gennaio / january 2022

1064

Sert & Miró

periodico mensile Data di uscita 05/01/2022

In 2022, can we accept:

denial of the character of places and eras?
denial of the invention of new arts and pleasures of life?
denial of the social role of artist-poets and their visions?

Jean Nouvel guest editor 2022

TOTAL BIGLASS
Porta Total Biglass con cerniera a bilico. Anta con vetro trasparente
e profili metallici in finitura Brown. Boiserie modello Onda, finitura
Rovere terra. Boiserie in vetro effetto marmo Borghini Grey. www.garofoli.com
 C.A.M.
COMPLIANT

Sopra solo cielo. Sotto solo Isotec.

ISOTEC consente di realizzare coperture isolate e ventilate, con tutti i tipi
di struttura portante ed è compatibile con qualsiasi rivestimento, dalle
tradizionali tegole alle più moderne soluzioni continue in metallo. Il tutto con
la massima efficienza energetica ed un’eccezionale rapidità di posa.
Anche nella soluzione Isotec Parete per facciate isolate e ventilate.

isotec.brianzaplastica.it
Resta sempre
aggiornato
sui progetti
e sui temi
più innovativi
dell’architettura,
del design
e dell’arte
contemporanea.
Abbonati a
Domus.
 Offerta abbonamento
Dal 1928 Domus è il punto di riferimento per l’architettura, il design e l’arte
contemporanea. Abbonati a Domus scegliendo la formula che preferisci.

Abbonamento cartaceo Abbonamento

con digitale in omaggio digitale
gennaio / january 2022
1064

Sert & Miró

1064
Sert & Miró

we accept:
th character of places and eras? In 2022, can we accept:
of th invention of new arts and pleasures of life? denial o character of places and eras?
d iai invention of new arts and pleasures of life?
l of th social role of artist poets and their visions? en al off
deni
denial soc al role of a tist poets and their visions?

Jean Nouvel guest ed tor 2022

Offerta 1 anno professionisti Offerta digitale 1 anno

SCONTO SCONTO
A soli € 72,00 + € 2,90 di spese
s di spedizione A soli € 42,99
anzichè € 110 0 35% anzichè € 65,89
65 89 35%
Offerta 1 anno studenti Offerta
ta digitale 3 mesi
SCONTO SCONTO
A soli € 66,00 + € 2,90 di spese di spedizione A soli € 14,99
anzichè € 1110,00
10 00
40% anzichè € 17,9
97 17%

Per attivare l’abbonamento:

shoped.it/domus
Oppure chiama il nostro numero 02-56568800* (lunedì - venerdì h. 9:00 - 18:00)

Empowering inspirational thinkers. Since 1928.

*Numero telefonico di rete fissa nazionale. I costi della chiamata dipendono dal gestore e dal piano tariffario.
Tutti i prezzi sono IVA inclusa. Lo sconto è computato sul prezzo di copertina al lordo delle offerte promozionali edicola. La presente offerta, in conformità con l’art.45 e ss.
del codice del consumo, è formulata da Editoriale Domus Spa. Puoi recedere entro 14 giorni dalla ricezione del primo numero. Per maggiori informazioni visita www.shoped.it/cga
Stay up to date
with the key
trends
and most
innovative
designs
in contemporary
architecture,
design and art.
Subscribe to
Domus.
 Subscription Offer
Since 1928 Domus has set a benchmark for architecture, design
and contemporary art. Select now your Domus subscription.

Print + Digital subscription Digital subscription

genna o / january 2022
1064

Sert & Miró

1064
Sert & Miró

, a we accept:
th character of places and eras?
an we accept:
th invention of new arts and pleasures of life? In 2
den f hhe character of pl ?
l off th social role of artist poets and their visions? d n
dee
he invention of ne
f th
social role
f e soc ar
l off a
ea
nd t
fi ?
s?

74

Jean Nouvel guest ed tor 2022

1 year 1 year
only € 72.00 only € 42.99

+ Shipping charges: 3 months

+ 72.00 € Ordinary Mail - Worldwide
+ 117.00 € Priority Mail - Europe, Mediterranean Countries
only € 14.99
+ 127.00 € Priority Mail - Africa, America, Asia
+ 137.00 € Priority Mail - Oceania

To start your subscription

visit shoped.it/en/domus
dial: +39.02.82472529 (Monday-Friday 9:00 am - 1:00 pm, 2:00 pm - 5.00 pm)

Empowering inspirational thinkers. Since 1928.

All prices are inclusive of VAT. The discount is calculated based on the cover price before retail promotional offers. This offer, in compliance with art.45 and subsequent articles of the Consumer
Code, is formulated by Editoriale Domus Spa. You may withdraw from the offer within 14 days of receipt of the first issue. For further information, please visit www.shoped.it/cga/en
D ol ce Sti l N o v o

www. sm e g. i t
SNOWGEMS
design (a+b) Annalisa Dominoni, Benedetto Quaquaro
Sound-absorbing element

www.caimi.com
Gennaio 2022 /
January 2022 Diario
Direttore editoriale / Editorial director Walter Mariotti
A cura di / Presented by Elena Sommariva

Giulia Ricci Punti di vista / Points of view. Philippe Rahm, Irénée Scalbert II

Alberto Mingardi Private equity. La torre Pirelli e la stazione di Milano / The Pirelli tower and Milan station III
WM, GR, ES Letture / Good reads IV

Manuel Orazi Editori / Publishers. Lars Müller, Zurigo / Zurich V

Valentina Petrucci Influssi / Influences. Michele De Lucchi VI

Ugo La Pietra Opinioni / Opinions. I luoghi dell’attesa / Waiting spaces VII

Francesco Franchi Grafica / Graphics. Vale si stampi! / Worth printing VIII
Francesca Sisci Condivisione / Sharing. Carlana Mezzalira Pentimalli, Bressanone IX

Paul Smith Luoghi comuni / Common places. Bambù / Bamboo X

Loredana Mascheroni Giardini / Gardens. Davide Vargas, Napoli / Naples XI

Alessandro Benetti Aniconico / Non-iconic. Pasztori Simons Architekten, Berlino / Berlin XII
Elena Sommariva Bambini / Kids. Aisaka Architects’ Atelier, Tokyo XIII
Silvana Annicchiarico Talenti / Talents. Sarah Hossli XIV

Antonio Armano Storie di aziende / Company stories. Talenti, Amelia, Umbria XV

Alessandro Benetti Sostenibilità / Sustainability. Giuseppe Chigiotti, Grosseto XVII

Massimo Valz-Gris Negozi / Shops. Fortuny, Venezia / Venice XVIII

ES Anniversari / Anniversaries. G.T.Design XIX
LM Ospitalità / Hospitality. Atsushi Suzuki, Taki, Giappone / Japan XX

Valentina Petrucci Mostre / Exhibitions. Mika Ninagawa, Van Cleef & Arpels, Parigi / Paris XXI

Cristina Moro Mnemosine. Storie di oggetti / Stories of objects. Paolo Rizzatto, Flos XXII
Andrea Bajani Case d’altri / Others’ houses. Genova è un cocker che apre le ali / XXIII
Genoa is a cocker spaniel flapping its wings

Inserti / Inserts
Massimo Valz-Gris Domusforum. The future of cities, 4th edition XXV

Rassegna

Giulia Guzzini Sistemi e complementi / Systems and accessories XXXVII

Marziani / Martians
Walter Mariotti Geminello Alvi XLVIII

A destra: Ugo La Pietra,

Gazebo urbano. Acquerello
su carta, 2020. Dalla serie
Luoghi di decompressione
per la città. © Ugo La Pietra,
courtesy of Archivio
Ugo La Pietra, Milano
(vedi pagina VII)

• Right: Ugo La Pietra,

Gazebo urbano.
Watercolour on paper,
2020. From the series
Luoghi di decompressione
per la città. © Ugo La Pietra,
courtesy of Archivio Ugo La
Pietra, Milan (see page VII)
II DIARIO
Punti di vista / Points of view Testo / Text
Giulia Ricci
Come integrare la natura nel
linguaggio dell’architettura?
Architettura e natura sono spesso legate da una Philippe Rahm La nostra condizione
relazione antitetica. Una revisione di questo rapporto è materiale è oggi la natura, è il motore del
cambiamento: l’infrastruttura, come la
stata però innescata dalla crisi climatica, fenomeno a chiamava Karl Marx. La sovrastruttura –
cui la professione sta dando risposte difformi, talvolta le idee culturali, estetiche e spirituali – è
limitate a soluzioni tecniche. Il confronto fra Rahm e conseguente. Dalla fine del XIX secolo,
i combustibili fossili hanno permesso
Scalbert approfondisce il tema da posizioni diverse all’umanità di produrre una quantità di
energia senza precedenti. A inventare
Architecture and nature often come into conflict i grattacieli non è stato Louis Sullivan,
ma il carbone e il petrolio. L’attuale
in the design culture. However, a reconsideration crisi ecologica ci ha messo di fronte
of this relationship was triggered by the climate crisis, a una nuova ‘infrastruttura’ con meno
a phenomenon to which the profession has offered energia; di conseguenza, le forme degli
varying responses, at times limited to technical edifici stanno cambiando. Consapevoli
della grande quantità di emissioni
solutions. Rahm and Scalbert analyse the topic di CO2 causate dalla produzione di
starting from different positions cemento, usiamo più legno e pietra. Il
riscaldamento globale sta sconvolgendo
la politica e l’estetica del XXI secolo.
Irénée Scalbert Philippe Rahm Irénée Scalbert I media e il pubblico
è un critico e storico ha fondato lo studio Philippe riconoscono la natura come nuovo
dell’architettura di base a Rahm architects nel 2014.
Londra. Ha insegnato presso la Nel 2020 ha curato la mostra
contesto, ma gli architetti non sono
AA School of architecture dal “Natural History of Architecture” ancora riusciti ad ampliare il loro.
1989 al 2006 e dal 2019. al Pavillon de l’Arsenal di Parigi. Consideriamo ancora la città come un
artefatto prevalentemente minerale e
• Scalbert is an architectural • Rahm founded Philippe Rahm
antropico. Il naturalista R.S.R. Fitter, nella
critic and historian based in architects in 2014.
London. He taught at the AA In 2020, he curated the sua London’s Natural History (1945), ha
School of architecture from exhibition “Natural History of mostrato, per primo, quanto ampia fosse
1989 to 2006 and resumed Architecture” at the Pavillon de la presenza di specie non umane nella
teaching there in 2019. l’Arsenal in Paris.
città. Gli architetti stanno a poco a poco
interiorizzando questa prospettiva, per
includere la natura nel progetto. Per
esempio, nel 2015 Tom Emerson e i suoi
studenti hanno trasformato un terreno
del campus dell’ETH di Zurigo in un
giardino, inserendo così il giardinaggio
nella formazione architettonica.
PR Quello che cerco di fare è integrare
le scienze del clima nell’architettura.
Il problema principale a cui le città si
stanno adattando sono le ondate di
calore: il consigliere di Stato di Ginevra
Antonio Hodgers ha contribuito alla
trasformazione urbana con una ricerca
sui modelli mediterranei. L’urbanistica
implica una pianificazione climatica.
Sistemi e materiali passivi devono quindi
essere parte del nostro strumentario.
IS L’architettura ‘fisiologica’ e ‘verde’ è
indispensabile per il cambiamento, ma
non sufficiente: si concentra solo su
metodi analitici, con un’impostazione
nata nel XX secolo. Nei Fondamenti
di ecologia (1971) di Eugene Odum, il
biologo descrive uno stagno come un
sistema energetico ciclico e chiuso.
Contrapporrei il suo punto di vista a
quello di Henry David Thoreau che in
Walden (1854) racconta due anni di vita
autosufficiente in riva a uno stagno.
Solo così comprende la complessità
di quell’ecosistema. L’ecologia può
non essere la disciplina giusta per gli
architetti, perché le questioni ambientali
hanno una scala geografica.
domus 1064 Gennaio January 2022
Illustrazione / Illustration
Anna Sutor
PR Veniamo da un’epoca in cui il progetto
non è stato governato dalla scienza, ci
siamo concentrati su una dimensione
sovrastrutturale. Gli architetti devono
recuperare la conoscenza scientifica
perduta da tempo, senza dimenticare
che da lì proviene anche la dimensione
culturale. I cinque principi di Verso una
architettura di Le Corbusier erano
una diretta conseguenza dell’uso del
calcestruzzo: il che dimostra che non si
possono separare condizioni naturali
ed estetica o si rischia di guardare solo
agli aspetti formali, come hanno fatto i
Postmodernisti.
IS L’adeguamento tecnico del modo
di costruire è già in atto. Ben prima che
cominciassimo a preoccuparci delle
emissioni di CO2, Le Corbusier era stato
elogiato per avere fatto uso di metodi di
condizionamento passivo a Chandigarh,
dimostrando una precoce sensibilità per
il clima e per il luogo. Non mi ha sorpreso,
quindi, trovare suoi disegni nell’opera di
un geografo, Pierre Deffontaines. Gran
parte della Carta di Atene (1933), cui
Le Corbusier diede il suo contributo,
mostra l’influenza dei geografi e, più in
particolare, quello della scuola francese
della geografia antropica.
PR Dalle ville del Palladio alle
ristrutturazioni parigine di Georges-
Eugène Haussmann, l’architettura ha
seguito soprattutto principi igienici. Alla
metà del XX secolo, gli antibiotici e i
vaccini hanno aumentato l’aspettativa
di vita, permettendoci di ‘dimenticare’ la
natura. Un relativo benessere ha dato
origine allo strutturalismo francese,
concentrato sulla sovrastruttura. In
architettura questo si è tradotto nel
Postmodernismo, che ha cancellato
ogni elemento naturale dal linguaggio
costruttivo. L’attuale crisi ambientale ci
riporta, invece, di nuovo all’infrastruttura.
IS Insisto sul fatto che dobbiamo
articolare il rapporto tra architettura e
natura al di là delle questioni tecniche o
fisiologiche. Gli architetti che l’hanno fatto
s’ispiravano a figure di riferimento: Jean-
Jacques Rousseau influì su Marc-Antoine
Laugier, Johann Wolfgang von Goethe su
Karl Friedrich Schinkel, John Ruskin sul
movimento Arts and Crafts, Ralph Waldo
Emerson su Frank Lloyd Wright. Oggi, i
progettisti hanno bisogno di visionari in
grado di interpretare la natura. Leggono
Bruno Latour e Philippe Descola, ma
questi ultimi sono in grado d’ispirarli verso
un tipo di architettura più adeguato?
PR Credo che oggi il nostro riferimento
debba essere l’Intergovernmental
Panel on Climate Change (IPCC),
che sta trasformando il modo in cui
progettiamo gli edifici.
domus 1064 Gennaio January 2022
Incorporating nature into
architectural design
Philippe Rahm Nature is today’s
material condition and the engine of
change is the material condition, the
“infrastructure” as Karl Marx said. The
“superstructure” – cultural, aesthetic and
spiritual ideas – follows on behind. Fossil
fuels have enabled humanity to produce
an unprecedented quantity of energy.
It was not Louis Sullivan who invented
the skyscraper but coal and oil. Today’s
eco-crisis imposes a new “infrastructure”
using less energy and the material and
forms of our buildings are changing.
Given the CO2 emission, wood and stone
are taking the place of concrete. Global
warming is shaking up 21st-century
politics and aesthetics.
Irénée Scalbert The media and
public see nature as the new context
but architects haven’t broadened
their view. We still see the city as a
predominantly mineral and man-made
artifact. In London’s Natural History
(1945), naturalist R.S.R. Fitter showed how
many non-human species exist in the
city. Architects are slowly absorbing this
and seeking ways to include the natural
world in architectural design. In 2015, Tom
Emerson turned a piece of land on the
ETH campus in Zurich into a garden with
his students and gardening became an
integral part of learning architecture.
PR Today’s interest in nature stems from
the scientific fact of global warming. I
want to integrate climate sciences into
architecture. Looking at the phenomenon
on an urban scale, heatwaves are the
main problem and cities are adapting.
The State councillor of Geneva
Antonio Hodgers gave new impetus to
urban transformation by researching
Mediterranean models. Urbanism entails
climatic planning, passive systems and
materials are part of our toolkit.
IS “Physiological” and “green” architecture
are necessary for this shift but they tend
to focus on analytical methods,
an approach rooted in 20th-century
ecology. Take Eugene Odum’s
Fundamentals of Ecology (1971).
Odum describes a pond as purely
a cyclical, closed-energy system.
I would contrast his view with that of
Henry David Thoreau who, in Walden
(1854), narrates two years lived in near
self-sufficiency beside a pond where he
found not just an ecosystem but a whole
life unfolding around it. In other words, we
need more components.
Ecology may not be the right discipline
for architects because it describes
nature on a species scale whereas
environmental issues, such as
geography, embrace everything from the
whole Earth to the tiny local detail.
PR We do not come from a period of
science-dominated design as we have
concentrated more on a superstructural
dimension. Architects must regain
the scientific knowledge lost for too
long, without forgetting that cultural
dimensions largely come from it. Le
Corbusier’s Five points of architecture
are a consequence of concrete,
demonstrating that we cannot separate
the material conditions from the
aesthetics. If we do, we risk considering
only the formal aspects, as the post-
modernists did.
IS A technical adaptation of the way
we build is already happening. Long
before we began worrying about CO2
emissions, Le Corbusier was praised
for using passive cooling methods in
Chandigarh. He showed a precocious
sensitivity to climate and location,
and it came as no surprise to me to
find his designs featured in a work by
a geographer, Pierre Deffontaines.
Much of the Athens Charter to which
Le Corbusier contributed reveals
the influence of geographers, most
particularly that of the French school of
human geography.
PR From Palladio’s villas to Haussmann’s
renovations in Paris, architecture was
primarily informed by health issues. In
the mid-20th century, antibiotics and
vaccines increased life expectancy,
allowing us to “forget” about nature. A
certain abundance gave rise to French
Structuralism, which concentrated on
superstructure. Postmodernism arrived
and all the natural elements disappeared
from the vocabulary of architecture. The
current environmental crisis forces us to
think about infrastructure again.
IS I insist that we have to articulate the
relationship between architecture and
nature beyond technical or physiological
matters. Architects who did so in history
were guided by “mentors”: Jean-Jacques
Rousseau had an impact on Marc-
Antoine Laugier, Johann Wolfgang von
Goethe on Karl Friedrich Schinkel, John
Ruskin on the Arts and Crafts movement
and Ralph Waldo Emerson on Frank
Lloyd Wright. Today, architects long for
visionaries who can interpret nature to
their benefit. They sometimes read Bruno
Latour and Philippe Descola, but will
these authors inspire to make a different,
more appropriate kind of architecture?
PR I think our mentor today is the
Intergovernmental Panel on Climate
Change, as it is profoundly transforming
the way we design buildings.
Private equity
La torre Pirelli e la stazione di Milano /
The Pirelli tower and Milan station
Le liberaldemocrazie non conoscono
glorie monumentali, sono aride, non
sfiorano un’idea di grandezza. L’unica
idea di bellezza risiede nel privato di
una casa protetta da occhi indiscreti.
Già de Tocqueville pensava che la
democrazia americana fosse segnata
da un’invincibile mediocrità, ormai è
un luogo comune. Ci sono eccezioni
a questa presunta regola. Architetture
che non solo si stagliano negli spazi
pubblici, ma spiccano nell’immaginario.
Il grattacielo Pirelli dialoga a modo suo
con la Stazione Centrale di Milano.
Quest’ultima accoglie il viaggiatore
con generosi richiami all’architettura
romana, quasi dovesse rassicurarlo
mentre lo conduce alla grande tettoia
sotto cui alloggiano le evoluzioni
contemporanee della più sfacciata
creazione della modernità ottocentesca:
il treno. È l’accoglienza ambivalente di
un’Italia protocapitalista a un’invenzione
d’importazione. Anche il Pirelli era, nelle
intenzioni di Gio Ponti, un’affermazione,
anzi uno ‘slogan’, come ricordava Reyner
Banham nel 1962. Di lato, è una lama che
fende i tempi. Nel suo insieme, colpisce
per l’impressione di essere una scatola
aperta, quando in cima ha per tetto una
copertura che sembra galleggiare nel
vuoto. Lo costruì la donna-simbolo della
Milano imprenditoriale, che aveva i piedi
ben piantati per terra, ma la testa nel
futuro, Anna Bonomi. Lo progettò Ponti,
senza il quale la città non avrebbe mai
conosciuto il significato della parola
designer, ora abusata. Se adesso ospita
alcuni uffici della Regione, nasceva per
la Pirelli. Per costruirlo ci vollero quattro
anni, dal 1956 al 1960. L’anno successivo,
il 1961, il PIL avrebbe visto il suo massimo
aumento annuale, l’8,3 per cento, dopo
aver corso per un decennio attorno al 6.
Il Pirelli è il contrario della retorica della
Stazione Centrale. Non ha bisogno di
giocare con la nostalgia per giustificare
il progresso. Vorrebbe indicarlo, l’ago di
una bussola che punta verso il futuro.
DIARIO III
Testo / Text Alberto Mingardi
• Liberal democracies know no
monumental glories. They are insensitive;
not even by mistake do they hint at
an idea of grandeur. The sole idea of
beauty belonging to their citizens lies
in the privacy of a home sheltered from
indiscreet eyes. De Tocqueville had
already understood that American
democracy was marked by invincible
mediocrity, and by now this is a cliché.
But there are exceptions to this
supposed rule. Architecture that not
only stands out in public spaces, but
especially in our imagination. The Pirelli
skyscraper dialogues, in its own way,
with the Central Station of Milan, which,
in turn, envelops travellers with generous
references to Roman art, almost as if to
reassure them while on their way to the
huge canopy hosting the contemporary
evolution of the boldest creation of
19th-century modernity: the train. It is
the ambivalent embrace of an imported
invention by protocapitalist Italy. The
Pirelli building too was, in the intentions
of Gio Ponti, a statement – actually, a
“slogan”, as Reyner Banham claimed in
1962. Seen in profile, it is a sharp-edged
blade. Overall, it appears like a striking
open box, with a roof that seems to float
in mid-air. It was built by the woman-
symbol of entrepreneurial Milan who
was down to earth and grounded yet her
ideas were way ahead of the times: Anna
Bonomi. It was designed by Ponti, without
whom the city would never have known
the meaning of the word “designer”, now
totally abused and overused.
If today it hosts some Regional offices,
it was built for Pirelli. It took four years
to construct, from 1956 to 1960. The
following year, the GDP would hit an
all-time high, 8.3 percent, after having
stayed at around 6 for a decade. The
Pirelli skyscraper is the opposite of the
Central Station’s rhetoric. No need to
play with nostalgia to justify progress.
It aims to suggest it, the needle of a
compass pointing toward the future.
Photo Franco Ricci / Alamy Foto Stock
IV
V DIARIO
Letture / Good reads
L’architettura
di Milano
Autori / Authors
Marco Biraghi, Adriana Granato
Casa editrice / Publisher
Hoepli
Il libro curato da Marco Biraghi e Adriana
Granato ha il merito di fare venire voglia
di scoprire e riscoprire gli edifici del
capoluogo lombardo (dal Dopoguerra a
oggi) anche ai non addetti ai lavori.
Nel rigore accademico dei testi scritti
da oltre 150 autori per altrettanti edifici,
fotografati dall’olandese Sosthen
Hennekam, L’architettura di Milano offre
una rilettura preziosa dei capolavori di
Gio Ponti, Magistretti e Caccia Dominioni,
per citarne tre. “Un’architettura virtuosa
nel sapersi misurare con ciò che le
preesiste [...]; nel saper parlare una
lingua moderna rispondente allo slancio
progressista dell’epoca”, la definisce
Biraghi. La ricognizione prosegue fino
a oggi, con i progetti di “alcuni degli
architetti più dotati del pianeta”, degli
“allievi degli allievi dei maestri” e, infine,
della generazione più giovane. ES
• This book edited by Marco Biraghi and
Adriana Granato has the merit of making
readers want to (re)discover Milan’s
architecture (from WWII to today), even
non-professionals. In the academic rigour
of the texts written by over 150 authors
on 150 buildings, with pictures by the
Dutch photographer Sosthen Hennekam,
L’architettura di Milano offers a
contextualised reading of masterpieces
by greats such as Gio Ponti, Magistretti
and Caccia Dominioni. “An architecture
that is virtuous in its way of coming to
grips with what already exists […]; and in
its ability to speak a modern language
in response to the progressive thrust
of the epoch,” writes Biraghi. Right up to
today with designs by “some of the most
talented architects on the planet”, by “the
students of the students of masters” and
by the latest generation. ES
Roma 1968
Autore / Author
Ludovico Quaroni
Casa editrice / Publisher
Humboldt Books
“Roma è soprattutto un’atmosfera, una
luce, un clima”, si legge nel testo La
porpora e l’oro. Nel libro che lo contiene,
la capitale è sì raccontata da Ludovico
Quaroni, ma il ritratto che ne emerge
è familiare quanto pulsante di vita.
Un’immagine del 1968 in cui si respira
“il senso monumentale dell’esistenza
del povero diavolo qualsiasi”, valida
ancora oggi. La selezione di fotografie
in bianco e nero non fa altro che
mostrare il sovrapporsi e accostarsi di
strade, baracche, monumenti, cartelloni
pubblicitari, rovine, piante di cappero.
Ogni foto è un elenco di accostamenti
improbabili e contraddittori che pure
colgono nel profondo il carattere della
città che a Quaroni diede i natali, dove
“nello spirito degli uomini e nello spazio
delle architetture è viva, sempre, tutta la
storia di un determinato luogo”. GR
• “Rome is above all an atmosphere,
a light, a climate”: words written in the
text La porpora e l’oro. In the book that
contains it, the capital of Italy is thus
described by Ludovico Quaroni but the
picture that is painted is familiar and
throbbing with life. An image from 1968
that conveys “the monumental sense
of the existence of any poor devil” – true
and valid even today. The selection of
black-and-white photographs clearly
shows the overlapping and pairing of
roads, shacks, monuments, advertising
posters, ruins, caper plants.
Each photo is a list of unlikely and
clashing pairs that nonetheless
profoundly embrace the personality
of the city where Quaroni was born
and where “in people’s spirit and in the
architectural space, all the history of a
given place is alive, always.” GR
La società
chiusa in casa
Autori / Authors
Gilberto Corbellini, Alberto Mingardi
Casa editrice / Publisher
Marsilio
La pandemia di Covid-19 ha stravolto
l’architettura del mondo,
fisica e sociale. Ma a guardarla
con gli occhi dello storico non è così
diversa quelle che l’hanno preceduta.
A cambiare è stata la società
umana, mai così sviluppata e
tecnologicamente avanzata.
Eppure, anche questa società
è stata travolta dalla paura, che ha
scompaginato la razionalità
in quasi tutte le attività umane,
dalla scuola alla sanità. Perché?
Come è potuto succedere?
Procedendo (controcorrente) illuminati
dai valori liberali, Gilberto Corbellini
e Alberto Mingardi s’interrogano
sul rapporto fra comunità umane e
microparassiti, che hanno dialogato
per costruire architetture sociali
aperte. Ma ora? WM
• The Covid-19 pandemic has
overwhelmed the world’s architecture,
both physical and social. But seen
through the eyes of a historian, it is
not so different from what came
before. What has changed is human
society, never so developed and
technologically advanced. Yet,
this society too is overcome by
fear, anxiety, which has unhinged
the rationality of almost all human
activities, from school to healthcare.
But why? How could this have
happened? Proceeding (against
the tide) and enlightened by liberal
values, Gilberto Corbellini and Alberto
Mingardi question the relationship
between human communities
and microparasites, which have
established a dialogue to create open
social architectures. Why now? WM
domus 1064 Gennaio January 2022
The Architecture
of Health
Autori / Authors
Michael P. Murphy, Jeffrey Mansfield
Casa editrice / Publisher
Cooper Hewitt
Michael Murphy e Jeffrey Mansfield,
rispettivamente fondatore e design
director di MASS Design Group,
firmano un libro che, intrecciando
storia, teoria e pratica, ripercorre
le tappe della progettazione delle
strutture sanitarie: da Filarete ad Alvar
Aalto, da Le Corbusier e Louis Kahn
a Paul Rudolph e, ancora, a Florence
Nightingale, fondatrice dell’assistenza
infermieristica moderna. Prendendo
ad esempio le epidemie storiche e le
trasformazioni architettoniche, moderne
e contemporanee, che le hanno
accompagnate, The Architecture of
Health esplora come le infrastrutture
abbiano da sempre reso più facile la
guarigione e soprattutto conferma il
ruolo fondamentale che l’architettura ha
avuto e continuerà ad avere nella co-
struzione delle nostre società. ES
• Michael Murphy and Jeffrey Mansfield,
the founder and design director
of MASS Design Group, respectively,
have written a book, intertwining history,
theory and practice while covering the
stages of healthcare facility design:
from Filarete to Alvar Aalto, from
Le Corbusier and Louis Kahn to
Paul Rudolph and even Florence
Nightingale, the founder of modern-day
nursing assistance.
Analysing the epidemics throughout
history and the architectural
transformations, both modern
and contemporary, which have
accompanied them, The Architecture
of Health explores how infrastructures
have always made healing easier
and above all confirms the fundamental
role architecture played and will continue
to play in building our societies. ES
domus 1064 Gennaio January 2022
Contemporary
Japanese
posters
Autore / Author
Gian Carlo Calza
Casa editrice / Publisher
Skira
Gian Carlo Calza, docente di Storia
dell’arte dell’Asia Orientale all’Università
Ca’ Foscari di Venezia e direttore
dell’International Hokusai Research
Centre, ha messo a punto per Skira il
volume più completo sulla grafica del
manifesto pubblicitario giapponese.
Dal 1955 al 2020, pagina dopo pagina,
i capolavori del passato sono schedati
a fianco dei più interessanti progetti
contemporanei. In 520 pagine, l’autore
commenta 756 manifesti di 85 diversi
graphic designer. Tra questi, ci sono
Kamekura Yūsaku (1915-1997), autore del
logo delle Olimpiadi di Tokyo del 1964, e
Ikko Tanaka (1930-2002) con i suoi celebri
manifesti Nihon Buyo, creato per la UCLA
(1981), e Hiroshima Appeals (1988),
nel quale una colomba bianca si staglia
sullo sfondo di una grigia esplosione
atomica. ES
• Gian Carlo Calza, professor of Art
History of East Asia at the Università
Ca’ Foscari in Venice and director of
the International Hokusai Research
Centre, has recently edited for Skira
the most authoritative and complete
publication to date on Japanese
advertising posters. From 1955 to
2020, page after page, masterpieces
from the past are presented alongside
the most interesting and innovative
contemporary designs. In 520 pages,
the author comments on 756 posters
by 85 different graphic designers. These
include Kamekura Yūsaku (1915-1997),
creator of the 1964 Tokyo Olympics logo,
and Ikko Tanaka (1930-2002) with his
legendary Nihon Buyo posters, made
for UCLA (1981) and Hiroshima Appeals
(1988), where a white dove stands out
against a grey atomic explosion. ES
Glossary
of Undisciplined
Design
Authors
/A h
Anja Kaiser, Rebecca Stephany
Casa editrice / Publisher
Spector Books
Come il vocabolario raccoglie le parole
di una lingua, così il volumetto curato
da Anja Kaiser e Rebecca Stephany,
designer, attiviste e docenti, definisce
per lemmi le regole e i modi del
graphic design. La loro non è un’opera
enciclopedica, ma piuttosto il tentativo
di offrire strumenti di lettura molteplici,
aperti all’interpretazione e pronti a
innescare un dibattito. Cinquantadue
voci in tutto – dalla A di Accomplices
(‘complici’) alla U di Unstable signs (“segni
instabili”) – prendono in considerazione
libri, oggetti, persone e istituzioni
raccontati da 20 autori (designer,
educatori e teorici). Come tutti i glossari,
offre il grande vantaggio della libertà: di
cominciare dove si vuole, di concentrarsi
sulle definizioni che si preferiscono e di
prenderle come punto di partenza per
altri viaggi. ES
• Just as a dictionary gathers the
words of a language, this book edited
by Anja Kaiser and Rebecca Stephany
– designers, activists and professors
– uses entries to define the rules and
modalities of graphic design. Theirs is
not an encyclopaedic work but rather
an attempt to offer multiple reading
tools, open to interpretation and ready
to trigger debate and discussion.
Fifty-two entries in total – from the A in
Accomplices to the U in Unstable Signs
– take into consideration books, objects,
people, biographies and institutions
narrated by 20 authors (designers and
teachers, activists and theorists). As
with all glossaries, it offers the major
advantage of freedom: beginning
wherever the reader wishes, focusing on
preferred definitions and gathering food
for thought for other journeys. ES
Publishers
Lars Müller, Zurigo / Zurich
“Dico di no al 99 per cento delle
proposte e, quando ho iniziato, questo
mi terrorizzava”. Risponde da Zurigo
Lars Müller, nato in Norvegia, ma
presto insediatosi in Svizzera, con un
fondamentale anno di formazione ad
Amsterdam nello studio grafico di Wim
Crouwel, che gli fece notare come i libri
siano l’unica forma di stampa disegnata
che resiste nel tempo. Da quando ha
iniziato nel 1983, disegnando lui stesso il
primo libro, non ha più smesso.
Come descrive il lavoro dell’editore?
Il punto centrale è l’editing: dobbiamo
recuperare l’attenzione delle giovani
generazioni, distratte dal flusso
frammentario d’informazioni della
Rete. L’editore trasforma i contenuti
selezionandoli e strutturandoli, il nostro
lavoro è creare un ordine rimanendo
sempre sullo sfondo, in secondo piano.
Come costruisce il suo catalogo?
Ci sono tre insiemi: il primo è quello
dei titoli che voglio fare non solo per
interesse, ma soprattutto per imparare;
poi quelli che nascono interagendo con
qualcuno, per esempio andando a cena
insieme; infine, le segnalazioni di amici
compatibili con i miei programmi. Il vero
limite è la capacità di controllo: oltre i 30
libri all’anno temo che si perda.
I libri più difficili da realizzare?
Diversi: Zaha Hadid, Steven Holl, Peter
Eisenman. Ho pubblicato il primo di Peter
Zumthor quando stava diventando
una personalità pubblica, il che solleva
sempre il problema della ridefinizione
della propria identità, sollevando conflitti.
Mi diede molta visibilità come editore, ma
fu molto difficile.
Un progetto cui tiene per il 2022?
Dal Covid-19, cerco di prendere ogni
decisione all’ultimo, per cui ho molti
libri fermi da quasi un anno. Mohsen
Mostafavi, per esempio, ha terminato
un lungo studio sul colore nero in
architettura, da uno spunto dello storico
dell’arte Max Raphael, con un testo di
Peter Märkli.
DIARIO V
Testo / Text Manuel Orazi
• “I turn down 99 percent of proposals
and, when I started out, this terrorised
me,” Lars Müller responds from Zurich.
He was born in Norway but soon after
moved to Switzerland, with a crucial
year of training in Amsterdam in the
graphic design studio of Wim Crouwel,
who taught him how books are the only
form of designed print that lasts over
time. Since he began in 1983, when he
designed his first book, he has never
stopped.
A description of a publisher’s job?
The focus is on editing: we have to
win back the attention of younger
generations, distracted by the flow of
information on the web. A publisher
transforms the contents by selecting
and structuring them; our job is to create
an order by always remaining in the
background, never in the foreground.
How do you build your catalogue?
There are three groups: the first
concerns the titles I want to create,
not only out of interest but to learn
something above all; then those that
come from interacting with someone,
for example, by having dinner together;
finally, the recommendation of friends
compatible with my programme. The
real limit is the ability to control things: I’m
afraid we lose over 30 books each year.
The hardest books to make?
Various kinds: Zaha Hadid, Steven Holl,
Peter Eisenman. I published the first on
Peter Zumthor when he was becoming
a public figure, which always raises the
problem of redefining one’s own identity,
thus causing conflicts. I gained a lot of
publicity as a publisher but it was hard.
A project you’re looking forward to?
Since Covid-19, I try to make my
decisions last minute and so I’ve put a
lot of books on the back burner this past
year. Mohsen Mostafavi, for example,
finished a long study on the colour black
in architecture, based on an idea by the
art historian Max Raphael, with an essay
by Peter Märkli.
Photo Andri Pol
VI DIARIO
Influssi / Influences
Michele De Lucchi: “Il bello dell’arte
è che ti mette a repentaglio”
© Estroick Collection / Bridgeman Images
“I confini tra design, design degli interni,
architettura degli interni, degli esterni
e architettura del paesaggio
sono tutti molto labili. In realtà,
preferirei non considerarli confini,
come non considererei confine quello
tra l’arte e l’architettura”.
Parla liberamente Michele De Lucchi,
designer e architetto che non ha
bisogno di presentazioni, soprattutto
a Domus di cui è stato guest editor nel
2018. “Vitruvio diceva che l’architettura
è la madre di tutte le arti, non perché
fosse la più importante, ma perché
doveva contemplare tutte le arti
nel suo insieme. Lo diceva pensando
alla scultura, alla pittura, a tutte le arti
figurative: dovevano essere integrate
nell’architettura, un’idea
che mi sembra ancora fondamentale”.
Anche De Lucchi, infatti, dialoga da
sempre con la pittura.
“In tutta la mia storia professionale
sono tornato regolarmente davanti
ai quadri di Giorgio Morandi.
Fra tutti, è il pittore che più mi ha
influenzato, che è stato nei miei
pensieri con maggiore coerenza.
Morandi era un solitario, un
indipendente, non seguiva le tendenze
o gli stili del momento. Aveva una
sua ricerca, un proprio impegno, un
commitment con se stesso.
Questo è il bello dell’arte, che ti mette
a repentaglio, mette a repentaglio te
stesso con te stesso, cioè sei tu stesso
il giudice di ciò che fai. Ai grandi artisti
non importa se qualcuno dice:
‘No, è troppo chiaro, troppo scuro,
mi piace più rosa, più violetto’.
Non gliene frega niente.
L’artista ha un obiettivo in testa
e lo persegue. Punto. Ecco, questa
tipologia d’artista mi sembra molto
ben rappresentata dalla figura di
Giorgio Morandi, dal suo lavoro,
dalla sua personalità di uomo.
Dedicare tutta la vita a scoprire
la poesia, la sorpresa, la meraviglia
che c’è in tre bottiglie disposte sopra
una mensola mi sembra un gesto
estremamente eroico.
Photo Giovanni Gastel
L’arte ha al suo interno una qualità
di eroismo, basta pensare alle saliere
di Benvenuto Cellini o alla volta
di Michelangelo. C’è un eroismo in
quelle cose, che nessun altro mestiere
può mettere in campo. Un eroismo con
te stesso, sia chiaro, di te che dedichi
tutto al tuo ideale, alla certezza che
esiste una verità maggiore della quale
ti fai interprete.
Per l’artista, è importante difendere
la propria identità, la propria
personalità, il proprio lavoro.
Noi designer progettiamo per gli altri,
abbiamo nel mercato il giudice
del nostro lavoro, l’artista no.
Fa tutto per sé e solo per sé.
La differenza, in fondo, è tutta qui”.
Testo / Text Valentina Petrucci
In alto: Natura morta con brocche
di Giorgio Morandi, 1956. Incisione.
Giorgio Morandi (1890-1964) è l’artista
che più di tutti ha influenzato
Michele De Lucchi (sopra)
• Top: Still Life with Jugs by Giorgio
Morandi, 1956. Etching.
Giorgio Morandi (1890-1964)
is the artist who most of all influenced
Michele De Lucchi (above)
domus 1064 Gennaio January 2022
Michele De Lucchi:
“The beauty of art is that
it puts you in jeopardy”
“The boundaries between design,
interior design, interior architecture,
exterior architecture and landscape
architecture all keep shifting. In fact
I would prefer not to see them as
boundaries, just as I would not consider
that between art and architecture
a boundary.”
Michele De Lucchi, designer
and architect who needs no
introduction, speaks his mind freely,
especially to Domus where he was
guest editor in 2018.
“Vitruvius said that architecture is the
mother of all the arts, not because it
is the most important but because it
has to embrace all the arts. He said
it thinking that sculpture, painting, all
the figurative arts were embodied in
architecture, an idea that still strikes
me as fundamental.” De Lucchi himself
has always engaged in a dialogue with
painting. “Throughout my professional
history I have regularly returned to
Giorgio Morandi’s paintings. Of all of
the painters, he is the one who most
influenced me, who’s been most
consistently in my thoughts.
Morandi was a loner, an independent.
He never followed the trends
or the styles of the moment.
He had his own field of research, his
own task, a commitment to himself.
This is the beauty of art, which imperils
you, puts you in jeopardy, meaning
you are the sole judge of what you do.
A great artist doesn’t care whether
someone says, “No, it’s too light, it’s
too dark. I want it pinker, I want it more
violet.” They don’t give a damn. An
artist has a goal in mind and pursues
it. Nothing else. I feel this type of artist
is very clearly represented by Giorgio
Morandi, by his work, by his personality
as a man. Devoting his whole life to
discovering the poetry, the surprise,
the wonder in three bottles arranged
on a shelf seems an extremely heroic
gesture. Art has within it a quality
of heroism. Just think of Benvenuto
Cellini’s salt cellars or Michelangelo’s
dome. There’s a heroism in these things
that no other profession attains.
A heroism towards yourself, clearly,
when you devote everything to your
ideal, to the certainty that there is a
greater truth that you can interpret.
To the artist it’s important to defend his
identity, his personality, his work.
As designers we design for others,
the judge of our work is the market,
but not the artist.
He does everything for himself and only
for himself. The difference, after all, lies
simply in this.”
domus 1064 Gennaio January 2022 DIARIO VII

