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Economia Aziendale

L’economia aziendale è la scienza* che studia le condizioni di esistenza e le manifestazioni di vita


delle aziende, ha meno di 100 anni e deriva dalla ragioneria, che ha più di 500 anni.

*la scienza è l’insieme di teoria e pratica collegate tra di loro. In particolare l’economia aziendale è
una scienza sociale perché studia l’uomo, mentre le scienze naturali o siche si esprimono
attraverso formule matematiche.

L’economia aziendale è una scienza che ha per oggetto l’Azienda e il cui scopo è quello di
indicare metodi e logiche che ci permettano di comprendere la complessità del sistema
aziendale e di enunciare delle leggi che consentano di amministrarla.

Il metodo (come si studia) dell’economia aziendale si divide in:

1. Sistema (concetto che deriva dalle scienze naturali): vuol dire insieme di almeno due persone
e de nisce l’azienda nel suo insieme, se si vuole studiare l’azienda bisogna osservarla
nell’ambiente in cui vive, nell’insieme con altre aziende ed altri fattori, non bisogna guardarla in
maniera isolata, perché nel sistema ci sono le condizioni di vita e di morte dell’azienda. Un
sistema può essere sia interno, che fa riferimento all’organizzazione interna dell’Azienda,
come si relazionano le persone tra di loro, le persone con i beni, ecc…; che esterno, l’azienda
è l’inserita in un sistema più grande, quello esterno, ossia tutto quello che c’è al di fuori
dell’azienda e che ne condiziona l’esistenza. Ciò che si trova fuori dall’azienda è molto grande
ed è dunque di cile da comprendere.

2. Razionalità limitata* / Probabilità: le aziende lavorano in termini di razionalità limitata e


probabilità (si hanno poche informazioni). Gli economisti aziendali non hanno leggi universali,
teoremi o formule, ma si utilizza una logica probabilistica (statistica), perché non si è in grado
di sapere con certezza cosa farà l’azienda, l’unico modo di affrontare questa situazione è
osservare la realtà e stimare una probabilità.

3. Equilibrio: ogni volta che l’azienda si relaziona ad un altro sistema, il suo ne è sempre quello
di ricercare l’equilibrio.

*Opposta alla teoria della razionalità assoluta, che si esprime mediante formule matematiche.

21/09/2020
L’economia è la scienza che va a studiare l’equilibrio tra bisogni e risorse. Il problema
economico nasce proprio quando non si riesce a mantenere questo equilibrio. Questa situazione
è de nita trade-o , ovvero la situazione che si viene a creare quando due fenomeni sono
inversamente proporzionali, ovvero la diminuzione di una quantità comporta l’aumento di un'altra
quantità o viceversa. Il trade-o avviene proprio perché i bisogni dell’essere umano aumentano
sempre e sono illimitati, mentre le risorse, i mezzi, sono scarsi e limitati.

L’azienda è il soggetto principale che cerca di risolvere il problema economico producendo e


distribuendo ricchezza.

La piramide dei bisogni di Moslow

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• Bisogni siologici (bisogni materiali): senza i quali non si può sopravvivere (respiro,
nutrimento, sesso, sonno…);

• Bisogni di sicurezza (bisogni materiali): devono garantire all'individuo protezione e tranquillità


(sicurezza di salute, di occupazione, di proprietà);

• Bisogni sociali (bisogni immateriali): sentirsi parte della comunità nel rapporto con le altre
persone (amicizia, amore, famiglia);

• Bisogni di stima (bisogni immateriali): sentirsi competente (essere rispettati, stimati)

• Bisogni di autorealizzazione: quando si ha soddisfatto tutti i gradini di questa scala.

L’attività economia

L’attività economica indica un processo attraverso il quale delle risorse, scarse per de nizione,
sono combinate per ottenere dei beni e dei servizi al ne di soddisfare dei particolari bisogni. Per
soddisfare i bisogni bisogna produrre ricchezza e le discipline che studiano la produzione ed il
consumo delle ricchezze sono:

• La matematica, la quale è fondamentale per misurare e quanti care la ricchezza;

• Il diritto, che serve per trovare delle regole per la produzione di ricchezza e stabilirne la
proprietà;

• l’economia, che ha il compito di creare qualcosa che non c’era prima.


L’economia si divide in tre macrobranche:

• Macroeconomia, che studia il sistema economico in generale (reddito, il consumo, il risparmio,


l’investimento…);

• Microeconomia, che studia l’unità economica e il comportamento dei singoli operatori


economici (il singolo consumatore, la singola azienda…);

• Economia aziendale, che studia l’azienda.


L’obiettivo principale dell’economista è quello di trovare “l’ottimo paretiano”, ovvero cercare di
trovare la migliore soluzione con il minimo sforzo. L’ottimo paretiano si ottiene combinando e
calcolando una serie di incognite/variabili, anche se non potrà mai essere raggiunto dall’Azienda
in generale, poiché sarà diverso per ogni singola azienda.

23/09/2020
De nizione dell’economia aziendale
Esistono varie de nizioni dell’economia aziendale:

• Secondo Zappa* è la scienza che studia le condizioni di esistenza e le manifestazioni di vita


delle aziende, ossia la scienza dell’amministrazione economica delle aziende. Zappa disse che
c’era bisogno di una nuova scienza che andasse ad integrare tre nuove prospettive: gestione
(funzioni aziendali), organizzazione (organizzazione dei compiti) e la rilevazione (ragioneria);

• Secondo Amaduzzi è la scienza che ricerca le leggi delle condizioni di equilibrio dell’azienda.
Una condizione di esistenza per l’azienda è l’equilibrio, infatti, solo le aziende che sono in
equilibrio riescono ad esistere, quelle non in grado prima o poi moriranno.

*Zappa: fondatore dell’economia aziendale (inizio secolo scorso, così come Amaduzzi)

Gli ambiti disciplinari dell’economia aziendale sono: sociale, giuridico, tecnico, economico e
aziendale.

L’economia aziendale studia:

• l’accadimento economico: è quel fenomeno che riguarda l’equilibrio tra bisogni e risorse.

• Il sistema;

• L’istituto: è un insieme di persone che hanno regole e comportamenti stabili e condivisi.


L’istituto ha tre elementi principali: persone, strumenti e ne. L’azienda è un istituto, perché ha
questi 3 elementi. Esistono quattro categorie di istituti:

1. Famiglia;

2. Impresa (l’impresa è diversa dall’azienda);

3. Istituti pubblici territoriali (comune, ASL, università);

4. Organizzazioni no pro t: ibrido tra impresa privata e istituto pubblico.

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In ognuna di queste categorie c’è una parte economica, ossia l’azienda, che cerca l’equilibrio tra
bisogni e risorse (a ronta quindi il problema economico). Quindi l’azienda è un sottoinsieme
dell’istituto.

25/09/2020 - 28/09/2020
De nizione dell’azienda
Esistono varie de nizione dell’azienda:

• Secondo Zappa l’azienda è un istituto economico destinato a perdurare nel tempo, ossia un
istituto in cui l’attività economica è prevalente (l’impresa).

• Secondo Carlo Masini l’azienda è l’ordine economico dell’istituto.

• Secondo Giannessi l’azienda è l’ordine sistematico di combinazione e di composizione:


- Ordine sistematico: come le cose sono ordinate tra loro in modo conforme a tutta l’azienda.

- Combinazione: l’azienda ha come obiettivo mettere insieme beni e persone, l’elemento


essenziale è adattare le competenze degli esseri umani agli strumenti che si possiede (ordine
materiale e facile da realizzare).

- Composizione: l’azienda ha successo quando gli interessi delle persone sono gli stessi
dell’azienda (comporre, mettere insieme gli interessi)(ordine immateriale e di cile da
realizzare).

La de nizione più utilizzata è quella di Gino Zappa, anche se negli anni questa visione, che era
incentrata solo sulle imprese, è scomparsa ed è stata sostituita da quella dell’aziendalista Carlo
Masini (allievo di Zappa), il quale si accorse che metà della ricchezza nazionale proveniva proprio
dagli istituti pubblici, dunque risultava riduttivo analizzare solo le imprese. Masini a ermò che
l’azienda non esiste, perché l’azienda è una prospettiva, è una lente d’ingrandimento che ci da la
possibilità di studiare un fenomeno.

Le caratteristiche dell’azienda:
• Coordinazione sistemica: L’azienda è composta da un insieme di elementi legati tra loro che
vanno a costituire un sistema. Per raggiungere l’equilibrio, l’azienda deve essere in grado di
coordinare tutti i sistemi in un’ottica unitaria, ogni sua azione non ha un impatto immediato, ma
bisogna osservarne la complessità, l’insieme. Nell’ottica sistemica il compito dell’azienda è
trasformare la crisi in opportunità.

• Autonomia: l’azienda deve essere in grado di prendere le decisioni liberamente, in autonomia.


La libertà è relativa, non assoluta, perché esistono sempre dei vincoli, dei limiti, perché l’azienda
non vive da sola, ma in un sistema dove ci sono altri soggetti. L’autonomia può essere divisa in:

- soggettiva: autonomia dell’azienda dai soggetti che la conducono (i proprietari, i


fondatori, i soci). La vita dell’azienda è autonoma dalla vita delle persone, perché l’azienda
è un istituto atto a perdurare nel tempo;

- oggettiva: l’autonomia è certi cata dai numeri del bilancio, da sola riesce a stare in
equilibrio, è indipendente sia dalle persone che dal denaro;

• Equilibrio economico (nel lungo periodo): consiste nella capacità costante dell’azienda di
coprire i costi con i ricavi, residuando un utile. L’equilibrio può essere nel breve periodo (3-5
anni) o nel lungo periodo (dopo i 5 anni);

• Durabilità: l’azienda nasce per durare (tra le aziende più longeve c'è la chiesa);

• Creazione di valore: l’azienda ha lo scopo di generale ricchezza, ossia qualcosa che non c’era
prima, ma solo con l’intervento dell’azienda si genera questo valore in più. L’azienda ha quindi
un ruolo propositivo e attivo, perché aggiunge valore.

Il più grande economista di tutti i tempi è John Maynard Keynes (1883-1946). 


30/09/2020

La classi cazione delle aziende 

In Italia le aziende sono circa 6 milioni (tra partita iva e imprese) e possiamo classi carle secondo:

• la destinazione dell’attività produttiva (è il più importante): chi è il soggetto bene ciario del
prodotto dell’azienda, grazie al quale riusciamo a individuare 3 classi d’aziende;

• il soggetto giuridico: il proprietario dell’azienda, grazie al quale riusciamo a individuare altre 3


classi d’aziende;

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• la destinazione del pro tto: chi si appropria degli utili generati dall’azienda, grazie al quale
riusciamo a classi care 2 classi d’aziende;

• la dimensione (il meno importante): la legge stabilisce i parametri per cui un’azienda può
essere de nita grande, media, piccola o micro (4 classi).

La Classi cazione secondo la destinazione dell’attività produttiva


Tutte le aziende mettono in atto processi di produzione, ma solo alcune di esse destinano i loro
prodotti/servizi per lo scambio con il mercato, e in base a come lo fanno, vengono classi cate in
Aziende di erogazione, Aziende di produzione e Aziende composte.

Esistono due parametri fondamentali attraverso cui poter distinguere le aziende di erogazione
da quelle di produzione:
1. Il mercato, ossia il luogo sico o virtuale in cui si incontrano domanda e o erta (le aziende
rappresentano l’o erta). Esistono tre tipologie di mercato sulla base della dimensione
dell’o erta:

• monopolio: c’è una sola azienda che o re e tanti consumatori che domandano, questi
clienti sono costretti a comprare da quella sola azienda, la quale è totalmente libera ( ssa il
prezzo come vuole). I monopoli in alcuni casi sono vietati per legge, infatti sono
pochissimi, quei pochi che ancora esistono sono pubblici, come lo Stato in Italia;

• oligopolio: ci sono poche aziende che o rono il loro prodotto a un gran numero di
consumatori. Nel lungo periodo i concorrenti tendono a colludere, ossia concordano lo
stesso prezzo, lo stesso prodotto, lo stesso servizio (perché la guerra non serve a
nessuno);

• concorrenza perfetta: ci sono tantissimi produttori dello stesso bene e tantissimi


consumatori;
2. Il prezzo, ossia la valorizzazione del prodotto sul mercato, è una quantità monetaria associata
al valore di un certo bene (il bene può essere: un prodotto se è tangibile, materiale; un servizio
se è intangibile, immateriale). Esistono due categorie di prezzi:

• Prezzo remuneratore: prezzo che remunera tutti i fattori produttivi necessari per la
produzione, ossia copre tutti i costi della produzione (proprio delle aziende di produzione).

• Prezzo tari a: prezzo che non copre il costo di produzione (proprio delle aziende di
erogazione).

Le Aziende di produzione sono quelle aziende che stanno in un mercato competitivo e o rono i
propri prodotti ad un prezzo remuneratore. Le Aziende di produzione destinano la propria
produzione di beni e servizi allo scambio con il mercato attraverso la ssazione di un prezzo. Si
ritiene che tali aziende soddis no “indirettamente” i bisogni umani attraverso il processo di
creazione della ricchezza.

Le Aziende di erogazione si occupano dei bisogni sociali (non si parla di clienti, ma di utenti),
operano in monopolio e non hanno un prezzo remuneratore ma una tari a. Tali aziende non
destinano la propria produzione al mercato, ma la erogano alla collettività. Si ritiene che tali
aziende soddis no “direttamente” i bisogni umani attraverso i processi di erogazione e consumo
della ricchezza.

Le Aziende composte sono aziende che sono contemporaneamente sia di produzione che di
erogazione, ossia Aziende nelle quali sono presenti sia processi di erogazione di ricchezza per il
soddisfacimento dei bisogni sociali, che processi di produzione di nuova ricchezza (Es. Trenitalia).

La classi cazione secondo il soggetto giuridico


Si parla di:

• Aziende pubbliche: se il soggetto giuridico è lo Stato;

• Aziende private: se il soggetto giuridico è un privato;

• Aziende miste: se è in parte pubblico e in parte privato (Es. Alitalia).

02/10/2020

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La classi cazione secondo la destinazione del pro tto

Il pro tto è la di erenza tra costi e ricavi. Possiamo classi care le aziende sulla base dei soggetti
che si appropriano di questi pro tti:

• Aziende for pro t: sono quelle aziende in cui il soggetto giuridico si appropria degli utili creati
dall’azienda, ossia vengono distribuiti i dividendi (quota degli utili) ai diversi soci;

• Aziende no pro t: sono quelle aziende in cui gli utili non sono destinati al soggetto giuridico,
cioè all’esterno, ma sono trattenuti all’interno e reinvestiti per il miglioramento ed il
potenziamento dell’attività dell’azienda. 


- Le Aziende di produzione sono prevalentemente private e for pro t.

- Le Aziende di erogazione sono prevalentemente pubbliche e sicuramente no pro t.

Impresa
Nella letteratura economico‐aziendale il concetto di impresa è riconducibile a due de nizioni:

• Le imprese sono tutte le aziende che sono di produzione, private e for pro t (l’impresa è un
sottoinsieme dell’azienda, che a sua volta è un sottoinsieme dell’Istituto).

• Le imprese sono tutte le aziende di produzione, sia quelle for pro t che quelle no pro t.

