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ARCHEOLOGIA DELLA COMPLESSITÀ E CALCOLATORI:

UN PERCORSO DI SOPRAVVIVENZA FRA TEORIE DEL CAOS, ATTRATTORI


STRANI ,FRATTALI E...FRATTAGLIE DEL POSTMODERNO(1)

1. Introduzione: un itinerario di frontiera

L'articolo in oggetto rappresenta una sostanziale ristrutturazione della comunicazione presentata al “


IV ciclo di lezioni sulla ricerca applicata in campo archeologico ” (“ L'Archeologia del Paesaggio ”:
Pontignano, 14-26 gennaio 1991): la stessa amplificazione correttiva del titolo (artatamente
giustapposto al più semplice originale “ Archeologia del paesaggio e calcolatori ”) riflette in modo
esplicito e programmatico un tale riorientamento, carico di nuove prospezioni, suggestioni... e di
qualche provocazione aggiuntiva.
L'ordine e la magnitudo di una tale ricodificazione sono, del resto, da addebitarsi allo straordinario
potere di impatto ed interazione critici suscitati in primis proprio da Pontignano, nonché da
successive e non meno felici opportunità (in particolare i due convegni di “ Computer Applications
and Quantitative Methods in Archaeology ” - Oxford, 25-27 marzo 1991 e di “ The Wetland
Revolution in Prehistory ” - WARP - Exeter, 5-7 aprile 1991: cfr. più oltre). Queste tre distinte e
apparentemente disparate "occasioni", con il relativo indotto in termini di reticoli di interscambio,
hanno di fatto dischiuso, allo scrivente, nuovi orizzonti di attesa, che si ritiene di una qualche utilità
prospettare in questa sede.
Una tale "levitas" potrebbe, negativamente, essere allocata sotto il segno del trend dominante
dell'attuale teatro della ribalta teoretica: la volabilità parossistica e quasi programmatica di una
sempre più pervasiva cultura postmoderna, alla ricerca spasmodica di "fresh blood", ricchissima di
preziose sfumature cromatiche e pirotecniche circonvoluzioni, in grado di dare agli isolati ed
esclusivi portatori e fruitori nuovi sensi di ebbrezza intellettuale da "fin du siècle" (o meglio... "fin
du millénaire"). La soffice aura postmoderna può però anche, per converso, indurre un altrettanto
acuto senso di angoscia e di impotenza, capace di prostrare definitivamente ogni residua aspirazione
di copertura "enciclopedico-illuministica" e "oggettiva" di un sapere archeologico disperso in mille
rivoli specialistici che fluiscono, inoltre, a critica intermittenza su di un paesaggio morfologico di
tellurica instabilità epistemologica.
Lo scopo di questa visitazione è invece proprio quello, positivo ed ottimistico, di prospettare, al di
là delle insidie, labilità e vacuità del postmoderno e oltre i confini dei microcosmi e giardini
teoretici sempre più "privati", una solida e larga piattaforma di consenso, una nuova terra promessa,
di unificazione del sapere scientifico, traguardata alle nuove frontiere della complessità e indirizzata
ormai da un lotto crescente di discipline (cfr. più oltre): si apre, forse, l'opportunità di una nuova
avventura, intellettuale ed umana, di straordinaria suggestione, aperta, senza confini anagrafici e/o
surrettizi blocchi kuhniani, all'intelligenza (naturale prima che artificiale!) e all'onestà intellettuale
residua della nostra "comunità scientifica".
La voce "calcolatori"—e in particolare il circuito critico calcolatori/archeologia del paesaggio (o
meglio "dei paesaggi": cfr. più oltre)—occupano una locazione di importanza certamente nodale
nello scenario evolutivo che ci apprestiamo a delineare. Tale locazione appare però, nelle specifiche
strutture di riferimento operative della nostra disciplina, altrettanto criticamente ancipite.
I metodi formali, in effetti, possono, ad un estremo di totale negatività, perpetuare l'attuale perversa
linea di tendenza dominante, quella cioè di una accezione in chiave "ancillare", al servizio, più
esplicitamente, di una "Pie Archaeology" (più oltre definita), che utilizza lo strumento informatico a
livelli di bassissima operatività, quale disinvolto alibi di facciata: lo scopo è quello di coprire con un
apparentemente rassicurante maquillage tecnocratico una prassi di ricerca e una teoria di supporto
di desolante inconsistenza o di aspirazione, in ogni caso, per niente progressiva. I "calcolatori", al
riguardo, possono dunque paradossalmente assolvere una perversa funzione ritardante se non
addirittura contro-rivoluzionaria.
Ad una tale accezione, subdolamente coercitiva e regressiva, della voce "calcolatori" si contrappone
l'estrema positività di una nuova e fresca utopia che, invece, fa dello strumento informatico
l'elemento catalizzatore principe di quella innovativa e progressiva area di consenso e di
unificazione del sapere scientifico, sopra accennata, cui sembra convergere un fascio critico di
discipline scientifiche. La condizione "sine qua non" di questa prospettiva é proprio quella di
smettere i panni "ancillari" (buttare cioè i vestiti "della serva") e indossare quelli più soft e serici
della "High Theory", senza eccessivi sensi di colpa nei confronti degli sbarramenti specialistici
degli epistemologi e filosofi della scienza professionali: il connubio calcolatori-teoria diventa, in
altri termini, la condizione per una reale progressione innovativa. La nuova terra promessa va, in
effetti, individuata in quello spezzone di orizzonte di attesa in cui le ultime frontiere dell'informatica
e della teoria della complessità si incontrano in un flusso sinergetico di eccezionale potere
destabilizzante. In questa area le "interazioni confinarie" (così di moda, fra l'altro, nella letteratura
simulativa archeologica: cfr. più oltre) rendono particolarmente preziose quelle "culture
disciplinari" (sufficientemente specialistiche nel proprio settore di provenienza e sufficientemente
"generiche" nella copertura dei problemi di rilevanza e del gergo convenzionale di un lotto critico di
domini di indagine prossimali), che possono di fatto isolare e implementare operativamente le
nuove connettività: un certo tipo di archeologia (formale, quantitativa e teoretica...) può certamente
essere fra queste.
L'economia espositiva dell'articolo che segue è quindi deliberatamente sbilanciata in questa
prospettiva ("nuove connettività" dell'archeologia formale), relegando ad un ambito senz'altro
minore la produzione, più o meno virtuosistica e pirotecnica, di algoritmi informatici applicativi (su
cui, peraltro, proprio lo scrivente ha investito quote elevate di energia): è anche questa una
provocazione che viene, dunque, da una fonte sperabilmente non sospetta, ma che può risultare non
necessariamente gradita sia ai committenti (fuori tema?) che a quanti nutrono nei confronti del
calcolatore rapporti di simpatica, viscerale contiguità (se poi il computer è una "mela"...), in cui la
teoria, col suo fardello verbalistico di accompagno, può essere percepita, essenzialmente, come
"rumore" o... indesiderato diaframma.

2. Old, new, post, new-old e old-new...: indicazioni per un percorso minimo di sopravvivenza

Il circuito critico, sopra prospettato, calcolatori/teoria, ci obbliga dunque ad una prospezione


prioritaria dello specifico panorama teoretico della nostra disciplina. Un tale scenario appare, però,
di accesso esplanatorio quasi proibitivo. Si tratta, in effetti, di una galassia—o, meglio, nebulosa—
di estrema complessità, in continua e ormai incontrollata espansione, affetta da sistematica,
endemica metastabilità, se non volatilità (cfr. soprattutto mode e "privati" narcisismi del
postmoderno) e popolata da una serie di fluide e spesso auto-contradditorie etichette ed "ismi" di
copertura variamente prefissati da fondatori e detrattori (old, new, post, new-old, old-new...), che si
fronteggiano in una rissosa kermesse epocale in un crescendo inflattivo di congressi e di letteratura
a costi sempre meno accessibili: il "villaggio (aperto) globale" della comunità scientifica può anche
apparire, ai critici più severi, come una deliberata finzione retorica che nasconde esclusivi quartieri
residenziali e copre trinceramenti, separatismi e leghe di risoluzione sempre più parrocchiale.
Paradossalmente, però, questa plumbea e impenetrabile atmosfera da "blinkmanship" rappresenta,
al contempo, con i suoi "gradi di libertà" e il suo stato di soglia, la tempetie più favorevole alla
precipitazione di nuovi equilibri.
Vale pertanto la pena di tentare un qualche approccio a questo impalpabile ed embricato paesaggio
evolutivo della teoria archeologia (nello specifico, soprattutto, epistemologia, teoria formativa del
record archeologico e teoria sociale dell'archeologia), senza farsi prendere, in questa corsa ad
ostacoli (gli "ismi" succitati) da crisi inflattive/ deflattive di disorientamento, labirintite (o anche
sbornia!) teoretica.
La risoluzione critica, al riguardo, è quella di procedere ad una visitazione cursoria ed ellittica
dell'immane materia, nella forma di un "random (ma non troppo) walking" opportunistico, che tenti
di isolare, con deliberata semplificazione strumentale e in chiave schedulare e "iconica", alcune
domini e concetti-chiave, o, più onestamente e semplicemente, quelli che la limitata capacità di
comprensione dello scrivente ritiene tali.
Lo scopo principale, oltretutto, è quello di isolare un percorso, o meglio, una serie di possibili
percorsi critici "di sopravvivenza", capaci di pervenire, al minimo costo di energia di transito
(filologico- critico -retrospettiva...) all'appuntamento finale: quello cioè di una articolata presa di
decisione—finalmente in tempo reale!—sul mondo, non solo "scientifico", altrettanto reale.
Un tratto, per niente marginale, di un tale reticolo di percorsi è infatti la circostanza che la nuova
piattaforma di consenso è potenzialmente accessibile (in perfetto ossequio all'anarchismo
metodologico della logica della scoperta scientifica: cfr. FEYERABEND 1979; HACKING 1984)
da una rete convergente e alquanto difforme di itinerari, non solo scientifici ma anche "etici": questi
ultimi sembrano ora, in effetti, forzare una rifondazione della prassi operativa di un'archeologia,
finora per niente "sociale" o "pubblica", che ha continuato ad evadere deliberatamente un fascio
critico di domande "reali" del mondo "reale", perpetuando un etereo limbo filologico-erudito ora
non più proponibile.
La visitazione schedulare qui proposta non va fraintesa come un ennesima gratuita riproposizione di
vari brodi (primordiali o meno) iperteoretici: si tratta in effetti, di riattualizzare i passi fondamentali
dello sviluppo più recente della nostra disciplina per tentare di capirne e possibilmente indirizzarne
costrittivamente oggi il flusso critico: un tale itinerario retrospettivo/prospettivo viene qui battuto
senza alcuna presunzione enciclopedica attraverso tratti più o meno caricaturali, strumentali
forzature e semplificazioni logotipiche.
La prima forzatura consiste, senz'altro, nel tentare di isolare, dal continuum dello sviluppo della
ricerca, delle "fasi", raccogliendone i tratti diacritici sotto varie etichette più o meno evocative. In
realtà non esistono né una rigida separazione né una stretta successione sequenziale: ogni "fase"
nasce, si sviluppa e realizza un proprio climax (o più di uno) in un fluido rapporto di
sovrapposizione (cronologica, spaziale e anche concettuale) con altre "fasi", realizzando intricate
dinamiche di interrelazione su cui si edifica un ben più "reale" e criptico scenario di complessità.

2.1. FASE 1: L ARCHEOLOGIA DEI MARTELLI

Si tratta, fuori metafora, della "New Archaeology" (d'ora in poi N.A.), nata agli inizi degli anni '60,
che ha marcato un impressionante climax alla fine dello stesso decennio e che, di fatto, perdura
ancora, attraverso vari emendamenti adattivi, a tutt'oggi (cfr. BINFORD 1989 a,b), con varie "onde
di propagazione (flussi e riflussi...: cfr. CUOMO DI CAPRIO 1986), che, per la verità, hanno
prodotto qua e là catastrofiche alluvioni, lambendo invece molto blandamente alcune sponde più
remote e beate...(cfr. DE GUIO 1989; 1991).
Sulla scorta delle già copiosissima letteratura retrospettiva recenziore (cfr. ad es. DONATO-
HENSEE-TABACZYNSKI 1986; MEETZER-FOWEER-SABEOFF 1986; GUIDI 1988;
CAZZELEA 1989; LAMBERG KAREOWSKY 1989; TRIGGER 1989 a; RENFREW-BAHN
1991) potremmo, in merito, tentare di delineare di questa "fase" alcuni tratti marcatori essenziali:
— l'ascendenza generalizzata al "positivismo logico", al "neo-evoluzionismo" e al "materialismo
culturale";
—il paradigma sistemico, in un'accezione più o meno derubricata rispetto alla formulazione
originale (cfr. BERTALANFFY 1969), che privilegia dichiaratamente sistemi chiusi (in cui quindi
l'approccio simulativo è di norma un "zero-sum game");
— la sottolineatura pressoché esclusiva degli equilibri isostatici ("feed - backs" negativi di
controllo-annullamento delle dislocazioni sistemiche);
— l'isotropia (cioè l'appiattimento strumentale della variabilità fisio-bio e antropogenetica) quale
condizione per fare "girare" i pur sofisticati modelli simulativi;
— l'ossequio pressoché esclusivo al modello deduttivo-nomologico hempeliano;
— l'adattazionismo (cambiamento socio-culturale visto come forma di adattamento all'ambiente);
— un ubiquitario eco-determinismo (conseguente al punto precedente) bilanciato solo da un
determinismo demografico (sul "prime mover" demografico cfr. ad es. BOSERUP 1965) e tecno-
economico (che risale alla scuola di L. White: cfr. WHITE 1949);
— il carattere "ottimizzante" attribuito al comportamento antropico adattivo (tratto di ascendenza
alla scuola della "social phisics", riflesso, ad esempio, in modo diagnostico, nell'iper-citazionismo
dell'opera di ZIPF 1949, dal titolo emblematico: Human Bebaviour and the Principle of Minimam
Effort); — il paradigma (originale: cfr. B~NFoRD 1972, p. 31) del record archeologico visto come
riflesso speculare e "inerte" del comportamento umano;
L'immagine che meglio sintetizza in modo oleografico-logotipico questi tratti è quella dello
"analitical engine" di CLARKE 1968 (cfr. KLEJN 1977): un poderoso (ma anche mostruoso)
marchingegno cibernetico-isostatico (input/ output/ memoria/regolatore/ matrice di transizione/
"lag"/ "lead".... etc.), in cui il comportamento socioculturale individuale e aggregato trova solo
limitati gradi di libertà "stocastica"(modello di transizione probabilistica semi-markoviano) .
L'ambivalenza di un tale costrutto (e di tutto il "theory building" della N.A.) è una topica ormai
stabilmente localizzata nella letteratura critica (cfr. ad es. GUIDI 1988, pp. 160-200; MALINA-
VASICEK 1990, pp. 119-125; TRIGGER 1989a, pp. 289-328): da una parte si pone innegabilmente
uno straordinario, genuino e senz'altro progressivo slancio generazionale (che ha anzi contagiato più
generazioni, fra cui la nostra) di matrice neopositivistica, interiorizzato in termini di ulteriore
promozione emotiva come una salutare e bellicosa rottura paradigmatica kuhniana; dall'altra si è
invece notato come la rumorosa fanfara new-archeologica potesse—subdolamente o meno—
suonare di fatto una marcia di regime: quella della "ideologia di controllo", in cui una classe elitaria
di "administrative intellectuals" (cfr. LILLIENFIELD 1978) perpetuava, sotto la cortina di un gergo
esclusivista da scienza sistemica presuntivamente asettica in "controllo" scientifico-predittivo del
passato, una visione—retrospettiva—dei sistemi socioculturali ("regolati" da modelli adattivi—
ottimizzanti) funzionale agli interessi—prospettivi—della tecnocrazia occidentale più avanzata (cfr.
HODDER 1985, pp. 20-21).
Sulla scorta di questo multiforme apparato, variamente digerito, i vari "new-archaeologists" hanno
battuto furiosamente, con un senso, peraltro più che comprensibile, da delirio infantile di
onnipotenza, una pluralità di "martelli" (leggi i vari modelli analitici di "carrying capacity"/
"population pressure", "site catchment analysis", teoria delle località centrali, modello Von-Thunen,
"gravity models", "rank size role", poligoni di Thiessen..... etc.: cfr. DE GUIO 1989), in un
inflattivo crescendo di disinvolti imprestiti "scientifici" da altre discipline (dalla fisica, alla
demografia, alla geografia, alla teoria dei giochi e delle decisioni...): si è così spesso avallata una
pericolosa e pervasiva "tirannia del metodo" sulla teoria, di norma puramente di facciata ("theory
pacLages") di riferimento (cfr., in merito l'evocativo "hammers and theory" di MooRE-KErNE
1983). L'interfaccia con gli altri "mondi" disciplinari è stata crescentemente filtrata da formalismi
matematici e sempre più informatici, che hanno contribuito in modo sostanzioso ad un ulteriore
avallo "modale" dell'attrezzatura di percussione succitata. Il computer, già da questa fase, estrinseca
dunque un'ulteriore e ancora più perfida ambivalenza: strumento di indubbia progressione da una
parte e di copertura, dall'altra, di una non neutra ideologia di "normalizzazione" del consenso della
comunità scientifica.

2.2. FASE 2: L USURA DEI MARTELLI

L'arco critico degli anni '70 e dei primi '80 vede crescere, nel contesto di una pervasiva
acclimatazione dei formalismi matematico-informatici, una pluralità di indirizzi, filoni e accenti
divergenti o alternativi rispetto alla prima fase: per quanto riassorbiti in gran parte nell'ancora
impetuoso "mainstream" new-archeologico, contraddizioni e aporie emergenti pervengono, alla
fine, nella loro crescita cumulativa, ad una massa d'urto di alto potenziale destabilizzante:
— la "behavioral archaeology" di SCHIFFER 1976, instaura, sulla rottura del paradigma "fossile"
succitato del record archeologico, un nuovo filone, tuttora estremamente prolifico (cfr. ad es.
WooD-LEr JOHNSON 1978; VILLA 1982; VILLA-COURTIN 1983; NASH-PETRAGLIA 1987;
per finire, idealmente, con la sintesi dello stesso SCHIFFER 1987), volto ad approssimare più
efficacemente la complessità trasformativa ("cultural and natural transformations") dei "site
formation processes" (cfr. DE GUIO 1988a,b);
—la "middle-range theory" di Binford (cfr. ad es. BINFORD 1983b), indipendentemente dalla
variopinta, embricata e spigolosa bardatura di supporto, segna un analogo e largamente convergente
riorientamento, di fronte alla stessa complessità del record archeologico, del target teoretico di
arrivo, derubricato, sulla scorta di un indirizzo sperimentale-attualista-etuoarcheologico, a livelli di
risoluzione di base, ben lontani dalle presunzioni nomotetiche da "covering law" (o "Mikey Mouse
law": cfr. FLANNERY 1972) della prima ora;
— la stessa archeologia di superficie, rotto un conforme paradigma della riflessività
superficie/sepolto (cfr. BINFORD 1972, pp. 163-184) e uscita dal blocco teoretico legato al
monopolio tematico del "sampling" (cfr. REDMAN 1974; MUELLER 1975), vede innestarsi un
ciclo revisionistico (cfr. soprattutto AMMERMAN 1981) con successivi ampi sviluppi (cfr. ad es.
HASELGROVEMILLETT-SMITH 1985; REDMAN 1987), che proietta e amplifica via via in
superficie" la complessità del sepolto, rivelandone gli ulteriori e specifici itinerari trasformativi
post-deposizionali (cfr. DE Gu~o 1985b; 1988a,b); nuove teorie locazionali (per quanto soprattutto
limitate ai "cacciatori e raccoglitori", in particolare la "off-site archacology/home range theory" di
FOLEY 1981a,b e la "archacology of place" di B~NFoRD 1982) evidenziano una manifesta,
accresciuta complessità del record archeologico atteso alle diverse risoluzioni (in particolare intra e
intersito): le fenomenologie di arrivo, in larga parte palinsestiche (in termini spazio-temporali e
funzionali), si dimostrano di ben difficile decrittazione analitica e tali da imbarazzare pesantemente
il semplicismo comportamentalistico di una canonica "site catchment analysis", per quanto riveduta
e corretta (cfr. ROPER 1979);
— sul piano delle teorie del cambiamento si assiste, con un'inversione di tendenza rispetto
all'imperante monopolismo isostatico succitato, ad una crescente sottolineatura dei fenomeni di
discontinuità/dislocazione/metastabilità, spiegati in chiave ancora una volta sistemica (circuiti
retroattivi "positivi e multiplier effect di RENFREW 1972) o con l incorporazione di più freschi e
accattivanti apparati formali (cfr. ad es la "teoria delle catastrofi" di THOM 1975: cfr. POSTON
1979; RENFREW-POSTON 1979; RENFREW 1979); — la simulazione socioculturale come
"gioco a somma zero" in sistemi chiusi mostra tutta la sua labilità: sulla scorta di nuove prospettive
teoretiche, come quella avanzata da Wallerstein sui "world systems" (1974), per quanto
disinvoltamente derubricata, indebitamente estesa e malintesa, si indagano sempre di più dinamiche
di interazione sistemica a più livelli di risoluzione e "annidamento" spazio/temporale e funzionale,
variamente "coperti" da modelli di riferimento quali i "core-periphery models" (cir. ad es.
CHAMPION 1989) o le "peer-polity interactions" (cfr. ad es. RENFREW-CHERRY 1986); —
vengono crescentemente indagate aree di interazione antropica ed ecoculturale in cui la
mobilità/duttilità degli "attori sociali" collettivi manifesta, ad una visitazione non precondizionata
dai rigidi modelli adattazionisti, una quota elevatissima di rumore idiografico (o, più direttamente,
"storico": cfr. più oltre) che minaccia continui inceppamenti del vetusto "analytical engine".
Rilevante, in merito, risulta una gamma di domini disparati di indagine, dalle dinamiche di guerra-
belligeranza (cfr. ad es. CARNEIRO 1970; VENCL 1984), alle interazioni confinarie (cfr. ad es. DE
ATLEY-F~NDLow 1984), alle teorie neo-migrazioniste/diffusioniste (cfr. ad es. ROUSE 1986), alla
sfera simbolico-proiettiva ed ideologica (cfr. ad es. FLANNERY-MARCUs 1983).