Testo / Text Ugo La Pietra

Opinioni / Opinions

I luoghi dell’attesa

La nostra vita, individuale e collettiva, Waiting spaces

W
è costantemente caratterizzata dalla
categoria dell’attesa, un fatto non O lives, individual and collective,
Our
solo mentale, ma anche fisico, legato are constantly characterised by the
a
cioè a luoghi veri e propri. Le strutture c
category of waiting – something that is
dell’attesa fanno parte del nostro n
not only mental but also physical,
territorio abitativo e molte attività that is, related to real places.
sono organizzate attraverso di esse. Structures used for waiting are part
S
Scaricate da qualsiasi intenzionalità of our inhabited landscape and many
o
progettuale, sono quasi sempre spazi a
activities are organised around them.
non definiti, lasciati a se stessi, scarichi di E
Emptied of all and any design intent, they
progettualità, ma carichi di quella tensione a
are almost always non-defined spaces,
urbana che fa sì che ogni luogo, vuoto le eft to their own devices but charged with
o abbandonato, rappresenti, per chi ci that urban tension which allows every
vive intorno, un’opportunità, in relazione sspace – empty or abandoned –
a ciò che si spera possa diventare in to become an opportunity for those
futuro. Il progetto all’interno di un luogo living around them, also in relation to
dell’attesa, a ben guardare, può avere what hopefully can materialise in the
w
diverse soluzioni, addirittura contrastanti. future. An interior designed for waiting
Per esempio, lo spazio dell’attesa can have different functions, even
c
delle stazioni può essere progettato c
contrasting ones. For example, in railway
per distrarre l’individuo dall’attesa del sstations it can be intended to distract
viaggio, impegnandolo in altre attività o, a person waiting to depart, engaging
all’opposto, avere la funzione di introdurre them in other activities or, inversely,
al viaggio. Attesa, poi, vuole dire anche in ntroducing that person to the journey.
momento di sospensione rispetto a Waiting is also a moment of interruption
W
un’attività, per esempio di lavoro o studio. w
with respect to an activity, like working
In questi casi, si può parlare di “luoghi di or studying.
o
decompressione”, in cui il progetto può In n these instances, one can talk about
essere utile ad abbassare la tensione “p places of decompression” where the
e a garantire altri aspetti: ludici, artistici, design can be useful in lowering tension
d
creativi. Il grande quesito è se occorra a
and guaranteeing other aspects:
seguire la tendenza di una società che playful, artistic, creative.
p
vuole vivere assecondando la velocità e TThe main question is whether there is
riducendo al minimo i luoghi dell’attesa, a need to follow the trend of a society
oppure se questi ultimi possono diventare that wants to live giving in to speed and
spazi per consumare esperienze. La reducing places of waiting to a minimum,
panchina, per esempio, è un luogo- or if these can become spaces in which
o
strumento per l’attesa, per la sospensione to consume experiences.
dalle tensioni urbane, ma anche un B
Benches, for example, are a place-mean
‘osservatorio’ e un luogo per il riposo, la that releases urban tension, but also an
contemplazione e lo svago. “o observatory” and a place for relaxing,
Negli ultimi anni, alle grandi attese (per contemplating and leisure.
c
la fine delle emissioni nocive, della O
Over the past years, great expectations
produzione della plastica, delle guerre), (ffrom an end to harmful emissions to
si è aggiunta l’attesa per la fine della the production of plastic, to wars) also
pandemia. Durante le chiusure forzate, le in ncluded an end to the pandemic.
case hanno ritrovato una frequentazione During the lockdowns, people began
D
di cui si era persa la memoria, ognuno ha sspending time at home – a thing that
cercato di costruire rapporti quotidiani had been forgotten. Everyone tried to
h
con gli spazi e gli oggetti. Il balcone, rebuild day-to-day relations with spaces
quello strumento abitativo che, nelle a
and objects. Balconies – an inhabited
g La Pietra,, Milano

mie opere degli anni Settanta, riusciva sspace that, in my works of the 1970s,
a rappresentare il modo di rompere la ssuccessfully represented a way of
barriera tra interno ed esterno, è diventato breaking the barrier between inside and
b
g La Pietra. Courtesyy of Archivio Ugo

uno degli spazi più utili per superare la outside – have become one of the most
o
forzata claustrofobia domestica. u
useful spaces in overcoming imposed
Stiamo aspettando la fine della pandemia, d
domestic claustrophobia.
affidandoci alla teoria che tutto, prima W
We are waiting for the pandemic to end,
o poi, finisce. L’attesa si fa sempre più trusting in the theory that everything,
difficile e faticosa! Intanto, le nostre città ssooner or later, comes to a close. Waiting
si sono trasformate in un “ristorante iss increasingly harder and difficult!
© Ugo

a cielo aperto”, nuova condizione di Inn the meantime, our cities have become
“luogo dell’attesa”, a cui ne seguiranno “oopen-air restaurants”, a new form of
altri: attrezzati per attività individuali e waiting space, which will be followed by
collettive, pensati in modo da proteggerci Sopra: Ugo La Pietra, Aspettando il parco • Above: Ugo La Pietra, Waiting for the others: equipped for individual and group
urbano, due gazebi urbani dedicati urban park, two urban gazebos given over
o, ancora, per accogliere nuovi modelli di alla natura. Acquerello su carta, 2020. to nature. Watercolour on paper, 2020.
activities, conceived to protect us and to
comportamento, rinnovando i tradizionali Dalla serie di progetti: Luoghi di From the series of projects: host new behavioural models, renewing
parametri della prossemica. decompressione per la città Decompression places for the city the traditional standards of proxemics.
VIII DIARIO
Grafica / Graphics
Vale si stampi!
In ques W ekendavisen
k d i è un
settimanale danese a dorsi separati,
raffinato e ingegnoso, curato nei minimi
dettagli. Fondato nel 1749, è stato
riprogettato nel 2020. Il nuovo progetto
ha vinto il premio World’s Best Designed
Newspapers, attribuito annualmente dalla
statunitense Society for News Design.
Weekendavisen è una miscela di eredità
e modernità, di avanguardia ed esperienza,
proprio come devono essere le redazioni
contemporanee. Il giornale è audace,
ambizioso e spesso ironico grazie anche
alla padronanza dei principi del news design
•This page: W
Thi Weekendavisen
k d i
weekly broadsheet newspaper, refined and
witty, curated down to the tiniest detail.
Founded in 1749, it was redesigned in 2020.
The new project won the World’s Best
Designed Newspapers prize,
awarded each year by the US-based
Society for News Design. Weekendavisen
combines heritage and modernity, the
avant-garde and lived experience, just
as contemporary publications should do.
The newspaper is bold, ambitious and
often ironic thanks also to the successful
news design principles
Testo / Text Francesco Franchi
Stiaamo vivendo la totale abolizione
del confine tra carta e digitale in cui
è neecessario far saltare l’obsoleta
tuteela della “print edition” superando,
perrò, anche l’approccio “digital first”
che e implica che l’edizione cartacea sia
solttanto un succedaneo. Penso al caso
edittoriale del New York Times dove la
prevvalenza dell’online ha trasformato
l’edizione di carta in una specie di playlist
molto curata con il meglio del lavoro
giorrnalistico, confezionato con dedizione
dalla redazione per offrire un’esperienza
di le
ettura consona al prodotto fisico.
Da designer, immagino un giornale (di
carrta o digitale) al pari di un “oggetto
d’usso” quotidiano. Un giornale è infatti
evoocato da una necessità, quella dei
suo oi lettori di essere informati, ed è poi
via via definito nella funzione, disegnato
nel progetto, realizzato nella produzione,
disttribuito come merce, classificato nel
com mportamento di consumo e, infine,
visssuto nell’uso. Il ruolo che spetta al
dessign è quello di arricchire questo
prodotto di uso quotidiano di un’aura
formmale, non artistica, sebbene di natura
estetica, che ne possa accrescere, a
parrità di funzione, il suo valore d’uso (in
qua anto strumento e interfaccia), quello
formmale (esaltandone la capacità di
app parire e il ruolo culturale e sociale), e il
valoore economico. È bene sottolineare
com me il newspaper design debba
risppondere prima a un’estetica della
logica, considerata come un’armonia
derrivante dalla particolare determinazione
del funzionamento e dell’utilità e, solo
suc ccessivamente, a un’estetica della
formma. Entrambe sono da considerarsi
com me criteri di qualità del prodotto,
com me indici di differenziazione e anche
come possibile criterio di successo
commerciale per i media tradizionali
nella mutata società contemporanea.
La percezione degli oggetti passa, infatti,
attraverso la percezione della loro forma,
che non è la semplice configurazione
del loro involucro, ma il linguaggio che li
rende comprensibili nella nostra società.
La confezione di un giornale non è dunque
un packaging che racchiude, avvolge e
protegge il contenuto, ma una forma che
si origina dal contenuto stesso e dalle
idee giornalistiche, comunicando l’identità
di quel giornale e trasformandolo in un
prodotto che i lettori saranno orgogliosi
di esibire, così come altri consumatori si
autodefiniscono attraverso l’accessorio
giusto. Se la stampa è bellezza – ed è
bellezza – allora sarei per cambiare la
regola. Non più “visto, si stampi”, ma “vale,
si stampi”. Stampiamo solo ciò che è
necessario e di valore. Alziamo la qualità
dei giornali di carta. Proprio perché il futuro
davanti a noi si sta configurando come
un business digitale, questo è il momento:
dovremmo pensare a una nuova carta, a
un altro e nuovo mezzo d’informazione.
domus 1064 Gennaio January 2022
Worth printing
We are experiencing the breakdown
of the boundary between paper
and digital in which we must stop
safeguarding the obsolete “print edition”
but also move beyond the “digital first”
approach implying that hard-copy
editions are but a mere substitute.
Take The New York Times where online
predominance has transformed the
print edition into a carefully prepared
playlist offering the best work by
journalists, packaged by the editorial
team to offer a reading experience
similar to the physical product. As a
designer, I imagine a newspaper (hard
copy or digital) on an equal footing with
an “everyday object”. A newspaper
is generated by a need – of its users
seeking info – and is then defined in its
function is then determined, its design
developed and it is produced. It is
distributed as merchandise, classified
for consumer behaviour and finally
becomes a user experience. The role
of design is to enrich this everyday
product with a formal aura, one that
is not artistic yet has an aesthetic
nature, which can, while respecting
its function, boost both its use value
(as a means and interface), its formal
value (highlighting its ability to be seen
and its cultural, social role) and its
economic value. It is right to underline
how newspaper design must firstly
respond to an aesthetic of logic,
considered as harmony stemming
from its particular function and utility,
and only subsequently to an aesthetic
of form. Both must be considered
as criteria of quality, as a mark of
differentiation, and as a possible
standard of commercial success for
traditional media in our society. In fact,
the perception of objects is filtered
through the perception of form, which
is not merely their packaging but
rather the language that makes them
comprehensible in our society. The
creation of a newspaper is not just
packaging that incorporates, envelops
and protects the contents but instead
it derives from the contents and the
journalistic ideas, conveying the identity
of that newspaper and transforming it
into a product the reader can be proud
of, just as other consumers self-identify
via the right accessory. If print is beauty
– and indeed it is – then I am in favour of
changing the rule. No longer “approved
for printing” but “worth printing”. Let us
print only what is necessary, of value.
Let us raise the standard of papers.
Because the future is taking on the
shape of a digital business and the time
is ripe: we should think of a new paper,
of a different and new information
medium.
 Ona Collection

Simple as Nature
roca.com/ona
IX DIARIO
Condivisione / Sharing
Una Wunderkammer
urbana a Bressanone
Puntando sulla condivisione di spazio e funzioni, lo studio
Carlana Mezzalira Pentimalli ha progettato una scuola
di musica aperta che dialoga con la città e la tradizione
Striving to share spaces and functions, the Carlana
Mezzalira Pentimalli studio has designed an open music
school that dialogues with the city and tradition
Testo / Text Francesca Sisci
La vocazione dello studio Carlana
Mezzalira Pentimalli a una progettazione
attenta al valore urbano dell’architettura
continua a produrre opere dal forte
impatto sociale.
La Scuola di Musica di Bressanone,
loro ultima realizzazione da poco
completata, è sicuramente tra queste.
Il progetto nasce all’interno di un gruppo
d’interventi che il Comune altoatesino
ha messo in atto negli ultimi anni per
realizzare una sorta di nuova porta
d’accesso alla città.
In quest’ottica, il criterio alla base del
processo ideativo è stato immaginare
un’architettura che fosse un luogo
dove poter svolgere un’attività,
ma anche in grado di stabilire un dialogo
con la città. In questo senso,
il nuovo edificio costituisce uno spazio
di connessione che, per caratteristiche
sociali e valore antropologico, è
definito dai suoi autori come una
“Wunderkammerr a cielo aperto”.
Una grande corte al servizio dell’intera
collettività, interna al recinto abitato,
ma esterna al volume alto due piani
della scuola, realizza l’idea di
progettazione del vuoto come spazio
dove vengono assolte e offerte
contemporaneamente più funzioni
per tipologie di utenti diversificate.
È la trasposizione in termini architettonici
del concetto romantico di raccogliere
e condividere ciò che è bello e prezioso
attraverso una camera delle meraviglie
che, in maniera molto efficace,
è costruita in forte risonanza con
i luoghi circostanti, pur mantenendo
domus 1064 Gennaio January 2022
Foto / Photos Marco Cappelletti
una sua dimensione ‘domestica’.
La stessa sensibilità riservata alle
implicazioni sociali dell’opera del giovane
studio trevigiano è applicata al concetto
di sostenibilità che, in questo caso, lo
studio sceglie di interpretare in chiave di
durabilità e possibilità di trasformazione
nel tempo dell’architettura, di rispetto del
budget economico e, quindi, anche
di impiego di risorse locali.
Da questa volontà deriva la preferenza
per pochi materiali, quali per esempio
cemento armato e pietra, e per finiture
di pregio, come la bocciardatura a mano
che consente di conferire aspetti visivi e
percettivi differenti.
Nel caso della facciata della grande
corte, per restituire l’idea di una camera,
è stata scelta una decorazione
con un motivo che richiama una carta
da parati. Vanno, poi, nella medesima
direzione le scelte del colore dell’esterno,
ottenuto dall’impiego di inerti in
porfido rosso. Negli ambienti interni, il
colore è stato invece differenziato per
sottolineare le funzioni dei diversi locali.
Infine, la scelta di non superare
una certa altezza racconta una volontà
estetica e progettuale che mira a
costruire in sintonia con la tradizione,
creando una relazione d’interazione
più che di subordinazione, considerando
il progetto l’opportunità per
reinterpretare un luogo.
Infatti, più in generale, quello che Michel
Carlana, Luca Mezzalira e Curzio
Pentimalli auspicano è tornare, in futuro,
a un’architettura generosa, semplice e
duratura: in una parola, necessaria.
domus 1064 Gennaio January 2022
An urban Wunderkammer
in Bressanone
The Carlana Mezzalira Pentimalli office’s
focus on design that is attentive to
the urban value of architecture keeps
offering works with a powerful social
impact. The Music School in Bressanone,
their latest design that has just recently
been built, is certainly among these.
The design was born as part of a number
of interventions the City of Bressanone
in Alto Adige has planned over
the past years to realise a sort of new
gateway to the city.
To this end, the basic criterion of
the entire concept was to imagine
architecture that could be both
somewhere to conduct activities
but also a venue that could establish
a dialogue with the city itself. In this
sense, the new building constitutes a
connective space that, for its social
characteristics and anthropological
value, is defined by its creators as an
“outdoor Wunderkammerr.”
A large courtyard at the disposal of the
entire community, within the inhabited
enclosure but separate from the two-
storey school building itself, realises
the idea of designing emptiness as a
space where various functions for all
categories of users are carried out and
offered, all at the same time.
It is a transposition in architectural terms
of the Romantic notion of collecting and
sharing what is beautiful and valuable
via a “chamber of wonders” that, in a very
effective way, is created in alignment
with the surrounding spaces yet
maintains its own “domestic” dimension.
The same sensitivity to the social
implications of the designs by the young
office is also applied to the concept of
sustainability which, in this case, the
architects have chosen to interpret in
terms of durability and opportunity for
transformation over time as regards the
architecture, of respect for a financial
budget and, therefore, also the use
of local resources.
This desire has led to a preference for
limited materials, such as reinforced
concrete and stone, and for valuable
finishes like texturising executed by hand
so as to offer different features visually
and perceptively. The facade of the
large courtyard, for example, was
decorated with a motif reminiscent
of indoor wallpaper almost as if to give
the idea of a room in a house.
The choice of colours also heads in the
same direction: achieved by using a
red porphyry aggregate for the exterior;
and differentiated depending on the
functions inside the building.
Finally, the choice of not exceeding
a certain height reveals a desire
regarding aesthetics and design that
strives to establish with tradition a
relationship of interaction rather than
subordination, considering the design
as an opportunity to reinterpret a place.
In fact, what Michel Carlana, Luca
Mezzalira and Curzio Pentimalli hope for
is a comeback, in the future, of generous,
simple and lasting architecture: in a
word, necessary.
Common places
Bambù / Bamboo
La prima volta che visitai Hong Kong,
parecchi anni fa, mi stupì vedere che i
muratori usavano impalcature fatte di
bambù. Un bello spettacolo, anche se
non sembrava che le strutture su cui
si arrampicavano fossero solide come
quelle in tubi d’acciaio che di solito
vedevo in patria. Tuttavia, a quel che si
dice, un miliardo di persone nel mondo
vive in case di bambù. Secondo l’Unesco,
bastano 70 ettari di bambù per costruire
mille abitazioni. È precisamente quello
di cui il mondo ha bisogno, benché
ovviamente funzionerebbe bene solo in
certi climi. Nell’ambiente giusto, il bambù
è un materiale utile, cresce in fretta
(certe specie possono crescere di quasi
un metro in 24 ore). Non richiede pesticidi
o fertilizzanti chimici, si raccoglie ogni
tre/cinque anni ed è leggero ma robusto
e forte, con un eccellente rapporto
resistenza/peso.
È anche versatile e viene comunemente
usato per altri oggetti, come tavole
da surf e skateboard. Nel mio mondo,
oggi i tessuti sono fatti di bambù. È un
materiale resistente, un po’ come la
tela, adatto agli indumenti da lavoro.
È traspirante, assorbe l’umidità e
asciuga in fretta. Senza dubbio lo
incontreremo in molte altre occasioni.
Naturalmente se la mia azienda non
osservasse strettamente le regole della
sostenibilità in tutto quel che facciamo,
non terremmo il passo con tutto quel
che sta succedendo. Ma benché io
possieda una bicicletta con il telaio
di bambù, regalatami da una coppia
di giovani designer belgi, e mi piaccia
contemplare le piante del bambù che
oscillano al vento sul tetto del mio ufficio
londinese, non è questo ciò che mi
interessa particolarmente. In un’epoca in
cui siamo tutti giustamente preoccupati
degli effetti del cambiamento climatico,
il bambù potrebbe offrire a molte
parti del mondo una fonte di materiali
sottovalutata per risolvere i problemi
delle abitazioni a basso costo.
DIARIO X
Testo / Text Paul Smith
• On my first trip to Hong Kong,
many years ago, I was amazed to see
building workers using scaffolding
made from bamboo. It was a beautiful
sight, even though it didn’t look as if the
structures on which they were climbing
could possibly be as strong as those
made from the steel poles I was used
to seeing at home.
But a billion people around the world live
in bamboo houses, they say.
According to UNESCO, 70 hectares of
bamboo are enough to build a thousand
houses. That’s just what the world needs,
you might think, although of course it
would only work well in certain climates.
In the right environment, bamboo is a
helpful material. It grows quickly (some
species can shoot up almost a metre in
24 hours), it doesn’t need pesticides or
chemical fertilisers, it can be harvested
every three to five years, and it’s light but
solid and hard-wearing, with a high ratio
of strength to weight.
It’s also versatile, and people are trying
to use it for other purposes,
like surfboards and skateboards.
In my world, fabrics are now made from
bamboo. It’s a tough material,
a bit like canvas, suitable for workwear.
It’s breathable, it wicks moisture
and it’s fast drying.
No doubt we’ll be seeing more of it.
Of course, if my company didn’t have
a strong sustainability aspect to
everything we do, we’d be badly
out of step with everything that’s
happening. But although I have a bicycle
with a bamboo frame, given to me by a
couple of young Belgian designers,
and I enjoy watching the bamboo plants
sway in the breeze on my office roof in
London, that’s not really what interests
me. At a time when we’re all quite
correctly preoccupied by the effects
of climate change, bamboo could offer
many parts of the world an underrated
source of material to solve the problem
of low-cost housing.
© Paul Smith
XI DIARIO
Giardini / Gardens
Un recupero misurato fa rivivere
un pezzo della Napoli antica
Da quattro anni, Davide Vargas
racconta ai lettori de la Repubblica un
luogo che ha visitato. Ne tratteggia
la storia, corredandola di aneddoti e
accompagnandola dalle sensazioni, dai
dettagli che l’hanno colpito, e completa
la narrazione con un disegno. Tra i circa
200 luoghi pubblicati finora c’è anche il
Real Monte e Arciconfraternita di San
Giuseppe dell’Opera di Vestire i Nudi,
fondato alla metà del Settecento, a
pochi passi dal Museo Archelogico
Nazionale di Napoli e dal palazzo di
Filumena Marturano dell’omonimo film
di De Filippo. A seguito di quell’articolo,
la Soprintendenza l’ha chiamato per
ristrutturare il giardino a cui si accede
dalla sacrestia di San Giuseppe e
circondato dalle contaminazioni della città
con le facciate dei palazzi con panni stesi,
verande, vasetti di gerani. L’intervento
si è giocato nel rispetto per il luogo,
ripulendo l’area dai rovi e mettendo in luce
l’esistente. “È un giardino di stratificazioni”,
racconta. “Ho aggiunto solo qualche
elemento, salvando quanto si era
depositato nel corso degli anni, sfoltendo
e integrando le piante. Ho ripreso i
vecchi tracciati di una sistemazione
ottocentesca, ormai quasi inesistenti.
I due viali a croce che definivano i
quattro parterre originari nel progetto di
Domenico Rispoli Moncada sono stati
ripresi con un basolato che si innesca
in una sorta di piazzetta pavimentata in
tufo, ruotata rispetto alla vasca centrale”.
Poi è stata ritrovata la traccia di un antico
varco che ha consentito di aprire un
collegamento diretto con il sagrato della
chiesa e far così dialogare il giardino con
la città, quando si organizzano eventi.
Pochi gli elementi aggiunti, dosati con
attenzione: le panchine in tufo e pietra
lavica progettate da Vargas, una scultura
di Riccardo Dalisi, una seggiolina di Carlo
Cuomo progetto degli anni Settanta,
quattro lanterne in acciaio Corten,
una alla fine di ogni percorso, di Filippo
Cannata.
Sopra e sotto: scorci del giardino di San
Giuseppe dei Nudi a Napoli, restaurato da
Davide Vargas, con in evidenza un’opera
di Riccardo Dalisi e una lanterna di
Filippo Cannata, che ha curato il progetto
illuminotecnico (in basso a sinistra, lo
schema). In alto a destra: schizzo di
progetto per l’apertura dell’antico varco
che collega ora il sagrato
Testo / Text Loredana Mascheroni
• Above and below: views of the garden
of San Giuseppe dei Nudi in Naples,
restored by Davide Vargas, featuring a
work by Riccardo Dalisi and a lantern by
Filippo Cannata, who designed the lighting
(below left, the diagram). Top right: sketch
of the project to open the ancient passage
that now connects the garden with the
church parvis
domus 1064 Gennaio January 2022
Foto / Photos Luigi Spina
A restrained regeneration
project revives a part
of ancient Naples
For four years, Davide Vargas has been
telling readers of La Repubblica about
places he has visited. He briefly describes
their history, fleshing it out with anecdotes
and adding an account of his feelings, the
details that struck him and completing
the narrative with a drawing. The 200 or
so places published to date include the
Real Monte e Arciconfraternita di San
Giuseppe dell’Opera di Vestire i Nudi,
founded in the mid-18th century, close to
the National Archaeological Museum of
Naples and the residence of Filumena
Marturano in the film of that name by
Eduardo De Filippo. Following the article,
the Fine Arts Superintendency asked him
to revamp the garden, accessed from the
sacristy of San Giuseppe and surrounded
by outgrowths of the city, the facades of
buildings with washing hung out to dry
and pots of geraniums. The project was
developed with respect for the place,
clearing away the briars and revealing
the existing forms. “It’s a garden of layers,”
he says. “I only made a few additions
without removing anything, except what
had been deposited there over the years,
thinning the plants and adding to them. I
restored the old traces of a 19th-century
layout, become almost non-existent.
The two alleys that crossed to define
the four original parterres in the project
by Domenico Rispoli Moncada were
restored as a sort of piazzetta paved with
tuff, rotated in relation to the central pool.”
Then the trace of an ancient passage
was found, creating a connection with
the parvis of the church and enabling
the garden to engage in a dialogue with
the city. A few carefully chosen elements
were added: benches of tuff and lava
stone designed by Vargas, a sculpture by
Riccardo Dalisi, a chair by Carlo Cuomo, a
design from the 1970s and four Corten-
steel lanterns by Filippo Cannata.
Showroom
TREVISO LONDON PARIS MADRID VIENNA MUNICH

quadrifoglio.com

AVANA
Composable sofa
XII DIARIO domus 1064 Gennaio January 2022

Testo / Text Alessandro Benetti

Aniconico / Non-iconic

Studio D, un atelier d’artista

pragmatico e ambiguo a Berlino

Photo Pasztori Simons Architekten

Photo Pasztori Simons Architekten

Studio D. di Pasztori Simons Architekten

è un atelier d’artista innestato in
un isolato di Mitte, a Berlino. La
configurazione ad hangar, con un singolo
open space a tutt’altezza, risponde
all’esigenza di spazio e flessibilità del
cliente e risolve la principale criticità
del sito. L’edificio, infatti, sorge sulla
copertura di un tunnel sotterraneo
inadatta a sopportare ulteriori carichi.
Per questo, la struttura metallica è A pragmatic and ambiguous offices, warehouses and technical and expanding their dimensions,
concepita come un ponte con una luce artist’s studio in Berlin rooms, laid out on two levels adds another disorientating factor,
di 20 m, che scavalca il vuoto e che, and distributed by a flight of steps cultured and potentially ironic.
grazie al suo carattere elastico, attutisce Studio D. by Pasztori Simons and raised balcony, Finally, the solution adopted for the
le vibrazioni del passaggio dei treni. A Architekten is an artist’s studio added with a panoramic view of the whole cladding is very refined.
un’estremità dell’ambiente principale si a city block in Mitte, Berlin. space. Studio D. presents itself as Monolithic and smooth when viewed
collocano gli uffici, i magazzini e i locali The hangar configuration, with a single decidedly non-iconic architecture, from a distance, seen close up Studio D.
tecnici, su due livelli e distribuiti da una full-height open hall, responds to the with Martin Pasztori and Johann reveals the minute texture of its skin
rampa di scale e da un ballatoio in quota, client’s need for space and flexibility and Simons stressing “its appearance, both of fiber cement shingles,
per così dire panoramico sull’intero corrects the site’s main weakness. pragmatic and ambiguous”. laid so as to leave their backs exposed,
atelier. Studio D. si propone come The building stands on the roof From the outside, it is impossible and not the coloured fronts,
un’architettura decisamente aniconica, of an underground tunnel unable to to guess the function of this simplified as is conventionally done.
di cui Martin Pasztori e Johann Simons withstand additional loads. box-shaped structure, The steel windowsills, aluminium
sottolineano “l’aspetto al tempo stesso For this reason, the metal structure is with its few apertures aligned with the window frames and etched concrete
pragmatico e ambiguo”. Dall’esterno, è conceived as a bridge with a span ground or the line of the eaves. thresholds complete a highly
impossibile intuire la funzione di questo of 20 m, bypassing the void and with The decision to reproduce the studied selection of finishes,
volume parallelepipedo semplificato, le an elastic character that reduces the proportions of the windows typical making the building vibrant with the
cui poche aperture si allineano al suolo o vibrations from the passing trains. of prefabricated housing in the GDR, many compact ton-sur-ton
alla linea di gronda. La scelta di riproporre At one end of the main hall, there are denying their seriality and grid layout shades of its surfaces.
le proporzioni delle finestre tipiche delle
residenze prefabbricate della DDR,
negandone la serialità e la disposizione
a griglia e ampliandone le dimensioni,
aggiunge un ulteriore elemento di
spaesamento, colto e potenzialmente
ironico. Raffinatissima, infine, è la
soluzione del rivestimento. Monolitico e
liscio se osservato da lontano, Studio D.
rivela più da vicino la trama minuta della
Sopra da sinistra: modello della facciata di
Photo Nic Tenwiggenhorn, 2021 / VG Bild-Kunst, Bonn

sua pelle in scandole di fibrocemento, Studio D; il grande open-space dell’ambiente

messe in opera lasciando a vista il loro
retro – e non la faccia anteriore colorata,
come vuole l’uso comune. I davanzali
di acciaio, i serramenti di alluminio
e le soglie di calcestruzzo acidato
completano una selezione di finiture
studiatissima, che fa vibrare l’edificio
delle tante consistenti sfumature ton-sur-
tonn delle sue superfici.
principale. A destra: dettaglio della trama
del rivestimento di facciata in scandole
di fibrocemento di 6 x 3 cm. La texture del
materiale è enfatizzata dalla vernice anti-UV
• Above, from left: model of the facade of
Studio D; the large open-plan interior of the
main hall. Right: detail of the texture of the
facade cladding in fiber cement shingles
measuring 6 x 3 cm. The texture of the
material is emphasised by the anti-UV varnish
domus 1064 Gennaio January 2022 DIARIO XIII

Testo / Text Elena Sommariva Foto / Photos Shigeo Ogawa

Bambini / Kids

Una scuola per giocare e imparare,

al riparo dalle alluvioni
La proposta di A.A.A., Aisaka Architects’
Atelier, per la ricostruzione di una scuola
materna nel quartiere di Katsushika a
Tokyo è partita da alcuni fondamentali.
Primo, in ordine d’importanza, che
l’edificio potesse affrontare le inondazioni
dei vicini fiumi Naka e Arakawa, eventi
non inverosimili considerato che l’intero
quartiere si trova in una piana alluvionale
al di sotto del livello del mare. A seguire,
che fosse un luogo di gioco divertente
e aperto alla comunità – grazie anche al
parco vicino – e rispettoso del paesaggio
urbano circostante. Kensuke Aisaka,
fondatore dello studio nel 2003, ha
ammesso di avere approcciato l’incarico
come si affronterebbe “un’equazione
con enormi variabili e incognite multiple”.
Come creare, per esempio, un ambiente
flessibilità al punto da rispondere ai
disastri e ai cambiamenti sociali a
lungo termine? La soluzione è articolata
programmaticamente in quattro punti:
una ‘casa’ e un ambiente sicuri dove i
bambini possono giocare liberamente;
un ‘parco’ e ampi spazi all’aperto per fare
attività fisica; una ‘scuola’ dove imparare
ad apprezzare il valore della vita e del
cibo; e una ‘fortezza’ per proteggere la
comunità durante le inondazioni e da
eventuali altre calamità. A school for play and as if it were “an equation with enormous made up of flat concrete slabs and radial
L’edificio, alto 10 m e sviluppato su tre learning, safe from floods variables and multiple unknown factors.” wall pillars that can resist considerable
livelli, concentra la maggior parte delle How to create, for example, a flexible water pressure. To guarantee privacy and
aule al secondo piano (a 3,7 m dal livello The proposal by A.A.A., Aisaka Architects’ environment that can respond muffle noise coming from the densely
del suolo). La struttura di cemento Atelier, for the rebuilding of a new to natural disasters and social upheavals populated neighbourhood, three sides
armato è costituita da lastre piane in kindergarten in the Katsushika district of in the long term? of the building are closed off towards
calcestruzzo e pilastri radiali a parete Tokyo began from some fundamental The solution is programmatically divided the outside and instead face an inner
in grado di resistere alla pressione points. First, in the order of importance, into four parts: a safe “home” and courtyard, while only the fourth side
dell’acqua. Per garantire la privacy the building had to cope with flooding environment where children can play overlooks the park. On the north side, the
e attutire il rumore, proveniente dal from the nearby Naka and Arakawa rivers freely; a “park” and vast outdoor spaces first floor is set back from the street to
quartiere densamente popolato, tre lati – an event that could potentially happen for physical activities and exercise; a facilitate access and traffic. Finally, the
dell’edificio sono chiusi verso l’esterno considering the entire neighbourhood is “school” for learning and appreciating the diversified routes inside seek to create
e affacciati invece su un cortile interno, located on a flood plain below sea level. value of life and food; and a “fortress” that playful itineraries but can be used so
mentre solo il quarto lato si apre sul Second, that it could be a place of fun protects the community during floods they can be easily reached in the event
parco. Sul lato nord, il primo piano è open to the entire community – thanks and other potential calamities. of an emergency, like the fire escape that
arretrato rispetto alla strada per facilitare also to the park close by – and respectful The building, 10 metres tall on three goes all the way up to the roof and the
l’accesso e la circolazione. All’interno, of the surrounding cityscape. Kensuke storeys, amasses most of its rooms on wide tiered roof and steps where school
infine, i tracciati diversificati sono studiati Aisaka, who founded the studio back in the second floor (3.7 m above ground). students and staff (200-300 people) can
sia per creare percorsi di gioco divertenti 2003, admitted he approached the task The structure in reinforced concrete is wait for help to arrive.
e vari, sia per poter essere facilmente
usati in caso di emergenza, come la
rampa antincendio che arriva fino al
tetto e l’ampia scalinata a gradoni dove
studenti e personale (200-300 persone)
della scuola possono sostare in attesa
dei soccorsi.

In alto: spazio-gioco all’esterno, affacciato

sul cortile interno. A destra: schema che
mostra la dinamica dei soccorsi in caso
di alluvione; la copertura a gradoni che
serve per il gioco e come punto di raccolta
per eventuali emergenze

• Top: outdoor space-playground,

overlooking the inner courtyard.
Right: diagram showing rescue options
in the event of flooding; the tiered roof
that can be used for play or as a muster
point in an emergency
XIV DIARIO
Talenti / Talents
Sarah Hossli: aiuto il design a ritrovare
la sua originaria funzione sociale
© Amy Wolfe
Photo Lorenz Noelle
In questa pagina: la poltrona Lotte,
disegnata da Sarah Hossli (sopra) con
braccioli allungati ed estesi anche nella
parte posteriore (a destra) per consentire
a chi è seduto di trasferire il peso in avanti
per alzarsi in modo indipendente e per
non rischiare di perdere l’equilibrio (come
mostrano le illustrazioni in alto)
• This page: the Lotte chair, designed
by Sarah Hossli (above) with elongated
armrests that extend around on the back
(right) to allow the sitter to shift their
weight forward and stand up on
their own without losing their balance
(see illustrations top)
Photo © Severin Stark
Testo / Text Silvana Annicchiarico
Alzarsi. Sedersi. Gesti banali della
vita quotidiana. Meglio: gesti
apparentemente banali. Perché, per
alcune persone, un gesto semplice
e istintivo come l’alzarsi e il sedersi
da soli può presentare criticità. Basta
visitare una casa di cura per anziani
per rendersene conto. Sarah Hossli,
giovane designer elvetica animata da
un vivo interesse per gli impatti sociali
dei prodotti che crea, ha fatto proprio
questo. Ha visitato diverse case di cura e
ha osservato lo svolgersi della vita di tutti
i giorni, rendendosi conto delle difficoltà
insormontabili a cui vanno incontro molte
persone anziane o con menomazioni.
Così, ha progettato T’Roi: un prototipo di
seduta con braccioli estesi, in modo da
consentire a chi è seduto di trasferire
il peso in avanti per alzarsi in modo
indipendente e per non rischiare di
perdere l’equilibrio. T’Roi è stata poi
testata e collaudata tra i residenti
di diverse case di cura, che hanno
in genere apprezzato la funzionalità
dell’oggetto, ma ne hanno criticato
l’estetica. Hanno chiesto alla designer
una seduta con un’analoga funzionalità,
ma più amichevole, calda, accogliente ed
elegante. Così è nata Lotte, una poltrona
di legno che mantiene le funzionalità di
T’Roi ma usa materiali e colori diversi.
“L’errore più grande che i designer
possono fare”, sostiene Hossli, “è
pensare che le persone over 60 0 perdano
interesse per l’estetica e il design”. Non
è così: un mondo in cui l’aspettativa di
vita cresce e la popolazione anziana
è sempre più numerosa ci chiede di
ripensare i modelli di vita esistenti per
adattare non solo le case, ma anche
gli spazi urbani all’esigenza di garantire
che tutti i membri di una comunità
possano vivere in modo autosufficiente
e mantenere la loro rete di relazioni. I suoi
progetti aiutano il design a ritrovare la
sua originaria funzione sociale senza per
questo rinunciare a progettare oggetti al
tempo stesso poetici ed emozionali.
domus 1064 Gennaio January 2022
Sarah Hossli: I help design
rediscover its original
social function
Standing up. Sitting down. Ordinary
actions from day-to-day life. Or rather:
seemingly ordinary actions. Because,
for some, a simple and instinctive action
like standing up or sitting down on one’s
own may be quite problematic. Visit
any retirement home for the elderly
to get an idea. Sarah Hossli, a young
Swiss designer driven by her interest in
the social impact of the products she
creates, did just this. She went to various
retirement homes and observed the
daily life of their residents, noting the
insurmountable difficulties encountered
by many elderly people or those with
physical disabilities. So she designed
T’Roi: a chair prototype with elongated
armrests, that allows users to shift their
weight forward in order to get up on
their own and not lose their balance.
T’Roi was then tried and tested by the
inhabitants of various retirement homes,
who, in general, admired the object’s
functionality yet criticised its aesthetics.
They asked the designer for a chair with
a similar function yet more approachable,
comfy and elegant. Thus Lotte was born:
an armchair in wood that has the same
functions as T’Roi but comes in different
materials and colours. “The biggest
mistake any designer can make,” states
Hossli, “is to think that people over 60
lose their interest for aesthetics and
design.” This is not the case: a world
where life expectancy has grown and
the number of elderly people is on the
rise requires us to reconsider existing
life models to adapt not only homes but
also urban spaces, so as to ensure that
all members of a community can live self-
sufficiently and maintain their network of
relationships. Her creations help design
rediscover its original social function yet
without giving up on objects that are both
poetic and emotional.
Domusweb is your
digital companion.
It will always
keep you up-to-date
on architecture,
design and art.
We cover topics
and trends about our
contemporary
and future world,
supporting critical and
independent thought.
XV DIARIO
Aziende / Companies
Talenti, arredi da esterno che hanno
la stessa dignità di quelli da interno
Fabrizio ameli racconta
la s ria la missi n
della sua azienda fondata
nel 4 e diventata
società per azioni nel 2021,
in nzi nata ad av
un controllo della filiera
sem re iù ca illa
about t e istory and
mission o his company,
ecome a joint stoc
company in 1, centred
on havin increasin
nt l v r th
production c ain
In questa pagina. Sopra: Fabrizio Cameli,
fondatore e presidente di Talenti. A destra:
la nuova sede dell’azienda in Umbria, nata
dal recupero dell’ex pastificio Federici,
una delle principali attività industriali
della zona e di livello nazionale.
Pagina a fronte: alcuni arredi della
collezione Panama, disegnata da Ludovica
+ Roberto Palomba per Talenti: sedie,
lounge, sgabelli, lettini, pouf e divanetti
sono caratterizzati dalle ampie forme
e dalle linee delle corde intrecciate che,
con il sole, creano giochi di luci e ombre
imma inario e mon o
cono raficamente rappresentato
a opere come
ockney, si è rafforzato con la pandemia:
errazze
sono sempre più richieste e diffuse,
te erature rmettendo, in locali
pubblici e abitazioni private. La tendenza
ha portato a sfumare ancora di più i
confini tra il dentro e il fuori tra arredo
d’interni e di esterni, prima ancora che
m o inte ere
convinzione che anche all’esterno sia
possibile odere di un vero pro etto
d’interni”, dice Fabrizio Cameli, fondato
e esidente di Talenti. “Quello che noi
abbiamo intuito anni a adesso è sotto
li occ i di tutti. L’arredo da esterno a
inalmente la stessa di nità di quello da
interno: realizzato con la stessa c ra
m rita la m d sima nsid razi n .
I con ini tra li ambienti sono ormai
superati. Un arredo da esterno non
se licemente sizionato uori, ma
intimamente le ato alla natura che
i a l’am n in rn n nuova s e, non lontano
cui dialo a”. Se Talenti nasce nel 4,
l’anno della creazione di Facebook
ameli Marmi, la rima azienda di
fami lia, vede la luce nel 1945, in un’Italia
da ricostruire. Il
e l’altra non manca ed l’impie o della
etra. “ ià dalle rime collezioni abbiamo
cercato d’introdurre ualcosa di diverso,
ri onendo nell’arredamento da esterno
la medesima attenzione per il detta li
che, ino a quel momento, si dedicava
sempre (e solo) li interni. Volevo
l’ele anza e lo stile inconfondibile del
per questo applicavamo ri initure
d’alta amma, usando ori inariamente
pietre e terrecotte. ro io uesta mia
visione estetica è all’ori ine del nome
del marc io, nato quasi per ioco”.
Ne li anni ttanta, ameli Marmi s
Testo / Text Antonio Armano
internaziona izza, con in resso i
Fabrizio Cameli. Talenti, invece, sviluppa
ubito la vocazione lobale al punto che,
ttualmente, dopo 18 anni di attività, è
esente in oltre 65 Paesi con rodotti
e vanno dai divani modulari alle
lampade per esterno, dalle cucine ai
tappeti, dalle sedute a li ombrelloni. In
uesto settore, il dialo o con il contesto
ma iore a tutti i livelli. “Il cliente che
ha casa in Costa Azzurra, per esempio,
molto esi ente, ama le forme ele anti
i colori chiari” racconta il fondato
“Quello tedesco dovendo convivere con
un clima pi ri ido, predili e l’alluminio
i toni pi scuri. In Australia, poi, prevale
materiali diversi, che si inte rano ne li
m orizzonti e in es incredibili:
un vero paradiso per li amanti del
esi n d’esterni”. Diventata socie
per azioni, nel 1 l’azienda ha aper
il rimo
Culembo , all’interno dell’ETC Desi n
enter Europe, il più importante centro
inte rato per il desi n dei Paesi Bassi. Pe
e forti esi enze di crescita (+26 per cento
nel 2020 , quest’anno è stata inau ura
antic
mura di Amelia, in Umbria. un pro etto
molto ambizioso di recupero dell’ex
stificio Federici, una delle rinc ali
ttivi ind striali della zona e di livello
nazionale. La super icie si estende per
, 20.000 dei uali co erti,
con un’area es sitiva di 2.000 er un
investimento i o tre sei mi ioni i e ro:
“L’intero pro etto, a cura dell’architetto
Filippo Ca notto, è stato concepito
per tradurre in arc itettura la missione
dell’azienda e comunicarne l’approccio
pro ettua e, uti izzan o i materia i, come
il metallo e il le no, che Talenti usa per
i propri prodotti, creando così un ilo
conduttore”, prose ue Fabrizio ameli.
Inoltre, come a ins nato la ndemia,
essere a tos fficienti è diventato
fondamentale. Così la vecchia sede
ri zi rm in
domus 1064 Gennaio January 2022
a e nameria. questa si a iun e i
eparto tappezzeria per fare rientrare in
zienda la ma ior parte delle fasi del
rocesso roduttivo in modo da avere un
ontrollo della filiera se re iù c illare.
Quali sono i prodotti più iconici? “Difficile
arlare di un prodotto specifico, ma
ù amate. Anche Cliff o Cruise, con i loro
intrecci e ispirazione nautica, riscuotono
n rande successo. E, ancora, Panama
a cucina a esterno i a . a nautica
on solo un’ispirazione, ma un settore di
ttivi importante per la Talenti accanto
a ri come
e, naturalmente, il residenziale. “Lo yacht
Silver Fox di Ba lietto è stata una sfida:
era il primo rande pro etto nautico nel
ale abbiamo adattato i nostri sistemi
di estione, per assecondare le richieste
del cliente”, spie a Fabrizio Cameli.
n rnazi nali d ll’azi nda n l s t
d ll
da questo settore sono molte ici,
prima ra tutte che li arredi da esterno
vadano a inte rarsi per ettamente con
li altri ambienti dell’hotel. Richiesta
che siamo in rado di soddis are
pienamente poich le nostre collezioni
ono complete e ci permettono di creare
come piscine, spa, iardini, terrazze o
ristoranti”. Senza dimenticare l’attenzion
all’elemento tessile che contribuisce alla
caratterizzazione e all’atmos era di o ni
ambiente”. Come si di erenziano i ruoli
aziendali in una fami lia che fa impresa?
Chi fa cosa e erché? “Non so se Talenti
ia l’azienda da rendere come esem io
conclude Cameli. “Tutta la nostra ami ia
a il desi n nel san ue per cui, pur nel
rispetto ei propri ruo i, a ivisione ei
com iti non è netta: Edoardo si dedica
i alla arte commerciale, Federica al
marketin e alla comunicazione, mentre
mia mo lie a quella amministrativa, ma
arebbe riduttivo incasellare quello c e
”.
domus 1064 Gennaio January 2022
Talenti, outdoor furniture
with the dignity
of indoor designs
The imagery of the en plein air world,
iconographically and historically
represented in works from Déjeuner sur
l’herbe by Édouard Manet to Portrait of
an Artist (Pool with Two Figures) by David
Hockney, has been strengthened by
the pandemic: terraces and déhors, in
their role as a place of escape, are more
and more sought after and common –
weather permitting – in public venues
and private homes. The trend has led to a
greater blurring of the confines between
inside and outside, between interior
and exterior furniture, even before “out”
became more “in”, knocking down almost
all barriers. “The way we perceive the
outdoors is changing, believing that we
can benefit from an actual interior design
project also outdoors,” states Fabrizio
Cameli, founder and president of Talenti.
“What we sensed years ago is now
obvious to everyone. Outdoor furniture
has finally the same dignity as indoor
furniture: it is made with the same care
and deserves the same consideration.
The confines between environments
have now been surpassed: outdoor
furniture is not just placed outside but
is intimately tied to the surrounding
nature and the indoor environment with
which it dialogues.” Although Talenti
was established in 2004, the same year
as Facebook, Cameli Marmi, the first
family-run company, came into being
years ago in 1945, at a time when Italy
was slowly being rebuilt. The trait d’union
between one business and the other
did exist and it was the use of stone: “As
early as the first collections, we have
tried to introduce something different,
paying the same attention to detail
with outdoor furniture which, up to then,
was always (and only) applied to indoor
furniture. I wanted that unmistakable
“made in Italy” elegance and style for
every product of ours. So that’s why we
applied high-end finishes, initially using
different kinds of stone and terracotta.
This aesthetic vision of mine lies at the
heart of the name of the brand, which
was born somewhat playfully.” In the
1980s, Cameli Marmi went international,
with the arrival of Fabrizio Cameli. Talenti,
instead, immediately developed its global
vision to such an extent that, today, after
18 years in business, it is present in over
65 countries with products ranging from
modular sofas to outdoor lamps, from
chairs to umbrellas. In this sector, the
dialogue with contexts is greater on all
levels. “Clients who have a home on the
French Riviera, for example, are quite
demanding; they love elegant forms
and light colours,” states the founder.
“On the other hand, German clients,
DIARIO XVI
since they have to live with a more rigid
climate, prefer aluminium and darker
shades. In Australia, the demand is high
for different colours and a combination
of materials, which blend with the vast
horizons and incredible landscapes:
a true paradise for lovers of outdoor
design.” After becoming a joint stock
company, in 2021 they opened their first
flagship store outside Italy, in Culemborg,
part of the ETC Design Center Europe,
the most important integrated design
centre in the Netherlands. Due to their
considerable growth (+26 percent in
2020), this year a new location was
inaugurated, not far from the ancient
walls of Amelia, in Umbria. It is a rather
ambitious reclamation project of the
former Federici pasta factory, one of the
key industrial activities in the area and in
Italy. The surface area is around 80,000
m2, 20,000 of which are covered, with a
2,000 m2 showroom, for an investment
of over six million Euros: “The entire
design, developed by the architect Filippo
Cagnotto, was conceived to translate
into architecture the company’s mission
and convey its design approach, by using
the materials, like metal and wood, that
Talenti employs for its own products, thus
creating a leitmotif,” continues Fabrizio
Cameli. Moreover, as the pandemic
has taught us, being self-sufficient
has become fundamental. So the
former venue was revolutionised and
transformed into a woodworking factory,
in addition to hosting an upholstery
division so as to include onsite as many
production processes as possible and
have greater control over an increasingly
widespread production chain. What
are the most iconic products? “It’s hard
to single out any specific product, but
without a doubt the Casilda collection
is one of the most beloved, because it’s
appealing to different kinds of people.
Cliff and Cruise, too, with their braiding
and nautical inspiration, have great
success. Also, Panama and the Tikal
outdoor kitchen.” Sailing is not only a
source of inspiration but an important Without leaving aside attention to textiles, • Opposite page. Top: Fabrizio Cameli,
market sector for Talenti, alongside which contribute to characterising the Talenti founder and president.
Bottom: the new company HQ in Umbria,
others like hôtellerie, food services and, space and the atmosphere of each from the repurposed Federici pasta
naturally, residential. “The Silver Fox yacht environment.” So how do company factory, one of the main industrial activities
by Baglietto was a challenge: it was roles differ in a family-run business? both locally and nationally.
the first major sailing design where we Who does what and why? “I’m not This page: some pieces from the Panama
collection, designed by Ludovica + Roberto
adapted our management systems in sure Talenti is a company to take as an Palomba for Talenti: chairs, lounge chairs,
order to meet the requests of the client,” example,” concludes Fabrizio Cameli. stools, day beds, poufs and small sofas
explains Fabrizio Cameli. There have also “As I was saying earlier, our entire family with their comfy forms and braided
been numerous international projects has design in their veins and so, while cording that, in the sunlight, play with light
and shade
for the brand in the hôtellerie sector: respecting each person’s role, there is no
“The requests coming from this sector clear-cut separation of duties. Edoardo
are many, above all for the outdoor mainly takes care of the commercial
furniture to perfectly blend with other aspect. Federica works on marketing
hotel spaces – a request we are able and communication, while my wife is
to fully satisfy since our collections are involved in administration. But I would be
complete and allow us to create a total oversimplifying things if I said there are
look for all outdoor spaces, like pools, strict distinctions. That would pigeonhole
spas, gardens, terraces or restaurants. what we do.”
XVII DIARIO domus 1064 Gennaio January 2022

