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LA CONDIZIONE DELLA DONNA

DUDNYK ANASTASIIA

MATRICOLA: 526316

LINGUE, LETTERATURE STRANIERE E TECNICHE DELLA


MEDIAZIONE LINGUISTICA

2021/2022
LA CONDIZIONE DELLA DONNA

   Parlare della condizione femminile


significa interrogarsi sul ruolo della donna nel
mondo di oggi, valutare le disuguaglianze
nelle condizioni di vita e nelle opportunità
concesse a entrambi i sessi, prendere atto dei
progressi che le donne hanno compiuto nel
corso dei secoli per conquistare un posto
migliore nella società in cui vivono. 
   Malgrado le conquiste sociali e materiali
degli ultimi decenni, la discriminazione della
donna è diffusa in tutte le società, sotto il
profilo sia economico sia culturale, anche se
con gradi e in forme diverse da paese e paese.
Esistono ancora forti disuguaglianze tra i
generi molto evidenti soprattutto nei paesi
meno sviluppati. In queste aree, le donne sono
generalmente meno istruite degli uomini ed
economicamente più deboli, hanno minore
accesso ai bisogni fondamentali, come cibo e cure mediche.
   A volte, più che i fattori economici, sono gli aspetti culturali e religiosi a influire
sulle disuguaglianze di genere. Per esempio, nei paesi islamici prevale una
mentalità conservatrice che discrimina la donna e la costringe a vivere in una
situazione subalterna. In diversi stati a maggioranza islamica vige una netta
separazione tra spazi maschili e femminili, e la partecipazione femminile alla vita
politica e sociale è scarsa. Sono imposti il velo o altri tipi di abbigliamento per
celare le forme del corpo, e spesso le donne sono vittime di violenze non punite
dalla legge. La violenza contro le donne – spesso chiamata violenza di genere – ha

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radici storiche e culturali lontane e denota la sopraffazione dell’uomo sulla donna,
considerata un oggetto privo di dignità e diritti, e di cui si crede di avere la
proprietà. Per esempio, in alcuni paesi vige ancora l’antica usanza del delitto
d’onore, che consente di uccidere le donne che abbiano «macchiato la
reputazione» del marito, della famiglia o della comunità, per esempio perché hanno
compiuto adulterio o sono state violentate. Alcuni rapporti internazionali stimano
che ogni anno, nei paesi musulmani, circa 20000 donne vengono giustiziate con i
metodi più crudeli.
   In molti paesi del mondo è diffusa la pratica dei matrimoni precoci, che
riguarda i giovani nella fascia d’età tra i 15 e i 18 anni. Sono le femmine le
principali vittime dei matrimoni forzati: oltre 720 milioni di donne si sono sposate
prima dei 18 anni con uomini molto più vecchi e mai incontrati prima. Circa 250
milioni di queste donne si sono sposate prima dei 15 anni: si tratta delle cosiddette
spose bambine. Il fenomeno dei matrimoni precoci è diffuso soprattutto nell’Asia
meridionale e nell’Africa subsahariana.
   Negli ultimi decenni sono stati fatti enormi progressi da parte della società e
delle istituzioni nella lotta alla violenza di genere. Negli anni Settanta l’ONU ha
redatto la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione
della donna (CEDAW). Nel 2011 è stata approvata dal Consiglio d’Europa la
Convenzione di Istanbul, che afferma che la violenza contro le donne è una
violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione.
   Nei paesi democratici i diritti delle donne sono legalmente riconosciuti, le
donne sono inserite in tutti i campi della vita sociale, economica e politica e
possono determinare il proprio ruolo in modo autonomo. Tuttavia, soprattutto in
ambito lavorativo, ci sono ancora diversi ostacoli da superare: infatti, sono poche
le donne che occupano posizioni di primo piano nelle aziende e nei partiti politici,
e moltissime faticano a conciliare la vita domestica con quella professionale. 

