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«Passi buona parte della tua vita a imparare a diventare una donna. È un processo di addizione e
sottrazione. Per lo più di sottrazione, perché per essere una Donna, con la D maiuscola, bisogna imparare a
togliere, essere meno: meno rumorose, meno disordinate, meno esuberanti, meno disinvolte. »

Questa frase è un estratto del discorso di Giulia Blasi in TedxVicenza. Giulia Blasi (Pordenone, 14
novembre 1972) scrittrice, conduttrice radiofonica e giornalista specializzata in temi relativi alla
condizione femminile e al femminismo. Il femminismo nasce come reazione e rivendicazione
dell’uguaglianza di genere. Questa rivendicazione si afferma in seguito ad una lunga storia di
discriminazioni, umiliazioni e penalizzazione della donna da parte dell’uomo, legata a una visione
collettiva di un mondo basato sul dominio maschile.
Le spalle delle donne sono pesanti, sono sempre state pesanti, hanno dovuto sostenere i
pregiudizi, i maltrattamenti, le ingiustizie. Alle donne viene insegnato ad essere ubbidienti, mai
troppo maliziose, a vestirsi bene, a non uscire da sole, perchè fuori il mondo è “brutto”. Ma perchè
non si pensa mai a migliorare il “brutto” mondo di cui esse fanno parte? 
Il cammino per il raggiungimento dell’uguaglianza di genere è stato lento e ha visto molte donne
lottare per l’affermazione dei propri diritti e della propria identità ma un ruolo fondamentale lo
hanno avuto le scrittrici poiché con le loro opere hanno, con coraggio, denunciato e combattuto
realtà scomode e comportamenti sociali inadeguati. Nel 700 Mary Wollstonecraft, una donna che
viveva fuori dalle convenzioni della vita e della storia, scandalosa e trasgressiva, per i criteri di valutazione
morale dominante, della condotta femminile, ha affrontato tematiche mai toccate fino a quel
momento. Il suo pamphlet, che si intitola "A Vindication of the Rights of Woman” è la prima
testimonianza della lotta delle donne per la conquista di quei diritti, predicati come universali, ma
riconosciuti solo come prerogativa maschile. All'epoca le donne non erano niente: non possedevano
niente, non potevano studiare, non potevano lavorare fuori casa, non potevano votare. L’autrice è fra le
prime a rivendicare il diritto delle donne di essere umane, di esistere anche fuori dalle mura domestiche.
Il femminismo è cambiato negli anni, sono cambiati gli obiettivi, man mano che certi diritti venivano
raggiunti. Il cammino però è ancora lungo, poiché molti sono ancora gli ostacoli al raggiungimento di una
“vera” uguaglianza di genere.

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Tad Talk. “Leading the revolution- Giulia Blasi”
https://www.ted.com/talks/giulia_blasi_leading_the_revolution/transcript?language=it
Un’icona del nuovo femminismo è Chimamanda Ngozi Adichieche: scrittrice nigeriana che con la sua
celebre frase “We should all be feminists” delinea gli obiettivi del femminismo del ventunesimo secolo.
Secondo la scrittrice per raggiungere l’uguaglianza è necessaria la collaborazione e l’educazione
dell’intera società e cambiare quello che insegniamo ai nostri figli e alle nostre figlie. Chimamanda
durante il suo discorso per TEDxEuston interviene in maniera satirica per esprimere le differenze di
genere, e attraverso esempi concreti della sua vita fa riflettere e spesso aprire gli occhi su come i
retaggi culturali siano difficili da eliminare e come essi ostacolino il raggiungimento
dell’uguaglianza. Nel suo discorso ricorda un episodio:

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“Spesso ho fatto l'errore di pensare che una cosa ovvia per me fosse altrettanto ovvia per tutti gli altri. Prendete il
mio caro amico Louis per esempio. Louis è un uomo brillante e progressista, e quando parlavamo mi diceva: "Non
capisco cosa intendi quando dici che le cose per le donne sono diverse o più difficili. Forse in passato ma non
oggi." Non capivo come Louis non riuscisse a vedere una cosa che sembrava così ovvia. Poi una sera, a Lagos, io e
Louis siamo usciti con degli amici. Per le persone che non conoscono Lagos, c'è questa meravigliosa istituzione, la
diffusione di uomini dinamici che girano nei pressi dei locali e con grande enfasi ti "aiutano" a parcheggiare la
macchina. Ero colpita dalla particolare teatralità dell'uomo che ci ha trovato un parcheggio quella sera. Così,
quando stavamo tornando a casa, ho deciso di lasciargli una mancia. Ho aperto la borsa, messo la mano nella
borsa, tirato fuori i soldi che ho guadagnato lavorando e li ho dati a quell'uomo. E lui, quest'uomo così tanto grato
e felice, ha preso i soldi da me, ha guardato Louis e gli ha detto: "Grazie, signore!"
Louis mi ha guardato, sorpreso. E mi ha chiesto: "Perché ringrazia me? Non glieli ho dati io i soldi." Allora ho visto la
consapevolezza sul volto di Louis. L'uomo credeva che qualsiasi somma di denaro avessi, in definitiva veniva da
Louis. Perché Louis è un uomo. “

Chimamanda sottolinea l’importanza di mettere in discussione l’intoccabilità di schemi di genere che


vengono trasmessi da generazioni e che creano limiti e ostacoli all’uguaglianza degli individui. In una
scuola in Nigeria è, infatti, normale che solo un bambino possa diventare capoclasse e che la maestra
sottolinei che nessuna femmina potrà mai esserlo, o negli avanzatissimi USA nessuna donna potrà mai
arrivare ai livelli più elevati in uno studio di avvocati.
“Dovremmo essere tutti femministi” rappresenta un aiuto e una guida ai ragionamenti quotidiani che, nel
tempo, potrebbe distruggere la radicata visione patriarcale e cambiare il mondo e il modo in cui viviamo.

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Ted Talk “We should all be feminists- Chimamanda Ngozi Adichie”
https://www.ted.com/talks/chimamanda_ngozi_adichie_we_should_all_be_feminists?language=it
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«Io scrivo di una società in cui donne, uomini, bambini, sono tutti vulnerabili. La donna però è più
vulnerabile, e proprio per il suo corpo. È stato così attraverso la storia.»

