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1.

Curve in Rn

1.1 Definizioni

Definizione 1.1 Sia γ ⊂ Rn , n ≥ 2 e sia r(t) : (a, b) → Rn una funzione continua in (a, b) tale che
r(a, b) = γ. In tal caso diremo che r è una parametrizzazione di γ e la coppia (γ, r) si dirà curva in
Rn .

Definizione 1.2 Sia (γ, r) una curva in Rn .

1) Se r(t) è iniettiva la curva si dice semplice;

2) Se esiste un piano π che contiene γ, la curva si dice piana;

3) Se r(a) = r(b) la curva si dice chiusa;

4) In caso di curva chiusa, essa si dirà semplice se r(t) è iniettiva in [a, b[;

Teorema 1.1 (di Jordan) Ogni curva piana, semplice e chiusa è la completa frontiera di due aperti
connessi; uno è limitato e si chiama interno di γ, uno è non limitato e si chiama esterno di γ.

Definizione 1.3 Una curva piana, semplice e chiusa si dice curva di Jordan.

Definizione 1.4 Una curva (γ, r) si dice regolare se:

1) r ∈ C 1 ([a, b]);

2) r0 6= 0, ∀t ∈ [a, b];

3) r pone [a, b] e γ in corrispondenza biunivoca (se la curva è chiusa si richiede la corrispondenza


biunivoca tra [a, b[ e γ).

Esempio 1.1 (grafici di funzioni regolari) Sia f : [a, b] → R una funzione di classe C 1 ([a, b]) e sia
γ il grafico di f. Poniamo r(t) = (t, f (t)) ∀t ∈ [a, b].
La curva cosı̀ definita è ovviamente regolare.
Definizione 1.5 Data una curva (γ, r) regolare il vettore

r0 (t)
T : [a, b] → Rn , T (t) = , ∀t ∈ [a, b]
kr0 (t)k

si chiama versore tangente alla curva nel punto r(t).


0
Nel caso dell’ esempio precedente risulta T (t) = √(1,f (t))
02
∀t ∈ [a, b].
1+f (t)
n
Esempio 1.2 (segmento) Siano P1 , P2 ∈ R , P1 6= P2 e sia

r : [0, 1] → Rn r(t) = tP2 + (1 − t)P1 .


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P2 −P1
Risulta, r0 (t) = P2 − P1 6= 0 e la curva è regolare. Il versore tangente è T (t) = kP2 −P1 k .

Definizione 1.6 Sia (γ, r) una curva in Rn . Se è possibile suddividere l’intervallo [a, b] in un nu-
mero finito di sottointervalli in modo che la restrizione di r a ciascuno di essi dia luogo ad una
curva regolare allora la curva si dirà generalmente regolare.

Esempio 1.3 Sia r : [−1, 1] → R2 r(t) = (t, |t|). La curva è generalmente regolare. In-
fatti possiamo decomporre l’intervallo [−1, 1] pensandolo come unione di [−1, 0] e [0, 1]. Le curve
(γ1 , r1 ), (γ2 , r2 ) dove r1 , r2 sono rispettivamente le restrizioni di r agli intervalli [−1, 0] e [0, 1] sono
entrambe regolari perchè grafici di funzioni regolari.

Definizione 1.7 Sia (γ, r) una curva regolare, r : [a, b] → Rn e sia ϕ : [a0 , b0 ] → [a, b] tale che
ϕ ∈ C 1 ([a0 , b0 ]), ϕ0 (t) 6= 0 ∀t ∈ [a0 , b0 ].
Sia
r̄ : [a0 , b0 ] → Rn r̄(τ ) = r(ϕ(τ )) ∀τ ∈ [a0 , b0 ].
Poichè
r̄0 = r0 (ϕ(τ ))ϕ0 (τ )
la nuova curva è regolare. Tale curva si dice equivalente alla curva data. La funzione ϕ induce
una relazione di equivalenza nell’ insieme delle curve in Rn ed identificando tra loro tutte le curve
equivalenti ad una data otteniamo due classi di equivalenza a seconda del segno della funzione ϕ0 .
Queste due classi si denotano con γ + , γ − e quando si sceglie una di queste due classi si dice che
è stato scelto un verso di percorrenza sulla curva. La curva, munita in tal modo di un verso di
percorrenza, si dice orientata.

Esempio 1.4 Sia (γ, r) una curva regolare e sia ϕ(t) = b + a − t. La curva
r̄(t) = r(ϕ(t)) = r(b + a − t) ∀t ∈ [a, b]
si dice curva opposta a γ e si denota con il simbolo −γ.

Definiamo lunghezza di un segmento di estremi P1 , P2 il numero kP2 − P1 k e lunghezza di una


poligonale la somma delle lunghezze dei suoi lati. Sia adesso (γ, r) una curva e sia
∆ ≡ {a ≡ t0 < t1 < . . . < tn−1 < tn ≡ b}
una decomposizione di [a, b]. I punti r(t0 ), . . . , r(tn ) individuano una poligonale π i cui vertici
Pn−1
appartengono a γ. La lunghezza di tale poligonale è lπ = i=0 kr(ti+1 ) − r(ti )k. Se l’insieme
numerico descritto da lπ al variare, in tutti i modi possibili delle decomposizioni ∆ di [a, b] è
limitato superiormente diremo che la curva è rettificabile e l’estremo superiore di tale insieme
numerico si dirà lunghezza della curva γ. In caso contrario la curva si dirà non rettificabile.

