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Arthur Schopenhauer

Schopenhauer nacque a Danzica il 22 febbraio 1788.


Opera principale: Il mondo come volontà e rappresentazione.
L'indirizzo cupo e apertamente anti idealistico del suo pensiero, potè contribuire alla fortuna
del suo pensiero solo dopo il 1848, in concomitanza con un’ondata di pessimismo che colpì
l’Europa.

Influenze culturali e filosofiche:


● Platone ➡︎teoria delle idee (intese come forme eterne sottratte alla caducità
dolorosa del nostro mondo);
● Kant ➡︎impostazione soggettivistica della gnoseologia;
● Illuminismo ➡︎filone materialistico e ideologico (tendenza a considerare la vita
psichica e sensoriale in termini di fisiologia del sistema nervoso) ;
● Voltaire ➡︎spirito ironico
● Romanticismo ➡︎alcuni temi di fondo della sua filosofia: irrazionalismo,
grande importanza attribuita all’arte e alla musica, soprattutto, il tema
dell’infinito (cioè la tesi della presenza nel mondo di un principio assoluto di
cui le varie realtà sono manifestazioni passeggere) e il tema del dolore.
Schopenhauer appare decisamente orientato a una visione pessimistica della
realtà, di cui è uno dei maggiori teorici.
● il pensiero idealistico viene presentato da Schopenhauer come una
“posizione ipocrita”, che non è al servizio della verità ma di interessi volgari
come il successo e il potere, e che si propone di giustificare le credenze che
tornano utili alla chiesa e allo stato. Hegel viene descritto come un “sicario
della verità”, e un “ciarlatano pesante e stucchevole”. Schopenhauer
manifesta infatti l’esigenza della libertà della filosofia, che lo fa indignare di
fronte alla divinizzazione dello stato da parte di Hegel.
● sapienza dell’antico Oriente ➡︎ Schopenhauer infatti:
1. è stato il primo filosofo occidentale a tentare il recupero di alcuni motivi del
pensiero dell'estremo oriente;
2. ha preso da esso un prezioso repertorio di immagini e di espressioni suggestive;
3. è stato un ammiratore della sapienza orientale e un “profeta” del successo che tale
sapienza ha avuto poi in Occidente.

Il “velo di Maya” : il punto di partenza della filosofia di Schopenhauer è la distinzione


kantiana tra fenomeno (la cosa come appare) e noumeno (la cosa in sé).
Per Kant il fenomeno è l’unica realtà accessibile alla mente umana, e il noumeno è un
concetto-limite, che rammenta all’uomo i limiti della conoscenza.
Per Schopenhauer invece, il fenomeno è parvenza, illusione e sogno (ciò che nell’antica
sapienza indiana era detto “il velo di Maya”) mentre il noumeno è la realtà che si nasconde
dietro l’ingannevole trama del velo, ovvero del fenomeno, e che il filosofo deve scoprire.
Il fenomeno di Schopenhauer è la rappresentazione soggettiva, cioè esiste solo dentro la
coscienza, tant’è vero che il filosofo crede di poter esprimere l’essenza del kantismo con la
tesi: “il mondo è la mia rappresentazione”.
Anche Schopenhauer ritiene che la nostra mente sia corredata da una serie di forme a priori,
ma a differenza di Kant (che ne elencava 12), Schopenhauer ammette solo 3 forme a priori:
spazio, tempo e causalità. Di queste 3, la causalità è l’unica categoria, secondo
Schopenhauer, poiché tutte le altre sono riconducibili ad essa e in quanto la realtà stessa
dell’oggetto si risolve completamente nella sua azione causale su altri oggetti.
La causalità, assume forme diverse a seconda degli ambiti in cui opera, manifestandosi
come principio del divenire (regola i rapporti tra gli oggetti naturali), del conoscere (regola i
rapporti tra premesse e conseguenze), dell’essere (regola i rapporti spazio-temporali), e
dell’agire (connessioni tra un’azione e i suoi motivi).
Schopenhauer considera la rappresentazione come una fantasmagoria ingannevole,
traendo la conclusione che la “vita è sogno”, cioè un tessuto di apparenze. Ma al di là del
sogno, esiste però’ la vera realtà , riguardo alla quale il filosofo non può fare a meno di
interrogarsi. infatti sostiene che l’uomo sia un “animale metafisico”, che a differenza degli
altri esseri viventi, è portato a interrogarsi sull’essenza della vita.