La classi cazione per dimensione

Un’azienda può essere: grande, media, piccola o micro. La dimensione di un’azienda dipende da
tre elementi:

1. Il numero dei dipendenti;

2. Il fatturato, ossia il totale delle vendite misurate in denaro;

3. Gli investimenti, quanto denaro è stato investito in azienda. 


Per la legge, per avere una certa classi cazione delle aziende/imprese bisogna rientrare in una di
queste categorie per almeno 2 di questi tre parametri per 2 anni consecutivi. Questa
classi cazione serve per le politiche macroeconomie e allo Stato per dare una misura appropriata
per quelle categorie d’azienda.

In Europa no al 2018 c’erano solo le piccole, medio e grandi imprese, ma siccome la dimensione
più piccola (quella dei 50 dipendenti) era la più di usa, non si riusciva a fare una di erenziazione
e cace, per questa ragione il legislatore ha pensato di creare altre 2 classi d’aziende. In ambito
europeo si è introdotto il concetto di microimpresa (con massimo 10 dipendenti). L’Italia ha
ragionato sul proprio tessuto economico e siccome 10 dipendenti erano troppi per la
microimpresa, li ha abbassati a 5 (in Italia il 95% delle aziende sono micro, mediamente il numero
di dipendenti è 2).

I gruppi aziendali
I gruppi aziendali nascono negli anni ’70 per una ragione fondamentale, ossia il fatto che il
contesto competitivo è ormai diventato molto più di cile e globale, le aziende non riescono più a
rispondere a questa condizione con dimensioni minime, per questo risulta necessario crescere dal
punto di vista dimensionale. I gruppi aziendali risultano quindi necessari per l’incremento della
produzione di beni e servizi, per favorire le aziende come sistemi aperti e per una serie di
favorevoli politiche aggregative.

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Le aggregazioni aziendali

Le aggregazioni aziendali sono de nite come l’insieme di aziende interconnesse da legami molto
labili oppure da vincoli tanto stringenti da poter considerare le diverse unità produttive come
un’azienda unitaria. Abbiamo tre modalità di aggregazione delle aziende:

• Aggregazioni basate su rapporti di tipo informale: si generano accordi informali tra aziende per
un obiettivo comune, creando un oligopolio, negato per legge perché creano tra di loro un
cartello, danneggiando il consumatore. L’antitrust tendono a limitare tutti gli accordi dannosi per
il consumatore;

• Aggregazioni basate su rapporti di tipo contrattuale: c’è un contratto che disciplina diritti e
doveri delle diverse aziende per ottenere un vantaggio durevole (consorzi, franchising, ecc…);

• Aggregazioni basate su rapporti di tipo patrimoniale (gruppi): almeno 2 o più aziende autonome
si scambiano le azioni. Questa è una forma di aggregazione molto costosa, duratura e stabile.
Le altre due forme trattano di investimenti più bassi, per cui si ha poco rischio e molta
essibilità.


De nizione di gruppo: si ha un gruppo aziendale quando due o più aziende distinte, totalmente
autonome dal punto di vista giuridico, hanno lo stesso soggetto economico (soggetto che si
occupa del governo delle aziende. Viene de nito capogruppo (holding)).

Il controllo del gruppo può essere:

• di diritto, se l’azienda possiede il 50% + 1 delle azioni dell’altra azienda (ossia la maggioranza
assoluta);

• di fatto, se l’aziende possiede la maggioranza relativa;


• contrattuale, viene stipulato un contratto in cui si decide chi ha il controllo del gruppo.


Un gruppo può formarsi anche per in uenza, ovvero un’azienda detiene un potere di esercizio.

Classi cazione dei gruppi:



I gruppi possono essere classi cati in base al:

• Grado di integrazione tra le diverse aziende (categoria più importante):

- gruppi orizzontali: sono gruppi che lavorano nello stesso settore o rendo prodotti diversi;

- gruppi verticali: sono gruppi che hanno una serie di attività per realizzare un unico
prodotto;

- conglomerati: sono una forma mista, gruppi che fanno tantissime cose diverse che non
c’entrano nulla l’una con l’altra (Exor (Agnelli): attività sportiva, automobilistica,
giornalistica, ecc...). Si fanno i conglomerati per la diversi cazione del rischio.;

• Dimensione: gruppi di piccole, medie e grandi dimensioni;

• Natura della capogruppo: gruppi pubblici e privati;

• Area geogra ca di operatività: gruppi locali, nazionali, internazionali, multinazionali e globali.

• Tipo di attività della capogruppo: gruppi con holding pura e con holding mista;

• Grado di complementarità tecnico-operativa tra le diverse aziende: gruppi nanziari, economici


(industriali) e misti.

05/10/2020

E cienza, E cacia ed Economicità 

L’economia aziendale è una scienza che propone leggi e modelli per amministrare in modo
economico le aziende, essa orienta le aziende per cercare di metterle sul sentiero dell’e cienza e
dell’e cacia. L’e cienza e l’e cacia sono sia un obiettivo, ma anche un parametro, un
indicatore, che può essere misurato come condizione di vita di un’azienda.

E cienza

L’azienda è e ciente quando utilizza in maniera economica le risorse a propria disposizione. I
giudizi di e cienza riguardano tutte le fasi del processo produttivo: acquisto, trasformazione e
vendita. L’e cienza è data dal rapporto tra output e input e fa riferimento alla fase di produzione
dell’azienda. L’obiettivo dell’azienda è minimizzare l’input e massimizzare l’output, ossia diminuire
i costi e aumentare i ricavi, per questo l’e cienza è anche detta legge del minimo mezzo e del

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massimo risultato (l’e cienza è un indicatore universale, può essere utilizzato per misurare
qualsiasi attività).

L’e cienza può essere classi cata in:

• E cienza tecnica o produttiva (osserva le quantità siche, che fanno riferimento alle
caratteristiche del bene (es. peso, funzioni, materiale)):

- Misura il modo in cui i fattori sono utilizzati nel processo produttivo;

- Indica la capacità dell’azienda di produrre più unità siche di output dato un certo
ammontare di input e una certa tecnologia o viceversa.;

• E cienza allocativa o gestionale (quella che ci interessa) (osserva le quantità monetarie,


ossia l’espressione del bene in denaro (quanto costa)):

- Misura la capacità di combinare input e output al minimo costo;

- Indica la capacità dell’azienda di ottenere più unità di output con la minore quantità di mezzi
monetari a disposizione, possibile attraverso i risparmi ottenuti sul mercato (sia nei processi
di acquisto di input che di vendita di output).


Esempio: La mamma che fa la pizza con 100 gr di mozzarella è più e ciente di quella che la fa
con 200 gr di mozzarella (non ci interessa quale sia la più buona). E cienza tecnica: quantità dei
fattori produttivi; e cienza allocativa: costo dei fattori produttivi.

E cacia
Un’azienda è e cace quando ha raggiunto con successo gli obiettivi pre ssati. I giudizi di
e cacia implicano una valutazione qualitativa successiva al raggiungimento degli obiettivi
pre ssati. Tali obiettivi possono essere: il grado di soddisfazione della clientela, i guadagni
conseguiti dall’azienda, ecc…

Oggi, soprattutto per la vendita, è più importante produrre in maniera e cace, ossia raggiungere i
propri obiettivi soddisfacendo i bisogni dei propri consumatori. L’azienda deve sforzarsi di
produrre prodotti di qualità (e cacia), perché oggi l’e cacia è molto più importante dell’e cienza.

L’e cacia, a sua volta, può essere classi cata in:

- E cacia interna o gestionale, che misura e indica la capacità di raggiungere determinati


obiettivi pre ssati;

- E cacia esterna o sociale, che misura e indica la capacità dell’azienda di soddisfare i bisogni
sociali (più importante e più di cile da raggiungere).

E cienza ed e cacia devono stare insieme, sono due condizioni, due prerequisiti necessari per
raggiungere l’equilibrio.

Economicità (termine che utilizziamo nel breve periodo)

Il concetto di economicità sintetizza la capacità dell’azienda di utilizzare in modo e ciente le


proprie risorse raggiungendo in modo e cace i propri obiettivi, è la sintesi perfetta tra e cienza
ed e cacia: minimizzare gli input e massimizzare gli output, raggiungere gli obiettivi pre ssati e
soddisfare i bisogni dei consumatori. L’economicità non si può misurare, rappresenta quindi una
tendenza, una linea guida.

• E cienza ed e cacia si trovano alla base del percorso per raggiungere l’equilibrio economico
(si possono quanti care, controllare e correggere);

• L’economicità è nel breve periodo, essa è la sintesi perfetta di e cienza ed e cacia,


minimizzare input e massimizzare output e soddisfare i bisogni sociali (L’azienda pubblica
soddisfa i bisogni pubblici, quindi tiene di più all’e cacia, mentre le imprese private sono più
attente all’e cienza e meno all’e cacia);

• L’equilibrio nanziario è l’equilibrio di cassa tra entrate e uscite, entrate uguali o maggiori delle
uscite;

• L’equilibrio reddituale è l’equilibrio tra costi e ricavi (derivano da entrate e uscite ma sono
diverse, costi e ricavi sono nel lungo periodo).

• L’equilibrio sociale è l’equilibrio sul piano immateriale, tra le persone nella società, non si
misura, è il più di cile ma il più importante da raggiungere.

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• L’equilibrio economico è l’insieme di tutti i fattori precedenti (è nel lungo periodo). 


Perché le aziende falliscono?

1. La causa principale è l’incapacità degli uomini che governano l’azienda (in Italia molte aziende
sono di proprietà di famiglia, il primo motivo per cui falliscono sono le liti familiari).

2. I costi sono maggiori dei ricavi.

3. Problema di liquidità, non si hanno i soldi per pagare le spese.

07/10/2020

Approccio sistematico e tratti costituitivi dell’azienda


Approccio sistematico vuol dire he abbiamo 4 scienze separate che studiano ciascuna un aspetto
dell’aziende e successivamente leggiamo insieme i risultati in modo tale da avere una visione
sistemica o globale dell’azienda.

Fin dal momento in cui nasce, l’azienda ha un proprio scopo, ossia quello di soddisfare i bisogni.
La scienza che studia lo scopo è la strategia, che individua gli obiettivi dell’azienda e studia i
metodi per soddisfarli (ogni azienda ha la propria strategia). Dallo scopo derivano gli altri tratti
costitutivi dell’azienda:

- Struttura: è l’organizzazione dell’azienda ed è necessaria per mettere in atto l’idea


dell’azienda stessa. Gli elementi di base della struttura sono gli uomini e i mezzi. La disciplina
che studia la relazione tra uomini e macchine è la combinazione;

- Operazioni: le tre operazioni che avviano e ettivamente l’attività sono: acquisto,


trasformazione e vendita. La disciplina che studia il modo in cui si gestiscono le operazioni è
la gestione aziendale.

- Risultati: sono le conseguenze dell’attività dell’azienda. Ogni operazione ha un impatto


economico che noi misuriamo in termini di costi, entrate ed uscite. La disciplina che studia i
costi dal punto di vista monetario è la contabilità (l’azienda deve e ettuare una volta l’anno
la contabilità).

Se l’attività aziendale ha delle di coltà, per capirne il motivo bisogna osservare per prima cosa i
risultati (facendo i conti si individuano le perdite). Una volta capito perché le cose vanno male si
procede a migliorare le operazioni (possibile causa delle perdite), se il problema non riguarda le
operazioni, allora, potrebbe esserci un problema di organizzazione (a sbagliare sono gli uomini).
L’azienda può sbagliare anche lo scopo (l’idea dell’azienda è antiquata). Il compito dell’economia
aziendale è quello di studiare questi quattro elementi insieme.

L’economia aziendale è la scienza dell’andamento e del comportamento di un’azienda:

• Scienza dell’andamento: studia come si muovono le aziende (il primo elemento


dell’andamento è il bilancio).

• Scienza del comportamento: studia il comportamento dell’uomo all’interno dell’azienda.

Le tre prospettive dell’economia aziendale:

• Rilevazione: si occupa di raccogliere i dati e trasformarli in informazioni che consentono di


interpretare i valori per guidare le dinamiche aziendali;

• Gestione: si occupa di de nire l’insieme coordinato di operazioni dell’azienda (si osservano gli
acquisti e le vendite);

• Organizzazione: studia il coordinamento e la dimensione del lavoro in azienda. Ogni azienda


organizza la propria struttura in base ai suoi scopi.


09/10/2020
L’azienda come sistema aperto
L’azienda è un sistema aperto perché è parte di un macrosistema, ossia l'ambiente esterno con il
quale interagisce e dal quale riceve continuamente stimoli. Proprio perché l’azienda interagisce
con l’ambiente esterno, non ha più solo una responsabilità economia (ossia la responsabilità di
creare ricchezza e valore), ma ha anche una responsabilità sociale, etica, culturale, ecologica.

Il sistema aperto dell’azienda è:

• Dinamico: è in continua evoluzione, non si può raggiungere mai un equilibrio statico;

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• Finalizzato: ha un ne, un obiettivo, ossia la sopravvivenza;

• Probabilistico: nell’analisi di un’azienda si può utilizzare solo un calcolo probabilistico, non si è


mai certi di nulla;

• Complesso: tutte queste caratteristiche rendono il sistema aziendale complesso.

L’ambiente che circonda l’azienda


L’azienda in quanto sistema aperto vive un costante rapporto di scambio con l’ambiente esterno
dal quale riceve degli input (fattori produttivi, vincoli legislativi, opportunità) e nel quale colloca i
suoi output (prodotti/servizi, altri fattori). Fuori dall’azienda c’è un ambiente naturale e uno
economico:

• Ambiente sico naturale (generale): l’ambiente sico naturale vede l’azienda come un essere
vivente che si va confrontare con la natura (materie prime) e che deve essere attenta a
preservare l’ambiente che la circonda. Inoltre, l’azienda ha come scopo quello di creare valore,
per questo possiamo dire che l’azienda ha una responsabilità sociale nei confronti
dell’ambiente.

• Ambiente economico (è un sottoinsieme, speci co): fa riferimento alle relazioni di scambio


attivate dall’azienda e coincide con i mercati di approvvigionamento dei fattori produttivi o di
sbocco dei prodotti.


Nell’ambiente economico esistono diversi tipi di mercato (il punto d’equilibrio del mercato è il
prezzo):

• Mercato nanziario: è il luogo nel quale vengono scambiati strumenti nanziari (azioni, capitali,
soldi, denaro…) da un fornitore al cliente, che nel nostro caso è l’azienda. Il prezzo d’equilibrio
nel mercato nanziario è il tasso d’interesse (in questo mercato i nanziatori sono più forti
dell’azienda);

• Mercato del lavoro: è il luogo d’incontro tra i posti di lavoro vacanti e le persone in cerca di
occupazione (in questo mercato l’azienda è più forte dei lavoratori);

• Mercato delle materie prime: è un mercato che commercia nel settore economico primario
piuttosto che nei prodotti manifatturieri;

• Mercato delle vendite: luogo in cui si cercano e si selezionano i clienti, il punto d’equilibrio è il
prezzo di vendita (in questo mercato i clienti sono più forti dell’azienda). 


La dinamica del mercato prevede lo scambio, il quale può essere uno scambio materiale (scambio
di denaro) o immateriale (valori, sentimenti, emozioni).