Mahasweta Devi era una scrittrice bengalese e un’attivista politica che si è battuta per difendere
gli 4“avidasi”, popolazioni tribali dell’India. Attraverso la sua scrittura, dura e spietata, ci fa entrare
in un mondo fatto di ingiustizie, di oppressi, ma anche di rivolte. Utilizza la parola per combattere.
Attraverso essa fa conoscere e ci porta in una realtà brutale, un ‘India feudale, organizzata per
garantire il benessere di classi privilegiate attraverso lo sfruttamento di milioni di persone.
La parola, per lei, diventa un’arma ma molto più efficace dei fucili. La parola ha uno scopo, rendere
noto, ha il potere di creare, non di distruggere, inoltre essa è indelebile, rimane impressa nelle
menti e nel cuore delle persone.
Ha combattuto per ristabilire i diritti umani delle popolazioni tribali, cacciati dalle loro terre, usati e
uccisi, dalla stessa polizia, perché considerati “criminali”, marchio inflitto dai vecchi colonizzatori
britannici.
Scrive di una realtà in cui tutti sono vulnerabili ma in modo particolare si sofferma sulla sofferenza
patita dalle donne che, per il loro corpo, sono più sottoposte a violenze ed atrocità.
https://www.terraterraonline.org/blog/mahasweta-devi-o-il-diritto-al-sogno/
http://www.marcovasta.net/libreria/LibreriaSingola.asp?id=7821
La sottomissione e lo sfruttamento delle donne indiane è dovuta al sistema di caste, presente nel
territorio, che comporta l’oppressione delle classi più povere. I personaggi femminili, nelle sue
opere, subiscono ma hanno, anche, grandi passioni e forte autodeterminazione. Il corpo femminile
assume un valore simbolico, perché, nonostante le violenze e gli abusi, le donne non smettono mai
di combattere. Un esempio di questo tipo di donna è Mary Oraon nel racconto 5“The Hunt”
presente nella raccolta: “Imaginary Maps: Three Stories”.
The Hunt si focalizza sulla vendetta di Mary nei confronti di un commerciante di legno che, cerca di
sedurla, nonostante i suoi rifiuti. L’arrivo di Tehsildar, nella seconda parte del libro, rappresenta un
cambiamento nella vita della protagonista e della comunità. L‘uomo è senza scrupoli e dedito solo
al guadagno, una vera e propria macchina da guerra economica, pronto a distruggere la loro terra,
approfittando dell’incapacità di sfruttare le risorse e le ricchezze da loro possedute, considerandoli
“idioti”. Il suo obiettivo non è esclusivamente lo sfruttamento del territorio ma anche Mary, che
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“Mahasweta Devi, la scrittura a tre dimensioni”, in il manifesto, 26 novembre 2005
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Termine hindi usato per definire le tribù indigene o aborigene che vivono in India
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Mahasweta Devi, “The Hunt”, in EAD Imaginary Maps, G. C. Spivak (translated and introduced by), London-New York,
Routledge, 1995.
diventa per lui un oggetto sessuale da possedere. La donna, forte, si ribella nei confronti di questa
violenza e decide di non soccombere.
Ogni dodici mesi nella tribù di Mary avviene un rituale che prevede lo scambio dei ruoli femminili e
maschili: le donne potranno cacciare, ubriacarsi, bere e divertirsi, mentre gli uomini saranno vestiti
da clown. Alla fine della giornata tutto tornerà alla normalità.
È proprio durante questa festività che Mary mette in atto il suo piano, attira l’uomo nel bosco,
facendogli credere di accettare il suo corteggiamento e poi lo uccide con un machete. In lei non c’è
pentimento, infatti torna alla festa e balla tranquillamente con le sue amiche, come se nulla fosse
successo. Mary viene descritta come una donna dalle forti capacità fisiche, in grado di farsi
rispettare, astuta e abile negli affari, decide di uccidere la “bestia” per vendetta personale e per
salvare il suo villaggio, piuttosto che diventare una vittima passiva.
Un’altra scrittrice, voce storica della realtà di un paese, il Sudafrica, è Bessie Head. Ha raccontato
nei suoi libri degli ultimi e, principalmente, della fatica e dell’ingiustizia subita dalle donne
africane. Le opere rispecchiano un disagio e una sofferenza interiore dovuti alla sua esperienza
personale.
La sua esistenza si intreccia con le vicende storiche del suo paese che, nel 1948, istituzionalizzò
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l’apartheid creando una repressione razzista sempre più soffocante che spinse Bessie Head a
traferirsi in Botswana come rifugiata. Si è sempre sentita un’emarginata, in Sudafrica, in quanto
meticcia e in Botswana perché, in seguito all’educazione e allo stile di vita di matrice inglese
ricevuto, non si rispecchiava nel mondo di tradizioni africane, arcaiche e tribali, di questo paese.
La sua è una storia di abbandono e rifiuti continui ma nonostante ciò è stata una donna dalla forza
sconvolgente che ha utilizzato la scrittura come arma per combattere una realtà fatta di solitudine
.
https://www.scrittidafrica.it/index.php?option=com_content&view=article&id=181:una-
questione-di-potere-di-bessie-head-sudafrica-a-cura-di-rosella-clavari&catid=57:i-grandi-
classici&Itemid=63
Un esempio della sua scrittura è 7 “The collector of treasures”, un insieme di racconti ambientati in
un villaggio del Botswana. Troviamo frammenti di vita quotidiana di donne di ogni età e ceto,
depositarie dei valori familiari e della tradizione ma, vittime del loro disgregarsi, come
conseguenza della colonizzazione. È anche una denuncia dei comportamenti oppressivi degli
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Sistema di segregazione razziale che esisteva in Sud Africa fino al 1994, consisteva nell'esclusione della maggior parte
della popolazione da una minoranza bianca.