KANT SCHOPENHAUER

Fenomeno Ciò che appare a noi della realtà, Apparenza, sogno, illusione (velo
l’unica realtà accessibile alla di Maya)
conoscenza umana

Noumeno L’essenza in sé delle cose, La realtà che si nasconde dietro il


indipendente dal soggetto (la cosa sogno e l’illusione
in sé)
Conoscenza Possibile solo entro i limiti Consiste nella rappresentazione,
dell’esperienza, come fenomeno, che è l’incontro tra due metà
attraverso le forme a priori della essenziali e inseparabili: soggetto
sensibilità (spazio e tempo) e e oggetto (che deve sottostare alle
dell’intelletto (12 categorie) forme a priori di spazio, tempo e
causalità).

Tutto è volontà: ma se la mente è “chiusa” nell’orizzonte della rappresentazione, com’è


possibile lacerare il velo di Maya e trovare il “filo d’Arianna” ? Se noi fossimo soltanto
conoscenza e rappresentazione, non potremmo uscire dal mondo fenomenico, ossia dalla
rappresentazione puramente esteriore di noi e delle cose. Ma poiché siamo anche un corpo
e non solo rappresentazione; ripiegandoci su noi stessi, ci rendiamo conto che l'essenza
profonda del nostro io, o meglio la cosa in sé del nostro essere globalmente considerato, è
la brama o volontà di vivere cioè un impulso prepotente e irresistibile che ci spinge ad agire
ed esistere.
Si può squarciare il velo di Maya attraverso l'esperienza corporea(il corpo umano è un
fenomeno tra altri fenomeni poiché viene rappresentato attraverso le forme a priori di spazio,
tempo e causalità). Attraverso i bisogni corporei riusciamo a trovare il noumeno , e
squarciare il velo di Maya. Percepisco il corpo anche come volontà, forza che regola il
mondo. Noumeno della realtà = volontà. (Liberazione totale della volontà di vivere =ascesi).
Caratteri e manifestazioni della volontà di vivere: la volontà primordiale è
inconscia, poiché la consapevolezza e l'intelletto costituiscono soltanto delle sue possibili
manifestazioni secondarie. Il termine volontà indica il concetto più generale di energia o
impulso.
La volontà risulta unica, poiché esistendo al di fuori dello spazio e del tempo, che hanno la
prerogativa di dividere di moltiplicare gli enti, si sottrae costituzionalmente a ciò che i filosofi
del medioevo chiamavano il "principio di individuazione”.
La volontà è anche eterna e indistruttibile, ossia un principio senza inizio né fine. Per questo
Schopenhauer scrive che "alla volontà è assicurata la vita”.
La Volontà si configura anche come una forza libera e cieca, ossia come energia incausata,
senza un perché e senza uno scopo. Noi possiamo cercare la ragione di questa o di quella
manifestazione fenomenica della volontà, ma non della volontà in sé stessa. La volontà
primordiale non ha alcuna meta oltre se stessa: la vita vuole la vita, la volontà vuole la
volontà, e qualunque motivazione o scopo cade entro l'orizzonte del vivere e del volere.
Miliardi di esseri non vivono dunque che per vivere e continuare a vivere. E questa, secondo
Schopenhauer l'unica crudele verità sul mondo, anche se gli uomini hanno cercato di
mascherarne la terribile evidenza, postulando un Dio cui finalizzare la loro vita in cui trovare
un senso per le loro azioni. Ma Dio, nell'universo di Schopenhauer, non può esistere e
l'unico assoluto è la volontà stessa i cui caratteri di fondo, cioè il fatto di essere unica, eterna
e in causata, solo non a caso i caratteri che da sempre filosofi hanno conferito a Dio e con
cui soprattutto i romantici hanno caratterizzato l’infinito.

Schopenhauer ritiene che la volontà di vivere si manifesti nel mondo fenomenico attraverso
due fasi logicamente distinguibili:
• Nella prima la volontà si oggettiva in un sistema di forme immutabili, che egli chiama
platonicamente idee e che considera alla stregua di archetipi del mondo.
• Nella seconda la volontà si oggettiva nei vari individui del mondo naturale, che sono
nient'altro che la moltiplicazione delle idee. Tra gli individui e le idee esiste un rapporto di
copia-modello, per cui singoli esseri risultano semplici riproduzioni dell'unico prototipo
originario che è l’idea.