Esempio 1.5 (di curva non rettificabile)


Sia r(t) = (t, ϕ(t)) dove
 t sen π

t ∈]0, 1];
ϕ(t) = 2t
 0 t = 0.

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Proviamo che tale curva non è rettificabile. Infatti, poniamo


 
1 1 1 1
∆n ≡ 0, , ,..., , ,1 n ∈ N.
2n + 1 2n − 1 5 3

Si ha
n−1
X n−1
X
ln = kr(tj+1 ) − r(tj )k ≥ kr(tj+1 ) − r(tj )k =
j=0 j=1
s
n−1 2  2
X 1 1 1 π 1 π
= − + sen (2j + 1) − sen (2j − 1) ≥
j=1
2j + 1 2j − 1 2j + 1 2 2j − 1 2
n−1
X (−1)j n−1 n−1
(−1)j−1 X 1 1 X 4j
≥ 2j + 1 − 2j − 1 =

2j + 1 + 2j − 1 = → +∞
j=1 j=1 j=1
4j 2 − 1

P∞ 4n
perchè la serie n=1 4n2 −1 diverge.

Siano r1 : [a, b] → Rn , r2 : [b, c] → Rn e (γ1 , r1 ), (γ2 , r2 ) due curve tali che r1 (b) = r2 (b). Allora,
posto (
r1 (t) t ∈ [a, b];
r(t) =
r2 (t) t ∈ [b, c]

e γ = γ1 ∪ γ2 la curva (γ, r) si dice la curva unione delle due curve date. In generale la curva
unione di due curve regolari non è regolare. Dalla definizione di lunghezza di una curva, segue
immediatamente
Teorema 1.2 Sia γ = γ1 ∪ . . . ∪ γN e supponiamo γi rettificabile di lunghezza li , i = 1, . . . , N.
Allora γ è rettificabile e, detta l la sua lunghezza, si ha l = l1 + · · · + lN .

Il prossimo teorema da una formula per il calcolo della lunghezza.


Teorema 1.3 Sia γ una curva di classe C 1 . Allora γ è rettificabile e, detta l la sua lunghezza, si
ha Z b
l= kr0 (t)kdt.
a

Osservazione 1.1 Curve equivalenti hanno equale lunghezza

Sia (γ, r̄) una curva equivalente a (γ, r) e, per fissare le idee, sia ϕ0 > 0 (ϕ : [a0 , b0 ] → [a, b] è la
funzione che stabilisce l’equivalenza). Allora, integrando per sostituzione (t = ϕ(τ )) si ottiene
Z b Z b0 Z b0 Z b0
l= 0
kr (t)kdt = 0 0
kr (τ )kϕ (τ )dτ = 0 0
kr (τ )ϕ (τ )kdτ = kr̄0 (τ )kdτ = ¯l.
a a0 a0 a0

Sia (γ, r) una curva regolare di lunghezza l > 0. Poniamo


Z t
s(t) = kr0 (u)kdu ∀t ∈ [a, b].
a

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La funzione s è crescente perchè s0 (t) = kr0 (t)k > 0 ∀t ∈ [a, b] ed il codominio di s è [0, l]. Sia
t : [0, l] → [a, b] la funzione inversa si s(t). La curva r̃(s) = r(t(s)) è equivalente alla curva data e la
funzione r̃ si chiama equazione naturale della curva data o rappresentazione in funzione dell’ ascissa
curvilinea. Naturalmente il discorso fatto sin qui si può ripetere fissando un punto t0 ∈]a, b] invece
di a. Ciò consente di stabilire un sistema di riferimento intrinseco sulla curva in cui r(t0 ) = O sarà
l’origine.

Esempio 1.6 Se γ è il segmento di estremi P0 , P1 di equazione r(t) = tP1 + (1 − t)P0 t ∈ [0, 1]


allora Z t
s(t) = kr0 (u)kdu = tkP1 − P0 k.
0

Esempio 1.7 Se γ è la circonferenza di equazione r(t) = (% cos t, % sen t) t ∈ [0, 2π] allora
Z t Z t
0
s(t) = kr (u)kdu = % du = t%;
0 0

1.2 Integrali curvilinei

Sia γ una curva generalmente regolare contenuta in Ω con Ω sottoinsieme aperto di Rn e sia
f : Ω → Rn una funzione continua. Se γ è regolare poniamo, per definizione,
Z Z b
f ds = f (r(t))kr0 (t)kdt
γ a

che si chiama integrale curvilineo, esteso alla curva γ, della funzione f. P


Se γ è Rgeneralmente regolare
R N
sia γ = γ1 ∪ · · · ∪ γN dove le γi sono curve regolari. Si pone γ f ds = j=1 γj f ds

Teorema 2.1 (Proprietà dell’ integrale curvilineo) Siano γ, γ1 , γ2 ⊂ Ω ⊂ Rn curve generalmente


regolari. Allora Z Z Z
(αf + βg) ds = α f ds + β gds ∀α, β ∈ R;
γ γ γ
Z Z Z
f ds = f ds + f ds;
γ1 ∪γ2 γ1 γ2
Z Z
f ds = f ds; γ1 ∼ γ2
γ1 γ2

Esempio 2.1 Applicazione: Calcolo di baricentri


Data una curva generalmente regolare (γ, r) di lunghezza l, il punto P̄ di coordinate
Z
1
x̄j ≡ xj ds j = 1, . . . , n
l γ

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si chiama baricentro della curva. Calcoliamo il baricentro della curva di equazioni parametriche

r(t) = %(cos t, sen t) t ∈ [−α, α] 0 < α ≤ π.