12/10/2020
Stakeholder

Gli stakeholder sono tutti quei soggetti che hanno un interesse nei confronti dell’azienda. Esistono
in nite categorie di stakeholder perché in qualche modo tutti vogliamo qualcosa dall’azienda, in
particolare gli stakeholder possono essere divisi in:

• Stakeholder esterni:
- Istituzioni pubbliche e private;

- Fornitori di beni e servizi;

- Clienti.

• Stakeholder interni:
- Proprietari;

- Management;

- Dipendenti.

Governo dell’azienda 

Nell’azienda possiamo individuare due gure chiave:

1. Il soggetto giuridico (forma): colui o coloro che rispondono ai diritti e ai doveri dell’azienda,
è sempre certo e si può sempre individuare. Il soggetto giuridico fa riferimento a quelle gure
che investono il capitale di rischio nell’azienda, spesso è il proprietario dell’azienda, molte
volte il fondatore;

2. Il soggetto economico (sostanza, gura più importante): chi e ettivamente muove gli
interessi dell’azienda, colui che gestisce l’azienda, che prende le decisioni (può coincidere con
il soggetto giuridico). Per individuarlo bisogna capire quell’azienda prevalentemente di chi fa
gli interessi, la parola chiave è “prevalente”, perché l’azienda fa gli interessi di diversi soggetti,
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ma solo uno è prevalente (questa è la de nizione di soggetto economico di Gino Zappa). 


Tuttavia, siccome Zappa osservava l’impresa di 100 anni fa, il concetto di soggetto economico si
è evoluto, le aziende sono diventate sempre più complesse, grandi, hanno introdotto nuove gure,
dunque c’è bisogno di una nuova de nizione:

• De nizione moderna: I soggetti a cui corrispondo gli indirizzi di governo, ovvero i


rappresentanti dei massimi organi di governo dell’azienda in cui si accentra il potere volitivo.

Esistono varie teorie del soggetto economico:

• Istituzionale: soci e dipendenti;

• Giuridico-formale: maggioranza dei soci;

• Sostanziale: chi di fatto esercita la funzione di governo, chi e ettivamente prende le decisioni;

• Tecnico: chi di fatto ha le competenze per esercitare la funzione di governo. Per poter
comandare, decidere, fare strategia, c’è bisogno di qualcuno esperto che abbia competenza,
capacità ed esperienza per esercitare il governo. Oggi l’azienda è molto complessa quindi ci
vogliono competenze sempre più speci che, non è possibile che tutte le competenze siano in
un’unica gura, ma il potere si va ad allargare sulla base delle competenze.

Tipologie di aziende
La forma più semplice che un’azienda può assumere è la ditta individuale (in questo caso il
soggetto giuridico coincide con il soggetto economico), quando invece ci sono più persone,
parliamo di società, che si possono dividere in:

• società di persone: la responsabilità è illimitata, se l’azienda fallisce il socio può perdere tutto il
suo patrimonio (SNC);

• società di capitali: la responsabilità è limitata, il soggetto giuridico sono tutti i soci, mentre il
soggetto economico è di cile da individuare (SRL, SPA).

Corporate Governance

La tematica di governo assume la veste di Corporate Governance (governo dell’impresa), di cui


esistono due modelli:

1. Modello renano (deriva dal ume reno (centro Europa)): modello europeo che si è
sviluppato in paesi come Italia, Germania, Francia, Spagna, e con l’eccezione del
Giappone. Il massimo esponente di questo modello è Freeman, che realizzò la
“Stakeholder theory”, secondo cui l’azienda deve fare gli interessi dei suoi stakeholder, i
quali sono parimenti importanti per l’azienda. In questo modello i paesi sono banco-centrici
(in Italia il 75% del capitale delle aziende è in mano delle banche), il potere e i capitali sono
in mano alle banche che sono un soggetto principale dell’economia e che non possono
fallire perché detengono il risparmio collettivo (in Italia le aziende quotate in borsa sono 200
su 6 milioni, di cui solo 2 del Sud). Le famiglie investono nel mattone (case) oppure
risparmiano i soldi in banca;

2. Modello anglosassone: modello americano e inglese. Il massimo esponente è Friedman, il


quale realizzò la “Shareholder theory”, secondo cui l’azienda deve fare gli interessi degli
azionisti e quindi creare pro tto per quest’ultimi (gli azionisti sono i soci che mettono il
capitale di rischio). In questo modello le aziende trovano i soldi in borsa, questo perché le
aziende vengono nanziate proprio dai risparmi delle famiglie che investono in borsa.


14/10/2020
La strategia 

La strategia è la scienza che studia lo scopo dell’azienda. Il punto di partenza dell’azienda è
proprio la strategia, ogni azienda ha una strategia dal momento in cui nasce. Gli elementi comuni
della strategia sono:

• De nizione di obiettivi a lungo termine: la strategia è qualcosa che guarda al futuro, alla
durabilità dell’azienda, quindi bisogna de nire obiettivi che siano nel lungo periodo;

• Condivisione e pervasività (capacità di di ondersi): la strategia deve essere condivisa in tutta


l’azienda, per questo è necessario che tutti la conoscano;

• De nizione di un’organizzazione: per poterla applicare bisogna piani care e sviluppare azioni
che mirino al raggiungimento degli obiettivi pre ssati.

• Acquisizione e allocazione delle risorse necessarie.


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Il sistema delle decisioni aziendali:

- Al vertice delle decisioni aziendali abbiamo le decisioni strategiche, ossia un insieme di idee
molto ampie, generali e complesse che guardano l’azienda nel lungo periodo e che in genere
riguardano gli investimenti (Es: in quali mercati e settori operare);

- Queste decisioni strategiche tuttavia devono essere tradotte, sempli cate e misurate nella
pratica, in modo tale da diventare decisioni tattiche, ossia politiche aziendali che riguardano
l’organizzazione dell’azienda (la strategia è unica, le politiche sono tante) (Es. le modalità di
utilizzo dei fattori produttivi);

- A loro volta le decisioni tattiche devono tradursi a un livello più basilare, in decisioni operative,
ossia scelte necessarie per procedere alla concretizzazione della strategia aziendale (Es. come
dare attuazione alle diverse funzioni che compongono il circuito degli investimenti
(approvvigionamento, produzione e vendita)).

Orientamento strategico di fondo


L’orientamento strategico di fondo è la parte celata e invisibile del disegno strategico ed è
composto da linee guida caratterizzate da tre domande:

• Cosa si vuole fare (in che campo di attività l’impresa vuole operare);

• Come lo si vuole fare;

• Perché lo si vuole fare.

La strategia è la selezione di una serie di idee. Noi siamo in grado di vedere solo quella che viene
de nita strategia realizzata, ma prima di diventare tale, c’è tutta una serie di idee che vengono
scartate, eliminate. Si parte da un livello massimo di intenzione strategica, poi si iniziano a
scartare delle idee nché non si arriva a un’idea realizzabile, si parla quindi di strategia decisa.
In ne si riescono a concretizzare solo quelle veramente realizzabili, arrivando quindi alla strategia
realizzata.

Livelli di strategia
Le strategie si possono distinguere in:

• Strategie corporate: sono quelle strategie a livello aziendale che riguardano l’azienda nel suo
complesso, come le strategie economico- nanziarie (obiettivi di bilancio, di vendita, ecc…),
sociali (come l’azienda si rapporta con l’ambiente naturale ed economico circostante),
organizzative e di portafoglio;

• Strategie ASA (Area strategica a ari): l’insieme delle strategie di portafoglio costituiscono le
strategie a livello ASA. L’ASA è la combinazione di prodotto, mercato e tecnologie, e siccome
l’azienda ha più prodotti, più mercati e più tecnologie, ci sono più ASA, per ognuna delle quali
c’è una strategia. Ogni ASA ha una propria strategia, che viene de nita strategia competitiva,
come le strategie di produzione, di R&S e di marketing.

Formula imprenditoriale

La formula imprenditoriale è un modello di interazione con l’ambiente attraverso il quale l’impresa


segue una certa idea di successo imprenditoriale. Al centro della formula imprenditoriale c’è la
struttura, ossia l’organizzazione di un’azienda. Ci sono due livelli strategici: strategia competitiva e
strategia sociale. La strategia competitiva è de nita da come il sistema del prodotto incontra i
clienti e i concorrenti, anche se deve essere coerente con una strategia sociale, che invece è
de nita da un sistema di interlocutori più ampio dove vi sono valori immateriali.

Come si valuta una strategia sia a livello ASA che a livello corporate?
Esistono una serie di strumenti che servono a valutare la strategia, tra cui:

• l’analisi SWOT (modello americano): è una matrice con 4 quadranti, ognuno dei quali possiede
una serie di domande che servono a capire come si posiziona l’azienda rispetto al mercato e ai
concorrenti. L’analisi SWOT è molto utilizzata perché ha un grande punto di forza, cioè non
pensa soltanto all’azienda nel presente, ma anche al futuro (questo è possibile introducendo
una variabile temporale). SWOT è un acronimo che sta a rappresentare i 4 quadranti (strengths,
weaknesses, opportunities, threats);

• Modello delle cinque forze competitive di Porter: l’azienda nel confrontarsi in un mercato,
con un prodotto, con un cliente, deve fare i conti con almeno 5 forze. Per prima cosa l’azienda

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deve conoscere il nemico, che può essere occasione di minaccia e di crisi. La cosa importante
è analizzare queste 5 forze e cercare di pensare per ognuna una strategia di competizione
vincente (un vantaggio competitivo durevole nel tempo). Quando l’azienda decide di entrare in
un settore si pone il problema dei:

- Concorrenti (è quello più importante): soggetti che o rono la stessa tipologia di prodotto sul
mercato. L’azienda deve cercare di individuare tutti i concorrenti per capire come lavorano
per poterli superare e surclassare;

- Fornitori: coloro dai quali l'azienda acquista materie necessarie per svolgere il processo
produttivo. Proprio per la loro necessità sono loro a porre le condizioni (decidono i tempi, la
quantità e i prezzi), per cui l’azienda è debole. Inoltre il fornitore è importante perché
determina la qualità del prodotto;

- Clienti: i destinatari dell'output prodotto dall’impresa. È il cliente che decide il prezzo e la


qualità del prodotto o del servizio secondo i propri gusti;

- Potenziali entranti: soggetti che potrebbero entrare nel mercato in cui opera l’azienda;

- Produttori di beni sostitutivi: soggetti che immettono sul mercato dei prodotti diversi da
quelli dell'impresa di riferimento, ma che soddisfano, in modo diverso, lo stesso bisogno del
cliente.

Un’azienda che vuole competere in un nuovo settore, con un nuovo prodotto ed entrare quindi in
contatto con nuovi clienti, può scegliere tra due strategie competitive:

• leadership di costo: o re il prodotto (o il servizio) al costo più basso, quindi al prezzo minore;

• di erenziazione: o re il suo prodotto (o il servizio) a una qualità superiore rispetto alla


concorrenza, per cui i clienti sono disposti ad acquistarli anche ad un prezzo più alto.

La matrice Boston Consulting Group (BCG)


La matrice BCG è una matrice di consulenza che ci fa capire la situazione dell’azienda, ha 4
quadranti e diverse variabili: sull’asse delle x si trova la quota di mercato (è il fatturato
dell’azienda rispetto al fatturato del settore), cioè si cerca di capire se l’azienda ha una quota di
mercato alta o bassa (in che percentuale si hanno le vendite); sull’asse delle y vi è invece il tasso
di crescita del mercato. I mercati hanno un ciclo di vita, c’è una fase di crescita, una di maturità
e una di declino.

16/10/2020
La gestione aziendale è composta da:
• Operazioni: tutta l’attività dell’azienda si svolge attraverso delle operazioni, ma che sono
talmente varie e diverse tra loro che non è possibile analizzarle tutte;

• Processi: i processi sono insiemi di operazioni omogenee tra di loro (abbiamo 12 processi);

• Circuiti: l’insieme di più processi omogenei si de niscono circuiti. Il circuito è un qualcosa che
si ripete all’in nito (abbiamo 4 circuiti);

• Sistema: è il livello più alto ed è unico.

Circuito della produzione


Il circuito della produzione delle imprese è il complesso di azioni che consentono la
trasformazione di fattori produttivi in prodotti. Esso si compone di tre processi:

• acquisizione o approvvigionamento dei fattori produttivi: i fattori produttivi sono gli input,
ossia i fattori in ingresso dell’azienda, che quest’ultima acquista per la produzione di un bene o
per l’erogazione di un servizio. I fattori produttivi si comprano nel mercato dei fornitori e in
genere sono lavoro (es. risorse umane e dipendenti) e capitale (può essere inteso come denaro
o come macchinari, impianti o materie prime che servono all’attività dell’azienda);
• trasformazione degli stessi (combinazione produttiva): nella combinazione produttiva
l’azienda ha già acquistato dei fattori produttivi che deve trasformare a nché diano qualcosa di
nuovo, che non c’era prima. A di erenza del primo e del terzo processo, la combinazione
produttiva è un processo interno, cioè l’azienda non ha a che fare con nessun interlocutore
esterno, e in particolare non c’è alcun scambio nei mercati;
• vendita dei prodotti niti (collocamento dell’output): una volta che il prodotto è nito,
bisogna venderlo ai clienti per ottenere la remunerazione delle risorse monetarie investite. È la
fase più delicata dove le aziende hanno maggiore di coltà e per cui devono far uso della
pubblicità e del marketing.

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Il circuito della produzione non può essere il primo circuito perché il circuito che parte con
l’acquisto presuppone che a monte si devono già avere delle risorse monetarie. Quindi la prima
attività dell’azienda è l'acquisizione del capitale.


La contabilità ha una sola regola, cioè la partita doppia. Ogni operazione ha due conseguenze:
una variazione economica e una variazione nanziaria/monetaria. In questo caso,
un’acquisizione di fattori produttivi genera un costo*, ossia una variazione economica negativa, e
in parallelo si svolge anche una variazione nanziaria negativa, cioè al costo corrisponde
un’uscita, che rappresenta il usso di denaro che va dall’azienda al fornitore. Analogamente un
collocamento degli output genera un ricavo*, ossia una variazione economica positiva, e in
parallelo si svolge una variazione nanziaria positiva, ossia un’entrata.


*Il costo è il sacri cio di risorse monetarie per l’acquisizione di beni, esso corrisponde alla
quantità di denaro ceduta per acquisire una certa quantità di fattori produttivi. Esso è uguale alla
moltiplicazione tra il prezzo e la quantità dei fattori produttivi. I costi ssi non dipendono dalla
quantit della produzione, mentre quelli variabili sì.

*Il ricavo è la quantità di denaro ottenuta vendendo una determinata quantità del prodotto
generato dalla combinazione produttiva, la cui formula è uguale alla moltiplicazione tra il prezzo e
la quantità.