Volontà : principio supremo da cui tutto dipende. Forza originaria sempre identica a se
stessa, che non vuole altro che volere, energia irrazionale che si manifesta in tutte le cose
della realtà come istinto cieco. Essa, che è l'essenza del mondo, si oggettiva nella natura e
quale principio immanente, si rivela nei modi più diversi anche nell’uomo.

ESSENZA DELLA REALTA’


IN HEGEL IN SCHOPENHAUER

È l’idea: un unico pensiero o ragione che tende a È la volontà di vivere: un’unica forza irrazionale
realizzare e conoscere se stessa. che anima ciecamente il tutto.
Si articola in 3 momenti: Si manifesta in 3 momenti:
• Idea in sè e per sè • Le idee
• Idea fuori di sé • La gerarchia degli enti naturali
• Idea tornata in sé • La volontà autoconsapevole nell’uomo.
Il pessimismo (dolore, piacere e noia): affermare che l'essere è la manifestazione di una
volontà infinita equivale a dire, secondo Schopenhauer, che la vita è dolore per essenza. Infatti volere
significa desiderare e desiderare significa trovarsi in uno stato di tensione per la mancanza di qualcosa
che si vorrebbe avere. Il desiderio è assenza, Vuoto e indigenza, ossia dolore. E poiché nell'uomo la
volontà è più cosciente, e quindi più "affamata" che negli altri esseri, proprio l'uomo risulta il più
bisognoso e mancante tra essi, destinato a non trovare mai un appagamento verace e definitivo.
Ciò che gli uomini chiamano godimento (fisico) e gioia (psichica) non sono nient'altro che una
cessazione di dolore, ossia lo scaricarsi di una tensione preesistente: perché ci sia piacere, bisogna per
forza che vi sia uno stato precedente di tensione o di dolore (il godimento del bere presuppone la
sofferenza della sete).

La stessa cosa però non vale per il dolore, che non può essere ridotto a cessazione di piacere: un
individuo può sperimentare una catena di dolori, senza che questi siano preceduti da altrettanti piaceri,
mentre ogni piacere nasce solo come cessazione di una qualche preesistente tensione fisica o psichica
(Non vi è rosa senza spine, ma vi sono parecchie spine senza rose).
Pertanto mentre il dolore, identificandosi con il desiderio, che è la struttura stessa della vita, è un dato
primario e permanente; il piacere è solo una finzione derivata del dolore che vive unicamente a spese
di esso. Infatti il piacere riesce a vincere il dolore solo a patto di annullare se stesso, Poiché non
appena viene meno lo stato di tensione del desiderio cessa anche la possibilità del godimento.
Accanto al dolore che è una realtà durevole, e al piacere che è qualcosa di momentaneo,
Schopenhauer pone una terza situazione esistenziale di base, la noia, la quale subentra quando viene
meno l’aculeo del desiderio.
La vita umana, è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando
attraverso l'intervallo fugace e per di più il illusorio del piacere della gioia. Ma se il dolore
costituisce la legge profonda della vita ("nessuno si è mai veramente sentito felice del presente, a
meno che non fosse ubriaco"), ciò che distingue i casi le situazioni umane è soltanto il diverso modo o
le diverse forme in cui esso si manifesta.

Volontà ➠ desiderio, mancanza, dolore ➘


Piacere ➠ cessazione momentanea del dolore ➔ idea che vivere è soffrire

Il pendolo della vita oscilla tra ↱desiderio e dolore ➚


↳sazietà e noia

La sofferenza universale: perché la volontà di vivere, che è una tensione perennemente