Sappiamo che, in questo caso, l = 2α% e quindi


Z Z α
1 1 % sen α
x̄ = x ds = %2 cos t dt = (sen α − sen(−α)) = % ;
2α% γ 2α% −α 2α α
Z Z α
1 %
ȳ = y ds = sen t dt = 0.
2α% γ 2α −α

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2. Forme Differenziali

2.1 Definizioni

Sia Ω ⊂ Rn un aperto non vuoto e sia f : Ω → R differenziabile in Ω. Il differenziale f 0 come


funzione di x è
df = f 0 : Ω → L(Rn , R) = (Rn )∗ ∼ R1,n .
Sia e1 , . . . , en la base canonica di Rn . Le funzioni xi : Rn → R i = 1, . . . , n costituiscono una
n ∗
base di (R ) detta base duale della base canonica quindi, possiamo scrivere
n
X
f 0 (x) = fxi (x)dxi ∀x ∈ Ω.
i=1

Definizione 1.1 Sia ω : Ω ⊆ Rn → (Rn )∗ . Una tale funzione si chiamerà una forma differenziale
lineare su Ω oppure una 1-forma.

Definizione 1.2 Se esiste una funzione differenziabile U : Ω → R tale che U 0 = ω in Ω allora U si


dice potenziale o primitiva della forma ω.

Definizione 1.3 Data una curva regolare (γ, r) con γ ⊂ Ω ⊂ Rn , r : [a, b] → Rn e ω =< f , dx >
poniamo
Z Z b
ω= < f (r(t)), r0 (t) > dt
γ a

che si chiama integrale curvilineo, preso lungo la curva γ della forma differenziale ω.

L’integrale che abbiamo appena definito differisce dall’ integrale curvilineo di una funzione
definito in precedenza. Le differenze sono evidenziate dal seguente teorema. Si ha

Teorema 1.1 (Proprietà dell’ integrale) Siano ω, ω1 , ω2 forme differenziali di classe C 1 (Ω) e siano
γ, γ1 , γ2 ⊂ Ω curve generalmente regolari. Allora
Z Z Z
(αω1 + βω2 ) = α ω1 + β ω2 ∀α, β ∈ R;
γ γ γ
Z Z
ω= ω; γ1 ∼ γ2
γ1 γ2
Z Z
ω = − ω.
−γ γ
Z Z Z
ω= ω+ ω;
γ1 ∪γ2 γ1 γ2

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Definizione 1.4 Orientamento delle curve di Jordan


Sia (γ, r) una curva di Jordan. Se γ è regolare esiste T (t) ∀t ∈ [a, b]. Il versore Ni (t) ortogonale a
T (t) diretto verso l’interno di γ si chiama normale interna a γ nel punto r(t). Orientiamo la coppia
(T, Ni ) in modo tale che sia concorde alla coppia (e1 , e2 ). In tal caso la curva si dirà orientata
positivamente. Se r(s) è la rappresentazione di γ in funzione dell’ ascissa curvilinea allora risulta,

T (s) = r0 (s) Ni (s) = (−r20 (s), r10 (s)); s ∈ [0, l].

xi
Esempio 1.1 Sia F : R3 → R3 , r ≡ kxk ∀x ∈ R3 e sia FRi (x) = − Gm r2 r i = 1, 2, 3; dove G, m
sono costanti positive e ω =< F, dx > . Calcoliamo L ≡ γ ω. L rappresenta il lavoro compiuto
dalla forza F per spostare il suo punto di applicazione lungo la curva γ. Si ha
b b
r0 (t)
Z Z Z  
0 1 1
L= ω= < F (r(t)), r (t) > dt = −Gm dt = Gm − .
γ a a r2 (t) r(b) r(a)

Osserviamo che il risultato rimane inalterato purchè la curva abbia sempre gli stessi estremi.

Esempio 1.2 Sia u : R2 → R2 un campo di velocità e sia γ una curva di Jordan. L’integrale
I
−u2 dx + u1 dy
γ

rappresenta il flusso di fluido che passa attraverso la sezione di contorno γ per unità di tempo.

2.2 Potenziale di una forma differenziale

Definizione 2.1 Sia ω una forma differenziale di classe C 0 in un aperto Ω ⊂ Rn . Se esiste una
funzione U parzialmente derivabile in Ω tale che dU = ω allora la forma differenziale si dice esatta
in Ω e la funzione U si dice un potenziale per ω.

Teorema 2.1 Se ω ∈ C 0 (Ω) è esatta in Ω ed U è un suo potenziale allora:

1) U + c è un potenziale ∀c ∈ R;

2) Se Ω è connesso due potenziali della stessa forma differenziale differiscono per una costante.