Classi cazione dei fattori produttivi

Il fattore produttivo è ciascun elemento necessario alla produzione di un bene o all'erogazione di
un servizio. Per gli aziendalisti è una risorsa scarsa a cui posso assegnare un prezzo, quindi è
solo ciò che si può rappresentare nella dimensione economico- nanziaria, che si può misurare;
per gli economisti, invece, i fattori produttivi sono tutti quei fattori che si possono utilizzare per la
produzione (anche l’aria, il sole e l’acqua, che invece non sono considerati fattori produttivi per gli
aziendalisti, perché non si possono comprare). Vi sono diversi criteri di classi cazione:

1. fattori produttivi generici e speci ci (dipende dalla partecipazione al processo produttivo): il


fattore produttivo generico è un fattore produttivo utile in tutti i casi, per tutte le aziende (es.
lavoro e capitale); mentre il fattore produttivo speci co è un fattore che posso utilizzare solo in
determinate tipologie di aziende. Il denaro è sempre un fattore produttivo generico? No,
perché per le banche è un fattore produttivo speci co perché è l’unico fattore che utilizzano;

2. fattori produttivi interni ed esterni (dipende dalla provenienza): i fattori produttivi esterni
sono quelli acquistati sul mercato e sono la maggioranza dei fattori produttivi; i fattori
produttivi interni invece sono quelli che l’azienda autoproduce (ad esempio perché non si
trovano sul mercato);

3. fattori produttivi materiali e immateriali (dipende dalla tangibilità): i fattori produttivi materiali
sono quelli che si possono toccare, che sono tangibili (materie prime, impianti); mentre quelli
immateriali sono quelli che non vedo e che non posso toccare (marchio/brand). Oggi i fattori
produttivi immateriali sono molto più importanti rispetto a quelli materiali, perché avere un
brand conosciuto è sicuramente il fattore produttivo principale, è questo il motivo per cui le
aziende hanno successo;

4. fattori produttivi a fecondità semplice (correnti) e a fecondità ripetuta (pluriennali)


(dipende dal fattore temporale): il criterio più importante di classi cazione dei fattori produttivi
è il tempo, la durata:

• I fattori a fecondità semplice sono fattori che si utilizzano una sola volta e che cedono
totalmente la propria utilità economica in un solo circuito della produzione. Quando alla
ne del circuito si ottiene il ricavo, che deriva dal prezzo remuneratore*, si riesce a
recuperare immediatamente tutta la ricchezza investita nei fattori correnti;

• I fattori a fecondità ripetuta sono fattori produttivi che posso riutilizzare per più cicli
produttivi, è un fattore produttivo che non deperisce, che conserva la sua utilità e che al
massimo la modi ca. C’è una legge di proporzionalità diretta tra investimento e recupero
dell’investimento sulla base del tempo: se l’investimento è di un fattore pluriennale, il suo
recupero sarà lento, graduale, e sarà esattamente proporzionale alla durata
dell’investimento (es. macchinario, impianto, ecc…).

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*Il prezzo remuneratore deve coprire tutti i costi correnti, più una quota parte dei costi pluriennali
(ammortamento). Questa quota parte si ottiene dividendo il costo del fattore produttivo
pluriennale per gli anni in cui si spera di utilizzarlo. Il prezzo remuneratore è necessario perché
solo con quest’ultimo si ottiene il ricavo e si chiude il circuito della produzione. I ricavi serviranno
per fare altri investimenti e riprendere con il ciclo della produzione.


19/10/2020
Obsolescenza

Nel caso dei fattori produttivi a fecondità ripetuta, il recupero dell’investimento è graduale, nella
maggior parte dei casi dura anni e non si ha la certezza di riuscire a completarlo, dunque c’è il
rischio di mancata remunerazione, che può essere causata da vari fattori, tra cui: l’entrata in
commercio di un’innovazione tecnologica, dalla variazione della domanda, da una rottura
prematura del fattore produttivo, dall’obsolescenza del fattore.

L’obsolescenza si ha quando la vita economica di un fattore è nita. Essa è data dalla di erenza
tra vita sica e vita economicamente utile (la vita economica è quel periodo in cui il fattore
produttivo è economicamente valido sul mercato). L’obsolescenza è un tema relativo, all’interno
dell’azienda tutto può diventare obsoleto, quindi stabilire quando un bene è obsoleto o meno è
molto complesso. Per capirlo, bisogna guardare il mercato, studiare la concorrenza, i loro prodotti
e le esigenze dei clienti. L’obsolescenza può essere programmata, cioè il produttore può
programmare quando rendere un prodotto obsoleto.


Per rispondere al problema dell’obsolescenza si utilizzano fattori produttivi dotati di essibilità di
utilizzo, in grado di essere impiegati anche in un diverso processo o attività e quindi capaci di
adattarsi alla dinamica del mercato.

21/10/2020
Le fonti di nanziamento dell’azienda
Siccome il circuito della produzione inizia con un’uscita, è necessario che già prima di
quest’ultimo all’interno dell’azienda ci sia del denaro. Il modo con cui viene acquisito il denaro da
un’azienda riguarda le fonti di nanziamento, quindi per fonti di nanziamento si intendono i
soggetti che nanziano l’azienda, cioè che apportano le risorse monetarie o nanziarie necessarie
per avviare il circuito della produzione.


Le fonti di nanziamento sono principalmente due, alle quali aggiungiamo una terza:

• le fonti interne (auto nanziamento): il denaro arriva direttamente dall’azienda stessa, l’azienda
lo autoproduce, si auto nanzia. Questa forma di auto nanziamento è molto importante perché
garantisce l’autonomia dell’azienda. L’auto nanziamento deriva dai ricavi e quindi dalla vendita,
cioè dagli utili che l’azienda ha generato e che saranno reinvestiti in un altro circuito della
produzione. Se l’auto nanziamento si ottiene nella terza parte del circuito della produzione vuol
dire che non è una fonte primaria, ma derivata, quindi l’azienda non può nascere con
l’auto nanziamento, quindi ogni azienda dovrà cercare necessariamente una fonte esterna per
avviare il circuito della produzione. Abbiamo due categorie di auto nanziamento:

- in senso stretto, che deriva dall’utile di esercizio. Esso può essere:

• permanente - durevole: se gli utili ottenuti vengono reinvestiti in azienda e non


vengono prelevati dai soci, quindi permangono in azienda;

• temporaneo: si ha l’auto nanziamento no al momento in cui gli utili non si


trasformano in dividendi e vengono distribuiti ai soci.

Inoltre l’auto nanziamento in senso stretto si può dividere in:

• Statico: rappresenta il momento in cui calcolo l’auto nanziamento (al 31/12, come se
fosse la fotogra a dell’auto nanziamento);

• Dinamico: è il usso degli utili derivante dai ricavi e si sviluppa con la gestione
dell’azienda.

- in senso lato, che deriva dal reintegro degli investimenti e dai ratei e risconti in senso lato.

L’auto nanziamento in senso ampio fa riferimento al bene cio complessivo dell’azienda


considerando tutti gli elementi che generano risparmio. Esso è composto:

- dall’auto nanziamento in senso stretto;

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- dal capitale autogenerato: nuova ricchezza generata dalla gestione dell’azienda, composto
dagli utili e dai costi futuri presunti (auto nanziamento temporaneo) (perché le risorse
nanziarie che coprono tali costi restano a disposizione dell’impresa no al momento in cui
eventualmente si veri cano tali eventi) (le riserve di utili: auto nanziamento permanente;
dividendi: auto nanziamento temporaneo);

- dal capitale rigenerato: rappresenta la rigenerazione del capitale precedentemente investito


in fattori a fecondità ripetuta no al momento del rinnovo di tali fattori a fecondità ripetuta. È
uguale allora ai mezzi monetari investiti in fattori a fecondità ripetuta e recuperati attraverso i
ricavi, ammortamento e perdite future presunti.

• le fonti esterne: il denaro arriva per vie esterne. Tutte le aziende nascono con fonti esterne, che
possono essere due: le fonti attinte a titolo di capitale di rischio/proprio* e le fonti attinte a titolo
di credito (attinte vuol dire prese, acquisite);
• possibili mix, una parte del denaro arriva dall’esterno e una dall’interno.

*Capitale di rischio/proprio: ogni attività economica ha un rischio, il rischio è la mancata


remunerazione. Nelle società di capitali il rischio massimo coincide con il capitale dell’azienda.
Nelle società di persone oltre al capitale dell’azienda, si rischia anche il patrimonio personale dei
singoli soci. Il capitale di rischio lo presta il proprietario dell’azienda, perciò si chiama anche
capitale proprio. Il capitale proprio è una fonte esterna all’azienda, perché bisogna distinguere
l’azienda nella sua essenza dai soggetti che la governano o che ne sono i proprietari.


Di erenza tra capitale di rischio e capitale di credito

Le di erenze tra capitale di rischio e capitale di credito si possono osservare in 4 variabili:

• vincolo di restituzione: nel caso del capitale di credito il denaro deve essere sempre restituito;
mentre nel caso del capitale di rischio la restituzione non è obbligatoria, ma eventuale (si può
fare una restituzione periodica che prende il nome di dividendo);

• scadenza: se c’è un vincolo di restituzione ci sarà anche una data di restituzione. Si rma un
contratto di nanziamento con cui l’azienda si impegna a restituire, ad una certa data, i soldi
con un certo tasso di interesse. La scadenza è presente nel capitale di credito e manca in quello
di rischio;

• i soggetti: in Italia il capitale proprio proviene dalle famiglie e il capitale di credito dalle banche;

• rischio/remunerazione: il nanziamento bancario prevede una remunerazione obbligatoria (gli


interessi), che non è prevista per il capitale di rischio. L’interesse è il prezzo remuneratore della
banca e dipende dal rischio che la banca sostiene nel nanziamento. 


2º circuito (in ordine temporale il primo): Circuito dei nanziamenti attinti a capitale proprio

Il circuito dei nanziamenti inizia nel mercato dei capitali, in cui ci sono famiglie, azionisti e
imprenditori. La prima fase è l’entrata di denaro, dopo c’è la raccolta del capitale proprio, ci può
essere la restituzione e il circuito si chiude con l’uscita di denaro (per l’acquisizione dei fattori
produttivi e per dare quindi vita ad un circuito della produzione).


3º circuito: Circuito dei nanziamenti attinti a capitale di credito

Questo circuito è uguale a quello di prima, cambia solo l’oggetto, che in questo caso è il capitale
di credito. L’andamento è lo stesso: prima c’è l’entrata di denaro, il che vuol dire che la banca
concede il prestito, quindi l’azienda contrae un debito con un interesse (onere, ossia debito di
nanziamento) che dovrà essere estinto e in ne questo circuito si chiuderà con l’uscita di denaro.


4º circuito: Circuito dei nanziamenti concessi come prestito a terzi

In questo caso è l’azienda che concede denaro a terzi. La prima fase è l’uscita di denaro, per cui
si ottiene un credito di nanziamento; la seconda fase è il rientro maggiorato del nanziamento
e ettuato grazie a interessi attivi (proventi del nanziamento) (l’azienda che concede il denaro è la
banca). Anche nei gruppi aziendali normalmente avviene che le aziende si prestano denaro a
vicenda.

Distinzione tra crediti e debiti di funzionamento e crediti e debiti di nanziamento



I crediti e i debiti di funzionamento sono crediti o debiti in cui l’oggetto della transazione è un
bene, un prodotto. Quando, invece, l’oggetto della transazione è il denaro siamo di fronte a crediti
e debiti di nanziamento (banche).

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Credito (+): diritto a riscuotere dei soldi

Debito (-): è l’obbligo a pagare dei soldi

23/10/2020
I due macro-circuiti
In base all’andamento nanziario possono essere rappresentati due macro-circuiti: circuito degli
investimenti (dalle uscite alle entrate, come il circuito della produzione e il circuito dei
nanziamenti concessi a terzi) e circuito dei nanziamenti (dalle entrate alle uscite, come il
circuito dei nanziamenti a capitale proprio e capitale di credito). Il punto d’equilibrio all’interno
dei circuiti può essere ricavato da un’equazione, ossia investimenti = nanziamenti. Una
condizione necessaria per il punto di equilibrio di questa equazione è il prezzo remuneratore, il
quale deve essere sempre maggiore-uguale rispetto ai costi:

• Nel circuito dei nanziamenti attinti a titolo di credito e nel circuito della produzione il prezzo
remuneratore deve coprire tutti i costi dei fattori a fecondità semplice e una quota parte dei
fattori a fecondità ripetuta (ammortamento);

• Nel circuito dei nanziamenti concessi a terzi il prezzo remuneratore copre il tasso d’interesse (il
costo del denaro) e gli oneri nanziari (interesse passivo);

• Nel circuito di nanziamento a capitale di rischio il prezzo remuneratore è il dividendo ed è la


parte di utile che viene restituita agli azionisti.

Se c’è un disequilibrio, cioè il prezzo remuneratore non riesce a remunerare, allora l’equazione
non è soddisfatta in una delle due parti. Per ristabilire l’equilibrio basta agire o sull’uno o sull’altro,
per cui o aumento i nanziamenti se gli investimenti sono più alti e viceversa, o diminuisco gli
investimenti se i nanziamenti sono più bassi e viceversa. Il paradosso di questa situazione è che
per ripagare i debiti spesso le aziende ne accumulano altri, per cui questa situazione culminerà
con una morte quasi certa dell’azienda.

Fabbisogno nanziario complessivo e residuale


Il fabbisogno nanziario è il totale delle risorse monetarie necessarie per alimentare gli
investimenti (i nanziamenti devono sempre precedere gli investimenti). Esso può essere distinto
in:

• Fabbisogno nanziario complessivo: se si ragiona su base annua il fabbisogno nanziario


sarà complessivo, ovvero, coincide con il totale degli investimenti. È un dato statico perché è la
sommatoria di tutti gli investimenti fatti in un anno;

• Fabbisogno nanziario residuale (è un sottoinsieme, cambia la prospettiva temporale): è la


cifra più bassa di cui ho bisogno per alimentare il circuito degli investimenti, la prospettiva non è
annuale ma giornaliera. È una cifra dinamica che varia in base agli investimenti. Si calcola
sottraendo dal fabbisogno nanziario complessivo la copertura naturale degli investimenti. Il
Fabbisogno nanziario residuale:

- aumenta se aumentano gli investimenti programmati;

- aumenta se aumentano i crediti di funzionamento concessi ai clienti;

- aumenta se aumentano i crediti di nanziamento concessi a terzi;

- aumenta se diminuisce la velocità di circolazione degli investimenti (c’è una relazione


inversamente proporzionale, quando parliamo di velocità parliamo di tempo, la velocità di
circolazione è il tempo che intercorre tra l’investimento e il recupero dell’investimento).

Esempio
Ci sono due imprese: l’impresa A è un rivenditore al dettaglio di frutta, mentre l’impresa B è
un’impresa edilizia (costruisce palazzi).


L’impresa A compra frutta per 1.000€ al giorno e la vende incassando 1.300€. I fattori a fecondità
ripetuta sono pari a 100.000€ (furgone, cella frigorifera, cassa ecc…). Il fruttivendolo va al mercato
300 giorni all’anno, quindi su base annua il totale degli investimenti sarà di (1000€ ⋅ 300 giorni)
FFS + 100.000€ FFR = 300.000€ + 100.000€ = 400.000€ di investimenti totali.

L’impresa B sostiene costi per costruire un palazzo:


• terreno: 100.000€+
• progettazione: 10.000€+
• lavoro: 140.000€+
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• materie prime: 150.000€

Ci mette un anno per costruire il palazzo, lo vende e incassa 500.000€. Il totale dei suoi
investimenti ammonta a 400.000€, è la stessa cifra investita dall’impresa A, l’unica di erenza è il
numero di scambi, cioè mentre l’azienda B vende una sola volta, l'azienda A attiva il circuito della
produzione per 300 volte.