insoddisfatta e sempre rinnovatasi, si manifesta in tutte le cose sotto forma di una vera e propria
Sensucht (desiderio inappagabile) cosmica, il dolore non riguarda soltanto l'uomo ma investe ogni
creatura. Tutto soffre: dal bimbo che nasce al vecchio che muore. E se l'uomo, in cui si riassume e si
potenzia il male del mondo, soffre di più rispetto le altre creature e semplicemente perché avendo
maggiore consapevolezza è destinato a sentire in modo più accentuato la spinta della volontà e a
patire maggiormente l'insoddisfazione del desiderio e l'offesa dei dolori. Per questa ragione il genio
avendo maggiore sensibilità rispetto agli altri uomini, e votato a una sofferenza più intensa.
Il filosofo perviene a una delle più radicali forme di pessimismo cosmico o metafisico di tutta la storia
del pensiero, secondo il quale il male non è solo nel mondo ma nel principio stesso da cui esso
dipende,.
Espressione di tale dolore universale, non è solo l'anelito frustrato della volontà, ma è anche la lotta
crudele di tutte le cose. Secondo Schopenhauer dietro le celebrate "meraviglia" del creato si cela
"un'arena di esseri tormentati e angosciati”, i quali esistono solo a patto di divorarsi l'un l'altro, dove
perciò “ogni animale carnivoro è il sepolcro vivente di mille altri e la propria auto conservazione è
una catena di morti strazianti”.
Uno degli esempi dell'auto lacerazione dell'unica volontà in una molteplicità conflittuale di parti e di
individui reciprocamente ostili, che si contendono l'un l'altro lo spazio e il tempo, è costituito dalla
formica gigante da Australia la quale se viene divisa in due parti farà un combattimento tra il capo e la
coda.
L'individuo quindi risulta possedere il valore di un mero strumento al servizio della specie: aldilà del
breve sogno dell'esistenza individuale e della realizzazione personale, l'unico fine della natura sembra
dunque essere quello di perpetuare la vita e con la vita, anche il dolore.

L’illusione dell’amore: il fatto che alla natura interessi solo la sopravvivenza della specie
trova una sua manifestazione nell’amore. L'amore che "si impadronisce della metà delle
forze e dei pensieri dell'umanità più giovane" è uno dei più forti stimoli dell’esistenza.
Tuttavia se l'amore è così forte è solo perché dietro le sue lusinghe il suo incanto stai realtà
il freddo "genio della specie" che mira alla perpetuazione della vita. Quindi il fine dell'amore,
o lo scopo per cui esso è voluto dalla natura, è soltanto l’accoppiamento.
Dietro il fascino di un bel volto c’è in verità un nascosto desiderio sessuale, che con
l'innamoramento si traduce nel ciclo accoppiamento-procreazione: ciò significa che
l'individuo proprio nel momento in cui crede di realizzare maggiormente il proprio godimento
e la propria personalità è in realtà lo "zimbello" della natura.
Manifestazioni di tale essenza biologica dell'amore sono: il caso limite della mantide
femmina (che divora il maschio dopo l'unione sessuale), e la triste constatazione del fatto
che la donna dopo aver adempiuto alla procreazione e all'allevamento dei figli perde ben
presto bellezza e attrattive.
L’amore è dunque un puro strumento per perpetuare la vita della specie: per questo non c'è
amore senza sessualità. Questo è evidente da alcuni passi di sapore pre-freudiano: "ogni
innamoramento, per quanto etereo voglio apparire, affonda sempre le sue radici nell'istinto
sessuale”; "Se la passione di Petrarca fosse stata pagata il suo canto sarebbe ammutolito”.
È per questo che l'amore procreativo viene inconsapevolmente avvertito come "peccato" e
"vergogna". Inoltre esso è responsabile del maggiore dei delitti: cioè la procreazione di altre
creature destinate a soffrire. Schopenhauer afferma che l'amore è nient'altro che "due
infelicità che si incontrano, due infelicità che si scambiano, e una terza infelicità che si
prepara”. L'unico amore di cui si può tessere l’elogio non è dunque quello generativo
dell'eros, ma quello disinteressato della pietà.

la critica delle varie forme di ottimismo:


• Il rifiuto dell’ottimismo cosmico: uno degli aspetti più interessanti della sua filosofia è
la critica mossa alle varie menzogne (o ideologie) con cui gli uomini tentano di celare a se
stessi i dati negativi del vivere e della cruda realtà del mondo. Quindi Schopenhauer offre
degli spunti di critica alle ideologie e in questo senso può venire considerato tra i maestri
del sospetto della cultura moderna come Marx, Nietzsche e Freud. Il filosofo sbugiarda la
filosofia accademica di Stato, affermando che chi viene pagato per pensare non può certo
filosofare liberamente ma deve riflettere rispettando le idee e i pregiudizi di chi lo paga;
polemizza contro gli intellettuali inseriti e contro le loro occulte ambizioni di denaro di
potere e di gloria; smaschera i luoghi comuni della razionalità dell'essere e della felicità
dell'esistenza umana.