Dim. Dalla formula d(U + c) = dU = ω segue immediatamente la 1). Siano ora U1 , U2 due
potenziali di ω. Se Ω è connesso la funzione U1 − U2 è costante perchè il suo gradiente è nullo.
Infatti,
∇(U1 − U2 ) = ∇U1 − ∇U2 = F − F = 0.

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Teorema 2.2 Sia ω una forma differenziale esatta di classe C 0 in un aperto connesso Ω ⊂ Rn e
sia U un suo potenziale. Allora, per ogni curva generalmente regolare contenuta in Ω si ha:
Z
ω = U(r(b)) − U(r(a)).
γ

Dim. Supponiamo per semplicità che γ sia regolare. Il potenziale è di classe C 1 (Ω) quindi è
differenziabile. La funzione r(t) è derivabile per la regolarità della curva. Possiamo quindi applicare
il teorema di derivazione delle funzioni composte ottenendo

d
U(r(t)) =< ∇U(r(t)), r0 (t) >=< F (r(t)), r0 (t) > ∀t ∈ [a, b]
dt
e quindi,
Z Z b Z b
0 d
ω= < F (r(t)), r (t) > dt = U(r(t))dt = U(r(b)) − U(r(a)).
γ a a dt
In realtà è valido anche il viceversa.

n 1
RTeorema 2.3 Sia Ω ⊂ R un aperto connesso, ω ≡< f , dr >∈ C (Ω). Supponiamo che l’integrale
γ
ω dipenda soltanto dagli estremi di γ e non da γ. Allora ω è esatta in Ω.

Dim. Per provare il teorema costruiamo un potenziale della forma ω. Fissato x0 ∈ Ω definiamo
una funzione ϕ : Ω → R ponendo Z
ϕ(x) = ω
γ

dove γ è una curva generalmente regolare, con sostegno contenuto in Ω congiungente i punti x0 , x.
Osserviamo che, a causa dell’ ipotesi l’integrale non dipende dalla particolare scelto del cammino
seguito per andare da x0 a x ma soltanto dagli estremi di tale cammino e quindi ϕ è una funzione
che dipende soltanto dal punto x ∈ Ω. Proviamo che

ϕxi (x) = fi (x) ∀i = 1, . . . , n ∀x ∈ Ω.

Per esempio, supponiamo i = 1. Siccome il punto x è interno ad Ω supponiamo che ∃ δ > 0 ⊂ Ω.


Sia Γ una curva congiungente i punti x0 , x + δe1 . Sia infine S il segmento di estremi x + δe1 , x
ovvero S(t) = (1 − t)(x + δe1 ) + tx, t ∈ [0, 1]. Poichè
Z Z
ϕ(x) = ω+ ω
Γ(x0 ,x+δe1 ) S(x+δe1 ,x)

per provare il teorema sarà sufficiente provare che


Z

ω = f1 (x).
∂x1 S(x+δ,x)

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Applicando il teorema di derivazione sotto il segno di integrale, e successivamente integrando per


parti, si ha:
Z Z 1
∂ ∂
ω= f (tx + (1 − t)x̄) · (x − x0 ) dt
∂x1 S(x+δe1 ,x) 0 ∂x 1
Z 1X n  
∂fj
= tδ1j (xj − x̄j ) + fj (tx + (1 − t)x̄)δj1 dt
0 j=1 ∂x1
Z 1
∂f1
= t (x1 − x̄1 ) + f1 (tx + (1 − t)x̄) dt
0 ∂x1
Z 1 Z 1
d
= t f1 (tx + (1 − t)x̄) dt + f1 (tx + (1 − t)x̄) dt =
0 dt 0
Z 1 Z 1
1
= [tf (tx + (1 − t)x̄)]0 − f (tx + (1 − t)x̄) dt + f (tx + (1 − t)x̄) dt =
0 0
= f1 (x).

2.3 Forme differenziali chiuse e forme differenziali esatte

Sia Ω ⊂ Rn , ω ≡< F, dr > una forma differenziale di classe C 1 (Ω). Se le relazioni (condizioni
di simmetria)
∂Fi ∂Fj
= i, j = 1, . . . , n ∀x ∈ Ω (3.1)
∂xj ∂xi
sono verificate, diremo che la forma ω è chiusa in Ω. Nel caso particolare in cui n = 3, definiamo

e1 e2 e3      
∂F3 ∂F2 ∂F1 ∂F3 ∂F2 ∂F1
rot F = ∂x ∂y ∂z =
− e1 + − e2 + − e3 .
F1 F2 F3 ∂y ∂z ∂z ∂x ∂x ∂y

In tal caso le condizioni (3.1) sono equivalenti a dire che rot F = 0.