Nell’impresa A, il 1° gennaio di ogni anno il fabbisogno nanziario residuale sarà di 101.000€


(100.000€ di FFR e mille di FFS), mentre il 2 gennaio il fabbisogno nanziario residuale sarà
uguale a 0€, perché l’impresa A utilizzerà il 1300€ guadagnati il primo giorno per auto nanziarsi.
Nell’impresa B sia il fabbisogno nanziario residuale che complessivo sarà di 400 mila euro
perché il 1° gennaio già si partirà con il progetto annuale.

Quota di ammortamento: 100.000 / il numero di anni in cui spero di utilizzare quel fattore
produttivo.

Ipotesi: Alla ne del 4° anno conserva un valore residuo di 4000€. Per conoscere la quota di
ammortamento basterà sottrarre i 4.000€ ai 100.000€, quindi; 100.000– 4.000€ = 96 mila€.

96 mila / 4 anni = 24 mila€ annuali

24 mila / 2 semestri = 12 mila€ semestrali

12 mila / 150 giorni = 80 € costo giornaliero


Utile in 6 mesi = ricavi – costi => (1300 ⋅ 150 = 195.000) – [(1.000 ⋅ 150) FFS + (80 ⋅ 150) FFR] =
195.000 – 162.000 = 33.000

Cash ow ( usso di cassa) = entrate monetarie – uscite monetarie (1300 ⋅ 150 = 195.000) –
(1.000 ⋅ 150 = 150.000) = 45.000

Equazione fabbisogno nanziario:

Dove:
• fi = la quantità del fattore;

• p = il prezzo di acquisizione ;

• v = la velocità di rientro dei fattori nei rispettivi cicli operativi (il tempo che intercorre tra il
momento dell’acquisizione del fattore produttivo e il suo ritorno in forma liquida).

4/11/2020
L’aspetto numerario, nanziario ed economico
Tutto ciò che riguarda il movimento del denaro è de nita come variazione monetaria. L’aspetto
numerario è l’aspetto originario, in particolare la parola numerario deriva dal latino e signi ca
moneta, ovvero movimento della moneta. Quando i ussi monetari sono dilazioni nel tempo
(crediti o debiti) si parla di aspetto nanziario. Nel nostro modello abbiamo tre elementi che
caratterizzano le variazioni numerarie/ nanziarie:

• l’insieme del denaro che si muove, ovvero la cassa che si muove in entrata ed uscita;

• I crediti o debiti di funzionamento;

• I crediti o debiti di nanziamento.


La conseguenza dell’aspetto nanziario è l’aspetto economico, ma mentre le variazioni nanziarie


si attengono al movimento del denaro, le variazioni economiche riguardano i beni, la ricchezza
che si genera in una transazione. Le variazioni economiche si dividono in tre e riguardano:

• costi e ricavi;

• interessi attivi (+, proventi) e passivi (-, oneri);

• variazioni del capitale proprio/di rischio.

L’analisi dei valori è la modalità di rappresentazione dell’attività aziendale. Ogni operazione


e ettuata dall’azienda comporta almeno due conseguenze, che possono essere della stessa
natura e quindi di segno opposto (ad esempio quando pago un debito); oppure di due nature
diverse e quindi dello stesso segno (acquisto un fattore produttivo).

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ESEMPIO N°1:

La prima operazione che riguarda l’azienda è il conferimento del capitale, capitale di rischio.
Immaginiamo che il capitale sia 100, arriva denaro, quindi un’entrata pari a 100, a fronte di questa
entrata si avrà due conseguenze: una economica e una nanziaria. Quando c’è l’apporto di
capitale, quindi denaro che entra in azienda, c’è una variazione nanziaria positiva e anche una
variazione economica positiva.

Per avere l’equilibrio devono coincidere gli importi delle variazioni.


ESEMPIO N°2:

In questo caso vediamo l’operazione opposta, l’azienda restituisce il capitale ai soci, questa volta
i soldi escono, per cui abbiamo una variazione nanziaria negativa alla quale corrisponderà una
variazione economica negativa.

ESEMPIO N°3:

Quando il capitale non è su ciente, si va chiedere un prestito in banca (in questo caso non ci
sono interessi), ci sarà un entrata di denaro (variazione nanziaria positiva), ma quando questi
soldi arriveranno si avrà un debito nei confronti della banca (debito di nanziamento) quindi una
variazione nanziaria negativa.

Si hanno sempre almeno due variazioni, che possono essere anche della stessa natura. Quando
le variazioni hanno la stessa natura il segno è opposto, mentre se hanno natura opposta, il segno
è lo stesso.

ESEMPIO N°4:

Ipotizziamo la restituzione del denaro alla banca (senza interessi). Quando restituisco il denaro alla
banca avrò un’uscita di denaro (variazione nanziaria negativa), ma nel momento in cui restituisco
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il debito alla banca si veri ca un’estinzione di un debito di nanziamento (variazione nanziaria
positiva).

ESEMPIO N°5:

In caso di restituzione del denaro alla banca con interessi, si ha un’uscita di denaro, ma a fronte di
questa variazione nanziaria negativa avremo una variazione nanziaria positiva (meno debiti). Ma
c’è anche una variazione economica negativa, ossia il costo degli interessi passivi, per cui le
entrate e le uscite non coincidono.

ESEMPIO N°6:

Una volta che si avvia il circuito della produzione, la prima parte è l’approvvigionamento, ossia
l’acquisto di materie prime, per cui si ha una variazione economica negativa e una variazione
nanziaria negativa.

ESEMPIO N°7:

Chiudiamo il circuito della produzione con la vendita, si ha quindi una variazione economica
positiva e ci sarà più denaro in cassa (variazione nanziaria positiva).

ESEMPIO N°8:

Immaginiamo di aver comprato un prodotto in parte in contanti e in parte con pagamento


dilazionato con un debito di funzionamento (variazione nanziaria negativa). Come prima cosa
vedremo un’uscita di denaro (variazione nanziaria negativa), per aver acquistato un fattore
produttivo (variazione economica negativa), che è indipendente dalle modalità di pagamento.

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ESEMPIO N°9:

Noi vendiamo al nostro cliente e gli permettiamo di non pagare tutto subito, ma una parte in
contanti e una parte con pagamento dilazionato con un credito di funzionamento.
Quest’operazione si rappresenta con una variazione economica positiva (ricavo della vendita); la
variazione nanziare sarà duplice perché in parte vedremo subito dei soldi in entrata, ma ci sarà
un’altra entrata che dipenderà dal credito di funzionamento (variazione nanziaria positiva)

ESEMPIO N°10:

Immaginiamo che l’azienda presti denaro con interesse. Chi me li restituisce, me li restituisce
maggiorati (variazione nanziaria positiva), ma si ha anche una variazione nanziaria negativa,
perché non si ha più crediti di nanziamento. L’entrata e l’uscita non corrisponderà e quindi
avremo la quota di interesse attivo (proventi attivi) (variazione economica positiva).

06/11/2020
L’obiettivo della contabilità generale è il calcolo del reddito e del capitale.

Il Capitale aziendale o d’impresa



Il capitale è l’insieme dei beni materiali ed immateriali disponibili per l’attività di un’azienda e
necessari per l’attività economica. La maggior parte del capitale sono beni immateriali, come
marchi, brevetti (il diritto esclusivo all’utilizzo di un determinato prodotto), ma anche il capitale
intellettuale, ossia l’intelligenza umana. Questi beni immateriali anche se non li posso toccare,
sono molto più decisivi come fonte di vantaggio sul mercato. Per quanto riguarda i beni materiali,
alcuni esempi sono le materie prime, i macchinari ecc.

Le caratteristiche del capitale aziendale sono:

• Strumentalità: il capitale è uno strumento necessario, non è il ne o l’obiettivo dell’azienda 



(ma senza capitale l’azienda non può nascere ed esistere);

• Dinamicità: il capitale è un elemento dinamico, può aumentare (quando c’è un apporto di


capitale) o diminuire (quando ci sono perdite oppure quando viene restituito ai soci. Ipotesi rara
perché l’azienda ha sempre bisogno di capitale, quindi se ci fosse un eccesso di denaro verrà
reinvestito, conservato, ma quasi mai restituito). Il calcolo del capitale si fa una volta all’anno,
ma esso muterà in ogni operazione (il cambiamento non è solamente quantitativo, ma anche
qualitativo, a seconda degli investimenti: possiamo avere aziende che investono di più sulle
risorse umane (settore terziario) e aziende che investono in macchinari, materie prime ecc…
(settore secondario). In ne ci sono aziende che preferiscono fare un mix);

• Complementarità economica (la più importante): il capitale deve adattarsi alle esigenze delle
aziende, deve quindi integrarsi rispetto a ciò che l’azienda ne vuole fare. Ogni azienda
assegnerà un valore diverso al capitale, rispetto all’utilizzo che ne fa, per cui il capitale investito
in azienda avrà un valore relativo e non assoluto.

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Esistono tre tipologie di capitale d’impresa che vengono di erenziati in base al tempo, cioè in
base al momento in cui vengono calcolati:

• Capitale economico (capitale futuro): può essere sempre calcolato, purché l’azienda sia in
vita. Il capitale economico è una prospettiva data dalla somma dei redditi futuri che l’azienda
sarà in grado di generare, quindi per calcolarlo bisogna fare una stima sui guadagni futuri della
vita dell’azienda utilizzando formule di matematica nanziaria. Questo capitale non verrà
calcolato sempre, ma solo in caso di operazioni straordinarie come: fusioni, cessioni d’azienda,
acquisto di un’intera azienda o di una parte di essa, ecc…

Nel primo caso il reddito futuro dell’azienda sarà sempre costante (un’azienda che sarà in grado
di generale all’in nito un reddito), quindi se voglio acquistare un’azienda che generi reddito
all’in nito dovrò utilizzare questa prima formula (es. stabilimento balneare, chi lo venderà terrà
conto che questo stabilimento balneare produrrà reddito per almeno altri 100 anni).

Nel secondo caso non c’è una rendita perpetua, ma è il caso di un’azienda che avrà la capacità
di generare utili per altri pochi anni (5-10 anni). Notiamo la presenza della n che sta a
rappresentare il tempo, i sta a rappresentare il tasso di capitalizzazione* e in ne R sta a
rappresentare il reddito medio previsto.

*Il tasso di capitalizzazione è il tasso d'interesse utilizzato per convertire somme disponibili ad
una data epoca in somme disponibili in epoche future.

• Capitale di funzionamento/di bilancio/d’esercizio (capitale presente): si può sempre


calcolare, purché l’azienda sia in vita (la legge impone di calcolarlo almeno una volta l’anno). Il
capitale di funzionamento è la somma dei beni che l’azienda utilizza per la sua vita quotidiana
(brand, macchinari, persone che ci lavorano, tecnologia ecc). Per poterlo rappresentare
gra camente bisogna utilizzare un conto.

Il conto
Il conto è uno schema che prevede due sezioni distinte e contrapposte, che nel linguaggio
comune vengono chiamate dare (-) e avere (+). Il conto si può rappresentare mettendo a sinistra le
attività (+) e a destra le passività (-) (anche chiamati debiti). Abbiamo due tipi di capitali: capitale
lordo (totale) e capitale netto. L'insieme dei beni, delle attività a disposizione dell'azienda
costituiscono il capitale lordo. Si de nisce capitale netto, invece, la di erenza tra il capitale
lordo e i debiti contratti dall’impresa, è dato quindi dalla di erenza tra attività e passività
dell’azienda.

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Stima corretta del capitale netto di bilancio

Nel momento in cui nasce l’azienda, il proprio capitale è pari a 0. Dopo che c’è stato il
conferimento del capitale, al ne del primo anno, calcolo il reddito, e se tutto va bene, ottengo un
utile, ossia un incremento del capitale di conferimento, arrivando così al capitale netto di bilancio
(capitale di funzionamento) (il reddito è uguale all'incremento (utili) o il decremento (perdite) che il
capitale netto subisce in un dato periodo).

Stima non ragionevole del capitale netto di bilancio

Il valore massimo che può assumere il capitale di funzionamento corrisponde al capitale


economico, questo è possibile se oltre alle riserve di utili palesi aggiungiamo riserve di utili
potenziali futuri che potrebbero non realizzarsi (questo fenomeno, che è vietato per legge, viene
chiamato annacquamento di capitale).

• Capitale di liquidazione: rappresenta il valore del capitale nel caso di cessazione dell’attività (si
può calcolare solo quando è terminata la vita di un’azienda), quindi avrà un prezzo di mercato
più basso rispetto al capitale in vita, perché non si avrà un vero e proprio capitale, ma solo una
somma dei beni in vendita al miglior o erente possibile. La liquidazione può avere due cause:

- Liquidazione volontaria (rara): quando i soci decidono liberamente di chiudere l’attività. La


chiusura volontaria de nitiva si avrà quando l’azienda rispetterà le proprie obbligazioni, ad
esempio quando tutti i debiti saranno estinti. I debiti verranno pagati liquidando il capitale,
ossia vendendo tutti i beni dell’azienda (macchinari, impianti, materie prime ecc…). Spesso,
pur vendendo il capitale, quest’ultimo risulta essere non su ciente per coprire tutti i debiti,
per questo ci sarà bisogno del capitale proprio per estinguerli completamente.

- Liquidazione obbligatoria (più frequente): si è costretti alla liquidazione dell’azienda e il


soggetto che obbliga la chiusura è un giudice. Il giudice dovrà decidere la chiusura o meno
dell’azienda in base all’istanza che verrà mandata da un creditore che deve avere del denaro
dall’azienda. Mentre in passato il giudice decretava il fallimento dell’azienda modo
rapidamente, oggi si è capito che il fallimento di un’azienda non è positivo per nessuno, per
cui si tende a salvare l’azienda attraverso varie procedure (ad esempio cambiando
amministratore, diventando più piccola), ma quando non c’è proprio nulla da fare, il giudice è
costretto ad emanare la liquidazione obbligatoria. La liquidazione obbligatoria ha gli stessi
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e etti della liquidazione volontaria, ma in questo caso il capitale sarà sicuramente
insu ciente.

09/11/2020
Il Reddito d’impresa
Il reddito è la variazione positiva o negativa del capitale proprio generata dalla gestione
dell’azienda. Il reddito si misura attraverso l’incremento o il decremento del capitale, in particolare
se c’è stato un incremento si parlerà di utile, viceversa, se c’è stato un decremento, allora si
parlerà di perdita.

Il reddito può essere diviso in:

• reddito totale: che fa riferimento all’intera vita dell’azienda. Le varie formule per calcolarlo
sono:

1. Rt = capitale nale - capitale iniziale: di erenza tra capitale nale e capitale iniziale.
Questa formula viene de nita formula patrimoniale.

2. Rt = Σ ricavi - Σ costi: di erenza tra la sommatoria del totale dei ricavi generati in tutta la
vita dell’azienda meno il totale dei costi generati in tutta la vita dell’azienda. Questa
formula viene de nita formula economica. La formula patrimoniale e la formula
economica presuppongono che:

- l’attività d'impresa sia completamente cessata;

- tutti i crediti e i debiti siano stati estinti;

- non vi siano rischi in corso per costi o perdite future;

- il potere d'acquisto della moneta non abbia subito variazioni (non sia stata soggetta a
in azione. L’in azione è il cambio del valore del denaro per e etto del tempo).