"Donde ha preso Dante la materia del suo inferno, se non da questo mondo reale?".
(dal testo il mondo come volontà e rappresentazione)

Evince quindi la polemica di Schopenhauer contro le ideologie soprattutto contro


quell'ottimismo cosmico che circolava in buona parte delle filosofie e delle religioni
occidentali dell'epoca, ossia in quello schema di pensiero che interpretava il mondo come un
organismo perfetto governato da Dio o da una ragione immanente (Hegel).
Per Schopenhauer questa visione, pur essendo indubbiamente consolatrice, risulta
palesemente falsa poiché la vita è un'esplosione di forze irrazionali e il mondo non è il regno
della logica e dell'armonia ma il teatro dell'illogicità e della sopraffazione. Tutto ciò è
verificabile non solo nell'ambito della società ma anche in quello della natura, dove vige la
cosiddetta "legge della giungla”.
Contestando le religioni Schopenhauer perviene ad abbozzare le linee di un ateismo
filosofico (che sarà ripreso in forma originale da Nietzsche), ecco cosa scrive a questo
proposito:

“A 17 anni fui colpito dalla miseria della vita così profondamente quando vidi per la prima
volta la malattia, la vecchiaia, il dolore e la morte. La verità del mondo mi parlava chiaro e
tondo ed ebbe presto il sopravvento sui dogmi ebraici che mi erano stati inculcati; e e la mia
conclusione fu che questo mondo non poteva essere l'opera di un ente assolutamente
buono. Se un Dio ha creato questo mondo, io non vorrei essere Dio; l'estrema miseria del
mondo mi strazierebbe il cuore".

• Il rifiuto dell’ottimismo sociale: un'altra menzogna è la tesi della bontà e della


socievolezza dell'uomo. Si deve ammettere infatti che la regola dei rapporti umani, è
sostanzialmente costituita dal conflitto e dal tentativo di sopraffazione reciproca. Tale
regola, pur assumendo nel tempo mille forme, da quelle primitive e violente a quelle più
civili e raffinate, è rimasta sostanzialmente sempre la medesima. Tanto è vero che basta
un non nulla perché anche gli individui apparentemente più mansueti rivelino la loro natura
di "felini rabbiosi”:

"Vi è dunque, nel cuore di ogni uomo, una belva che attende solo il momento propizio per
scatenarsi e infuriare contro gli altri”.

La cattiveria dell'uomo nei confronti dei propri simili emerge anche dal fatto che le disgrazie
altrui provocano spesso una celata soddisfazione al nostro feroce istinto egoistico, mentre
ogni vantaggio del prossimo ci infastidisce e ci irrita. Di conseguenza se gli uomini vivono
insieme non è tanto per simpatia o innata socievolezza, ma soprattutto per bisogno. E se
esistono lo Stato e le leggi, non è certo per rispondere ad un’umana esigenza di eticità ma
solo perché l'uomo possa difendersi e regolamentare gli istinti aggressivi degli individui.
Questa tesi di Schopenhauer è finalizzata a favorire la scelta della via etica della pietà. Infatti
solo chi ha la sensibilità di avvertire come i rapporti umani si costituiscano perlopiù
nell'orizzonte dell'ingiustizia, può sentire il desiderio interiore di “seminare i fiori
dell’eccezione" che sono giustizia e l’amore.

• Il rifiuto dell’ottimismo storico: un altro aspetto è la polemica contro ogni forma di


storicismo. Schopenhauer ridimensiona fortemente la portata conoscitiva della storia,
affermando che essa non è una vera e propria scienza in quanto anziché procedere per
concetti e leggi generali, è costretta a limitarsi alla catalogazione dell'individuale. Risulta
perciò inferiore anche all'arte e alla filosofia.
A furia di studiare gli “uomini" gli storici finiscono per perdere di vista l'uomo, cadendo
nell'illusione che di epoca in epoca gli uomini mutino; in realtà se andiamo oltre le apparenze
non possiamo a fare a meno di scoprire che "non viene nulla di nuovo sotto il sole" . E che
aldilà del miraggio del tempo e della storia il destino dell'uomo presenta nei suoi caratteri
essenziali dei tratti immutabili.
“Mentre la storia ci insegna che in ogni tempo avviene qualcosa di diverso, la filosofia si
sforza di innalzarci alla concezione che in ogni tempo fu, e è, e sarà sempre la stessa cosa”.

