuto ricusare perché non tollera
la contraddizione (ubi non reperitur instantia contradictoria). Se l’attenzione è
soprattutto rivolta all’educazione scolastica, e in particolare al progredire degli
apprendimenti nell’ambito più prossimo a quello invaso dai sedicenti esperti
(ovvero, gli apprendimenti scientifici), la conseguenza, (spero solo temuta, ma su
cui non sarebbe improprio sviluppare indagini mirate, in sostituzione delle ingessate
rilevazioni annuali dell’Istituto di Valutazione) è la riduzione delle scienze
sperimentali al confronto delle opinioni. Ha senso lamentare gli esiti insoddisfacenti
nell’apprendimento delle scienze se lo si priva della struttura formale che sostiene la
ricerca? Se l’approccio dialettico sostituisce il metodo scientifico?
Credo di aver richiamato problemi che richiedono approfondimenti su vari aspetti
dell’educazione, di quella scolastica e di quella non scolastica. Forse in altre fasi dello
sviluppo del sistema educativo sarebbe stato sufficiente fare riferimento all’educazione
formale (quella impartita nella scuola) e a quella non formale (in altre parole alla varietà
delle esperienze che segnano le condizioni ambientali in cui si svolge la vita degli
allievi).
Oggi questo secondo insieme (l’educazione informale) è non solo diventato
maggioritario, ma ha conosciuto una specializzazione delle esperienze che richiede
un’attenzione specifica. In particolare, non si possono mescolare le esperienze della vita
familiare (o dei rapporti col vicinato) con le suggestioni che provengono dalla fruizione
di messaggi a forte mediazione tecnologica. Si tratta, infatti, di messaggi che presentano
caratteristiche produttive, retoriche e grammaticali-sintattiche che determinano un
particolare ambiente di apprendimento. Spesso simili messaggi sono qualificati come
divulgativi. Non sono di questo parere, come cercherò di dimostrare nel prossimo
intervento.

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