2.3. FASE 3: IL RITORNO DEGLI INDIANI

Il manifesto di Hodder sulla Post-processual archaeology (1985) segna un emblematico termine di


riferimento per una curiosissima corsa ad ostacoli, da allora ufficialmente iniziata, continuamente
sospesa fra parossistici cicli di messianiche prospezioni in avanti, nostalgici ripiegamenti, riciclaggi,
ritirate frettolose e, soprattutto, molti incidenti di percorso. Nell'—allegro ma non troppo—concerto
post-moderno niente sembra, in effetti, più difficile da reggere del prefisso "post": la sua stessa
ridondanza inflattiva incoraggia spesso il volubile "mercato" (anche editoriale...) delle idee a
ratificare certificati prematuri di post mortem per le "post-avanguardie", il cui "fresh blood" viene
presto succhiato da voraci, vampiri (la sub-species "academica" è notoriamente la più vorace)
ancora più post...
L'originale proposta neo-paradigmatica di Hodder segna uno storico punto di rottura dello
"analytical engine", sostituito da un "motore attoriale", tuttora in rodaggio, di cui elenchiamo qui, in
estrema sintesi, i pezzi che a noi sembrano portanti:
— l’attore sociale": al centro dello scenario da "Social Action Theory" hodderiano, si colloca, in
effetti, l'individuo, visto non più come una macchina belaviourista passiva, riflessiva e adattiva,
sistematicamente "gabbata" ("duped") dal "sistema", ma come capace di "negoziare" il proprio
ruolo sociale, di "monitorare" i risultati delle proprie azioni e di aggiustare correttivamente la
propria visione del mondo. L'importante, secondo l'originale establishment new-archeologico (cfr. il
pur atipico FLANNERY 1967), era raggiungere non il manufatto (record archeologico) e neppure
l'indiano dietro il manufatto, ma il "sistema" dietro ad entrambi. L'importante, secondo Hodder,
diventa invece recuperare proprio l'indiano, che si riporta alla nuova ribalta "attoriale" reggendosi
con un ritrovato orgoglio sul suo "wounded knee" guarito dalle ferite inferte dagli archeologi "di
frontiera" della N.A.; — negoziazione ed ideologia: l"'ideologia", nella specifica accezione della
letteratura neo-marxista e struttural-marxista (cfr. LEONE 1982), che vi riconosce un principio
informatore primario dei sistemi socioculturali, è ripudiata in quanto intrappolata entro una matrice
di antropologia materialistica che le assegna un ruolo inibitorio e coercitivo: quello di mascheratore
del conflitto sociale e di inibitore delle capacità negoziali del singolo attore, di fatto funzionalmente
analogo a quello del "sistema" new-archeologico, e anzi diretto semplicemente ad "oliarne" gli
ingranaggi adattivi;
—I'approccio "contestuale": si nega cioè quella divaricazione fra "funzione" e "significato" del
modello comportamentalista, riportando la "azione sociale" ad una imprescindibile unità di "belief"
(cultura, norme) e "behaviour" ("analisi situazionale");
— la rivalutazione "storica": non esistono solo "processi adattivi" a-storici (il "timeless past" della
N.A., di fatto traguardato al più confacente livello sincronico, con simulazioni adattive da "time-
slices"); ogni azione sociale e ogni "mappa cognitiva" che la supporta trovano senso e spiegazione
solo in una matrice storicamente determinata da una specifica e particolaristica traiettoria evolutiva
(''culturaVcognitive phylogeny");
—la pseudo antinomia oggettivo/soggettivo: è possibile produrre generalizzazioni non solo
sull'oggettivo (record archeologico), ma anche sul soggettivo (comportamento attoriale
significativo); tali generalizzazioni predittive saranno però di natura ben diversa dalle "leggi di
copertura" transculturali, in quanto formulate "dal di dentro", cioè nell'ambito costrittivo di una
"tradizione" storica ben determinata;
—la cultura materiale: valutata non come un riflesso inerte del comportamento ma come "costruita
significativamente", un medium cioè attivo (attraverso principi funzionali come quello della
"evocazione") di produzione e riproduzione dei rapporti sociali e di controllo "negoziale" delle
dinamiche di dominanza, funzionante entro precisi "contesti" di significazione, spesso saturi di una
essenziale e costitutiva "ambiguità", il cui rumore dilata ulteriormente gli spazi di gestione del
conflitto sociale. Al rapporto unidirezionato della N.A. (comportamento -> cultura materiale), si
sostituisce quindi una relazione bi-direzionale (comportamento <-> cultura materiale), mediata
inoltre attivamente dagli attori sociali entro la loro specifica matrice culturale storica;
—osservazione partecipativa: viene fortemente contrastato il modello etnoarcheologico
(comportamentalista/non partecipativo) di L.Binford (BINFoRD-SAsLoFF 1982), in quanto
assolutamente inadeguato a cogliere proprio il significato profondo (socio-attoriale) di quel rapporto
fra statica (record archeologico) e dinamica (comportamento) propositivamente indirizzato dalla
"middle-range theory";
—modelli esplanatori: il modello ipotetico-deduttivo (teoria -> fatti), già rivisto in chiave retroattiva
da GARDIN 1980 (Fig. 26: cono di inferenza) e da RENFREW (1982a) (teoria < - > fatti), è ora
ancora una volta mediato dall'attore sociale (in questo caso l'archeologo), che entro la sua matrice
cronistorica di visione del mondo, manipola attivamente sia i c.d. fatti osservazionali (di fatto
"theory laden"), che le teorie, che le relazioni fra i due. Il passato è così spesso deliberatamente
"usato" e asservito, attraverso precise strategie sociali, ai processi di dominanza dell'oggi.
—paleopsicologismo: la metodologia di accesso Towards an Archacology of Mind (RENFREW
1982b; cfr. anche cfr. LEONE 1982) di cui Hodder rivendica la specificità distintiva, in chiave
socio-attoriale e "contestuale" ("analisi situazionale"-ermeneutica collingwoodiana), ma di cui non
si danno alla dovuta risoluzione i passi critici, è certamente il dominio di indagine più sfumato. In
merito vale forse ancora il rimando abilmente auto-cautelativo dell'autore (HODDER 1985, p. 15)
al rilievo critico mossogli da Renfrew (1982a, p. 143), secondo cui il modello è ancora.... “ waiting
to be sbown to work ”.
Sotto l'etichetta di "archeologia post-processuale" e ben oltre le strette definizioni programmatiche
del manifesto hodderiano si stanno tuttora aggregando una pluralità di scuole, indirizzi e accenti,
variamente intersecati ma talora anche divergenti e contradditori: ne risulta una nebulosa da
"insiemi sfuocati" (da "fuzzy-set theory") in cui è alquanto difficile introdurre ordini e principi di
partizionamento significativi.
Molto apprezzabile, al riguardo, è il tentativo di sintesi di Patterson (1989), che riconosce tre distinti
phila:
— uno di più diretta paternità hodderiana (cfr. in particolare HODDER 1985; 1986; 1987a,b; 1989;
1990) e di esplicita ascendenza al neo-hegelismoidealismo di Collingwood, corroborato inoltre di
colti richiami alle opere di Roland Barthes, Pierre Bourdier, Clifford Geetz, Antony Giddens e Paul
Ricoeur. L'assunto-chiave sembra essere il record archeologico visto come "testo" da decodificare.
Le relazioni fra "testo" e "lettore" (archeologo) sono variabili e storicamente specifiche:
l'archeologo è un interprete e un critico che lavora in un contesto per niente neutrale ("value free
science"), ma nel quadro di una mobilità di obiettivi politici, strettamente contestuali al proprio
scenario sociale, che vanno isolati e chiarificati. L'accento maggiore, in questo indirizzo, è
comunque posto sull'abilità crittografica ed "ermeneutica" dell'archeologo-interprete;
— uno che si ispira agli scritti di Marcel Foncault e al neo-marxismo, con un accento più
focalizzato sulle relazioni di potere e dominanza connesse alla produzione di conoscenza—e
specificamente, quella archeologica—nel peculiare contesto sociale "tardo-capitalistico" (cfr. ad es.
MILLER-TILLEY 1984; SHANKS-TILLEY 1987a,b);
— uno, più direttamente polarizzato sulla comunicazione ed ideologia, che viene fatto risalire al
pensiero di Louis Althusser e Jurgen Habermas e più genericamente a tutto il filone della scuola di
Francoforte (cfr. in particolare la "teoria critica", mediata negli U.S.A. soprattutto dalla figura di
Herbert Marcuse). L'archeologia è vista come ideologia "presentista" e storicamente specifica nella
sua produzione di conoscenza e richiede dunque autoconsapevolezza ed auto-critica. Il passato, in
effetti, è usato come medium attivo di creazione e manipolazione di significati nel presente, al
servizio di specifici interesse di classe o gruppi di dominanza. La cultura è valutata come
essenzialmente riflessiva o "ricorsiva": i soggetti in effetti non subiscono passivamente
l'imposizione di codici culturali, ma amministrano le loro capacità simboliche, cambiando il mondo
in cui vivono. Rigettando un rozzo determinismo infrastrutturale (ecologico, economico,
demografico, tecnologico) la dinamica sociale è ricondotta, in conformità alle dottrine neo-marxiste,
ad una pluralità di motori, in cui la componente ideativo-proiettiva e, più specificamente, la
superstruttura ideologica (volta a camuffare i conflitti e assicurare la riproduzione sociale), è
essenziale elemento informatore (cfr. ad es. LEONE 1982; LEONE et alii 1987).
Questi tre indirizzi, di cui i primi due più sviluppati in Inghilterra e il terzo negli U.S.A.,
individuano con le loro fitte interconnessioni una più generica e diffusa matrice comune,
caratterizzata dal rifiuto del mito "modernista" (scientismo, tecnicismo, oggettivismo logico,
determinismo eco-demotecnologico, a-storicismo...etc) della N.A., delle storture astratte e
disumanizzanti dello strutturalismo e dell'antropologia simbolica e proiettata verso le dimensioni
post-moderniste di una nuova consapevolezza sulla produzione e riproduzione sociale della
conoscenza, nel quadro di una esplicita rivalutazione dell'attore sociale umano e della storia
(proprio nel corso dell'attuale "crisi della storicità": cfr. TOPOLSKI 1976).
Dagli indirizzi suesposti e dal più diffuso milieu concettuale succitato tendono ora ad enuclearsi
filoni più o meno effimeri ed in cerca di una propria autonomia, in genere più strettamente legati a
localizzate coordinate geografico-accademiche.
Un polo più espressamente "post-strutturalista" sembra ad esempio particolarmente attivo ed
acclimatato a Cambridge, dove trova fra l'altro una temperie socio-culturale estremamente fertile,
che raccoglie fermenti di un arco critico esteso dal radicalismo femminile (la "Gender Archaeology"
è più propriamente valutabile come un autonomo filone: cfr. ad es. DOMMASNES 1990; TAYLOR
1990), ai locali fenomeni di rivendicazionismo politicoprofessionale di estrazione studentesca.
Fondamentale, al riguardo, è stato certamente il “ Cambridge Seminar on Post-Structuralism and
Archaeology ” dell'estate 1988, i cui esiti compositi e — anche editorialmente — divergenti (cfr.
BAKER-THoMAs 1990; BAPTY-YATES 1990) si offrono ad una pluralità di letture, dirette o
sintomatiche" (cfr. più oltre).
Sul versante più "prezioso" (40£!) dell'editoria accademica, la silloge di BAPTY-YATES 1990 offre
innanzitutto sull'universo post-strutturalista delle note introduttive di cautela, sottolineando il
carattere ancora sperimentale di questa prospettiva, che non si offre del resto come un corpo
teoretico unitario, ma piuttosto come un'indistinta massa permeabile e porosa, marcata, per
definizione, dalla diversità e anzi programmaticamente produttiva di essa: l'eterogeneità degli
ingredienti, insomma, non ha ancora consentito di iscrivere una medicina post-strutturalista negli
elenchi ufficiali della farmacopea accademica (“ Post-structuralism is not available on
prescription.... ”: p. 3).
La ricerca di paternità del nuovo indirizzo è compiuta attraverso una serie assolutamente
enciclopedica di citazioni (spezzoni teoretici e/o parole chiave) di vari autori (cfr. pp. 3-30): dai più
canonici, qualiJacques Deridda ("decostruzionismo", "discorso", "scrittura", "testualità",
"différance"....), Roland Barthes ("denotazione/connotazione", "morte dell'autore/nascita del
lettore"...), Michel Foucault ("archeologia del sapere", "genealogia", "anti-storia", "storiografia anti-
umanistica", "microfisica del potere"...), Gilles Deleuze e Félix Guattari ("schizoanalisi",
"desiderio", "anti-Edipo"...), Lacan (stadio dello "specchio", "stadio della castrazione",
"simbolico"...), a nomi relativamente inattesi quali Freud, Marcuse, Nietzsche, marxisti quali Louis
Altusser, Pierre Macherey, antropologi quali Gregory Bateson, a personaggi letterari quali Jorges
Luis Borges, Angela Carter, Franz Kafka (cfr. BAPTY-YATES 1990, passim e ripassim e in
particolare pp. 3-30): lo sconforto e disorientamento di un "normale" lettore archeologo, anche
bene-educato e non ruspante, di fronte a questo fantasmagorico ipercitazionismo a 360 gradi, può
essere tale da indurre non tanto la "morte dell'autore" di barthesiana memoria (che qualche
esasperato potrebbe comunque augurare a Bapty, Yates e compagni), ma quella del lettore stesso,
cui in ogni caso, se regge allo shock, sarebbero necessarie più vite (agiate) dedicate alla lettura.
La risoluzione meno imbarazzante per lo scrivente, di fronte a questa sperimentazione intellettuale,
è di rifarsi pilatescamente alla diagnosi del "dissidente" Shanks, una voce quindi "interna" non
sospetta, ospitata, ("vive la “ différance >>!"), nella parte più nobile—la fine!—dello stesso volume
(SHANKS 1990, PP.294-310). Le accuse più gravi, sostenute da un'acredine insolita anche per le
"confrontations" accademiche anglo-sassoni, sono così schedularmente enucleabili:
— frammentazione incoerente della disciplina archeologica: nell'indicazione programmatica del
sottotitolo Post-Structuralism and the Practice of Archaeology, lo "and" sembra del tutto
pleonastico. Non si vede in effetti dove veramente sia l'archeologia, in un corpo di citazioni mutuate
soprattutto da un intellettualismo francese "à la page", di marginale accatto e di difficile digestione
oltre-Manica;
— feticismo degli autori: il post-strutturalismo archeologico sembra essere soprattutto un "writing
on writers";
— teoreticismo: il commento più feroce e sarcastico di Shanks è proprio sulla pochezza
del..."prodotto finito" dopo tanta ruminazione teoretica: “ Bapty's long rumination on antinomies
and dialectic and Nietzsche excretes the inconsequential conclusion.... ” (p. 296);
— ipocrisia elititaria: il "Jacques Deridda club of archaeology", costituito di "self-appointed
experts" non pare proprio il cenacolo più idoneo per condannare l'elitarismo accademico in favore
di un'apertura democraticoecumenica del "sapere" archeologico. Lo scopo non sembra tanto quello
di contrastare il potere accademico, ma di conseguirlo sulla "nonvelle vague" del nuovo palbabile
sapore continentale post-strutturalista.
L'atteggiamento più stupido, a questo punto, da parte nostra, sarebbe però cadere nella trappola
post-moderna, già citata, di un effimero consumismo troppo frettoloso nel ratificare "certificati di
morte" sui propri figli, per quanto bastardi possano essere.
Le stesse alternative, del resto, di tipo emozionale-soggettivo avanzate da Shanks (“ a way between
science and narrative ”: pp. 304-310) non sono certamente esenti da censure. L'autore avalla
esplicitamente, con la propria fresca auctoritas, un indirizzo emergente, ora noto ormai
ufficialmente come "Affective Archacology", cui è dedicato un intero numero di una rivista di
riferimento, tanto per cambiare, di Cambridge (“ Archaeological Review from Cambridge ”, 9,2,
1990).
Tale numero si pone, in effetti, come manifesto programmatico di questo nuovo indirizzo
sperimentale, con due immediati precedenti (la raccolta su “ Aesthetic and Style ” 1984,4,2 della
stessa rivista e la sessione “ Emotion in Archacology ” del TAG 1990), volto esplicitamente ad
inserire formalmente nell'agenda dei problemi archeologici di rilevanza la componente emozionale.
Anche questa pulsione post-moderna, che un severo detrattore potrebbe definire come teoresi,
metodologia e prassi operativa di titillamento delle emozioni archeologiche e il cui stesso
appellativo si presta ad una fin troppo facile ironia (sfuggita anche allo scrivente: “ effective versus
affective archacology! ”: cfr. DE GUIO, in c.s.), va in effetti considerata, oltre il velo da
divertissement salottiero che talora la circonda, per i suoi meriti sperimentali e prospettivi.
Con accenti pur diversi si sta in effetti profilando una serie di veri e propri nuovi generi letterari,
delle "narrative" archeologiche alla ricerca catartica di drastiche alternative in termini di contenuti,
modi, connotazioni/denotazioni, strutture e principi informatori. Emblematica, al riguardo, è la
proposta di TILLEY 1990a sulle regole di una neo-retorica archeologica basata su diverse "strutture
del discorso" (lineare, parallelo, circolare, a spirale, aforistica, tangenziale...., che restituiscono
dimenticate fragranze da assenzio futurista), sul ruolo di produttore/non consumatore del lettore che
trova dei "testi aperti" da riempire, su un'inedita teoria della lettura fondata sui principi del "joke"
(per definizione: tutto da ridere!), "presence/absence", "rarity", "power/knowledge", "restriction" .
Bisogna certamente fare, almeno, un tentativo di cogliere i lati meno caduchi di tutta la
sperimentazione "post-strutturalista", a costo, anche, di avallare iper-semplificazioni peggiorative.
Da una parte, infatti, la molta "crusca" accademica non fa più di tanto danno, anzi, presa in giusta
dose e con l'additivo del "joke principle" suddetto, può sortire effetti ... decongestionanti. D'altra
parte non va dimenticato, in merito, come sotto all'etichetta "post" si collocano autentici e positivi
fermenti di rinnovamento.
Sintomatica, al riguardo, risulta una visitazione del versante meno accademico del convegno di
Cambridge (la pubblicazione, "alternativa" di BAKER-THoMAs 1990), dove riusciamo con più
facilità a distillare, dalla cortina di una comprensibile enfasi intellettual-giovanilistica, alcune
indicazioni programmatiche di più palpabile consistenza e genuinità:
—la necessità di leggere, anzi "scrivere" ("archaeology as text") il passato con una nuova quota di
consapevolezza sui sottili rapporti con la produzione e riproduzione sociale della conoscenza nel
presente;
—il controllo (e la denuncia) delle dinamiche di potere (da quello microaccademico, a quello
dell'establishment neo-conservatore, particolarmente aggressivo nel settore universitario), entro cui
i processi suddetti si realizzano, nella concretezza delle situazioni di ogni giorno (meccanismi di
assegnazione di posti di lavoro, "tenures", borse e privilegi vari in un quadro generalizzato di
precarietà occupazionale esteso dalle "Units", ai Musei, ai Colleges, mercato editoriale, restrizioni
asfittiche e selettività dei finanziamenti del sistema universitario, "survivalismo" opportunista...);
—la ricerca di una coerenza, non di facciata, fra le varie istanze di una emergente new-left
accademica iper-teorizzante e le risposte da dare ai problemi di emarginazione sociale, economica e
discriminazione sessuale (“ ...not only a theory of practice, but also a practice of theory ”: cfr.
BAKERTAYLOUR-THOMAS 1990, P. 3);
—la necessità di una rottura dell'ottica "parrocchiale" dell'archeologia nel quadro di una reale
apertura alle archeologie (e ai bisogni) del resto del mondo (cfr. in merito l'esempio trascinante del “
Southampton World Archaeological Congress ”);
—l'urgenza, complementare, di recuperare "storie" (regionali o etniche o sociali) marginalizzate
dall'epopea archeologica e storiografica ufficiale;

—l'opportunità strategica di un'intelligente apertura (superando le puriste scomuniche accademiche


emesse dall'alto di distaccate torri eburnee) contro il mondo della "Heritage Industry", in cui
confluiscono non solo colpevoli mercificazioni ma anche autentici "bisogni" (intellettuali non meno
che emozionali) della gente comune (cfr. più oltre);
—l'esigenza di un linguaggio anti-gergale di ampia veicolazione.
Un'ultima notazione, non certo marginale per la nostra struttura di riferimento, riguarda una linea di
tendenza su cui tutto l'universo postprocessualista sembra indistintamente convergere: una crisi di
rigetto degli approcci computazionali, ben comprensibile nella pervasiva atmosfera "relativista"
(cfr. RENFREW-BAHN 1991, P. 430), in cui non sembrano esistere criteri certi di discriminazione
fra "verità oggettive" (bandite dal voluminoso vocabolario concettuale) e onirismo narrativo. Il
ritorno degli indiani (anche metropolitani) sembra dunque preludere ad un oscurantismo
quantitativoinformatico, che tende ad eliminare anche le più innocue "tortine" ("piecharts" o
"grafici a torta": cfr. più oltre), travolte da un torrente verbalistico (pardon, "testuale"), che
marginalizza del resto sistematicamente ogni "disturbo" iconico (tomi da 300-400 pagine con solo
una manciata di figure!).