Secondo Schopenhauer il solo modo proficuo di occuparsi di storia è quello di evidenziare,


attraverso lo studio degli avvenimenti del passato, la costante uniformità e ripetitività della
storia stessa, nella quale ciò che cambia non è l'essenza delle cose ma solo la loro facciata
superficiale: è sufficiente quindi la lettura del solo Erodoto per giungere a conoscere
l'avventura dell'intera umanità, bisogna quindi passare dalla storia alla "filosofia della
storia". È necessario quindi spogliare la disciplina storica della sua pretesa di rivelarci il
diverso e il progressivo, e prendere coscienza del fatto che l'umanità tutta si trova nel
medesimo e perpetuo stato di dolore, e che spera di metterlo a tacere inseguendo un
mutamento e un progresso illusori. L'autentico compito della storia sarà pertanto quello
di offrire all'uomo la coscienza di sé e del proprio destino.

le vie della liberazione del dolore:


● Facendo proprie le sentenze pessimistiche dei saggi dell'oriente ("esistere è
soffrire”);
● Di Platone ("è meglio non essere nati piuttosto che vivere”);
● Di una parte della tradizione biblico cristiana ("non c'è nulla di nuovo sotto il
sole"; "tutto è vanità"; "la vita è una valle di lacrime”);
● Di Calderón de la barca ("il diritto maggiore per l'uomo e di essere nato”);
Schopenhauer afferma che l'esistenza, in virtù del dolore che la costituisce, risulta una cosa
che si impara poco per volta a non volere.
Si potrebbe allora pensare che la soluzione possa essere il suicidio, ma in realtà il filosofo
rifiuta e condanna il suicidio per due motivi di fondo:
1. Perché il suicidio è un atto di forte affermazione della volontà stessa, in quanto il suicida
vuole la vita ed è solo malcontento delle condizioni che gli sono toccate, per cui anziché
negare veramente la volontà egli nega piuttosto la vita poiché ne vorrebbe una diversa;
2. Perché il suicidio sopprime soltanto una manifestazione fenomenica della della volontà di
vivere e lascia intatta la cosa in sé, la quale pur morendo in un individuo rinasce in altri
mille.
Pertanto la vera risposta al dolore del mondo non consiste nell'eliminazione tramite il
suicidio, ma nella liberazione della stessa volontà di vivere. Ma come è possibile per
l'uomo spezzare le catene della volontà, se quest'ultima costituisce la sua stessa essenza e
la struttura metafisica dell'universo? Schopenhauer richiama l'attenzione sull'esistenza di
individui eccezionali (santi, mistici, geni dell'arte) che in tutti i tempi hanno intrapreso il
cammino della liberazione di se stessi dalla volontà di vivere e dalla tirannia dei bisogni e
dell’egoismo. Il filosofo intende che, quando la voluntas perviene alla coscienza di sé, tende
a farsi noluntas, cioè negazione progressiva di se medesima. In altre parole è con la presa
di coscienza del dolore e con il disinganno di fronte alle illusioni dell'esistere che prende
avvio il cammino di liberazione dell’individuo.

Schopenhauer individua tre vie di liberazione dal dolore, cioè tre tappe del percorso salvifico
dell’uomo.

L’arte: l’arte è conoscenza libera e disinteressata, che si rivolge alle idee ossia alle forme
pure; il soggetto che contempla le idee, ovvero gli aspetti universali della realtà non è più
l'individuo naturale particolare, sottoposto alle esigenze pratiche della volontà, ma è il puro
soggetto del conoscere, il puro occhio del mondo.
L’ Arte sottrae l'individuo alla catena infinita dei bisogni e dei desideri quotidiani, grazie ad
essa l'uomo più che vivere, contempla la vita elevandosi al di sopra della volontà, del dolore
e del tempo.
Le varie arti si possono ordinare gerarchicamente: esse vanno dall'architettura che
corrisponde al livello più basso (volontà che si manifesta nella materia inorganica) fino alla
scultura, pittura e poesia che hanno per oggetto le idee del mondo vegetale, animale e
umano. Tra le arti spicca la tragedia che costituisce l'autorappresentazione del dramma
della vita.
Un posto a sé occupa la musica, poiché non riproduce mimeticamente le idee, ma si pone
come immediata rivelazione della volontà a se stessa: la musica si configura come l'arte più
profonda e universale e come una vera e propria "metafisica in suoni" capace di metterci in
contatto al di là dei limiti della ragione, con le radici stesse della vita e dell’essere.