Testo / Text Alessandro Benetti Foto / Photos Fabio Bonazia

Sostenibilità / Sustainability

Una microrigenerazione urbana

che dialoga con la storia
An urban micro-regeneration
project in dialogue with history
Giuseppe Chigiotti’s office in Grossetto
has designed a residential building on
the threshold of the ancient city. Palazzo
agli Arcieri completes the curtain wall of
a block of the early 20th century, in the
first outgrowth of the city beyond the city
walls. Its panoramic position overlooks
the fortified historic centre, from which it
is separated by the only surviving stretch
of the walls that once encircled the whole
city. Chigiotti describes the project as
an “urban micro-regeneration” operation
capable of having positive effects
on a neighborhood of considerable
environmental value but one that has
suffered from decades of depopulation
and the decay of its structures. Despite
its small scale – seven apartments
– the building engages in a dialogue
with the monumental presences that
surround it. The most direct reference
is to the medieval Cassero Senese, on
the opposite side of the moat. The new
project presents “the same compact
and massive volume marked by broad
horizontal openings, the same sharply
pitched roof and the same colour of
wall cladding.” Chigiotti looked to history
for the composition of the masses of
architecture that is otherwise frankly
contemporary. The vocabulary is terse
and devoid of vernacular ornaments or
accents; the shades of ancient travertine
are echoed in modular ceramic panels;
the “horizontal apertures” are terraces
suitably shaded from their southern
exposure. Some constructional and
technological features testify to
Chigiotti’s concern for environmental
sustainability and align Palazzo agli
Arcieri with the best contemporary
practices. A noteworthy feature, in
particular, is the combination of a
concrete load-bearing structure with
veneered cavity infill walls, which are
lighter than traditional concrete cladding,
given the absence of binders, and more
efficient thermally and acoustically
because of their sandwich stratification,
with a cavity of insulating material.
Finally, the mechanical ventilation
system ensures the air is filtered in all the
interiors, while the photovoltaic panels on
the roof make the building substantially
self-sufficient in energy consumption.

A Grosseto, lo studio di Giuseppe Chigiotti schiettamente contemporanea:

progetta un edificio residenziale collocato
alle soglie della città antica. Il Palazzo degli
Arcieri completa la cortina di un isolato
d’inizio Novecento, nella prima espansione
urbana extra muros, e si affaccia in
posizione panoramica sul centro storico
fortificato, da cui lo separa l’unico tratto
superstite del vallo che un tempo cingeva
l’intera cerchia muraria. Chigiotti descrive
l’intervento come un’operazione di
“microrigenerazione urbana” in grado di
riverberarsi positivamente sul contesto di
un quartiere di notevole pregio ambientale,
ma che ha attraversato decenni di
spopolamento e di decadimento delle sue
strutture. Malgrado la scala ridotta – sette
appartamenti in tutto – l’edificio si apre
al dialogo con le presenze monumentali
che lo circondano. Il riferimento più diretto
è al medievale Cassero Senese, che
lo fronteggia sul versante opposto del
fossato, e di cui ripropone “il medesimo
volume compatto e massiccio segnato
da vaste aperture orizzontali, il medesimo
tetto con un forte spiovente, il medesimo
colore del rivestimento”. Chigiotti guarda
alla storia per la composizione delle
masse di un’architettura che è altrimenti
il linguaggio è asciutto e privo di
decorazioni o accenti vernacolari;
le tonalità del travertino antico sono
richiamate da pannelli modulari in
ceramica; le “aperture orizzontali” sono
terrazze opportunamente ombreggiate
dal soleggiamento abbondante dato
dalla loro esposizione a sud. Alcune
scelte costruttive e tecnologiche
testimoniano l’attenzione di Chigiotti
alla sostenibilità ambientale e allineano
il Palazzo agli Arcieri alle best practice
del settore edilizio contemporaneo. È
degna di nota, in particolare, la scelta
di affiancare alla struttura portante in
calcestruzzo riempimenti in muratura
a secco, che rispetto a un tradizionale
paramento in calcestruzzo sono più
leggeri – per l’assenza di leganti – e più
performanti sul piano termico e acustico
– per la stratificazione a sandwich h, con
un’intercapedine di materiale coibentante.
L’impianto di ventilazione meccanica,
infine, garantisce il filtraggio dell’aria
in tutti gli ambienti, mentre i pannelli
fotovoltaici in copertura rendono l’edificio
sostanzialmente autosufficiente dal punto
di vista energetico.

Sopra: dettaglio della facciata del Palazzo
agli Arcieri, con le lastre ceramiche di LEA
Ceramiche che riprendono la tipologia
del Cassero senese. A destra, dall’alto:
l’edificio nel contesto urbano, visto dalle
antiche mura di Grosseto; dettaglio di un
appartamento al primo piano
• Above: detail of the facade of Palazzo
agli Arcieri, with the ceramic slabs by LEA
Ceramiche that reflect the typology of
the Cassero Senese. Right, from top: the
building in the urban context, seen from
the ancient walls of Grosseto; detail of an
apartment on the first floor
www.neolith.com
XVIII DIARIO domus 1064 Gennaio January 2022

Negozi / Shops Testo / Text Massimo Valz-Gris Foto / Photos Colin Dutton

Un genius loci fatto di luce,

ombra e colore
Al tempo della cinica efficienza A genius l i made
i loci d off light,
li ht
industriale ci sono storie che shadow and colour
dimostrano come un’altra strada sia
ancora possibile e, certe volte, l’unica At a time of cynical industrial efficiency,
praticabile. È il caso di Fortuny, l’azienda there are stories that show how another
specializzata in tessuti di cotone di path is still possible and, sometimes,
altissima qualità fondata nel 1906 the only one available. Take Fortuny, a
da Mariano Fortuny y Madrazo (1871- brand specialised in high-end cotton
1949) e ancora oggi orgogliosamente textiles established in 1906 by Mariano
artigianale e veneziana. Fortuny y Madrazo (1871-1949) and still
Anzi, per meglio dire, giudecchina, today proudly artisan and Venetian.
dato che sorge accanto alla mole Actually, from the island of Giudecca,
tetragona del Molino Stucky sulle since it is located alongside the Molino
Fondamenta San Biagio. Pittore, Stucky landmark on the Fondamenta
scenografo, incisore, stilista e inventore San Biagio. A painter, stage and fashion
citato più volte da Proust nella designer, engraver and inventor
Recherche e paragonato da alcuni mentioned on more than one occasion
addirittura a Leonardo per la capacità by Proust in his In Search of Lost Time
di praticare ars e tèchne secondo and compared by some to none other
l’insegnamento classico, Fortuny than Da Vinci for his skill in practising
si era trasferito in Italia dalla Spagna the classically inspired ars and techne,
quasi 20 anni prima. Fortuny had moved to Italy from Spain “fatale” Isabella Inghirami of Maybe Yes, was opened inside the factory. A fellow
È a Parigi, però, che era rimasto almost 20 years earlier. But it was in Maybe No “in one of those long, Oriental Venetian, he was chosen a few months
folgorato dai giochi di forma e luce con Paris that he was amazed by forms and gauze scarves that the alchemist ago as AD by Maury and Mickey Riad,
cui si può dare vita al tessuto. Mariano light that could enliven fabrics. Mariano dyer Mariano Fortuny plunges into the today passionate owners of the brand
si era, nell’occasione, innamorato anche fell in love with the fashion designer mysterious potions of his caldrons.” after their father acquired the company
della stilista Henriette Negrin, con la Henriette Negrin, with whom he began In 1922 he opened the factory next to in the late 1980s from Countess Gozzi
quale iniziò a sperimentare sulle stoffe experimenting textiles and ultimately the Molino Stucky, built to house the who, in turn, had taken over from
fino a fondare, lasciate le luci parigine established the company in his name machines conceived by the artist and Henrietta Negrin soon after the death
per le brume veneziane, l’azienda after leaving the lights of Paris for the still used to craft cotton like no one else of Mariano in 1949. Torsello’s mission is
omonima. Il successo internazionale fog of Venice. International success was (even today), giving them depth and to explore new market segments while
è immediato, grazie ad abiti che immediate, thanks to his garments that tonality reminiscent of Turner’s Venetian remaining loyal to the original idea and
coniugano la tecnica della plissettatura coupled a pleating technique patented paintings. On 2 December the new to a genius locii made of light, shadow
brevettata dallo stesso Fortuny e a by Fortuny himself with elegance of showroom designed by Alberto Torsello and colour.
un’eleganza dall’afflato neoclassico neoclassical and Oriental inspiration.
od orientaleggiante. Their creations entered the most
Le loro creazioni entrano nei refined wardrobes and, in 1910, another In questa pagina: il nuovo showroom • This page: the new Fortuny showroom,
Fortuny, progetto di Alberto Torsello, designed by Alberto Torsello, inaugurated
guardaroba più eleganti e, nel 1910, famous figure who made Venice his inaugurato lo scorso dicembre sull’Isola last December on the Island of the
un altro celebre veneziano d’adozione, home, Gabriele D’Annunzio, wrapped the della Giudecca a Venezia Giudecca in Venice
Gabriele D’Annunzio, avvolge la ‘fatale’
Isabella Inghirami di Forse che sì forse
che no “in una di quelle lunghissime
sciarpe di garza orientale che il tintore
alchimista Fortuny immerge nelle conce
misteriose dei suoi vagelli”.
Nel 1922 apre la fabbrica accanto al
Molino Stucky, edificata attorno ai
macchinari ideati dallo stesso artista
e ancora in uso per lavorare il cotone
come nessun altro poteva allora (né
può oggi), conferendo loro profondità
e riflessi che fanno pensare alle tele
veneziane di Turner. Il 2 dicembre
scorso, all’interno dell’opificio è
stato inaugurato il nuovo showroom
progettato dall’architetto Alberto
Torsello. Veneziano anch’egli, pochi mesi
fa è stato scelto anche come direttore
artistico da Maury e Mickey Riad, oggi
appassionati proprietari del marchio
dopo che il padre lo aveva acquisito sul
finire degli anni Ottanta dalla contessa
Gozzi che, a sua volta, lo aveva rilevato
da Henrietta Negrin poco dopo la
morte di Mariano nel 1949. La missione
di Torsello è quella di esplorare nuovi
segmenti di mercato rimanendo fedele
all’idea originaria e a un genius loci fatto
di luce, ombra e colore.
domus 1064 Gennaio January 2022
Anniversari / Anniversaries
Fibre naturali che amplificano
la capacità di riflettere la luce
“Pensare ai tappeti come se fossero aree
verdi all’interno della casa, come luoghi
di ristoro, di svago e di rigenerazione
dell’ambiente, usando perciò lo sguardo
dell’urbanista”. È il consiglio di Deanna
Comellini, art director e fondatrice
di G.T.Design, brand che combina
tecniche artigianali con tecnologie
all’avanguardia, per creare tappeti di
lusso e, volendo, su misura. Il suo è uno
sguardo fresco, che “estende la visione
del tappeto da semplice complemento
d’arredo a uno spazio essenziale”,
trasformandolo da archetipo globale
in elemento contemporaneo, minimale
e imprescindibile per il design d’interni
(“Il tappeto è un simbolo arcaico che
per G.T.Design diviene contemporaneo,
quotidiano”, dice Comellini). Da quando è
stata fondata, nel 1977, ingredienti diversi
hanno contribuito a costruire il sistema
economico-industriale di G.T.Design.
In primis, la ricerca (funzionale
e semiologica) e poi la continua
sperimentazione di modi sempre nuovi
di lavorare le fibre tessili. Al centro della
loro indagine ci sono sempre state
le materie naturali: la fibra di cocco
(termoisolante), la viscosa e il tencel
(brillanti come seta, ecocompatibili
e riciclabili), il bambù (morbido e
rinnovabile), la canapa (sostenibile e di
lunga durata), il lino, la pura lana e la seta.
Materie prime lavorate artigianalmente,
esaltando le imperfezioni che le
trasformano in oggetti unici e sempre
tracciabili (“il primo passo per una
produzione sostenibile”, secondo
Comellini). Tra i prodotti che, in oltre 40
anni di attività, hanno contribuito
al successo dell’azienda modenese
c’è Kama (come il dio indiano dell’amore),
il primo tappeto in fibra di viscosa di alta
qualità, filato tinto in massa e tessuto
a mano su telai tradizionali. Insieme,
queste caratteristiche lo rendono un
oggetto unico e – a 20 anni di distanza
dalla sua creazione – ancora innovativo
nonché il bestseller del marchio.
Per celebrare il traguardo, tagliato
lo scorso anno, è stata creata una
collezione capsule: due nuovi stili
(Allegro a piacere e Allegro con brio) e
quattro tonalità (blu notte, paglierino,
bianco luce e polvere di stelle). A
caratterizzarle, il taglio irregolare delle
fibre, che amplifica la capacità di
riflettere la luce.
Testo / Text Elena Sommariva
Natural fibres that boost
the ability to reflect light
“Seeing rugs as if they were green
spaces inside a home, a place for
relaxing, leisure and renewing the
environment, thus from the perspective
of a city planner.” This is the advice
of Deanna Comellini, art director and
founder of G.T.Design, a brand that
combines craft techniques with cutting-
edge technologies to create luxury and,
upon request, bespoke rugs. Hers is a
fresh outlook which “expands the vision
of rugs from mere accessories to an
essential space”, thus transforming
them from global archetype to a
contemporary, minimal and essential
element of interior design (“Rugs are
an archaic symbol that for G.T.Design
become contemporary, everyday,” states
Comellini). Since it was founded in 1977,
several components have contributed
to creating the G.T.Design economic-
industrial system. Firstly, research
(functional and semiological) and then
constant experimentation of ever-new
ways to craft textiles. Natural materials
are always at the heart: coir (heat
DIARIO XIX
insulating), viscose and tencel (shiny
like silk, eco-compatible, recyclable),
bamboo (soft and renewable), hemp
(sustainable and resistant), linen, pure
wool and silk. Raw materials crafted
to highlight imperfections are turned
into unique and always traceable
objects (“the first step in sustainable
production,” according to Comellini).
Among the products that, in over 40
years of business, have contributed
to the success of this company is
Kama, the first rug in high-quality
viscose fibre, solution-dyed and hand
woven on traditional looms. As a
whole, these qualities make it a unique
object and – 20 years since it was first
created – still innovative as well as the
brand’s bestseller. In celebration of this
milestone, last year a capsule collection
was issued: two new styles (Allegro a
piacere and Allegro con brio) in four
shades. What sets them apart is the
irregular cut of the fibre, which boosts
their ability to reflect light.
Sopra, da sinistra: Kama Allegro a piacere;
Kama Campi di gravità
•Above, from left: Kama Allegro a piacere;
Kama Campi di gravità
XX DIARIO domus 1064 Gennaio January 2022

Testo / Text Loredana Mascheroni Foto / Photos Hitomi Matsuno

Ospitalità / Hospitality

Giochi cromatici e percettivi

per un piccolo bar dedicato al koji
Siamo a Taki, nella prefettura di Mie,
sull’isola principale del Giappone,
Honshu. È qui che lo scorso luglio
ha aperto nel centro commerciale
Vison il Koji Saryo. Questo piccolo
bar dalla forte identità progettuale è
il lavoro più recente di Atsushi Suzuki,
approdato alla direzione progetti di
Transit Branding Studio nel 2020 dopo
aver maturato una lunga esperienza
in design per il retail nel gruppo di
progettazione di Tanseisha.
In questo spazio minimale che si
sviluppa su soli 70 m2 si possono
assaggiare i prodotti di Uonuma Jozo,
si può bere il koji amazake, consegnato
direttamente dalla fabbrica, oltre
a un originale gelato koji amazake.
L’architetto giapponese è partito dal
contenuto – i prodotti realizzati con
questo antico metodo giapponese
che estrae le fraganze dagli ingredienti
rimuovendo la parte zuccherina – per
dare identità al Koji Saryo. Il koji è un
preparato realizzato con riso, avena
o soia passati al vapore su cui viene
fatto crescere un fungo, la Aspergillus
Oryzae, dotato di grandi poteri
trasformativi a una certa temperatura
e umidità. I materiali, i colori e le forme
degli interni del bar sono ispirati proprio The interplay of colour amazake, delivered straight from the traditional architecture of the city
al processo di fermentazione del koji, and perception factory, as well as an original of Uonuma, the home of the Jozo
oltre che alle sagome dell’architettura in a small koji café koji amazake ice cream. brand, in the Niigata prefecture,
tradizionale della città di Uonuma, sede The Japanese architect started from northern of Japan.
del brand Jozo, a nord del Giappone. The location is Taki, Mie Prefecture, the content – the products made by “During the production of koji,”
“Durante la produzione del koji”, spiega on Honshu, Japan’s main island. this ancient Japanese method that explains Atsushi Suzuki,
Suzuki, “si sprigiona del calore quando It was here that Koji Saryo opened extracts the fragrances from the “heat is released when the micro-
i microrganismi consumano materia its doors last July in the Vison ingredients by removing the sugary organisms consume the organic
organica, un calore vitale che cambia shopping centre. This small café with part – to give an identity to Koji Saryo. matter, a vital heat that changes
secondo dopo secondo. Allo stesso a strong design identity is the most Koji is a preparation made with second by second.
modo, la struttura rossa illuminata che recent work by Atsushi Suzuki, who steamed rice, oats or soy on which is Likewise the illuminated red structure
gira attorno alle panchine al centro took over the project management grown a fungus (Aspergillus oryzae), that encircles the benches
dell’ambiente è stata intenzionalmente of Transit Branding Studio in 2020 endowed with great transformative at the centre of the room was
abbassata a livello occhi per creare after acquiring considerable powers at the correct temperature intentionally lowered to eye level
un forte contrasto cromatico quando experience in retail design in the and humidity. to create a strong colour contrast
la si guarda dall’esterno. I pavimenti Tanseisha design group. The materials, colours and forms when viewed from outside.
in cemento rosso intensificano la In this minimalist space, covering just of the bar’s interior were inspired The red concrete floors intensify
luce rossa che si riflette sui volti degli 70 m2, the patrons can sample the by the process of fermenting koji, the red light reflected on the faces
avventori del bar”. products of Uonuma Jozo, drink koji as well as the silhouettes of the of the bar’s patrons.”

In questa pagina: viste generali e dettaglio

della struttura rossa illuminata attorno
alle panchine del Koji Saryo, progettato
da Atsushi Suziki di Transit Branding Studio
a Taki, prefettura di Mie, Giappone

• This page: general views and a detail

of the illuminated red structure around the
benches of the Koji Saryo, designed by
Atsushi Suziki of Transit Branding Studio
in Taki, Mie Prefecture, Japan
XXI DIARIO
Mostre / Exhibitions
Il labirinto avvolgente di Mika Ninagawa
per Van Cleef & Arpels
Photo © Takuji Shimmura
“Fotografo i fiori per cercare di cogliere la
bellezza dell’istante e renderla immortale.
Tutto è destinato a scomparire un
giorno, ecco la ragione per cui desidero
preservare questa bellezza così come
appare in un momento preciso. Cerco di
catturare lo splendore effimero dei fiori
in modo che possa continuare a vivere
attraverso le mie fotografie”. Florae
eè
la collezione di Van Cleef & Arpels che
Mika Ninagawa fotografa e racconta
con queste parole. Un giardino onirico,
una passeggiata incantevole, uno
spazio magico concepito dall’architetto
Tsuyoshi Tane. Spazi magici che dal
10 settembre al 14 novembre 2021,
hanno ospitato oggetti di straordinaria
magnificenza all’Hôtel d’Évreux, in place
Vendôme a Parigi. Circa un centinaio
Photo © Mika Ninagawa
le opere esposte dei grandi maestri
orafi di Van Cleef & Arpels, creazioni
storiche e senza tempo che si legano
a quelle più contemporanee. Fin dalla
sua fondazione, nel 1906, Van Cleef &
Arpels s’ispira alla natura e la interpreta
con materie preziose che si adattano
a forme mutevoli. Mika Ninagawa,
fotografa giapponese nota per il suo
lavoro sul colore, condivide con la
maisonn la passione per i fiori, di cui
desidera cogliere la bellezza e l’unicità.
Nelle sue fotografie, dalie, rose o fiori
di ciliegio prendono vita, esprimendo
con intensità e forza la bellezza senza
tempo dei fiori e dei gioielli che, insieme,
si fondono. “Alla maisonn piace mettere
in prospettiva le proprie creazioni di
gioielleria con l’opera di artisti che
Photo © Takuji Shimmura
Testo / Text Valentina Petrucci
s’ispirano agli stessi temi, come è
accaduto con Mika Ninagawa e i suoi
fiori. La particolarità delle sue fotografie
è l’approccio immersivo. Non si sofferma
sul dettaglio, ma crea un universo,
proponendo immagini che ci immergono
nella natura”, afferma il presidente
della maison Nicolas Bos. “Questo ha
ispirato il sorprendente allestimento
della mostra: Mika Ninagawa e Tsuyoshi
Tane hanno realizzato un labirinto
avvolgente in cui le nozioni di scala e
di distanza svaniscono. Si scoprono
alternativamente fotografie e gioielli, si
assiste a un dialogo tra pietre preziose
e immagini di petali. L’insieme crea
un’esperienza magica”. Un’esposizione
inebriante, che avrà prossimamente
nuove date e città ospitanti.
domus 1064 Gennaio January 2022
Foto / Photos Takuji Shimmura
Mika Ninagawa’s labyrinth
for Van Cleef & Arpels
“I photograph flowers in an attempt to
portray the beauty of the moment and
render it immortal. Everything is destined
to vanish one day, so that’s why I want
to maintain this beauty as it appears at
a precise moment. I try to capture the
fleeting splendour of the flowers so they
keep living through my photos.” Florae is
a collection by Van Cleef & Arpels that
Mika Ninagawa has photographed and
described using these words. An oneiric
garden, an enchanting stroll, a magical
space conceived by the architect
Tsuyoshi Tane. Bewitching spaces that
from 10 September to 14 November
2021 hosted objects of extraordinary
magnificence at the Hôtel d’Évreux, in
Place Vendôme, Paris. Around 100 works
on display by the goldsmith masters
of Van Cleef & Arpels, in which the
heritage collection and contemporary
jewels commune with the Japanese
artist’s photographs. Ever since it was
founded in 1906, Van Cleef & Arpels
has taken its inspiration from nature,
interpreting it with precious materials
that adapt to changing forms. Mika
Ninagawa, a Japanese photographer
known for her work on colour, shares
a passion for flowers with the maison,
whose beauty and uniqueness she
tries to display. In her pictures, dahlias,
roses and cherry blossoms come alive,
intensely and powerfully conveying
the timeless beauty of flowers and
jewellery that, together, become one.
“The maison likes putting its own
creations into perspective using
works by artists inspired by the same
ideas, like Mika Ninagawa and her
flowers. The distinctive feature of her
pictures is an immersive approach. She
doesn’t linger on details but creates a
universe, proposing images that steep
us in nature. This inspired a surprising
installation: Mika Ninagawa and Tsuyoshi
Tane created an enchanting labyrinth
where the notions of scale and distance
vanish. Photos and jewels are alternately
revealed, along with a dialogue between
precious stones and images of petals.
Overall, it creates a magical experience,”
states the maison president, Nicolas
Bos. An intoxicating display, which will
soon tour other cities.
In questa pagina: viste della mostra
“Florae” della fotografa giapponese
Mika Ninagawa, che ha messo in dialogo
la sua opera e le creazioni di Van Cleef
& Arpels, all’Hôtel d’Évreux di Parigi
•This page: views of the “Florae”
exhibition by the Japanese photographer
Mika Ninagawa, who established
a dialogue between her works and the
creations of Van Cleef & Arpels,
at the Hôtel d’Évreux in Paris
 Devices with soul

charming switches made in Italy

Foto di Alessandro Gaja

Skin collection

Serie civile con comando a pulsante,

massello di alluminio anodizzato nero,
inserto in ottone De Castelli DeMarea M6.

www.plhitalia.com
XXII DIARIO
Mnemosine
Un punto luminoso (e finalmente
colorato) che si muove nello spazio
Sopra: la prima versione della lampada
265 di Paolo Rizzatto, rieditata
da Flos e ribattezzata 265 Chromatica.
Sotto: il disegno d’archivio del 1973
sottolinea l’abbinamento di un colore
primario a ciascun elemento compositivo
•Above: the first version of the 265 lamp
by Paolo Rizzatto, reissued by Flos
and renamed 265 Chromatica.
Below: the archive drawing from 1973
emphasises the coupling of a primary
colour with each part of the composition
Testo / Text Cristina Moro
Erano gli anni Settanta quando Paolo
Rizzatto, architetto milanese classe 1941
oggi all’attivo cinque Compassi d’Oro,
iniziava a occuparsi dell’architettura
della luce. Il giovane allievo di Franco
Albini, infatti, insieme a Riccardo Sarfatti
e Sandra Severi, fondava a Milano
Luceplan, una società “per dare un
servizio agli architetti, da architetti che
progettano la luce”.
Da questo metodo partecipato nascono
i primi prodotti di design, che iniziano
a riscuotere l’interesse delle riviste
di settore. Sulle pagine delle novità di
Domus, nel gennaio del 1977, tra un
lampadario in vetro soffiato di Adolf Loos
e una luce alogena di Ettore Sottsass,
compare la 265, una lampada di metallo
disegnata da Rizzatto per Arteluce e
documentata da uno scatto di Aldo
Ballo che ne esaltava l’essenzialità
della forma e il dinamismo. Si tratta di
una lampada ‘sintetica’, fatta cioè di
pochi elementi: una calotta forata per
evitare il surriscaldamento, un lungo
braccio orientabile di ferro fissato al
muro e, all’estremità, un contrappeso
conico che tiene in equilibrio l’intera
struttura, e permette di spostarla con
un movimento semplice e fluido. La 265
non è una lampada da terra, da parete,
o da soffitto. Come spiegava il designer
“è un punto luminoso che si muove nello
spazio e porta la luce dove serve”. È
una luce diretta e anche d’atmosfera,
una luce che segue l’uomo nelle sue
attività. Dalla vicinanza con Albini, suo
maestro al Politecnico di Milano, deriva la
sensibilità per il metallo, che caratterizza
la lampada e consacra il suo successo
nel tempo. La 265 è il seme del pensiero
progettuale di Rizzatto: “Il motivo per
cui volevo disegnare una lampada non
era produrre un oggetto, ma produrre
luce. Volevo disegnare una lampada
che aiutasse a migliorare l’esperienza
umana di uno spazio architettonico”.
Come si vede nel disegno d’archivio,
l’idea originaria prevedeva di associare
un colore primario a ciascun elemento
compositivo, spunto poi abbandonato
a favore di una produzione in toni
neutri. Dopo 50 anni, Flos decide di
osare e ripropone la prima versione
della lampada, ribattezzandola 265
Chromatica. La calotta torna a tingersi
di rosso brillante, il braccio di sostegno
diventa blu elettrico e il contrappeso
giallo intenso: i colori evidenziano
così le componenti progettuali e ne
comunicando visivamente la funzione.
L’idea alla base è più che mai attuale:
la 265 nasce infatti dall’esigenza
di progettare la luce per le nuove
tipologie abitative, che richiedevano
di comprendere in un unico spazio le
attività domestiche, di lavoro e studio,
senza tralasciare un tocco d’ironia,
affidato al colore.
domus 1064 Gennaio January 2022
Paolo Rizzatto and the bright
spot that moves in space
It was the 1970s when Paolo Rizzatto, a
Milanese architect born in 1941
and now the winner of five Compasso
d’Oro awards, began to study the
architecture of light. Together with
Riccardo Sarfatti and Sandra Severi,
the young student of Franco Albini
founded Luceplan in Milan, a company
“to provide a service for architects,
as architects who design light.”
The first design products grew out of
this participatory method and attracted
the interest of architecture reviews.
In the pages presenting innovations
in Domus, in January 1977, the 265
made its appearance between a blown
glass chandelier by Adolf Loos and
a halogen light by Ettore Sottsass.
It was a metal lamp designed by
Rizzatto for Arteluce and recorded
in a photo by Aldo Ballo that set off its
essential form and dynamism. It was a
“synthetic” lamp, made up of just a few
elements: a perforated shell to avoid
overheating, a long adjustable metal
arm fixed to the wall and, at the end,
a conical counterweight keeping the
whole structure in poise and enabling
its position to be changed with a simple
and fluid movement. The 265 is not a
floor, wall or ceiling lamp. As the designer
explained, “It’s a bright spot that moves in
space and sheds light wherever needed.”
It is a direct light and also atmospheric,
a light that follows the user’s activities.
From his closeness to Albini, his teacher
at the Milan Polytechnic, Rizzatto
derived his sensibility for metal, which
characterised the lamp and ensured
its success over time. The 265 is the
seed of Rizzatto’s thinking as a designer.
“The reason I wanted to design a lamp
was not to produce an object but to
produce light. I wanted to design a lamp
that would help improve the human
experience of an architectural space.” As
can be seen in the archive drawing, the
original idea was to associate a primary
colour with each compositional element,
a starting point then abandoned in
favour of a production in neutral tones.
Now, 50 years later, Flos has decided to
be bold and revive the first version of the
lamp, renaming it the 265 Chromatica.
The shade is again coloured bright red,
the support arm electric blue and the
counterweight intense yellow. In this
way the colours highlight the design
components and visually convey their
function. The idea behind it is more
relevant than ever. The 265 stems from
the need to design light for new types
of housing, comprising all the domestic
activities of home, work and study in a
single space, without neglecting a touch
of irony, entrusted to the colour.
 Collezione Henges Navy
design Simone Micheli

Spazio Simas via Melzo 9, 20129 Milano

www.simas.it
XXIII DIARIO domus 1064 Gennaio January 2022

Testo / Text Andrea Bajani Illustrazione / Illustration Anna Sutor

Case d’altri / Others’ houses

Genova è un cocker che apre le ali

Andrea Bajani racconta

la casa, al primo piano
di un edificio genovese
di fine Ottocento,
che 20 anni fa ha abitato
per un paio di mesi.
“Un centinaio di metri
quadri, librerie a soffitto
stipate di libri”, dove
ha scritto il suo romanzo
più famoso, Se consideri
le colpe
Andrea Bajani talks about
the home on the first floor
of a late-19th century
building in Genoa where
he lived for a couple of
months 20 years ago.
A hundred square metres
of pictures and shelves up
to the ceiling stuffed with
books,” where he wrote his
most famous novel,
Se consideri le colpe