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Bessie Head,The Collector of Treasures and Other Botswana Village Tales,1977
uomini nei confronti di donne e bambini. Head evidenzia questo tema descrivendo il contrasto fra
il matrimonio violento di Dikeledi, la protagonista, e Garesego, e il matrimonio ideale dei vicini
Kenalepe e Paul Thebolo.
I mariti delle donne rappresentano due diversi tipi di uomini: il primo, Garesego spinto solo dal
desiderio carnale, crea miseria e caos, si comporta come un animale, non si assume alcuna
responsabilità nei confronti dei figli, non è fedele, utilizza il sesso per esercitare potere sulla
moglie. Il secondo, rappresentato da Paul è l’uomo ideale per le donne, attento alle necessità e ai
desideri della moglie e dei figli nei cui confronti ha sentimenti teneri, rivolge tutte le sue risorse
verso la vita familiare e rende la vita sessuale piacevole alla moglie. Dikeledi dopo aver sopportato
abusi e tradimenti uccide il marito liberandosi e sovvertendo il sistema dominante. Dietro a questo
racconto c’è la donna giornalista e scrittrice che ha voluto sottolineare tre fasi vissute dalle
popolazioni dei villaggi in Sudafrica, nella prima fase vi è accoglienza, senza discussione, di regole
imposte che stabilivano il predominio degli uomini sulle donne. La seconda fase è rappresentata
dalla degradazione del colonialismo che ha creato emigrazione verso il Sudafrica distruggendo le
famiglie. La terza fase coincide con la fine della colonizzazione, in cui la donna rimane sola ma
riesce, a differenza degli uomini che hanno solo vuoto all’interno e rabbia, a crescere i bambini, ad
avere un’esistenza dignitosa, perché dentro hanno dei doni, delle capacità (lavorare a maglia,
cucire, intrecciare ceste). Le mani con le quali queste donne operano rappresentano le mani del
futuro come immagine di speranza e di miglioramento.

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«Non sono un uccello; e non c'è rete che possa intrappolarmi: sono una creatura umana libera,
con una libera volontà, che ora esercito lasciandovi.»