3. Rt = Σ entrate di denaro - Σ uscite di denaro: di erenza tra il totale delle entrate meno il
totale delle uscite. Questa formula viene de nita formula nanziaria.

La formula patrimoniale e la formula nanziaria presuppongono inoltre che:

- Il capitale iniziale sia stato conferito in denaro;

- Non siano stati e ettuati altri conferimenti, né rimborsi di capitale di proprietà;

- Non sia stato e ettuato alcun prelievo di reddito.

• Il reddito di esercizio/di periodo: c’è un diverso riferimento temporale, rappresenta solo un


anno di vita dell’azienda (dal 1° gennaio al 31 dicembre). Tutte le formule che abbiamo utilizzato
per calcolare il reddito totale possono essere utilizzate anche per il reddito di periodo/di
esercizio, basta solo spostare l’asse temporale ad un anno. Il reddito di periodo è un arti cio
contabile, perché non esiste nella realtà, è virtuale, ma siamo noi a dover interrompere
arti cialmente la vita dell’azienda ogni 31 dicembre di ogni anno. Le ragioni che costringono a
questo calcolo del reddito di periodo sono:

- veri care la validità delle strategie adottate;

- stabilire un limite al prelievo di ricchezza da parte dei proprietari;

- fornire informazioni ad interlocutori esterni (per capire l’andamento aziendale);

- ottemperare agli obblighi di legge in materia di redazione dei bilanci (le tasse si pagano sul
reddito, anche se sono sempre autoliquidate).

11/11/2020
Il principio di competenza
Per calcolare il reddito di periodo/esercizio bisogna applicare il principio di competenza, infatti,
possiamo vedere che il reddito di periodo/esercizio può essere anche chiamato reddito di
competenza. Il principio di competenza detta una serie di regole che riguardano esclusivamente i
costi e i ricavi (esclusivamente variazioni economiche), per questa ragione bisogna introdurre un
nuovo concetto di costi e ricavi: costi e ricavi di competenza, che vengono calcolati all’interno
dell’anno scelto (1° gennaio – 31 dicembre). Avremo anche dei costi e ricavi che non si veri cano
all’interno di un solo anno, ma in 4-5 anni, questi si de niscono costi e ricavi sospesi. Il reddito
di esercizio/di periodo è dato dalla di erenza algebrica tra costi e ricavi di competenza.

Per capire se un costo o un ricavo è di competenza bisogna applicare il principio di competenza,


il quale dice che: sono costi e ricavi di competenza tutti quei costi e ricavi che hanno ceduto
l’utilità economica nell’anno e che fanno riferimento a processi produttivi conclusi. Con il principio
di competenza non c’entra il pagamento, ai ni del reddito di periodo è indi erente il momento del
pagamento (variazione nanziaria), il cliente potrebbe pagare anticipatamente, posticipatamente,
dilazionato o non pagare proprio.

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Esempio: un fattore produttivo a fecondità ripetuta non potrà essere un costo di competenza
perché potrà essere usato anche negli anni successivi, il costo di competenza sarà invece la
quota parte usata in quello speci co anno (ammortamento).

Il principio di competenza può essere diviso in due, ossia può essere applicato separatamente ai
costi e ai ricavi:

• Il principio di competenza applicato ai ricavi si chiama principio di realizzazione dei ricavi, per
cui si devono veri care due condizioni:

- Il processo produttivo è stato completato;

- Il bene deve essere nella disponibilità del cliente.

• Il principio di competenza applicato ai costi si chiama principio di inerenza dei costi, per cui
basta il veri carsi di una delle tre successive condizioni:

- Per associazione di causa ed e etto tra costi e ricavi: un costo è di competenza quando
si può associare a un ricavo di competenza. Tutti i costi usati per arrivare al ricavo sono di
competenza (l’e etto è il ricavo, la causa è il costo);

- Per ripartizione dell’utilità o funzionalità pluriennale del fattore produttivo: se sono in


grado di dividere il costo totale di un fattore produttivo per il numero di anni in cui verrà
utilizzato, riuscirò a calcolare la quota di ammortamento, che è proprio un costo di
competenza perché è il costo di quel fattore calcolato in base al tempo;

- Per perdita totale dell’utilità economica di un fattore produttivo: motivo per cui un fattore
produttivo non può essere più utilizzato. Il costo di quel fattore sarà un costo di competenza.

La determinazione dei risultati del reddito d’esercizio implica vari procedimenti:

• Identi cazione: bisogna individuare i costi e i ricavi di competenza;

• Misurazione: una volta capito quali sono i costi e ricavi di competenza, bisogna quanti carli;

• Correlazione: bisogna collocare da una parte tutti i ricavi di competenza e dall’altra tutti i costi
e faccio una semplice di erenza algebrica: ricavi di competenza – costi di competenza.

Il calcolo del reddito non verrà calcolato il 31 dicembre (data di riferimento), ma dopo alcuni mesi
dalla chiusura dell’anno.

Esempio esercizio 

La nostra azienda è rappresentata su questa linea temporale, t0 è il momento in cui nasce, il
primo anno si chiude a t1 (31 dicembre), il secondo a t2, nché non si arriva a tz, ovvero il
momento della cessazione dell’azienda. L’azienda compie un’operazione al primo anno e un’altra
al secondo anno (caso irrealistico).

t0 inizia con un conferimento di capitale pari a 1000. Con quel capitale avviamo il circuito della
produzione, iniziamo con i primi investimenti, acquistiamo merce per 500 e altri fattori per 100.

Nel primo anno di vita non è possibile calcolare il reddito d’esercizio, siccome mancano costi e
ricavi di competenza, sarà pari a 0.

Nel secondo anno di vita (31 dicembre, t2), l’azienda fa un’operazione di vendita di merce (800
euro). I ricavi di competenza al secondo anno ammonteranno a 800 euro, i costi di competenza
ammonteranno a 600 euro (come possiamo vedere, questo costo di competenza lo acquistiamo
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al primo anno di vita dell’azienda, ma non lo consumiamo e quindi sarà automaticamente
consumato negli anni successivi o meglio quando ci sarà un ricavo). Il reddito di competenza al
31 dicembre al secondo anno sarà: 200 euro.


Il capitale di funzionamento a t1 ammonterà a: 1000 (tutto quello che è stato conferito inizialmente
dall’azienda, 500 merce, 100 altri fattori e 400 di cassa).


Il capitale di funzionamento a t2 ammonterà a: 1200 (il capitale di funzionamento è la somma del
capitale di conferimento + gli utili generati dalla gestione).

*vedere altro le

13/11/2020
Durante l’anno le aziende non si pongono il problema della competenza, quindi, possono
registrare man mano le varie operazioni (seguendo il criterio nanziario), dopodiché, al 31
dicembre dovremo andare a dividere i costi e ricavi in competenza e sospesi, quelli di
competenza li lascio nel conto del reddito, invece, quelli sospesi li devo rinviare al futuro.

Tuttavia può veri carsi il contrario, cioè durante l’anno non c’è stata variazione nanziaria, ma ci
possono essere stati costi e ricavi che non ho registrato e che devo andare ad aggiungere. Per cui
al 31 dicembre dovrò fare due operazioni: un’operazione di retti ca (segno -, sottrarre un costo o
un ricavo perché non sono di competenza) e un’altra di integrazione (segno +, aggiungere un
costo o un ricavo di competenza che non sono stati registrati).

Ci sono 3 casi in cui abbiamo prima la variazione nanziaria e poi quella economica e 4 casi in cui
c’è prima quella economica e poi quella nanziaria.


Casi in cui c’è prima la variazione nanziaria e poi quella economica:

• (1° caso) Rimanenze di fattori produttivi: immaginiamo un’azienda che abbia acquistato
alcuni fattori produttivi, ma che non li ha ancora utilizzati tutti, la rimanenza non dovrà essere
messa all’interno del calcolo del reddito, ma dovrà andare nel calcolo del capitale, infatti, nel
reddito troveremo solo costi e ricavi di competenza. Per quanti care le rimanenze basta un
confronto tra le quantità iniziali e le quantità nali (per sapere le quantità rimanenti e iniziali è
importante fare l’inventario);

• (2° caso) Ricavi anticipati/risconti passivi: i ricavi anticipati non sono ricavi di competenza,
perché il consumo dell’attività economica non si è ancora svolto, ma avverrà solo in futuro,
quindi avrò una variazione nanziaria anticipata;

• (3° caso) Costi anticipati/risconti attivi: in questa ipotesi acquisto (pago) un fattore produttivo
ma che non ho ancora usato, per cui il fatto che l’ho acquistato ma non l’ho ancora utilizzato fa
sì che si veri chi un costo anticipato, perché il costo è l’utilizzo del fattore produttivo e non il
pagamento. Per cui questo costo sarà sicuramente un costo da rinviare al futuro.

Casi in cui c’è prima la variazione economica e poi quella nanziaria (costi e ricavi di
competenza con manifestazione nanziaria futura, il pagamento o l’incasso avvengono dopo):

Durante l’anno la contabilità generale segue la regola della variazione nanziaria, ma se


quest’ultima non c’è stata (non c’è stato movimento di denaro), nel mio reddito di periodo non ho
traccia di costi e ricavi, cioè al 31 dicembre non ho registrato nulla in contabilità.

Tuttavia ci accorgiamo che ci sono dei costi e dei ricavi di competenza che dovranno essere
aggiunti al calcolo del reddito di periodo. I casi in cui c’è prima la variazione economica e poi
quella nanziaria sono 4 e si gestiscono tutti allo stesso modo (si applica il principio di
competenza):

1. Costi futuri presunti: costi presunti che potrebbe anche non veri carsi mai, relativi a rischi e
spese future. Es: garanzia di riparazione (costo di competenza nell’anno in cui vendo il bene);

2. Perdite future presunte: se il cliente non paga, l’azienda ha una perdita, il costo è di
competenza dell’anno in cui vendo il prodotto. Quando registro un ricavo e lo registro col
credito, devo sapere che ogni credito ha sempre un rischio di insolvenza. La perdita è un
costo di competenza nel momento in cui ho registrato il ricavo;

3. Fatture da emettere e da ricevere: ipotesi che si veri ca quando acquisto o vendo un bene
al ridosso del termine dell’anno, per cui la contabilità è indietro dal punto di vista temporale.
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Quindi se si parla di vendita e il bene è già a disposizione del cliente, si avrà un ricavo di
competenza che genera una fattura da emettere; se invece si parla di acquisto si avrà una
fattura da ricevere;

4. Ratei attivi e passivi.

Schema del prospetto del reddito di esercizio

Lo schema del prospetto del reddito di esercizio è un semplice conto di bilancio in cui a sinistra
abbiamo le componenti negative (costi) e a destra quelle positive (ricavi):

• Costi proveniente dal passato e da rinviare al futuro: se l’azienda è già in vita, avrà
sicuramente costi che provengono dal passato, ovvero rimanenze dei fattori produttivi, che però
non sono costi di competenza, perché conservano dell’utilità produttiva. Per togliere questi costi
dal calcolo del reddito, aggiungiamo a destra i costi da rinviare al futuro (questa tecnica viene
chiamata arti cio contabile). Avremo le rimanenze iniziali al 1° gennaio tra i costi e le rimanenze
nali al 31 dicembre tra i ricavi. Se faccio rimanenze iniziali – rimanenze nali ottengo il consumo
delle rimanenze. Il consumo delle rimanenze è il costo;

• Costi e ricavi conseguiti nel periodo: questi costi e ricavi fanno riferimento a operazioni
chiuse, quindi danno origine a costi e ricavi di competenza;

• Ricavi da rinviare al futuro (risconti passivi) fa coppia con i ricavi provenienti dal passato;

• Quote di costi o perdite future presunte e costi di integrazione: sono quei costi di
competenza da integrare associati alla garanzia, alle perdite sui crediti (insolvenza), cioè tutti
quei costi che non si sono ancora manifestati nanziariamente, ma solo economicamente;

La di erenza del totale dei ricavi e il totale dei costi di competenza mi darà un utile se positivo e
una perdita se negativo.

Schema del prospetto del capitale

Nel capitale vado a fare la “fotogra a” di tutte quelle che sono le attività e passività dell’azienda, i
beni materialmente disponibili per l’attività produttiva al 31 dicembre che mi serviranno per iniziare
l’anno successivo.


Nel capitale abbiamo tutte le variazioni nanziarie: cassa (attività), crediti (attività) e debiti
(passività). In più abbiamo i componenti economici non di competenza (il capitale non solo
raccoglie tutta la parte nanziaria, ma in più raccoglie anche la parte economica non di
competenza). L’utile è l’elemento che accumuna reddito e capitale, me lo ritrovo sia come

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di erenza di attività e passività nel capitale, sia come di erenza tra costi e ricavi di competenza
nel reddito, quindi l’utile deve coincidere in entrambi i conti perché deriva dalla stessa logica.

16/11/2020
Ratei e risconti
Quando un’operazione non viene chiusa nell’arco di tempo tra il 1° gennaio e il 31 dicembre, essa
viene de nita un’operazione aperta che può essere:

• Un rateo, se la variazione nanziaria è posticipata rispetto a quella economica (il denaro non si
muove entro il 31/12). I ratei sono costi e ricavi di integrazione (segno +);

• Un risconto, se la variazione nanziaria anticipa quella economica (il denaro si muove entro il
31/12). I risconti sono costi e ricavi di retti ca (segno -) da rinviare al futuro. Il risconto parte dal
31 dicembre, è tutto quello che vado a rinviare al futuro. Il risconto è tutto quello che non è di
competenza.

Esistono due tipi di rateo:

- Rateo attivo: è un ricavo di integrazione (+);

- Rateo passivo: è un costo di integrazione (-).

La formula per calcolare il rateo è:

Impor todelcontrat to
⋅ ( per iododicompetenza)

durata delcontrat to

Esistono due tipi di risconto:

- Risconto attivo: costo anticipato da rinviare al futuro (-)


- Risconto passivo: ricavo anticipato da rinviare al futuro (+)

La formula per macolare il risconto è:

Impor todelcontrat to
⋅ (durata delcontrat to − per iododicompetenza)*
durata delcontrat to
*(per il periodo di non competenza)


La particolarità del risconto è che bisogna fare due contabilizzazioni, prima contabilizzo l’intero
costo e poi devo contabilizzare la retti ca per trovarmi il costo di competenza.

I ratei e i risconti possono anche essere classi cati in senso stretto e in senso lato:
• Ratei/risconti in senso stretto: dipendono dalla variabile temporale, quindi hanno una formula
che utilizza il tempo.

• Ratei/risconti in senso lato (ampio) non hanno una formula matematica.

ESEMPIO RATEI
N°1: la “nostra” azienda prende in a tto un capannone il 1° settembre 2003 per un anno ed il
contratto prevede il pagamento posticipato dell’intero canone, che è pari a 1.200 €.