Perché Case d’altri • Why Other’s houses Andrea Bajani

Dentro le case degli altri mi sento
il personaggio di una storia che non ho scritto
io, ma in cui mi è facilissimo inserirmi.
Una casa, soprattutto se arredata,
ha sempre una trama. Gli oggetti, le foto
disposte sugli scaffali, gli arredi, raccontano
quel che c’è di più umano: trovare il proprio
posto nel mondo e fare del mondo
un posto che ci assomiglia.
Questa passione mi ha portato negli anni
a scrivere in case non mie. Scrivere di quelle
case significa scrivere di ciò che nel più
profondo cerchiamo, il senso di noi stessi
dentro una storia.
Abitare, nel senso più profondo del termine
è essere il protagonista di una storia fatta
di spazi. AB
In others’ houses I feel I’m a character è scrittore e poeta. Nato a
in a story I didn’t write, but that it’s very Roma nel 1975, vive a Houston,
easy for me to fit into. Texas, dove insegna alla
A house, especially when furnished, always Rice University. Il suo ultimo
has a plot. The objects, the photos arranged romanzo, finalista al Premio
on the shelves, the furniture, all recount Strega e al Premio Campiello,
what is most human: finding our place è Il libro delle case, pubblicato
in the world and making the world a place da Feltrinelli nel 2021.
that resembles us.
Over the years, this passion has led me to • Bajani is a writer and a poet.
write in houses that are not mine. Writing Born in Rome in 1975, he lives
about those houses means writing about in Houston, Texas, where he
what we seek in the depths, the sense of teaches at Rice University. His
ourselves within a story. latest novel, a finalist for the
Living, in the deepest sense of the term, Strega Prize and the Campiello
means being the protagonist of a story made Prize, is Il libro delle case,
up of spaces. AB published by Feltrinelli in 2021.
domus 1064 Gennaio January 2022
Ho sempre avuto l’istinto, prima di
mettermi a scrivere, di trasmigrare nelle
case degli altri. A tutt’oggi non so dire
quale sia stata la ragione iniziale, quando
per la prima volta ne ho sentito l’urgenza,
poco prima dei miei 30 anni. Non so
dire, cioè, se la scrittura ne fu il motore
oppure solo il pretesto, ma certo è che
la spinta era doppia: da un lato volevo
sottrarmi a chi sapeva tutto di me (la mia
casa) e dall’altro sparire dentro la trama,
arredata, della vita di un’altra persona. Mi
pareva, credo, che soltanto sottraendomi
del tutto a me stesso mi fosse data in
qualche modo rinascita. Detto in altro
modo, potevo diventare un altro da ciò
che ero, senza testimoni e con un’estetica,
un paesaggio e una metratura differenti.
Il che mi faceva essere una specie di
me stesso in purezza, e al contempo
un impostore. Cioè potevo inventare
una storia: dire ‘io’ parlando di me, ma
smettere di essere Andrea. Quello che
poi sarebbe diventato un metodo nacque
dunque così, con uno zaino fatto un po’
in fretta, qualche cambio di biancheria
e il computer portatile. Ai tempi, stavo
a Torino e per arrivare a Genova erano
sufficienti un treno regionale e una decina
di euro. Il resto fu la pianura alessandrina
da attraversare, il vento che arrivava dal
porto appena sceso dal treno e, infine,
un appartamento sopra piazza Corvetto.
Poggiare lo zaino all’ingresso, scrivere un
sms alla mia compagna di allora (“Sono
arrivato”) fu dunque l’inizio. Ero a nemmeno
due ore da casa e per di più ai tempi avevo
già viaggiato parecchio, eppure quello
sembrava il mio primo viaggio. La casa
era al primo piano di un edificio del 1890,
ci si arrivava scarpinando su due tornanti
di acciottolato, su cui pure le automobili,
con misteriose destrezze, riuscivano
a parcheggiare. L’appartamento era
luminoso, svettava come tutto a Genova
o svetta oppure sta soffocato dall’ombra
di chi svetta davanti. Un centinaio di metri
quadri, librerie a soffitto stipate di libri, e
uno spazio suddiviso con estro in una
ristrutturazione. Ricordo soprattutto il
bagno, che era la stanza più grande di
tutta la casa, un piccolo labirinto iniziale
e poi una poltrona accanto alla doccia. Il
resto era il gusto dell’amica che vi abitava,
un gradino per entrare in cucina, la sua
stanza in una sorta di tasca nascosta, e
accanto al suo letto la cuccia del cocker
che divideva la vita con lei. Di oltre 20 anni
più grande di me, la mia amica – Lorenza –
era, come è proprio dell’amicizia, lei stessa
una casa. Andava e veniva, lasciava
che disponessi dello spazio e del tempo
come credevo. Di mattina, occupavo
la sua scrivania, la sera le ingombravo
il soggiorno: dal divano estraevo il mio
letto e me ne stavo lì, come un’isola
spartitraffico, doveva circumnavigarmi
per raggiungere bagno e cucina. Prima
di dormire le urlavo la buonanotte, e
dalla sua tasca nascosta mi rispondeva.
Adesso che ci penso, a quasi 20 anni di
distanza da allora, mi rendo conto che in
questo mio traslocare lì, giocò un ruolo
importante la protezione. Scrivendo,
avrei dovuto attraversare l’ignoto e, per
farlo, avevo bisogno di sentirmi le spalle
coperte. Ma in fondo lo sapevo anche
allora. Stavo scrivendo una lunga lettera
che era anche il congedo di un figlio a
una madre che se n’era andata, prima
a migliaia di chilometri di distanza, per
poi finire per sempre tra quelli di cui si
può avere solo memoria. Incamminarmi
per quella strada battendo le dita sulla
tastiera, mi faceva trattenere il respiro,
combinando ogni giorno commozione
e paura. Sentivo di dover camminare
leggero, di dover perdere peso per non
rompere tutto, per non spaccare le frasi
che distendevo sul foglio. Ogni mattina,
finito di scrivere, prendevo il cocker di
Lorenza, le aprivo lo sportello e ce ne
andavamo a correre al Righi. Lasciavamo
la macchina al parcheggio e poi
prendevamo per i sentieri, in altro sopra il
mare. Lupe mi correva davanti, mi apriva
la strada contenta, le sue orecchie come
due ali. Di quei mesi ricordo il silenzio
dell’appartamento, quelle cene di poche
o tante parole, e Lupe acciambellata
ai miei piedi mentre scrivevo, sotto gli
occhi che mi guardavano da dentro le
foto appese dovunque. E le visite della
mia compagna, che mi veniva a trovare
in quell’altrove, che era molto più lontano
dei 170 chilometri che separavano
Genova da Torino. Mi guardava girare
per quello spazio straniero, camminare
per una città che non era la mia e mi
chiedo cosa vedesse negli occhi di
quell’uomo visibilmente distante. Salvo
rientri sporadici, sarei tornato a casa
un paio di mesi più tardi, 15 chili di meno,
un romanzo finito, e insieme avremmo
capito che non c’era viaggio più rischioso
di quello che ogni volta faccio con le
parole. Ma ci conoscemmo di nuovo, e
la vita proseguì uguale e tutta diversa. La
casa sopra piazza Corvetto da allora ha
preso forme differenti. Il bagno è stato
nel frattempo convertito in camera da
letto, che forse era il suo destino naturale,
e la stanza è diventata una camera per
gli ospiti. Ci vive dentro una coppia, in
affitto. Lorenza oggi abita a Milano, in
un appartamento che non ho mai visto.
Lupe non c’è più, a marzo del 2020 se
n’è andata anche lei tra quelli di cui si
può avere solo memoria. E la memoria,
ancora una volta, la si lascia scrivendo.
Se consideri le colpe, il romanzo che
scrissi in quell’appartamento, le deve
molto. Tutto quello che c’è scritto lì dentro
sulla paura dell’abbandono e sull’amore
incondizionato me l’ha insegnato lei
dormendomi tra i piedi e facendo volare
le sue orecchie da cocker felice quando
mi sentiva rientrare.
Genoa is a cocker spaniel
flapping its wings
I’ve always felt the instinct, before I
started writing, to transmigrate into the
homes of others.
To this day I can’t say what the initial
reason was when I first felt the urge to
do this, just before I turned 30. I can’t
say whether writing was the driving
force or just a pretext but clearly the
impulse was twofold. On the one hand I
wanted to escape from the people who
knew everything about me (my home)
and on the other to disappear into the
furnished narrative of the life of another
person. I believe I felt that it was only by
withdrawing completely from myself
that I could somehow achieve rebirth.
Put differently, I could become other
than I was, without witnesses and with a
different aesthetic, landscape,
and elbowroom. Which made me a kind
of myself in purity and at the same time
an impostor. I could invent a story, say
“me” in speaking about myself but cease
to be Andrea.
What would later become a method
developed like this, with a backpack
quickly filled, some changes of clothes
and a laptop. At the time I was living in
Turin, and getting to Genoa was a matter
of a local train and a few Euros. The rest
was crossing the Padana plain and
the wind blowing from the harbour as
soon as you got off the train and, finally,
an apartment above Piazza Corvetto.
So putting the backpack down in the
doorway and sending a text message to
my partner at the time (“Made it”) was the
start. I was barely two hours away from
home and had travelled widely in the
past, yet that felt like my first journey.
The apartment was on the first floor of a
building dating from 1890. You reached
it by walking along two hairpin curves
of cobblestone streets, on which even
the cars, with mysterious dexterity,
managed to park. The apartment was
bright. It rose in the way everything in
Genoa either rises or is overshadowed
by the buildings soaring opposite. A
hundred square metres, with shelves up
to the ceiling stuffed with books and a
space imaginatively subdivided during
renovation. I especially remember the
bathroom, which was the biggest room in
the whole house: a labyrinth and then an
armchair by the shower. The rest was the
taste of the friend who lived there. One
step into the kitchen, her room in a sort
of hidden pocket and next to her bed that
of the cocker spaniel that shared its life
with her. More than 20 years older than
me, my friend Lorenza was, in the way
of friendship, herself a home. She would
come and go, letting me use space and
time as I chose. In the morning, I would
sit at her desk, at night I encumbered
DIARIO XXIV
her living room. I would take my bed out
of the sofa and lie there, like a traffic
island. She had to go round me to reach
the bathroom and kitchen. Before falling
asleep, I would say goodnight to her,
and she would reply from her hidden
pocket. Now that I think about it, almost
20 years later, I realise that in moving
in, protection played an important part.
While writing, I would have to go through
the unknown and to do it I wanted to feel
that someone had my back.
Deep down I knew it even then. I was
writing a long letter that was also a
child’s farewell to a mother who had
left, first going thousands of miles away
and then ending forever among those
we keep only in memory. Walking down
that road by tapping my fingers on the
keyboard made me hold my breath in
fear and excitement each day. I felt I
had to walk lightly, I had to lose weight
so as not to break things, not to shatter
the sentences stretching away across
the paper. Every morning, after writing, I
would take Lorenza’s spaniel, open the
door and go for a run at the Righi park.
We would leave the car and then take off,
speeding high above the sea. Lupe would
run before me, leading the way happily,
her ears flapping like wings.
Of those months I remember the silence
of the apartment, the dinners of few or
many words and Lupe curled up at my
feet when I wrote as eyes watched me
from the photos hanging everywhere.
Plus the visits from my partner who used
to come and see me in that elsewhere,
which was much farther away than the
170 kilometres separating Genoa from
Turin. She would watch me walking about
that strange space, walking about a city
that wasn’t mine and I wondered what
she saw in the eyes of that visibly distant
man. Apart from sporadic returns, I would
finally go home a couple of months later,
15 kilos thinner, with a novel completed,
and together we would realise that the
most dangerous journey is the one I take
each time with words. But we got to know
each other again and life went on the
same and completely different.
The apartment above Piazza Corvetto
has since taken different forms. The
bathroom has meanwhile been turned
into a bedroom, perhaps its natural
destiny, and the bedroom has become
a guest room. A couple rent it and live
there. Lorenza now lives in Milan, in an
apartment I’ve never seen. Lupe is no
more. In March 2020 she joined those
we keep only in memory and memory
moves in writing. If You Kept a Record of
Sins, the novel I wrote in that apartment,
owes a lot to her. She taught me about
the fear of abandonment and about
unconditional love, sleeping between my
feet and flapping her ears happily when
she heard me come in.
Bridge soft/
design by/ Pinuccio Borgonovo & Paolo Pampanoni
the future
of cities
4th edition National Museum
of Science
and Technology
Leonardo da Vinci
Milan
24 November 2021
XXVI
Walter Mariotti
Direttore editoriale / Editorial director Domus
Con la quarta edizione di domusforum
- the future of cities, il “sistema Domus”
definisce la propria identità e afferma
un ruolo distante da quello di altri
media per quanto prestigiosi. Perché
domusforum completa lo spazio di
riflessione critica che la rivista ha
condotto, ininterrottamente, dal 1928. Ma
soprattutto perché, con questa edizione,
ha decisamente acquisito una fisionomia
la volontà di trasferire su modelli diversi la
missione di essere non soltanto un media
o un brand quanto piuttosto un metaluogo
dove i saperi più diversi dialogano. E
l’architettura, il design e l’arte non sono
mondi chiusi e verticali, ma matrici
aperte e orizzontali in grado di attrarre,
elaborare e redistribuire conoscenza. è
per questo che, nel ricordare i momenti
salienti, guardiamo avanti, quando
domusofrum diventerà una vera e
propria unità d’intelligence per analizzare
scenari con strumenti tecnici e culturali
e proporre ipotesi per quella che resta la
più straordinaria creatura dell’umanità:
la città. Un organismo, nonostante tutto
aperto, che spesso mostra gli anni
che ha ma non per questo può essere
eliminato. Anzi, continua a rigenerarsi ed
evolvere, anche se non sempre nella
direzione più auspicabile. Se pensiamo
che nella sola Italia fino al 1970 solo il 30
percento della popolazione viveva in
città e in 50 anni le proporzioni si sono
ribaltate, se consideriamo che le città
occupano il 3 percento della superficie
globale e producono oltre il 75 percento
del Pil globale, allora è evidente in quale
direzione si disporrà il futuro: non potrà
fare a meno delle città ma, al tempo
stesso, avrà sempre più bisogno di
migliorarle e rendere più sostenibili,
circolari e, soprattutto, umane. In questo
percorso vuole andare domusforum,
continuando ad anticipare il dibattito
e sempre più applicandosi a casi
concreti, alle loro aporie apparenti o
reali. Una missione di servizio coerente
con quella originaria di Domus e con
un’idea di leadership contemporanea
per le colletività ‘glocali’ che la piccola
ma determinata comunità di Domus da
quasi un secolo persegue raccogliendosi
intorno all’esperienza di due ragazzi, Gio
Ponti e Gianni Mazzocchi. Con l’augurio di
restare per sempre ragazzi come loro, vi
diamo appuntamento al 2022, alla quinta
edizione di domusforum.
• With the 4h edition of domusforum the
“Domus system” defines its identity and
claims a role far removed from that of
other, albeit prestigious, forms of media.
Firstly, because domusforum is the
completion of the critical reflection that
the magazine has been carrying forward
since 1928. But above all because this
edition has seen the decisive emergence
of a physiognomy of the will to use a range
of differing models to express its mission
of being not only a form of media or simply
a brand but rather a meta-place where
different forms of knowledge can dialogue
and where architecture, design and art
are not exclusive and vertical worlds
but rather open and horizontal matrices
capable of attracting, processing and
re-distributing knowledge. This is why, with
the presentation here of the most salient
moments, we are looking to the future,
to when domusforum will become not
so much a moment of sharing as a true
coming together of intelligence, applying
technical and cultural tools to analyse
scenarios and put forward hypotheses
for what remains the most extraordinary
of humanity’s creations; the city. An
organism that, despite everything, remains
open; often showing its true age but still
deserving of survival. It continues to
regenerate and evolve, albeit not always
in the most desirable manner. One only
has to consider that, in Italy alone, until
1970 only 30% of the population lived in
cities, with these proportions completely
overturned in fifty years; or that cities
occupy 3% of the planet’s surface while
producing more than 75% of global
GDP to understand what direction the
future will take, with cities playing a vital
role while ever increasingly needing to
become more sustainable, circular and,
above all, human. This is the direction that
domusforum aims to move in, continuing
to foresee the debate but, above all,
focusing on real cases and their apparent
or actual aporias. A mission that is in
line with the original aim of Domus, but
above all with an idea of contemporary
leadership for glocal communities
that the small but determined Domus
community has been pursuing for almost
a century led by those two young men
Gio Ponti and Gianni Mazzocchi. With the
hope of remaining ever young ourselves,
we look forward to seeing you again in
2022 for the 5th edition of domusforum.
 XXVII

I protagonisti / The protagonists

La missione / The mission

Interrogativi complessi e
urgenti come quelli odierni non
possono trovare risposte
semplici né tantomeno
dogmatiche. Una mappa verso
un futuro sostenibile può
emergere soltanto
dall’incontro tra mondi diversi.
Questions as complex and
urgent as those of today
cannot be answered simply
or dogmatically. A map
towards a sustainable
future can only emerge
from the encounter
between different worlds.
Maria Giovanna Mazzocchi Bordone,
presidente / president Editoriale Domus

Gli onori di casa / The honors

Come insegna il mito dei sette
savi, la saggezza non
è individuale ma collettiva.
Oggi abbiamo bisogno
di una convergenza
basata sul buon senso
delle diverse discipline
che si impegnano
a disegnare il futuro.
As the myth of the seven
sages teaches us, wisdom
is not individual but collective.
Today we need
a convergence based
on the commonsense of the
different disciplines involved
in shaping the future.
Fiorenzo Galli, direttore generale /
general manager, Museo Nazionale della
Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci
XXVIII

Scrigno urbano /
Urban jewel box
L’architettura europea
raccontata da Domus
negli anni Sessanta e
Settanta testimonia
di quando, coltivando il bello,
si creava armonia. La città
del futuro deve recuperare
e rinverdire quella lezione.
The European architecture
narrated by Domus in the 60s
and 70s testifies of an era in
which harmony was created
by cultivating beauty. The city
of the future must recover
and revive that lesson.
Tadao Ando, guest editor Domus 2021

Come costruiremo /
How will we build
Nel prossimo trentennio
dovremo edificare una
nuova New York al mese.
È quindi fondamentale
migliorare gli standard
abitativi tramite soluzioni
accessibili e sostenibili.
Senza trascurare la bellezza.
In the next three decades,
we will have to build the
equivalent of New York City
every month. It is essential
to improve housing standards
through accessible,
sustainable solutions.
Without neglecting beauty.
Magali Anderson, chief sustainability and
innovation officer, Holcim Group

Come penseremo /
How will we think
Stiamo passando dalla
società dell’archivio alla
società dell’oracolo basata
sull’anticipazione dei bisogni
di cittadini e consumatori.
Non è un’innovazione
tecnologica ma, piuttosto,
un cambio di civiltà.
We are moving from the
society of the archive to the
society of the oracle, based
on anticipating the needs
of citizens and consumers.
This is not an innovation but,
rather, a civilization change.
Cosimo Accoto, filosofo digitale, innovatore
culturale / digital philosopher, cultural innovator
 XXIX

Come finanzieremo
il cambiamento / How will we
finance the change
La tecnologia può riavvicinare
la finanza alle persone,
alle imprese e ai territori.
Però, la condizione
necessaria è che ci
impegniamo a superare
l’attuale digital divide.
Technology can bring
finance closer to people, to
businesses and territories.
The necessary condition
is that we commit ourselves
in overcoming the existing
digital divide.
Alessadra Perrazzelli, vice direttrice /
deputy director, Banca d’Italia / Bank of Italy

Come vivremo assieme /

How will we live together
Il mondo va letto attraverso
quattro geografie, oggi
disallineate: fisica, politica,
funzionale, umana.
Per riallinearle dobbiamo
spostare le persone o le
risorse. O, meglio, entrambe.
The world must be
investigated through four
geographies, which are today
misaligned: physical, political,
functional and human.
To realign them, we need to
move people or resources.
Or rather, both.
Parag Khanna,
stratega globale / global strategist

Come custodiremo l’arte /

How will we cherish art
È fondamentale conoscere
la storia dell’arte perché
insegnandoci molto delle
soecietà passate può aiutarci
a riflettere sulla nostra
attuale e, soprattutto,
a immaginare quella futura.
It is essential to know the
history of art because by
teaching us a lot about past
society it can help us reflect on
our current one and, above all,
imagine the future one.
Marco Pierini, direttore della Galleria nazionale
dell’Umbria / director of the National gallery
of Umbria
XXX

Come salveremo il pianeta /

How will we save the planet
Finora i macchinari per fissare
la CO2 nel terreno sono mille
volte meno efficienti delle
piante, e mille volte più costosi.
Se gli alberi si chiamassero
“colonnine autofissanti
anidride carbonica” ne
avremmo già piantati miliardi.
To date, the devices to fix CO2
in the ground are a thousand
times less efficient than
plants, and a thousand times
more expensive. If the trees
were called “carbon dioxide
fixing columns” we would have
already planted billions.
Stefano Mancuso, neurobiologo / neurobiologist

Come occuperemo lo spazio /

How will we occupy space
La tecnologia è ormai
pervasiva, ma lo spazio fisico
ha il vantaggio di essere
immersivo e di venire scoperto
un po’ alla volta.
Con l’aiuto del digitale
possiamo creare ambienti che
narrano una storia, come la
scenografia di un teatro.
Technology is now pervasive,
but physical space
has the advantage of being
immersive and being
discovered bit by bit. With the
digitalisation we can create
environments that tell a story,
like a theatre scenography.
David Rockwell, architetto / architect

Domus - Boston Consulting Group
A new paradigm in healthcare delivery
Domusforum 2021 è entrato nel vivo
con la presentazione della ricerca di
Boston Consulting Group che delinea
il futuro del sistema sanitario italiano.
A illustrarla è stato Lorenzo Positano,
managing director e partner di BCG.
Nell’era pre-pandemica, l’iniquità
distributiva del sistema sanitario
costava circa 5 miliardi di euro per la
mobilità regionale.
Oggi, però, più del 70 percento degli
intervistati sceglie di non spostarsi
e di affidarsi a luoghi a “intensità di
cura” minore. Secondo BCG, nel giro
di 3-5 anni una porzione rilevante
dei “primi contatti” tra medico e
paziente sarà in via remota. Quanto
alla comunicazione dei risultati di
esami diagnostici, oltre sei su dieci
avverranno per via digitale.
Quasi un intervistato su tre afferma
di scegliere già oggi il “provider di cura”
tenendo in considerazione anche il
livello di infrastruttura digitale offerta.
Metà degli intervistati si dichiara
disposto a lasciare il proprio centro di
cura in favore di uno più evoluto.
La definitiva svolta implica cinque
passi: l’elaborazione di una visione
e poi di una road map digitale; la
promozione delle tecnologie presso
i propri pazienti; la trasformazione
digitale di sempre più processi;
l’assunzione di personale con
competenze digitali e il cambiamento
della mentalità dell’organizzazione;
la creazione di nuove imprese
digitali anche attraverso fusioni e
acquisizioni.
XXXI
• Domusforum 2021 got into full
swing with the presentation of the
Boston Consulting Group research
outlining the future of the Italian
healthcare system. It was illustrated
by Lorenzo Positano, managing
director and partner of BCG.
In the pre-pandemic era, the
distributional inequity of the
healthcare system cost around €5
billion for regional mobility.
Today, however, more than 70%
of people surveyed choose not to
move and to rely on venues with
lower “intensity of care”. According to
BCG, within 3 to 5 years, a significant
portion of the “first contacts”
between doctor and patient will take
place remotely. More than six out
of ten diagnostic test results will be
communicated digitally. Nearly one
in three respondents say they are
already choosing their care provider
today, taking into account the level of
digital infrastructure on offer. Half of
the respondents are willing to leave
their current care centre in favour of
a more advanced one. The definitive
shift involves five decisive steps:
the elaboration of a vision and then
a digital roadmap; the promotion
of technologies to clients/patients;
the digitalisation of an increasing
number of processes; the employing
of personnel with digital skills and
a change in mentality within the
organisation; the creation of new
digital businesses, also through
mergers and acquisitions.
XXXII
Tavola rotonda / Round table
Il futuro come matrice aperta /
Future as an open matrix
Coscienza planetaria,
istruzione, design-thinking
e compartecipazione
dello sforzo innovativo.
Ecco le chiavi del futuro
emerse dal confronto
tra i diversi saperi riuniti
sul palco di domusforum
Nella tradizione di domusforum la
tavola rotonda riveste un’importanza
particolare perché è il momento nel
quale emerge con più forza la natura
trasversale dell’evento. Quest’anno, al
dibattito moderato da Walter Mariotti
hanno partecipato l’avvocato Paola
Brambilla, membro della Commissione
di beneficienza di Commissione Cariplo
e coordinatrice della Commissione per
la valutazione dell’impatto ambientale
presso il ministero della Transizione
ecologica; Stefano Caselli, prorettore
agli Affari internazionali dell’Università
Bocconi; Paolo Quaini, leader dei
Progetti di rigenerazione urbana
di Edison; Martina Starke direttrice
delle sede di Monaco di Baviera di
Designworks, il laboratorio del design di
BMW Group.
Esponenti di settori, prospettive e
sensibilità diverse, i relatori hanno
affrontato temi delicati e decisivi come
la coscienza planetaria, la sostenibilità
energetica, l’inclusione delle fragilità
urbane, le sfide educative e quelle
industriali, il ruolo del design-thinking
nel ridefinire non soltanto gli oggetti
di domani, ma anche la società e g gli
individui che li utilizzeranno.
Il primo contributo alla discussione
viene dall’avvocato Brambilla che,
intersecando filosofia, economia
e giustizia sociale, riflette su come
oggi si debba ridiscutere il concetto
stesso di benessere, ponendo al
centro dell’equazione la “One health”,
la salute dell’ecosistema e dell’uomo
come elemento di tale ecosistema.
Un interessante modello economico,
suggerisce Brambilla, ci viene da
Kate Raworth e dalla sua Economia
della ciambella: questo paradigma
è riassunto da un grafico con due
cerchi concentrici. Nel primo, quello
interno, sono contenuti i diritti
fondamentali come reddito, casa,
cibo, acqua, medicine, parità di genere
ed espressione; quello esterno
rappresenta invece i limiti posti dal
pianeta e dalle sue criticità: emissioni,
consumo di suolo, perdita
di biodiversità, cambiamento
climatico e acidificazione degli oceani.
L’obiettivo della società urbana del
XXI secolo è rispettare i diritti umani
all’interno dei limiti imposti dal pianeta.
La sfida consiste nel creare economie
che contribuiscano a portare l’umanità
nello spazio equo della Ciambella. In
questa partita, conclude l’avvocato, al
di là dei decisori politici che ragionano
nell’arco temporale del mandato,
faranno la differenza gli individui
comuni, che matureranno
una sempre maggiore coscienza
planetaria. Parlando della formazione
delle nuove generazioni, la parola
passa al professor Caselli. Coltivare
i talenti e formare coscienze che
sappiano declinare in senso moderno
e responsabile il concetto
di benessere, esordisce il prorettore,
è una sfida collettiva e non individuale.
Non esiste l’educazione solitaria.
Essa ha bisogno, intanto, di hub che
sappiano far incontrare e dialogare
intelligenze, culture e sensibilità. Poi
non deve poter contare soltanto sulla
punta di diamante delle università ma
anche su scuole inferiori, nelle quali
l’istruzione non sia delegata alle scelte
e alle possibilità delle famiglie
ma offerta da un sistema giusto
e diffuso. Oggi, purtroppo, in Italia
c’è un dato che testimonia come
l’educazione sia, invece, proprio un
fatto individuale:
il 24 percento di giovani che
non studia, non lavora e non fa
formazione. Sono i NEET (Not in
Education, Employment, or Training),
sconfitti ed espulsi da un sistema che
fa troppo poco per includerli.
C’è bisogno, insomma, di un
cambiamento e di qualcuno che lo
progetti. Un po’ come avviene per
la mobilità, un tema che tanto nel
 XXXIII

In queste pagine: la tavola di Edison; Paola Brambilla,

rotonda di domusforum
2021 dal titolo Il futuro
come matrice aperta.
Pagina a fronte, da
sinistra: Walter Mariotti,
direttore editoriale
di Domus; Paolo Quaini,
responsabile dei progetti
di rigenerazione urbana
Commissione di
beneficienza
di Fondazione Cariplo;
Martina Starke, direttrice
di Designworks a Monaco
di Baviera; Stefano
Caselli, prorettore
agli Affari esteri
dell’Università Bocconi

micro quanto nel macro attraversa

domusforum. Martina Starke, a
capo dello studio bavarese di
Designworks, se ne occupa all’interno
di BMW Group. La designer tedesca
sottolinea come il ruolo di chi progetta
sia oggi più che mai fondamentale
per due motivi che potremmo definire
antropologici: i designer amano
le sfide e amano il cambiamento.
Se nella pratica del disegnare oggetti
è insita anche quella di plasmare i
comportamenti individuali e collettivi
che ne derivano, che cosa c’è di più
importante in un momento nel quale
forse più che mai nella storia si sta
cercando di progettare il futuro? Al
di là della svolta digitale e di quella
importantissima verso l’elettrico,
spiega Starke, la chiave verso un
futuro sostenibile nel campo dell’auto
avverrà con la circolarità della
produzione: oggi si ricicla circa il 95
percento delle parti di un veicolo, ma
la frontiera è quella rappresentata
dall’utilizzo di materiale di riciclo per la
produzione stessa del veicolo.
A Starke fa eco Paolo Quani di Edison:
come nell’automotive, anche nella
rigenerazione urbana va ripensato
l’approccio alle risorse, spiega. E se
fino a qualche tempo fa bastava
il best effort, oggi ogni risultato è
misurabile e quindi valutabile, per
esempio sulla base dei parametri
ESG. Per questo è obbligatorio, oltre
che giusto, un nuovo approccio alla
responsabilità. Sarà poi requisito
fondamentale la flessibilità di edifici
e progetti urbanistici, perché
le funzioni degli uni e degli altri
cambieranno nel corso della vita e,
forse, anche nel tempo che intercorre
tra progettazione e realizzazione.
Poi, il tema dell’energia: la
condivisione e la compartecipazione
degli sforzi deve portare a una
ridefinizione dei flussi e dei consumi,
non più tarati sui picchi di utilizzo, ma
semmai improntati alla sostenibilità
a 360°. La sfida che contiene tutte le
sfide, conclude Quaini, è la creazione
di un ecosistema che consenta una
re-ingegnerizzazione del processo
di creazione dello spazio costruito,
consentendo così alla collettività
di affrontare un problema superiore
alle capacità di qualunque singola
azienda per quanto attrezzata.
Al di là di queste rapide suggestioni,
è impossibile riassumere in poche
righe un’ora di dibattito fitto di analisi
e suggestioni.
Dovendo però condensare in due
parole lo spirito emerso dall’incontro,
queste sarebbero ‘responsabilità’
e ‘condivisione’: se il futuro deve
essere di tutti, deve esserlo anche
lo sforzo di immaginarlo e crearlo.
XXXIV

Bottom: the domusforum Paola Brambilla,

2021 round table,
under the title Future
as an open matrix.
From left: Walter Mariotti,
editorial director
of Domus; Paolo Quaini,
Urban Regeneration
Leader at Edison;
Charity Commission
of Fondazione Cariplo;
Martina Starke, director
of the Munich studio
of Designworks, BMW
Group; Stefano Caselli,
Dean for Foreign Affairs
at Bocconi University

individuals that will use them.

Planetary consciousness,
education, design-thinking
and shared innovation
efforts. These are the keys
to the future that emerged
from the debate between
the different fields
of knowledge that met
on the stage of domusforum
• In the tradition of domusforum, the
round table is of particular importance
because it is the moment in which the
multidisciplinary nature of the event
emerges most strongly.
This year the debate moderated by
Walter Mariotti was attended by Paola
Brambilla, member of the Charity
Commission of Fondazione Cariplo
and coordinator of the Commission for
environmental impact assessment at
Italy’s Ministry of Ecological Transition;
Stefano Caselli, Dean for International
Affairs at Bocconi University; Paolo
Quaini, leader of Edison’s Urban
Regeneration Projects; Martina
Starke director of the Munich office of
Designworks, the BMW Group design
laboratory.
Exponents of different sectors and
bearers of diverse perspectives, the
speakers addressed delicate and
decisive issues such as planetary
consciousness, energy sustainability,
the inclusion of urban frailties,
educational and industrial challenges,
the role of design-thinking in the
reshaping of not only the objects of
tomorrow but also the society and the
The first contribution to the discussion
was from the lawyer, Ms. Brambilla
who reflected on how there is currently
a need to re-examine the very concept
of well-being, focusing on “One
health”, the health of the ecosystem
and of humans as an element of
that ecosystem. One interesting
economic model, suggested Brambilla,
is offered by Kate Raworth and her
Doughnut Economics; this paradigm
is summarised by a graph showing
two concentric circles. The first,
inner, circle contains fundamental
rights such as income, home, food,
water, medicine, gender equality
and freedom of expression, while
the outer circle represents the limits
set by the planet and its criticalities;
emissions, consumption of land,
loss of biodiversity, climate change
and acidification of the oceans. The
aim of 21st-century urban society is
to respect human rights within the
boundaries set by the planet. The
challenge is to create economies
that contribute to bringing humanity
into the area of equality within the
Doughnut. In this task, concluded
the lawyer, what really makes the
difference – beyond political decision-
makers who reason within the time
constraints of their terms of office – is
common individuals, who continue
to mature an increasingly global
conscience.
Moving on to the education of the new
generations, Professor Caselli took the
floor. Cultivating talent and fostering
forms of conscience that see the
concept of well-being in a modern and
responsible key, began the professor,
is a collective challenge rather than
an individual one. There is no such
thing as solitary education. First and
foremost, it requires hubs that allow
intelligences, cultures and sensibilities
to come together and communicate.
Then, it should be understood that it
is not enough to focus exclusively on
the excellence of the university sector,
but that it should be possible to rely on
other lower forms of schooling, where
instruction is not down to the choices
and possibilities of families but rather
is offered by a fair and widespread
system. Sadly, Italy demonstrates a
trend that shows how education is
currently an individual matter; 24% of
young people do not study, work or
undergo training. These are the NEETs
(Not in Education, Employment or
Training), who have been beaten and
dismissed by a system that does too
little to include them.
There is a clear need for a change,
and for someone to plan that change.
It is somewhat like the situation
 XXXV

with mobility, a theme examined

by domusforum from both a micro
and macro point of view. Martina
Starke, head of the Munich office
of Designworks, handles mobility
within the BMW group. She stressed
how the role of the designer is now
more than ever fundamental for
two reasons that can be defined as
anthropological; designers love both
challenges and change. And if the
practice of designing objects also
involves shaping the consequential
individual and collective behaviour,
what could be more important in a
moment in which more than ever the
focus is on attempting to envision the
future? Beyond the digitalisation and
the shift to electric, explained Starke,
the key to a sustainable future in the
automotive sector lies in circular
production; now approximately 95% of
a vehicle’s parts are recycled, but the
frontier is represented by the use of
recycled material to make the vehicles
themselves.
Starke was backed up by Paolo Quaini
of Edison, who pointed out that, just like
in the automotive sector, the approach
to resources also needs to be re-
examined in urban regeneration. While
until not long ago it was enough to do
one’s best, now, every single result
can be measured and is therefore
assessable, for example on the basis
of ESG parameters. This is why it is
essential, as well as just, to foster a
new approach to responsibility. It will
also be fundamental for buildings and
urban planning projects themselves
to be flexible, because the functions
of both will change over their lifespan,
and possibly even in the period of
time between the design and the
implementation stages.
Then on to the theme of energy; the
sharing of efforts must lead to a re-
definition of flows and consumption,
no longer calibrated to peak usage
but rather focused on an idea of
all-round sustainability. The challenge
of challenges, concluded Quaini, is
the creation of an ecosystem that
allows for re-generation in the process
of creating built environment, thus
empowering the community beyond
the capabilities of any individual
company, whatever its means.
Apart from these small excerpts, it is
impossible to summarise in just a few
lines an hour of dialogue so rich and
dense with content.
However, if one had to sum up
the spirit of the meeting in two
words, those two words would be
“responsibility” and “sharing”; if the
future is to belong to everyone,
then so should the effort made to
imagine and create it.
Inserto / Insert
domusforum - the future of cities 4th edition Main partners
Domus 1064 gennaio / January 2022

A cura di / Curated by
Massimo Valz-Gris

Foto / Photos
Mirko Cecchi

Traduzioni / Translations
Daniel Clarke

Research partner

Under the patronage of

MASSIMO RISULTATO, IN MINOR TEMPO.

Con Run Personal vivi un’esperienza di allenamento personalizzata

grazie ai video on demand direttamente sul display integrato.
Technogym Coach, il tuo personal trainer digitale, ti motiva e ti guida
per raggiungere i tuoi risultati ottimizzando il tempo.

Chiama l’800 707070 o visita technogym.com

 ORIGINAL
FOR THE
ORIGINALS

Saliscendi - 1957
Achille e Pier Giacomo Castiglioni www.stilnovo.com
Domus 1064 Jean Nouvel Gennaio / January 2022

EDITORIALE / EDITORIAL

Jean Nouvel Fare architettura è dare carattere 1

Architecture is about defining a character

SAGGI / ESSAYS

Jean de Loisy Imprevisto 4

Unexpected

Gianluca Peluffo Agence Rudy Ricciotti 8

Architettura come resilienza
Architecture as resilience
Stadium, Vitrolles, Francia / France, 1994

ARCHITETTURA / ARCHITECTURE

Francis Marmande Joan Miró, Josep Lluís Sert, Aimé Maeght 12

Il Labirinto di Miró alla Fondation Maeght
The Miró Labyrinth at Fondation Maeght
Saint-Paul de Vence, Francia / France

Angela Maderna Christo and Jeanne-Claude 46

L’Arc de Triomphe, Wrapped
Parigi / Paris, 2021

Donatien Grau SANAA 54

Un’architettura di cristallo
A glass architecture
La Samaritaine
Parigi / Paris, 2020

Alessandro Benetti HW Studio Arquitectos 64

La collina di fronte alla gola
The hill in front of the glen
Morelia, Messico / Mexico, 2021

ARTE / ART

Donatien Grau Anne Imhof 68

Natures Mortes, Palais de Tokyo
Parigi / Paris, 2021

DESIGN

Martine Bedin Ronan & Erwan Bouroullec 76

Bourse de Commerce
Parigi / Paris, 2021

REAZIONE / REACTION

Fabrice Lextrait Coltivare lo spirito comunitario 80

Nurturing community spirit

Si ringraziano / With thanks to Traduttori / Translators Copertina / Cover Costa / Spine

Antony Bowden Paolo Cecchetto La Dea (1963) e il Muro Adel Abdessemed
Barbara Fisher Emily Ligniti (1968) / The Goddess (1963) 2021, dettaglio / detail
Annabel Little and The Wall (1968), Fondation
Dario Moretti Maeght, Saint-Paul de Vence,
Richard Sadleir Francia / France
Eleanor Staniforth Photo Jean Nouvel
Empowering inspirational thinkers. Since 1928.

Agenti regionali per la pubblicità nazionale

Domus Editoriale Domus
Direttore / Guest editor Editore e direttore responsabile / PIEMONTE / VALLE D’AOSTA / LIGURIA
Publisher and managing editor Openmedia s.a.s. di Niceforo Antonio & C.
Jean Nouvel
Corso Traiano 148 – 10127 Torino
Maria Giovanna Mazzocchi Bordone T +39 011 3180783 - segreteria@openmediaweb.it
Assistenti del direttore / Guest deputy editors VENETO / FRIULI V.G. / TRENTINO-ALTO ADIGE
Amministratore delegato / Tiziana Maranzana -
Lorenzo Grondona, Charlotte Kruk
Chief executive officer Via Santa Lucia, 74 - 35139 Padova
Sofia Bordone T +39 049 660308 - tiziana@studiomaranzana.it
EMILIA ROMAGNA / TOSCANA/MARCHE / UMBRIA / ABRUZZO
Direttore editoriale / Editorial director Business unit media director G.V.M. Marketing Service Srls
Nicola Licci Piazza Mazzini, 21 - 60033 Chiaravalle (AN)
Walter Mariotti T +39 339 7890135 - vittorio.grappone@edidomus.it
Brand Manager LAZIO E RESTANTI REGIONI
Alessandro Saibene Editoriale Domus S.p.A.
Redazione / Newsroom Ufficio esterno di Roma Via Savoia 78 - 00198 Roma
Product Manager T +39 06 85237244 - roma.est@edidomus.it

Editorial staff Francesca Di Giuda Estratti/Reprints

Loredana Mascheroni Per ogni articolo è possibile richiedere la stampa di un quantitativo minimo
Licensing & syndication di 1.000 estratti a/Minimum 1,000 copies of each article may be ordered from:
(responsabile / head)
licensing@edidomus.it T +39 02 82 472 253 -502; F +39 02 82 472 385
Rita Capezzuto email: grappone@edidomus.it
(vice caporedattore / deputy senior editor) Ufficio stampa / Press office Servizio abbonamenti/Subscriptions
Elena Sommariva Elisabetta Prosdocimi T +39 02 56 568 800 da lunedì a venerdì dalle 9.00 alle 18.00
(senior editor)
T +39 338 3548515 email: uf.abbonamenti@edidomus.it
Giulia Ricci Ufficio vendite Italia
ufficiostampa@edidomus.it T +39 02 56 568 800 da lunedì a venerdì dalle 9.00 alle 18.00
Grafici / Graphic department email: uf.vendite@edidomus.it
Elisabetta Benaglio Pubblicità / Advertising Un numero: €10,00. Fascicoli arretrati: €15,00.
T +39 02 82472253 Modalità di pagamento: contrassegno (contributo spese di spedizione €2,90).
Product editor offline–online F +39 02 82472385 Carta di credito: American Express, CartaSì, Diners, Visa. Versamento sul c/c
Giulia Guzzini postale n. 668202 intestato a Editoriale Domus S.p.A., Via G. Mazzocchi 1/3 – 20089
pubblicita@edidomus.it Rozzano (MI), indicando sulla causale i numeri di DOMUS desiderati.
domusweb / online Direzione pubblicità / Advertising director Editoriale Domus S.p.A. tratta i dati personali raccolti in qualità di Titolare
in conformità con i principi dettati dal Regolamento UE 2016 /679.
Marianna Guernieri Ferruccio Belloni Il responsabile della protezione dei dati è contattabile scrivendo presso la sede
Alessandro Scarano del Titolare o all’indirizzo email dpo@edidomus.it.
Editore / Publisher
Archivio e supporto Accademia ED/ Editoriale Domus S.p.A. Foreign Subscriptions dept.
Archives and Accademia ED support T +39 02 824 725 29
Simona Bordone Via Gianni Mazzocchi, 1/3 email: subscriptions@edidomus.it
20089 Rozzano (MI)
Foreign Sales
Coordinamento / Coordinator T +39 02 824 721 T +39 02 824 725 29; F +39 02 824 725 90,
Miranda Giardino di Lollo F +39 02 575 001 32 email: sales@edidomus.it

Segreteria / Administration editorialedomus@edidomus.it Back issues

€15.00 (postal charges not included). Payment method: by credit card American
Isabella Di Nunno Express, Diners, Mastercard, Visa, bank transfer on our account: Unicredit Spa
(assistente del direttore / assistant to the editor)
IBAN IT77X0200805364000104272924
Progetto grafico / Graphic concept SWIFT CODE UNCRITMMORR
Giuseppe Basile Distribuzione in edicola / Newsagent circulation
Distribuzione SO.DI.P. “Angelo Patuzzi” S.p.A.,
Collaboratori / Collaborators Via Bettola, 18 – 20092 Cinisello Balsamo MI
T +39 02 660301; F 02 66030320
Massimo Valz-Gris
(domusforum, allegati e speciali / supplements) Distribuzione in libreria / Bookshop distribution Idea Srl
Via Lombardia 4 - 36015 Schio (VI)
MAG Studio Milano T 0445.576574 – ordini@ideabooks.it
(impaginazione / page make-up) Distribuzione all’estero / Sole distribution agent
A.I.E. Agenzia Italia di Esportazione,
Fotolito e stampa / Prepress and printers Via A. Manzoni 12 – 20089 Rozzano (MI),
ErreStampa, Orio al Serio (BG) T +39 02 5753911, F +39 02 57512606