Questa citazione è tratta dal celebre romanzo di Charlotte Brontë “Jane Eyre”, già da questa frase
possiamo avere un’anticipazione di come sarà la protagonista di questa storia. Jane Eyre è un
romanzo in parte autobiografico, ci sono molti temi ricorrenti della vita di Charlotte Brontë:
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l’istruzione, la solitudine, il dolore, l’amore. La differenza tra l’autrice e la protagonista è però il
carattere, Jane è una persona decisa e dominante, è libera e indipendente, capace di prendere le
proprie decisioni e rappresenta un’eroina moderna, figura in contrapposizione con l’epoca
vittoriana in cui scrive Brontë. La scrittrice affronta con stile dei temi “tabù” o che erano
considerati tali, come il classismo, il rapporto tra i sessi, la religione e il proto-femminismo. Il
racconto parte dall’infanzia di Jane, divenuta orfana cresce con alcuni parenti che non l’accettano
e non la fanno diventare parte integrante della famiglia. Come desiderio di rivalsa per la mancanza
di considerazione si impegna negli studi e diventerà una maestra, verrà assunta come istitutrice
presso la Thornfield Hall e dovrà occuparsi di Adele, la figlia di Mr Rochester. L’incontro con
l’uomo la destabilizza, ne è attratta nonostante lui mostri un carattere burbero e taciturno, il loro è
un rapporto difficoltoso, ma quando l’uomo capisce che i suoi sentimenti sono ricambiati la chiede
in sposa. Jane però deve fare i conti un segreto che si cela in quella dimora: l’uomo è già sposato
con Bertha Mason, una donna diventata ormai pazza e tenuta segregata nella casa. Jane scappa e
nonostante l’ennesima sofferenza non crollerà. Trova rifugio presso un reverendo, St John, anche
lui la chiede in moglie e le promette una vita agiata ma Jane rifiuta perché nutre ancora dei
sentimenti per Mr. Rochester. La giovane decide di tornare a Thornfield Hall che nel frattempo è
stata colpita da un incendio appiccato dalla moglie pazza di Mr Rochester, la donna ha perso la vita
mentre l’uomo perde la vista. Il lieto fine arriva quando Jane e il padrone di casa finalmente si
sposano e l’uomo riesce e recuperare, anche se solo parzialmente, la vista. Jane e Bertha sono due
donne diverse, la prima è vista come un “angelo”, è pura, coraggiosa e indipendente, raffigura il
volto della società. La seconda invece è vista come un “mostro”, violenta, irrazionale e animalesca.
Bertha rappresenta tutto quello che Jane non potrà mai essere, è la conseguenza della repressione
dei desideri della donna. È importante focalizzarsi su come Jane abbia raggiunto la felicità e il suo
lieto fine; Bertha ne è stata responsabile: senza la sua pazzia, senza l‘incendio, Jane non avrebbe
potuto essere l’eroina della storia e sposare l‘uomo che ama. La folle donna, imprigionata dal
marito, non assume, però, importanza nella storia; è quasi una figura marginale, senza una voce.
Essa, però, sarà rivalutata quando, Jean Rhys, dopo aver letto Jane Eyre, scriverà 9Wide Sargasso
Sea. Questa opera affronta il complesso sistema di relazioni tra uomo e donna e temi
postcoloniali: il razzismo, la deportazione e l'assimilazione. In questo contesto, la scrittrice riesce a
modificare il personaggio: la donna non è più terrificante ma incute pietà.
Il romanzo ricostruisce la vita di Antoniette, la Bertha di Jane Eyre, una donna oppressa da una
società patriarcale e costantemente in bilico tra il mondo europeo e quello delle Indie occidentali,
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Jean Rhys, Wide Sargasso Sea, October 1966
ritrovandosi, essendo creola, a non essere considerata né bianca né nera. Stesso dramma
identitario, vissuto dalla autrice.
Ha inizio con la sua giovinezza, trascorsa in Giamaica. La sua infanzia è stata difficile, il fratello
muore e la madre impazzisce per il dolore. Antoniette verrà promessa in sposa a un giovane
gentiluomo inglese (ovvero il Signor Rochester, nonostante il nome non venga mai rivelato) e
questo sancirà l’inizio del declino della donna. L’unione, nonostante l’iniziale passione, diventerà
difficile per la differenza emotiva e culturale tra i coniugi. La donna si innamora dell’uomo ma esso
si presenta come un carnefice, ha un atteggiamento freddo e ostile, non la capisce e non è
interessato a farlo. Esso non si ritrova in quel mondo in cui vive, così lontano e diverso dalla sua
Inghilterra. Il rapporto con questo uomo sarà una delle cause scatenanti che porterà la
protagonista alla sua condizione mentale finale. Antoniette si è sempre sentita rifiutata dalle
persone incontrate nella sua vita; viene, inoltre, trasformata, non per suo volere, in qualcun altro,
cioè in Bertha, originariamente il nome di sua madre, dal marito. Egli inizia, infatti, con la scusa che
il nome fosse più piacevole, a chiamarla in questo modo, come se volesse farla diventare ciò che
lui vuole: una persona meno 'esotica' e più familiare.
Per Antoniette, però, la madre è una figura complessa nei suoi ricordi, perché in seguito agli eventi
della vita, aveva perso la ragione, quindi la donna è ossessionata e teme di avere ereditato la follia
della madre, ma anche che Rochester non la ami. Antoniette cerca di rinnegare le sue radici e il
mondo caraibico dentro di sé, ma allo stesso tempo non riesce a non amare i luoghi della sua
infanzia. Rappresenta il simbolo dell'oppressione ed eliminazione culturale che le persone dalle
colonie erano costrette a subire, dovendo completamente rinnegare la propria cultura di
provenienza per sottomettersi a quella dominante. La donna, infine, viene trascinata in Inghilterra,
un luogo a lei estraneo, e questo la porta, definitivamente, nel baratro; cede alla pazzia perché
privata della sua identità, del suo luogo di appartenenza e del suo mondo. Alla fine del romanzo,
decide di dare fuoco a Thornfield Hall, ricollegandosi, in questo modo a Jane Eyre. È lucida ed è
convinta che solo attraverso la morte impedirà che nel futuro qualcuno la possa ancora possedere
o rendere qualcosa di diverso da quello che è. Il fuoco è l’unico modo per riconquistare sé stessa.

http://www.erigibbi.it/2020/11/02/il-grande-mare-dei-sargassi-jean-rhys-recensione-libro/

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Gli studi post coloniali analizzano i cambiamenti e le conseguenze sociali e culturali legate alla fine
del colonialismo europeo, a partire dagli anni settanta del secolo scorso. Il colonialismo è un
fenomeno che ha portato a far si che la maggior parte del mondo conosciuto sotto il dominio
europeo caratterizzato dal dominio delle principali nazioni europee L’attenzione è stata posta nei
confronti sia dei paesi colonizzatori sia dei paesi colonizzati per delineare i rapporti di forza tra
queste due realtà. Si affermano in seguito al declino e al crollo del colonialismo europeo a partire
dagli anni sessanta del secolo scorso. Il prefisso post in senso letterale potrebbe far pensare a una
frattura con il passaggio coloniale ma gli studi hanno sovvertito questo iniziale significato. Post
coloniale non deve essere inteso come ciò che viene dopo il colonialismo ma ciò che del
colonialismo è ancora presente. Indicando un insieme di pratiche di resistenza neocoloniale, cioè
resistenza o anche forme di dominio e conquista.