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  In riferimento alle barriere al raggiungimento delle carriere di alto livello per le
donne dal movimento femminista è stata coniata la metafora il “soffitto di
cristallo” o anche il “tetto di cristallo” (dall'espressione inglese glass ceiling). 

Il Global Gender Gap Index

   Il World Economic Forum, nel 2006, ha introdotto il Global Gender Gap Index,
che misura l’equità di genere, all’interno di un paese, basandosi su quattro
indicatori principali: salute, educazione, economia e politica. Il punteggio più
alto possibile è 1 (uguaglianza), mentre se si avvicina allo 0 indica disuguaglianza.
Nel 2016, con punteggi molto vicini a 1, Islanda, Norvegia e Finlandia hanno
ricoperto le prime tre posizioni (Fonte: World Economic Forum). 
   Nel 2015, su 145 Paesi, l'Italia si trovava al 41º  posto per uguaglianza di
genere.
1 Islanda 0.878
2 Norvegia 0.830
3 Finlandia 0.823
4 Ruanda 0.822
5 Svezia 0.816
6 Nicaragua 0.814
7 Slovenia 0.805
8 Irlanda 0.794
9 Nuova Zelanda 0.791
10 Filippine 0.790

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Gender Pay Gap

    è la differenza di stipendio tra


uomini e donne e si riferisce alla
retribuzione annua media di tutte le
donne rispetto ad una coorte simile di
uomini a parità di mansione. In generale,
le donne guadagnano quasi la metà di
quello che guadagnano gli uomini, anche
quando svolgono un lavoro di pari grado.
Secondo un indice che misura la paga oraria, nell’Unione Europea le donne in
media guadagnano il 16,7% in meno degli uomini. Questa forbice varia a seconda
dei Paesi: è inferiore al 10% in Slovenia, Malta, Polonia, Italia, Lussemburgo e
Romania, mentre supera il 20% in Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca,
Germania, Austria ed Estonia. 
   Le lunghe ore di lavoro hanno un maggior impatto sulle donne che sono ancora
le prime a prendersi cura della casa e della famiglia riducendo così le loro opzioni
lavorative.

Le quote rosa

  Le cosiddette quote “rosa”


sono uno strumento mirato a
garantire la parità di genere
nell’organico di determinate
strutture pubbliche e private:
imprese, istituzioni educative,
organismi decisionali. Sono
misure che vengono introdotte per garantire la rappresentatività femminile in ogni

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settore della società. Da qui il modo comune di chiamare le quote di genere,
“rosa”.
   In politica, le quote sono definite attraverso regole legali (legislative o
costituzionali) e disposizioni interne agli statuti dei partiti che fissano una
percentuale minima per ogni genere nella composizione delle liste elettorali, al fine
di riequilibrare la presenza dei due generi nelle assemblee rappresentative che è,
storicamente, a sfavore delle donne. 
   Ragionando su scala globale, basti pensare che “nel 1975 nei parlamenti di tutto
il mondo le donne erano il 10,9 per cento. Nel 2010 sono salite al 18 per cento.
Cioè, un aumento del 7 per cento in 35 anni. A questo ritmo ci vorranno 160 anni
per raggiungere la parità”. In base a queste considerazioni, l’Assemblea
parlamentare del Consiglio d’Europa si è espresso a favore di misure
antidiscriminatorie da introdurre nei sistemi elettorali di tutti i paesi membri.
  In ambito economico invece, in Italia il sistema di quotazione è regolamentato
dalla legge Golfo-Mosca del 2011. Alla sua entrata in vigore la legge fissava la
quota al 20%, portata poi a 30% nel 2015. A dicembre 2019, un emendamento
alla legge di bilancio 2020 ha prorogato le disposizioni previste dalla Golfo-
Mosca, che sarebbe altrimenti scaduta nel 2022, e innalzato la quota di genere al
40% per i cda (consiglio di amministrazione) e i collegi sindacali delle società
quotate.
 Dall'entrata in vigore della legge, la percentuale di presenza femminile è
aumentata nei cda delle società quotate in borsa e di quelle a controllo pubblico.
Osservando le società singolarmente, il rapporto sottolinea che sono poche quelle
dove la presenza femminile è cresciuta oltre la quota stabilita. Per quanto riguarda
invece le società non soggette all'obbligo delle quote, non si registra alcuna
influenza positiva della legge.
  Complessivamente, possiamo quindi dire che il sistema delle quote di genere
fatica, a oggi, a spingere verso un miglioramento della presenza femminile nel
mondo del lavoro che vada al di là dei limiti imposti per legge. E che favorisca