Contatti / Contact Edizioni locali di Domus / Local editions of Domus

Redazione / Editorial staff GEORGIA
T +39 02 824 721 PROJECT LLK LLC
F +39 02 824 723 86 Vake-Saburtalo district, Nutsubidze Street, n. 77 - Workshop n. 16,
Tbilisi, Georgia
per sottoporre proposte e per informazioni / T +995 32 2397174
to submit projects and for general enquiries
redazione@domusweb.it Registrazione del Tribunale di Milano n. 125 del 14/8/1948.
È vietata la riproduzione totale o parziale del contenuto della rivista senza
Sito / Website l’autorizzazione dell’editore.
www.domusweb.it All rights reserved. No part of this publication may be reproduced in any form
without the permission of Editoriale Domus.
Facebook
Copyright 2022 Editoriale Domus S.p.A. Milano
www.facebook.com/domus
Instagram
@domusweb
In questo numero la pubblicità non supera il 45%.
Twitter Il materiale inviato in redazione, salvo accordi specifici, non verrà restituito.
L’editore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle
@domusweb immagini e testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte.
The publisher declares its willingness to settle fees that may be owed for texts
and images whose sources could not be traced or identified.
domus 1064 Gennaio January 2022
Jean Nouvel
Fare architettura è dare carattere /
Architecture is about defining a character
Il filo conduttore della mia Domus 2022 è il carattere. Mi auguro
quindi che Domus rafforzi il suo potere evocativo, dando espressione
a sensazioni, sensibilità, anomalie ed eccezioni tanto nella scelta
delle architetture e degli oggetti quanto nel modo di comunicarli, tentando
di trasmettere le impressioni reali sperimentate di fronte ai soggetti scelti.
Non siamo sceriffi con il ruolo di garanti dei codici classici, delle
visioni ortodosse che hanno pretesa di oggettività. Accettare la soggettività
è il primo passo verso il sensibile.
Fare architettura è dare carattere. Eppure, il tratto distintivo di buona parte
delle architetture di questo inizio di secolo è non avere carattere, essere
intercambiabili. Siamo entrati nell’èra dell’architettura automatica. I piani
regolatori sono predisposti per avanzare il più rapidamente possibile, per far
guadagnare tempo a progettisti che non creano più nulla, per compiacere
imprenditori che vogliono fare sempre le stesse cose e mediatori che
guadagnano senza rischiare. Tutto ciò non hanno nulla a che vedere con
il carattere, ma ha la benedizione dei politici del momento, la cui principale
preoccupazione è farsi dimenticare. Perdonate l’eufemismo: come potete
constatare voi stessi, tutto procede a gonfie vele!
Su una collina di Saint-Paul de Vence, coperta di pini marittimi,
un raro evento ha stabilito per sempre, 60 anni fa, la permanenza
inaspettata e imprevedibile di un’arte felice, di un’arte insolente, beffarda
e giocosa. Questa rara opportunità l’ha fornita l’incontro di Aimé Maeght,
appassionato d’arte, Josep Lluís Sert, architetto catalano e discepolo
di Le Corbusier, e Joan Miró, artista catalano, eterno bambino gioioso che
ha passato la vita ad amare la vita, a gustarla, a divertirsi e far divertire,
facendoci commuovere: ebbene sì, il divertimento può essere contagioso!
Aveva ragione Robert Filliou a proposito dell’arte: l’arte è l’unica
cosa che possa rendere la vita più interessante dell’arte. L’architettura
è un’arte, ha il dovere di fare da madre alle arti e accoglierle per rendere
sempre più belle le nostre vite.
Il Labirinto di Miró è un’opera che va vissuta, un luogo profondamente ricco,
in osmosi con gli alberi, gli orizzonti, il mare, i cieli. Crea delle interferenze
con spontaneità, con delle spontaneità che rendono eterno lo spirito
del momento… lo spirito dell’artista, quello che dà forma ai caratteri.
In seguito, abbiamo scoperto che l’urbanistica globalizzata si è rivelata più
che mai mortale per la dimensione umana: il carattere è legato a una
situazione, ha il dovere di essere espressione della geografia e della storia
di un luogo. È legato alla memoria e, soprattutto, allo schietto desiderio
di esprimere il piacere di essere lì e non altrove.
Sì, l’architettura inizia da qui! All’architetto non si deve impedire di fare
il proprio mestiere attraverso vincoli e norme. Il ruolo sociale e legittimo
dell’architettura, e quindi dell’architetto, sta nel dare carattere al luogo,
nell’approfondirlo, nell’immaginarlo e inventare concretamente una vita che
faccia emergere lo spirito del luogo.
Per riuscirci, abbiamo bisogno di architetti dotati di un grande carattere
e di una volontà di ferro. L’architettura non è una cosa che si può fare
da soli. L’architetto è un artista che deve lavorare insieme ad altri artisti,
a ogni scala del progetto: dalla casa alla strada fino alla piazza,
dal giardino privato al parco. Purtroppo, oggi questa collaborazione
non viene per nulla incoraggiata.
Domus è una rivista che parla dell’attualità delle opere architettoniche.
Come si giustifica, quindi, questo ritorno al passato? Perdonatemi, non
è colpa mia se l’attualità della pertinenza delle differenti consapevolezze,
della conoscenza profonda tra un committente, un architetto e un artista, mi
balza agli occhi e allo spirito. Sono fermamente convinto che oggi non
ci sia niente di più attuale nel panorama architettonico di questo esempio
che mostra e dimostra come l’arte atomizzata, negli spazi pubblici
come negli appartamenti, non abbia la forza dell’indissociabilità e della
concettualizzazione premeditata capace di stanare il genius loci.
È per questo che André Malraux, lasciando il Labirinto di Miró nel 1964,
ha precisato: “In questo luogo potrebbe essere successo qualcosa per la
storia dello spirito”.
EDITORIALE / EDITORIAL 1
• The underlying theme that I have chosen for my guest editorship
of Domus 2022 is character. With this in mind, it is my hope that Domus
may crystallise its evocative power, expressing sensations, sensibilities,
anomalies and exceptions through its choice of architecture or objects, and
endeavouring to convey the genuine impressions experienced when
faced with those chosen subjects. We are not sheriffs assigned to
guarantee classical codes and orthodox visions that purport to be objective.
Accepting subjectivity is the first step towards sensibility.
Making architecture is about defining a character. And yet, most early 21st-
century architecture is characterised by being uncharacterised.
It is interchangeable. We have entered an era of automatic architecture.
When drawing up plans for urban developments, still today the
priority is to optimise the speed of execution... To save time for designers
who no longer design anything.
To satisfy entrepreneurs who always want to do the same thing, and
to please developers who rake in profits without taking risks... These are all
figures who have nothing to do with character. They have the blessing of the
politicians of the moment, whose main concern is to be forgotten.
Excuse the euphemism, but as you can see for yourselves, everything is
working as intended!
On a hill in Saint-Paul de Vence covered in cluster pines, a rare event took
place 60 years ago that established the unexpected and unpredictable
permanence of a joyful, insolent, mocking and playful art. That rare
opportunity was provided by an encounter between the art lover Aimé
Maeght, the Catalan architect and follower of Le Corbusier Josep Lluís
Sert, and the Catalan artist and eternal child Joan Miró, who spent his
life cheerfully loving life and savouring every moment, entertaining and
being entertained, moving us and delighting us – yes, enjoyment can be
contagious! Robert Filliou was right about the function of art: art is the
only thing that can make life more interesting than art. Architecture is an art,
and it must nurture and accommodate other forms of art to make our lives
more beautiful.
Miró’s Labyrinth is a work to experience physically, a profoundly evocative
place in osmosis with the trees, the horizon, the sea and the sky.
It interferes with spontaneity, with the spontaneities that render the spirit
of a moment eternal... the artist’s spirit that gives shape to characters.
Since then, we have seen how globalised urbanism has become more
deadly than ever for the human dimension: character is linked to place,
expressing its geography and history. It is linked to memory and above all to
a sincere desire to convey the pleasure of being there and not elsewhere.
Yes, that’s how architecture begins! Architects must not be prevented from
doing architecture by constraints and rules. The legitimate societal role
of architecture, and therefore of the architect, is to give character to a place,
to lend it depth, to imagine it, and to invent a life that brings out the spirit
of a place. To do so, we need architects with a strong character and an iron
will. Architecture is not something we can make by ourselves. Architects
are artists who must work alongside other artists on all levels of a project,
from a house to a street or square, and from a private garden to a park.
Unfortunately, such collaboration is rarely encouraged these days.
Domus is a magazine about contemporary architectural creation. So why
this return to the past? Forgive me, but I cannot help being struck by the
ever-enduring relevance of awareness and of the profound understanding
between patron, architect and artist. I firmly believe that nothing
could be more topical in the architectural panorama today than this
example, which demonstrates that atomised art, in public spaces
as in apartments, lacks the strength of being indissociable and conceptually
premeditated that is capable of awakening the genius loci, the character
and atmosphere of a place.
This is precisely why, when leaving Miró’s Labyrinth in 1964, André Malraux
surmised: “Here something may have occurred in the history of the spirit.”
 Photo Bridgeman Images
Fare architettura è dare
carattere/
Architecture is about defining
a character

Photo Manakin

“La poesia è la negazione

1 dell’iniquità”
4 Photo Glasshouse Images / Alamy Foto Stock 5
 1 Antoni Gaudí , Parque Güell, Barcelona, 1914. 2 Vetrata di / Glazing of Notre-Dame, Reims,
France, circa 1290. 3 Palais idéal du facteur Cheval, Hauterives, France, 1879-1912.
4 Pittura rupestre con mucca e cavalli / Cave painting with cow and horses, Lascaux, France.
5 Pitture rupestri / Cave paintings, Niaux, France. 6 Pittura rupestre con cervi rossi /
Cave painting with red deers, Lascaux, France

Photo Ferran Traité

“Poetry is the negation

of iniquity” 3

Charles Baudelaire
Photo Pascal Goetgheluck / Science Photo Library 6 Photo Dominic Robinson / Alamy Foto Stock
4 SAGGI
Imprevisto / Unexpected
Jean de Loisy
Le città ideali dallo splendore marmoreo, come sono rappresentate
dagli artisti del Rinascimento italiano, obbediscono a programmi
filosofici rigorosi che le separano dal resto del mondo. Queste
rappresentazioni di città sublimi sono numerose – per esempio quella
di Urbino attribuita a Piero della Francesca o quella di Francesco
di Giorgio Martini conservata a Berlino – e appaiono tutte deserte.
Bellezze erudite congelate dai requisiti dell’Idea, che si sviluppano in
un’atmosfera rarefatta inadatta alla vita. Questi esercizi di geometria
simbolica sono stati rivisitati cinque secoli più tardi nei malinconici
dipinti di Giorgio de Chirico. Sempre prive di popolazione come si vede
nel suo quadro Il grande metafisico, del 1917, sono allo stesso tempo
nostalgie di un passato dalle inaccessibili virtù e critiche verso un
modello necrotizzato che, pur incombendo sull’arte e sull’architettura,
ha un vocabolario degradato incomprensibile ai moderni, sopravvive
per le forme spettrali di un neoclassicismo approssimativo, la cui
tediosa grammatica ha ossessionato le città europee fino all’inizio del
XX secolo. La paccottiglia funebre di forme e geometrie con la quale è
costruita la sagoma metafisica è racchiusa in un sepolcro verdastro
sul quale scivola l’ombra della croce di un dio morto. Dato che dalla
ripetizione nascono la noia e l’indifferenza i creativi, dalla preistoria a
oggi, sono andati alla ricerca di modelli che fossero fonte di sempre
nuova ispirazione. La parola-chiave di questa estetica della singolarità,
dell’unicità e della sorpresa spesso è stata pronunciata dall’amico
e ammiratore di De Chirico e dagli altri protagonisti dell’inventiva
moderna cui egli era legato.
‘Imprevisto’ è l’aggettivo che usava Guillaume Apollinaire quando si
trovava di fronte a un’opera che lo coinvolgeva: era per lui l’espressione
della più profonda ammirazione per gli oggetti che, indifferenti a ogni
altra perfezione, si contrappongono allo stile, alla ripetizione noiosa
dei modelli. Così, nel 1912 al museo del Trocadéro, scopre il bizzarro dio
Gu e scrive: “La grande statua di ferro che raffigura il dio della guerra
è senza dubbio l’oggetto d’arte più inaspettato, e uno dei più gradevoli,
che esista a Parigi”. Questo gusto dello stupore, della forma inattesa,
appare consustanziale al nostro modo di essere. Ne sono testimoni le
pietre che trasformiamo in utensili da oltre tre milioni di anni e che, per
lo meno nella più recente epoca dei nostri antenati neanderthaliani,
vengono scelte certo per la loro funzionalità, ma spesso anche per
la loro bellezza, per la loro diversità. È la ragione per cui, talvolta a costo
di viaggi o scambi dispendiosi, gli uomini si sono adoperati a ottenerne
gli esemplari più spettacolari, ricorrendo a una certa pietra di una
certa regione, anche lontana, per arrivare a produrre e a valorizzare
una qualità.
L’estetica, cruciale per determinare l’originalità, ricorre all’invenzione
formale o al risalto dato a una qualità inedita. Impossibile, per esempio,
non essere colpiti dalla visione, dalla creatività e dall’abilità richieste
da un’amigdala (risalente a 600.000 anni fa circa), come quella del
McGregor Museum di Kimberley, in Sudafrica, lavorata in modo da
mettere in rilievo gli strati di colore, che ricorda la destrutturazione
cromatica di una maglia di Missoni o ancora il piacere di chi fabbricò
domus 1064 Gennaio January 2022
l’ascia (vecchia di 300.000 anni e ora conservata al Museum of Jean de Loisy
Archaeology and Anthropology di Cambridge, in Inghilterra), che fece è un critico d’arte e curatore
francese specializzato in arte
accuratamente in modo che comparisse una conchiglia fossile. moderna e contemporanea e
Imprevisto! Trecentomila anni dopo, nel XX secolo, l’urgenza di nuove direttore dell’École nationale
invenzioni indusse gli artisti della Gläserne Kette riuniti intorno a supérieure des Beaux-Arts di
Bruno Taut a cercare ispirazione nelle cristallizzazioni geologiche le Parigi. È stato presidente del
Palais de Tokyo dal 2011 al 2018.
cui geometrie e trasparenze avevano la capacità, a loro avviso, di
“trasformare la casa dell’uomo in una cattedrale”. Tra questi, Wenzel • Jean de Loisy is a French
Hablik allineava al sole i cristalli per scorgervi tetti, torricelle, castelli, art critic and curator who
palazzi, allo scopo d’inventare un nuovo programma per gli architetti del specialises in modern and
contemporary art. He is the
XX secolo. Alle soglie del XXI secolo, nel 1996, Pierre Huyghe durante director of the École nationale
un viaggio raccoglie una pietra e la trasforma nel modello di un atrio supérieure des Beaux-Arts in
di meditazione nella cui copertura ricava una serie di aperture che Paris and was president
seguono il cielo tailandese. Il ciottolo originale è collocato al centro della of the Palais de Tokyo from
2011 to 2018.
navata, mentre il sito da cui proviene e quello dove è stato messo, grazie
alla rotazione terrestre, potrebbero eventualmente fare coincidere le
rispettive costellazioni. Il progetto, come molti siti utopici immaginati
da altri architetti della Gläserne Kette, non è stato realizzato ma, come
questi, reca in sé una riflessione sui rapporti esclusivi che dovrebbero
intercorrere tra una forma e un luogo, sull’edificio come eccezione
poetica. Le Corbusier definiva queste pietre, i pezzi di legno, gli ossi che
raccoglieva per rinnovare la sua ispirazione, “oggetti a reazione poetica”.
Nel 1925, in occasione di un’esposizione al Musée des arts décoratifs,
scrive: “Questi oggetti raccolti in riva al mare, martirizzati dagli elementi
e che sono espressione di leggi fisiche, possiedono non solo qualità
plastiche eccezionali, ma anche uno straordinario potenziale poetico”.
Charlotte Perriand, Henry Moore, Isamu Noguchi, André Breton e molti
altri hanno cercato in queste fonti naturali di ispirazione un modo per
spezzare il giogo delle regole costituite. Scrive per esempio Joan Miró:
“Questa bottiglia, questo bicchiere, un grosso sasso sulla spiaggia […]
fanno scattare nel mio spirito grandi movimenti. Oggetti finiti e immobili,
si traducono sulle mie tele in forme simili a scintille che escono dal
quadro come da un vulcano”. Anish Kapoor, ispirandosi alla Venere di
Willendorf, realizza nel 2011 un’opera che prende forma dalla navata
del Grand Palais e che si allontana da ogni scultura conosciuta. Tomás
Saraceno invade nel 2018 il Palais de Tokyo con strutture realizzate
in collaborazione con varie specie di aracnidi. Le loro tele, che sono
estensioni del loro sistema percettivo, ci suggeriscono nuovi modelli
per l’invenzione e lo sviluppo delle nostre città o della nostra sensibilità,
proponendoci così un percorso nuovo. Mille altri restano plausibili.
Il punto non è se l’architetto o l’artista trovino ispirazione nella natura,
nella scienza oppure nel delirio, ma piuttosto, a quanto pare, sbarazzarsi
dei vincoli sistemici.
Oggi, tutti nutriti degli stessi software, minacciati dall’uniformità delle
soluzioni cui questi potrebbero portarci, se non vogliamo ergerci
stoltamente, come il personaggio dipinto da De Chirico, sugli accessori,
sulle antiche protesi delle nostre formule fatiscenti, dobbiamo inventare
forme che sfuggano alla monotonia dei sistemi e che s’inscrivano
nell’unicità dei siti, delle geografie e delle culture.
Imprevisto
è l’aggettivo
che usava
Apollinaire
di fronte a
un’opera che
lo coinvolgeva
domus 1064 Gennaio January 2022
• The ideal cities of pristine marble depicted by Italian Renaissance
artists conformed to rigorous philosophical agendas that detached
those urban settings from the real world. Sublime cityscapes were
painted on many a canvas, such as the panorama of Urbino attributed
to Piero della Francesca, and another one by Francesco Martini that is
stored in Berlin. However, they all share the idiosyncrasy of being all but
devoid of human presences. Frozen by the demands of an idea, these
speculative beauties emerged in a rarefied atmosphere that was unfit
for life. Five hundred years later, those exercises in symbolic geometry
were revisited by Giorgio de Chirico in his melancholic paintings.
As deserted as the scene in his 1917 The Great Metaphysician, they
express nostalgia for a past whose virtues have been lost. At the
same time, they criticise a dying model that continues to haunt
both art and architecture. That model’s degraded vocabulary and
meanings have become incomprehensible to modern people, yet
they persist in the spectral forms of an approximative neoclassicism,
whose tedious grammar lingered in European cities until the early
20th century. The figure of de Chirico’s metaphysician is held up on a
funereal hotchpotch of shapes and geometries, which are arranged
around a greenish coffin displaying the faint shadow of the cross of a
dead god. Aware that monotony and irrelevance are born of repetition,
creators from prehistoric times to the modern day have sought
models to trigger renewed inspiration. “Unexpected” is the keyword
for this aesthetic of the singular, the unique and the surprising. It was
an adjective often used by de Chirico’s friend and admirer Guillaume
Apollinaire (and by other associated figures involved in modern
invention) when he encountered a work that captured his imagination.
It was an expression of his profound admiration for objects that
were indifferent to perfection and countered the style and tiresome
repetition of models. At the Trocadéro Museum in 1912, he discovered
the strange god called Gou and wrote: “The great iron statue depicting
the God of War is, without a doubt, the most unexpected and one of
the most elegant art objects that Paris has ever seen.” This sense
of wonder when confronted with unexpected forms appears to be
consubstantial with human nature, as demonstrated by the stones
we have been transforming into tools for more than three million
years. At least since the more recent Neanderthal era, stones have
been chosen not only for their usefulness, but also for their beauty or
distinctive characteristics. This is why people would go to extraordinary
lengths to obtain the most spectacular specimens of a particular
region’s rock – sometimes travelling far and wide and at considerable
expense – so that they could shape them and highlight their unique
qualities. As a crucial element favouring originality, aesthetics
draws on formal invention or the accentuation of a hitherto unseen
characteristic. One cannot fail to appreciate the vision, creativity
and skill that was required to make the hand-axe on display at the
McGregor Museum in Kimberley, South Africa. Thought to be around
600,000 years old, it was carved in such a way as to highlight the
stone’s chromatic strata, recalling the destructured colours of a
ESSAYS 5
Missoni jumper. Equally remarkable is the circa 300,000-year-old
hand-axe preserved at the Museum of Archaeology and Anthropology
in Cambridge, UK. The delight of its creator is evident in the way
he or she carefully worked around a fossilised shell that emerged
while carving the utensil. Unexpected! In the 20th century, an urgent
need for reinvention prompted the artists participating in Bruno
Taut’s Glass Chain correspondence to seek inspiration in geological
crystallisations whose geometries and transparencies were, in their
eyes, capable of “transforming people’s homes into cathedrals”. One
of these artists was Wenzel Hablik, who, when gazing into crystals
held up to the light, would see roofs, towers, castles and palaces,
thereby contributing to the invention of a new programme for 20th-
century architects. Approaching the 21st century, in 1996, Pierre
Huyghe picked up a stone on his travels and used its shape as a
model for a meditation hall whose roof was studded with openings
designed in relation to Thailand’s night sky. The original pebble was
to be positioned at the centre of the space, and the Earth’s rotation
meant that the constellations of the site where it was found and the
place where it now lay may one day coincide. Like many of the utopian
places imagined by the Glass Chain creatives, Huyghe’s design was
never built, but it invites us to reflect on the exclusive relationship
between form and place, and on the building as a poetic exception.
In his quest for new inspiration, Le Corbusier described the stones,
twigs and bones he gathered as “objects of poetic reaction”. Exhibiting
them at the Musée des Arts Décoratifs in 1925, he wrote: “These things
battered by the elements, collected on the shore, manifesting physical
laws... possess not only plastic qualities but also extraordinary poetic
potential.” Charlotte Perriand, Henry Moore, Isamu Noguchi, André
Breton and many others sought to break the shackles of accepted
convention by channelling these natural sources of inspiration. Joan
Miró wrote: “This bottle, this glass, a large pebble on the beach... trigger
great movements in my mind. Finite, motionless objects, they are
translated in my canvases by forms resembling sparks flying out of
the frame as if from a volcano.” Inspired by the Venus of Willendorf, in
2011 Anish Kapoor created a piece that was informed by the shape
of the nave in Paris’s Grand Palais, and diverged from all previously
known sculpture. In 2018, Tomás Saraceno filled the Palais de Tokyo
with structures made with the help of spiders. An extension of their
perceptive systems, their webs hinted at new models for inventing and
developing our cities or sensibilities, proposing a new path forward. A
thousand other paths are equally plausible. Whether an architect or an
artist draws inspiration from nature, science or delirium, the key seems
to be to cast off systemic constraints. These days, we are all running on
the same software and threatened by the uniformity of the inventions
to which it can lead. If we want to avoid standing foolishly on the
accessories and former prostheses of our dilapidated formulas like
the figure in de Chirico’s painting, we must invent forms that escape
the monotony of systems and reflect the unique characteristics of
places, geographies and cultures.
Unexpected
was the
adjective used
by Apollinaire
when faced
with a work that
captivated him
6 SAGGI domus 1064 Gennaio January 2022

Imprevisto /
Unexpected

Courtesy of University of Cambridge Museum of Archaeology & Anthropology

Azoor Collection / Alamy Foto Stock

2
Photo Julien Hekimian / Getty Images Europe

Christie’s Images, London / Scala, Firenze

3 4
1 Ascia scolpita a mano / hand axe, West Toft, 500,000-300,000 a.C. / BCE. 2 Wenzel Hablik, Crystal Castle in the Sea, 1914. 3 Anish Kapoor, Leviathan, 2011.
4 Giorgio de Chirico, Il grande metafisico / The Great Metaphysician, 1917. 5 Autore sconosciuto, Città ideale / Unknown artist, Ideal City, c. 1477

Photo © Jörg P. Anders / Gemäldegalerie der Staatlichen Museen zu Berlin - Preußischer Kulturbesitz

5
 domus 1064 Gennaio January 2022 ESSAYS 7

Photo Philippe Blanchot / Hemis / Alamy Foto Stock

6
6 “On Air. Carte Blanche to Tomás Saraceno”, Palais de Tokyo, 2018. 7 Charlotte Perriand, esperimento fotografico / photographic experiment, 1934.
8 Pierre Huyghe, Meditation Hall (Model), 2003

Photo © Pierre Huyghe. Courtesy of the artist

8
© Archives Charlotte Perriand / ADAGP 2021

7
8 SAGGI
Il progetto per il monolite dello Stadium di Vitrolles nasce nel 1989
per volontà del sindaco socialista Jean-Jacques Anglade. La spinta
all’industrializzazione degli anni Sessanta aveva decuplicato la
popolazione della cittadina del dipartimento delle Bocche del
Rodano, passata da 3.000 a 35.000 abitanti, e aveva portato con sé la
necessità di creare spazi per lo spettacolo e l’intrattenimento.
La collocazione geografica della città, appena a nord di Marsiglia e
vicina alla stazione del TGV di Aix-en-Provence, la rendeva strategica
per la realizzazione di una grande sala per lo spettacolo.
Il luogo scelto per la costruzione è una cava abbondonata di bauxite.
Nel 1990 vince il concorso Rudy Ricciotti, architetto di Bandol che
concepisce un progetto innovativo dal punto di vista del linguaggio
architettonico, oltre che meno costoso rispetto alle proposte dei
concorrenti (l’equivalente odierno di circa 7 milioni di euro). Lo Stadium
viene completato nel 1994. L’edificio è presto teatro di scontri politici:
durante la campagna elettorale del 1997 viene colpito da ogni parte
politica per la sua forza simbolica – alternativamente descritta come
‘islamica’, ‘antiprovenzale’, ‘fascista’ e ‘antibucolica’ – e subisce un
attacco violento che riduce progressivamente la possibilità da parte
dei musicisti di accedervi o esservi invitati. Successivamente, per
volontà del Comune, che dal 1997 è guidato da Front National, viene
organizzato un festival di rock identitaire française, ma poco prima,
il 29 ottobre 1998, un attentato esplosivo mette fuori uso i sistemi di
sicurezza e di amplificazione della struttura, costringendo l’evento
negli spazi del parcheggio. Il fallimento finanziario e d’immagine per
l’amministrazione porta alla chiusura al pubblico dello Stadium il 7
novembre 1998, segnandone l’abbandono. La municipalità non ha mai
trovato una modalità di recupero e di riutilizzo. L’architettura, in questo
caso, viene declinata come una religione laica: pratica disperatamente
la speranza. È una struttura che crea una frattura attraverso la sua
forza massiva e brutale, ma anche tramite la sua fragilità. Quest’ultima
qualità ha un potere smisurato se dichiara con la sua stessa presenza,
con l’immutabilità del suo cemento nero sul rosso della bauxite – ogni
ora, ogni giorno, ogni stagione – la persistenza di un gesto di rottura
rivoluzionario. Il corpo dell’architettura è sensuale e doloroso, si è
offerto al sacrificio su questo terreno rosso. La storia dello Stadium
Sotto: l’interno dello Stadium devastato dall’esplosione del 1998. A luglio 2022 è in programma la riapertura con Resurrection, ispirato alla Sinfonia n. 2 di Gustav Mahler
Photo Lisa Ricciotti
domus 1064 Gennaio January 2022
di Vitrolles è un’avventura tragica molto interessante dal punto
di vista architettonico: stigmatizza l’esilio della bellezza, la volontà
di rivolta. Il Sud della Francia, il Midi, è il luogo fisico e umano nel quale
si è consumato il dramma della fine del colonialismo francese e del
perdurare di un’idea di Stato repubblicano e democratico.
Forse, allora, le cause di questa guerra si devono cercare dentro
alle pressioni che si oppongono a una ricerca di bellezza che viene
ritenuta troppo aggressiva ed espressiva, e anche al tentativo di uno
Stato repubblicano di costruire un luogo di “fusione degli orizzonti”,
cioè capace di accogliere e unire differenti esigenze e culture.
La musica è naturalmente occasione di contatto e condivisione:
è richiamo primitivo e forza sotterranea, nomadica e religiosa,
ribellione rock e denuncia. Quando alla musica occitana o celtica, o a
quella nordafricana, si sovrappongono posizioni politiche, si crea un
cortocircuito simile a quello causato dal piccolo ordigno esplosivo
che rese inutilizzabile l’edificio nella sua felice acustica amplificata.
L’architettura è fragile, ma resiste e persiste, perché dichiara una
posizione esplicita, laica e repubblicana, esprime la volontà di rottura di
un destino anti-estetico. La vecchia cava è rossa come lo studio di un
pittore en plein air, o come un incubo kubrickiano senza tempo. Si crea
un nuovo paesaggio dentro a una serie di tensioni, ben esemplificate
nella relazione di progetto di Rudy Ricciotti del 1990: tra astratto e
naturale, sulfureo e bucolico, rosso ocra e verde amaranto, artefatto e
vegetale. L’architettura è volgare quando non crea una scena teatrale,
ovvero una connessione fra il cittadino e la collettività: il monolite di
Vitrolles ha sempre offerto questo collegamento e ancora oggi svolge
il tragico ruolo di scena teatrale mediterranea. Quando era in attività,
era il suo interno vivo, fatto di musica e catarsi collettiva, a fungere da
scena civica, mentre oggi il ruolo è passato all’edificio con la sua forza
espressiva di bellezza in un esilio geograficamente non alienabile.
Resiste perché è frutto di una rottura dentro la scelta culturale e
tecnica, si schiera contro l’acciaio e il vetro a favore del cemento, del
brutalismo, dell’arcaismo, del rock, della potenza espressiva. Ancora,
contro la pretesa che sia la trasparenza a costituire il modo migliore
per rappresentare democraticità e futuro. Non solo resiste, ma esiste:
con la sua forza fragile è arcaico segno di un credo laico e disperato.
domus 1064 Gennaio January 2022
• The project for the monolithic stadium in Vitrolles originated in 1989,
at the behest of the then socialist mayor Jean-Jacques Anglade.
The local drive towards industrialisation that first emerged in the 1960s
had generated a tenfold increase in the population of this small town in
the department of Bouches-du-Rhône. Its growth from 3,000 to 35,000
inhabitants also brought a need to provide entertainment spaces.
The town’s location – just to the north of Marseille and near the Aix-en-
Provence TGV station – made it a strategic choice for the construction
of a large music and sports venue. The site pinpointed for the project
was an abandoned bauxite quarry. In 1990, the design competition
was won by Rudy Ricciotti, a young architect based in Bandol who had
proposed an innovative design in terms of architectural language. His
project also had a smaller price tag, costing the equivalent of about
seven million euros. The construction of the Stadium de Vitrolles was
completed in 1994. During the local election campaign in 1997, which
was won by the National Front, the building was blasted from all sides
of the political spectrum, with parties railing against its symbolic
force – defined by some as “Islamic”, by others as “non-Provençal”
and by others again as “fascist” or “anti-bucolic”. It was subjected to a
violent attack that resulted in a gradual reduction of musicians’ ability
to access it or be invited there. When the town’s far-right municipality
organised a rock identitaire français festival in the venue, shortly before
the event, on 29 October 1998, a bomb put the building’s safety and
amplification systems out of use, forcing the concert to take place in
the car park. It was a flop for the administration’s finances and image,
leading to the stadium’s closure and abandonment on 7 November
1998. Subsequent councils have never found a way to salvage and
reuse it. In this case, the architecture was inflected like a lay religion
desperately observing the credo of hope. It is architecture that creates
a rift via its immense and brutal force as well as its fragility. Indeed,
fragility has immense power when its presence is the declaration of
an ongoing and radical act of rupture, every hour, every day and every
season. The architectural mass – with its immutable black concrete
set against the bauxite-coloured landscape – is sensual and agonising,
having offered itself as a sacrifice on this reddish ground.
Architecturally speaking, its tragic vicissitudes are of great interest,
• Below: the stadium’s interior wrecked by the explosion in 1998. The venue is due to reopen in July 2022 with Resurrection, inspired by Gustav Mahler’s Symphony No. 2
Agence Rudy Ricciotti
Stadium, Vitrolles, France, 1994
Architettura come resilienza /
Architecture as resilience
Gianluca Peluffo
ESSAYS 9
stigmatising the banishment of beauty and the desire for revolt. Gianluca Peluffo
The South of France, or le Midi, is a physical and human place that è nato a Savona nel 1966.
È architetto, dottore di ricerca
provided the stage for the drama surrounding the end of French in progettazione architettonica
colonialism, along with the persistence of an idea of a republican e docente. Nel 2017 fonda
and democratic state. Perhaps the reasons behind this conflict Gianluca Peluffo & Partners
must be sought in the pressures that have opposed the search for a con sede ad Albissola Marina
nello studio che fu di Lucio
beauty deemed too aggressive and expressive, while also resisting Fontana, dopo aver co-fondato
the republican state’s attempt to build a place that “merged diverse lo studio 5+1AA nel 1995.
horizons”, i.e. capable of embracing different needs and cultures.
Music offers an opportunity for contact and sharing. It can be a • Peluffo was born in
Savona, Italy, in 1966. An
primitive, underground, nomadic and religious force, charged with architect, teacher and PhD in
rock rebelliousness and denunciation. When political stances are architectural design, in 2017 he
superimposed on Occitan, Celtic or North African music, it creates a established Gianluca Peluffo &
short circuit similar to the one caused by the explosion that rendered Partners in Albissola Marina, in
the same studio that used to
the building with its amplified acoustics unusable. The architecture is belong to artist Lucio Fontana,
fragile but it resists and lives on as it expresses an unambiguous lay having co-founded the 5+1AA
and republican position, conveying a desire to rupture an anti-aesthetic practice in 1995.
destiny. The old bauxite quarry is as red as the studio of an en plein air
painter, or a timeless Kubrick nightmare.
A new landscape was created within a number of tensions, as
exemplified by Ricciotti’s design report of 1990: a mix of abstract
and natural, sulphureous and bucolic, ochre red and amaranth
green, artificial and vegetable. Architecture becomes vulgar when
it fails to create a theatre scene, or rather a connection between
citizen and community. The Stadium de Vitrolles has always created
this connection. Even today, it plays a tragic role of Mediterranean
scenography. While it was still functioning, its vibrant interior of music
and collective catharsis acted as a civic stage.
Today, that role has been transferred to the building, with the expressive
force of its beauty set in geographically inalienable exile.
It lives on because it is the product of a rupture within the cultural and
technical preference that stands against steel and glass, favouring
concrete, brutalism, archaism, rock music and expressive force.
Against the presumption that transparency is the best way to transmit
democracy and future. It endures and exists, and with its fragile force it
is an archaic sign of a lay and desperate creed.
10 SAGGI domus 1064 Gennaio January 2022
Photo Lisa Ricciotti

Sopra: il fronte ovest della struttura rivolto verso la Route Nationale 9. Sotto e nella pagina a fronte: due viste di dettaglio che mostrano l’attuale stato dell’edificio
Photo David Huguenin
 domus 1064 Gennaio January 2022 ESSAYS 11

• Above: the structure’s west facade facing the Route Nationale 9. Below and opposite page: two views showing details of the current state of the building
Photo Lisa Ricciotti
12 ARCHITETTURA
Fondation Maeght a Saint-Paul de Vence. Estate. Abbandono il fracasso dei
motori a scoppio. M’inoltro sulla stretta strada in pendio. Sento affiorare nelle
viscere segnali discreti del sentimento del sacro. Insomma, non esageriamo.
Anche di gioia. Scale, nidi d’amore, passeggiate appartate per gli innamorati
sotto l’azzurro del cielo. Sento lo stesso brivido sensuale.
Ogni anno, per circa quattro decenni, i festival del jazz della Costa Azzurra
(Antibes Juan-les-Pins e Nizza) mi hanno portato a raggiungere Saint-Paul de
Vence. Un piacevole dovere molto emozionante.
Quei festival li ho vissuti, con tutti i loro momenti incandescenti:
Ray Charles, Charles Mingus… Il 26 luglio 1965, ad Antibes Juan-les-Pins,
John Coltrane suona A Love Supreme. A 20 anni, è un colpo che non si
dimentica; poi, la lenta trasformazione in una festa del consumismo più o meno
frivola. Ci sono anche momenti magici (non bisogna essere ingiusti),
Sonny Rollins, Keith Jarrett, Miles Davis... 1974, prima Grande Parade del jazz
a Nizza, nata per opera di George Wein e Simone Ginibre: sfilano (quasi)
tutti i jazzisti viventi, o per lo meno attivi, tranne gli attivisti dichiarati (chiamatelo
free jazz o great black music, a vostro piacere).
La Fondation Maeght offriva il contrario di questo mondo irrequieto, destinato
a diventare inutile. Senza contare che quattro anni prima, in anticipo di un
millennio, vi si erano svolte le favolose “Nuits de la Fondation”, santo cielo! Albert
Ayler, Sun Ra, Cecil Taylor, Terry Riley, La Monte Young, tutti profeti di un futuro
che non ha saputo essere alla loro altezza. Estate, ci si mette all’ombra, le cicale
si danno con appassionata follia a quel che meglio sanno fare – cantare a ritmo
continuo – senza per altro che si sappia se cantano. Né perché. Come ci si
dedichino è un punto già meglio analizzato, grazie all’entomologo Jean-Henri
Fabre. Siamo entrati in un mondo parallelo.
Qui comincia il mondo dei fantasmi, con il sodalizio tra arte, natura,
architettura, forme, opere e complicità che arriva a un tale punto
di precisione, di successo, di perfezione che potrebbe essere benissimo
l’ipotesi magica del più reale dei mondi.
Mentre “dei mortali la moltitudine vile / sotto la sferza del Piacere, boia
senza pietà / coglie rimorsi nella festa servile” (Charles Baudelaire) e si affolla
Du côté de la côte (come nel cortometraggio di Agnès Varda), la Fondation
Maeght è qualcosa di più di un’oasi di pace.
La perfezione della natura evocata dalle arti: l’alleanza dell’istinto, dell’amicizia,
dell’amore, di un’architettura provvidenziale e di artisti quanto mai diversi
gli uni dagli altri… A casa di Aimé Maeght stanno fianco a fianco e si rispettano.
Complicità segreta. Sinergia di un luogo e di pratiche d’arte senza precedenti,
oltre che senza eredi. Insopportabile sinfonia delle cicale e lieve brezza tra gli
alberi che un dio nascosto ha soffiato a guance gonfie, deliberatamente.
Nel 1953, Aimé e Marguerite Maeght vedono morire di leucemia il figlio Bernard.
Dolore insuperabile.
Georges Braque li raggiunge e li convince a combattere la disperazione più
profonda con la creazione di un luogo senza paragoni: “Dato che desiderate
tanto fare qualcosa che vada oltre il commercio delle arti – che a quanto pare
disprezzate, e vi capisco – fate qualcosa qui, qualcosa che non abbia scopi
speculativi, che permetta a noi artisti di esporre scultura e pittura nelle migliori
condizioni di luce e di spazio possibili. Fatelo, e vi aiuterò”.
Si uniranno a lui gli artisti della Galerie Maeght: Alberto Giacometti, Alexander
Calder, Marc Chagall, Joan Miró… L’architetto? Una scelta splendida: il
catalanissimo Josep Lluís Sert, raccomandato da Miró. Un colpo di genio.
In un momento in cui tutto sembra aria fritta – Hollywood e la riduzione a
finanza di un mondo dove tutto si compra e si butta – la Fondazione procede
divertendosi con la concretezza. L’amicizia e l’amore sono il filo conduttore sotto
traccia, sotto i delicati auspici di un principe di nome Aimé.
Dopo tutto, la vita, il tragitto di un pianeta che appare diretto verso la propria
rovina, avrebbero potuto adottare questa traiettoria insensata che qui, tra timo,
rosmarino e cicale, sembra tanto naturale.
Alleanza miracolosa degli artisti, degli artigiani, degli architetti, dettata
Photo Carl van Vechten Courtesy of Fundació Joan Miró Photo courtesy of Fondation Maeght
Joan Miró, Josep Lluís Sert, Aimé Maeght
Il Labirinto di Miró alla Fondation Maeght
The Miró Labyrinth at Fondation Maeght
Francis Marmande
domus 1064 Gennaio January 2022
dall’amore, dall’amicizia e dal segreto del lutto…
Ebbene no! Il mondo ha scelto – con una certa soddisfazione, a quanto pare –
“l’esplicito odio della bellezza” (Cornelius Castoriadis), la ripetizione dell’identico,
l’universale clonazione delle forme, la rottura definitiva tra architettura
e arte, e via dicendo. Non tanto per politica quanto per ignoranza o cattiveria.
Nemmeno la tanto deprecata globalizzazione pretendeva tanto.
È un abisso completamente diverso.
Jean-Louis Prat, direttore artistico della Fondazione dal 1969 al 2005 e dotato
di grande ispirazione: “Ho fatto quel che ho voluto […] Aimé era un uomo geniale,
di una generosità esemplare. Ha saputo riunire in un solo luogo espositivo
creativi molto diversi. Nel totale rispetto della loro libertà. Accanto a lui ho
imparato ad amare, a rispettare […]”.
Trentacinque anni di mostre concepite come altrettante composizioni,
firmate da Jean-Louis Prat, e la sua invenzione della biblioteca in loco hanno
accresciuto moltissimo la reputazione internazionale della Fondazione.
C’è da stupirsi che Prat non sia stato indicato con maggiore forza come
elemento essenziale di questa avventura collettiva dedicata ad Aimé e
Marguerite Maeght. Nel segno dell’istinto e dell’amore.
Quando questo capolavoro fu inaugurato, tra timo e rosmarino (con il coro
delle cicale) nell’estate del 1964, André Malraux rivestiva la carica di ministro
della Cultura. Nel suo discorso usò termini molto semplici, scelse parole del
linguaggio comune cui la sua voce e l’enfasi, scintille di follia, folgorazioni
dell’anima, conferirono un risalto unico che si perde nella partitura scritta, in
assenza della fisicità dell’oratore. “Vi siete cimentati in qualcosa che non è
in alcun modo un palazzo, che non è in alcun modo un luogo ornamentale e,
diciamolo subito (dato che il malinteso crescerà e guadagnerà apprezzamenti),
che non è in alcun modo un museo. Questo non è un museo. Quando poco fa
contemplavamo il pezzetto di giardino in cui si trovano i Miró accadeva la stessa
cosa di quando contemplavamo la sala dove c’erano i Chagall. Le piccole corna
che Miró reinventa, con la loro incredibile potenza onirica stanno creando nel
vostro giardino, con la natura e gli alberi, un rapporto che non è inedito. […]
Qui invece si cerca – con un risultato che non sta a noi giudicare e che
appartiene ai posteri – di fare qualcosa che non è mai stato tentato prima:
creare l’universo, creare, istintivamente e con l’amore, un universo
in cui l’arte moderna possa trovare insieme il suo posto e la presa di distanza
che un tempo si chiamava ‘il soprannaturale’”.
Aimé e Marguerite Maeght non erano evidentemente gli unici visionari in questa
avventura che non porta alcuna traccia né di una bravata volgare né di un atto
esibizionista vano e speculativo.
Semplice esperienza interiore all’aria aperta – il timo, il rosmarino, la brezza, i
giochi d’acqua e di luce; gli alberi rabbrividiscono, le cicale si appassionano –
mentre L’uomo che cammina di Alberto Giacometti non cessa di camminare
nella corte il Labirinto di Miró crea involontariamente il senso di questa
odissea degli affetti e delle complicità.
Un labirinto a cielo aperto
Evidente percorso dei misteri. Gioco da giardino. Sentiero ironico dagli accenti
esoterici. Non tanto sicuro, d’altra parte. Il Labirinto di Miró è una
linea bianca – il suo filo d’Arianna – che si sviluppa seguendola natura nuda,
così come si offre, in un regno che non può essere toccato. È un tracciato che
segue i pendii e i livelli guardandosi soprattutto dal cambiarli, che sarebbe
non tanto un crimine quanto una sciocchezza. Che raccoglie le acque così
come sposa il cielo. Sbalorditivo, a pensarci, questo Labirinto di Miró, ennesima
riedizione di uno dei miti più fondamentali, più prolifici dell’umanità, mito che
si dice risalire, ben prima dei Greci, all’età del bronzo. Sbalorditivo che questa
riedizione insensata – la più universale, la più gioiosa, la più leggibile – offra il
primo labirinto a cielo aperto.
Si pensava di perdersi nelle viscere degli inferi dove abita il mostro.
Niente affatto: il Labirinto di Miró esplode in piena luce, in pieno sole,
domus 1064 Gennaio January 2022
semplicemente carezzato dal soffio delle brezze orchestrate dalle cicale.
Pista per i più piccoli, gioco infantile, con le sue figure sacre, i suoi enigmi, le sue
battute che fanno ridere i bambini, e un candore così raro.
Lassù – partiamo dall’alto, non c’è nessun obbligo – l’Aquilone e la Lucertola
si guardano come cani di terracotta. A meno che non si scambino strizzatine
d’occhio quando non li si vede.
Sulla pelle di serpente del muro – è un coronamento – ecco l’impronta delle dita
di Miró: le sue “dita in negativo”, come il negativo delle mani sulla parete delle
grotte più famose (Altamira, Lascaux, Chauvet), gesto affettuoso di un Sapiens
sapiens a un comune passante del XXI secolo.
Spesso, in questo cammino di Miró che può essere percorso “in ogni senso e in
ogni direzione” (Arthur Rimbaud), queste figure affastellate assomigliano a parti
intime, come si suol dire – non sarebbe la prima volta che mi faccio allegramente
delle fantasie tutte mie.
Toh! Ecco la Torre in cui si inseriscono, più che incastrarsi, dei frammenti di
dischi. Il più basso, rosso, ha al centro una croce nera (caspita!) e un cerchio.
Sotto questo totem c'è il Muro con 468 piccole piastre di ceramica, a mo’ di
piastrelle o come un puzzle.
Questo Muro di 100.000 colori – l’assoluto contrario di quelli che gli Stati si
affrettano a costruire dovunque, per mero odio dei migranti – questo Muro
strepitoso di 12 metri per 2 è stato amorosamente rifinito in Spagna… no: in
Catalogna! A Gallifa, 502 metri d’altitudine, piuttosto freddina d’inverno, 169
abitanti (169 anime, se questa è la vostra visione delle cose), nel laboratorio del
ceramista Josep Llorens i Artigas.
Trasporto e posa nel Labirinto, nel 1968. Si vorrebbe sapere tutto, la marca
dell’autocarro, il motore, le precauzioni, il nome dell’autista e se fosse fumatore.
Al centro della terrazza la Dea (1963), il cui addome indica
che si tratta della dea della fecondità. Un guscio di tartaruga (di ceramica)
ne mette in rilievo il ventre gravido di promesse.
Per meglio dire: questo guscio è il ventre.
L’irresistibile Doccione verde – che invenzione! – lancia un filo d’acqua come si
son messi a fare i calciatori in campo, ma con un’eleganza che loro non avranno
mai, nella prima delle quattro vasche che il Labirinto conta. Qui, sul fondo,
tremolanti per l’acqua che scorre, altre immagini che Miró vi ha fatto scivolare –
è inarrestabile.
Seconda terrazza con il suo Arco imponente (1963), porta spalancata
sul nulla, a meno che non dia sull’infinito.
Trenta tonnellata di cemento: perbacco, fa impressione! Cemento armato dalla
spessa epidermide decorata da incisioni fatte con il martello pneumatico!
Perché farsi scrupoli?
L’Occhio del mammut (1963) si rimira nella vasca: sì, è una caratteristica
poco nota degli occhi di mammut.
La Meridiana, al passaggio (successiva, è del 1973), è composta da ceramiche
spezzate.
E infine il Forcone di ferro e bronzo (1963). In questo percorso dai segni così
poco decifrabili da permettere di interpretarli a proprio piacere, il Forcone, crudo
ritorno alla realtà! Fieramente brandito, così leggero e contemporaneamente
saldo, fisso su punti d’appoggio tanto fermi, il forcone è l’arma del contadino
ribelle nella guerra di Spagna.
Non è un simbolo: è un forcone, compagni! Al forte soffio del mistral, in origine, si
rigirava minaccioso.
L’hanno fissato (tutto è simbolo, per dire). Scendere per otto scalini, la
Donna dai capelli sciolti di marmo bianco (1968) si erge su un masso, proprio
al centro di una vasca. Infine, a strapiombo sul Labirinto, una figura
senza corpo né braccia (ceramica color bronzo), Personaggio totem, il cui
non-sguardo di sfinge cela i propri segreti.
Sta a voi giocare. L’Uccello lunare e l’Uccello solare dovrebbero proprio aiutarvi
(1968), ma occorre metterci del vostro. Un misterioso personaggio e due
Doccioni occupano l’ultima vasca. Quello che sputa acqua come i calciatori del
Pagina a fronte, da sinistra / Opposite page, from left:
Joan Miró, Josep Lluís Sert, Aimé Maeght
ARCHITECTURE 13
Barça, ma meno triviale, è ancorato alla pietra, accanto a due
maschere di ceramica: una testa di rettile e poi una testa di civetta tutta tonda.
Le cose sono finalmente chiare.
Se risalite anche di poco il pendio così spesso erotizzato, vi verranno
alla mente altre immagini, altre storie, altri sogni, altre interpretazioni – come
nella vita, insomma.
Né più né meno. Grazie a quale sortilegio questo bestiario, questi materiali
e questi segni del Labirinto di Miró, con le loro concatenazioni che derivano da
una sintassi della felicità e del dubbio, danno l’impressione di sintetizzare
i sensi polimorfi della Fondazione? Labirinto aperto ai quattro venti,
diagonale folle, farandola delle ceramiche, trasversale dalla libertà disinvolta,
cancellazione del dentro/fuori, festa di stelle (le ceramiche sotto l’acqua brillano,
volta celeste in fondo ai mari), scatenamento scientifico delle fantasie,
più una cosa che stavamo per dimenticare: mai dimenticare la parte del gioco,
in Miró; offrire a Dedalo la possibilità di saltare la cavallina; aprire in mezzo
alle opere degli altri artisti, collocate per caso al giusto posto in questo spazio
incantato non corrotto dalla minima preoccupazione di fare l’artista; aprire,
gioioso, vivo, tanto umano, lo spazio infinito che viene dal sogno e quello del
sogno. Solo le cicale lo avranno capito senza difficoltà.
Jean-Henri Fabre – monsieur Fabre (1823-1915), l’entomologo geniale nato
a Rouergue, uno dei migliori prosatori francesi – svela la sua grandezza
nella ricerca, prono nei campi, sul canto delle cicale. Ricostruisce con
allucinante precisione il meccanismo del ‘canto’; descrive, particolare dopo
particolare, le elitre e gli altri strumenti sonori. Si presenta un elenco
esaustivo delle interpretazioni che, nel corso del tempo, si è riusciti a proporre
sui motivi di questo enigmatico "canto delle cicale".
È nella conclusione che dà il meglio di sé, lacaniano ante litteram, definitivo:
“Se mi si dicesse che le cicale mettono in moto il loro rumoroso apparato senza
in alcun modo preoccuparsi dei suoi effetti, per il solo piacere di sentirsi vive,
come noi ci sfreghiamo le mani in un momento di soddisfazione, non
ne sarei per nulla scandalizzato. Che ci sia in più, nel loro concerto, uno scopo
secondario che riguarda implicitamente il sesso, è certamente possibile, molto
naturale, senza però che sia ancora dimostrato”.
Eravamo in tre: il comandante pilota Jégat, pilota geniale come altri sono poeti,
entomologi o Miró in persona, un altro aviatore di cui oggi mi sfugge il nome, e io,
anch’io pilota, diciannovenne, meno agguerrito.
Il 29 luglio 1964, alle due di notte, lasciavamo l’aeroporto rudimentale e sassoso
situato nella zona pedemontana basca, a Itxassou. Cap d’Antibes.
Trabiccolo poco adatto a vincere la minima corsa. Guardate sulla mappa.
Itxassou-Antibes, all’epoca. Raid degno della Pechino-Parigi del 1907. La sera,
non potendo pagarci il biglietto, siamo dietro la cancellata di fondo. Felici come
cicale. Ella Fitzgerald si esibisce ad Antibes con Roy Eldridge. Improvvisamente,
un ortottero (forse un grillo), lo giuro, trova la prestazione entusiasmante.
Ci si unisce. Ha tutti i dischi di Ella. È in voce. Decide di improvvisare con Ella!
Lei si infastidisce e subito si mette a dialogare con il grillo. Gli parla. Gli ricorda
che non è lui il protagonista. L’altro risponde. Un dialogo incredibile (ma c’è la
registrazione: Cricket Song, 1964).
Credo che sia una terra propizia ai sortilegi. La Fondation Maeght ne è la prova
con il suo splendore: il Labirinto di Miró.
Francis Marmande
Nato a Bayonne, Francia,
nel 1945, è uno scrittore
e un musicista. Collabora
con il quotidiano francese
Le Monde dal 1977.
È attualmente direttore
del laboratorio di letteratura
moderna Littérature
au present all’Université
de Paris.
14 ARCHITETTURA domus 1064 Gennaio January 2022