A quanto ammonta il costo di competenza di questa operazione? (Rateo passivo)

Analisi: Un’operazione che inizia il 1° settembre e nisce il 30 agosto dell’anno successivo, è


un’operazione aperta, perché c’è un capannone che sto usando sia nell’anno corrente che nel
successivo. Siccome il pagamento è posticipato, ci troviamo di fronte ad un rateo, in particolare
siccome si parla di un costo da integrare (da aggiungere in contabilità), si parla di un rateo
passivo. Il capannone è stato utilizzato prevalentemente nel 2004, quindi questi 1200 devono
andare per una parte nel 2003 (1/3) e per un’altra parte nel 2004 (2/3). Il 1° settembre 2003 nel
momento in cui chiudo il mio contratto di a tto in contabilità non si registra nulla, perché non c’è
stata nessuna variazione nanziaria, ma al 31 dicembre mi rendo conto che per quanto riguarda
l’a tto del capannone non c’è nessuna traccia, quindi, c’è da integrare un costo di competenza
1200
che equivale a 4 mesi di a tto del capannone. ⋅ 4 = 400

12
N°2: la “nostra” azienda concede in a tto un capannone il 1° settembre 2003 per un anno ed il
contratto prevede la riscossione posticipata dell’intero canone, che è pari a 1.200 €

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A quanto ammonta il costo di competenza di questa operazione? (Rateo attivo)

Analisi: In questo caso si parla sempre di un rateo, perché la variazione nanziaria (il pagamento)
è posticipato, ma di un rateo attivo, perché saremo noi a dare il capannone in a tto, quindi
avremo un ricavo da integrare. Al 1° settembre non devo registrare nulla perché non c’è stata
nessuna operazione. Ma al 31 dicembre dovrò integrare al calcolo del reddito il ricavo di
1200
competenza dell’a tto del capannone: ⋅ 4 = 400. Quindi avremo un ricavo di competenza
12
di 400 euro da aggiungere al 31 dicembre.

ESEMPIO RISCONTI
Nº1: la “nostra” azienda prende in a tto un capannone il 1° settembre 2003 per un anno ed il
contratto prevede il pagamento anticipato dell’intero canone, che è pari a 1.200 €.

A quanto ammonta il costo di competenza di questa operazione? (Risconto attivo)

Analisi: Siccome il pagamento è anticipato, sappiamo di trovarci di fronte a un risconto, in


particolare siccome si tratta di un costo, sarà un risconto attivo. Il 1° settembre 2003 in
contabilità ci sarà un’uscita di denaro, quindi una variazione nanziaria negativa di 1200 euro, a
questa variazione nanziaria negativa corrisponderà il costo del capannone, cioè una variazione
economica negativa. Questi 1200 euro saranno costi di competenza per 1/3 per l’anno 2003 e
quindi ci sarà bisogno di una retti ca in modo che compaiano solo 4 mesi nel reddito di
1200
competenza. La formula per il risconto sarà: ⋅ (12 − 4) = 800, quindi 800 € sarà il costo
12
da rinviare al futuro, mentre la rimanente somma dei 1200 € è il costo di competenza del 2003
(400 €). Quest’operazione è un risconto in senso stretto (perché c’è il tempo).

N°2: la “nostra” azienda concede in a tto un capannone il 1 settembre 2003 per un anno ed il
contratto prevede la riscossione anticipata dell’intero canone, che è pari a 1.200 €

A quanto ammonta il costo di competenza di questa operazione? (Risconto passivo)

Analisi: Siccome il pagamento è anticipato si parla di risconto, ma in particolare poiché è un


1200
ricavo, di un risconto passivo. La formula per il risconto sarà: ⋅ (12 − 4) = 800. Avremo
12
un risconto passivo di 800 euro da rinviare al 2004 e un ricavo di competenza pari a 400 euro.

18/11/2020
Costi futuri presunti
Ogni volta che c’è un evento futuro bisogna applicare una stima, ossia un’ipotesi legata al tempo.
Nei ratei e nei risconti in senso lato non abbiamo nessuna formula matematica, l’esito di questa
operazione è arbitrario, non sappiamo come andrà a nire. Tra questi eventi futuri ci sono alcuni
che sono di competenza e che quindi al 31/12 devono essere iscritti nel reddito, anche se sono
valori incerti perché sono legati a degli eventi che ancora si devono veri care. Dunque, nel reddito
abbiamo alcuni valori certi, ma anche altri incerti, frutto di stime, per cui il reddito è un indicatore
misto che va letto e calcolato con prudenza (principio di prudenza).

Rateo in senso lato: è un rateo la cui variabile chiave è il rischio, ovvero, un fenomeno incerto
di cile da prevedere e che necessita di una stima, ma che non ci può mai dare la certezza del
valore che vado ad iscrivere nel reddito (Il denaro non si muove). La stima, essendo un valore
incerto, potrebbe essere sia un valore sovrastimato o sottostimato.

Risconto in senso lato: il risconto ha una manifestazione nanziaria certa e ha due elementi
fondamentali: conosciamo già la data e soprattutto ne conosco l’importo.

ESEMPIO: Costi futuri presunti (Rateo passivo in senso lato)


Un’azienda vende, in un periodo, 100 telefonini o rendo la garanzia per un anno. A quanto
ammontano i costi di competenza?

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Analisi: se si richiede la garanzia sarà compito dell’azienda aggiustare il prodotto, e quello sarà
un costo per l’azienda, un costo di competenza per l’applicazione della prima regola del principio
di inerenza (associazione causa e etto costi - ricavi). L’azienda registra il ricavo di competenza, a
questo ricavo associamo, se ci sarà, il costo per la riparazione del prodotto in garanzia, quindi
l’azienda produttrice subisce una perdita, che sarà un costo di competenza dell’anno in cui è
stato venduto il telefono.

Quindi quando si iscrive un ricavo, bisogna ricordarsi di iscrivere anche il costo di competenza al
31/12 per il costo presunto della garanzia. È un’operazione aperta, perché per ipotesi inizia a
novembre e nisce l’anno prossimo (se il telefono venisse acquistato a novembre e si rompe a
dicembre sarebbe un’operazione chiusa). Al 31/12 bisognerà stimare il costo di garanzia del
prodotto, che può essere calcolato in vari modi, ad esempio, facendo una media dei cellulari rotti
negli anni precedenti, osservando la percentuale dei concorrenti, oppure facendo la media di
quanto costa aggiustare un telefono.

Perdite future presunte


Perdite future presunte e costi futuri presunti hanno la stessa genesi, sono identiche, il dettaglio
che cambia è che le perdite future presunte fanno riferimento ad attività e passività del capitale.

Esempio: Un’azienda concede, in un periodo, 100 crediti di funzionamento a diversi clienti.

A quanto ammontano i costi di competenza, in caso di “insolvenza” di qualche debitore?

Analisi: Ogni credito è sempre incerto nel suo manifestarsi nanziario, quindi, quando si vende a
credito (non mi faccio pagare subito, mi faccio pagare l’anno prossimo ecc.) non ho alcuna
certezza se incasserò o meno quella cifra, ci possono essere vari casi come: il cliente è fallito, il
cliente non è soddisfatto della merce, il cliente è sparito. La conseguenza di tutto questo è che a
dicembre ho iscritto il ricavo, perché la vendita è avvenuta nell’anno di competenza, però devo
aspettare il prossimo anno per incassare (variazione nanziaria posticipata, rateo attivo). Se il mio
cliente non mi paga, ci sarà una perdita, ossia un costo di competenza. Anche qui c’è bisogno di
una stima per valutare il costo di competenza. Per calcolare la stima mi baso sempre sul passato
(in questo caso, valutiamo che ci sia un 10% dei crediti inesigibile per un importo complessivo di
1.000 €).

Risconti in senso ampio: riguardano tutte le rimanenze dei fattori a fecondità semplice e ripetuta
(la rimanenza di un fattore produttivo è un risconto). Le rimanenze hanno due valori:
• Costo storico: la parola “storico” fa riferimento al passato, alla data di acquisto, al 31/12 il
costo delle rimanenze si è già veri cato, per questo si de nisce costo storico, è importante
capire quanto è stato consumato di quel prodotto, per capirlo bisogna vedere quello che ne
resta, facendo la di erenza tra rimanenze iniziali e rimanenze nali. Nel prospetto del reddito a
sinistra colloco le rimanenze iniziali e a destra colloco le rimanenze nali dello stesso bene.

• Risconto attivo: La rimanenza nale al 31/12 è il risconto. Il valore di rimanenza nale (risconto)
me lo porto nelle attività del prospetto del capitale (ha ancora attività produttiva spendibile). Il
risconto attivo sta nei ricavi ma non si chiama ricavo, ma costo di retti ca (il valore di rimanenza
nale).

21/11/2020
Esercizio di esame:
Prospetto del reddito
Il punto di partenza di questo esercizio è trovarci al 1° gennaio di un qualsiasi anno con una
situazione di partenza, ovvero il prospetto del capitale, il quale ha due voci: a sinistra attività (+) e
destra le passività (-) (caratteristica principale del prospetto del reddito e anche del capitale è che
il totale delle attività deve coincidere con il totale delle passività). La prima cosa da fare è
individuare le attività e le passività all’interno del nostro esercizio. Nel nostro caso avremo:

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Fondo TFR: fondo di trattamento ne rapporto (liquidazione a un lavoratore in ne carriera)

Conviene calcolare prima il prospetto del reddito, così il prospetto del capitale sarà in parte già
calcolato.

Nella seconda parte dell’esercizio ci saranno una serie di operazioni:

A) Acquisto di servizi per un valore di 500 €, con pagamento in contanti;


Analisi dei valori: notiamo subito che si tratta di un acquisto, quindi avrà una variazione nanziaria
negativa (uscita di denaro) e una variazione economica negativa (costo), entrambe le variazioni
pari a 500 euro. Questo costo lo vado ad iscrivere nelle componenti negative del prospetto del
reddito. Lo possiamo visualizzare in basso nel conto del prospetto del reddito con la voce
“acquisto servizi, 500 euro”.

B) Acquisto di materie prime per un valore di 600 €, con pagamento per ½ in contanti e ½
dilazionato ad un anno;
Analisi dei valori: ci troviamo sempre di fronte ad un acquisto di 600 euro (costo, variazione
economica negativa), anche se in questo caso troviamo un pagamento dilazionato (la variazione
nanziaria è sempre di 600 euro (la tratteremo in dettaglio nel prospetto del capitale)). Quindi nel
prospetto del reddito iscriveremo un costo nei componenti negativi pari a 600 euro con la voce
“acquisto di materie prime, 600 euro”.

C) Vendita di prodotti niti per un valore di 6000 €, incasso ½ in contanti e ½ ad un anno;

Analisi dei valori: ci troviamo di fronte ad una vendita, quindi una variazione economica positiva
(ricavo) e una variazione nanziaria positiva (entrata). Quindi questa volta andremo ad aggiungere
nei componenti positivi la voce “vendita prodotti niti, 6000 euro”, e soprattutto leggendo la
traccia, potremmo cadere in errore vedendo l’incasso metà i contanti e metà ad un anno, errore
da non commettere perché si tratta sempre di una variazione nanziaria positiva e quindi da
aggiungere nel calcolo del capitale.

D) Pagamento di salari e stipendi in contanti per un valore di 1000 €;


Analisi dei valori: gli stipendi sono un costo (variazione economica negativa e variazione
nanziaria negativa), andremo ad iscrivere un costo nei componenti negativi nel prospetto del
reddito pari a 1000 euro.

E) Pagamento in contanti della rata del mutuo per un valore di 200 € (di cui 180 € quota
capitale e 20 € quota interessi);
Analisi dei valori: avremo un’uscita di denaro pari a 200 € (variazione nanziaria negativa), di cui
180 € sono il rimborso della quota capitale del mutuo (variazione nanziaria positiva, - debiti) e
20€ sono gli interessi passivi, chiamati anche oneri nanziari (variazione economica negativa). Nel
prospetto del reddito dobbiamo solo iscrivere la quota delle variazioni economiche, ovvero 20
euro, che andranno nelle componenti negative con la voce “interessi passivi mutuo”.

F) L’1/7 concediamo in tto un terreno per un anno e concordiamo di ricevere il pagamento


di 2000 € alla scadenza;
Analisi dei valori: siccome la variazione nanziaria è posticipata, si tratta di un rateo, e poiché è un
ricavo, si parla di un rateo attivo in senso stretto (perché c’è la data di riferimento). L’1/7 non
registro nulla nel prospetto del reddito, perché non c’è stata variazione nanziaria, l’unica
2000
registrazione nel prospetto del reddito la farò il 31/12, utilizzando la formula: ⋅ 6 = 1000
12
euro, questi 1000 euro li iscriveremo nei componenti positivi con la voce “ricavo di integrazione,
1000 euro”.

G) L’1/10 viene sottoscritto un contratto di a tto di un capannone industriale per l’importo


complessivo semestrale di 2000€. Il pagamento del canone è posticipato;
Analisi dei valori: il pagamento è posticipato e siccome si tratta di un costo, si avrà allora un rateo
2000
passivo in senso stretto, utilizziamo la formula: ⋅ 3 = 1000, lo iscriveremo nei componenti
6
negativi del reddito con la voce “costi d’integrazione, 1000”. Registrerò sempre il 31/12.

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H) Si ritiene di dover sostenere costi futuri per interventi di garanzia sulla merce venduta
per 100 €;
Analisi dei valori: quest’operazione è un rateo passivo in senso lato, iscriverò nei componenti
negativi la voce “costi futuri garanzia, 100”. In questo caso, non avremo bisogno di fare nessun
calcolo, perché sarà dato direttamente nel problema.

I) L’1/11 paghiamo anticipatamente un premio assicurativo per l’importo di 1200. La


scadenza è semestrale;
Analisi dei valori: essendoci la data, è un’operazione aperta (inizia in un anno e nisce in un altro),
se seguiamo i soldi vedremo subito la variazione nanziaria negativa anticipata (come scritto nel
testo), quindi possiamo de nire questa operazione come un risconto attivo in senso stretto,
chiaramente non sarà tutto di competenza ma solamente 2 mesi, quindi iscriveremo nel prospetto
1200 euro nei componenti negativi con la voce “premio assicurazione, 1200”, ma nei componenti
positivi inseriremo una voce “costo di retti ca, 800 “ e per calcolare questo costo di retti ca
1200
utilizzeremo la formula: ⋅ (6 − 2) = 800 euro. Per i risconti dovremo fare sempre due
6
operazioni una nei componenti negativi e l’altra nei componenti positivi (retti ca del valore).

J) Si ritiene che una quota dei crediti pari a 150 € non sarà incassata.
Analisi dei valori: è una semplice perdita futura presunta (150 euro), è un costo di competenza che
vado ad iscrivere nei componenti negativi con la voce “svalutazione crediti, 150”. È un rateo
passivo in senso lato.

Inoltre a ne esercizio si valutano:

• Gli impianti per un valore di 700;

• I macchinari per un valore di 6.000;

• Le rimanenze di materie prime per un valore di 800;

• Le rimanenze di prodotti niti per un valore di 200;

• I terreni per un valore di 3.000.

Queste 5 voci sono rimanenze nali. A ne anno ci rendiamo conto di avere ancora dei fattori
produttivi disponibili in azienda, che nel calcole del reddito li vado a inserire nelle componenti
negative come costi di competenza. Le rimanenze sono risconti attivi in senso ampio, bisogna
iscriverli con la tecnica dei risconti, ovvero, una doppia registrazione, nei componenti negativi
metterò le rimanenze iniziali (costi provenienti dal passato), invece, nei componenti positivi le
rimanenze nale (costi da rinviare al futuro).