3. Orizzonti di prospezione

Di fronte alle peristaltiche e volatili offerte del Postmoderno la sensazione senz'altro più diffusa è
quella del disorientamento. Un problema chiave può essere quindi quello di tentare di realizzare,
viste le limitazioni del nostro budget energetico, una politica di "economia cognitiva", che ci
consenta col minimo sforzo di assumere rotte decisionali produttive in tempo reale.
Un utile esercizio di "orientiering" consiste, al riguardo, nel tentare di prospettare una serie di
scenari proiettivi di breve termine, che ci aiutino a capire verso quali polarità critiche l'universo
multivariato suddescritto si stia direzionando, ossia (nel più altisonante ma démodé linguaggio
sistemico) su che "creodi" (imbuti canalizzanti) il nostro "paesaggio epigenetico" (ossia lo spazio
degli eventi, delle possibilità) stia proiettando la propria morfogenesi.
Sulla scorta di un'analisi parziale già avanzata (cfr. DE GUIO 1991), cui rimandiamo per maggiori
dettagli, possiamo isolare varie polarità.

3.1. THE NEW ARCHAEOLOGY , THEN AND NOW

L'etichetta riprende testualmente il titolo di un articolo del padre fondatore della N.A. (BINFORD
1989b) e connota emblematicamente un pruritoso ed impetuoso rigurgito di orgoglio dell' utopia
"modernista" che si offre, col viatico di una rinvigorita "middle-range theory" (cfr. BINFORD
1989a), come antidoto al malessere postmoderno (cfr. le accuse di idealismo, idiografismo,
empatetismo rivolte particolarmente al philum hodderiano). Viene così rilanciata polemicamente
verso il futuro l'ortodossia paradigmatica newarcheologica (cfr. l'eblematico In pursuit of the future
del 1986 che evoca con chiastica simmetria un continuam progressivo col precedente In pursuit of
the past del 1983). Segni di un "fondamentalismo processualista" sono stati coloritamente
denunciati, del resto, dai "post-processualisti" di Cambridge, che hanno paragonato la reazione di
alcune roccaforti accademiche "tecnicoscientifiche" britanniche contro opere di riferimento quali
quelle di SHANKSTILLEY (1987a,b), alla campagna degli Ayatollah contro i Versetti satanici
(BARKER-TAYLouR-THoMAs 1990, p. 5).

3.2. AMBUSH-ARCHAEOLOGY

È stata così definita (DE GUTO 1991, p. 26), una corrente, neanche troppo sotterranea, di
archeologia reazionaria e revanscista, di ispirazione empatetico-estetizzante e ideografico-idealista,
dura a morire e ostinatamente chiusa ad ogni formalismo quantitativo e cedimento positivista. Essa
ha continuato a tendere, seppure con uno strumentario censorio di patetica rozzezza (cfr. COURBIN
1982), sistematiche imboscate alle avanguardie new archeologiche, più o meno imbarazzate nel loro
accidentato percorso verso quegli orizzonti nomotetici più volte promessi e mai lambiti.
L'aspetto più preoccupante di questa corrente di pensiero (si fa per dire) è dato dalla prospettiva che
essa si saldi, per un perverso e, a nostro giudizio, in larga parte spurio gioco di affinità elettiva
(storicismo, cognitivismo, attorialità sociale..), alle avanguardie post-processualiste, ridando respiro
ad asfittici polmoni, che potrebbero tornare a suonare logori spartiti di vecchie marce trionfali...

3.3. PIE ARCHAEOLOGY

Con questo mielato, ironico e in parte anche autocritico appellativo (cfr. DE GUIO 1991, p. 28) si è
voluto individuare un altro e non meno pericoloso trend in corso nella ricerca archeologica, in cui
proprio il Calcolatore (con la C maiuscola ad indicare il suo status di nuovo nume tutelare), in realtà
derubricato a livelli di utenza di infimo profilo da "macchina da scrivere" o poco più, gioca un ruolo
potenzialmente non meno perverso di quello delle fanfare suaccennate. Si tratta in effetti di una
strisciante normalizzazione kuhaiana in cui un apparato in larga parte cosmetico di tecnologia di
facciata (calcolatore, diagramma Harrisiano, schede ministeriali o parrocchiali, un data-base,
qualche statistica descrittiva, qualche "pie-chart" o "grafico a torta", sopra richiamato...),
accompagnato da una cortina di criptolalie ciberneticoinformatiche, sembra avallare un immagine di
positiva (o neo-neo-positivista) progressione, in stretto controllo "scientifico" del reale. Si tratta in
effetti dell'espressione sintomatica di una "ideologia di controllo" che ripropone in toni decisamente
minori quella new-archeologica della prima ora e che vale spesso a mascherare sotto un corticale
maquillage delle mappe mentali desolatamente povere e popolate di varie aporie (o per meglio dire
"bugs") su topiche assolutamente centrali, in primis proprio il target principe ufficialmente
perseguito e cioè la formazione del record archeologico, sepolto e/o di superficie (cfr DE GUIO
1988a,b).

3.4. ARCHAEOLOGIA DELLA COMPLESSITÀ: GLI INGREDIENTI

È questo il nome che proponiamo per la fresca e splendida utopia che si affaccia ora sugli orizzonti
d'attesa di questo scorcio di millennio (cfr. in merito l'antesignano Archaeological Approaches to the
Study of Complexity di LEEUW 1981) rivolto però più specificatamente allo studio delle "società
complesse". Si tratta di un traguardo ancora in larga parte onirico di straordinaria appetibilità, il cui
effettivo e progressivo conseguimento è solo in parte nell'ordine naturale, atteso del flusso della
ricerca, in quanto richiede un positivo e dedicato intervento di catalizzazione critica ad alto
consumo energetico: su di esso si proietta, appunto, risolutamente anche il nostro Progetto per gli
anni '90 (cfr. DE GUIO 1991).
Si sta in effetti delineando un emergente terreno di consenso, che, forse in forza della sua stessa
indefinizione residua, poliedricità, reticolare complessità e mètastabilità, costituisce la piattaforma
sperimentale ideale per la precipitazione di nuovi equilibri.
Il percorso di visitazione qui proposto di una tale terra promessa è forzatamente cursorio (poco più
di una lista della spesa con parole-chiave e rimandi) e coincide solo in parte con quello già avanzato
dallo scrivente (DE GUIO 1991), al cui dettaglio ci si rimette comunque, in funzione di una
obbligata economia espositiva, per gli spezzoni comuni.
Prioritaria appare innanzitutto l'enucleazione di quelli che a noi sembrano gli ingredienti-base per
poi (e in parte contestualmente) procedere all'individuazione di reticoli e gangli critici di
connettività: in essi scorre, infatti, quella linfa vitale che può far nascere, dall'universo nebuloso
suddelineato, "la cosa".
Questi ingredienti, a prima vista alquanto disparati, possono essere raggruppati in tre distinti
domini: Archeologia; Informatica; Teorie generali del cambiamento.
a) Archeologia: Nella produzione di questi ultimi anni possiamo enucleare una serie di contributi
che indirizzano, seppure ad un grado di risoluzione criticamente differente (da blande prospezioni di
scenario a pacchetti teoretico-metodologici già "funzionanti"), il nuovo orizzonte:
—il "compromesso storico" di B. Trigger: in due dei profili critici più recenti (1989a,b) e "pesanti"
sulla storia del pensiero archeologico americano l'autore, già noto per un più crudo saggio
precedente (1978), restituisce criticamente una successione di fasi paradigmatiche alla luce di un
leit-motiv portante, la dialettica storia/non storia.
Cosí al primo a-storico paradigma, quello colonialista del "Moundbuilder people", succede quello
"storico culturalista" (relativismo culturale e particolarismo storico della scuola), quindi quello della
New Archaeology (neoevoluzionismo, determinismo ecologico, materialismo culturale...), durante il
quale, sulla scorta delle posizioni estreme di Steward (1955), si giunge ad un climax antistorico
(Storia concepita come generatrice di noise idiografico contrapposta a Scienza normativa).
Il successivo blocco paradigmatico, quello "contestuale"-hodderiano segna una rivalutazione
esplicita della storicità, ulteriormente promossa e mediata, negli U.S.A., dalla peculiare mélange di
indirizzi neo-marxisti e paramarxisti (teoria critica della Scuola di Francoforte, strutturalismo di
Louis Althusser ed antropologia culturale francese), che instaurano una sottolineatura,
crescentemente diffusa, del conflitto sociale e delle ideologie come meccanismi-chiave di
generazione del cambiamento o di camuffamento delle dinamiche di dominanza.
Un nuovo emergente paradigma che Trigger proietta nell'immediato futuro è, infine, quello di un
compromesso (che noi diremmo, con voluta ambivalenza, "storico"): la "historical explanation",
che, rinunciando alla pretese new-archeologiche di un equivalenza spiegazione = predizione e al
"volgare" materialismo processualista, concilia esigenze (normative) di isolamento di regolarità
transculturali con la lettura della "complessità storica" (non idiografica), focalizzando l'interesse
sulle singole tradizioni-traiettorie culturali, sul rapporto individui-società, sulle relazioni di
produzione, sulle ideologie e sistemi proiettivi vari.
Per quanto blanda, la proiezione di Trigger avalla in effetti quello che, al di fuori di ogni affiliazione
dichiarata o attribuita di scuola, è un indubbio e appariscente trend dominante nello "archaeological
thought" americano. — la "nuova sintesi" di Bintliff: dall'altra parte dell'oceano merita una
particolare ricognizione la prospettiva avanzata da Bintliff (cfr. particolarmente BINTLIFF 1988),
che, dopo un livido attacco alle posizioni post-processualiste hodderiane (viste come
intrinsecamente incoerenti e contradditorie: “ the new 'Old Archaeology' is in reality a more
sophisticated version of the old 'New Archaeology' ”: p. 19), offre preziose e illuminanti indicazioni
prospettiche di breve-medio termine. Queste derivano essenzialmente dal cogliere, in tempo reale e
non con i soliti ritardi generazionali, tutta una serie di sviluppi recenti in un lotto esteso di discipline
parallele.
In ambito socio-antropologico, così, la vulgata struttural-funzionalista della scuola britannica (a-
storica e anti-evoluzionistica), fissata in modo irreversibilmente logotipico nelle strutture di
riferimento degli archeologi europci, non ha più senso alla luce di una visitazione, ad esempio,
dell'ultimo Evans Pritchard (rigetto della nozione di società come sistema adattivo regolato da
covering laws universali di tipo predittivo, ripudio del determinismo ecologico e sottolineatura
esplicita della storia come principio di strutturazione del cambiamento sociale: “ By and by
anthropology will have the choice between being history or being nothing ”: EVANS PRITCHARD
1962, p. 152) e del suo allievo Edmund Leach (LEACH 1984, che si autodefinisce sia funzionalista
che strutturalista, indagando, con pari attenzione, dei processi sociali, sia lo "hardware" di
estrazione genetica che il "software" di provenienza dall'ambiente culturale).
La storia, vista nelle prospettive ad esempio di William McNeill (McNEILL 1986: critica post-
positivistica, nozione di "complessità" del comportamento sociale—adattivo e reattivo sia
all'ambiente naturale che a quello simbolico-culturale—indagato dagli storici in termini di "pattern
recognition ) eJ. Steinberg (STEINBERG 1981: “ objectively-knowable history ”), offre altrettante
utili strutture di riferimento per le "domande" della crisi postprocessualista.
Altri preziosi stimoli vengono da altre discipline (cfr. per il dettaglio BINTLIFF 1988, pp. 24-31,
cui rimandiamo per l'ingombrante apparato di concetti e referenze) quali: la geografia (che ha
offerto il numero forse più elevato di "martelli" alla New Archacology e che, incorporando fin dai
primi anni '70 paradigmi post-positivisti, oggi, nella sua corrente principale, si è accordata su di un
forse esemplare "compromesso" fra la nuova "people oriented geography" e il philum "scientifico"
della vecchia "new geography": cfr. ad esempio il modello "possibilista" nell'emblematico
Historical Geography: a New Beginning di BAKER 1979); le scienze evolutive (cfr.
particolarmente il modello post-darwiniano di GOULD 1986: teoria "puntualista" contrapposta al
"gradualismo" darwiniano, importanza cruciale della storia come fattore generativo che consente
non più "predizioni" ma "postdizioni", teoria gerarchica delle pressioni selettive, rilevanza
informativa e morfogenetica del "rumore" casuale-non adattivo come innescatore di meccanismi
selettivi....); la cosmologia e la fisica teorica ("prospettiva storica" anche nelle leggi della fisica,
evolute, nella storia dell'universo, così come la materia ed energia che controllano, relativismo
temporale di Einstein, antinomia disordine/ordine fra mondo subatomico e aggregati...)
Malgrado alcune un po' stridenti ed enfatiche forzature non c'è dubbio che in tutto il mélange
prospettato da Bintliff esista un lauto "food for thought" per il sempre più esigente appetito
postprocessualista, ma soprattutto è innegabile che si aprano le prospettive per una "nuova sintesi",
cioè per una futura e olistica "Scienza Umana", cui l'archeologia, con la sua peculiare prospettiva di
profondità temporale, è chiamata a dare un contributo decisivo. Il magma essenziale ad una tale
unificazione è individuato proprio nella nozione di storia, nell'accezione articolata della scuola
francese degli Annales, di cui è valutato come esemplare riferimento l'ultimo Fernand Braudel
(1972). I diversi livelli di risoluzione offerti dall'autore ("événements" di brevissimo termine, che
interagiscono con "mentalités" normative conscie ed inconscie, "conjunctures" di medio-termine e
infine "longue durée" di escursione plurisecolare o millenaria legata a condizionamenti-base del
comportamento umano indotti da proprietà dell'ambiente, da tecnologie e visioni del mondo in
lentissima evoluzione) dettano le regole morfogenetiche di quella complessità crescentemente
riconosciuta ed indirizzata da uno stuolo sempre più esteso di "scienze umane". — la "cognitive-
processual archaeology " di C. Renfrew e P. Bahn: nel loro recentissimo e splendido lavoro
(RENFREw-BAHN 1991) i due autori propongono con vivida chiarezza programmatica i termini di
un indirizzo destinato a riscuotere senz'altro un esteso consenso, in quanto raccoglie, portandolo ad
una formale esplicitazione, un trend già di fatto operante in molti ambienti e alla ricerca, appunto, di
un polo di aggregazione di riferimento.
La "cognitive- processual archaeology" esprime senza esitazioni la propria affiliazione alla
tradizione funzionale-processuale della New Archaeology, di cui si enuncia come l'erede diretta e
sottolinea al contempo il proprio debito all'archeologia marxista e a vari altre correnti post-
processuali. Le differenze rispetto alla N.A. sono enucleate nei seguenti punti:
a) l'incorporazione attiva nelle proprie formulazioni di informazioni sugli aspetti cognitivi e
simbolici delle società antiche (cfr. LEONE 1982; RENFREW 1982b).
b) il riconoscimento dell'ideologia come forza-chiave, da introitare in molti modelli esplanatori
sulle dinamiche sociali (cfr. la scuola neo-marxista);
c) la nozione di cultura materiale come fattore attivo di costruzione del mondo in cui viviamo (cfr. il
philum dei "material culture studies": ad es. MILLER 1987; TTLLEY 1990b);
d) la maggiore importanza da attribuire al conflitto intrasociale (cfr. l'archeologia marxista);
e) l'assunzione di un modello di "spiegazione storica" non di tipo idiografico-aneddotico ma nelle
forme proposte da Fernand Braudel (cambiamenti ciclici, lunga durata..);
f) il ripudio dell'estremismo logico-positivista: i "fatti" sono in realtà carichi di teoria ("theory
laden": cfr. HAcK~NG 1984, p. 232); il circuito fra i due elementi è bidirezionale (quindi nelle
spiegazioni di fatto si utilizzano entrambe le direzioni, ricorrendo sia ai modelli di "corrispondenza"
che a quelli di "coerenza"); la ricerca di "laws of culture process" come se fossero leggi universali
della fisica non è più da considerarsi un percorso esplanatorio fruttuoso. —il "multi-actor system "
di J. Doran: il modello simulativo di J. Doran (1982, 1986) costituisce, di fatto, una non sospetta ed
estremamente promettente mediazione (fra l'altro non cercata) fra la tradizione simulativa
processualista e le istanze cognitive post-processualiste.
Lo scenario proposto da Doran, in effetti, vede i sistemi socioculturali come "strutture decisionali
distribuite", suscettibili di un approccio simulativo al calcolatore. Tutte le sfere di interazione in cui
il "decision maLing" si realizza, sono, al riguardo, concepite come integrate in un "macroscenario"
composito, di tipo "multi-contrattuale" e "multi-attoriale" (cfr. DORAN 1982, 1986), con un
pattern, cioè, di contratti (modelli di interazione ottimali o sub-ottimali uomo-uomo e uomo-
ambiente) o psendo-contratti (di natura cioè non ottimale, mal-adattiva: cfr. RAPPAPORT 1977)
istanziati e disdetti fra i diversi attori (individuali, ognuno con una propria mappa cognitiva più o
meno deformata del sistema, o collettivi, dalla famiglia nucleare alla comunità di villaggio ad un
intera entità etno-politica) in un flusso discontinuo e tendente ad una sistematica metastabilità
("anastrofica"/ "catastrofica").
Va qui subito rimarcato come la stessa complessità della "rete" di contratti che si addentra in tutte le
molteplici dimensioni comportamentali e relazionali del sociale e i fattori di distorsione e di non-
ottimizzazione/ pseudocontrattualità (mediati dalle deformazioni "prospettiche" delle "mappe
cognitive" dei vari attori) valgano a riproporre quel tasso critico di aleatorietà e sistematica
metastabilità che la maggior parte delle strutture di aggregazione decisionale umane dimostrano nel
mondo reale.
Di recente lo scrivente ha proposto (cfr. DE GUIO 1991) un possibile sviluppo, per quanto ancora
largamente onirico, del modello multi-attoriale secondo alcuni ideali vettori di crescita:
a) una definizione più estensiva del termine "attore", a copertura, cioè, non solo dello "attore
sociale" (singolare e collettivo a diversi livelli di risoluzione gerarchica), ma di qualsiasi altro
"attore naturale" (costitutivo dell'ambiente di contesto, anche qui a stadi di risoluzione variabili) che
interagisce con le dinamiche di comportamento umano e inoltre di qualsiasi altro processo
bio/fisiogenetico (deposizionale e post-deposizionale) o anche meccanico, che interviene nella
formazione del record archeologico (sepolto e di superficie): il fiume ("attore naturale"), la talpa
("attore" post-deposizionale biogenetico) e l'aratro (attore post-deposizionale "meccanico")
potranno cioè "recitare" assieme all'attore sociale nel nuovo, dilatato scenario;
b) un'accezione operazionale, conseguentemente ricalibrata di "contratto", inteso come l'insieme
probabilisticamente discriminato (in funzione di diversi contesti di istanziazione)`delle possibili
mosse (scripts) nel "repertorio" dei diversi attori (moduli di "comportamento" individuale e
interattivo con gradi di libertà drammaticamente differenziati per tipo di attore e per ruolo);
c) la traduzione progressiva del modello in "realtà virtuale" (cfr. più oltre), con attori che, sulla base
di specifici scripts iper-relazionali, interagiscano analogicamente sullo schermo di un computer fra
di loro e con il simulatore (munito o meno di "data-glove", "eye-phone" 0 "data-suit" vari per la
manipolazione e percezione tridimensionale dello scenario: cfr. più oltre).
[7) Informatica. La materia di rilevanza in ambito informatico, molto vasta, è già stata in parte
dibattuta dallo scrivente di recente (DE GUIO 1991). Rinvio dunque al maggior dettaglio di tale
lavoro per la parte già trattata, limitandomi d'altronde, anche per il resto, a poco più che un crudo
elenco di domini di ricerca con brevi note esplanatorie ed essenziali rimandi.
I settori di maggior supporto potenziale per la nostra proposta, anche qui, di primo acchito,
apparentemente disparati, sono così enucleabili: trattamento di immagine, ipermedialità, G.I.S.,
realtà virtuale, sistemi esperti, reti neurali.
— trattamento di immagine: la "eidologia informatica" (o "eidomatica") è una scienza, che ha ormai
un suo autonomo status disciplinare ed anzi una crescente articolazione specialistica (cfr. ad es.
MoRAsso-TAGrIAsco 1984; CAPPELLINI 1985; ZAMPERONI 1990), con una già ricca
letteratura anche specificamente archeologica (cfr. ad es., la rassegna in RELLY 1990) e delle
sezioni ormai dedicate nelle riviste specialistiche di informatica archeologica (cfr. l'esempio della
serie più recente di Computer Applications and Quantitative Methods in Archaeology nei BAR
International Series). Un tratto connotativo appariscente, in merito, è fornito dalla crescente
accessibilità, sulla gamma dei personal computers di fascia alta, di una gamma di procedure solo
fino a qualche anno fa patrimonio esclusivo di grandi stazioni e di poco accessibili expertises e
know how di supporto. L'offerta di software, a costi sempre più contenuti (in termini pecuniari ed
ergonomici di curve critiche di apprendimento), si articola in: programmi di gestione degli scanners
o altre periferiche di input (ad es. telecamere, videoregistratori); programmi monocromatici di
"ritocco fotografico", "camera oscura" e, più genericamente, "gray-levels"; varie classi di
programmi di disegno bit-mapped a colori; programmi specifici di "image enhancing/image
processing", "pattern recognition", "riconoscimento di scena" e simili.
A tale riguardo, indipendentemente dal laborioso sviluppo di originali algoritmi "dedicati" (cfr. ad
es., fra le proposte più recenti, i modelli di "simulated annealing, maximum entropy, image
segmentation di SYMANSKI 1989 e BucK-LITToN 1989, o la stessa Percolation di DE GUIO-
SECCO 1988, proposta ora anche come strumento di object/pattern recognition ottici: cfr. più oltre),
i risultati ottenibili dal software commerciale succitato, manipolando funzioni e trattamenti
analogici e digitali di vario grado di complessità, appaiono decisamente incoraggianti (cfr. più
oltre).
—ipermedialità: è questo un termine i cui confini semantici oscillano sia per le incertezze di
definizione di una letteratura anche troppo logorroica sull'argomento che per il ritmo incessante di
continue micro o macro "rivoluzioni" che costringono a ridisegnare la mappa critica dello stato
dell'arte. Ci limitiamo in questa sede (per maggiori dettagli cfr. DE GUIO 1991) ad una
sottolineatura di alcune indicazioni di fondo che intercettano più direttamente la nostra traiettoria
progettuale.
La stessa definizione di "ipermedialità" non appare affatto neutra al riguardo; di essa riproponiamo
qui, fra le tante, un'accezione alquanto specifica (e diagnostica di un vistoso ed emblematico trend
in atto): quella di un'area di convergenza fra due distinti phila, l'ipertestualità e la
presentazione/postproduzione multimediale.
L'ultima generazione di ipertesti, per cui si è proposto più propriamente l'appellativo di "erettori di
progetti" (quello da noi utilizzato al presente in ambiente personal è "Supercard" della Silicon
Beach Software) ha migliorato pressoché ubiquitariamente le funzione dei relativi prototipi (nello
specifico il notissimo Hypercard di Bill Atkinson), in aree quali, la grafica bitmapped a 24 bit, la
creazione, oltre ai tradizionali "bottoni", di "oggetti" (draw o bit-mapped, prodotti internamente o
importati liberamente in vari formati da altre applicazioni) associabili direttamente a scripts in un
apposito e più dilatato linguaggio di programmazione (Supertalk, nello specifico), le dimensioni
adattabili delle finestre, la creazione di applicazioni "standalone". Funzioni più tipicamente di
presentazione/animazione sono date, da una parte, dalla facoltà di far percorrere agli "oggetti" delle
traiettorie qualsiasi, ma soprattutto di creare sequenze di schermate (limitate alle finestre attive o
estese a tutto lo schermo) in formati (ad esempio l'ubiquitario Pics) direttamente compatibili con
quelli di programmi dedicati di presentazione/ammazıone.
Dall'altra parte, del resto, di questo prezioso cordone ombelicale di connettività alcuni programmi di
postproduzione hanno integrato estesamente funzioni da erettori di progetti e anzi, su certi aspetti, le
superano. Esemplare, al riguardo, un programma che noi utilizziamo con molto profitto, quale
Director (MicroMind), che oltre ad un ambiente analogico molto amichevole di postproduzione
("cast" degli attori importati dall'esterno o creati internamente nella finestra "paint", "stage" su cui
girare la scena, e soprattutto uno "score" che simula perfettamente un sofisticato mixer
multicanale), è ora dotato (a partire dalla versione 2.0) di un sofisticato linguaggio di
programmazione interattiva (lingo). G1i scripts associabili o alla "frame" o ai singoli "attori" che la
compongono consentono così un'utenza estremamente dinamica di funzioni di navigazione,
interrogazione e scelta di percorsi e modificazione interattiva degli oggetti. Il linguaggio presenta
anche delle eccezionali estensioni di tipo "object-oriented" che consentono (tramite l'utilizzo di
"factories") di creare direttamente "oggetti" interni. Queste dilatate funzionalità, se coniugate alle
capacità di interazione fra attori (del tipo, per ora, limitato alla gestione di eventi insiemistico-
relazionali da "collisiondetection", del tipo "intersect", "witLin"), offrono una prima spia di un trend
di integrazione verticale-orizzontale ancora più promettente: una "simulazione ipermediale" capace
di gestire cioè in un unico ambiente relativamente amichevole funzioni da "erettore di progetti",
animazione/postproduzione e simulazione.
Se consideriamo ora l'enorme potenzialità dei modelli di simulazione, anche di mercato (un
rivelatore diagnostico apparentemente banale può essere dato, al di fuori del circuito accademico,
dalla generazione dei cosiddetti "giochi intelligenti", quali ad esempio i notissimi SimCity o
SimEarth, con capacità—per quanto limitate—di simulazione di sistemi aperti e sistemi globali: cfr.
ad es. DESIDERIO 1991), cominciamo a intravedere una piattaforma di lavoro di rilevante impatto
concettuale e soprattutto di eccezionale efficacia addestrativa ed operativa per l'analista archeologo
(cfr. più oltre).
G.I.S. è nuovo acronimo di moda, quasi una "password" obbligata, che già da qualche anno, con un
crescendo visibilmente inflattivo (rimando qui per semplicità solo alla più recente monografia di
A~~EN-GREEN-ZusRow 1990), domina la scena della letteratura e dei congressi di archeologia
informatica, suscitando, fra gli stessi addetti, entusiasmi definiti letteralmente (all'ultimo Computer
Applications and Quantitative Methods in ArchacologyOxford, 25-27 Marzo 1991) come
"orgasmatic"....
Il Geograghic Information System, in effetti, costituisce un ambiente aperto eccezionalmente
potente ed integrato (costituito di quattro subsistemi principali: "data entry", "data storage", "data
manipulation and analysis", "data visualization and reporting") di trattamento dei dati geografici:
con diverse varianti e funzionalità (interattività, rappresentazioni tematiche multi-layer
tridimensionali in "full color", data-bases, statistiche descrittive e inferenziali, modellazioni,
simulazioni...), esso si sta imponendo prepotentemente sul mercato internazionale, costringendo in
particolare gli archeologi a cambiare sostanzialmente il modo di concepire e manipolare
analiticamente lo spazio geografico (un neo non indifferente è quello del costo ancora troppo
elevato per un'utenza diffusa, ma già accessibile a parecchie entità istituzionali).
Si può tranquillamente prevedere che il G.I.S. costituirà, a breve termine, lo standard per ogni
progetto di ricerca archeo-spaziale e di gestione delle risorse culturali. Risulta altrettanto facile
pronosticare che quando se ne impadroniranno i "pie-archacologists" summenzionati, dovremo
contrastare un blocco kuhniano ancora più tenace di quello vituperato in atto, ma si può anche
confessare che, per un bel po', ci sottometteremo anche noi e ben volentieri al nuovo nume tutelare,
cercando, casomai, di migliorarne internamente in chiave adattiva più squisitamente archeologica le
già estese e praticabili funzionalità.
— realtà virtuale: i sensibili progressi già conseguiti in questo settore (cfr. le rassegne in LOTTI-
GELFORTE 1990; DE GUIO 1991) consentono di considerare sempre meno remoto il traguardo
della costruzione di una compiuta realtà artificiale, aperta alla multi-utenza, in cui ogni singolo
utente-attore (operatori umani e "oggetti" virtuali controllati da scripts) comunica interattivamente
con gli altri. Già adesso, in effetti, muniti di un guardaroba elettronico alquanto sofisticato,
costituito di "data-glove" (guanto per la manipolazione di oggetti sullo schermo, donde
l'entusiastica prospettiva di una "archeologia col guanto", cioè "virtuale": cfr. DE GUIO 1991, p.
27),"eyephone" (occhialetti per la percezione visiva e sonora) e, in modo ottimale, "data-suit" (tuta
con sensori che trasmette al computer tutti i movimenti del corpo umano), è possibile intraprendere
un'odissea in questo seducente cyberspazio (creato da un modellatore solido tridimensionale),
surrogato operazionale del quotidiano, per compiervi operazioni (dal controllo aereo, alla
microchirurgia), che nella "realtà" potrebbero risultare alquanto meno ergonomiche.
Questa piattaforma "multi-attoriale" costituisce senza dubbio la "simulland" più affascinante dei
prossimi anni, in cui anche gli archeologi ("virtuali" o meno...) potranno proiettare i loro scenari.
—sistemi esperti (S.E.): ci si limita qui (per una rassegna più estesa cfr. ad es. HUGGET 1985;
MOSCATI 1987; BAKER 1988 e inoltre le note critiche di DE GUIO 1988a; 1991) ad una serie di
rilievi sull'ultima generazione di S.E.. Quest'ultima si differenzia dalla precedente soprattutto in tre
domini essenziali: l'interazione con l'utente, i formalismi di rappresentazione della conoscenza, la
capacità di apprendimento.
Un particolare interesse sta suscitando, in merito, fra gli addetti, un prototipo di S.E. proposto
proprio in ambito archeologico da A. Shutt (1988), che si offre come sintesi e superamento di due
indirizzi già accreditati, quello 'critico' e quello 'cooperativo', il cui tratto comune distintivo è
l'attitudine a stabilire la massima simmetria fra utente e sistema (una specie di "democrazia
esperta") in contrapposizione alla rigida asimmetria "oracolare" (responsi vaticinali in risposta a dati
di interrogazione) della prima generazione.
I1 Sistema Esperto Argomentativo (Arguing Expert System o AES) di A. Shutt presenta una
struttura funzionale "naturale", essendo plasmato analogicamente sui processi umani di dibattito,
concepiti come "scambi generalizzati di argomentazioni". L'AES consente infatti un gioco delle
parti molto umanoide, in cui il sistema, pur svolgendo la tradizionale ed essenziale funzione
tutoriale non agisce più come un "padre-padrone", ma semplicemente come un "padre severo"
aperto all'autocritica: ad entrambi gli interlocutori (utente e sistema) è infatti concesso di presentare
spiegazioni, piani e decisioni in forma argomentativa esponendosi ad un sistematico e costruttivo
criticismo della controparte, che individua aporie, contraddizioni e propone soluzioni alternative. I1
calligrafismo logico di questa singolare architettura è volto appunto a modellare con un articolato
"reticolo di argomentazione" il dibattito ("argoment exchange") nella complessità dei suoi parametri
funzionali (argomento, passo di argomentazione, mossa, turno, regole, attacco, supporto, strategia,
punto di vista...: cfr. SHUTT 1988).
Non c'è dubbio che questa prospettiva, che fra l'altro ha già avuto una singolare ricaduta anche nel
nostro progetto di ricerca AMPBV (2), rappresenta un ulteriore passo sostanzioso verso quella
"umanizzazione informatica" che tende, con interfacce ed emulazioni sempre più amichevoli, a
ridurre il gap fra "Intelligenza Artificiale" e "Intelligenza Naturale" (almeno laddove esistano
apprezzabili quote residuali di quest'ultima).
— "reti neurali": la neurocomputeristica (cfr. ad es. PARISI 1989; CAMMA RATA 1990), che
conosce in questi ultimi anni una vera esplosione di mercato, rappresenta un passo sostanziale del
progetto della "Intelligenza Artificiale", in cui introduce una nuova filosofia.
Non si tratta infatti più di imitare gli esiti decisionali di un esperto umano attraverso procedure
sequenziali ed algoritmiche a lui estranee, ma si cerca di emulare gli stessi processi cerebrali
modellizzando la struttura e funzionalità (soma, assone, sinapsi, dendriti...) delle reti di cellule
nervose o neuroni che li originano. Il cervello umano è in effetti una rete neurale biologica che
funziona come un computer ad altissimo parallelismo basato, appunto, su neuroni: questi sono dei
processori elementari con vari ingressi, una sola uscita e un nucleo di elaborazione che esegue una
somma pesata dei segnali di ingresso da altri neuroni producendo o meno un'informazione di uscita,
"raccolta" dagli altri neuroni connessi. All'origine dei nostri normali processi decisionali e di pattern
recognition sta appunto un meccanismo, relativamente semplice, basato sullo schema di
interconnessione e sul "peso" dei neuroni preposti. In termini strumentalmente semplificatori
potremmo così valutare un neurone come un sommatore a soglia non lineare con uscita binaria
(1/0): se la somma algebrica degli ingressi supera una certa soglia, l'uscita è alta (stato 1 o di
"eccitazione"), altrimenti risulta bassa (stato 0, o di "quiescenza") .
Le "reti neurali" informatiche, emulando questa funzionalità con soluzioni diverse (emulazione
software, hardware ad architettura parallela, hardware dedicato, in un gradiente di performance,
funzionalità e... prezzo), sono così in grado di risolvere problemi spesso proibitivi per i programmi
tradizionali: la gamma di applicazioni già di mercato copre in effetti un range esteso, dal
riconoscimento di forme (immagini, caratteri, suoni..), all'analisi dei trends (andamenti di mercato,
metereologici...), alle previsioni (costi, guadagni..), alla diagnostica medica, al monitoraggio
ambientale.
La rete neurale ha in comune con il modello biologico di riferimento una capacità distintiva: quella
di autoconfigurarsi in modo adattivo, ossia di "apprendere". Una rete viene quindi prima addestrata
fornendo ad essa una massa campionaria critica di dati di ingresso, in correlazione presuntiva col
fenomeno indagato (ad esempio, nel caso di una previsione finanziaria, indici di prezzi al consumo,
tassi di inflazione, situazioni politica....etc.) e di risultati (ad esempio l'indice medio di borsa). In
questa fase di "apprendimento" la rete processa i dati di input e modifica pesi ed interconnessioni in
funzioni del risultato offerto dall'esperto. Dopo un'ulteriore fase di test la rete è in grado di
funzionare, fornendo risposte risolutive sulla base dei soli dati di ingresso dell'utente e con
prestazioni ad alto valore aggiunto, isolando cioè tendenze e relazioni nascoste (esplanatorie) fra le
variabili di ingresso ed aiutando ad epurare il rumore accessorio (variabili spurie non correlate e
non rilevanti).
Indipendentemente dalla complessa classificazione dei vari tipi di reti, sulla base, ad esempio, di
parametri quali il tipo di ingresso (binario o continuo), la presenza o meno di "supervisorato"
durante l'addestramento, la particolare topologia connessionistica (su uno o più strati, su matrice di
tipo Kahonen, reti amorfe, piramidali booleane, con retroazione o meno...etc.) le potenzialità fin
d'ora praticabili all'utenza archeologica appaiono eccezionali e destinate ad un massivo e pervasivo
impatto: dal riconoscimento di immagini teleosservate, all'attribuzione critica di opere antiche, alla
classificazione tipologica di frammenti ceramici. Quest'ultima classe ha anzi un valore emblematico
di riferimento ad una capacità più generale, così preziosa per l'archeologia, e così distintiva della
neuro-connessionistica: quella di gestire in modo decisionale-risolutivo quello stato ricorrente di
"conoscenza parziale" ("frammenti di conoscenza", appunto), di endemica ricorrenza nello specifico
della nostra ricerca. Nel nostro team di Archeologia di superficie, ad esempio, l'approccio
neuronale, suscitato e promosso di recente in funzione di una specifica tesi di laurea (A. NANNI,
cfr. più oltre), è certamente destinato a sviluppi massivi, malgrado sia ancora in una fase
assolutamente iniziale, di addestramento delle nostre "reti": stiamo cioè studiando alcuni programmi
da applicare, a breve termine, in settori strategici quali la tassonomia e seriazione di paleotracce da
"remote sensing", la simulazione dei "paesaggi di potere" (cfr. DE Gu~o, in c.s.) e la diagnostica
automatica del record archeologico di superficie.