In questa pagina, a destra: Joan Miró, Affiche avant la lettre per una mostra
su J.L. Sert al Carpenter Center for the Visual Arts - Harvard University, 1978.
litografia originale (HC IC/C), 76 x 53,5 cm. Pagina a fronte: pianta del Labirinto
di Miró con l'indicazione delle opere

•This page, right: Joan Miró, Affiche avant la lettre for an exhibition
on J.L. Sert at the Carpenter Center for the Visual Arts -
Harvard University, 1978. Original lithograph (HC IC/C), 76 x 53.5 cm.
Opposite page: plan of Mirò’s Labyrinth showing the layout of the artworks

Collection Fondation Maeght, Saint-Paul de Vence. Photo Claude Germain © ADAGP (Paris, 2021)

• Fondation Maeght, Saint-Paul de Vence. It was summer. I left behind the din and without heir. The repetitive symphony of the cicadas is accompanied by
of the combustion engines and headed up the steep, narrow track. A solemn a soft breeze in the trees, like the breath of some hidden god, with his cheeks
sensation subtly swelled up inside me. But I mustn’t exaggerate. That feeling was puffed out purposefully.
joy. Staircases, love nests, those strolls that lovers used to take, ten sidesteps In 1953, Aimé and Marguerite Maeght lost their son, Bernard, to leukaemia. Their
apart beneath the blue sky. That same sensual thrill. grief was overwhelming.
Every year for almost 40 years, the jazz festivals on the French Riviera Georges Braque persuaded them to refocus their complete despair into
(in Antibes Juan-les-Pins and Nice) led me to travel up to Saint-Paul de Vence, the creation of a unique place: “Since you are so keen to do something that
like an exhilaratingly delightful obligation. transcends the art trade you seem to despise, as I can well understand, why
At those festivals, I experienced moments of pure brilliance: Ray Charles, not do something here with no speculative purpose that would allow us artists
Charles Mingus… On 26 July 1965 in Antibes, John Coltrane performed A Love to exhibit sculpture and painting in the best possible lighting and spatial
Supreme. I was 20 years old and it was an unforgettable experience. After that conditions? Do it. I will help you.”
it slowly morphed into a rather frivolous festival of consumerism. But, in all The artists from Galerie Maeght joined him: Alberto Giacometti, Alexander
fairness, there were magical moments too: Sonny Rollins, Keith Jarrett, Miles Calder, Marc Chagall, Joan Miró… The choice of architect was dazzling, nay a
Davis… In 1974 there was the first Grande Parade in Nice by George Wein and stroke of genius: the deeply Catalan Josep Lluís Sert, recommended by Miró.
Simone Ginibre. All (or almost all) the living jazz musicians paraded, or at least At a time when everything seemed to be about grandstanding, Hollywood and
those who were still performing, with the exception of the self-declared activists financialisation in a world where things were bought and thrown away, the
(call it free jazz or great black music, as you prefer). Fondation Maeght offered foundation focused on the enjoyment of self-evident truths: friendship and love,
quite the opposite to that hectic, soon-to-be futile world. secretly intertwined under the delicate patronage of a prince called Aimé.
That is not to overlook the fabulous “Nuits de la Fondation”, which, four years The funny thing is, life and the course of our planet, which is seemingly headed
earlier and light years ahead, had put together a stunning line-up: Albert Ayler, for disaster, could have followed the crazy trajectory of this place, which,
Sun Ra, Cecil Taylor, Terry Riley, La Monte Young, all prophets of a future that immersed in thyme, rosemary and cicadas, seems so natural.
never lived up to their standard. It was summer. We parked in the shade. The A prodigious alliance of artists, artisans and architects forged by love, friendship
cicadas were giving a spirited rendition of what they do best – singing in rhythm and the intimacy of grief.
– even though we don’t really know whether they’re “singing” exactly. Or why. How But that wasn’t to be. Instead, the world has chosen – and with some
they do it has already been cleared up by the entomologist Jean-Henri Fabre. satisfaction, it would seem – “affirmative hatred of the beautiful” (Cornelius
We had just entered a parallel world. Castoriadis), the repetition of the same few elements, the universal cloning of
The realm of the spirits began there, where the entanglements of art, nature, forms, and a permanent rupture between architecture and the arts,
architecture, forms, works and complicities are pushed to such a degree out of ignorance or spite rather than for political reasons. Not even the widely
of exactitude, success and perfection that it could well be the enchanted decried globalisation has made quite such demands. This is a whole new abyss.
hypothesis of the most authentic world. Jean-Louis Prat, the foundation’s highly motivated artistic director from
As “the vulgar herd of mortals, under the scourge / of Pleasure, that merciless 1969 to 2005, once said: “I did everything I wanted to do... Aimé was a man of
torturer / goes to gather remorse in the servile festival” (Baudelaire) and hurries genius, of exemplary generosity. He brought together very different creators
“along the coast” (Du côté de la côte, a short film by Agnès Varda), Fondation in his gallery and showed complete respect for their freedom. With him, I learnt
Maeght is far more than just a haven of peace. to love and to respect.”
It is nature’s perfection kindled by the arts: an alliance based on instinct, The foundation’s international reputation was considerably enhanced by the 35
friendship and love between a providential architecture and artists as different years of exhibitions assembled by Jean-Louis Prat as if they were compositions,
from one another as they could possibly be... At Aimé Maeght’s home, they stand as well as the library he created on the site. It is striking that he has not been
side by side and show the utmost respect for one another. Secret complicity. more enthusiastically hailed as a cornerstone of this collective venture
It is an unprecedented coupling of a place to artistic practices. Unprecedented, dedicated to Aimé and Marguerite Maeght and driven by instinct and love.
 domus 1064 Gennaio January 2022
Courtesy of Ateliers Jean Nouvel
When the masterpiece was finally inaugurated amid thyme and rosemary,
against a chorus of cicadas, in summer 1964, André Malraux was the Minister of
Cultural Affairs.
Malraux spoke in very simple terms, using everyday words that he pronounced
with a unique tempo, with sudden emphases, sparks of madness and flashes
of the soul. The speaker’s cadence is lost in the written score, but the spirit of
his words remains even without his presence: “You have attempted to create
something that is in no way a palace, a decorative place, and, it must be noted
immediately before misunderstanding grows and adorns it, in no way a museum.
This is no museum. When we were observing the part of the garden where the
Miró works are, the same thing happened as when we were looking at the room
housing the Chagall pieces… These little horns that Miró reinvents with their
incredible dreamlike power are creating a relationship that has never before
been created in your garden with nature and the trees... What is being attempted
here, the result of which is not for us to judge – that task belongs to future
generations – what is attempted here is something that has never been done
before: instinctively and lovingly creating a world where modern art can find its
place and this other world once known as the supernatural.”
Aimé and Marguerite Maeght were clearly not the only visionaries involved in
this venture, which was neither a vulgar exploit nor a vain, lucrative parade.
A simple inner experience in the open air – accompanied by thyme, rosemary,
the breeze, water features, lighting effects, rustling trees and the cicadas’ joyful
chorus – as Giacometti’s Walking Man continues to walk in the courtyard, Miró’s
Labyrinth creates an involuntary sense of an odyssey of affect and collusion.
An open-air labyrinth
An obvious mystery trail. A garden game. A quirky path with esoteric features.
Not so obvious, then. Miró’s Labyrinth is a white line – an Ariadne’s thread –
winding through untouched nature. The line travels up and down, changing
nothing of the relief; to do so would be more folly than crime. It scoops up water
and dances into the sky.
It is striking, if you stop to think, that Miró’s Labyrinth – the umpteenth iteration
of one of humankind’s most foundational, most prolific, most universal, most
joyous, most intelligible myths, which is said to date back to the Bronze Age,
much earlier than ancient Greece – is the first open-air labyrinth.
Rather than plunging into the depths of hell where the monster dwells, Miró’s
Labyrinth erupts in broad daylight, caressed by the delicate breath of the breeze
that conducts the cicadas’ song. It is a childlike treasure hunt, with its sacred
figures, its riddles, its gags that make children giggle, and a rare candour.
ARCHITECTURE 15
Doccione e Personaggio /
Gargoyle and Figure
Uccello solare / Solar Bird
Uccello lunare / Lunar Bird
Donna dai capelli sciolti /
The Woman with her Hair Down
Personaggio totem /
The Totem-figure
Il Forcone / The Pitchfork
La Meridiana / The Sundial
L’Uovo / The Egg
L’Arco / The Bow
Doccione / The Gargoyle
Dea / The Goddess
L’Aquilone / The Kite
La Lucertola / The Lizard
Il Muro / The Wall
Il Muro / The Wall 1, 2, 3
L’uccello / The bird
Up there (we might as well start from the top as there are no rules) The Kite and
The Lizard stare each other down. Or perhaps they are winking at one another.
On the wall’s reptilian skin, Miró’s fingerprints are visible: his “negative fingers”,
rather like the negative hands on the walls of the most famous caves (Altamira,
Lascaux, Chauvet), an affectionate wave from Sapiens sapiens towards 21st-
century passers-by.
Often, in Miró’s Labyrinth, which can be taken “in all senses and in all directions”
(Arthur Rimbaud), these makeshift figures are reminiscent of private parts,
as one might call them, but it is entirely possible (and it wouldn’t be the first
time) that I am engaging in merry fantasy.
Look! There’s The Tower (1963), with fragments of discs inserted rather than
embedded into its surface. The lowest of the plaques is red with a black
cross in the centre (good Lord!) and a circle.
Beneath this totem is The Wall featuring 468 ceramic plaques in a tiled format
reminiscent of a jigsaw.
This wall with a hundred thousand colours – quite the opposite to the walls
that states are rushing to erect everywhere out of sheer hatred for migrants –
spanning 12 by 2 metres, was lovingly perfected in Spain. In Catalonia,
to be precise, in a town called Gallifa, 502 metres above sea level, where it’s
rather chilly in winter, populated by 169 humans (or 169 souls, if you prefer), in
the studio of ceramic artist Josep Llorens i Artigas.
The Wall was transported and added to the Labyrinth in 1968. I would be
keen to know more: the brand of lorry, its engine, what precautions were taken,
the driver’s name and whether or not he or she smokes.
In the middle of the terrace is The Goddess (1963), whose abdomen marks
her out as the goddess of fertility. A (ceramic) tortoiseshell symbolises her belly
filled with promise.
More accurately put, the shell is her belly.
The irresistible Green Gargoyle (1968) – what a find! – spurts water from its
mouth as footballers are wont to do on the pitch, but with more elegance than
they will ever possess, in the first of the four pools in the Labyrinth.
At the bottom of the pool, dancing as the water flows over them, are other
images that the unstoppable Miró slipped in.
We reach a second terrace with The Bow (1963), an imposing arch-door
opening out onto nothing, or perhaps onto infinity. Thirty tonnes of concrete.
It’s an imposing sight! Reinforced concrete with a thick skin decorated with
etchings from a pneumatic drill! Why go to the trouble?
The Mammoth Egg (1963) is reflected on the pool’s surface – yes,
observing one’s reflection would appear to be a little-known
 Photo Lida Guan
Photo Lida Guan
characteristic of mammoths’ eggs.
The Sundial, further along the path (and created later, in 1973), is made from
broken ceramic tiles.
And finally, The Pitchfork (iron and bronze, 1963.
On this path filled with signs that are so difficult to decipher that one can
interpret them as one pleases, The Pitchfork harshly jolts us back to reality.
Proudly brandished, so light yet so strong, so tightly affixed, the pitchfork was
the chosen weapon of the peasant rebels during the Spanish Civil War.
This is no symbol. It is a pitchfork, comrades! Initially, when the mistral wind blew
strong, it would turn menacingly.
It was then fixed (quite a symbolic gesture, one might say). Down eight
steps, The Woman with her Hair Down (white marble, 1968) sits on a rock
in the middle of a pool. Finally, overlooking the Labyrinth stands a figure
with no body or arms (in bronze-coloured ceramic): the Totem-figure (1968),
with the enigmatic gaze of a sphinx.
Go ahead and play. The Lunar Bird and The Solar Bird (1968) are sure to help
you, although you’ll have to put some effort in. A mysterious Figure and Two
Gargoyles (1968) occupy the final pool.
The gargoyle spitting water in a rather less trivial version of the Barça
footballers is attached to the rock next to two ceramic masks: a reptile’s head
and the round head of an owl. Things are finally clear.
If you go back up the slope, so often eroticised, you will form other images,
stories, dreams and interpretations. Just like life itself.
Nothing more, nothing less. By what charm do these beasts, materials and signs
in Miró’s Labyrinth, arranged in sequences to create a syntax of happiness and
doubt, appear to encapsulate the foundation’s polymorphous meanings?
Nelle pareti della Fondazione Maeght,
il visitatore scopre l’unica vetrata di Miró
In the walls of Fondation Maeght, visitors
discover Miró's only stained-glass window
Photo Lida Guan
It is a labyrinth open to the four winds, a series of preposterous diagonals,
a lively dance of ceramics, cross-cutting paths showing brazen liberty,
erasure of inside and outside, a festival of stars (the ceramic tiles beneath
the water glimmer like a celestial vault in the depths of the sea), a scientific
unleashing of imaginations. And something else that we mustn’t overlook:
never forget the playful dimension in Miró’s work. Offering Daedalus an
opportunity to play leapfrog, opening up the infinite space of dreams
amid works by other artists, placed at random in just the right place in this
enchanted space that is joyful, alive, so very human, and not in the slightest
bit corrupted by artistic pretensions.
Only the cicadas effortlessly understand.
Jean-Henri Fabre (1823-1915) – the brilliant entomologist from Rouergue
and one of France’s most wonderful writers – applied his great talent
to the song of the cicada, whether he was writing in his study or lying in
the fields. With incredible precision, he reconstructed the mechanism of
their “song”, described the elytrons and other cymbals piece by piece, and
presented an exhaustive account of the different interpretations of the motifs
appearing in this enigmatic “cicada’s song” throughout the ages.
Lacanian before his time, his conclusion surpasses his other writings: “I would
not be particularly shocked to learn that cicadas set their noisy apparatus
in motion with no concern for the outcome, out of sheer joy at being alive,
just as we rub our hands together in glee at times of great satisfaction. It is
very possible, and indeed highly likely, that their concert has a secondary aim
where the silent sex is concerned, but that has not yet been proven.”
There were three of us: the chief pilot Jégat, whose genius was on a par
with poets, entomologists and Miró himself, another glider pilot whose name
 Photo Charlotte Kruk Photo Lida Guan

I have forgotten, and me, aged 19, also a pilot, but rather less seasoned. In queste pagine: la vetrata realizzata da Miró all'interno
On 29 July 1964 at 2am, we left the makeshift, pebbly airfield in Itxassou della Fondation Maeght, 1979
in the Basque piedmont. • These pages: the stained-glass window made by Miró
for the Fondation Maeght, 1979
We were heading for Antibes in a rattletrap aircraft unlikely to win even the
slowest of races. You can look on a map. Itxassou-Antibes back then was a foray
worthy of Paris-Peking in 1907. That evening, unable to afford tickets, we pressed
our faces against the back fence at the concert. As happy as crickets.
Ella Fitzgerald was playing in Antibes with Roy Eldridge. Suddenly, I swear, a
grasshopper (or perhaps a cricket) reacted enthusiastically to her performance.
It joined in. It had all Ella’s albums. It was on form. It started to jam with Ella!
Ella, riled up, began to converse with the cricket. She answered it back,
reminding it that it wasn’t the star of the show. It replied. It was an extraordinary
dialogue. (There is a recording of it: Cricket Song, 1964.)
I am certain that this is an enchanted place. Fondation Maeght is proof
enough of that. Miró’s Labyrinth.

Francis Marmande
Born in Bayonne, France,
in 1945, he is a writer and
musician. He has been a
contributor to the French
newspaper Le Monde
since 1977, and he currently
directs the modern literature
laboratory Littérature au
present at the Université
Paris 7.
18 ARCHITETTURA domus 1064 Gennaio January 2022

“Il Labirinto di Miró è una linea bianca – il

suo filo d’Arianna – che si sviluppa seguendo
la natura nuda, così come si offre,
in un regno che non può essere toccato”
“Miró’s Labyrinth is a white line – an Ariadne’s
thread – winding through untouched nature,
in the sphere of the unreachable”

I muretti in pietra nel Labirinto di Miró con in evidenza la striscia bianca sulla
sommità che scandisce il percorso di visita
• The stone walls in Miró’s Labyrinth with the white stripe along the top marking
the path of the visit

Photos Charlotte Kruk

domus 1064 Gennaio January 2022
20 ARCHITETTURA

“L'insopportabile sinfonia delle cicale è accompagnata

Photo Sarah N
dalla lieve brezza tra gli alberi che un dio
nascosto soffia a guance gonfie, deliberatamente”
“The repetitive symphony of the cicadas is
accompanied by a soft breeze in the trees,
like the breath of some hidden god, with his cheeks
puffed out purposefully”
Scorci del giardino e dei suoi percorsi tortuosi in cui si scorge
l'Uccello solare realizzato in marmo, 1968
• Views of the garden and its winding paths with a glimpse
of the Solar Bird in marble, 1968
Photo Sarah N
Photo Jean Nouvel
 TUR 4 io J
Photo Lida Guan

Photo Lida Guan

Photo Sarah N

Doccioni in ceramica rossa e blu a forma di viso tra le mura

del Labirinto e Personaggio in ceramica bianca, 1968
•Red and blue ceramic Gargoyles in the form of faces amid
the walls of the Labyrinth and a white ceramic Figure, 1968
 22 ITE TURE 23
3

“Un misterioso Personaggio e due Doccioni

occupano l’ultima vasca”
“A mysterious Figure and Two Gargoyles
occupy the pool”

Photo Sarah N
Photo Sarah N
 Photo Charlotte Kruk L’Uccello solare / The Solar Bird

Photo Charlotte Kruk

Photo Lida Guan

Photo Charlotte Kruk

L'Uccello solare, realizzato in marmo, visto da differenti prospettive e in diversi

periodi del giorno e condizioni atmosferiche, 1968
• The Solar Bird, made of marble, viewed from different angles, at different
times of day and in various atmospheric conditions, 1968
Photo Charlotte Kruk

Photo Lida Guan

Photo Charlotte Kruk

 Photo Lida Guan
Photo Charlotte Kruk

“Scendere per otto scalini, La donna dai capelli sciolti si erge su un

masso, proprio al centro di una vasca… Sta a voi giocare.
L’Uccello lunare dovrebbe aiutarvi, ma occorre metterci del vostro”
“Down eight steps, The Woman with her Hair Down sits on a rock in
the middle of a pool... Go ahead and play. The Lunar Bird and The Solar
Bird are sure to help you, although you’ll have to put some effort in”
 Photo Jean Nouvel

Photo Charlotte Kruk

Photo Charlotte Kruk

L'Uccello lunare e la la Donna dai capelli sciolti, entrambi realizzati in marmo bianco nel 1968
• The Lunar Bird and The Woman with her Hair Down, both made of white marble in 1968
 Photo Sarah N
Photo Sarah N

L’Uccello lunare…
tra sole e ombra
The Lunar Bird…
bathed in sun and shade
Photo Lida Guan

Giochi di luce e ombra sull'Uccello lunare, realizzato in marmo bianco nel 1968
•The play of light and shade on The Lunar Bird, made of white marble in 1968
Photo Sarah N
30 ARC I URA domu 10
1064
6 nai
a o Janu
uary 2022
0
Photos Cahrlotte Kruk
 o u 106
6 naio January
na ry 20
2 T RE
RE

"Non è un simbolo:
è un forcone, compagni!”
“This is no symbol.
Il Forcone all'alba e al tramonto, realizzato in ferro e bronzo nel 1963
• The Pitchfork at sunrise and sunset, made of iron and bronze in 1963 It is a pitchfork, comrades!”
 Photo Jean Noluvel Photo Charlotte Kruk

Photo Jean Noluvel

Photo Jean Noluvel

i Jan
anuu r E 33
ITECTURE
RE 33

Photo Jean Noluvel

Viste di dettaglio del grande Arco in cemento armato, 1963. S'intravedono
il Doccione verde (1964) e la Meridiana (1973), entrambe in ceramica
• Detailed views of The Bow in reinforced concrete, 1963, with The Green Gargoyle
(1964) and The Sundial (1973), both in ceramic

“Arco imponente, porta spalancata sul nulla,

a meno che non dia sull’infinito”
“The Bow, an imposing arch-door opening
Photo Sarah N

out onto nothing, or perhaps onto infinity”

3 ARCH
34 HITET
I E TURA 06 a ary
anu
an 22

“Sulla pelle di serpente del

muro – è un coronamento – ecco
l’impronta delle dita di Miró”
“On the wall’s reptilian skin,
Miró’s fingerprints are visible
like a finishing touch”
Photo Jean Noluvel

Photo Charlotte Kruk

Photo Lida Guan
 Photo Jean Noluvel

Il Doccione verde (1964), viste di dettaglio della Dea (1963) e della Lucertola (1963),
Photo Sarah N

tutte realizzate in ceramica

• The Green Gargoyle (1964), detailed views of The Goddess (1963) and The Lizard
(1963), all made of ceramic
 Photo Jean Noluvel

La Dea (1963) accanto al Muro (1968), composto da 460 piastre di ceramica

realizzate nel laboratorio del ceramista Josep Llorens i Artigas
• The Goddess (1963) next to The Wall (1968), composed of 460 ceramic
tiles made in the workshop of the ceramist Josep Llorens i Artigas

“La Dea, il cui addome

indica che si tratta della
Photo Jean Noluvel

dea della fecondità”

“The Goddess, whose
abdomen marks her out as
the goddess of fertility”
Photo Jean Noluvel
Photo Lida Guan
Photo Jean Noluvel

Photo Jean Noluvel

Photo Jean Noluvel

Photo s Charlotte Kruk Photo s Jean Nouvel Photo s Jean Nouvel Photo s Jean Nouvel
38 ARCHITETTURA

Photo Jean Nouvel Photo Charlotte Kruk

Viste di dettaglio delle opere realizzate in ceramica nel Labirinto di Miró

Photo Charlotte Kruk

Photo Lida Guan

domus 1064 Gennaio January 2022
domus 1064 Gennaio January 2022 ARCHITECTURE 39

• Detailed views of the works made of the ceramic artworks in Miró’s Labyrinth

Photo Charlotte Kruk

Photo Jean Nouvel

Photo Jean Nouvel

Vedere da vicino… il tatto, le scoperte successive

di mille sensazioni e mille emozioni
Look up close... the touch, the successive discoveries
of a thousand sensations and a thousand emotions
 TETTUR
RA dom
d mu 10
064 Gennai
naio
o Janu
January
ary 20
2022
22

I ritmi di Josep Lluís Sert entrano in simbiosi con la follia

delle invenzioni di Miró per creare una sola musica
The rhythms of Josep Lluís Sert enter into symbiosis with
the folly of Miró’s inventions to create a single piece of music

Personaggio totemico in ceramica (1973) accanto alla Fondazione

Maeght realizzata da Josep Lluis Sert
•Totem-Figure in ceramic (1973) next to the Foundation Maeght built by
Josep Lluis Sert
Photo Jean Nouvel

Photo Lida Guan

 domu
u 10
064
6 Gen
nna o Janu
anuar
ary
ry 202
22

Photo Charlotte Kruk Photo Lida Guan

Photo Charlotte Kruk

Photo Charlotte Kruk

1
 In queste pagine: dettagli della scalinata che porta alla terrazza.
Gradini di cemento armato, parapetto di ferro, corrimano di legno
• These pages: details of the stairway that leads to the terrace.
Concrete steps, metal structure and wooden handrail
Photos Charlotte Kruk
Sert… Prima di tutto, musica…
dentro…
Sert... First of all, music...
inside...
Photos Charlotte Kruk

La corte Giacometti al centro della Fondazione Maeght

•The Giacometti courtyard at the center of the Foundation Maeght
Materiali, geometrie e natura
sono parte dell'esperienza
Materials, geometries and nature
are part of the experience
46 ARCHITETTURA
Photo © Tomas Sereda / iStock

Angela Maderna
Nata a Lecco nel 1984,
critica e storica dell’arte, è
autrice del libro L’altra metà
dell’avanguardia quarant’anni
dopo (2020). Collabora
con i quotidiani Domani
e La Provincia di Como.
Ha coordinato il Corso
Superiore di Arti Visive (CSAV),
Fondazione Antonio Ratti.
Photo Wolfgang Volz. © 1985, Christo
and Jean-Claude Foundation
• Born in Lecco in 1984, Maderna
is an art critic and historian, and
author of the book L’altra metà
dell’avanguardia quarant’anni
dopo (2020). A contributor to
the newspapers Domani and
La Provincia di Como, she has
coordinated the Advanced
Course in Visual Arts (CSAV),
Fondazione Antonio Ratti.

Christo and
Jeanne-Claude
L’Arc de Triomphe,
Wrapped,
Paris, 2021
Angela Maderna
Photo © Dominique Alba

Photo © Dominique Alba

48 ARCHITETTURA
Photo Charlotte Kruk
Pagine 46-47 e in queste pagine: i lavori d’impacchettamento dell’Arc de Triomphe iniziati a luglio 2021
I progetti pubblici di Christo (1935-2020) e Jeanne-
Claude (1935-2009), a partire dai primi anni Sessanta,
sono sempre stati imprese titaniche: per le dimensioni
ciclopiche, ma anche per la complessità, la quantità di
persone e professionalità coinvolte, la mole di materiali,
i tempi di progettazione e l’entità dei finanziamenti
necessari. Le implicazioni di questo tipo di opere
d’arte nello spazio pubblico sono innumerevoli: dalla
riattivazione della memoria collettiva, che trova nella
cancellazione stessa del monumento un modo per
riaccendere l’attenzione su di esso, fino alle riflessioni
sulle peculiari modalità di autoproduzione. La coppia,
infatti, ha sempre autofinanziato i propri lavori
attraverso la vendita dei disegni realizzati da Christo.
Non c’è dubbio che gl’interventi pubblici dei due artisti
abbiano molto in comune con la pratica architettonica.
Come lo stesso Christo ebbe a dire, “ci sono molte
similitudini con l’architettura e la pianificazione
urbanistica, c’è la necessità di compilare, pensare,
proporzionare e mettere insieme i pezzi”. L’idea doveva
essere sviluppata e costruita nei minimi dettagli,
grazie anche alla collaborazione con professionalità
diverse, per diventare quello che definiremmo un piano
esecutivo e prendere forma nello spazio. Questo
processo richiedeva tempi più dilatati rispetto alla
produzione di un’opera d’arte tradizionalmente intesa.
L’impacchettamento dell’Arc de triomphe di Parigi
ne è un esempio. Si tratta di un progetto postumo,
realizzato a poco più di un anno dalla scomparsa di
Christo e a circa 12 da quella di Jeanne-Claude. Il primo
embrionale fotomontaggio risale al 1962. Christo tornò
poi sull’idea a partire dal 2017, anche se un disegno del
1988 ci dice che era sempre rimasta tra i suoi pensieri.
Rimandato a causa della pandemia, l’intervento è
stato portato a termine a settembre 2021, L’Arc de
Triomphe, Wrapped, avvolto con 25.000 m2 di tessuto
polipropilene riciclabile blu argenteo e 3.000 m di corda
rossa, è stato visibile per 16 giorni. Non era la prima
volta che Christo e Jeanne-Claude intervenivano in
modo così importante nel tessuto urbano parigino.
Nel 1985, ricoprirono, con quasi 42.000 m2 di stoffa
di poliammide color sabbia dorata, il Pont Neuf sulla
Senna, il ponte più antico della città. Anche in questo
caso, la genesi risaliva a molto tempo prima, al 1975,
e la gestazione fu certamente più lunga della sua
stessa vita: dopo dieci anni di lavoro, fu visibile per soli
14 giorni. Imprese come l’impacchettamento dell’Arc
de Triomphe o del Pont Neuf devono confrontarsi con
il contesto urbano e con le pubbliche amministrazioni
per ottenere i permessi necessari, un approccio che,
ancora una volta, non si discosta molto dalla prassi
costruttiva dell’architettura. Ciononostante, questi
interventi pubblici non modellano lo spazio cittadino in
modo permanente, la loro temporalità ridotta introduce
un momento di irripetibile “gioia e bellezza” (per usare
le parole di Jeanne-Claude), prima che tutto torni
come prima. Un momento che, a differenza dell’opera
d’arte, nessuno può possedere proprio per volontà
degli artisti che donavano i loro lavori direttamente
alla collettività. Un altro aspetto interessante – e forse
meno indagato – accomuna ulteriormente questi
interventi all’architettura. Nello spazio pubblico viene
meno quella dimensione di riservatezza che, di solito,
è svelata solo dopo il completamento dell’opera. Per
certi versi, per l’artista, lavorare nello spazio urbano
è un po’ come tornare a operare en plein air, come
facevano gli Impressionisti proprio per le strade di
Parigi. Appropriandosi dello spazio pubblico urbano,
domus 1064 Gennaio January 2022
Christo e Jeanne-Claude hanno esposto parte del
proprio lavoro molto prima dell’esito finale. Questo
processo, che richiede l’apertura di un vero e proprio
cantiere, richiama l’interesse dei passanti quasi
quanto l’opera stessa, a maggior ragione quando
si parla di monumenti cittadini dal fortissimo valore
simbolico oltre che d’interventi spettacolari. I lavori
per l’impacchettamento dell’Arc de Triomphe (iniziati
a luglio 2021) sono stati particolarmente suggestivi
soprattutto nelle fasi finali. Dopo avere montato le
gabbie di protezione attorno al monumento, per poterlo
rivestire con il tessuto, è stato necessario fare calare
dalla cima dell’arco squadre di persone imbragate
che lo fissassero e accompagnassero al suolo.
Allo stesso modo, alcuni filmati del 1985 mostrano
come i lavori di rivestimento del Pont Neuf abbiano
catalizzato l’attenzione degli astanti, che si fermavano
attorno al cantiere attratti da professionisti fluttuanti
nel vuoto, ma anche dai sommozzatori che dovettero
ancorare il rivestimento al ponte, sotto la superficie
dell’acqua. Christo e Jeanne-Claude, quindi, scegliendo
d’intervenire nello spazio urbano hanno anche
deciso di consentire agli osservatori di assistere alla
nascita dell’opera nel suo farsi. Come suggeriscono
le riflessioni di Germano Celant, gli interventi della
coppia, fin dagli esordi, hanno saputo mettere
insieme happening ed environmental. Assistere alla
produzione, quasi come fosse un atto performativo, ha
probabilmente alimentato l’attesa. Inoltre, ha squarciato
quel velo dietro cui si cela il processo creativo e induce
erroneamente a immaginare un’anacronistica intimità
romantica tra l’opera e l’artista. In questi casi, invece, lo
spazio pubblico ha reso pubblico non solo il risultato
finale, ma anche la sua costruzione.
 domus 1064 Gennaio January 2022
Photo Charlotte Kruk
• Pages 46-47 and these pages: the wrapping of the Arc de Triomphe, that started in July 2021
• Starting from the early 1960s, the public projects by
Christo (1935-2020) and Jeanne-Claude (1935-2009)
were always titanic undertakings. This was not only
because of their huge physical dimensions, but also
due to their complexity, the number of people involved
and the wide range of professional skills required, along
with the quantities of materials, the design times and
the scale of funding. There are countless implications
attached to artworks of this kind in public spaces,
ranging from the reactivation of collective memory –
with the erasure of the monument also being a way
of reviving interest in it – to reflections on the peculiar
modes of self-production. The couple invariably self-
financed their works by selling the drawings that Christo
made. Clearly, the public projects by this artist duo had
much in common with the practice of architecture. As
Christo himself pointed out: “There are many similarities
with architecture and town planning. There is the need
to compile, to think, to adjust the proportions and put
all the pieces together.” The idea had to be developed
and built in detail, working in collaboration with a variety
of specialists, to shape what we would call the working
drawings and give the project a form in space.
This process required much longer production times
than the creation of an artwork understood in traditional
terms. The packaging of the Arc de Triomphe in Paris is
a good example of this. It was a posthumous project,
completed just over a year after Christo died and
some 12 years after the death of Jeanne-Claude. But
the work’s first embryonic photomontage dates back
to 1962. Christo subsequently returned to the idea in
2017, although a drawing from 1988 reveals that it had
always remained in his thoughts. Postponed due to the
pandemic, the project was completed in September
2021. L’Arc de Triomphe, Wrapped – which saw the
Parisian monument swathed in 25,000 square metres
of silver-blue recyclable polypropylene fabric and 3,000
metres of red rope – remained on view for 16 days. It
was not the first time that Christo and Jeanne-Claude
had worked in such a significant way in the urban fabric
of Paris. In 1985, using almost 42,000 square metres
of golden sandstone-coloured polyamide fabric, they
wrapped the Pont Neuf on the Seine, the oldest bridge
in the city. Again in this case, the genesis of the project
went back a long way, to 1975, and its gestation was
certainly longer than its lifespan. After ten years’ work, it
was on view for just 14 days.
Feats like the packaging of the Arc de Triomphe or
the Pont Neuf necessarily involve engaging with
the urban context and negotiating with the public
administration to obtain the necessary permits. Here
again, it is an approach that shares many crossovers
with the practice of building architecture. All the same,
public projects like these do not shape urban space
permanently. Their limited timeframes introduce a
moment of unrepeatable “joy and beauty” (to use
Jeanne-Claude’s words) before everything goes back
to how it was before. Unlike an artwork, it is a fleeting
occasion that no one can possess, in keeping with the
intentions of the artists themselves who donated their
works directly to the community.
There is another interesting, and perhaps less
explored, factor that these projects have in common
with architecture. In a public space, there is no longer
the dimension of confidentiality or secrecy that is
usually only revealed after the work’s completion. In
some ways, for an artist, working in an urban setting
is rather like once again painting en plein air, the way
ARCHITECTURE 49
the impressionists used to do in the streets of Paris.
By appropriating urban public space, Christo and
Jeanne-Claude exhibited part of their work long before
it reached its final form. This process, which entailed
opening a veritable construction site, attracted the
interest of passers-by almost as much as the work
itself, all the more so when the projects involved
spectacular operations being carried out on city
monuments with profound symbolic value. The work
on the packaging of the Arc de Triomphe (begun in July
2021) was particularly impressive, especially in the final
stages. After mounting protective cages around the
monument, to cover it with fabric it was necessary to
lower teams of workers in safety harness from the top
of the arch to fasten the wrapping and haul it down to
the ground. In the same way, some film clips from 1985
show that the wrapping of the Pont Neuf attracted
the attention of bystanders, who would stop to gaze
at the professionals dangling in the void, as well as
the divers who had to anchor the fabric to the bridge
beneath the surface of the water. So, by choosing to
work in urban space, Christo and Jeanne-Claude also
decided to allow observers to witness the birth and
development of their work in its physical manifestation.
As Germano Celant’s reflections suggest, right from
the start the couple’s projects combined happenings
with environmental art. Seeing it unfold, almost as if it
were a performative act, probably fuelled expectations.
In addition, it tore away that veil behind which the
creative process lies, and which mistakenly prompts
us to imagine an anachronistic and romantic intimacy
between the work and the artist. In these cases, by
contrast, the public space made public not just the final
outcome, but also its construction.
Photos Charlotte Kruk
54 ARCHITETTURA domus 1064 Gennaio January 2022
Photo SANAA