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anche un cambiamento sociale e culturale dell'immagine della donna, in ambito
lavorativo e non.

  
Pari opportunità

   Le pari opportunità sono un principio giuridico inteso come l'assenza di


ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo
per ragioni connesse al genere, religione e convinzioni personali, razza e origine
etnica, disabilità, età, orientamento sessuale o politico.
   La moderna normativa sulle pari opportunità è anticipata, in Italia, dalla
Costituzione agli artt. 3, 37, 51 e 117.
   In Italia, la Corte costituzionale con la sentenza n. 49/2003, ha riconosciuto che
“la finalità di conseguire una ‘parità effettiva’ fra uomini e donne anche
nell’accesso alla rappresentanza elettiva è positivamente apprezzabile dal punto di
vista costituzionale”.
  Nel 2003, l’articolo 51 della Costituzione è stato riformato con un’integrazione
che recita: "Tutti i cittadini dell'uno o dell'altro sesso possono accedere agli uffici
pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti
stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti
le pari opportunità tra donne e uomini". Questa modifica è volta dare copertura
costituzionale a tutti quei provvedimenti legislativi ed amministrativi con i quali si
intendono garantire forme di partecipazione paritaria tra donne e uomini, in
particolare alla designazione di cariche elettive.   

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   Fra i Trattati dell’Unione Europea relativi alle tematiche di Pari Opportunità è
opportuno citare:
   Trattato di Maastricht (1993), art. 119: parità di retribuzione fra uomo e donna
per uno stesso lavoro.
   Trattato di Amsterdam (1997): fra le varie cose, promuove la parità di genere,
contrasta le discriminazioni di genere, include i diritti della donna fra i diritti
sociali fondamentali e promuove l’adozione di misure volte a facilitare le attività
professionali avviate dalle donne.
   La Costituzione della Repubblica Italiana rappresenta per le donne un forte punto
di svolta rispetto al passato. La donna ha conseguito il diritto ad avere uguali
retribuzioni a parità di lavoro, a vedere riconosciuta l’uguaglianza di diritti e doveri
nella famiglia, a godere di uguali possibilità sia di occupazione sia di studio e vede
riconosciuto il suo diritto alla partecipazione attiva alla vita politica.
   Diversi sono gli articoli della Carta Costituzionale dedicati alla donna:
 
Art.4
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le
condizioni che rendano effettivo questo diritto…”
laddove proprio in questo settore per lungo tempo le donne hanno incontrato gli
ostacoli più difficili da abbattere.
 