Osservazione 3.1 La definizione di forma differenziale chiusa potrebbe dipendere dalla scelta del
sistema di riferimento. Mostriamo che essa è equivalente ad una definizione che è invariante per
trasformazioni ortogonali.
Pn
Sia quindi ω : Ω ⊂ Rn → (Rn )∗ , ω(x) = j=1 aj (x)dxj e supponiamo le funzioni aj differen-
ziabili in Ω. Allora
2
ω 0 (x) : Ω → L(Rn , (Rn )∗ ) = L(Rn × Rn , R)
definita dalla legge
ω 0 (x)(h, k) = (ω 0 (x)(h))(k), ∀h, k ∈ Rn .
Poniamo
dex ω(x)(h, k) = ω 0 (x)(h, k) − ω 0 (x)(k, h), ∀h, k ∈ Rn

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notando che dex è bilineare antisimmetrica. Si ha:


n n n
X ∂aj X ∂aj X ∂aj
dex ω(x)(h, k) = (x)hj ki − (x)kj hi = (x)(hj ki − hi kj )
i,j=1
∂x i i,j=1
∂x i i,j=1
∂xi
 
X n X ∂ai X ∂ai
=  (x)(hj ki − hi kj ) + (x)(hj ki − hi kj )
i=1 j<i
∂xj i<j
∂x j

n X
X ∂ai
= (x)(dxj ⊗ dxi − dxi ⊗ dxj )(h, k)+
i=1 j<i
∂xj
n X
X ∂ai
+ (x)(dxj ⊗ dxi − dxi ⊗ dxj )(h, k)
i=1 j>i
∂xj
 
Xn X ∂ai X ∂ai
=  (x)(dxj ∧ dxi )(h, k) + (x)(dxj ∧ dxi )(h, k)
i=1 j<i
∂x j j>i
∂xj

n X 
X ∂ai ∂aj
= − (dxj ∧ dxi )(h, k).
i=1 j<i
∂xj ∂xi

Da questo segue immediatamente che la forma ω è chiusa se e solo se il suo differenziale esterno
dex ω è la forma nulla.

Teorema 3.1 Sia ω ∈ C 1 (Ω), una forma differenziale esatta in Ω. Allora ω è chiusa in Ω.

Dim. Sia U un potenziale di ω. Allora ∇U = F ovvero Uxi = Fi i = 1, . . . , n e quindi


∂Fi ∂F
Uxi xj = ∂x j
. Similmente Uxj = Fj j = 1, . . . , n e quindi Uxj xi = ∂xji e, per il teorema di Schwarz
sull’ inversione dell’ ordine di derivazione, si hanno le (3.1).

In generale il viceversa è falso come mostra il seguente esempio.


Esempio 3.1 La forma differenziale
y x
ω=− dx + 2 dy, Ω = R2 \ (0, 0)
x2 +y 2 x + y2
è chiusa ma non è esatta. Per provare che non è esatta osserviamo che detta γ la circonferenza di
centro (0, 0) e raggio 1, si ha: I
ω = 2π 6= 0.
γ

Tuttavia vedremo che, sotto opportune condizioni di tipo geometrico su Ω, ogni forma chiusa
risulta esatta.
Definizione 3.1 Sia Ω ⊂ Rn un aperto e sia x0 ∈ Ω. Se per ogni x ∈ Ω,

tx + (1 − t)x0 ∈ Ω ∀t ∈ [0, 1]

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Appunti di Analisi Matematica II

Ω si dice stellato rispetto a x0 .

Osservazione 3.2 Ogni aperto convesso è stellato rispetto a qualsiasi suo punto.

Teorema 3.2 (Poincaré) Sia Ω un aperto stellato e sia ω =< F, dr > una forma differenziale
chiusa, di classe C 1 in Ω. Allora ω è esatta in Ω.

Dim. Basta verificare che


Z
ϕ : Ω → R, ϕ= ω
S(x0 ,x)

è un potenziale della forma differenziale ω.

Un’ altra condizione di tipo geometrico sull’ aperto Ω è data dalla nozione di semplice connes-
sione.
Definizione 3.2 Sia Ω un aperto connesso e siano γ1 , γ2 ⊂ Ω due curve regolari tali che r1 (a) =
r2 (a) r1 (b) = r2 (b). Le due curve si dicono Omotope se esiste una funzione F : [a, b] × [0, 1] → Ω
continua e tale che:
1)F (t, 0) = r1 (t) ∀t ∈ [a, b];
2)F (t, 1) = r2 (t) ∀t ∈ [a, b];
3)F (a, λ) = r1 (a) ∀λ ∈ [0, 1];
4)F (b, λ) = r1 (b) ∀λ ∈ [0, 1].

Definizione 3.3 Sia Ω un aperto connesso e siano γ1 , γ2 ⊂ Ω due curve regolari qualsiasi tali che
r1 (a) = r2 (a) r1 (b) = r2 (b). Se due curve siffatte risultano omotope allora Ω si dice semplicemente
connesso.

Esempio 3.2 Sia Ω un aperto stellato. Allora è semplicemente connesso.


Infatti se Ω è stellato rispetto a x0 ∈ Ω allora la funzione F è

F (t, λ) = λx0 + (1 − λ)r(t).

Osservazione 3.3 Esistono insiemi semplicemente connessi ma non stellati. Per esempio, nel piano
si può considerare un insieme a forma di G.

Esempio 3.3 In R2 una corona circolare oppure il piano bucato Ω = R2 \ {(0, 0)} non sono
semplicemente connessi.
Infatti, se cosı̀ non fosse la forma differenziale
y x
ω=− dx + 2 dy
x2 +y 2 x + y2
sarebbe esatta mentre sappiamo che cosı̀ non è. Quindi il concetto di aperto semplicemente connesso
è più generale di quello di aperto stellato. Si può dimostrare il seguente teorema che ci limitiamo
ad enunciare.