SANAA
La Samaritaine
Paris, 2020
Un’architettura di cristallo /
A glass architecture
Donatien Grau

Le onde espandono la loro trasparenza davanti alla

sottigliezza diafana della facciata
The waves extend their transparency in front of the
diaphanous subtlety of the facade
Photo Lorenzo Grondona
domus 1064 Gennaio January 2022 ARCHITECTURE 55

Photos Anne Frémy

56 ARCHITETTURA domus 1064 Gennaio January 2022

La facciata guida
la luce dal cielo
fino a terra
The facade
guides the light
from the sky to
the ground

Photo Charlotte Kruk

Photo Lida Guan
 domus 1064 Gennaio January 2022
Diafano non è sinonimo di trasparente, né di
traslucido. Si definisce trasparente una superficie
che lascia passare l’immagine di un altro corpo
senza alterarla in alcun modo. Traslucido è, invece,
un materiale che fa filtrare la luce, ma non lascia
vedere i contorni di un altro oggetto.
La trasformazione dello studio giapponese SANAA
della facciata della Samaritaine su rue de Rivoli è
una testimonianza convincente del potere della
diafanità in architettura. Giocando con le nostre
percezioni e con la nostra sensibilità alla luce, a certe
ore del giorno la facciata color acciaio e argento
permette al passante di vedere all’interno del grande
magazzino. Mentre alcune parti dell’edificio, quelle
più in alto, risultano meno chiaramente leggibili,
altre, più vicine al suolo, sono ben visibili e offono la
possibilità d’intuire cosa succede all’interno.
Questa superficie diafana innesca una tensione
sensoriale: consente di vedere attraverso, ma gioca
anche con questa stessa possibilità. È un metodo
riflettente. Quando furono ideati i grandi magazzini
come la Samaritaine, nell’ultimo terzo dell’Ottocento,
essi costituivano un richiamo alla modernità,
incarnata dall’uso dell’acciaio e del vetro.
Il progetto di SANAA trasporta questa dimensione
in uno spazio completamente nuovo, dove questi
materiali parlano il linguaggio di una nuova epoca.
Pertanto, la loro architettura fa della diafanità il
proclama di un nuovo tipo di negozio. Inoltre, questa
stessa forma e il suo linguaggio sono quelli ancora
prevalenti nella Parigi di oggi, che è innanzitutto
l’erede del rinnovamento urbanistico e architettonico
haussmanniano e post-haussmanniano.
La nuova Samaritaine non è un semplice edificio,
è un modello urbanistico, e segue una dialettica
Photo Lida Guan
propria dell’architettura moderna, progettata per
costruire all’interno delle città e quindi, alla fine, per
costruirla, secondo il sogno di Le Corbusier.
L’edificio non si limita a rivelare ai passanti i
frammenti dell’asse parigino urbano per eccellenza,
rue de Rivoli, ma lo rispecchia, così come accade
per la vicina rue du Pont Neuf. In tal senso, non c’è
distinzione tra svelare l’interno e trovarsi all’esterno:
il senso di appartenenza alla strada si manifesta
in modo preponderante, poiché è proprio rue de
Rivoli a essere visibile sul prospetto. Ci troviamo di
fronte a un paradosso stringente e stimolante: ciò
che vediamo non è la costruzione, la cui facciata è
diventata uno specchio, ma il riflesso della strada.
Di conseguenza, il corpo edilizio non è mai se stesso,
ma è sempre presente in quanto riflesso della
sua condizione nella città. Si dice che prima sono
venuti i templi, poi le chiese, quindi i musei e infine i
negozi. Tutti accomunati dalla necessità di essere
monumentali. Tuttavia, sempre più spesso, il modello
monumentale si è spostato verso una forma aperta
e porosa. La rilettura di SANAA della Samaritaine
ha radicalizzato questo spostamento verso una
grandeur non monumentale. Questa facciata non
s’impone, come fa invece quella sulla Senna.
Articola invece, in modo più complesso, il suo status
di punto di riferimento, considerando la città come
il suo punto di forza.
Gli architetti hanno trasformato la facciata in
uno spazio liminale che non separa l’aspetto
monumentale del negozio dalla città, ma di fatto li
collega e funge da soglia. In questo senso, hanno
reso manifesta la funzione stessa di un luogo
commerciale, dove gli oggetti si trovano in uno
spazio in costante divenire: esposti, venduti, spediti
ARCHITECTURE 57
per finire ad arredare le abitazioni di chi li acquista.
I prodotti vanno e vengono, lasciando il nome e
l’azienda per entrare a fare parte di uno spazio
domestico. L’interno è monumentale, arredato con
forme di teatralità del XIX secolo. L’esterno offre
invece una risposta, secondo la quale l’edificio non
si identifica semplicemente con gli oggetti che
contiene, ma con la sua appartenenza alla città.
Parte di questa “monumentalità non monumentale”
risiede nel cambiamento. I monumenti, come dice
l’etimologia del termine, sono fatti per restare. Sono
progettati per contrassegnare l’epoca e il potere
di chi li ha costruiti. Con il passare del tempo, però,
può succedere che vadano distrutti o cadano in
rovina. Spesso contraddicono il passare del tempo.
L’intervento dello studio di Kazuyo Sejima e Ryue
Nishizawa s’impernia su questo passaggio.
Non vedremo mai due volte la stessa Samaritaine: a
seconda dell’ora del giorno e della stagione dell’anno,
delle condizioni meteorologiche e ovviamente
della luce, l’esperienza sarà radicalmente diversa.
È un’architettura di atmosfera. Come tale, è
una risposta perfetta alla struttura originale: il
tempo della vita moderna, dell’Impressionismo,
dell’invenzione dei grandi magazzini. Le loro storie
possono sembrare separate, ma invece sono tutte
collegate, così come, naturalmente, l’invenzione
della moda. La posizione di questo blocco urbano
è intrinseca a tutto ciò e attiva tutti gli strati della
sua ubicazione: Parigi, rue de Rivoli. Da un lato,
la Samaritaine si trova sulla riva della Senna, nel
cuore storico della capitale, dall’altro, è invece sulla
strada. Insieme, le due posizioni danno vita alla sua
condizione attuale: il luogo stesso è sempre stato
una soglia e oggi lo è anche questo edificio diafano.
Photo Charlotte Kruk
 Photo Charlotte Kruk
Photo Lida Guan

Una vetrata fatta di riflessi

A glass facade made of reflections
 Immaterialità / Immateriality

Photo Anne Frémy

Photo Anne Frémy
Photo Charlotte Kruk
Photo Anne Frémy

E, al piano terreno,
sovrapposizione dei riflessi
Photo Anne Frémy

And, on the ground floor,

layering of reflections
 domus 1064 Gennaio January 2022

Donatien Grau
è nato a Neuilly-sur-Seine
nel 1987. È un filologo e
responsabile museale.
È consigliere della presidenza
del Musée d’Orsay e del
Musée l’Orangerie per i
programmi contemporanei.
È professore alla École
Nationale Supérieure des
Arts Visuels de La Cambre
di Bruxelles e presidente
dell’associazione Pierre
Guyotat.

• Grau was born in Neuilly-

sur-Seine in 1987. A philologist
and museum executive, he is
an advisor to the presidency
of the Musées d’Orsay et de
l’Orangerie for contemporary
programmes, professor
at the École Nationale
Supérieure des Arts Visuels
de La Cambre in Brussels,

Photos Anne Frémy

and president of the
Association Pierre Guyotat.

Fragilità e
immaterialità
della sera
Delicacy and
immateriality
in the evening
domus 1064 Gennaio January 2022
• Diaphaneity is neither transparency nor
translucency. Transparency means that something
can be seen through something else without any
form of alteration. Translucency means that light
can pass through something and still be visible,
albeit without revealing detailed shapes. SANAA’s
transformation of the Rue de Rivoli side of the
Samaritaine is an eloquent manifestation of the
power of diaphaneity in architecture. At certain
times of day, its steel and silvery glass facade allows
passers-by to see what is inside the department
store. It plays with one’s expectations or sensitivities
to the light: some parts of the building, higher-up,
may appear less strikingly, while others, closer to
the ground, will be clearly visible. We are given the
possibility to sense what the building contains.
This diaphanous surface ignites a spark of tension
in our perception: it provides a sight while playing
with that very same sight. It is a reflective method.
When department stores like the Samaritaine
were invented in the last third of the 19th century,
they were beacons of modernity manifested in
steel and glass. SANAA’s architecture pushes
this characteristic into an entirely new space
where these materials belong to a new era. Their
architecture therefore transforms diaphaneity into
a lens through which to reconsider the store model.
Furthermore, this model and its language are still
the prevalent ones in today’s Paris – which is mostly
heir to the Haussmannian and post-Haussmannian
urban planning and architectural revamp. The new
Samaritaine is no mere building. It is a concept for
urbanism – following a dialectic inherent to modern
architecture, designed to construct buildings within
cities, and therefore to build cities eventually, as per
Le Corbusier’s dream. The building does not simply
reveal fragments to people walking along one of
Paris’s quintessential urban axes, the Rue de Rivoli.
It mirrors the Rue de Rivoli on its surface, as well
as the nearby Rue du Pont Neuf. As such, there is
no separation between uncovering the inside and
belonging to the outside. The sense of belonging to
the street is potently manifested, since the Rue de
Rivoli can be seen reflected on the building. We are
confronted with a challenging and powerful paradox:
what is at times visible on the building is not the
building itself, but the rest of the street. Its facade
has become a mirror. As a consequence, the building
is never itself – it is always present as a reflection
of its setting in the city.
It is a common saying that first came temples,
then churches, then museums and then shops.
What they all share is a need to be monumental.
However, increasingly, the model has shifted from
monumentality to a form of openness and porosity.
SANAA’s take on the Samaritaine has radicalised
this shift towards an un-monumental grandeur. The
building does not impose itself as a landmark, which
the Seine side of the building already does. Instead,
it complexifies this landmark status by making the
city the very core of its power. The architects have
turned the building’s facade into a liminal space
that does not separate the monumental of the
store from the city, but rather connects them and
acts as a threshold. In this regard, SANAA have
crystallised the function of a shop, where objects
ARCHITECTURE 63
enter a space of becoming, where they are put on
display, sold and then sent out to furnish their new
owners’ homes. The objects come and go, emerging
from the name of their brands to become part of
a domestic environment. While the Samaritaine’s
monumental interiors draw on 19th-century methods
of theatricalisation, the outside offers a counterpoint
in which the building is not only about the objects
inside, but also about belonging to the city. Part of
this un-monumental monumentality lies in change.
Monuments, as their etymology suggests, are here
to stay. They are designed to mark the time and
power of those who built them. As time goes by,
they may be destroyed or become ruins. Often they
contradict the passing of time. SANAA’s Samaritaine
project turns this mutability into a motif: you will
never see the same Samaritaine twice. Depending
on the hour, the light, the weather and the season,
one’s experience will be completely different.
It is an atmospheric piece of architecture and a
perfect response to the original building: the time
of modern life, of impressionism, of the invention
of department stores. Their histories may seem
separate, but they are all connected – along with the
invention of modern-day fashion.
This building is inherently situated, and it activates all
the layers of its localisation: Paris, the Rue de Rivoli.
On one side, the Samaritaine overlooks the banks of
the Seine, the heart of Paris; on the other, it faces into
the street. Together, these two settings contribute
to the Samaritaine’s present history in the making.
The location was a threshold. Now this diaphanous
building is too.
 Photo Dane Alonso
Photo César Béjar
Photo César Béjar

HW Studio Arquitectos
La collina di fronte alla gola /
The hill in front of the glen
Morelia, Mexico, 2021
Alessandro Benetti
In mezzo al bosco, vivere sotto
l’arco del ponte
In the midst of the woods, living under
the arch of the bridge

0 5M PIANTA DEL PIANO TERRA / GROUND-FLOOR PLAN


Pagine 64-65, da sinistra: il dettaglio della facciata e la vista aerea
mostrano l’inserimento della residenza nel terreno.
In questa pagina, sopra: la zona giorno, rivolta verso la foresta.
Sotto: la facciata di cemento che si insinua nel suolo.
Pagina a fronte, da sinistra: il soggiorno e l’ingresso
Photo César Béjar
• Pages 64-65, from left: detail of the facade and aerial view
showing how the house is set into the ground.
This page, above: the living area facing the forest.
Below: the concrete facade embedded in the ground.
Opposite page, from left: the living room and entrance
Photo Dane Alonso
domus 1064 Gennaio January 2022
Dal primo Novecento, la casa nel bosco è un campo di ricerca fertile
sul tema del rapporto tra architettura e paesaggio.
Per classificare questi edifici, si potrebbe ideare una tassonomia che
parta dalla quota rispetto al terreno: la casa nel bosco è talvolta una
palafitta sopraelevata, in punta di piedi sul terreno intatto; oppure è
un organismo rasoterra e ramificato, che aggira e abbraccia gli alberi
esistenti; infine, è un volume in parte o del tutto ipogeo, potenzialmente
mimetico rispetto all’intorno. Appartiene a quest’ultima categoria il
progetto recente di HW Studio per una casa di vacanze immersa in
una foresta di conifere e querce vicino a Morelia, in Messico. “La collina
di fronte alla gola” è l’appellativo poetico di una land architecture
che i suoi autori descrivono come un lenzuolo appena sollevato e
morbidamente incurvato. Pochi elementi bastano per trasformare la
metafora in costruzione: quattro setti paralleli di calcestruzzo e una
volta dello stesso materiale. I prati proseguono senza soluzione di
continuità sui pendii di questa copertura, cielo degli interni suddivisi
tra la zona giorno vetrata, panoramica sul bosco, e le camere
rivolte verso un patio più racchiuso. Quella di HW Studio è una
caverna che protegge i suoi abitanti non dai pericoli della selva, ma
dall’iperstimolazione e dall’urgenza della vita urbana. Si riduce così
la selezione dei materiali – oltre al cemento a vista solo pietra, legno
e acciaio – accostati in uno spazio ‘analogico’, senza connessione a
Internet, dove tutti gli elettrodomestici sono schermati e anche i corpi
illuminanti restano discreti. Infine, la soglia solitamente bidimensionale
della casa si prolunga nel percorso di una processione individuale,
lungo una fessura compressa tra pareti ravvicinate. Un albero-totem
deforma l’architettura e scandisce il cammino, con un momento
di emozione spaziale che segnala al visitatore l’ingresso in una
dimensione altra, sospesa al di fuori del tempo.
Photos César Béjar
ARCHITECTURE 67
• Since the early 20th century, the house in the woods has been a Alessandro Benetti
fertile theme for research into the relationship between architecture è nato nel 1987 a Busto Arsizio.
È architetto e dottorando
and landscape. A taxonomy of these buildings could classify them al Politecnico di Milano e
according to their elevation above or below, the ground: the house in all’Université Rennes 2.
the woods as an elevated stilt dwelling, tiptoeing over the intact land; Dal 2021 è membro del
or a ground-level, branched organism that surrounds and embraces Consiglio direttivo di ANCSA,
Associazione nazionale centri
existing trees; or a volume partly or entirely underground, perhaps storico-artistici. Collabora con
mimicking its setting. HW Studio’s recent project for a holiday home Domus dal 2018.
near Morelia, in a Mexican forest of conifers and oaks, belongs to this
latter group. “The hill in front of the glen” is the poetic appellation of this • Benetti was born in 1987 in
Busto Arsizio. He is an architect
piece of land architecture, which is described by its creators as a bed and PhD student at the Milan
sheet that has been lightly raised and softly curved. Few elements Polytechnic and the Université
suffice to transform metaphor into structure: four parallel concrete Rennes 2. Since 2021 he has
been a member of the board of
walls and a vault of the same material. Turf grows seamlessly over
directors of ANCSA, National
the sloping roof, which forms a sky for the interiors comprising the Association of Historical-
glass-fronted living area, with its panoramic view of the forest, and Artistic Centres. He has been
the bedrooms facing a more intimate patio. HW Studio’s design is a a regular contributor to Domus
since 2018.
cavern that protects its inhabitants not so much from the wilderness
of the forest, but from the hyperstimulation and pressures of urban life.
Along with exposed concrete, the reduced selection of materials is
limited to stone, wood and steel, which are combined in an internet-free
analogue space where all the appliances are screened, and even the
light fixtures are discreetly concealed. Finally, instead of a customary
two-dimensional threshold, the house’s entrance is elongated
into a single-file path proceeding along a fissure in the ground and
hemmed in by tall walls. The passageway’s architecture and course
are eloquently interrupted by a totem-like tree, creating a moment
of spatial emotion that seems to signal the entrance to another
suspended and timeless dimension.
68 ARTE
Anne Imhof
Natures Mortes
Palais de Tokyo, Paris, 2021
Photo Nadine Fraczkowski
Donatien Grau
Il Palais de Tokyo fu costruito nel 1937 per diventare il museo d’arte
moderna di Francia. Concepito come una miscela tra le tendenze
moderniste e neoclassiche della scultura e dell’architettura Art Déco,
pur con le sue peculiarità dopo la Seconda guerra mondiale divenne
uno dei prototipi del museo d’arte moderna. L’allora direttore Jean
Cassou, così come lo scultore Émile-Antoine Bourdelle e André Aubert,
l’architetto che lo costruì, credevano ancora nell’arte figurativa.
Da allora, il Museo d’arte moderna è stato trasferito al Centre
Pompidou e lo spazio è rimasto inutilizzato. Negli anni, sono stati
presentati diversi progetti di riqualificazione dell’edificio, ma nessuno
ha avuto successo fino a quando, alla vigilia del nuovo millennio,
Lacaton & Vassal l’hanno sventrato e parzialmente demolito per
creare quello che, nel 2011, sarebbe diventato uno dei centri d’arte
contemporanea più importanti d’Europa. Il tempio del Modernismo
europeo è stato trasformato in un reperto.
“Natures Mortes” di Anne Imhof potrebbe essere il primo progetto ad
affrontare tutte le stratificazioni della storia di questo luogo con un tale
livello di ambizione e precisione. È stato sostenuto, a ragione, che sia
nelle sue performance sia nella mostra da lei curata, Imhof giochi con
la sensazione del luogo quale rudere, quale luogo aperto.
Come per altri suoi progetti, anche in questo caso l’artista ha
collaborato con un architetto, Andrea Faraguna dello studio Sub.
Grazie alle rovine, è tornata all’elemento neoclassico che era al centro
del progetto architettonico: l’interno come agorà.
Quando la mostra ha aperto al pubblico, lo spazio interno era vuoto,
ma la sua grandeur neoclassica era presente con tutta la sua forza –
fino ai corpi-scultura sulla piazza antistante il museo.
Imhof ha affrontato radicalmente questa porosità tra interno
ed esterno: nelle sue performance i gruppi procedono dall’esterno
verso l’interno, per poi uscire nuovamente.
L’interno non è una semplice clausura, il dentro e il fuori coesistono.
L’artista tedesca ha anche installato nel Palais le finestre di un edificio
torinese degli anni Settanta in stato di abbandono, portando così
dentro ciò che era stato abbandonato fuori, realizzando il progetto di
mettere a nudo il Palais e creando una serie di trasparenze. La scala
dell’edificio le ha permesso di fare percepire l’interno come se fosse
l’esterno, di fare sentire la casa come un’agorà.
Il progetto originale del Palais de Tokyo si basava sia sull’architettura
sia sulla scultura: ovvero lo spazio abitato dal corpo e la
rappresentazione del corpo stesso. Questa dicotomia è al centro del
progetto di Imhof: i corpi dei performer, i corpi presenti nei suoi disegni
e video, parlano di una lunga storia della scultura. L’architettura e la
scultura condividono una doppia possibilità: al contrario della pittura,
che deve essere presentata all’interno, possono esistere dentro o
fuori. Anche qui, Anne Imhof parla direttamente all’anima dell’edificio.
Il fatto stesso che il pubblico debba camminare attraverso il Palais,
seguendo i performer come attraverso un’agorà, lo rende uno spazio
pubblico: è un luogo dove i nostri corpi diventano sculture, dove fanno
pienamente parte dell’architettura.
Il tempo è un elemento essenziale: durante una performance di
quattro ore, dove i corpi altrui giocano un ruolo così importante,
prendiamo coscienza della nostra vita come abitanti dell’architettura.
Il Palais de Tokyo, come museo d’arte moderna, è stato inventato
prima della catastrofe bellica. Tuttavia, si è veramente aperto alla sua
funzione solo dopo la Seconda guerra mondiale. Un atto di fede che fa
immediato seguito alla grande rivelazione: la morte del Modernismo.
Il lavoro di Anne Imhof è stato spesso descritto come “post-
catastrofico”. Invece, è prima di tutto una straordinaria affermazione
di fiducia nel progetto artistico, al di là di ogni forma di limitazione,
eppure unita dalla presenza umana, dall’intensità della vita e dalla
consapevolezza che siamo una comunità. Come tale, è un progetto
architettonico – un progetto di design per il mondo che abitiamo.
Imhof ha capito che le rovine non sono arrivate alla fine della storia:
ci sono sempre state e sono il campo dove la vita accade.
domus 1064 Gennaio January 2022
• The Palais de Tokyo was built in 1937 to house France’s National
Museum of Modern Art. Conceived as a blend of the modernist
and neoclassical tendencies in art deco sculpture and architecture,
after World War II it became one of the greatest models – albeit quite
particular – of the modern art museum.
The museum’s then director Jean Cassou, like the sculptor Émile-
Antoine Bourdelle and André Aubert, the architect who built it, still
believed in the place of the figure in art.
Subsequently, in 1977, the Museum of Modern Art moved to the
Centre Pompidou, and the space was left unused. Several proposals
to repurpose the building were presented, none of them achieving
success until, on the eve of the year 2000, Lacaton & Vassal opened
it up and cracked it down to create what has become one of Europe’s
pre-eminent centres for contemporary art. The temple of European
modernism was transformed into a ruin – a situation further reinforced
when, in 2011, the entire space of the Palais was given over to the
contemporary art centre.
Anne Imhof’s “Natures Mortes” may be the first project to tackle all the
layers of this place’s history with such ambition and precision.
It has rightly been argued that, in her own performances and in the
exhibition she created at the Palais, she played with the feeling of
the location as a ruin, as an open place. As on other occasions, here
she developed her project in collaboration with the architect Andrea
Faraguna of the studio Sub. Through the ruins, she returned to the
neoclassical element that was at the heart of the original architectural
design: the inside as an agora. When the first part of Imhof’s exhibition
opened, its inside was empty, but its neoclassical grandeur was in full
force – right down to the sculpted bodies on the piazza.
Imhof made a radical return to this porosity between the inside and
outside. In her performances, processions came from the outside
in, and at some point transited from the inside out. The inside is not a
mere enclosure. The inside and the outside exist together.
She also installed windows from a derelict 1970s building in Turin,
thereby bringing inside what had been discarded outside, while
she fulfilled the project of laying the Palais bare and opening
transparencies throughout. The sheer scale of the building enabled
her to make the inside feel as if it were outside – to make the home feel
like an agora. The original project of the Palais de Tokyo relied on both
architecture and sculpture, i.e. the space the bodies inhabit, and the
representation of the bodies themselves. This duality is also the focus
of Imhof’s project. The bodies of the performers, as well as the bodies
in her drawings and videos, all speak to a long history of sculpture.
Architecture and sculpture share the dual possibility of being able to
exist inside or outside, as opposed to painting, which typically has to be
presented inside.
Here too Imhof spoke directly to the soul of the building.
The fact that the audience would have to walk across the Palais,
following the performers, as across an agora, turned it into a public
space where our bodies became sculptures and fully part of the
architecture. Time was an essential factor: during a performance
lasting four hours, and where the bodies of others played such an
important role, we became aware of ourselves as inhabitants of the
architecture. As a museum of modern art, the Palais de Tokyo was
invented before the catastrophe of World War II, but it only opened up
to its full potential in the post-war period. It was a statement of belief
right after the great revelation that modernism might be dead. Imhof’s
work has often been described as “post-catastrophic”. But above all it
is an extraordinary assertion of her belief in the project of art, beyond
any form of limitation, yet united by human presence, the intensity
of life, and of a feeling that we exist as a community.
As such, it is an architectural project – a project of design for the
world in which we live. She understands that the ruins did not
come at the end of history: they have been here all along and they
are a field where life can happen.
domus 1064 Gennaio January 2022 ARTE 69

Photo Charlotte Kruk

In questa pagina e nelle successive: la mostra “Carte blanche to Anne Imhof, Natures Mortes” al Palais de Tokyo (22.5–24.10.2021)
• This page and following pages: the exhibition “Carte blanche to Anne Imhof, Natures Mortes” at the Palais de Tokyo (22.5–24.10.2021)
70 ARTE
Tra le rovine del museo d’arte moderna /
In the ruins of the modern art museum
Anne Lacaton, Jean-Philippe Vassal
Quando Anne Imhof ha ricordato le sue impressioni e le sue riflessioni
in occasione della sua prima visita al Palais de Tokyo, abbiamo
riconosciuto gli stessi sentimenti – fascinazione e inquietudine –
che ci avevano attraversato nel 2000 nel percorrere questo immenso
terreno incolto, risultato dell’abbandono di un progetto
di ristrutturazione in corso d’opera. Nel nostro progetto, abbiamo
cercato di liberare del tutto la superficie, eliminando ogni vincolo,
di fare in modo che restasse solo la struttura, disponibile a ospitare
ogni tipo d’installazione, pronta a ogni configurazione.
Nel 2012, il nostro obiettivo si è esteso all’intero edificio: dai sotterranei
agli spazi sotto la copertura vetrata.
Nell’estate 2021, l’installazione di Anne Imhof ha occupato tutto il Palais
de Tokyo, da avenue Wilson fino allo scantinato più profondo,
20 m più in basso. L’artista cercava un ambiente totalmente libero
e ha chiesto di eliminare ogni orpello, per “rimettere a nudo”
l’architettura e tornare all’essenziale – la concatenazione degli spazi,
l’aria, la luce – per raccogliere le forze per un nuovo inizio.
Abitare il Palais de Tokyo – secondo la definizione del Fun Palace
di Cedric Price – è ciò che Anne Imhof realizza con la sua performance,
mostra, opera d’arte totale. Agisce sullo spazio e sul tempo,
configurando la loro occupazione, assecondando la vita che vi si
svolge, l’arte che vi è esposta.
Procede incrociando le qualità specifiche degli spazi, all’interno
e all’esterno, a diverse altezze e distanze, collegandole attraverso
la geografia di un paesaggio urbano; tempi più o meno lunghi, ore
del giorno e della notte, diverse stagioni; occupazioni e azioni dei
performer, opere di altri artisti o di Imhof stessa, del passato e del
presente, attori, musicisti, situazioni d’attesa, di meraviglia, visitatori
isolati e poi, improvvisamente, una folla che invade a migliaia il Palais,
come in una specie di balletto guidato dalle performance degli attori
e dei cantanti, dalla luce, dalla musica e dal suono.
Il Palais è stato abitato, all’esterno e all’interno, dal primo giorno,
il 22 maggio, all’ultimo, il 24 ottobre, da un migliaio o due di persone.
L’installazione di Anne Imhof è rigorosa e strutturata attentamente:
tramite elementi vetrati, che formano le stanze che si susseguono in
fila secondo la struttura e la geografia dell’edificio; tramite strutture,
al suolo o sospese, che seguono con levità la curva dei muri;
tramite trasparenze e riflessi che creano prospettive all’infinito, l’artista
amplifica la profondità e sposta all’infinito i limiti dello spazio arrivando
fino al quartiere, attraverso le grandi finestre.
Manipola la luce, del giorno e della notte, ritrova la fluidità del Palais
e il tempo dei percorsi. Con la sua installazione, Anne Imhof stabilisce
una complicità profonda tra il visitatore, l’opera d’arte e l’architettura.
È una magia.
domus 1064 Gennaio January 2022
• When Anne Imhof described her thoughts and impressions after
her first visit to the Palais de Tokyo, it occurred to us that we, too,
experienced similar feelings of fascination and disquiet when, in 2000,
we walked around the vast wasteland that had been left after the
abandonment of an ongoing renovation project.
With our intervention, we aimed to fully liberate the site and leave an
unfettered space where only the structure remained, ready to adapt
to any installation or configuration. In 2012, we pursued the same goal
across the whole building, from the basement levels to the areas
beneath the glass roof. In the summer of 2021, the installation by Anne
Imhof at the Palais de Tokyo occupied every space of the structure,
from Avenue Wilson to the depths of the basement floors 20 metres
below. Seeking a completely clear space, the artist requested that all
additional elements be removed to expose the architecture and return
to its essential qualities – the sequence of spaces, the air and the light
– in order to gather strength and embark on a new beginning.
In her performance, exhibition and total artwork, Anne Imhof inhabited
the spaces of the Palais in a manner reminiscent of Cedric Price’s
Fun Palace. She moulded space and time, shaping the way they were
occupied to accommodate the life that unfolds in the building as well
as the art exhibited there. Her work brought together a constellation
of elements. Unique characteristics of interior and exterior spaces
intersected at different heights and distances, connected through
the geography of an urban landscape; different timeframes, hours of
the day or night, and even seasons overlapped, along with different
occupations and actions staged by the performers, works from past
and present by guest artists or by Imhof herself, actors, musicians,
moments of anticipation and wonder, scattered visitors, then, suddenly,
a crowd filling the Palais in their thousands in a kind of operatic dance
led by the performances of actors and singers, with lighting, music
and sound. From the event’s inauguration on 22 May to its conclusion
on 24 October, the Palais was inhabited from the outside in by one or
two thousand people per day. Anne Imhof’s installation was rigorous
and carefully structured. By using glazed elements to create adjoining
rooms, reflecting the building’s structure and geography; by installing
structures suspended or positioned on the floor that subtly followed
the curves of the walls; and by introducing transparencies and
reflections offering limitless perspectives, she amplified the depth and
pushed the bounds of the space into the surrounding neighbourhood
through the large windows. She manipulated the light by day and
by night, restored the fluidity of the Palais and the measure of time
needed to explore it. In her installation, Imhof establishes a profound
complicity between the visitor, the artwork and the architecture.
Like a kind of magic.
domus 1064 Gennaio January 2022 ARTE 71

Photo Charlotte Kruk

Sopra: la scala dell’edificio permette di fare percepire l’interno come se fosse l’esterno
•Above: the building’s scale allows the inside to be experienced as if it were an exterior
72 ARTE domus 1064 Gennaio January 2022

Photo Aurélien Mole. Courtesy of the artists, Galerie Buchholz and Sprüth Magers
Sopra: Eliza Douglas, Anne Imhof, Sound Rail II, 2021 (sulla sinistra); Anne Imhof, Street, 2021 (sulla destra)
•Above: Eliza Douglas, Anne Imhof, Sound Rail II, 2021 left); Anne Imhof, Street, 2021 (right)

Photo Charlotte Kruk

Sopra: nella mostra di Anne Imhof, i corpi dei visitatori e dei performer diventano parte dell’architettura
•Above: in Anne Imhof’s exhibition, the bodies of visitors and performers became part of the architecture
domus 1064 Gennaio January 2022 ARTE 73

Photo Charlotte Kruk

Sopra: Anne Imhof gioca con la sensazione del luogo quale rudere, quale luogo aperto
•Above: Anne Imhof played with the feeling of the location as a ruin, as an open place
74 ARTE domus 1064 Gennaio January 2022

Sopra: Anne Imhof, Angst (Angoisse),

) 2016 • Above: Anne Imhof, Angst (Angoisse),) 2016

Photos Aurélien Mole. Courtesy of the artist, Galerie Buchholz and Sprüth Magers

Sopra: Anne Imhof, Street, 2021. Acciaio e vetro • Above: Anne Imhof, Street, 2021. Steel and glass
domus 1064 Gennaio January 2022 ARTE 75

Photo Charlotte Kruk

Photo Charlotte Kruk

Sopra: Anne Imhof, Street, 2021. Acciaio e vetro • Above: Anne Imhof, Street, 2021. Steel and glass

Photo courtesy of the artist, Galerie Buchholz and Sprüth Magers

Sopra: due opere di Cy Twombly (a sinistra e a destra) e Maze di Anne Imhof, 2021 (sullo sfondo)
•Above: two artworks by Cy Twombly (left and right) and Maze by Anne Imhof, 2021 (in the background)
76 DESIGN
Photo Alexandre Tabaste
Ronan & Erwan Bouroullec
Bourse de Commerce, Paris, 2021
Martine Bedin
La collezione Pinault oggi si può visitare a Parigi nell’antica Bourse du
Commerce. La storia di questo luogo, e dei suoi cambiamenti dal XIII
secolo, basta da sola a raccontare la trasformazione degli edifici del
potere parigini. Residenza nobiliare, palazzo, convento delle fanciulle,
poi dimora di Caterina de’ Medici, ampliato, poi distrutto, poi ancora
ricostruito come mercato delle granaglie, andato a fuoco due volte,
per assumere la forma pressoché definitiva nelle mani dell’architetto
Henri Blondel nel 1888. Alcuni storici sono concordi nell’affermare che
la rinascita urbana delle grandi città alla fine del Medioevo sia stata
legata unicamente alla ripresa dei “grandi commerci”.
Si riuscirà a scorgerne un segno nell’installazione della collezione
Pinault in due luoghi-simbolo del commercio: Punta della Dogana a
Venezia e la Borsa di Parigi? L’architetto Tadao Ando ha affrontato
in modo potente il volume monumentale dell’edificio, costruendo un
cilindro di calcestruzzo sotto la cupola e concentrico a essa. Non
dev’essere stato facile, per due designer che si definiscono produttori
di risposte ‘corrette’, inserirsi in tale contesto. In effetti, non si sono
occupati del centro del primo cerchio.
All’esterno, a contrappunto della colonna astronomica fatta erigere da
Caterina de’ Medici per scongiurare la cattiva sorte, i Bouroullec hanno
disegnato due aste eleganti e tangibili, ancorate dentro rocce, nere
come il granito della loro Bretagna, in cima alle quali una banderuola
dal meccanismo discreto muove continuamente controvento gli
stendardi “alla fiamminga”, di tessuto tecnico argentato (tra il lurex
e il mercurio), sullo sfondo di un padiglione metafisico che riflette
contemporaneamente cielo e terra, delicata metafora per un vessillo.
La forza geometrica del cerchio si annuncia dall’esterno, a sua volta
concentrico rispetto al cilindro di Ando, ma a rovescio: alla massa si
contrappone un perimetro, una linea dorata.
Sono arcuati cilindri di cupro, lega d’alluminio e rame, fabbricati nei
cantieri navali che producono le eliche dei sommergibili – l’oceano,
di nuovo? Sono panche per sedersi o testare l’equilibrio dei bambini
spiegando loro, mentre li teniamo per mano, che un’area giochi può
essere dignitosa e bella. Certamente, nessuno crede che si tratti di
una difesa da un attacco nemico.
All’interno, una seconda sfida: misurarsi con l’architettura, ma
anche con l’arte. I Bouroullec sanno che il linguaggio dei loro arredi
– delicatezza, modestia, perfezione, talvolta ironia – rischia di non
reggere l’esibizionismo spesso volgare di certe opere. Negli spazi
intermedi o nelle sale più piccole, i designer hanno fatto tessere su
antichi telai del Nord della Francia un tappeto sui toni pallidi del grigio
e del rosa, che riveste anche le lunghe panche. La continuità tra
pavimento e sedute potrebbe evocare maliziosamente la poltrona
Tappeto volante di Ettore Sottsass.
È un tentativo d’investire lo spazio con oggetti comuni e ci si dimentica
di pensare che, se il gioco è riuscito, è perché l’insieme abita con
discrezione lo spazio e gli dà la sonorità priva di echi di un luogo
privato. Le sedie dallo schienale di corda evocano a loro volta la
marina, o i cordoni che proteggono le opere di un museo: sparse e
sperdute in uno spazio dove nulla è stato lasciato al caso. Le lampade
sono appese per la tromba della scala: tubi di vetro opalino, lattiginoso,
montati uno sull’altro non in sequenza telescopica, come ci si
aspetterebbe in questa grande nave, ma accostati alle estremità.
È una ghirlanda di luce, tesa, diritta, controllata dal soffitto al pavimento
che, nel grigiore parigino di un tardo pomeriggio invernale, vista da
fuori attraverso le grandi vetrate, risponde alle aste e ai loro stendardi
luccicanti. La questione del rapporto tra design e architettura torna
come un ritornello, ma quel che resta in mente è che le cose e la
loro funzione sono presenti come in una linea punteggiata, le opere
degli artisti saranno staccate dalle pareti per far posto ad altre opere,
mentre l’edificio monumentale continuerà il suo viaggio cominciato
otto secoli fa, ondeggiando appena sulla piazza: “E la nave va”.
domus 1064 Gennaio January 2022
• The Pinault Collection can now be visited in the age-old Bourse de Martine Bedin
Commerce in Paris. The history of this site and its changes since the nata a Bordeaux nel 1957,
architetta, è stata una
18th century reveal how buildings of power have evolved in the city. An delle fondatrici del gruppo
aristocratic residence, palace, convent and then home of Catherine d’avanguardia Memphis,
de’ Medici, it was subsequently extended and eventually destroyed a Milano nel 1981.
before being rebuilt as a corn exchange. It went up in smoke twice and Oltre che architetto, è designer
industriale, artista e docente.
was given its almost final form by architect Henri Blondel in 1888. Le sue opere sono
Many historians agree that the resurgence of large-scale commerce conservate in importanti
was the principal factor driving the urban renaissance seen in large musei e collezioni private.
cities from the end of the Middle Ages. A modern-day reflection can
perhaps be found in the installation of the Pinault Collection in two • Martine Bedin, an architect
born in Bordeaux in 1957,
symbolic landmarks of trade: the Punta della Dogana in Venice and was one of the founders of the
the Bourse du Commerce in Paris. The architect Tadao Ando has avant-garde Memphis group
made the monumental Parisian building even more impactful by in Milan in 1981. Alongside her
architectural work, she is also
installing a cylindrical concrete wall concentrically beneath the dome. an industrial designer, artist
Fitting into this context can’t have been easy for a pair of designers and teacher. Her work is held
whose declared aim is to provide “correct” responses. Indeed, their in many important museums
intervention did not concern the centre of the first circle. Outside, as and private collections.
a counterpoint to the astrological column erected by Catherine de’
Medici to ward off ill fate, the Bouroullec brothers have designed two
elegant masts, which are anchored in black rock reminiscent of granite
from their native Brittany. At the top of the masts, a weather vane with
a discreet mechanism triggers the constant movement of “Flemish-
style” banners made from a silvery technical fabric (somewhere
between lurex and mercury), flying a metaphysical flag that reflects
both sky and land in a subtle metaphor for a flagship. The geometric
power of the circle already announces its presence on the outside,
running concentric to Ando’s cylinder but laid lengthwise, forming a
fine golden line around the perimeter that contrasts with the concrete
mass. The Bouroullecs’ curved cylinders are made from a bronze-like
cupro-aluminium alloy and produced in shipyards that forge propellers
for submarines – another oceanic reference? They are benches for
sitting on, or for young children to test their balance as an adult holds
their hand, perhaps explaining how worthy and wonderful a playground
can be. Of course, nobody would think these furnishings are also
intended to offer protection from a terrorist attack.
Inside, the challenge was to engage with art as well as architecture.
The Bouroullecs were aware that the idiom of their furnishings –
delicacy, modesty, perfection and sometimes humour – might be
drowned out by the often trivial exhibitionism of certain artworks. In the
interstitial spaces and smaller rooms, the designers had rugs woven
in pale grey and pink hues using old looms from northern France. The
same material also covers the long benches. This continuity between
flooring and seating could be interpreted as a playful reference to
Ettore Sottsass’s Flying Carpet armchair. It is an attempt to fill the
interiors with everyday items, and we forget to consider how well this
ensemble works because the objects discreetly inhabit the space and
lend it the echoless acoustics of a private home. The chairs with rope
backs evoke the navy, or the cords protecting artworks in a museum.
They are sparse and isolated in a space where nothing has been left
to chance. Lamps hang down the stairwell, with sandblasted glass
tubes assembled on top of one another, not in a telescopic sequence
as one might expect in this great vessel, but end to end. When viewed
from outside through the large windows on a grey Parisian winter’s
afternoon, this straight and rigorous garland of light stretches from
floor to ceiling, echoing the masts and their glinting banners.
The relationship between design and architecture reappears like a
refrain, but the impression remains that the things and their functions
are arranged like a dotted line. The artworks will be taken off the walls
to make way for others, while the monumental building will continue its
journey begun eight centuries ago, gently swaying on its square.
And the ship sails on.
domus 1064 Gennaio January 2022 DESIGN 77

Photos Charlotte Kruk

In questa pagina: all’esterno, in cima alle aste ancorate dentro rocce nere una banderuola muove controvento due stendardi di tessuto tecnico argentato
• This page: outside, at the top of the masts anchored in black rock, a weather vane triggers the movement of two banners made from a silvery technical fabric
78 DESIGN domus 1064 Gennaio January 2022

In questa pagina: i tappeti lavorati su antichi telai rivestono le panche e il pavimento • This page: rugs woven using old looms cover the long benches and the floor

Photos Charlotte Kruk

domus 1064 Gennaio January 2022 DESIGN 79

Sopra: le installazioni luminose disegnate dai Bouroullec e realizzate da Flos. • Above: light installations designed by the Bouroullecs and produced by Flos.
Sotto: Rope Chair, Artek. Lo schienale e i braccioli, una semplice cima da ormeggio, Below: Rope Chair, Artek. The backrest and armrests, made from a simple mooring
rimandano all’ambito navale e alla corda che protegge le opere d’arte line, recall the maritime world as well as the ropes that protect artworks