c) Teorie generali del cambiamento. In estrema sintesi potremmo raccogliere l'immane materia sotto
alcuni lemmi di più vincolante riferimento rispetto alle nostre strutture problematiche: "teoria delle
catastrofi", "teoria degli equilibri puntuati", "teoria dei sistemi dissipativi", teoria del "caos" e sue
varie ramificazioni ("criticità autorganizzata" e "anti-caos").
— "teoria delle catastrofi": si tratta della prima robusta teoria formale sul cambiamento (cfr. THOM
1975) recepita in ambito archeologico al di fuori del philum sistemico (feedbacks positivi e
negativi, "multiplier effect" e simili: cfr. sopra). Per quanto proibitiva sul piano matematico, tale
teoria realizza l'idea molto semplice che effetti subitanei ("catastrofici") non richiedono
necessariamente un'eziologia altrettanto abrupta, improvvisa, ma possono prodursi in funzione di
alcune variabili critiche, dal decorso per nulla "catastrofico", che giungono ad una particolare
"congiuntura topologica", in cui appunto la catastrofe "precipita" (cfr. le sette "catastrofi elementari"
di THOM 1975). L'applicazione a fenomenologie olistiche di tipo "catastrofico" ma anche
"anastrofico" di estrazione archeologica si è già prospettata come proficua in domini morfogenetici
quali quello della demografia, dell'ideologia, dei "paesaggi di potere", costringendo ad un rapido
aggiornamento concettuale su alcune logore oleografie eziologiche pregresse: (cfr. POSTON 1979;
RENFREW-POSTON 1979; RENFREW 1979; ZEEMAN 1979)
— "teoria degli equilibri puntuati": rappresenta una risposta in chiave neoevoluzionista-'cfr. ad es.
Gou~D-ELDREDGE 1977), seppure non in contraddizione con l'originale pensiero darwiniano (che
sottolineava però i processi di lunga durata), della nozione di ana-catastrofismo succitata. La teoria
sostiene in effetti la coesistenza nel flusso evolutivo di periodi di lentissimo cambiamento delle
specie e di altri ad escursione molto più limitata ("punctuations") in cui l'evoluzione dovette
procedere ad un tasso molto elevato. Un'applicazione al dominio archeologico del modello viene
proposta da John Cherry (cfr. ad es. CHERRY 1986) SU1 caso di studio dell'emergenza della
società palaziale minoica: l'approccio gradualista viene ripudiato in favore di una prospettiva
"puntuata", che prevede un lungo e graduale cambiamento di oltre un millennio che condusse ad un
"rapido" riassetto della società cretese alla fine del terzo millennio a.C.
— "teoria dei sistemi dissipativi": in una prospettiva sostanzialmente convergente con quella della
"teoria delle catastrofi", Ilya Prigogine (PRIGOGINE 1979; NIKOEIS-PRIGOGINE 1991), dagli
studi di termodinamica, è pervenuto ad un'altra celebre formulazione sul cambiamento: molti
sistemi, specificamente quelli in stato di non-equilibrio e con dissipazione di energia, manifestano
una specifica propensione alla "auto-organizzazione". Le traiettorie evolutive evolvono infatti verso
punti di "biforcazione" in cui si generano cambiamenti improvvisi e nascono nuove e più complesse
forme. Anche se mancano attualmente veri e propri esempi archeologici, il modello è stato applicato
con successo a tematiche di utile riferimento analogico quali, ad es., le dinamiche di crescita urbana
(cfr. ALLEN 1982).
— "teoria del caos": di questa affascinante teoria cerchiamo di isolare, sulla scorta di alcune sintesi
recenti (cfr. in particolare CASATI 1991; NIKOLISPRIGOGINE 1991) alcuni tratti qualitativi
salienti, rimandando a lavori più specialistici (cfr. gli stessi autori citati e i loro ampi rimandi alla
letteratura dedicata) l'ingombrante apparato formale-quantitativo di supporto.
La "Chaos theory" (C.T.) è considerata la terza grande rivoluzione scientifica di questo secolo, dopo
la relatività e la meccanica quantistica.
Ognuna di queste tappe ideali ha in effetti rappresentato un rovesciamento di precedenti visioni del
mondo, introducendovi contestualmente drastiche limitazioni: l'osservazione del valore limite della
velocità della luce ha condotto alla teoria della relatività; l'accertamento dell'indeterminazione delle
nostre misure è all'origine della meccanica quantistica; la C.T. introduce una limitazione ancora più
grave: l'impossibilità di prevedere il futuro.
Alla base di questo nuove edificio teoretico sta il crollo della fiducia illuministica nelle leggi
predittive e deterministiche della fisica classica, già espressa in modo canonico e paradigmatico
dall'astronomo e matematico francese Pierre Simon de Laplace, secondo cui lo stato futuro di un
sistema era esattamente prevedibile a partire dalla determinazione precisa del suo stato attuale.
Henri Poincaré, antesignano della C.T., aveva già all'inizio di questo secolo constatato, su basi
puramente qualitative, l'impossibilità di prevedere da parte della fisica deterministica fenomeni
naturali quali quelli meteorologici, giungendo così alla formulazione di un importante
principiobase, quello della "dipendenza dalle condizioni iniziali": piccole differenze nelle
condizioni iniziali possono produrre differenze grandissime negli esiti finali. Un classico
riferimento analogico di questo principio, alla base della moderna teoria sulla turbolenza
idrodinamica, è offerto dal gioco del biliardo, dove impercettibili differenze di traiettorie iniziali,
amplificate dai rimbalzi sulle sponde e su ostacoli interni, conducono rapidamente a drammatiche
divergenze (principio delle "palle curve", cfr. CRUTCHFIELD etalii 1991, p. 25; nei termini più
eleganti della teoria dei sistemi dinamici diremmo che traiettorie anche di poco "perturbate" del
sistema nello "spazio delle fasi" si allontanano velocemente in una direzione temporale). Il
corrispettivo teorico di questa visione all'origine della fisica quantistica è dato dal "principio di
indeterminazione" di Werner Karl Heisenberg: è impossibile conoscere (o più precisamente
"misurare") contemporaneamente la posizione e la velocità di una particella, quindi lo stato presente
di un sistema fisico risulta di fatto indeterminato, il che rende altrettanto inaccessibile la previsione
esatta del suo stato futuro.
La scoperta fondamentale è dunque che leggi perfettamente deterministiche possono produrre un
moto completamente "caotico" e imprevedibile. Il mondo reale in quanto sistema estremamente
complesso presenta ubiquitariamente il fenomeno della "dipendenza dalle condizioni iniziali": se
quindi, la nostra conoscenza dello stato iniziale di un sistema è anche di pochissimo incompleta, la
previsione della stato futuro sarà soggetta ad errori a rapida crescita.
Determinismo quindi non implica simmetricamente predicibilità. Il caso si instaura in effetti nei
sistemi deterministici creando un primo apparente paradosso: quello, appunto, di un "caos
deterministico".
Il secondo paradosso, in contraddizione apparente anche con il primo, è che nel caos vi è ordine: al
di sotto del comportamento caotico dei sistemi dinamici (ad esempio la turbolenza del fluidi o il
"moto browniano" di un granello di polvere su di una superficie d'acqua, il gocciolio di un rubinetto
e l'andamento della borsa di Tokyo) esistono eleganti forme geometriche (cfr. più oltre) che di fatto
rendono più predicibili fenomeni comunemente considerati come aleatori e di difficile controllo
come quelli succitati. La "geometria del caos" è data, appunto, dalle particolari traiettorie che un
sistema dinamico percorre nello "spazio degli eventi".
Tali traiettorie sono caratterizzate da particolari "bacini di attrazione" in cui il sistema tende
(ciclicamente o meno) a stabilizzarsi. Cosí l'orbita di un pendolo nello spazio delle fasi tende verso
un unico punto di equilibrio, o "attrattore". Un attrattore è dunque una entità topologica particolare,
una regione ristretta dello spazio degli eventi, su cui converge un sistema dinamico, ossia, più
semplicemente, verso cui il comportamento del sistema stesso viene "attratto". Nel caso
suddescritto del pendolo l'attrattore è un punto. Nel caso invece di un orologio a pendolo (in cui
l'energia perduta per l'attrito viene reintegrata da un peso o da una molla) il moto si stabilizza
attorno ad un'orbita periodica o ciclo: avremo quindi un attrattore non puntuale ma un c.d. "ciclo
limite" e, al contempo, due distinti bacini di attrazione (cioè due insiemi distinti di punti che
conducono ad un attrattore): se lo spostamento iniziale (in termini sistemici diremmo la
"dislocazione") non supera una certa soglia, il sistema si stabilizza sull'attrattore puntuale, altrimenti
prende ad oscillare stabilmente col suo "ciclo limite". Un altro attrattore solo un po' più complesso,
ma ancora approcciabile intuitivamente è costituito dal "toro", una specie di ciambella disegnata
dalle traiettorie di un sistema sottoposto a due oscillazioni indipendenti ("moto quasiperiodico").
Fino a pochi anni fa gli unici attrattori noti erano, in effetti, i punti i "cicli limite" ed i tori. Nel 1963
Edward K. Lorenz scoprí, anche sulla scorta di un calcolatore digitale (un "debito", dunque,
ulteriore di cui anticipiamo qui l'eccezionale rilevanza), il primo di un'altra classe di attrattori: gli
"attrattori strani" (cfr. RUELLE 1991; CRUTCHFIELD et alii 1991). Contrariamente al
comportamento dei precedenti attrattori, in cui le orbite restano vicine l'una all'altra, le orbite, ad
esempio, del moto di un fluido possono divergere sensibilmente sulla spinta di una anche
infinitesimale perturbazione: orbite vicine, più precisamente, divergono con velocità esponenziale,
ma al contempo, prima o poi ritornano per forza l'una vicino all'altra. Questo particolare
comportamento topologico è appunto rappresentato da un "attrattore strano", una forma, cioè,
dovuta ai due distinti processi di "stiramento" e "piegatura" nello spazio degli stati: il primo
amplifica le divergenze di piccola scala, agendo come una pompa che esalta a risoluzioni
macroscopiche fluttuazioni microscopiche, mentre il secondo accosta traiettorie anche molto
lontane, eliminando la discriminazione di informazione a grande scala. La superficie risultante è
pertanto alquanto più complicata, con una conformazione irregolare caratterizzata da "pieghe"
(qualcosa di abbastanza vicino all'immagine più colorita e polivalente della "matassa primordiale"
ampiamente dibattuta a Pontignano...).
La predicibilità del futuro è dunque vincolata a questo quadro di complessità che restituisce come
detto, sulla base della geometria costrittiva suddescritta dello spazio degli eventi, dei principi di
accessibilità a fenomenologie pseudo-aleatorie prima impraticabili ("caos costruttivo"), ma in cui il
critico stato di "dipendenza dalle condizioni iniziali" esalta in termini spesso pregiudiziali ogni
imprecisione di "misura".
Dopo quello di Lorenz si sono via via scoperti sempre più "attrattori strani" e si è anche rivelata una
circostanza affascinante e sorprendente: essi sono, in effetti, dei frattali, degli "oggetti matematici",
cioè, che si costruiscono con processi iterativi nello spazio topologico e che mostrano particolari
sempre pıu numerosı mano a mano che vengono ingranditi (cfr. RUELLE 1991; CRUTCHFIEED et
alli 1991).
Caos e frattali risultano dunque all'origine dell'universo stesso e di tutti i sistemi complessi: siamo
cioè di fronte ad una rivoluzionata visione olistica del mondo che trova nel caos un principio di
unificazione di tutte le scienze, matematiche, naturali e dell'uomo. Il caos viene così restituito alle
splendide e immaginifiche intuizioni speculative di un Esiodo (Caos come personificazione del
vuoto primordiale che precede la creazione del cosmo; Caos come genitore della Notte, ma anche
progenitore del Giorno e della Luce) e di un Platone (caos come ricettacolo della materia informe da
cui il demiurgo— noi diremmo un "demone" o attrattore strano—origina il cosmo ordinato):
principio, dunque, di vita e di organizzazione (la vita e l'evoluzione costruite di fatto in chiave
caotica; il cuore che batte in modo "caotico" e in cui l' "ordine" significa solo patologia
mortale....etc.) e anche di... "libertà", restituita all'uomo e alla natura sottratti alla gelida utopia
predittiva illuministica e proiettati verso gli orizzonti di uno straordinario e nuovo "futuro aperto
(cfr. NIKOEIS-PRIGOGINE 1991).
Esistono naturalmente di questa teoria in continua espansione un'estesa serie di ramificazioni
evolutive e correttive (e/o sempre più ampie aree di convergenza e intersezione con altre
prospettive: non dimentichiamo che i processi creativi e la stessa "logica della scoperta scientifica"
sono ritenuti come di norma innescati da processi caotici!): fra queste due sono particolarmente
evocative per le nostre strutture di riferimento: la "criticità autorganizzata" e 1' "anti-caos".
— "criticità autorganizzata": questa teoria (cfr. BACK-CHEN 1991) si applica ai sistemi
"compositi", cioè costituiti da enormi quantità di elementi interagenti a breve distanza. Molti di tali
sistemi evolvono spontaneamente verso uno stato "critico" (compreso fra uno "sub-critico" ed uno
"supercritico") in cui un evento anche piccolissimo (come il cadere di uno spillo o un battito d'ali di
farfalla) induce una "reazione a catena" che può coinvolgere un numero qualsiasi di componenti del
sistema. Questi sistemi compositi non raggiungono mai l'equilibrio ma evolvono da uno stato
metastabile ad un altro. Si tratta, a detta degli autori, dell'unica teoria veramente "olistica" dei
sistemi dinamici, in cui, cioè, la spiegazione dei caratteri globali non può essere fatta derivare dal
comportamento "locale" degli elementi a livello microscopico. Il modello di agile riferimento
analogico è, in questo caso, quello del mucchietto di sabbia. Se si versa della sabbia in modo lento
ed uniforme (granello per granello) su di una superficie circolare piana i granelli cominciano presto
a sovrapporsi, formando un mucchietto dalla pendenza crescente e innescando, di tanto in tanto,
qualche minuscolo smottamento. Tali smottamenti si fanno sempre più consistenti con l'aumento
della pendenza del mucchietto e qualche granello comincia ad uscire dal bordo circolare. I1
mucchietto finisce di crescere quando raggiunge lo stato critico: quello, cioè, in cui la sabbia
aggiunta è immediamente compensata da quella che fuoriesce dal bordo. Se si aggiunge allora
anche un solo granello questo può innescare una "valanga" catastrofica di qualsiasi dimensione;
inoltre il sistema resterà da allora in poi strutturalmente metastabile (esposto cioè ad una serie
successiva di "catastrofi").
Questo modello (cfr. anche la c.d. "teoria delle valanghe"), col suo raffinato formalismo
matematico, è ritenuto "spiegare" fenomeni quali le stesse valanghe, i terremoti e una pluralità di
processi estesi dalla geologia, alla biologia, alla metereologia, all'economia. La distribuzione delle
"catastrofi" (dalle valanghe agli epicentri di un terremoto) restituisce, ancora una volta, dei
"frattali", che gli autori considerano con un'immagine alquanto evocativa come successive
"istantanee" della "complessità autorganizzata".
Questo comportamento è definito come "caos debole", in quanto l'incertezza in funzione della
approssimazione di misura o di una lieve perturbazione cresce nel tempo secondo una legge di
elevamento a potenza e non secondo una legge esponenziale come nel comportamento canonico del
"caos forte". Essendo i fenomeni critici autorganizzati tutti riducibili al primo processo generatore,
si può supporre che il "caos debole" sia notevolmente diffuso nel mondo reale. La vita (cfr. in
merito il celeberrimo "gioco vita" che simula lo sviluppo della complessità in natura a partire da una
colonia di organismi), l'evoluzione e la stessa creatività ideativa ("valanghe" dell'intuizione poetica
o della scoperta scientifica, spesso innescate da minute evenemenzialità) risulterebbero dunque
"auto-organizzarsi" in questo strano e contenzioso spazio topologico al "margine del caos".