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Teorema 3.3 Se Ω è un aperto semplicemente connesso ed ω è una forma differenziale chiusa in


Ω, allora ω è esatta in Ω.

2.4 Domini normali e teorema di Gauss

Definizione 4.1 Siano f, g : [a, b] → R due funzioni tali che

1)f (x) < g(x) ∀x ∈]a, b[;


2)f (a) ≤ g(a), f (b) ≤ g(b);
3)f, g ∈ C 1 ([a, b]).

L’insieme
∆ ≡ {(x, y) ∈ R2 : a ≤ x ≤ b, f (x) ≤ y ≤ g(x)}
si chiama dominio normale rispetto all’ asse ~x. In maniera analoga si da la nozione di dominio
normale rispetto all’ asse ~y . Siano date p + 1 curve di Jordan (p ∈ N0 ), γ0 , γ1 , . . . , γp tali che

1) int(γj ) ⊆ int(γ0 ) j = 1, . . . , p;
2) int(γi ) ∩ int(γj ) = ∅ i 6= j.
T 
p
Allora, la chiusura dell’ insieme j=1 est(γ j ) ∩ int(γ0 ) si dice dominio regolare a p + 1 contorni.

Teorema 4.1 Ogni dominio regolare a p contorni è internamente connesso e si può pensare come
unione finita di domini normali regolari, a due a due privi di punti interni comuni.

Teorema 4.2 (di Gauss) Sia T ⊆ R2 un dominio regolare a p contorni e sia f ∈ C 1 (T ). Allora:
Z Z
1) fx (x, y)dxdy = f (x, y)dy;
ZT +∂T
Z
2) fy (x, y)dxdy = − f (x, y)dx
T +∂T

Data f : T ⊆ R2 → R la funzione
∂f1 ∂f2
div f = +
∂x ∂y
si chiama divergenza della funzione f .

Teorema 4.3 (della divergenza)Sia f : T ⊆ R2 → R una funzione di classe C 1 (T ) con T dominio


regolare a p contorni. Allora,
Z Z
div f (x, y)dxdy = − < f , Ni > ds
T ∂T

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Appunti di Analisi Matematica II

dove Ni denota la normale interna alla frontiera ∂T.

Osservazione 4.1 Calcolo dell’ area di un dominio regolare. Scegliendo f ≡ 1 si trova


Z Z Z
∂x
|T | = 1 dxdy = dxdy = x dy
T T ∂x +∂T

e Z Z Z
∂y
|T | = 1 dxdy = dxdy = − y dx
T T ∂y +∂T

e quindi Z
1
|T | = −y dx + x dy.
2 +∂T

Osservazione 4.2 Se, γ è un segmento della retta y = mx, allora


Z
−ydx + xdy = 0.
γ

Esempio 4.1 Consideriamo l’ellisse di equazioni


(
x = a cos θ;
γ 0 ≤ θ ≤ 2π.
y = b sen θ

Consideriamo la porzione di ellissi che si ottiene facendo variare il parametro θ nell’ intervallo [0, α]
con α ∈]0, 2π[. Allora,
Z Z
1 1 ab
|T | = −ydx + xdy = −ydx + xdy = α.
2 +∂T 2 γ 2

Teorema 4.4 Sia T ⊂ Ω ⊂ R2 un dominio regolare a p contorni e sia ω = f1 dx + f2 dy una forma


differenziale in Ω. Allora
Z   Z
∂f2 ∂f1
− dxdy = f1 (x, y)dx + f2 (x, y)dy.
T ∂x ∂y +∂T

Dim. Immediata conseguenza del teorema di Gauss.

Teorema 4.5 Sia Ω ⊂ R2 un aperto semplicemente connesso e sia P0 ∈ Ω. Sia ω ∈ C 1 (Ω \H P0 ) una


forma differenziale chiusa in Ω\P0 e sia, infine, γ una curva di Jordan tale che P0 ∈ int(γ) : γ ω = 0.

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G.Di Fazio

Allora ω è esatta in Ω \ P0 .

Dim. Sia Γ una circuitazione contenuta in Ω \ P0 . Se P0 è esterno a Γ possiamo pensare Γ


contenuta
H in un insieme semplicemente connesso contenuto in Ω \ P0 dove ω è chiusa e quindi
Γ
ω = 0. Se invece P0 è interno a Γ allora applichiamo il teorema precedente al dominio regolare
T che ha per frontiera γ ∪ Γ. Quindi,
Z   Z Z Z Z
∂f2 ∂f1
0= − dx dy = ω= ω− ω=− ω
T ∂x ∂y +∂T γ Γ Γ

da cui Z
ω=0
Γ

e, per il primo criterio di integrabilità ω è esatta in Ω \ P0 .

Esempio 4.2 Mostrare che la forma differenziale

2x2
 
2 2 2xy
ω= log(x + y ) + 2 dx + dy
x + y2 x2+ y2

è esatta in R2 \ {(0, 0)}.


Basta applicare il teorema precedente.
R La forma è chiusa in Ω0 = Ω\{(0, 0)} e, se γ è la circonferenza
di centro (0, 0) e raggio 1 si ha γ ω = 0.