Il ventesimo secolo è stato caratterizzato da trasformazioni di carattere politico, culturale,


economico e sociale, che hanno investito la totalità del globo. In questo contesto, inseriamo, la
decolonizzazione dell’Africa e dell’Asia, che segna una variazione nello scenario internazionale.
La fine del dominio, da parte di alcune nazioni europee, su questi paesi, porterà alla liberazione
di più della metà della popolazione mondiale. Questo processo ha generato gli “studi
postcoloniali”, una serie di riflessioni che abbracciano vari campi, dalle discipline letterarie a
quelle storico-sociali, e si soffermano sui rapporti tra paesi colonizzati e i paesi colonizzatori.
Post coloniale, però, non vuole intendere posteriorità cronologica o superamento della
condizione coloniale, ma una analisi attenta e critica sulle continue influenze del colonialismo e il
perpetuare di dinamiche di predominio tra l’occidente e gli “altri”. Gli studi postcoloniali hanno
sottolineato la necessità di avere una lettura diversa degli avvenimenti, non solo dal punto di
vista degli egemoni ma anche dei subalterni. La storia non è più unica perché al suo interno ci
sono elementi che per molto tempo sono stati ignorati. L’opera più rappresentativa di questi
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studi è Orientalism di Edward Said, scrittore e docente nell’università di New York. Nato in
Israele, per sfuggire al conflitto israelo-palestinese, si spostò al Cairo dove visse e studiò fino al
suo trasferimento negli USA. Il rapporto complicato tra occidente e oriente l’ha profondamente
segnato contribuendo alla formazione del suo pensiero e quindi alla produzione delle sue opere.
Said sostiene che l’idea dell’oriente tramandata negli anni sia stata interamente plasmata
dall’occidente che ha diffuso una serie di concetti e di immagini fuorvianti che non esprimono la
vera identità culturale di questo popolo, identificato come altro, come diverso. Ad esempio il
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Said E., Orientalism, 1978
popolo palestinese viene visto come un popolo dedito esclusivamente alla guerra e alla violenza
ma nessuno sa cosa c’è dietro: la loro cultura, la loro storia, la loro quotidianità. Tutto è stato
volutamente celato, per differenziarli e creare il concetto di “altro” dietro il quale è sottintesa
una superiorità occidentale

La critica postcoloniale è un termine applicato principalmente alle analisi


del potere e delle relazioni politiche ed estetiche nei paesi amministrati
dalle potenze coloniali nel XIX e all’inizio del XX secolo. Particolari aree di
enfasi includono il subcontinente indiano, l’Africa settentrionale e centrale
e il sud-est asiatico. Queste regioni erano sotto il controllo di potenze
coloniali come Inghilterra, Stati Uniti e Francia. Sebbene la critica
postcoloniale comprenda un’ampia varietà di aree accademiche, tra cui
cinema, filosofia e sociologia, l’attenzione si concentra generalmente sulla
letteratura prodotta nelle ex colonie e sulla risposta dell’ex colonizzatore.
Edward Said, Homi Bhabha e Gayatri Chakravorty Spivak sono importanti
esponenti della critica postcoloniale.

Lo scopo generale di impegnarsi nella critica postcoloniale è quello di


aprire uno spazio in cui è possibile resistere agli effetti residui del
colonialismo. Non si tratta di restaurare le culture precoloniali, ma
piuttosto di mostrare come ex colonia e colonizzatore possano stabilire un
rapporto di mutuo rispetto in un mondo postcoloniale. Un aspetto
importante di questa critica è quello di esporre e decostruire i presupposti
razzisti e imperialisti della logica coloniale che ancora influenzano le
relazioni tra le nazioni. Si ritiene che tale esposizione aiuti a ridurre il loro
potere.

Ci sono molte diverse scuole di pensiero all’interno della critica


postcoloniale su come raggiungere questi obiettivi. Uno dei testi
fondamentali del settore è Orientalism di Said, pubblicato nel 1978. Said ha
studiato il rapporto tra potere e conoscenza nella dominazione occidentale
dell’Oriente. È particolarmente critico su come l’Occidente vede la cultura e
la letteratura orientali e orientali come irrazionali, depravate e infantili.
Questa è l’essenza dell’orientalismo come definito da Said.

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