Dopo aver inserito queste voci all’interno del nostro prospetto, posso calcolarmi l’utile: totale dei
ricavi (componenti positivi) - totale dei costi (componenti negativi) = 1930.
L’utile di pareggio verrà inserito nelle componenti negative (non perché è un componente
negativo) per avere il pareggio perfetto tra componenti positivi e componenti negativi.

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Prospetto del Capitale
Nel prospetto del capitale devo rifare tutte le operazioni precedenti, considerando soltanto le
variazioni nanziarie. La di erenza tra il prospetto del reddito e del capitale è che nel prospetto
del reddito partiamo da 0, invece, nel prospetto del capitale abbiamo già dei valori al 1° gennaio.
In questo caso parto con cinque valori iniziali:

• Cassa: 2500 – 500 (operazione A) – 300 (operazione B) + 3000 (operazione C) – 1000


(operazione D) – 200 (operazione E) – 1200 (operazione I) = 2300

• Debiti: 800 + 300 (operazione B) = 1100

• Crediti: 700 + 3000 (operazione C) - 150 (operazione J) = 3550

• Mutui passivi: 2400 – 180 (operazione E) = 2220

• Passività presunte: 800 + 100 (operazione H) = 900

• Rateo attivo: + 1000 (operazione F)

• Rateo passivo: - 1000 (operazione G)

• Risconto attivo: + 800 (operazione I)

Conto del prospetto del capitale

L’utile deve sempre coincidere in entrambi i prospetti di reddito e capitale.

L’ordine delle voci può essere casuale.

L’utile va sempre nella parte inferiore per pareggiare le sezioni.

23/11/2020
Principio di prudenza
Il principio di prudenza va a coppia con il principio di competenza e sono entrambi necessari per
passare dal reddito totale al reddito d’esercizio, in particolare il principio di prudenza interviene
dopo quello di competenza e si applica ai costi e ai ricavi di competenza per andare a valutarli. Il
principio di prudenza lo troviamo nelle operazioni aperte, specialmente nei risconti (rimanenze) e
nei ratei in senso lato (costi e perdite future presunte). Il principio di prudenza determina l’altezza
del reddito di esercizio, quindi applicandolo “bene” o “male” possiamo alzare o abbassare a
piacimento quest’ultimo.

La prima cosa da stabilire è il campo di applicazione del principio di prudenza (dove e quando lo
si deve applicare). Il principio di prudenza come il principio di competenza è inserito all’interno del
codice civile. L’applicazione del principio di prudenza non esiste per le aziende grandi o per le
aziende che utilizzano modelli contabili internazionali (come quelle americane e inglesi), ma viene
applicato solamente in Italia dalle aziende più piccole.

Il principio di prudenza verrà applicato al 31 dicembre nelle operazioni aperte.

Possiamo trovare due tipi di operazioni in corso:

Attività: rimanenze di fattori a fecondità semplice e ripetuta, crediti e costi anticipati.

Passività: debiti, passività presunte e ricavi anticipati.

Esiste un’applicazione diversa a seconda se sia attività o passività:

• Nelle attività:

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- Costo storico: fa riferimento al costo dei fattori produttivi nel momento in cui vengono
acquisiti, ovvero quando entrano a far parte della combinazione produttiva dell’azienda (la
parola “storico” fa riferimento al passato, ad un’operazione che si è già veri cata);

- Valore di presumibile realizzo (valore futuro): è un valore che noi associamo a dei fattori
produttivi e che proviene dal costo storico che al 31/12 può aumentare, diminuire o restare
invariato. Il principio di prudenza si applica se il valore aumenta o diminuisce e in particolare
abbiamo due ipotesi:

1. Se il valore di presumibile realizzo è inferiore al costo bisogna inserire nel bilancio il


valore di realizzo;

2. Se il valore di presumibile realizzo è superiore al costo posso scegliere qualunque


valore compreso nello spazio dei valori ragionevoli, ovvero compreso tra l’intervallo
“minimo costo – massimo costo di realizzo”. La conseguenza di ciò è il determinare
l’altezza del reddito a proprio piacimento, posso aumentare o diminuire il reddito in
funzione di come applico il principio di prudenza. Se scelgo il valore massimo allora
aumentano gli utili, mentre se scelgo il valore minimo gli utili diminuiscono. Questi utili/
perdite non sono veritieri, ma frutto di stime. Questa tecnica nel linguaggio aziendale
viene de nita “politica di bilancio”.;

• Nelle passività:
- Valore storico si de nisce valore nominale, che è passato e certo;

- Valore futuro coincide con il valore di presumibile estinzione.


Nel bilancio bisogna inserire un unico valore e qui entra in gioco il principio di prudenza. Gli utili
sperati non devono partecipare alla determinazione del reddito, mentre le perdite temute sì (regola
di asimmetria, attività e passività vengono considerate diversamente). La conseguenza del
principio di prudenza è che il reddito deve essere più basso ma sicuro (modello italiano), invece,
l’approccio non prudente dice che è meglio un reddito più alto ma meno sicuro (modello
internazionale).

ESERCIZIO:

Nel periodo t0-t1


Acquisto di merce: 10 unità a 50€ ciascuna

Vendita di merce: 5 unità a € 100 ciascuna

Rappresentiamo l’asse del tempo, con il valore t0 corrispondente alla nascita dell’azienda e t1
corrispondente al 31/12 del primo anno di vita. Nel primo anno di vita, l’azienda acquista 10 unità
e li paga 50 euro l’una e ne vende 5 a 100 euro (prezzo remuneratore). Però al 31/12 avrò la metà
delle unità comprate come rimanenze. I ricavi in questa operazione sono 500 euro e i costi 500
euro, la metà dei costi sono di competenza e l’altra metà da rinviare al futuro. Per capire il valore
del reddito bisogna capire il valore da assegnare a queste rimanenze. Avremo tre valori da poter
assegnare alle rimanenze:

• A: valutare le rimanenze a prezzo di costo, l’utile ammonterà a 250 euro (IPOTESI PRUDENTE)

• B: valutare le rimanenze a prezzo di realizzo, l’utile ammonterà a 500 euro (IPOTESI NON
PRUDENTE);

• C: valutare le rimanenze sottocosto, l’utile ammonterà a 100 euro (IPOTESI PESSIMISTA)

L’IPOTESI CHE DOBBIAMO APPLICARE È IL CASO A.

L’auto nanziamento
L’unica fonte di nanziamento interna dell’azienda è l’auto nanziamento, il denaro arriva
direttamente dall’azienda stessa, l’azienda lo autoproduce, si auto nanzia. Questa forma di
auto nanziamento è molto importante perché garantisce l’autonomia dell’azienda.
L’auto nanziamento deriva dai ricavi e quindi dalla vendita, cioè dagli utili che l’azienda ha
generato e che saranno reinvestiti in un altro circuito della produzione. Se l’auto nanziamento si

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ottiene nella terza parte del circuito della produzione vuol dire che non è una fonte primaria, ma
derivata, quindi l’azienda non può nascere con l’auto nanziamento, quindi ogni azienda dovrà
cercare necessariamente una fonte esterna per avviare il circuito della produzione. Abbiamo due
categorie di auto nanziamento:

- in senso stretto, che deriva dall’utile di esercizio. Esso può essere:

• permanente - durevole: se gli utili ottenuti vengono reinvestiti in azienda e non


vengono prelevati dai soci, quindi permangono in azienda;

• temporaneo: si ha l’auto nanziamento no al momento in cui gli utili non si


trasformano in dividendi e vengono distribuiti ai soci.

Inoltre l’auto nanziamento in senso stretto si può dividere in:

• Statico: rappresenta il momento in cui calcolo l’auto nanziamento (al 31/12, come se
fosse la fotogra a dell’auto nanziamento);

• Dinamico: è il usso degli utili derivante dai ricavi e si sviluppa con la gestione
dell’azienda.

- in senso lato, che deriva dal reintegro degli investimenti e dai ratei e risconti in senso lato.

L’auto nanziamento in senso ampio fa riferimento al bene cio complessivo dell’azienda


considerando tutti gli elementi che generano risparmio. Esso è composto:

- dall’auto nanziamento in senso stretto;

- dal capitale autogenerato: nuova ricchezza generata dalla gestione dell’azienda, composto
dagli utili e dai costi futuri presunti (auto nanziamento temporaneo) (perché le risorse
nanziarie che coprono tali costi restano a disposizione dell’impresa no al momento in cui
eventualmente si veri cano tali eventi) (le riserve di utili: auto nanziamento permanente;
dividendi: auto nanziamento temporaneo);

- dal capitale rigenerato: rappresenta la rigenerazione del capitale precedentemente investito


in fattori a fecondità ripetuta no al momento del rinnovo di tali fattori a fecondità ripetuta. È
uguale allora ai mezzi monetari investiti in fattori a fecondità ripetuta e recuperati attraverso i
ricavi, ammortamento e perdite future presunti.

Esistono due metodi per calcolare l’auto nanziamento: metodo reddituale (aspetto economico) e
metodo patrimoniale (aspetto nanziario), entrambi si dividono in diretto e indiretto.

Metodo reddituale diretto:


A = (V − CFFS )

- V = ricavi inerenti alla produzione venduta nel periodo (per semplicità aventi tutti manifestazione
nanziaria);

- CFFS = consumo dei fattori a fecondità semplice (per semplicità aventi tutti manifestazione
nanziaria).

Metodo reddituale indiretto:


A = (Rn + CFFR + CFP + PFP).

L’auto nanziamento con questa formula coincide con quello in senso ampio che è una somma di:

- RN = reddito netto (utile di periodo);

- CFFR o AMM = consumi fattori a fecondità ripetuta (ammortamento, riguarda solo ed


esclusivamente i FFR);

- CPF = costi futuri presunti;

- PFP = perdite presunte future.

Break even point o punto di pareggio


Il break even point può essere de nito come il momento in cui i costi e ricavi coincidono. È sia
una condizione di sopravvivenza per l’azienda, ma anche uno strumento di programmazione per
quest’ultima. Per avere un buon break even point bisogna analizzare i costi (recentemente anche i
ricavi).

I costi si classi cano in:

• Variabili: costi il cui valore complessivo varia in misura direttamente proporzionale al variare del
volume della produzione (costi che dipendono dalla quantità di produzione) (esistono anche
costi inversamente proporzionali, ovvero, diminuisce il volume di produzione e aumentano i
costi);

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• Fissi: costi il cui valore complessivo non varia al modi carsi del volume della produzione.

Non esiste un costo sempre sso o variabile, ma sono tali se considerati in un determinato
intervallo (Es. se il volume della produzione aumenta all’in nito, anche i costi ssi aumentano).

Inoltre, è possibile classi care anche i cosiddetti “costi ssi a scalino”, ovvero quei costi che
variano ma che restano proporzionalmente ssi in riferimento all’unità del volume di produzione.

Diagramma del punto di pareggio


In questo diagramma sull’asse delle x troviamo le quantità prodotte e vendute, sull’asse delle y
troviamo i costi e i ricavi.

- Q0: poche vendite (ricavi < costi) = perdite

- Q1: quanti prodotti devo vendere per coprire i costi (break even point)

- Q2: molte vendite (ricavi > costi) = utile

Formula Break even point:


Rt = P ⋅ Q

Ricavi totali = prezzo unitario di vendita ⋅ quantità

Ct = CF + CV,

Costi totali = costi ssi + costi variabili

CV = C ⋅ Q

Costi variabili = costo unitario ⋅ quantità

Siccome sappiamo che il Break even point si ha quando i Rt= Ct, utilizzando formule inverse
CF
possiamo trovarci anche un’altra formula: Q =

(P − C )
Q sta per break even point

(P − C ) è de nito come margine di contribuzione unitario (coe ciente angolare della curva dei
ricavi). Questa di erenza è positiva quando ogni prodotto contribuisce all’utile aziendale.

Quando si può applicare il modello del break even point? Le ipotesi speci che alla base del
break even point sono:

• che vi sia identità tra quantità prodotta e venduta;

• che il prezzo unitario di vendita rimanga costante qualunque sia la quantità venduta;

• che i costi variabili siano proporzionali

• che la produzione sia omogenea nel tempo e nello spazio;

• che si trascuri ogni riferimento qualitativo della produzione;

• che i costi ssi rimangano assolutamente invariati;

• che i valori di costo e di prezzo previsti assumano “condizione di certezza”;

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• che la capacità massima degli impianti sia individuata.

Collegamento del punto di pareggio con l’auto nanziamento:

Q2 corrisponde al break even point (da Q2 a +∞ ho un utile)

In Q1 i ricavi sono intersecati ai costi nanziari e ammortamenti: l’azienda è in perdita, ma c’è


l’autogenerazione del capitale.

In Q0 i ricavi sono intersecati ai costi nanziari: l’azienda è in perdita, riesce a coprire solo i costi
monetari. È nell’area dell’auto nanziamento, può sopravvivere nel breve periodo.

Q0 è il punto di fuga.

Il punto di fuga indica la condizione minima essenziale di permanenza in un settore in cui già si
opera. Nella determinazione del punto di fuga è importante suddividere i costi di competenza in:

• Monetari ( nanziari): costi a cui corrisponde un’uscita di denaro durante l’anno (materie prime);

• Non monetari (non nanziari): costi a cui non corrisponde un’uscita nanziaria durante l’anno,
come: Ammortamento: costo che non genera uscita; Costi futuri presunti: non ho certezza
(rateo in senso lato); Perdite future presunte: non ho certezza.

Il punto di fuga si ha allora quando l’azienda è in pareggio solo dei costi monetari (uscite durante
l’anno), per cui è ancora in grado di auto nanziarsi. Fino a che si è nel punto di fuga, si può
rimanere nel settore, altrimenti bisogna uscire.

Un’azienda che non ha utili, che è in perdita, può auto nanziarsi?

L’azienda pur essendo in perdita riesce ad auto nanziarsi quando si trova nel punto di fuga, ossia
quando riesce a ricoprire i costi monetari.

Come si fa a dire che un’azienda si sta auto nanziando?

Un’azienda si auto nanzia se ha un bilancio equilibrato, ha quindi un prezzo remuneratore che gli
permette di avere un utile che non restituisce interamente ai soci, ma che reinveste in azienda per
auto nanziarsi.

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Equilibrio
L’equilibrio economico è l’obiettivo massimo a cui ogni azienda tende, il quale pur
essendo irraggiungibile, rappresenta una linea guida, una tendenza per l’azienda.
L’equilibrio economico è dato dall’insieme di tre equilibri:

- Equilibrio reddituale: è l’equilibrio tra costi e ricavi;

- Equilibrio nanziario (di cassa): è l’equilibrio tra entrate e uscite di denaro (le entrate
devono essere sempre maggiori-uguali delle uscite);

- Equilibrio sociale: è l’equilibrio sul piano immateriale, ovvero tra le persone nella
società, è il più di cile ma anche il più importante da raggiungere.

Mentre gli equilibri reddituale e nanziario si possono quanti care, misurare, l'equilibrio
sociale no, però quest’ultimo è fondamentale perché permette all'azienda di vivere anche
nei periodi di crisi.

L'equilibrio sociale fa riferimento alla responsabilità sociale dell'azienda, l'azienda nasce


per produrre ricchezza, creare valore, però deve farlo in modo responsabile, ovvero deve
soddisfare i propri bisogni e quelli umani rispettando l'ambiente che lo circonda, quindi
non deve inquinare, deve utilizzare risorse riciclabili, non deve sprecare, ecc…

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