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Appunti di Analisi Matematica II

3. Cenni di geometria differenziale delle Superficie

3.1 Definizioni ed esempi

Definizione 1.1 Sia T ⊂ R2 tale che A ⊆ T ⊆ Ā con A, aperto internamente connesso contenuto
in R2 ; sia
r : T → R3 , Σ ≡ im(r)
una funzione continua in T. Allora r si dice una parametrizzazione di Σ e la coppia (Σ, r) si dice
superficie in R3 .

Definizione 1.2 Una superficie (Σ, r) si dice regolare quando:

1) r ∈ C 1 (A);

2) La matrice  ∂r1
  ∂r2 ∂r3 
ru (u, v) ∂u ∂u ∂u
≡ ∂r1 ∂r2 ∂r3
rv (u, v) ∂v ∂v ∂v

ha caratteristica 2 in ogni punto (u, v) ∈ A (ovvero ru , rv sono linearmente indipendenti o,


equivalentemente, ru ∧ rv 6= 0);

3) r è una corrispondenza biunivoca tra A e Σ.

Se (u, v) ∈ T, il punto r(u, v) si dice interno a Σ mentre se (u, v) ∈ ∂T, il punto r(u, v) si dice
appartenente al bordo di Σ, ∂Σ.

Esempio 1.1 Superficie cartesiane. Sia Ω ⊂ R2 un aperto e sia f ∈ C 1 (Ω). Poniamo

r(u, v) = (u, v, f (u, v)) ∀(u, v) ∈ Ω, Σ ≡ im(r).

Si verifica che (Σ, r) è regolare e si chiama superficie cartesiana di equazione z = f (x, y) e Σ coincide
con il grafico di f.

Esempio 1.2 Superficie conica. Dato un piano π, sia γ ⊂ π una curva regolare di equazione
r = r(t). Fissato P ∈/ π scegliamo il sistema di riferimento in modo che P ≡ (0, 0, h) con h 6= 0.
Posto Q = Q(t) = (x(t), y(t), 0) ∈ γ ∀t ∈ [a, b] l’unione delle rette passanti per i punti P, Q al
variare di Q ∈ γ si dice superficie conica.
Una sua parametrizzazione è 
 x(t, λ) =λx(t)

y(t, λ) =λy(t)

z(t, λ) =(1 − λ)h

Si verifica che la superficie è regolare se γ lo è e se h 6= 0.

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G.Di Fazio

Esempio 1.3 Superficie cilindrica


In modo simile a quanto visto per le superfici coniche, se P è il punto improprio dell’ asse ~z,
l’unione delle rette P Q al variare di Q ∈ γ si dice superficie cilindrica. Una sua parametrizzazione
è 
 x(t, z) =x(t)

y(t, z) =y(t)

z(t, z) =z

Si verifica che la superficie è regolare se γ lo è.

Esempio 1.4 Superficie di rotazione


Siano ϕ, ψ : [a, b] → R, ϕ(t) > 0 ∀t ∈ [a, b]. La parametrizzazione

 x(t, θ) =ϕ(t) cos θ

y(t, θ) =ϕ(t) sen θ

z(t, θ) =ψ(t)

definisce una superficie che risulta regolare se γ lo è. Geometricamente, Σ è costituita dalle circon-
ferenze descritte da Q attorno all’ asse ~z.

3.2 Piano tangente ad una superficie regolare

Sia (Σ, r) una superficie regolare e sia γ ⊆ T una curva regolare. La curva (γ̃, r̃) dove r̃ = r(γ)
è ancora una curva regolare e si dice la curva tracciata da γ su Σ. Infatti,

r̃0 (t) = ru (u(t), v(t))u0 (t) + rv (u(t), v(t))v 0 (t) ∀t ∈ [a, b] (∗)

e quindi r̃0 (t) = 0 se e solo se u0 (t) = v 0 (t) = 0 perchè i vettori ru , rv sono linearmente indipendenti.
Ma, per la regolarità della curva γ, ciò non è possibile. Dalla (*) segue che r̃0 (t) giace sul piano
individuato da ru , rv e questo piano è lo stesso per tutte le curve γ passanti per un punto assegnato
Q0 ∈ T. Il piano indivivuato da ru , rv e passante per P0 = r(Q0 ) ∈ Σ si dice piano tangente a Σ
nel punto Q0 e la sua equazione è

< P − P0 , ru (P0 ) ∧ rv (P0 ) >= 0.


∧rv
Il versore n = krruu ∧r vk
si dice versore normale alla superficie Σ nel punto r(u, v). Se (Σ, r) è una
superficie regolare e P0 ∈ Σ, P0 = r(u0 , v0 ), sia γ = r(u(t), v(t)) una curva chiusa passante per P0 .
Se per ogni curva di questo tipo si ha: n(a) = n(b) allora la superficie Σ si dirà orientabile.

Se Σ è una superficie regolare le curve r(u, ·) e r(·, v) si chiamano rispettivamente paralleli e


meridiani oppure linee coordinate.
Esempio 2.1 Ellissoide
Consideriamo la superficie di equazione cartesiana

x2 y2 z2
+ + =1
a2 b2 c2

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Appunti di Analisi Matematica II

oppure nella forma parametrica seguente:

r(θ, ψ) = (a sen ψ cos θ, b sen ψ sen θ, c cos ψ), 0 ≤ θ ≤ 2π, 0 ≤ ψ ≤ π.

