Sei sulla pagina 1di 2

CANTO I

8) L’anima umana, sebbene sia spinta istintivamente verso il bene, non è soggetta a un determinismo
divino, non è necessitata a rivolgere il proprio amore verso il sommo bene in quanto è dotata di libero
arbitrio. Di conseguenza è possibile che l’uomo, essendo dotato di volontà, sia deviato verso la terra
poiché attratto dai piaceri terreni. Efficace in questo senso la similitudine al verso 133: l’uomo può
rivolgersi al male, come il fuoco del fulmine può cadere giù dalle nubi. Difatti, il fulmine costituisce
un’eccezione alla regolarità, che prevede che il fuoco tenda per istinto verso l’alto per ricongiungersi alla
sfera del fuoco. Tale aspetto si riconnette alla riflessione già proposta da Marco Lombardo nel canto 16
del Purgatorio, nel quale l’anima era stata paragonata ad una fanciullina ingenua, che confonde il sommo
bene con i beni effimeri, fugaci e mondani.
11) A vv. 127-132, Dante fa ricorso alla similitudine della materia che, se non è disposta a ricevere la
forma voluta dall’artista, non corrisponde alla sua intenzione, così come l’uomo, che ha la possibilità di
deviare verso altre direzioni, vale a dire il peccato, si allontana dalla via assegnata, nonostante questa sia
ben indirizzata e corrisponda all’ordine universale voluto da Dio.
Nei vv. 137-138, è presente una similitudine tratta dal mondo naturale attraverso cui Beatrice fa presente
a Dante che non deve meravigliarsi del fatto che stia ascendendo come non si stupirebbe se vedesse un
fiume scendere dal monte verso il basso.
Nei vv. 141-142 è presente un’altra similitudine che ha a che fare con i fenomeni fisici, attraverso cui
viene sottolineato che Dante dovrebbe stupirsi se, ormai libero dal peccato, purificato dal male e entrato
in una condizione di piena e autentica comunione con Dio, fosse rimasto fermo sulla terra, come si
meraviglierebbe se vedesse una fiamma accesa rimanere immobile a terra. In effetti, la fiamma è sempre
guizzante, dinamica, non hai mai quiete. Con questo passaggio, Dante, utilizzando l’immagine del fuoco,
anche come metafora della carità e dell’ardore della fede, evidenzia come sia del tutto naturale che le
creature purificate anche dal peccato originale abbiano una tensione istintiva e spontanea ad ascendere
verso Dio, in quanto non c’è più niente che possa impedire il proseguimento di tale percorso.
7) In questo canto, Beatrice, rivolgendosi verso Dante come una madre verso il figlio delirante, fornisce
una spiegazione dottrinale prendendo come modelli il summa teologie di San tommaso, affermando che
tutte le cose create sono disposte in maniera ordinata fra di loro e questo ordine è la caratteristica che
rende l’universo simile a Dio. La perfezione di questo ordine viene colta dagli esseri dotati di ragione,
ovvero gli angeli e gli uomini, che riconoscono l’impronta di Dio, e comprendono che esso è il fine di
tutto l’universo. Agli esseri creati, inoltre, vengono assegnate diverse condizioni, che li rendono più o
meno vicini a Dio e di riflesso si muovono verso mete diverse spinti da una inclinazione naturale istintiva
e spontanea. Significativa è la metafora del porto, ossia la meta da raggiungere che si connette
all’immagine del gran mar dell’essere (v.113). E’ anche precisato il ruolo della Provvidenza, ossia
l’intervento di Dio a soccorso degli uomini, spiegato con la metafora dell’arco, nel quale la corda è
l’istinto che indirizza la freccia, cioè la creatura, verso l’Empireo.
CANTO III
3) Le anime del cielo della luna si presentano con delle fattezze indefinite. Dante fa ricorso alla immagine
della perla su una fronte bianca, oggetto con cui le donne al tempo erano solite ornare il volto, il cui
incarnato, nell’ideale estetico medievale, era particolarmente chiaro, pallido. Così queste anime hanno
una luminosità perlacea che conferisce loro raffinatezza e al tempo stesso somiglianza con la luna ma
sono talmente evanescenti che Dante scambia erroneamente i loro volti con delle immagini riflesse,
incorrendo nell’errore opposto a quello commesso da Narciso, che specchiandosi a una fonte, aveva
scambiato la propria immagine riflessa per una persona.
6) Piccarda, dopo aver affermato che risiede nel cielo della Luna, che è il più piccolo, il più lento e il più
distante dall’Empireo, precisa che questa condizione di apparente inferiorità nel paradiso, dovuta al fatto
che fu prelevata forzatamente da un convento e costretta a sposarsi, in realtà non genera in lei e negli altri
beati né invidia verso le anime beate che stanno su un livello superiore, nè senso di inappagamento e di
infelicità. Questo perché la potenza dell’amore e della carità è sufficiente per appagare la loro volontà e
desiderare profondamente ciò che è voluto e stabilito da Dio. In questo modo risulta evidente come la
legge dell’amore si identifichi con la giustizia, e di conseguenza non sia possibile che ci siano atti di
ribellione contro la volontà divina, che viene paragonata ad un mare verso il quale converge tutto ciò che
la natura produce e che garantisce pace eterna.
11) “Dio solo sa quale fu poi la mia vita”, Con questa espressione, Piccarda con delicatezza e pudore non
accenna a ciò che accadde dopo il rapimento e la deportazione dal convento, non con un sentimento di
odio nei confronti dei rapitori, perché ormai è in una condizione di beatitudine eterna, ma con un sereno
distacco e una senso di amarezza, in riferimento alla estrema violenza a cui erano potuti giungere quegli
uomini. Nella realtà sappiamo che fu costretta da Corso a sposare Rossellino della Tosa, nell’ambito di un
accordo politico e che morì abbastanza giovane. Dante potrebbe aver alluso con questa espressione anche
ad una leggenda secondo cui Piccarda sarebbe morta proprio il giorno stesso del rapimento ma tale
testimonianza è infondata.

Potrebbero piacerti anche