Art.29
“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul
matrimonio. Il matrimonio e` ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare.” 
il quale precisa che per lo Stato Italiano l’atto giuridico del matrimonio rappresenta
il vincolo che pone sullo stesso piano il marito e la moglie, sancendo diritti e
doveri conseguenti a carico di entrambe le parti in egual misura.
   Altri importanti articoli Costituzionali riguardano il ruolo della donna nella
società:
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 L’art. 30 regola il diritto-dovere dei genitori nell istruire ed educare la  prole, e
pone limiti e norme per la ricerca della
paternità;
 L’art. 36 dispone che “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione
proporzionata alla quantita` e qualita` del
suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad
assicurare a sé e alla famiglia
un’esistenza libera e dignitosa.” Va
precisato che in aggiunta a tale articolo, per quanto riguarda il diritto al
lavoro femminile, va citata anche la legge n.1204/1971, che riguarda le
lavoratrici madri. In base a questa legge diviene effettivo il divieto di
licenziare la lavoratrice dal momento di inizio della gravidanza fino al
compimento di un anno di età del bambino, salvo che in caso di giusta causa
del licenziamento dovuta a colpa grave della lavoratrice. Questa legge,
inoltre, fissa una specifica limitazione della capacità di lavoro della donna
nel periodo della maternità e stabilisce il divieto assoluto di adibire la donna
al lavoro nei due mesi precedenti la data presunta per il parto e nei tre mesi
successivi ad esso. Viene altresi stabilito che per tutta la durata della
gravidanza e fino a sette mesi dopo il parto la donna non può essere adibita
al trasporto e sollevamento di pesi e più in generale a lavori pericolosi,
insalubri o faticosi. La Legge n.1204/71 regola l’astensione facoltativa dal
lavoro in relazione alle esigenze psicofisiche del bambino (fino ai 6 mesi
durante il primo anno di età del minore, nonchè in occasione di malattia del
bambino fino ai 3 anni e due ore giornaliere per l’allattamento durante il
primo anno).
 Tali norme riflettono quanto sancito anche nell’art. 37 della Costituzione
che appunto afferma la parità nel campo del lavoro: “La donna lavoratrice
ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al
lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della
sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una
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speciale adeguata protezione”. Per quanto concerne la pari retribuzione, il
concetto espresso dalla Costituzione italiana e’ stato espressamente riportato
anche nella normativa europea, laddove nella direttiva CEE 117/75 si
stabilisce il divieto di discriminazione retributive nei confronti della donna
lavoratrice.
 L’art. 48 ricorda che “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che
hanno raggiunto la maggiore età...”;
 L’art. 51 afferma che “Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono
accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di
eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la
Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra
uomini e donne...”;
I diritti delle donne sono dunque riconosciuti in diversi articoli della Legge
fondamentale dello Stato italiano, ma continuano ad esserci disparità e difficoltà
nelle quotidianità. Nonostante i passi fatti sul piano legislativo, sarà solo in un
momento molto posteriore al 1848 che la donna vedrà attuati i suoi diritti
costituzionali.
Nel 1975 la riforma del diritto di famiglia (Legge 151/1975) sostiene il
riconoscimento del principio di uguaglianza tra marito e moglie e il bisogno
dell’accordo tra i coniugi per realizzare l’unità familiare, abolisce, inoltre, la dote e
la patria potestà per la donna. Qualche anno prima con la Legge del 1970 viene
sancito il diritto al divorzio, ma solo nel 1978 verrà stabilito il diritto
all’interruzione della gravidanza.
Ancora oggi è, tuttavia, in corso il processo legislativo verso una piena
emancipazione femminile, in cui la donna sia libera da pregiudizi sessisti e dai
vincoli di tradizionale soggezione. Nella vita di tutti i giorni, sia a livello
famigliare sia nel mondo del lavoro, ancora si verificano discriminazioni dirette e
indirette dovute al permanere nella nostra cultura di concezioni che tendono a
considerare la donna in posizione di subalternità e insufficienza.

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  È vero che oggi le donne hanno occupato tutti i settori della vita pubblica, hanno
migliorato la loro posizione all’interno della famiglia, hanno diritto al lavoro, alla
gravidanza, all’educazione dei figli e le ragazze madri hanno anche diritto a
rivendicare la paternità per consentire al nascituro la rintracciabilità della sua
origine, ma nonostante la dichiarata parità le donne continuano a dover lottare,
sempre molto più degli uomini, per vedere riconosciuti quei diritti già sanciti
solennemente, e avere pari opportunità nei vari ambiti della vita sociale.   

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