Si ha:

i j k

rθ ∧ rψ = −a sen ψ sen θ b sen ψ cos θ 0 =0

a cos ψ cos θ b cos ψ sen θ −c sen ψ
soltanto per sen ψ = 0.
Esempio 2.2 Toro
La superficie di equazione cartesiana
p
( x2 + y 2 − a)2 + z 2 = b2

oppure esprimibile nella forma parametrica seguente:

r(u, v) = ((a + b sen u) cos v, (a + b sen u) sen v, b cos u) 0 ≤ u, v ≤ 2π.

Esempio 2.3 Nastro di Möbius


La superficie espressa parametricamente nella forma:

θ θ θ
r(θ, t) = (2 cos θ + t cos θ cos , 2 sen θ + t sen θ cos , t sen ) 0 ≤ θ ≤ 2π, −1 < t < 1.
2 2 2

Questa superficie differisce dalle precedenti per una sua caratteristica notevole. È un esempio di
superficie non orientabile. Infatti, n(0, 0) = −e3 mentre

θ θ θ
rθ (θ, 0) = (−2 sen θ, 2 cos θ, 0) rt (θ, 0) = (cos θ cos , sen θ sen , −2 cos )
2 2 2
e quindi
θ θ θ
n(θ, 0) = (cos θ sen , sen θ sen , − cos )
2 2 2
da cui si ottiene
lim n(θ, 0) = e3 6= n(0, 0)
θ→2π −

quindi la superficie risulta non orientabile.

3.3 Metrica su una superficie

Sia (Σ, r) una superficie regolare in R3 . Se (γ, (u(t), v(t))) è una curva rettificabile in T la sua
immagine (γ̃, r̃) su Σ è ancora rettificabile e la lunghezza della curva su Σ è
Z t Z tp
lγ̃ (t) = kr̃(λ) dλ = E 2 v 0 2 + 2F u0 v 0 + Gv 0 2 dλ
a a

dove si è posto
E = kru k2 , F = ru · rv , G = krv k2 .

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G.Di Fazio

La funzione
2 2
R(u, v) = E 2 v 0 + 2F u0 v 0 + Gv 0
si chiama metrica Riemanniana su Σ.
Esempio 3.1 Sia Σ la superficie grafico di una funzione f : A ⊂ R2 → R di classe C 1 (A). In tal
caso R(x, y) = 1 + |∇f (x, y)|2 .

Sia Σ una superficie regolare. L’insieme Σ è un connesso in R3 in quanto immagine continua


di un connesso e quindi, se p, q ∈ Σ allora si possono congiungere con una curva γ su Σ. Poniamo
d(p, q) = inf γ l(γ(p, q)). Con questa definizione Σ diventa uno spazio metrico e d si chiama una
metrica sulla superficie Σ. In generale l’estremo inferiore che figura nella definizione non è minimo.
Se esiste una curva per la quale l’estremo inferiore è minimo allora tale curva si dice la geodetica
per p e q.
Definizione 3.1 Sia (Σ, r) una superficie regolare in R3 . Il numero
Z
a(Σ) = kru ∧ rv k dudv
T

si chiama area della superficie Σ.

Esempio 3.2 Formula di Guldino per l’area di una superficie di rotazione


In tal caso Z b q
2 2
a(Σ) = 2π ϕ(u) ϕ0 (u) + ψ 0 (u) du.
a

Supponiamo che la superficie sia generata dalla rotazione di una curva γ di equazioni r(t) =
(0, ϕ(t), ψ(t)), t ∈ [a, b] di lunghezza l contenuta nel piano ~y~z. Detto P0 = (0, y0 , z0 ) il baricentro
della curva γ si ha:
Z Z b
a(Σ)
q
2 2
ly0 = y ds = ϕ(t) ϕ0 (t) + ψ 0 (t) dt =
γ a 2π
da cui:
a(Σ) = 2πy0 l
ovvero

Teorema 3.1 (Guldino) L’area di una superficie di rotazione ottenuta ruotando una curva gen-
eralmente regolare γ attorno ad un asse è uguale al prodotto tra la lunghezza della curva rotante
per il cammino percorso dal baricentro.

Definizione 3.2 Sia (Σ, r), Σ ⊂ Ω una superficie regolare in R3 e sia f : Ω → R una funzione
continua in Ω. Poniamo
Z Z
f (x, y, z) dσ = f (r(u, v))kru ∧ rv k dudv.
Σ T

Sussiste il seguente

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Appunti di Analisi Matematica II

Teorema 3.2 (Stokes) Sia Σ una superficie regolare orientabile in R3 e sia f : A ⊂ R3 → R3 una
funzione continua in A dove A è un aperto contenente Σ. Allora,
Z Z
< rot f , n > dσ = < f , dr > .
Σ +∂Σ

Dim. Omessa.
Esempio 3.3 Calcoliamo l’integrale
Z
x dx + z dy + x dz
C

dove C è data dalle seguenti equazioni

C = {x2 + y 2 = 1 z = xy}

utilizzando il teorema di Stokes.


Si ha: C = + ∂Σ dove Σ è la superficie cartesiana z = xy. Allora, per il teorema di Stokes, abbiamo
Z Z Z
x dx + z dy + x dz = < rot f , n > dσ = (x + y)dx dy = 0.
C Σ B1 (0)

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