— "anti-caos": quest'altra affascinante teoria matematica (cfr. KAUFFMAN 1991) si propone in


antitesi con quella del caos, tipizzato con l'ormai classica e logotipica immagine dello "effetto
farfalla": un farfalla che batte le ali a Rio del Janeiro può mutare il tempo a Chigago. Nei sistemi
complessi sembra in effetti esistere una zona-soglia, "ai margini del caos" (laddove del resto si situa
anche il "caos debole" della complessità auto organizzata succitata di BACK-CHEN 1991), dove la
farfalla "dorme" e, dall'estremo disordine "caotico", si cristallizzano straordinari e sorprendenti
fenomeni di ordine auto organizzato o "anticaos", un nuovo e pervasivo principio informatore che la
natura ha probabilmente utilizzato nel suo stesso ciclo evoluzionistico ed ontogenetico.
Questa teoria è stata sviluppata sulla scorta di una serie di simulazioni su di un particolare tipo di
"reti", quelle "booleane NK autonome stocastiche". Si tratta, malgrado il nome altisonante, di
costruzioni concettualmente molto semplici, in cui ogni elemento i di una rete casuale ("stocastica")
di numerosità N possiede K ingressi da altri elementi (sistema "autonomo", cioè chiuso) e
costituisce una variabile dicotomica (1/0 o attivato/non attivato) secondo una regola di
commutazione logica di tipo booleano, di tipo And/Or: ad esempio un elemento è attivato se tutti
(AND) gli elementi collegati sono attivi, oppure se almeno uno di essi (OR) lo è.
Partendo da qualsiasi configurazione casuale di N, K e di valori di ingresso, il sistema, sulla base
delle regole stabilite, passa da uno "stato" (combinazione di attività /inattività degli elementi binari)
ad un altro, descrivendo una specifica "traiettoria della rete": una caratteristica emergente di queste
reti è che, prima o dopo, esse entrano in un ciclo ripetitivo di stati (ogni rete ne ha almeno uno), da
cui non esce più e che costituisce un "bacino di attrazione".
Malgrado il numero straordinariamente alto di possibili combinazioni (ad esempio una rete
"caotica" di tipo K = N, in cui cioè ogni elemento e collegato a tutti gli altri, di 200 elementi può
assumere 22°° stati diversi; anche se ogni transizione di stato richiedesse un microsecondo ci
vorrebbe un tempo pari a miliardi di volte la vita dell'universo per percorrere tutto l'attrattore!),
emergono delle proprietà sorprendenti: innanzitutto il numero degli attrattori è molto piccolo (pari
in media al numero degli elementi diviso per la la base dei logaritmi naturali: così nel caso
precedente si avrebbero solo 74 cicli), inoltre, cosa alquanto più importante, quando K = 2 le reti
stocastiche booleane subiscono un repentino cambiamento e si manifesta un inatteso ordine
collettivo spontaneo ("anticaos"). In questo caso infatti sia il numero dei cicli che la loro lunghezza
si riducono fino ad un valore corrispondente circa alla radice quadrata del numero degli elementi
(una rete di 100.000 elementi presenterebbe circa 370 cicli percorribili mediamente in 370
microsecondi!); inoltre i cicli risultano stabili rispetto a quasi tutte le perturbazioni (temporanee o
strutturali, che causano invece valanghe nei sistemi "caotici"), con un comportamento cioè
omeostatico ben attestato in natura, basato su di un "nucleo congelato" (non più suscettibile di
cambiamenti di stato) che si "infiltra" in tutto il sistema lasciando solo aree limitate e sconnesse
("isole") di variabilità. Questo comportamento "ordinato" tende a prodursi anche laddove, pur con
valori più elevati di connettività (K), le regole di commutazione siano dissimmetriche, come nel
caso di una funzione OR, in cui basta un solo elemento attivo collegato per attivare l'elemento di
riferimento.
Il comportamento di una rete è stato paragonato agli stati della materia: una rete ordinata
corrisponde ad un solido, quella caotica ad un gas, quella intermedia ad un liquido. È ora proprio
nella zona transizionale "liquida" che si manifesta l'anticaos. Le reti booleane in bilico fra ordine e
caos sembrano ora costituire proprio la situazione ideale di ottimale "adattabilità", da cui i
meccanismi di selezione possono trarre vantaggio: esse presentano in effetti un essenziale
comportamento omeostatico di fronte alla variabilità "ambientale" ("conservativo" dell'ordine auto-
organizzato), che può tuttavia innescare anche "valanghe" più imponenti di alterazioni, ossia
cambiamenti più rapidi. Questa ambivalenza "opportunistica" sembra appunto una caratteristica
dell'evoluzione.
In questa straordinaria visione tutta l'ontogenesi o, tout-court, la vita stessa (cfr. particolarmente gli
studi sul genoma e sulla differenziazione cellulare dell'autore, dove sembra risultare che i vati tipi
cellulari costituiscano degli "attrattori" di una rete di geni) sembrano dunque ... tornare all'acqua.
L'applicabilità della teoria all'adattamento socioculturale umano di lungo termine è un ovvio e
affascinate corollario, anche se naturalmente, da testare sul terreno altrettanto "fluido" del record
archeologico.

3.5. ARCHEOLOC,IA DELLA COMPLESSITÀ: LA CONNETTIVITÀ

Gli ingredienti finora isolati possono ora essere utilmente considerati come elementi di una rete
stocastica del tipo succitato (KAUFFMAN 1991), dotata di un discreto grado di connettività (ma
anche di "dissimetria"): è proprio da questa inedita congiuntura topologica, più che mai "al limite
del caos", che può per selezione evolutiva (cfr. sopra), nascere "la cosa", cioè la nostra "Archeologia
della Complessità". La "cristallizzazione" del nuovo ordine può essere senz'altro spontanea, o
meglio "auto-organizzata", ma una "spintarella", nella forma di una progettualità dedicata, non
guasta.
Una prima risoluzione operativa, al riguardo, è quella di procedere a "strutturare" la rete, ossia ad
evidenziare ("attivare") una specifica connettività. Si tratta, fuori metafora, di cogliere innanzitutto
gli elementi di unificazione "intradominiali" (cioè all'interno dei singoli comparti tematici o
"domini di indagine" su enucleati: archeologia, informatica, teorie generali del cambiamento) e
successivamente di evidenziare le relazioni "interdominiali", in un processo di integrazione
cumulativa che conduca ad un'implementazione "funzionale" della rete.
Questo screcning a due livelli di risoluzione viene qui proposto in modo assolutamente parziale e
schedulare: la connettività è in effetti talmente intricata che ci impone una precisa e concisa
selezione solo di alcuni "gangli" vitali, ossia dei principali "attrattori", "strani" o meno che siano.
Nel dominio archeologico il trend di convergenza sembra indirizzarsi sui seguenti vettori:
a) la rinuncia, pure nel quadro di una continuità evolutiva con la N.A., all'utopia predittiva da
"covering law", all'ubiquitario determinismo ecologico e tecno-economico e al suo rigido
programma epistemologico in chiave di neopositivismo logico.
b) il ripudio contestuale delle aberrazioni relativiste, empateticoidealiste e futuriste del philum
postprocessuale;
c) l'incorporazione critica di fattori di complessità nelle dinamiche di interazione sociale ("storia",
multi-attorialità e multi-contattualità, "mappe cognitive", ideologia, cultura materiale "attiva"...),
nella teoria del cambiamento socioculturale ("catastrofismo/ anastrofismo", puntualismo..) e nella
modellistica esplanatoria (condizionamento biunivoco di teoria e fatti osservazionali "theory
laden"). Un collegamento chiave di notevole portata sinergetica è in particolare sottolineato
espressamente da Renfrew e Bahn (1991, p. 434), fra il loro progetto "processuale-cognitivo" e il
"multi-actor system" di Doran (1982; 1986).
Il dominio informatico sembra convergere verso un target mirato: quello di una "rivoluzione logico-
iconica" (cfr. DE GUTO 1991), di una sintesi cioè progressiva e destabilizzante fra modelli
innovativi di presentazione e produzione della conoscenza (ipermedialità, realtà virtuale, sistemi
esperti, reti neurali) sempre più efficaci, trasparenti, policromi ("iconici") e "umanizzati" (nella
doppia accezione di "user-friendly" e al contempo crescentemente più isomorfi ai modelli, non
lineari e non algoritmici, della "Intelligenza Naturale").
Nel dominio delle teorie generali del cambiamento la pur marcata diversità di accenti tende verso
un traguardo ormai prossimo ed annunciato programmaticamente da una delle fonti più autorevoli
(N~Kor~s-PR~GoGıNE 1991): la definizione integrata di una teoria, di un "vocabolario" unificato
della "complessità", capace di ricondurre ad un'unica prospettiva esplanatoria sistemi studiati da
discipline molto eterogenee, dall' evoluzione, ai fenomeni geo-climatici, alla turbolenza
idrodinamica, al comportamento di una colonia di insetti.
Il reticolo minuto della connettività interdominiale (convergenze, isomorfismi ed omomorfismi,
complementarità, intersezione fra elementi e blocchi) è talmente fitto che mi limito qui, secondo le
premesse, alle emergenze più emblematiche e "strutturanti".
Le "reti neurali" sono un diretto e ovvio isomorfismo delle "reti stocastiche" di Kauffman (del resto
fra i sistemi complessi auto-organizzantisi l'autore cita espressamente quello neurale: KAUFFMAN
1991, P. 83): viene così avallata una singolare convergenza fra due modelli di produzione di
informazione (quella artificiale di una nuova generazione di computers e quella naturale all'origine
dell'evoluzione e della vita stessa); entrambe le reti sono inoltre dei supporti ideali (operativi e
teorici) per simulare il comportamento (caotico/anticaotico) del multi-actor system di Doran (specie
nella da noi proposta modificazione estensiva), strutturato su di una serie di "contratti" (cfr. gli
ingressi delle reti stocastiche) in cui ordine e "caos" si alternano in modo spesso "puntuato" e
anastrofico/catastrofico (cfr. teorie neoevoluzioniste e teoria delle catastrofi, del caos e affini...).
Anastrofe e catastrofe trovano del resto, nelle due critiche proprietà degli "attrattori strani"
(stiramento e ripiegatura delle traiettorie del sistema complesso) probabilmente non solo
un'evocativa figura retorica di riferimento, ma forse, in modo più suggestivo, anche un reale
modello generativo ed esplanatorio.
Il philum emergente ipermediale-interattivo e la realtà virtuale sembrano i veicoli più idonei per
presentare ma anche modellare e simulare scenari esplanatori di crescente complessità, utilizzando
l'efficacia logicamente e iconicamente costrittiva di un nuovo linguaggio espressivo.
Altre preziose spie di connettività vengono, emblematicamente, al di fuori dell'etereo limbo
teoretico-accademico, dal "mondo reale" che con le sue ricadute ha spesso un effetto trainante di
ritorno sulla ricerca. Sintomatica è in merito la disponibilità già di mercato, personalmente
constatata, di reti neurali di previsione finanziaria basate su "attrattori strani".
Al di là del molto rumore di fondo, il tratto sopra tutti emergente è comunque dato dalla ormai
ubiquitaria convinzione che i fenomeni di interazione sociale, nella diversa risoluzione della loro
dinamica diacronica (evenemenziale, congiunturale, di "longue durée"....), costituiscono istanze
esemplari di comportamento da sistemi complessi e si prestino dunque a conformi restituzioni
eziologiche.