Ogni arte è quindi liberatrice poiché il piacere che essa procura è la cessazione del bisogno,
raggiunta attraverso la svincolarsi della conoscenza dalla volontà e il suo porsi come
disinteressata contemplazione. Ma la funzione liberatrice dell'arte è pur sempre
temporanea e parziale e ai caratteri di un gioco effimero oppure di un breve
incantesimo. Essa costituisce soltanto un conforto alla vita.

L’etica della pietà: a differenza della contemplazione estetica, l'etica implica un impegno
nel mondo a favore del prossimo. Essa è infatti un tentativo di superare l’egoismo e di
vincere quella lotta incessante degli individui tra di loro che costituisce l'ingiustizia e che
rappresenta una delle maggiori fonti di dolore per l’uomo. Schopenhauer sostiene (contro
Kant) che la morale non sgorga da un imperativo categorico dettato dalla ragione né da un
ragionamento astratto, bensì da un'esperienza vissuta ovvero da un sentimento di pietà o di
compassione attraverso cui avvertiamo come nostre le sofferenze degli altri, identificandoci
con il loro tormento.
Non basta sapere che la vita è dolore e che tutti soffrono: bisogna sentire e realizzare
questa verità nel profondo del nostro essere; perciò non è la conoscenza a produrre la
moralità ma è la moralità a produrre la conoscenza. Tramite la pietà sperimentiamo
quell'unità metafisica di tutti gli esseri che la filosofia teorizza ("questo vivente sei tu”).↴
Facendoci capire come il tormentatore e il tormentato, distinti fenomenicamente, siano
noumenicamente una stessa realtà. Solo per il sogno illusorio il malvagio si crede separato
dagli altri e dal dolore, ma il rimorso temporaneo e la duratura angoscia che accompagnano
i suoi misfatti costituiscono l'oscura consapevolezza dell'unità del volere cosmico.
Perciò se ogni malvagità è un disconoscimento dell'unità primordiale degli esseri, ogni atto
di pietà è invece riconoscimento di essa, e va oltre il velo di Maya.

La morale si concretizza in due virtù cardinali: la giustizia e la carità (agape).


La giustizia è un primo freno all'egoismo, ma ha un carattere negativo poiché consiste nel
non fare il male e nell'essere disposti a riconoscere agli altri ciò che siamo pronti a
riconoscere a noi stessi.
La carità invece è volontà positiva e attiva di fare del bene al prossimo: l'agape è amore
disinteressato e amore autentico ("ogni puro e sincero amore è pietà"). Ai suoi massimi livelli
la pietà consiste nel far propria la sofferenza tutti gli esseri passati e presenti e
nell'assumere su di sé il dolore cosmico.

L’ascesi: la morale rimane pur sempre all'interno della vita e presuppone per questo un
qualche attaccamento ad essa. Perciò Schopenhauer persegue una liberazione totale non
solo dall'egoismo e dall'ingiustizia, ma dalla stessa volontà di vivere. Questa liberazione si
raggiunge con l’ascesi.
L'ascesi è l'esperienza attraverso la quale l'individuo, cessando di volere la vita e il volere
stesso, si propone di estirpare il proprio desiderio di esistere, di godere e di volere. Primo
gradino della scesi è costituito dalla "castità perfetta" che libera dalla prima e fondamentale
manifestazione della volontà di vivere: l'impulso alla generazione e quindi alla perpetuazione
della specie.
La rinuncia ai piaceri, l'umiltà, il digiuno, la povertà, il sacrificio e l’auto macerazione tendono
tutte al medesimo scopo che è quello di sciogliere la volontà di vivere dalle proprie catene.
La soppressione della volontà di vivere è l'unico vero atto di libertà che sia possibile
all'uomo.
L'individuo è un fenomeno, ma quando riconosce la volontà come cosa in sé, egli si sottrae
alla determinazione dei motivi che agiscono su di lui come fenomeno.
Nel misticismo ateo il cammino verso la salvezza ha come fine il nirvana buddhista, ovvero
all'esperienza del nulla: un nulla che è relativo al mondo, cioè una negazione del mondo
stesso. Se il mondo con tutte le sue illusioni, sofferenze e rumori è un nulla; il nirvana è un
tutto cioè un oceano di pace e uno spazio luminoso di serenità.

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