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LIVIO

AB URBE CONDITA

CAPITOLO XLI

162

Si dice che in quei luoghi Ercole, dopo aver ucciso il mostro Gerione, abbia condotto delle mucche di una
grande bellezza e che si sia riposato stanco per la strada sull’erba, presso il fiume che aveva attraversato
nuotando conducendo la mandria davanti a sé. Li, dopo che il sonno lo aveva vinto, un pastore di nome
Caco, molto forte, volle rapire le mucche più belle dal gregge e nascondere la reda nella sua grotta. Ma
affinché le orme delle mucche non conducessero il pastore che cercava alla grotta, trascinò le mucche nella
grotta per la coda (girate).

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Ercole svegliatosi all’alba dal sonno, perlustrando la mandria e accorto che (ne) mancava una parte, si
diresse alla grotta più vicina. Vedendo le orme verso l’esterno e che non portavano da nessuna altra parte,
confuso e incerto, iniziò a spostare la mandria da quel luogo infelice. Poi, poiché le (alcune) mucche portate
via muggivano desiderando (la compagnia delle) rimanenti, (e poiché) le mucche chiuse nella caverna
risposero al muggito, udita questa cosa Ercole decise di ritornare.

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Poiché Caco aveva tentato di allontanare con la forza quello che si avvicinava alla grotta, colpito dalla clava
di Ercole, morì. Allora governava quei luoghi Evandro, fuggito dal Peloponneso, uomo dotto, la cui madre
Carmenta prediceva il futuro con la divinazione. Allora quell’Evandro, mandato trepidante dai pastori, dopo
che udì il fatto e la causa del fatto, intuendo la forma ampia dell’uomo autorevole, chiese: “Che uomo sei?”

Quando seppe il nome, il padre e la patria disse “Ercole, nato da Giove, Salve!”, “mia madre, profetessa,
cantò che tu avresti aumntato il numero degli dei e che qui sarebbe stata dedicata a te un’ara, che la gente
ricchissima un tempo sulla Terra chiamerà “Ara Massima””. Ercole, data la mano destra, disse che egli
avrebbe compiuto il fato, dedicata l’ara. Allora, per la prima volta, fu compiuto un rito sacro in onore di
Ercole, dopo avere preso la mucca più bella del gregge.

Romolo ugualmente, dopo che gettò le prime fondamenta per la città, seguendo l’esempio di Evandro, con
rito greco fece sacrifici a Ercole.
CAPITOLO XLIII

42

Nel mentre Tullo, feroce soprattutto per la morte del re, di notte superato l’accampamento dei nemici, con
un esercito ostile si diresse nel campo Albano. Questa cosa fece uscire Mezio dall’accampamento stanziale.
Condusse l’esercito il più possibile vicino. Quindi ordinò ad un ambasciatore mandato avanti di dire che
c’era bisogno di un colloquio prima di combattere; lui avrebbe offerto qualcosa che interessava non meno i
Romani che gli Albani.

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Tullio non rifiuta il colloquio, ma schiera l’esercito per la battaglia. (Quindi) escono contro anche gli Albani.
Dopo che furono schierati da entrambe le parti, i comandanti avanzano in mezzo con pochi compagni.
Comincia allora Albano: “Le offese e le cose non restituite, richieste più volte dal patto, si dice che siano le
cause di questa guerra. Ma se deve essere detta la verità, la brama di potere spinge alle armi due popoli
parenti e vicini. O Tullo ti avviso, sai quanto è grande la potenza Etrusca, tanto più sei vicino. Quelli sono
forti molto sulla terra, e di più sul mare. Ricordati che quando darai segno di battaglia, queste due schiere
saranno di spettacolo per gli Etruschi, affinché (…)

Dunque se gli dei ci amano, prendiamo una via con la quale, senza grandi stragi e spargimento di molto
sangue di entrambi i popoli, si possa decidere chi dei due comandi all’altro.

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La cosa non dispiacque a Tullo, anche se sia per indole che per speranza di vittoria era più feroce. Giungono
alla decisione che la stessa sorte avrebbe fornito una soluzione: c’erano allora in entrambi gli eserciti per
caso tre fratelli, gli Orazi e i Curiazi e non erano dissimili per età né per forza. I re propongono a loro di
combattere con il ferro per la patria di ciascuno di loro: “la sarà il potere se ci sarà la vittoria”. I fratelli non
rifiutano. Viene deciso il tempo e il luogo. Prima che combattessero, si stipulò un patto tra i romani e gli
albani (secondo) queste leggi: “che i cittadini di qualunque popolo avesse vinto il duello, essi sull’altro
popolo con buona pace avrebbero comandato”.

Concluso il patto i tre gemelli, come era stato convenuto, prendono le armi. Mentre gli altri loro li
esortavano “gli dei della patria, la patria e i parenti e tutti i cittadini guardano le vostre armi e le vostre
mani”, i giovani feroci si procedono nel mezzo fra i due eserciti. I due eserciti si misero presso i propri
accampamenti attenti e allo spettacolo minimamente gradito.

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