Illuminante risulta al riguardo la diagnosi di Nikolis e Prigogine (1991, pp. 274-278), in cui si
sottolinea come adattabilità e plasticità del comportamento, così cospicue nelle società umane,
rappresentino proprio i due fattori basilari attesi dei sistemi dinamici non-lineari in grado di
compiere transizioni in condizioni di non-equilibrio. Mutuando con sorprendente pervasività un
linguaggio cognitivista e da "action theory", gli autori (di estrazione fisico-chimica) propongono un
modello dinamico della società umana come struttura complessa che scambia con un proprio
"ambiente" di contesto materia, energia e informazione. Questi "attori sociali", contrariamente alle
molocole di un sistema fisico-chimico o alle formiche di una sistema sociale animale, sviluppano
"progetti e desideri" (p. 274), che, nella tensione fra comportamento desiderato e quello effettivo,
costituiscono una dinamica informativa essenziale, che aggiunge complessità a complessità. L'alto
grado di impredicibilità del futuro (e quindi anche di post-dizione del passato), già tratto universale
distintivo dei sistemi complessi, riceve, in questo caso, un'esaltazione che è ritenuta un limite
ipercritico ma anche l'essenza stessa dell'avventura umana. Gli autori presentano una sofisticata
modellistica matematica del comportamento sociale (di una matrice concettuale non dissimile da
quella dei sistema multi-attoriale di DORAN 1982, 1986), visto come un complesso iter aleatorio,
sviluppantesi con intricati processi di ramificazioni"biforcazioni", ed esposto a più bacini di
attrazione, che catturano differenti "storie", in un quadro di ampia oscillazione stocastica che è una
funzione essenziale di produzione di informazione non solo idiografica ma anche e soprattutto di
sopravvivenza.
È su questo dilatato scenario che si sta producendo sotto i nostri occhi quella "rivoluzione della
complessità" (NIKOLIS-PRIGOGINE 1991), che si traduce in un eccezionale strumento di
unificazione del sapere ("scientifico" ed "umanistico", per usare provocatoriamente una dicotomia
ormai irreversibilmente logorata), in una "new synthesis' (cfr. BINTLIFF 1988) che tende a parlare
un linguaggio crescentemente comune: quello, appunto, della "complessità". E forse proprio
quest'ultima costituisce l'attrattore-principe, per niente "strano", che, come un vortice ("caotico"),
agisce da catalizzatore e precipitatore del consenso non solo nel proprio specifico dominio, mai in
tutta la più vasta rete succitata.
Il futuro e, per noi, anche il passato, chiusi al sogno lucido delle utopie predittive illuministica e
positivistica, si "aprono" con rinnovata freschezza ad una nuova avventura della ricerca umana.
Essenziale, in questo processo, per la nostra specifica disciplina, è che cessi una distorsione di
fondo che ha finora avvilito, nello specifico, l'informatica, relegandola ad un ruolo ancillare: le
nuove frontiere dell'Intelligenza Artificiale, all'inseguimento sempre meno remoto di un'Intelligenza
Naturale, costituiscono in effetti, con le loro preziosissime sinergie e isomorfismi con le High
Theories disciplinari ed interdisciplinari succitate, uno strumento essenziale per la precipitazione
del consenso succitato e al contempo un collettore ottimale e destabilizzante (rivoluzione "logico-
iconica") di produzione e consumo sociale di conoscenza di rilevanza.

4. Un percorso di sopravvivenza

4.1. INTRODUZIONE: UN PO DI SUPERFICIALITÀ...

Ritagliare nel panorama succitato "al limite del caos" un "critical path" euristico ottimale o anche
più semplicemente un "percorso di sopravvivenza" non è impresa facile. La stessa sindrome di
"usura da postmoderno" rischia di renderci potenzialmente alquanto scettici sui periodici cicli
epistemologici, da scienza "postnormale" (cfr. FUNTOWICZ-RAVETZ 1990), di "perdita di
innocenza" (cfr. Archacology: the loss of innocence di CLARKE 1973), seguiti da altrettanto
parossistici e virtuosi (si fa per dire) cicli di "riacquisto di verginità scientifica", in un'altalenanza
che a noi evoca infelicemente una similare e ben nota "virtù" nazionale....
Molto pragmaticamente noi proponiamo qui a titolo di esempio (ma proprio in funzione della loro
mancata "esemplarità" paradigmatica) dei brevi lacerti (analisi delle paleotracce teleosservate e
simulazione dei paesaggi di potere) del nostro specifico percorso critico di questi ultimi anni, che
offrono spunti critici (ed autocritici) di rilevanza in riferimento alla struttura di riferimento
problematica più generale che ci siamo posti: si tratta di un cammino accidentato e tortuoso a
"prove (molte) ed errori (quasi altrettanti)", che con uno scotto notevole abbiamo tesaurizzato in
funzione di una traiettoriatraguardo ottimizzante che solo ora incominciamo ad intravedere sullo
sfondo di una quota ancora rilevante di "background noise".
Tale percorso è largamente e significativamente coincidente con quello di un vasto e integrato
progetto di ricerca di "field-survey" italo-britannico (“ Progetto Alto-Medio Polesine - Basso
Veronese ” o AMPBV: Fig. 1), che ha di fatto assorbito una quota preponderante del nostro budget
energetico (cfr. BAEISTA et alii 1986, 1988, 1989, 1990 in c.s.; CANTEEE et alii in c.s.; DE GUIO
1991; DE GUIO-WHITEHOUSE-WIEKINS 1989, 1990, in c.s.; MAEGARISE 1989-90).
La storia del progetto AMPBV (cfr. soprattutto MAEGARISE 1989-90) è in effetti, una storia di
impatti e di impatti su impatti (cfr. sotto) con la complessità, anzi, più precisamente, con vari livelli
di risoluzione di complessità "annidata"; il primo, e particolarmente traumatico è stato proprio
quello con "impatto agrario", assunto qui quale marcatore diacritico di una più vasta "archeologia di
superficie".
Questo specifico dominio può essere rappresentato in termini di iconica emblematicità da
un'immagine digitale composita (Fig. 2) che per noi segna ormai un termine di riferimento
logotopico: quella del sito (Bronzo MedioFinale) di Fabbrica dei Soci-VR (FASANI-SALZANI
1975; DE GUIOWHITEHOUSE-WIEKINS 1989; MAEGARISE 1989-90; BAtIsTA-DE GUIO
c.s.), ritenuto fra l'altro nella letteratura corrente come un esemplare prototipale del modello di
abitato arginato terramaricolo (cfr. BERNABÒ BREA-CARDAREE
-CREMASCHI 1984). Le quattro immagini in oggetto rappresentano lo status evolutivo della
superficie agraria del sito in un arco di tempo recenziore (1975; 1983; 1988) e in una proiezione a
breve termine (2000... con un'allegorica sfuocatura ottenuta tecnicamente con l'aggiunta di rumore
gaussiano all'immagine immediatamente precedente): ne viene riflessa la drammaticità non solo
scientifica ma soprattutto sociale di un climax di distruzione di questa specifica classe di
ritrovamenti per cui abbiamo riproposto, per l'evocativa aderenza semantica allo status sia
topografico che informativo, il termine di "risorse culturali emergenti" (cfr. CANTELE et alii in
c.s.).
Ad una risoluzione solo un po' più fine l'impatto agrario, nella sua critica ambivalenza (da una parte
produttore di distruzione e "rumore", dall'altra massivo agente campionario), manifesta un gradiente
non lineare di emersione in superficie (e quindi complementare alla destrutturazione del record
sepolto) di informazione residuale (paleotracce fisiografiche ed antropiche): la fitta trama
palinsestica (sui piani temporale, spaziale e funzionale) di queste tracce, se osservata a livelli di
risoluzione sempre più minuti (fino al rilievo da campo), è un classico esempio di "rete" di
complessità.
Il nostro impatto, dunque, con questo ordine di complessità ha visto una tipica e significativa
progressione, scandibile nei seguenti gradienti di crescita: "sampling archacology", "archeologia del
paesaggio", "archeologia dei paesaggi (cfr. DE GUIO-WHITEHOUSE-WIEKINS 1989;
MAEGARISE 1989-90; cfr. DE GUIO 1991; BALISTA-DE GUIO in c.s.).
Con "sampling archacology", ci riferiamo convenzionalmente ad una particolare archeologia di
superficie concepita, soprattutto a tavolino, sulla scorta di una recezione abbastanza inerte di una
tradizione essenzialmente anglo-sassone, polarizzata, in termini concettualmente e operativamente
restrittivi, sulla tematica pregnante del "sampling" (con molti "cook-booLs" che dispensavano
soprattutto saporite ricette di campionamento statistico): si trattava anche da parte nostra, malgrado
le pompose e cautelativamente autoTroniche dichiarazioni programmatiche (Archeologia di
superficie ed archeologia superficiale, DE GUIO 1985b) di un'archeologia—veramente—
superficiale, soprattutto in funzione della sua costrizione prospettica di orizzonti d attesa.
La "archeologia del paesaggio" ("landscape archaeology") demarca, da parte nostra, un cospicuo
spostamento d'accento dal meccanicismo e dalla fatua gratificazione di eleganti e formali disegni
campionari al traguardo più ambizioso: quello di una lettura analitica dei "site formation processes"
(cfr. SCHIFFER 1987).
La "archeologia dei paesaggi" segna infine la raggiunta consapevolezza che il record archeologico
di superficie va valutato come un insieme contenuto dentro ed intersecato da altri livelli di
complessità: un "sistema aperto", cioè, che rappresenta un esito morfogenetico (dinamico e
cumulativo) di una pluralità di "paesaggi", di interazione uomo-uomo, uomo-ambiente e ambiente-
ambiente operanti a diversi livelli di risoluzione spazio-temporalefunzionale ("reti" o scenari che
vanno a comporre un integrato sistema "multi-attoriale"- "multi contrattuale": cfr. il modello di
DORAN 1982,1986 e le amplificazioni correttive proposte da DE GUIO 1991, PP. 33-34).
Fra quelli mirati operativamente in quanto dotati di quote critiche di potenzialità esplanatorie in
riferimento alla specifica struttura di riferimento problematica del progetto, abbiamo in particolare
isolato: "scenario geomorfologico ", " scenario eco-culturale", " scenario demografico ", " scenario
morfo-culturale", "scenario di potere" ("landscape of power": cfr. più oltre), "scenario economico-
transazionale" ("exchange system": cfr. più oltre), "scenario agrario". Un tratto emergente comune
di tali "paesaggi" è risultato essere lo stato di sistematica metastabilità, che induce lungo le
traiettorie evolutive dei singoli scenari e del loro macro-scenario integrato un'endemica esposizione
al rischio, con cicli ricorrenti di aggregazione (anastrofe)/disaggregazione (catastrofe) e di
dislocazione di "core/periphery" esaltati dal carattere "ecotonale" del territorio situato, in una
ipercritica fascia transizionale fra i due sistemi idrografici maggiori del Po e dell'Adige e al
contempo fra distinte "aree" economiche (materie prime e scambi), etniche, culturali e di
dominanza. Questo pervasivo parossismo diagenetico sembra quindi presentare in modo icastico i
tratti tipici di un "sistema complesso", su cui confrontare l'efficacia esplanatoria dei raffinati
modelli teorici succitati.
L'obiettivo della nostra ricerca si è dunque focalizzato a implementare un repertorio di modelli
analitici e comportamentali espressamente direzionati a fronteggiare questo dilatato scenario di
complessità, nello specifico quadro operazionale dell'archeologia di superficie. Si tratta, più
direttamente e innanzitutto, di restituire specificità e dignità informativa all'impatto agrario su tutti i
domini di indagine succitati, valutandone non solo il più noto comportamento obliterativo e di
produzione di rumore (destrutturazione e riassemElamento, comminuzione, dislocazione..), ma
soprattutto la sua funzione di massivo ed ubiquitario agente campionario, capace di produrre
informazione (seppure di tipo traslativo-tafonomico) sul sepolto in base ad un iter morfogenetico
("formazione del record archeologico da superficie agraria") certamente "caotico", ma anche con
quote preziosissime e poco sfruttate di predittività analiticamente praticabile.
Allo scopo abbiamo approntato una plaralità di strategie di impatto (di alta, media e bassa intensità)
traguardate (seppure non in termini di stretta corrispondenza biunivoca) a diversi livelli di
risoluzione spaziale (intrasito, "off-site", inter-sito) e dirette a superare i limiti concettuali ed
operativi del tradizionali approcci "geometrico-campionari" in "terra incognita", sostituiti da
un'ottica "esperta" e "contestuale" (per una rassegna, qui impraticabile, rimando in particolare a
BALISTA et alii 1988; 1989; DE GUIOWHITEHOUSE-WIEKINS 1989;1990; MAEGARISE
1989-90; BALISTA-DE GUIO in c.s.): la sfida, in sostanza, è quella di riuscire a discretizzare il
continuum palinsestico del record archeologico di superficie agrario con partizioni campionarie
intersecate però criticamente con altre di tipo esperto (cfr. ad es. "set", "cluster", "embedded
cluster", contesto di superficie: DE GUIOWHITEHOUSE-WIEKINS 1989) che sottendono un
esplicito rischio decisionistico, ma anche un'alta risolutività esplanatoria potenziale.
I modelli operativi mirati sono del tipo a minima spesa energetica (diremmo un "minimum spanning
tree" decisionale), capaci cioè con la rete minima di contesti di evidenza e di operatori relazionali
(cioè di modelli di analisi incrociati) fra queste, di conseguire l'obiettivo-principe mirato, e cioè la
restituzione della complessità morfogenetica del segmento di paesaggio indagato. I1 problema è
quello classico di eliminare rumore e ridondanza, isolando in una matrice relazionale simmetrica n
x n (dove n = numero totale delle classi di evidenza esaminate) la rete connettiva minima con
capacità di copertura esplanatoria sullo specifico target mirato. Questa strategia ottimizzante si
esplica, pur con articolazioni funzionali diverse, a vari livelli di risoluzione, intensità e modalità
operativa: dall'intrasito battuto ad "alta intensità" (cfr. ad es. il nostro primo "modello relazionale",
fra contesti di carotaggio, "contesti di sezione", "contesti di superficie" e "clusters" alla base della
restituzione della morfogenesi del sito di Canova-RO: BALISTA et alii 1986; 1988; in c.s.), alla
fotointerpretazione teleosservativa.
Possiamo qui offrire, a titolo esemplificativo, su quest'ultimo livello, delle fugaci anticipazioni sullo
stato di avanzamento di una linea di ricerca, il c.d. “ Progetto Harris ” (cfr. in particolare CAFIERO
DE GUIO in DE GUIO WHITEHOUSE-WILKINS in c.d.s.) che può essere di un certo interesse
per la nostra struttura di riferimento problematica più generale, se non altro per la critica
concentrazione di risorse (umane, strumentali e di conoscenza) e l'alto tasso di informatizzazione
che su di esso si stanno catalizzando—cfr. anche le due tesi di laurea di F. Cafiero e A. Nanni (3).

4.2. SERVANDO MIO SOLCO: ALL’INSEGUIMENTO DELLA TRACCIA PERDUTA...

Il “ Progetto Harris ” (DE GUIO-WHITEHOUSE-WILKINS 1990; DE GUIO 1991) segna un


nuovo, emergente dominio di indagine, attivato da un paio d'anni nell'ambito del più vasto “
Progetto AMPBV ”. L'obiettivo principale è la decodifica, ad una scala di risoluzione
essenzialmente di intersito, del palinsesto agrario di superficie per il tramite di analisi e conseguente
seriazione diacronica di paleotracce teleosservate, di origine sia fisiografica che antropica.
Il range critico di competenze in gioco in questo dominio di indagine si estende dalla "eldologia
informatica" ("image processing"- "image enhancing" - "pattern recognition" e "riconoscimento di
scena" di immagini teleosservate: cfr. ad es. MORASSO-TAGLIASCO 1984; ZAMPERONI 1990),
all agronomia, meccanica agraria e storia del paesaggio agrario, alla geoarcheologia (sezioni,
"finestre stratigrafiche", carotaggi...etc.), all'archeologia di superficie, all'analisi del microrilievo,
alle prospezioni. Anche in quest'ambito però si cerca, in funzione della strategia ottimizzante
succitata, di isolare un circuito virtuoso, ergonomico e ad alto risparmio energetico fra evidenze "a
tavolino" (teleosservazione) e riscontro a terra: l'obiettivo è in effetti quello di minimizzare, sulla
scorta della crescita cumulativa di "conoscenza" e di expertise, gli interventi a più alto "costo" (in
sostanza tutti gli interventi "a terra" succitati). Le classi di evidenze in gioco presentano, in effetti,
un prezioso repertorio di trasformazioni fra loro isomorfe o omeomorfe: così, ad esempio, degli
"oggetti" da pattern recognition, corrispondono molto spesso, in vario grado, ad unità di impatto
agrario, a unità geo-sedimentarie di superficie, a unità di microrilievo, a unità di prospezione, e
anche talora a unità di distribuzione in superficie di artofatti ed ecofatti ("clusters").
L'etichetta a denominazione di origine controllata "Harris", nasconde in realtà una deliberata
provocazione: in effetti da parte nostra si mira esplicitamente ad un superamento di quell'apparato
d'ordine, già pervenuto ad una riedizione correttiva da parte dello stesso Harris (HARRIS 1989),
che abbiamo definito come "impasse harrisiana" (cfr. sopra e cfr. DE Gu~o 1991).
Il nuovo scenario "post-harrisiano" (per una definizione più estensiva rimando a DE GUIO 1988a,
b; CAFIERo-DE GUIO in DE GUIO-WHITEHOUSEWILKINS in c.s.) copre i seguenti punti-
chiave:
a) la definizione di "unità archeostratigrafiche" non come immobile entità "monadiche" precostituite
ma come unità "operazionali" (con una risoluzione, quindi, ampiamente variabile in rapporto alle
specifiche strutture di riferimento problematiche: "problem-oriented stratigraphy");
b) l'assimilazione dei contesti di superficie (paleotracce da "soil mark")
allo status di "unità archeostratigrafica operazionale" e la conseguente possibilità di operare anche
qui una seriazione diacronica;
c) la valutazione di un'unità archeostratigrafica (e quindi anche di una
"traccia") come insieme non isotropico né isocrono, ma come esito cumulativo, "ciclo di vita"
complesso, che comporta, ad esempio, tassi di accrescimento spazialmente differenziati;
d) altri rapporti fisici e altre relazioni cronologiche relative (non harrisiani) fra unità
archeostratigrafiche (cfr., ad es. le categorie, di: "contiene- è contenuto", "emana - é emanato" e il
relativo rapporto di "in": CAFIERO DE GUIO ;n DE GUIO-WHITEHOUS-WHIEKINS in C.S.);
e) altre categorie relazionali, non fisiche ma di implicazione logica, "orientata" o meno (cfr. ad es.
gli operatori relazionali del tipo "implicazioni pre- post- sin: CAFIERO DE GUIO in DE GUIO-
WHITEHOUSE-WHILKINS in c.s.); f) altri modelli di proiezione iconica dell'informazione
archeostratigrafica.
Il “ Progetto Harris ” mira dunque a restituire, con una serie di procedure e formalismi in realtà
"post-harrisiani" la matrice delle relazioni "macrostratigrafiche" fra le "paleotracce" suddette ( =
unita archeostratigrafiche di superficie), esplorando sistematicamente la rete di vincoli
("constraints" di rapporto fisico o di implicazione logica) alla scala operativa di intersito.

Il processo analitico consiste, in merito, nell'applicare alla matrice simmetrica casuale di entrata
(tracce x tracce, espressa tramite immagini digitali, trattate o meno, di segmenti tipici delle stesse,
collocate alla testate di righe e colonne: Fig. 4) degli "operatori relazionali" (del tipo copre/taglia/è
vincolato/....etc., evidenziati anche sul piano grafico da appositi simboli mnemonici agli incroci
matriciali) fra operandi (tracce), in modo da ottenere, alla fine, un "trasformato", cioè, in definitiva,
una matrice ordinata, seriata in conformità alla sequenza diacronica delle tracce (evidenziabile
anche con ulteriori modelli iconici).
La "grammatica relazionale", ossia l'insieme di possibili relazioni (fisiche o "logiche") è tuttora in
corso di definizione migliorativa e correttiva (per il dettaglio cfr. CAFIERO DE GUIO in DE
GUIO-WHITEHOUSE-WILKINS in c.s.): attualmente essa comprende 20 operatori (fisici e
logici), di tipo simmetrico (es. vincola/é vincolato) o asimmetrico, direzionato o meno
diacronicamente, riducibili a cinque insiemi di rapporti cronologici di rilevanza ("pre", "post",
"sin", "in", "ind-imp", indicativi rispettivamente di anteriorità, posteriorità, sincronia totale,
sincronia parziale, indeterminazione cronologica ma con implicazione logica) e presuppone anche
l'inclusione di un "fattore di certezza" da parte degli analisti.
Il traguardo perseguito, come già detto, è quello di un modello ergonomico a contenuta spesa
energetica, volto all'esplorazione prioritaria delle classi di evidenza teleosservate (relativamente a
basso costo, almeno energetico) e ad una minimizzazione di ogni più oneroso ciclo di analisi "a
terra": ciò implica l'accumulo di una massa critica di conoscenza ed expertise "relazionale", capace
di contrastare le numerose insidie che una "facile" prassi fotointerpretativa da tavolino può celare.
Il flash parziale e a titolo esclusivamente didascalico qui riproposto (cfr. CAFIERO DE GUIO in
DE GUIO-WHITEHOUSE-WILKINS in c.s.) è dato sul caso di studio di Fabbrica dei Soci,
esemplare proprio per le distorsioni derivanti da una "lectio facilior" teleosservativa (cir. più oltre),
già acclimatata in letteratura e che i nostri studi (di remote sensing ma anche di stratigrafia e field
survey) dimostrano ora come spuria (cfr. BALISTA-DE GUIO in c.s).
Sono isolate, fra le centinaia individuabili ad una pattern recognition coprente (cfr. ad es le
immagini processate delle Figg. 6,7), solo 5 tracce principali (Fig. 3), rappresentative in quanto la
loro seriazione riassume alcuni passi-chiave dell'evoluzione morfogenetica del sito, da noi restituita
(cfr. BALISTA-DE GUIO in c.d.s.): traccia n. 1 = canale di rotta; traccia n. 2 = argine del sito
dell'età del bronzo; traccia n. 3 = paleodosso con andamento EstOvest; traccia n. 4 = paleodosso con
andamento NO-SE; traccia n. 5 = traccia di centuriazione. Una banale operazione di trattamento di
immagine (equalizzazione) marca le tracce in un loro tratto rappresentativo (quadrato), mentre le
immagini a profilo circolare indicano (quando esistono) aree altrettanto rappresentative di
intersezione.
La seriazione finale (che rappresenta naturalmente l'esito di tutto un ciclo di analisi in aggiunta alle
pure evidenze teleosservate, comprensivo di analisi stratigrafiche, carotaggi, ricognizioni di
superficie, prospezioni elettriche...etc.) è così enucleabile (cfr. Figg. 4,5): sulla traccia 4
("paleodosso di Franzine" in fase relitta), si sovrappone ("copre") la traccia 2 (manufatto arginale),
cui "si appoggia" la traccia 3 (paleoalveo del Tartaro di età del Ferro), da cui "emana" la traccia 3
(canale di rotta), che a sua volta "taglia" la traccia 4 (il paleodosso succitato di Franzine) e che
"condiziona" ("implicazione pre"), assieme al paleodosso E-O, da cui emana, la traccia 5 (elemento
di un reticolo di centuriazione ben più esteso e analogamente "condizionato" dagli stessi elementi).

Questa semplice lettura vale fra l'altro a svilire la "loctio facilior" ben nota e accreditata in
letteratura, che prevedeva una sincronia e quindi una correlazione funzionale del paleoalveo del
Tartaro con l'impianto arginale: viene inficiata dunque anche la lettura di Fabbrica dei Soci come
un'istanza prototipale del modello terramaricolo (cfr. BERNABÒ BREA-
CARDARELLICREMASCHI 1984), a vantaggio della nostra restituzione critica alternativa (per
cui cfr. BALISTA-DE GUIO in c.s.).
Per inciso va qui notato come le Figg. 3-5 siano dei "frames" del succitato programma multimediale
Director (versione Interattiva 2.0): i vari componenti delle immagini, archiviati anche in un
correlato file Supercard (ipertesto o, meglio "project erector": cfr. sopra), costituiscono i membri di
un "cast" composti sulla "scena" in oggetto. Alcuni di essi sono comandati da uno script che rende
possibile l'attivazione interattiva. In questo modo il file si presta sia ad una sequenza illustrativa
prefissata (di "default"), sia ad una visitazione interattiva: è ad esempio possibile accedere
all'informazione (testuale e visiva) della singola traccia e di tutte le tracce fisicamente o logicamente
relazionate e analizzarne ad un dettaglio elevato una serie di trattamenti digitali più sofisticati: cfr
ad es. Figg. 6-7.
Il “ Progetto Harris ”, del resto, al di là del philum eldomatico e di quello ipermediale, è anche
oggetto, come già anticipato, di un ampia serie di approcci formali sperimentali: due di questi,
particolarmente rilevanti, costituiscono anche i soggetti di altrettante parallele tesi di laurea appena
iniziate: un "sistema esperto" (Flavio Cafiero) e un modello "neurale" (Antonella Nanni). Sarà
veramente interessante vedere, su di un'entità spaziocampionaria ben più ampia e rappresentativa, le
performances dei due approcci (che hanno, in proposito, un'area critica di intersezione e confronto,
oltre, naturalmente, a più ampi e distintivi domini di indagine e orientamenti problematici).
Certamente l"'esperto" dovrà darsi da fare se non vorrà essere catturato dalla "rete", ma questa
potrebbe anche avere una trama troppo larga o fragile: potrebbe anche spuntarla, fra i due, la solita
"vecchia cazzuola" revanscista (cfr. FLANNERY 1982) con un po' di carta, matita e fantasia...

4.2. ALLA RICERCA DEL POTERE: FRA PESANTI MARTELLI ED ETEREI LANSCAPES OF
MIND ...

La nostra frustrante "ricerca del potere" rappresenta una storia tipica di impatto progressivo con la
"complessità" e al contempo segna un'emblematica e diagnostica "ricapitolazione ontogenetica" del
philum processualecognitivo sopra delineato e può pertanto costituire un termine interessante di
riferimento per la nostra prospettiva problematica di fondo.
Questo percorso critico (di cui riprendiamo qui direttamente, in modo alquanto conciso, solo alcuni
tratti salienti di una più ampia relazione, cui si rimanda: cfr. DE GUIO, in c.s.) viene qui
strumentalmente scandito in due passi o "fasi" principali, che demarcano in effetti più delle
articolazioni logiche, con alto grado di sovrapposizione e interazione, che delle tappe strettamente
giustapposte e cronologicamente sequenziali.
La prima "fase" del nostro approccio alla tematica simulativa dei "paesaggi di potere" può senz'altro
essere etichettata come "fase dei martelli" (cfr. sopra il riferimento agli "hammers and theory" di
MOORE-KLENE 1983): essa afferisce, in effetti, esplicitamente ad un filone, tipicamente
processualista, di modelli di simulazione spaziale dei "processi di dominanza", che trova forse nei
lavori di RENFREW 1978, 1984, RENFREw-LEvEL 1979, ALDEN 1979 i termini più canonici di
riferimento. Le basi teoretiche degli autori (gli assiomi di esplicita estrazione "spaziale" di Renfrew
e quelli afferenti alle "decision making" and "information theory" di Alden) sono direttamente
mirate all'individuazione di una serie di regole ottimizzanti di allocazione spaziale del potere. Tali
regole sono strettamente connesse alla capacità algoritmica di una serie di modelli analitico-
simulativi allo scopo dedicati ( xtent model di RENFREw-LEvEL 1979, interaction model di
ALDEN 1979) e che sfruttano una fonte alquanto circoscritta di indicatori per l'appunto spaziali
(essenzialmente un valore di "size", comunque calcolato—ampiezza del sito o di specifici edifici o
infrastrutture, valori demografici, quantità di specifiche classi di produzione... etc.—e le distanze
intersito).
A questo milieu risalgono dichiaratamente anche 3 modelli da noi prodotti (top-model, tect-model,
perc-model), nonché un quarto ora in gestazione (opt model), e, infine, un quinto appena
all'orizzonte ("neuro"-model), il cui nome evocativo potrebbe forse suggerire che il nostro
surmenage teoretico algoritmico abbia qui trovato il suo fatale epilogo...
Di tali modelli si può qui proporre utilmente solo una visitazione cursoria e superficiale dei soli
principi informatori, scremata del dettaglio teoretico e matematico più ingombrante, per cui
rimandiamo ai lavori specifici:
a) top model: il "top" di questo primo modello prodotto (DE GUIOEVANS-RUTA SERAFINI
1986), applicato su di un caso di studio del Veneto protostorico centro-occidentale (Fig. 8), è
sfortunatamente solo acronimo di "topographic", in quanto esso proietta i suoi scenari su di un
paesaggio simulativo bi-dimensionale che definiamo appunto "topografia del potere".
L'algoritmo, in effetti, trasforma le distanze spaziali intersito in distanze di topografia politica o
"distanze socio-politiche". Il modello prevede che ogni sito possa venire attratto nella direzione dei
siti di rango superiore ad un grado criticamente variabile (sulla base dell'escursione di valori di
rango e di interdistanza e su di un coefficiente variabile o "coefficiente di dominanza" da un
estremo di attrazione nulla (distanza topografica = distanza sociopolitica, indicativa di totale
indipendenza) all'estremo opposto di attrazione totale (distanza sociopolitica azzerata o negativa,
indicativa di un grado di totale dipendenza), con valori intermedi denotativi di possibili articolazioni
gerarchico-modulari del potere. Il risultato finale, ottenuto controllando tutte le possibili catene di
dislocazione, consiste allora nel trasformare un "paesaggio" ("landscape", ossia un sistema
locazionale con precise coordinate spaziali di longitudine, latitudine, quota) in un paesaggio di
potere o "landscape of power" (o L. of P.), cioè in uno spazio topologico astratto, con "coordinate di
potere" distorte rispetto a quelle precedenti ad un grado proporzionale alla varianza dei ranghi in
gioco e al grado di gerarchizzazione, ossia al "coefficiente di dominanza" attribuito. I gruppi o
"moduli" potenziali di potere, individuabili in questo spazio topologico ("landscape of power")
tramite specifici modelli di analisi multivariata (in particolare K-means cluster analysis), possono
poi essere riplottati sulle coordinate spaziali di partenza, ripristinando così un "paesaggio reale" ma
con clusters ottenuti sulle coordinate astratte di potere ("landscape and power");
b) tect-model: questo modello (DE GUIO 1990), applicato ad un caso di studio "esotico" di
riconosciuto riferimento (cfr. AMMERMAN 1981), quello dei surveys della pianura centrale
dell'Eufrate (Fig. 9; cfr. ADAMs-NISSEN 1972; ADAMS 1981) rappresenta una variante dello
Xtent model di RENFREW-LEVEL 1979 cui viene aggiunta una terza dimensione, quella appunto
del potere stesso.

Si creano così dei paesaggi tridimensionali (cfr. ad es. Fig. 10 in alto) con "coni di potere" a varia
altezza e vario grado di intersezione e o assorbimento di altri coni prossimali, la cui variazione
spazio-temporale può simulare le dinamiche morfogenetiche di un "landscape of power" in una
forma che richiama analogicamente le variazioni tettoniche (tect) di un reale paesaggio
geomorfologico.
Altre fonti di informazioni sono date dalla proiezione sulla stessa superficie tridimensionale di coni
negativi, cioè, avvallamenti, in corrispondenza di siti o moduli scomparsi nella fase
immediatamente precedente quella simulata e non colmati interamente dai coni ad essa pertinenti
("buchi di potere"): si realizza così una singolare e palinsestica superficie tridimensionale, più
satura di informazione di sopravvivenza, che rappresenta un isomorfismo matematico della nozione
di anastrofismo/catastrofismo del potere o, più banalmente, dei suoi alti e bassi.
Un'ultima variante di quest'ultimo modello composito consiste nell'inversione del rilievo (cir. ad es.
Fig. 10 in basso), ossia nell'inversione (da positivo a negativo e viceversa) della terza dimensione
del potere: i modali di potere attivi (o "vivi") in una data fase assumono ora la forma di imbuti,
mentre quelli disattivati ("morti") diventano dei coni positivi posati su di uno stelo di ampiezza pari
all'estensione precedente del modulo stesso, nella forma, quindi, di singolari "monumenti funerari
del potere", di un rango proporzionale a quello ricoperto "in vita", cioè nella fase attiva
immediatamente precedente: si realizza così un suggestivo e stimolante panorama tridimensionale
da "archeologia funeraria" su cui applicare, con traslazione potenzialmente felice, nuovi e vecchi
strumenti di analisi da "archaeology of death";
3) perc-model: il modello, elaborato col collega G.Secco del dipartimento di Geografia
dell'Università di Padova e applicato alle stesso caso di studio precedente (cfr. DE GUIO-SECCO
1988; DE GUIO in c.s.) rappresenta un adattamento, con modificazioni originali ed estensive, di
una serie di algoritmi già accreditati alla letteratura tassonomica e di pattern recognition, raccolti
sotto la comune etichetta di "percolation" attribuitale dal ricercatore francese (TREMOLLIERS
1979, 1981, 1982, 1984) che li ha inizialmente proposti. Si tratta, da parte nostra, del modello più
articolato e robusto finora prodotto, di cui proponiamo qui comunque, per necessità, un profilo non
meno cursorio dei precedenti.
La percolazione, in effetti, al di là della notevole sofisticazione matematica, riposa su concetti
portanti relativamente semplici: esiste una diretta connessione fra la nozione naturale di gruppo e la
nozione, matematica ed astratta, di "zone uni-modali" in distribuzioni n-dimensionali. Così, ad
esempio, in un più semplice spazio bi-dimensionale (una mappa di soggetti puntiformi, o una
mappa di siti di diversa ampiezza), più facilmente approcciabile alla nostra intuizione, i gruppi
possono essere identificati in modo formale operando sugli stessi parametri decisionali con cui
lavora l'occhio umano, ossia una funzione di densità e di soglia di percezione, sulla cui base si
decide se aggregare o meno dei soggetti ad altri o a gruppi già formati a diversi livelli di risoluzione
(macro e micro-gruppi).
L'applicazione alla simulazione dei paesaggi di potere di questa classe di modelli è passata
attraverso una revisione innovativa degli algoritmi stepwise di aggregazione tassonomica,
un'aggiunta di altre funzioni più "dedicate" ("Densità Pesata", "Energia Demografica", "Potenziale
della Popolazione", "Dominanza" ed altre (4): cfr. Fig. 11), oltre a quella, semplice ed intuitiva,
della "fonction de densité", e inoltre un'adozione di adeguati strumenti iconici di proiezione
sinottica dei gruppi ottenibili cambiando il valore di soglia. Questi ultimi modelli sono dati
essenzialmente da: 1) una rappresentazione dendrogrammatica di tutti i gruppi ottenibili; 2) una
"analisi della sopravvivenza" (cfr. DE GUIO 1985a; 1986) che individua formalmente i valori di
soglia critici nel processo di accorpamento (nascita-morte) dei gruppi, potenzialmente diagnostici
dei diversi livelli di risoluzione spaziale del potere; 3) una mappa palinsestica in cui vengono
raffigurati simultaneamente, con diversa retinatura, i gruppi o moduli isolati a livelli crescenti di
risoluzione (cfr. ad es. Fig. 12);
4) ott-model: quest'ultimo modello, come già indicato ancora allo stadio largamente embrionale, si
propone di utilizzare alcune tecniche di pattern recognition nel campo dell'elaborazione digitale di
immagini o "eidologia informatica" (cfr. sopra) applicate al remote sensing. In estrema sintesi i
passi principali del flusso critico possono essere così illustrati:
a) ricognizione di "oggetti" da fotografie aeree o da satellite, nella forma, ad esempio, di specifiche
classi di insediamenti con particolari infrastrutture (ad esempio, nel caso di studio del nostro
progetto AMPBV, i siti arginati dell'Età del Bronzo: cfr. Fig. 17) dotate di alto grado di similarità
strutturale e ridondanza geometrica;
b) applicazione di processi di "image enhancing" e "image processing" all'immagine ("ritagliata"
digitalmente attorno al sito in forma di un cerchio perfetto e scalata in modo proporzionale alla
superficie effettivamente iscritta entro il reale perimetro del sito). Fra le procedure più promettenti,
consumate per ora ad un livello di poco più di un accattivante artificio grafico, si pongono la c.d.
"propagate function" e la cd. "segmentation function".
La prima di queste applica agli "oggetti" riconosciuti una successione di processi di
assottigliamento ("thinning"), procedendo ad una rimozione progressiva, dall'esterno all'interno, di
successivi strati di pixels, colorati diversamente, fino ad arrivare all'ultimo pixel, che definisce lo
"sPeleton" degli oggetti, cioè la quantità minima di informazione richiesta per rappresentarne la
forma. Questa scansione, calibrabile ad hoc, può consentire un efficace, per quanto banale,
strumento iconico e dinamico di scansione delle classi di grandezze dei siti in oggetto e di una loro
possibile risoluzione gerarchicomodulare.
La seconda (e già meno banale) funzione (cfr. Fig. 13), opposta alla precedente, dilata gli "oggetti"
fino a che ognuno tocca i confini di uno o più altri "neighbours". Un tale trend può essere assunto
da una parte, al suo stadio terminale, come una blanda simulazione di un possibile assetto
staticosincronico di un dato L. of P., dall'altra, col suo processo di crescita, può prospettare un'utile
analogia con paralleli processi diacronico-morfogenetici di un L. of P.
Naturalmente, prima di fare di tali procedure automatiche degli efficaci strumenti di ricognizione-
simulazione bisogna intervenire pesantemente nei relativi algoritmi di supporto, specialmente per
quanto concerne il controllo della progressione matematica dei processi di assottigliamento e
dilatazione e saranno inoltre necessari da una parte un settaggio interattivo dei parametri, dall'altro
delle funzioni (matematiche ed iconiche) di allertamentomonitoraggio sui passi critici della
"scansione" dei vari livelli di "risoluzione" del potere: il lavoro, in questo senso, è appena iniziato,
ma almeno l'ottica é certamente promettente.
5) neuro-model: al di là di ogni onirica e verbalistica proiezione avveniristica le "reti neurali" (cfr.
sopra) trovano un terreno ideale di performance proprio nella restituzione completa di un insieme
strutturato sulla base di conoscenze relazionali e "regole" di strutturazione parziali. È appunto
questa la situazione informativa di partenza più ricorrente nella simulazione archeopolitica. I
"neuroni di ingresso" saranno qui costituiti dalle nostre informazioni parziali (ad esempio, classi di
grandezza di siti o edifici, popolazione stimate, frequenze di classi diagnostiche di particolari
artofatti socio-tecnici, interdistanze, segmenti di informazioni da "iconografia del potere", fonti
scritte ); i "neuroni di uscita" (appositamente filtrati dai "neuroni inter-
medi") potranno restituire, sui processi analizzati di dominanza, esiti dicotomici (dominato/non
dominato) o, ad un livello più complesso, i ranghi di un paesaggio di potere gerarchizzato a più
stadi funzionali di risoluzione giurisdizionale.
La seconda "fase" della nostra "ricerca del potere" è costituita dall'impatto con la "complessità",
nella forma di una più articolata presa di coscienza delle limitazioni, ipersemplificazioni
strumentali, aporie e contraddizioni del primo approccio "battente". Questo impatto coincide da una
parte con una generica dilatazione dello spettro teorico e metodologico di riferimento, dall'altra con
il dinamico e drammatico confronto interattivo con la ricerca sul campo del progetto AMPBV,
conseguente al tentativo di applicare la modellistica simulativa al record archeologico di questo
universo più noto che, filtrato dalle nuove categorie sperimentali, restituiva via via termini non
meno elevati di propria, intrinseca "complessità".
Si sono in merito localizzate 4 maggiori aree problematiche più sature di contraddizioni e aporie:
a) metodo: il milieu mentale-intellettuale in cui effettivamente si è consumato il primo stadio è
quello epigonico di estrazione new-archeologica con una patologica propensione al "computer
game". In effetti i "martelli", per battere, richiedono, di solito, delle frequenti forzature alla base
campionaria di supporto e inducono, di solito, esiziali eccessi di normativismo, isotropia e ossequio
rigido a criteri di ottimizzazione.
b) teoria: il semplicismo dell'apparato teoretico utilizzato contrasta visibilmente con gli
orientamenti della letteratura archeo-politica più recente (cfr. ad esempio i lavori di CHAMPION
1989; CHERRY 1987; CONRADDEMAREST 1984; DE MONTMOLLIN 1989; DODGSHON
1987; GEEDHIEEBENDER-LARSEN 1988; HAAS-POZORKI-POZORKE 1982; JONES-
KAUTZ 1981, LEWEEDEN 1983; LIGHTFOOT 1984; MANN 1986; M~EEER-ROWEANDS-
TILLEY 1989; RENFREW-CHERRY 1986; ROWEANDS-LARSEN-KRISTIANSEN 1987;
STEPONAITIS 1981). Quest'ultima marca in effetti un'evidente dilatazione critica dello spettro di
interesse, proiettato, ben al di fuori del solo ambito spaziale, su un dominio di indagine alquanto più
esteso ed integrato, di estrazione essenzialmente antropologica, a copertura di tutti i processi e le
dinamiche formative, dissolutive e funzionali proprie del potere o criticamente interferenti ai vari
livelli di risoluzione e impatto sociale in cui esso opera.
c) campionamento: sulle critiche frustrazioni dei samplings a scala regionale, si è ormai accumulata
una cospicua letteratura (ai cui chilometrici elenchi di lamentazioni rimando: cfr. ad es. ADAMS
1981; AMMERMAN 1981; DE Gu~o 1985a; REDMAN 1987). Sintomatica di questo stato di
difficoltà è, fra l'altro, la diffusa propensione, da parte degli addetti ai L. of P ad esercitare le proprie
simulazioni su casi di studio esotici (nel caso nostro, ad esempio, soprattutto la media pianura
dell'Eufrate coperta dai surveys pluriennali di Adams, Nissen e altri), di presuntiva migliore
estrazione. Si conosce bene, in effetti, l'impraticabilità campionaria dei casi di studio domestici, e si
preferisce così proiettarsi su terre più o meno incognite, sorvolando disinvoltamente sulle riserve
avanzate dagli stessi autori dei surveys: il giardino del vicino ma soprattutto del lontano è sempre
più verde...

d) la risoluzione crono-spaziale: in effetti si è assistito in questi ultimi anni ad una vertiginosa


inflazione di scenari problematici e di modelli esplanatori sempre più microprocessualisti, cui non è
assolutamente corrisposta una adeguata offerta di strumenti analitici di grigliatura spaziale e
soprattutto cronologica. Su tale trend ha sicuramente pesato, fra l'altro, la strisciante e perversa
attitudine, ben acclimatata soprattutto in ambito anglosassone, di considerare inguaribilmente
démodées le tematiche seriazionali, lasciate proliferare con distaccata sufficienza nella media-
Europa (cfr. DE GUIO 1989): domande sempre più sofisticate sono filtrate da maglie troppo larghe
o arrugginite.
Particolarmente importante, per tentare di uscire in parte dall'impasse, si è rivelata la risoluzione
critica, maturata già nel 1985, di operare simultaneamente ed in modo coordinato e direzionato
problematicamente in due settori:
a) un survey pilota sperimentale, il succitato progetto AMPBV, in un areale propositivamente mirato
("judgement sampling") anche per il manifesto parossismo ana e catagenetico del suo "paesaggio di
potere" nel corso del tardo Bronzo: il record archeologico di superficie agraria ha rivelato, come già
indicato, la complessità quasi proibitiva del suo scenario morfogenetico, esposto ad una congerie di
processi di incorporazione di rumore e perdita di informazione di origine fisio, bio e antropo
genetica.
b) revisione sistematica della griglia crono-spaziale del Bronzo Finale su scala regionale, il cd.
"Protoveneto"—oggetto anche di una specifica tesi di laurea: BICEGO 1988-89 (5)—la seriazione,
in particolare, rappresentava per noi una sorta di emblematico "ritorno al futuro", nel tentativo di
coniugare domande vecchie ma inevase con domande nuove, offrendo strumenti operativi
aggiornati. Si sono in merito applicati una pluralità di modelli di analisi (cfr. BICEGO 1988-89), da
diverse varianti della cluster analysis (legame singolo, completo, medio, mediano, centroide), al
Multi-Dimensional Scaling uni e bi-dimensionale: (cfr. Fig. 14) e varie altre (quali la K-Means
Discriminant Analysis, Analisi Fattoriale, Minimum Spanning Tree) e soprattutto una seriazione
matriciale (siti-tipi: cfr. Fig. 15) prodotta secondo un algoritmo originale "dedicato" ("Seriat" cfr.
DE GUIO-SECCO 1984). Si è quindi utilizzata una serie di modelli da "Analisi della
Sopravvivenza" (cfr DE GUIO 1985a; 1986) per individuare i patteros di "nascita", "morte",
demarcare formalmente fasi acute di discontinuità demografica e testare la significatività di
differenze di valori fra sotto-insiemi discriminati da una o più delle "variabili prognostiche".
Sulla scorta di queste analisi descrittive ed inferenziali-euristiche è stato possibile innanzitutto
isolare 6 successive fasi contrassegnate, nella loro insorgenza, da un acuto tasso di ricambio
demografico e tipologico (funzioni di "densità" e "rischio" di natalità e mortalità dei siti e dei tipi).
Sono inoltre emersi nitidamente alcuni marcati trends crono-spaziali.
Quello più vistoso (cfr. Fig. 16), che investe (per la verità in modo alquanto differenziato) diversi
scenari, in particolare quello demografico, economico-transazionale, eco-culturale e, soprattutto, il
"paesaggio di potere", consiste in uno spostamento progressivo e lineare degli epicentri di sviluppo
socio-culturale ("core-areas"), dall'anfiteratro del Garda, alla Bassa Veronese, al medio-Polesine,
alla media pianura atesina (cfr. DE GUIO WHITEHOUSE-WILKINS 1989: pp.181-185) secondo
un pattern diacronico altrettanto marcato e iterativo: ogni "core-area" realizza il suo climax in una
data fase, dal Bronzo Recente all'inizio dell'Età del Ferro, ma con un'intersezione cronologica
sistematica con la fase di insorgenza dell'altra core-area spazialmente contigua.

Su questi due perni operativi di "decodifica dei palinsesti" (survey e grigliatura spazio-temporale) si
è così impostato via via un circuito, altamente virtuoso, fra teoria, metodo e attività di campo, che
ha destabilizzato felicemente la nostra inerzia concettuale, dischiudendo nuove frontiere di
"complessità".
Dj questo dilatato orizzonte, sono state di recente analizzate dallo scrivente, ad un dettaglio qui non
proponibile (cfr. DE GUIO in c.s., cui si rimanda), alcune topiche emergenti, in particolare:
— "off site power": le evidenze restituite particolarmente dallo "off-site" sembrano in effetti
suggerire come il potere non si realizzi solo al "centro" ma anche nel modo in cui organizza (in
termini di strutturazione logistica e di connettività) il suo circondario con una ploralità estesa di
strutture e infrastrutture produttive e di "reti". Particolarmente critica, al riguardo, è l'allocazione di
infrastrutture per il management agrario e la viabilità intersito, che stiamo ora scoprendo nell'areale
di ricerca (cfr. DE GUIO-WHITEHOUSEWILKINS 1990; in c.s.). Queste ultime classi di
evidenze, di regola marginali per la nostra tradizione di ricerca locale (pre-protostorica), sono, al
contempo, in effetti, vitali strumenti di sopravvivenza e preziosi indicatori potenziali di un potere
forzato ad allocarvi una quota sicuramente critica e discriminante del budget energetico sotto
controllo (cfr. più oltre).
—potere e scambio: il "chiefdom" basso veronese - alto polesano sembra l'esito di un "eco-
invasionismo", dove il suffisso "eco" sta, con deliberata ambivalenza, sia per "ecologico"
(occupazione di una nicchia ecologica neoformata dopo un ampio e massivo dissesto idrografico)
ed "economico" (attivazione di un ruolo vitale di scambio a lunga distanza, fra "mondo alpino e
transalpino" e "mondo mediterraneo orientale": cfr. in merito, ad esempio, la massiccia attività
metallurgica dei siti maggiori, la lavorazione dell'ambra e della pasta vitrea a Fondo Paviani, la
ceramica "micenea" di Fondo Paviani e Fabbrica dei Soci: SAEZANI 1988; VAGNETTI 1979,
1982; MAEGARISE 1989-90).
Su questo sfondo problematico il caso di studio in oggetto offre dei termini di riscontro di
eccezionale e paradigmatica valenza proprio in relazione a uno degli aspetti teorici più critici e
contenziosi del "L. of P.": l'autonomia (o meno) dello scenario propriamente "politico" rispetto ad
altri "paesaggi" di interazione concorrenti.
Decisamente illuminante ci è parsa, in proposito, la peculiare prospettiva neo-marxista di C. Smith
(cfr. ad es. SMITH 1976; HODGES 1987), per la quale l'isomorfismo politica-economia (o più
specificamente lo "scambio economico") è proprio immanente e costitutivo dell'emergenza stessa di
un "L. of P.": la stratificazione nelle società agrarie si origina in effetti, secondo la studiosa, sulla
base di un accesso e/o controllo differenziali dei "mezzi di scambio" (e non tanto dei "mezzi di
produzione"). Un'ipotesi suggestiva di ricaduta sul nostro caso di studio è, allora, che l'insorgenza
relativamente abrupta del "L. of P." locale e la sua articolazione spazio-funzionale trovino la stessa
"raison d'etre" nell'ambito del controllo del "long-distance trade" suddelineato.
Il modello del "dendritic central place system" con allo sbocco una "gatoway community" (cfr.
quindi, più propriamente, l'ibrida definizione di un "gatoway dendritic system" di HIRTH 1978; cfr.
anche SMITH 1987) appare, in merito, la "figura" che copre in modo più coerente il record
archeologico restituito dal nostro caso di studio. Questo particolare reticolo composito
dell'articolazione dello scambio (intraregionale, interregionale e a lunga distanza) non sopportava
certo un "silent trade", ma doveva rappresentare uno straordinario vettore bi-direzionale non solo di
materie prime e artefatti, ma anche, e forse prima di tutto, di informazione ("ideo-facts": cfr.
RENFREW-BAHN 1991).
—potere e sopravvivenza: l'idea di fondo è quella che l"'Analisi della Sopravvivenza" con i suoi
adattamenti correttivi per le applicazioni paleodemografiche (DE GUIO 1985a; 1986) possa essere
un valido strumento ricognitivo (ma anche inferenziale- diagnostico) di un L. of P.
Un riscontro di efficacia paradigmatica, per quanto parziale e non arbitrariamente estendibile, è
offerto dal campione dei quattro siti arginati dell'areale indagato (Fig. 17). Il modello cinematico
qui prospettato (Fig. 18) illustra la durata differenziale dei vari siti, che sembrano presentare un
ciclo iniziale comune e ininterrotto (dal Bronzo Medio alla fine del Bronzo Recente), per poi
discriminarsi selettivamente nel corso del Bronzo Finale, dove scompare dapprima Canova (fase 1
di BICEGO 1988-89), quindi Fabbrica dei Soci e Castello del Tartaro (fase 2), e da ultimo e in fase
4 Fondo Paviani: il trend generalizzato è quello, di natura "catastrofica", che coinvolge tutto la
"core-area" basso-veronese e in cui proprio Fondo Paviani (cfr. Fig. 19) sembra essere l'ultimo sito
a collassare.
Saremmo ora tentati di suggerire come il pattern stesso di sopravvivenza possa essere utilmente
analizzato come una probabile variabile dipendente del potere, secondo l'assioma, non certo
ubiquitario né inattaccabile, ma almeno localmente funzionante, che... chi più "può" dura anche di
più. In altri termini l'analisi della sopravvivenza alla soglia di un fenomeno di catastrofe
generalizzata ma spazialmente e temporalmente discriminata si trasformerebbe quindi in uno
strumento potenzialmente ricognitivo del potere stesso, non solo in funzione del pattern temporale
della sopravvivenza, ma anche nella individuazione delle variabili prognostiche capaci di spiegare il
comportamento differenziale in sopravvivenza. Proprio Fondo Paviani (cfr. FASANISALZANI
1975; MALGARISE 1989-90) sembra accentrare in modo quasi paradigmatico i più alti ranghi di
una serie critica di variabili potenzialmente diagnostiche: presenza di un argine; classe di grandezza
del sito; presenza ed estensione di infrastrutture "off-site" probabilmente sincrone al sito e correlate
al management agrario e alla connettività viaria (cfr. Fig. 19); accentramento di funzioni di
produzione e di scambio a vasto raggio.... etc.
— discontinuità spaziale dei paesaggi di potere: è stato suggerito che l'assioma, così ubiquitario nei
vari costrutti teoretici, della continuità spaziale delle polities possa essere eccepito proprio dal caso
di studio in oggetto, che ripropone quindi ancora una volta dei termini emblematici di riferimento.
Alcuni patterns di similarità particolarmente stringente (sia in chiave di tipologia della cultura
materiale, misurata fra l'altro da un coefficiente di similarità spaziale allo scopo divisato, sia in
termini di "profilo di sopravvivenza"), fra moduli della bassa pianura e altrettanti moduli del
lontano (60-100 km) comparto alto-collinare-montano, hanno suggerito la ragionevole ipotesi che i
due domini areali fossero spezzoni dislocati di un'unica "polity": il meccanismo sotteso di
integrazione funzionale a vasto raggio andrebbe individuato in un modello di prospezione
pastoralistica di tipo transumanza-alpeggio, ben noto in tempi storici più recenti (cfr.
MIGLIAVACCA 1985).
— "landscape of power" e "landscape of death" (Fig. 17): su tutto l'arco cronologico critico in
oggetto (Bronzo Medio-Finale) appare innegabile un'asimmetria culturale fra il "paesaggio di
potere" (interazione politica) e il "paesaggio funerario" (interazione simbolica da "archeologia della
morte" o "landscape of death"). In altri termini ai "central places" del primo non sembra per ora fare
da pendant un'esplicita ricognizione di "central persons" nelle necropoli. Il codice socioculturale qui
istanziato, dunque, non è quello di una rimappatura inerte del mondo dei vivi su quello "proiettivo"
dei morti: sembra invece essere esercitata una "negazione attiva" (cfr. ad es. HODDER 1982; 1986),
nella forma di una divaricazione ("compartimentalizzazione") delle due sfere di rappresentazione
attraverso un'esplicita manipolazione simbolica. Questo "stress socioculturale", proporzionale alla
magnitudo del "gap" negato, è evidentemente diagnostico di un'istanza di conflitto sociale e anche,
forse, una spia di una ricorrente strategia del consenso già citata: l'attitudine dei sistemi
socioculturali ad evolvere incorporando sistematicamente "stadi" strutturali precedenti (saturi di
contraddizione - "equivocazione") in sottosistemi di solito "marginali" (spazialmente o
funzionalmente) e spesso di natura proiettiva.
— "landscape of mind": l'areale dei siti battuto dal nostro survey sembra poter restituire alcune
"regole" sintattiche di allocazione spazio-funzionale sia del "landscape of power" ("L. of P.")che del
" landscape of death" ("L. of D."): comincia così a delinearsi un codice integrato di gestione
simbolica dello spazio geografico, che doveva in qualche modo corrispondere, sul piano emico, ad
una condivisa mappa cognitiva socioculturale: il "landscape of mind (cfr. RENFREW 1982b;
RENFREW-BAHN 1991: pp. 431-434).
Per tentare di approcciare una tale sintassi, senza scadere malamente in gratuiti cedimenti
empatetico-idealisti, potremmo assumere in merito un'ipotesi di lavoro (quasi un primo abbozzo
domestico di una teoria cognitiva da "middle-range") molto pragmatica e solidamente ancorata alla
fenomenologia del record archeologico.
Una prima ragionevole risoluzione "processual-cognitiva" (cfr. RENFREw-BAHN 1991) è quella di
procedere ad enucleare prima di tutto quei tratti comportamentali (e quindi anche decisionali) del
sistema socioculturale in oggetto che possano rappresentare, in riferimento alla totalità delle scelte
praticabili ("paesaggio epigenetico" o "spazio degli eventi"), una deviazione statisticamente
significativa rispetto ad un'ipotesi generativa casuale ("random"). Un ulteriore passo inferenziale
certamente più debole ma ancora operativamente praticabile, è quello di accettare che fra le due
"mappe" (quella della significatività statistica e quella della significatività socioculturale) si realizzi
almeno, al di là di ogni assurda pretesa di una corrispondenza biunivoca, una qualche relazione di
omo-morfismo. È anzi semmai da supporre che la griglia della diacriticità cognitiva sia di norma
più fine di quella statistica, che non farebbe quindi passare una massa critica di condizionamenti
costrittivi ("constraints") su cui è possibile, casomai, pronunciarsi a livello alquanto più blando di
"giudizio di probabilità".
I "constraints" suggeriti fino ad ora dal nostro caso di studio sono, purtroppo, ancora di questa
natura, soprattutto per la limitazione (in termini di numerosità e distribuzione spaziale) della base
campionaria. Appare tuttavia lecito tentare di estrarre anche da quest'ultima base delle ipotesi di
"regole" sintattico-strutturali sul L. of P. e sul L. of D., nonché sul paesaggio proiettivo composito
("landscape of mind"). Le regole tentative sotto esposte potranno poi essere, con l'aggiornamento in
corso del campione, validate o meno e ridotte, in caso positivo, ad un formale sistema di copertura
("esperto"," neurale " etc . ):
— esistono almeno due diverse classi di grandezza di siti arginati verosimilmente correlati a distinti
ranghi del L. of P. (cir. i tre grandi siti di Fondo Paviani, Castello del Tartaro, Fabbrica dei Soci in
opposizione ad esempio al più piccolo di Canova: Figg. 17, 18);
—il sito maggiore (Fondo Paviani: Fig. 19) appare in posizione baricentrica rispetto all'areale delle
Valli Grandi (indiziando un possibile "cuore" della "polity");
—gli altri due siti maggiori (C. del Tartaro, F. dei Soci) si localizzano simmetricamente a lato del
primo (nucleo-base della polity?);
—l'interdistanza col "nearest neighbour" è positivamente correlata al rango dei siti (e quindi
decresce quando entrano in gioco siti minori, dal "territorio" atteso conformemente minore: cfr.
l'interdistanza Canova- F. dei Soci: 3.4 km);
—le interdistanze fra i siti maggiori (5 km fra C. del Tartaro e F. Paviani e 5.1 km fra questo e F. dei
Soci!) indiziano un modulo ricorrente;
—la classe di grandezza dei siti è positivamente correlata alla complessità delle funzioni di
produzione e scambio, specie a lunga distanza (cir. ad es. la lavorazione della pasta vitrea, attestata
per ora solo a F. Paviani: MALGARI-SE 1989-90);
—la classe di grandezza dei siti è positivamente correlata alla complessità dell'articolazione
infrastrutturale (produttiva, connettiva) del territorio extra sito: off site power (cfr. DE GUIO-
WHITEHOUSE-WILKINS 1990; in c.s.; DE GUIO in c.s.);
—le necropoli si localizzano:
a) costantemente a N-NW rispetto ai siti;
b) in prossimità (200-800m) degli stessi;
c) su alti morfologici;
d) questi ultimi sono rappresentati da paleodossi (cioè da idrografie in
stato già fossile o subfossile: cfr. BALISTA-DE Gu~o in c.s.) in continuità con
quelli che supportano i siti pertinenti (ne consegue una connettività diretta, "viaria", un "cordone
ombelicale"—forse anch'esso mappato cognitivamente—fra 1. of P. e L. of D.).
— alcuni siti di rango minore potrebbero non avere una propria necropoli: la "utenza funeraria" si
proietterebbe pertanto sulle necropoli di altri siti di rango maggiore (forse il "nearest neighbour" nel
cui territorio "giurisdizionale" è atteso ricadere il sito?). Questa regola (articolata) tentativa,
certamente al più basso titolo probabilistico, è qui prospettata in funzione della sola evidenza
negativa del sito di Canova, che, malgrado l'alta intensità della copertura del survey (cir. BALISTA
et alii 1986; 1988; DE GUIO WHITEHOUSE WILKINS 1989; 1990), non ha finora restituito indizi
di necropoli, al contrario degli altri tre siti arginati maggiori viciniori (cfr. Fig. 17). Si offre quindi
l'ipotesi suggestiva che la rankizzazione del L. of P. sia anche sanzionata da una deliberata
simbologia proiettiva (di "rinforzo") del L. of D., il che ci offrirebbe uno strumento operativo di
discriminazione (probabilistica/ predittiva) di agile praticabilità diagnostica.
Il nostro percorso, che non vogliamo certo proporre come paradigmatico, è dunque pervenuto, sulla
scorta di una critica mediazione teoretico metodologica e formale-quantitativa, ad un estremo
"cognitivo", a un "attrattore strano", cioè, che noi stessi avremmo sdegnosamente aborrito solo
qualche anno fa. Non ci pare, onestamente, che ciò rappresenti un salto nel buio, ma piuttosto
l'inizio di una stimolante avventura intellettuale con regole comportamentali tutte da definire: in
caso di difficoltà abbiamo comunque ancora un scorta apprezzabile di "martelli" (cft. MOORE-
KEENE 1983), che torneremo a battere, se non altro per continuare a divertirci.

ARMANDO DE GUIO

(1) Lavoro eseguito con il contributo C.N.R. 90.02307. CT15 e A.M. 1953.
(2) Non essendo ancora disponibile una versione commerciale pienamente funzionale del modello, abbiamo, con un
ribaltamento di prospettiva abbastanza paradossale, tentato di controllare in modo "esperto" (cioè utilizzando
l'architettura argomentativa dell'AES) i nostri frequentissimi, iperlogorroici, quasi mai pacifici e spesso incontrollabili
dibattiti scientifico decisionali, creando, prima in modo semiserio, poi sempre più convinti, la figura istituzionale di un
"moderatore logico" ad hoc con attitudini, appunto, logico-informatiche (Flavio Airundo). Quest'ultimo si addestra
progressivamente a trascrivere o meglio "tracciare" in tempo reale, con una sempre più sofisticata simbologia
descrittivo-iconica, la dinamica argomentativa, tentando di controllarne e canalizzarne al contempo in modo
ottimizzante ed ergonomico il flusso, secondo le regole del gioco dell'AES. L'esercizio è naturalmente di una difficoltà
proibitiva, viste le croniche limitatezze della reale "economia cognitiva" umana, l'incontrollabilità cronica delle spinte
emozionali, i problemi di saturazione...etc., che introducono in un ideale e ottimizzante "minimum spanning tree"
decisionistico sistematiche distorsioni, deviazioni e aporie. Tuttavia non c'è dubbio che questa prospettiva valga ad
imporre quote sempre più efficaci di ottimizzaziOne in un settore così critico, come quello della dinamica di scambio
argomentativo. È qui, in effetti, che la stessa policromia dell'amabile fraseggio umanistico, nelle sue delicatissime
sfumature semantiche, consente ancora di sottrarsi elegantemente a canalizzazioni logiche costrittive e a percorsi
euristici realmente ottimizzanti.
(3) Antonella Nanni, Università di Roma - “ La Sapienza ”, relatore: prof. Paolo Sommella. Le reti neurali vengono qui
applicate ad un progetto di riconoscimento e seriazione automatica delle paleotracce teleosservate (“ Progetto Harris ”),
su cui si confronta un'altra metodologia di tipo "sistema esperto", collegata ad una parallela tesi di laurea (Flavio
Cafiero, Università di Padova, relatore: dr. Armando De Guio).
(4) Delle nuove funzioni, in parte mutuate dalla letteratura statistica, in parte originali e ad hoc, le quattro più utili
presentano alcuni parametri di base ricorrenti, quali un fattore di peso (W: nel caso nostro la classe di grandezza del sito
j, ma potrebbe essere qualsiasi "misura", quale ad esempio la mole di speciali edifici civili o di culto, o la frequenza di
particolari classi di manufatti socio-tecnici...etc., supposta come positivamente correlata alla dimensione politica), la
popolazione stimata (P), la distanza intersito (Dij) e una costante empirica (K): (A) "Densità Pesata" (WD).
(5) Chiara Bicego, Università di Padova, relaiore prof. Loredana Capuis.

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