Photos Charlotte Kruk

80 REACTION domus 1064 Gennaio January 2022

Coltivare lo spirito comunitario /

Nurturing community spirit
Fabrice Lextrait

“Si ha voglia di appropriarsi di tutto, di saccheggiare
tutto, di ingozzarsi di tutto, di manipolare tutto.
Vedere, decifrare, imparare non importa. L’unico, potente
interesse è la manipolazione”.
Jean Baudrillard, Simulacres et Simulation, Éditions Galilée,
Parigi 1981
In un mondo per nulla incline agli slanci e alle speranze politiche
abbiamo la responsabilità di trasformare “lo spirito” delle cose
aprendo, coltivando e rifondando lo spazio pubblico politico.
Oggi, l’imperativo di architetti, compositori, registi, autori o artisti
non è più creare e costruire ‘per’, ma creare e costruire ‘con’.
Questa rivoluzione s’inscrive naturalmente nell’iter d’integrazione
con il contesto, rafforzando e approfondendo il lavoro con gli utenti,
il pubblico e la cittadinanza.
Coinvolgere nel processo di trasformazione della società chi ne
fruisce ricompone lo spazio pubblico coltivando la sensibilità: è un
atto per il quale gli artisti sono indispensabili e che richiede anche
di esplorare la dimensione artistica di ciascuno di noi.
I territori dove questo avviene sono oggi numerosi, ma
costantemente marginalizzati, resi fragili, negati dalle istituzioni
private e pubbliche. Non devono essere né riserve né alibi.
Devono essere laboratori, fabbriche, spazi intermedi, terreni
abbandonati dove coltivare lo spirito comunitario attraverso una
“condivisione democratica accompagnata dall’unica produzione
il cui carattere infinito sia tollerabile: quella del senso
che nasce dalle arti, dal pensiero, dallo spirito, dall’amore”1.
Lo ‘spirito’ sta là dove si alimenta ciò che il sociologo Ray
Oldenburg ha definito nel 1989 “terzo luogo”2, spazi che per
lo scrittore Peter Handke3 si creano quando ci si trova su una
barchetta e i due mercantili che ti vengono incontro lasciano
scorgere tra loro un interstizio che fa intravvedere un nuovo
orizzonte.
I terreni incolti della cultura fanno sì che da 30 anni, in tutto il
mondo e in spazi elastici, liberi e aperti, gli artisti inventino nuovi
tempi e rapporti con i popoli, dando nuovo posto alle arti e alla
cultura nelle nostre società. Ciò che vi si coltiva è “un avvenire
dell’esistente”, “un carattere del presente”, “un assolutamente
inedito”, “un’invenzione di un qualche luogo”, “un’espressione della
materia” che vanno oltre le prospettive coltivate dall’eccezione
culturale legata al principio dell’autonomia dell’arte. Sono
senz’altro i Progetti culturali per progetti urbani4 che possono
rispondere alla domanda “Spirito, dove sei?” del manifesto di Jean
Nouvel per Domus, rifiutando i progetti urbanistici disumanizzati,
in modo che pianificazioni, architetture, destinazioni d’uso
appartengano a un luogo5 e a chi lo abita.
“Reazione” è la risposta al manifesto “Spirito, dove sei?”
allegato a Domus 1063 e pubblicato integralmente
su domusweb.it/manifestojn. Illustra l’approccio culturale di
Jean Nouvel al progetto e rappresenta la base intellettuale
del suo incarico di guest editor per Domus nel 2022.
• “People have the desire to take everything, to pillage everything, Fabrice Lextrait
to swallow everything, to manipulate everything. Seeing, Nato a Marsiglia nel 1967, è un
attore culturale, cofondatore
deciphering, learning does not touch them. The only mass affect is del polo culturale Friche la
that of manipulation.” Belle de Mai a Marsiglia. Ha
Jean Baudrillard, Simulacra and Simulation, Éditions Galilée, lavorato agli Ateliers Jean
Paris 1981 Nouvel per 10 anni, dopo aver
collaborato con il segretario
di Stato per la Cultura, Michel
In a world where political impulses and expectations are seldom Duffour, tra il 2000 e il 2002.
encouraged, we have a responsibility to transform the Ha creato i ristoranti culturali
“spirit” of things by opening up, cultivating and reshaping the Les grandes tables in diverse
città della Francia.
public political space.
These days, the imperative for architects, composers, • Born in Marseille in 1967,
directors, authors and artists is no longer to create and Fabrice Lextrait is a cultural
construct “for” but to create and construct “with”. organiser and co-founder
of the cultural hub Friche
This revolution forms part of the process of contextual la Belle de Mai in Marseille.
integration, consolidating and expanding work with users, He worked at Ateliers Jean
communities and citizens. Nouvel for ten years, after
Involving stakeholders in the process of societal transformation working with the State
Secretary for Culture Michel
reassembles the public space by cultivating sensibility. Duffour from 2000 to 2002.
Artists play an essential part in this operation, which also entails He has created cultural
exploring the artistic dimension of each and every one of us. restaurants called Les
grandes tables in several
Today, sensibility is cultivated in many places, but they are
French cities.
constantly marginalised, weakened and rejected by public and
private institutions. These areas must be neither reserves nor
alibis. They must be laboratories, factories, interstitial spaces
or wastelands where communality is nurtured by means of
“democratic sharing, accompanied by the only kind of production
whose infinite continuation can be tolerated: the production of
meaning through art, thought, the spirit and love.”1
The “spirit” is there when we cultivate what Ray Oldenburg2
described in 1989 as “third places”. According to Peter Handke,3
these spaces emerge when we are on a flimsy boat and a gap
opens up between the two cargo ships heading towards us,
enabling us to imagine a new horizon.
For the last 30 years, cultural wastelands around the world have
allowed artists to invent new times and new relationships with
communities in flexible, free, open spaces, creating a new place
for art and culture in our societies. What is cultivated in these
spaces is “a future of the existing”, “a character of the present”,
“something never seen before”, “an invention of somewhere”,
“an expression of substance”, which transcend the approaches
cultivated by cultural exception linked to the principle of autonomy
in art. It is the “Cultural Projects for Urban Projects”4 that are
capable of responding to the question “Spirit, are you there?” by
rejecting dehumanised urban plans to ensure that programmes,
architectures and uses belong to a place5 and to communities.
“Reaction” is a response to the manifesto “Spirit, are you there?”
included with Domus 1063 and published in full
on domusweb.it/manifestojn. It illustrates Jean Nouvel’s cultural
approach to design and represents the intellectual basis for his
guest editorship of Domus in 2022.

domusweb.it/manifestojn

1 Jean-Luc Nancy, Jean-François
Bouthors, Démocratie! Hic
et nunc, Éditions François Bourin,
Parigi 2019.
2 Ray Oldenburg, The Great Good
Place, Paragon House, St Paul
1989.
3 Peter Handke, Herbert Gamper,
Espaces intermédiaires, Éditions
Christian Bourgois, Parigi 1992.
4 Jean Nouvel, Philippe Foulquié,
Hubert Tonka, Projet culturel
pour un projet urbain, Friche la
Belle de Mai, Marsiglia 1995.
5 Jean Nouvel, Louisiana
Manifesto, Louisiana Museum
of Modern Art/K Rosendahls
Bogtrykkeri, Esbjerg 2008.
1 Jean-Luc Nancy, Jean-François
Bouthors, Démocratie! Hic
et nunc, Éditions François Bourin,
Paris 2019.
2 Ray Oldenburg, The Great
Good Place, Paragon House,
St Paul 1989.
3 Peter Handke, Herbert Gamper,
Espaces intermédiaires, Éditions
Christian Bourgois, Paris 1992.
4 Jean Nouvel, Philippe Foulquié,
Hubert Tonka, Projet culturel
pour un projet urbain – Friche la
Belle de Mai, Marseille 1995.
5 Jean Nouvel, Louisiana Manifest,
Louisiana Museum of Modern
Art/K Rosendahls Bogtrykkeri,
Esbjerg 2008.

Rassegna Sistemi ecomplementi
In alto: i pouf e gli accessori
della collezione Bakku
disegnata da Margherita
Rui per Milani permettono
di creare composizioni
dinamiche che si prestano a
essere usati in modi diversi
• Above: the poufs and
accessories from the Bakku
collection designed by
Margherita Rui for Milani
allow for the creation
of dynamic compositions
that lend themselves
to different modes of use
“Cerco sempre di usare materiali che siano sostenibili a
livello produttivo”, racconta Federica Biasi, giovane designer
intervistata alla pagina seguente, sottolineando un tema
diventato imprescindibile per il mondo del progetto
contemporaneo. La sfida attuale non si ferma, però, solo
alla ricerca di tecniche produttive e di materiali che rispettino
l’ambiente. Sia alla scala dei sistemi componibili sia a quella,
più contenuta, dei complementi d’arredo, lo stimolo per
i progettisti è la reinterpretazione delle tipologie classiche
alla luce dei nuovi stili di vita. Lo sforzo è quello di creare
forme innovative con i materiali e le tecnologie a
disposizione. Questo mese, abbiamo passato in rassegna
oggetti e soluzioni per arredare la casa che guardano in
questa direzione: paraventi e tavolini di servizio che hanno
ritrovato una loro centralità nello spazio domestico, poltrone
e librerie con forme e meccanismi mutuati dal passato,
librerie e pareti attrezzate che si prestano a molteplici
modalità di utilizzo.
A cura di / Presented by Giulia Guzzini
Systems and accessories “I always try and use materials
that are sustainable at a manufacturing level”, says Federica
Biasi, a young designer interviewed on the next page,
highlighting a theme that has become fundamental for the
world of contemporary design. However the current
challenge for designers doesn’t end just with the search
of production methods and materials that respect the
environment. Whether it is on a scale of modular systems
or on the smaller one of accessories, the motivation for
designers is the reinterpretation of classic product types
in the light of new lifestyles. The drive is to create innovative
forms with the materials and technologies available.
This month, we have reviewed objects and solutions to
furnish the home that look in this direction: screens and side
tables that are back at the centre of domestic space,
armchairs and bookcases with forms and mechanisms
mutated from the past and shelving and accessorised walls
that lend themselves to multiple modes of use.
XXXVIII RASSEGNA Sistemi e complementi / Systems and accessories domus 1064 Gennaio January 2022

Il design concreto di Federica Biasi

The concrete design
of Federico Biasi
Federica Biasi has a very concrete vision
of the role of the designer. “I have always
found it ‘ethically’ wrong to design, in the
2000s, a product that is just attractive or is
functional but not useful to the development
of a company’s catalogue” she says.
Her approach becomes even more radical
as she maintains that “putting into production
an object that doesn’t sell is a failure from
a sustainability point of view”.
Born in 1989, Biasi graduated from IED in 2011, manufacturing level”, explains the designer, “I the rounded edge of the back is in fact
where she now teaches. She made a name try to avoid materials that make it difficult to the distinctive feature of the Easy Chair
for herself working as a trend forecaster break a product down into its components, designed for Manerba. Even when Biasi
for Fratelli Guzzini, where she developed even though often, especially in the contract works with other materials, the lightness of
marketing skills that proved useful when she sector, this is not always possible. This is line and the tendency towards simple forms,
opened her own studio in 2015. Since then also why I often choose natural materials with a slightly oriental feel, distinguishes her
she has always shown great attention to the such as wood. I prefer living materials, such work. It can be seen in the Timo collection
production knowledge of the companies she as ceramic or glass, but wood is the material of upholstered furniture designed for
designs for or with whom she collaborates that I feel most at ease with.” As well as being LaCividina and characterised by its pared-
as a creative consultant. sustainable, wood is easy to work with, it down style and in the Uma bench, the
This approach has given rise to an iron can be shaped and allows for that softness outcome of her first collaboration with Lema,
discipline with respect to materials. “I always of mark that characterises the style of distinguished by the slender metal profile
try to use materials that are sustainable at a the Milanese designer. The treatment of that outlines the perimeter.

Federica Biasi ha una visione molto Dall’alto, in senso orario: la designer

concreta del mestiere del designer. Federica Biasi; due sedie dalle dimensioni
“Ho sempre trovato ‘eticamente’ sbagliato compatte realizzate in multistrato di betulla
curvato per la collezione Easy Chair di
disegnare un prodotto che fosse solo Manerba; la poltroncina imbottita Timo
bello o che fosse funzionale, ma non utile – un nome che rivela che la natura ne è stata
per lo sviluppo del catalogo di un’azienda”, fonte d’ispirazione – progettata da Biasi per
afferma. Il suo approccio diventa poi ancora LaCividina; e la panca da fondo letto Uma,
prodotta da Lema, composta da una doppia
più radicale quando sostiene che “mettere struttura di metallo verniciato bronzo su cui
in produzione un oggetto che non vende poggia una doppia seduta imbottita con
è un fallimento dal punto di vista della cuscino in pelle o ecopelle
Designer

sostenibilità”.
Nata nel 1989, Biasi si è laureata allo IED
• From top, clockwise: designer Federica
Biasi; two chairs with compact dimensions
nel 2011, dove oggi insegna. Si è fatta made from curved birch ply for the Easy
notare lavorando come trend forecaster Chair collection by Manerba; the
upholstered Timo chair – a name that
per Fratelli Guzzini, dove ha maturato
reveals how nature has been the source of
competenze di mercato che le sono state inspiration – designed by Biasi for
utili quando ha aperto il suo studio nel 2015. LaCividina; and Uma, a bench for placing at
Da allora, ha sempre dimostrato grande the foot of the bed produced by Lema, made
up of a double structure in bronze-painted
attenzione per il know-how w produttivo delle metal on which sits a double padded seat
aziende per cui progetta o con cui collabora with cushion in leather or eco-leather
come consulente creativa.
Da questo approccio, deriva la ferrea
disciplina sui materiali. “Cerco sempre
di usare materiali che siano sostenibili a
livello produttivo”, spiega, “e di evitare quelli
che rendono difficile disassemblare un
prodotto in ogni sua componente, anche
se, soprattutto nel mondo del contract,
non è sempre possibile. Anche per questo,
la mia scelta ricade spesso su materiali
di origine naturale, come il legno. Prediligo
materiali vivi, come la ceramica o il vetro,
ma è con il legno che mi sento più a mio
agio”. Oltre a essere sostenibile, ha un’alta
lavorabilità e consente quella morbidezza
del segno che caratterizza il gesto formale
della designer milanese. La sagomatura del
bordo arrotondato dello schienale è infatti
la cifra distintiva della Easy Chair disegnata
per Manerba. Anche quando si cimenta
con altri materiali, la leggerezza del tratto e
la tensione alla semplicità formale, di gusto
vagamente orientale, contraddistinguono
il suo lavoro. Accade con la collezione
di sedute imbottite Timo, disegnata per
LaCividina e caratterizzata da uno stile
essenziale e con la panca Uma, risultato
della prima collaborazione con Lema, che si
distingue per l’esile profilo metallico.
 domus 1064 Gennaio January 2022
Aston Club Low Back
Evoluzione della serie Aston disegnata da
Jean-Marie Massaud per Arper nel 2006,
Aston Club Low Back nasce per facilitare
la conversazione. Interpretando la tipologia
della seduta lounge, si distingue per la
silhouette ribassata che favorisce l’intimi-
tà e stimola l’interazione. Gli elementi della
serie utilizzano componenti interni di pla-
stica riciclata, uniti senza l’uso di colle. Ogni
parte può inoltre essere smontata, per
essere riutilizzata, o riciclata, riducendo
così al minimo l’impatto ambientale.
Photo Salva Lopez
Materiali / Materials
plastica riciclata, metallo e legno /
recycled plastic, metal and wood
Finiture / Finishes
tessuto e pelle /
fabric and leather
Dimensioni / Dimensions
W 77.5 x D 86.5 x H 42.5/92 cm
The evolution of the Aston range designed
by Jean-Marie Massaud for Arper in 2006,
Aston Club Low Back has been conceived
to facilitate conversation. A contemporary
reworking of the lounge chair, it is charac-
terised by the lowered silhouette that fa-
vours intimacy and stimulates interaction.
The elements use internal components in
recycled plastic, joined together without
the use of glues. Each part can also be dis-
mantled, reused, or recycled, reducing
environmental impact to a minimum.
Arper
www.arper.com
Sistemi e complementi / Systems and accessories RASSEGNA XXXIX
Round D.154.5
Concepita nel 1954 e riprodotta oggi fe-
delmente da Molteni&C in collaborazione
con Gio Ponti Archives, la poltrona Round
(D.154.5) è paradigmatica della virata pro-
gettuale che Gio Ponti opera nei primi anni
Cinquanta verso soluzioni funzionali inno-
vative legate a forme essenziali. È chiama-
ta anche “otto pezzi” in seno allo studio
Ponti-Fornaroli-Rosselli a sottolineare la
pulizia dell’impianto costruttivo costituito
da soli otto elementi ancorati tra loro: la
seduta e lo schienale raccordati da due
fasce di compensato curvato, oltre alle
quattro gambe. “Dietro questo progetto c’è
l’idea che una poltrona possa essere anche
una un’espressione autonoma, come una
scultura”, commenta Salvatore Licitra, cu-
ratore di Gio Ponti Archives. Quest’idea di
oggetto scultoreo è enfatizzata dall’inedita
forma arrotondata di seduta e schienale,
detta “a saponetta”, che ha reso immedia-
tamente riconoscibile la poltroncina nei
progetti in cui è stata utilizzata: dalla villa
Planchart (1955) di Caracas all’Istituto Ita-
liano di Cultura a Stoccolma (1957), dagli
uffici Alitalia a Manhattan (1958) all’Hotel
Parco dei Principi di Sorrento (1960).
Materiali / Materials
poliuretano sagomato, legno multistrato
frassino, metallo, multistrato rivestito /
profiled polyurethane, wood in ash ply, metal,
ply covered
Finiture / Finishes
tessuto e pelle / fabric and leather
Dimensioni / Dimensions
W 225 x D 90 x H 73 cm
Arco
Disegnata da Dorigo Design per Quadri-
foglio Group, la serie Arco si compone di un
divano a due posti e di una poltrona, entram-
bi caratterizzati da proporzioni generose
e da una seduta profonda e ribassata con-
cepita per favorire una posizione confor-
tevole. I volumi squadrati dei cuscini che
danno forma alla seduta e allo schienale
sonoaccentuati dal disegno rigorosodell’im-
portante elemento di legno, una linea con-
tinua che disegna in un unico tratto la gam-
ba e il bracciolo.
Materiali / Materials
poliuretano espanso, abete massello,
multistrato di betulla e faesite /
expanded polyurethane, solid fir, birch
plywood and hardboard
Finiture / Finishes
tessuto e pelle / fabric and leather
Dimensioni / Dimensions
W 86 x D 97 x H 76 cm
Designed in 1954 and now faithfully repro-
duced by Molteni&Co in collaboration with
the Gio Ponti Archives, the Round chair
(D.154.5) represents the shift in design ap-
proach that Gio Ponti made in theearly 1950s
towards innovative functional solutions
linked to pared-down shapes. It was also
known as “eight pieces” inside the Pon-
ti-Fornaroli-Rosselli studio, highlighting the
cleanliness of the construction system that
consisted of just eight elements cleverly
fixed together: the seat and backrest that
are joined together by two bands of curved
plywood and the four legs. “Behind this de-
sign is the idea that an armchair can also
be an autonomous expression, like a sculp-
ture”, says Salvatore Licitra, curator of the
Gio Ponti Archives. The idea of the sculp-
tural object is emphasised by the unusual
rounded form of the seat and back, de-
scribed as “soap-shaped”, that made the
armchair immediately recognisable in the
projects it was used in: from the Villa
Planchart (1955) in Caracas to the Italian
Institute for Culture in Stockholm (1957), the
Alitalia offices in Manhattan (1958) and the
Hotel Parco dei Principi in Sorrento (1960).
Molteni&C
www.molteni.it
Poltrone / Armchairs
Designed by Dorigo Design for Quadri-
foglio Group, the Arco range consists of a
two-seater sofa and an armchair, both
characterised by theirgenerous proportions
and deep, low seat conceived to favour a
comfortable position. The square volumes
of the cushions that give shape to the seat
and back are accentuated by the rigorous
design of a prominent element in wood, a
continuous line that forms the leg and arm-
rest in a single piece.
Quadrifoglio Group
www.quadrifoglio.com
 XL RASSEGNA Sistemi e complementi / Systems and accessories
Shanghai
Con il divano Shanghai, il progettista to-
scano Maurizio Manzoni ha reso omaggio
alla maestria dell’azienda marchigiana
Cantori nella lavorazione artigianale del
metallo. Sul piano formale, l’elemento di-
stintivo del divano risiede, infatti, nel detta-
glio dei piedi di metallo forgiato con sfac-
cettature battute a mano che salgono
annidandosi all’interno del volume doppio
dei braccioli imbottiti. Lo stesso elemento
verticale di ferro definisce formalmente
anche gli altri componenti della famiglia.
Materiali / Materials
poliuretano, legno massello di faggio e
pioppo, MDF / expanded polyurethane,
solid beech and poplar, MDF
Finiture / Finishes
tessuto e pelle / fabric and leather
Dimensioni / Dimensions
W 225 x D 107 x H 80 cm
Divani / Sofas
Orsola
Meno conosciuto a livello internazionale
di altri suoi contemporanei, Gastone Rinal-
di è un maestro indiscusso del design ita-
liano del secolo scorso. Tacchini ha riedita-
to Orsola, un’iconica collezione, composta
da divano, poltrona e pouf, progettata da
Rinaldi nel 1970. Nel rispetto delle intenzio-
ni originarie dell’autore, è stata operata una
semplificazione dei volumi sostenuti dalla
struttura arrotondata di metallo cromato.
È stata inoltre utilizzata un’imbottitura di
ultima generazione.
Photo Silvia Rivoltella
Materiali / Materials
poliuretano espanso, legno, metallo /
expanded polyurethane, wood, metal
Finiture / Finishes
tessuto e pelle / fabric and leather
Dimensioni / Dimensions
W 240 x D 99 x H 70.5 cm
Noonu
With the Shanghai sofa, Tuscan designer
Maurizio Manzoni has played homage to
the Marche based company Cantori’s great
skill in working with metal. In terms of form,
the distinctive element lies in the the detail
of the feet made from metal that have been
forged and beaten by hand that rise up and
are nestled inside the double volume of the
upholstered armrests. The same vertical
metal element also features in the other
products in the range.
Cantori
www.cantori.it
Salon Nanà
Less well-known at an international level
than some of his contemporaries, Gastone
Rinaldi is an undisputed master of Italian
design from the last century. Tacchini have
reissued Orsola, an iconic collection made
up of a sofa, armchair and pouf, designed
by Rinaldi in 1970. With respect to the orig-
inal intentions of the design, the volumes
supported by the rounded structure in
chromed metal have been simplified. The
upholstery filling has also been updated.
Photo Alessandro Paderni
Tacchini
www.tacchini.it
Due elementi rivelano che il sistema di
imbottiti Noonu disegnato da Antonio Cit-
terio per B&B Italia nasce sulla scia del di-
vano B&B Atoll: il cilindro che fa da braccio-
lo e i cuscini appoggiati liberamente allo
schienale. Sono invece in discontinuità con
il modello precedente l’altezza della seduta,
appena sollevata da terra, e i due nuovi
moduli dalle forme organiche: il primo “a
pianoforte” crea una curva lungo lo schie-
nale, l’altro “a vela” definisce un volume
ampio e tondeggiante nella parte anteriore.
Materiali / Materials
poliuretano espanso, legno, alluminio /
expanded polyurethane, wood, aluminium
Finiture / Finishes
tessuto e pelle / fabric and leather
Dimensioni / Dimensions
W 249.5 x D 149 cm (lineare / linear)
W 130 x D 99.5 cm (vela / sail-like)
Annabel Karim Kassar, architetta fran-
co-libanese, ha disegnato per Moroso una
collezione di divani e tavolini che mescola
stili differenti richiamando i luoghi dove ha
vissuto e viaggiato. Salon Nanà evoca, da
un lato, le atmosfere conviviali dei salotti
letterari francesi di fine Ottocento (Nanà è
il titolo del romanzo di Émile Zola del 1880)
e, dall’altro, la tradizione marocchina, con
un sistema di divani flessibile che si abbina
a Mezze, materasso basso da conversa-
zione usato nelle case mediorientali.
Materiali / Materials
poliuretano espanso, legno /
expanded polyurethane, wood
Finiture / Finishes
tessuto jacquard rigato e velluto /
striped jacquard fabric and velvet
Dimensioni / Dimensions
W 341 x D 105 x H 82 cm (divano / sofa)
W 185 x D 105 x H 82 cm (chaise longue)
domus 1064 Gennaio January 2022
Two elements reveal that the Noonu sys-
tem of soft furnishings designed by Antonio
Citterio for B&B Italia has been inspired by
B&B’s Atoll sofa: the cylinder that creates
the armrest and the cushions arranged
freely along the back. Unlike the previous
model is the height of the seat, raised just
above the ground, and the new new modules
with organic forms: the first “piano-shaped”
module, creating a curve along the back,
the other “sail-like” with a wide, round volume
at the front.
B&B Italia
www.bebitalia.it
Annabel Karim Kassar,a French-Lebanese
architect, has come up with a collection of
sofas and tables for Moroso that blend dif-
ferent styles inspired by the places she has
travelled to and lived in. Salon Nanà evokes
on the one hand the convivial atmosphere
of late nineteenth century French literary
salons (Nanà is the title of a novel by Émile
Zola from 1880) and on the other, Moroccan
tradition,with a system of flexible sofas that
are combed with Mezze, a low mattress for
conversation used in Middle-Eastern homes.
Moroso
www.moroso.it
domus 1064 Gennaio January 2022
Lea
Semplice nell’impianto costruttivo ed
elegante nell’equilibrio delle forme, la sedia
Lea è stata disegnata per Midj da Paolo
Vernier, che del marchio veneto è anche il
presidente. Caratteristiche di Lea sono
l’esile struttura metallica, che termina nelle
gambe dalla distintiva forma conica, e la
particolare congiunzione tra il basamento
e l’anello perimetrale. La famiglia Lea si è
allargata e la collezione comprende oggi
anche un divano due posti, un pouf, un ta-
volino, un tavolo e una madia.
Materiali / Materials
acciaio (struttura), poliuretano espanso
(imbottitura) / steel (structure), expanded
polyurethane (upholstery)
Finiture / Finishes
cuoio, cuoio toscano /
leather, Tuscan leather
Dimensioni / Dimensions
W 49 x D 57 x H 85 cm
Simple in terms of construction and with
elegant, balanced forms, the Lea chair has
been designed for Midj by Paolo Vernier,
who is also president of the brand from
Veneto. Lea features a slender metal frame,
that terminates in legs with a distinctive
conical shape,and a particular joint between
the base and the perimeter ring. The Lea
range has been extended and the collection
now also includes a two-seater sofa, a pouf,
a side table, a table and a sideboard.
Photo Andrea Garuti
Midj
www.midj.com
Sistemi e complementi / Systems and accessories RASSEGNA XLI
Fugu
“I mobili di legno diventano più ricchi
mano a mano che invecchiano”, afferma
Naoto Fukasawa,art directordi Maruni.“Non
c’è da stupirsi che gli arredi di legno conti-
nuino a essere i nostri preferiti”. Un esempio
concreto della passione del marchio giap-
ponese per questo materiale è Fugu, fami-
glia di sedute realizzata da Jasper Morrison
nel 2018 e ampliata nel 2021 con una serie
di tavoli. “Progettare un tavolo è stata una
naturale evoluzione della serie”, racconta.
I nuovi elementi, che condividono con le
sedute lo stesso dettaglio del bordo e del-
le gambe arrotondate, sono proposti in al-
tezze diverse per essere utilizzati come
tavoli da pranzo o da riunione e, nella ver-
sione più bassa, come complementi per il
soggiorno o le aree di attesa. Espressione
della competenza artigianale di Maruni, la
serie si caratterizza per l’uso del legno
massello lavorato per smussarne i bordi
ed è valorizzato nel progetto perché capa-
ce di conferire carattere agli arredi e pia-
cevolezza nel maneggiarli. I legni usati
sono ottenuti da alberi provenienti dal Nor-
damerica, gestiti e abbattuti nel rispetto
dell’ambiente.
Materiali / Materials
legno massello quercia o frassino /
solid oak or ash wood
Finiture / Finishes
diverse finiture /
assorted finishes
Dimensioni / Dimensions
W 160/180/200/220 cm
Blume
Sebastian Herkner ha disegnato per
Pedrali la sedia Blume. Il suo nome – che in
tedesco significa fiore – ne anticipa l’idea
progettuale. La forma del fiore ha infatti
ispirato l’esile profilo delle gambe realizza-
te in estruso di alluminio che, fissate al
sedile per mezzo di un elemento struttura-
le di acciaio posto sotto di esso, fungono
da sostegno per i volumi generosi delle
parti imbottite. La collezione comprende
una poltroncina e un set di tavolini che ri-
prendono il profilo a forma di fiore.
Materiali / Materials
estruso di alluminio (struttura), schiumato
poliuretanico (sedile) / extruded aluminium
(structure), polyurethane foam (seat)
Finiture / Finishes
anodizzato ottone / anodised brass
Dimensioni / Dimensions
W 63 x D 63 x H 76.5 cm
“Wooden furniture gets richer as it grows
older”, according to Naoto Fukasawa, art
director for Maruni. “It’s no wonder wooden
furniture continues to be our favourite”. A
concrete example of the Japanese brand’s
passion for this material is Fugu, a family
of chairs made by Jasper Morrison in 2018
and extended in 2021 with a range of tables.
“Designing a table was the natural evolution
of the series,” he says. The new pieces, that
share with the chairs the same edge detail
and similar straight round legs, come in
different heights for use as dining or meet-
ing tables or in the lower version, as acces-
sories for living rooms and lobbies. Express-
ing the skilled craftsmanship of Maruni, the
series is distinguished by the use of solid
wood that has been worked to round off
the edges and is made the most of by the
design giving character to the pieces and
making them pleasant to handle.The woods
used are obtained from trees that come
from North America, managed and felled
with respect for the environment.
Maruni
www.maruni.com
Tavoli e sedie / Tables and chairs
Sebastian Herknerdesigned theBlumechair
for Pedrali. Its name – that means flower in
German – reflects theidea behind thedesign.
The shape of a flower has inspired the slen-
der profile of the legs finely made from ex-
truded aluminium that are fixed to the seat
by means of a structural element in steel
placed under it, providing support for the
generous rounded volumes of the uphol-
stered parts.The collection includes a chair
and a set of side tables that also take up the
flower-shaped profile.
Pedrali
www.pedrali.it
 XLII RASSEGNA Sistemi e complementi / Systems and accessories
Paraventi / Screens
Paravent Ambassade
Progettato nel 1966 per arredare la resi-
denza dell’ambasciatore giapponese in
Francia, è da allora conosciuto come Para-
vent Ambassade. Per realizzarlo, Charlotte
Perriand riutilizzò scarti di massello di pa-
lissandro, poi tagliati in blocchetti rettan-
golari e connessi con aste filettate. Questo
permise di creare un gioco visivo e di dare
flessibilità alla superficie. In accordo con
Pernette Perriand-Barsac, figlia di Charlot-
te e fondatrice degli archivi, il paravento è
oggi rimesso in produzione da Cassina.
Materiali / Materials
blocchetti in legno massello di noce
Canaletto naturale, alluminio, materiale
plastico / blocks of solid natural Canaletto
walnut, aluminium, plastic
Finiture / Finishes
naturale / natural
Dimensioni / Dimensions
W 221 x D 3 x H 167 cm
Designed in 1966 to furnish the residence
of the Japanese ambassador in France
and since then known as the Paravent Am-
bassade. To make it, Charlotte Perriand
made use of leftover pieces of solid rose-
wood, cut into rectangular blocks and con-
nected via rods. This enabled the creation
of a particular visual effect as well as giving
the surface flexibility. Pernette Perriand-Bar-
sac, Charlotte’s daughter and founder of
the archives, has given permission for Cas-
sina to put the screen back into production.
Cassina
www.cassina.com
Plot
Complemento che ha ritrovato una nuo-
va centralità negli interni contemporanei, il
paravento è utile per creare piccoli spazi
intimi. Senza diventare una parete divisoria,
crea infatti una certa privacy. Mettendosi
alla prova su questa tipologia di arredo, lo
studio GamFratesi ha disegnato per Pol-
trona Frau la serie di separé modulari Plot.
“Per noi era importante creare un oggetto
che avesse una funzione decorativa”, rac-
conta Enrico Fratesi. Ci siamo riusciti dan-
do vita a un oggetto capace di trasmettere
l’artigianalità del marchio: un paravento
formato da una struttura minimale di me-
tallo e pannelli centrali che creano pattern
geometrici utilizzando la pelle intrecciata.
Con Plot, il duo italo-danese ha proposto,
quindi, un modo nuovo d’interpretare questa
tipologia: la pelle non è statica, ma dinami-
ca perché, cambiando il modo d’intrecciar-
la, cambia anche il risultato. “Proprio come,
modificando l’ordine delle parole, si creano
storie sempre nuove, così, intrecciando le
maglie in modo differente, si creano motivi
diversi. Per questo, si chiama Plot”, conclu-
de Fratesi.
Materiali / Materials
tubolari di alluminio impiallacciati, metallo,
pelle Frau® SC / veneered aluminium tubing,
metal, Frau® SC leather
Finiture / Finishes
frassino moka, ottone opaco /
moka ash, matt brass
Dimensioni / Dimensions
W 141 x H 189 cm
Feng
Dalla collaborazione tra GTV, Gebrüder
Thonet Vienna, e Testatonda, giovane studio
di progettazione con base a Torino, è nato
il paravento Feng, un oggetto dalle forme
armoniche, risultato di un’attenta ricerca
sui materiali. Concepito per essere modu-
lare, si compone di aste di faggio laccato e
di una struttura di metallo su cui è tesa una
vela (a due o tre moduli) che, in contrasto
alla linearità compositiva dell’insieme, sem-
bra gonfiata dal vento. Il nome deriva dal
cinese ping feng (paravento) e feng (brezza).
Materiali / Materials
faggio curvato, tessuto tesato, metallo e
ottone / curved beech, fabric stretched,
metal and brass
Finiture / Finishes
tessuto / fabric
Dimensioni / Dimensions
W 232 x D 20 x H 194 cm
domus 1064 Gennaio January 2022
An accessory that has found a new cen-
trality in contemporary interiors, the screen
divider is useful for creating small, intimate
spaces. Without becoming a partition wall,
it creates a certain sense of privacy. Putting
themselves to the test on this furniture type,
the studio GamFratesi have come up with
Plot, a series of modular dividers, for Pol-
trona Frau.“For us it was important to create
an object that had a decorative function”
says Enrico Fratesi. We succeeded by cre-
ating an object able to convey the crafts-
manship of the brand: a screen made from
a minimalist structure in metal and central
panels that create geometric patterns us-
ing woven leather. With Plot, the Italian-Dan-
ish due have presented a new way of inter-
preting this product type: the leather is not
static but dynamic because by altering the
way it is woven, the result also changes.
“Just like by changing the order of words,
new stories are created, so by weaving in
a different way, different patterns are cre-
ated. This is why we called it Plot”, says
Fratesi.
Poltrona Frau
www.poltronafrau.com
GTV,GebrüderThonetVienna haveworked
withTestatonda,ayoungdesign studiobased
in Turin, to create the Feng screen divider
whose harmonious forms are the result of
careful research into materials. Conceived
as modular, the divider features lacquered
beech rods and a metal structure with fab-
ric stretched across it (in two or three mod-
ules) that contrasts with the overall linear
composition by appearing inflated by the
wind. The name comes from the Chinese
ping feng (screen) and feng (breeze).
Gebrüder Thonet Vienna
www.gebruederthonetvienna.com
domus 1064 Gennaio January 2022
Self Plan
“La libertà compositiva è la sua qualità
principale”, commenta Giuseppe Bavuso
a proposito del sistema Self Plan che ha
progettato per Rimadesio. Sospesi a pare-
te o integrati nella boiserie Modulor, gli
elementi del programma possono assol-
vere diverse funzioni, declinandosi in un
elemento scrittoio con vani a giorno o un
foro passacavi, e in un mobile living artico-
lato in moduli-contenitore dotati di casset-
ti, ante a ribalta, vani a giorno o un passa-
cavi per alloggiare un eventuale televisore.
Materiali / Materials
alluminio, similpelle, rovere termotrattato /
aluminium, similpelle, thermo-treated oak
Finiture / Finishes
bronzo e argilla / bronze and clay
Dimensioni / Dimensions
su misura / bespoke
MH6
Disegnata da Carlo Presotto e Andrea
Bassanello, MH6 di Modulnova è una solu-
zione per la zona living che, in linea con la
proposta del marchio veneto, coordina tra
loro elementi, materiali e finiture in un sofi-
sticato equilibrio di volumi. Tra questi, l’am-
pia madia laccata sopra la quale sono so-
spesi i pensili con anta in vetro bronzo e
luce LED. A fare da sfondo, due boiserie:
Milltech Bronze Ref, completa di vani di
contenimento a scomparsa, che scorre
sulla grande boiserie a doghe di Rovere.
Materiali / Materials
legno laccato, vetro, metallo /
lacquered wood, glass, metal
Finiture / Finishes
fokos sale (madia / sideboard),
rovere fumo (boiserie)
Dimensioni / Dimensions
W 60 x D 51 x H 46/75 cm
Freedom of composition is the principal
quality”, says Giuseppe Bavuso about the
SelfPlansystemhehasdesignedforRimade-
sio. Hung on the wall or integrated into the
Modular boiserie, the elements in the Self
Plan programmecan fulfildifferent functions,
articulatedasadeskelementwithopen-front-
ed units orcable-management opening,and
a living room unit made up of storage ele-
ments with drawers, flap doors, open com-
partments or cable-management feature
if used to support a television.
Rimadesio
www.rimadesio.it
Designed by Carlo Presotto and Andrea
Bassanello, MH6 by Modulnova is a solution
for the living room that, in keeping with all
the products from the Veneto brand, coor-
dinates elements, materials and finishes
in a sophisticated equilibrium of volumes.
Among these, a large, lacquered sideboard
over which are hung wall units with fronts
in bronze glass and LED lighting. To form
the backdrop, two boiserie: Milltech Bronze
Ref, complete with concealed storage units
that slide on the large oak-planked boiserie.
Modulnova
www.modulnova.it
Sistemi e complementi / Systems and accessories RASSEGNA XLIII
Parete attrezzata
La proposta di Garofoli per la zona living
si articola in un progetto d’arredo coerente
che fa perno sul calore del legno. Una serie
di elementi d’arredo definisce le funzioni di
un’ampia parete attrezzata. La boiserie a
pannelli lisci costituisce la superficie di
fondo su cui sono installati, con staffe a
scomparsa, il contenitore con apertura a
vasistas e le mensole della collezione Miria
Plus declinate in una finitura coordinata
alla boiserie stessa e al parquet Vintage,
sempre di Garofoli.
Materiali / Materials
multistrato con impiallacciatura di rovere /
plywood with oak veneer
Finiture / Finishes
rovere seta (boiserie, contenitore e
mensole / boiserie, container and shelves)
Dimensioni / Dimensions
W 207.5 x D 1.5 x H 59.5 cm
System
Elemento versatile e trasversale per
arredare la zona living, il sistema System
disegnato nel 1995 da Piero Lissoni con
CRS Porro continua a evolversi per rispon-
dere alle richieste della contemporaneità
e assecondare nuovi modi di abitare. Nella
sua ultima variante, System è interpretato
attraverso l’uso della paglia intrecciata
utilizzata come rivestimento del modulo
Grande Luce della parete attrezzata, alle-
stito con un ripiano su cui riporre oggetti e
il televisore, o da utilizzare come seduta.
Materiali / Materials
legno, metallo, vetro e paglia intrecciata /
wood, metal, glass and woven straw
Finiture / Finishes
legno di eucalipto / eucalyptus wood
Dimensioni / Dimensions
W 614.3 x D 70 x H 267 cm
Garofoli’s proposal for the living room is
articulated in a coherent furniture project
that centres around the warmth of wood.
A series of decor elements define the func-
tions of a large accessorised wall. The boi-
serie with smooth panels constitutes the
background surfaceontowhich are installed,
with concealed fixings, a storage unit with
drop-down front and shelves from the Miria
Plus collection produced in a finish to match
the boiserie and the Vintage parquet, also
by Garofoli.
Garofoli
www.garofoli.com
Pareti attrezzate / Accesorised walls
A versatile and transversal element for
furnishing the living area, the System range
designed in 1995 by Piero Lissoni with CRS
Porro continues to evolve in response to
the demands of the present day and new
modes of dwelling. In the latest version,
System features the use of woven straw
as a cladding for the Grande Luce module
in the accessorised wall, set up with a long
shelf on which to place objects and a tele-
vision, or for use as a seat.
Porro
www.porro.com
 XLIV RASSEGNA Sistemi e complementi / Systems and accessories
Librerie / Bookshelves
Helsinki
Il punto di forza del sistema di librerie
Helsinki disegnato da Flavio Caronni e Do-
nato Bonanomi, dello studio Caronni +
Bonanomi, per Desalto è l’incontro tra la
linearità del segno grafico e l’essenzialità
del materiale utilizzato: un delicato equilibrio
tra il rigore estetico del reticolo geometri-
co e la pulizia formale dell’acciaio. La libre-
ria si compone di una struttura tubolare su
cui poggiano le mensole di lamiera scato-
lata e i contenitori con apertura a ribalta in
MDF verniciato.
Materiali / Materials
acciaio, alluminio, lamiera scatolata, MDF /
steel, aluminium, boxed sheet metal, MDF
Dimensioni / Dimensions
W 70/100/150 x D 36 x H 82/160/198 cm
The strength of the Helsinki system of
bookshelves designed by Flavio Caronni
and Donato Bonanomi of the studio Caron-
ni + Bonanomi for Desalto lies in the en-
counter between the linearity of the graph-
ic mark and the essential nature of the
material used: an equilibrium between the
aesthetic rigour of the geometric lattice
and the clean-cut forms in steel. The book-
case consists of a tubular structure on which
sit the shelves in boxed sheet metal and
containers with flap doors in painted MDF.
Desalto
www.desalto.it
Loico
Angelo Mangiarotti ha sempre lavorato
per sistemi, creando elementi modulari da
assemblare liberamente e trovando il mo-
do più efficace di unire tra loro le parti che
compongono gli oggetti, mettendo a punto
giunti a gravità che impressionano per la
bellezza immediata e per la disarmante
logica costruttiva con cui sono concepiti.
Non fa eccezione la libreria Loico – termine
arcaico per ‘logico’ –, un progetto realizzato
dal maestro milanese nel 1987, rieditato
fedelmente da Agapecasa nella Mangia-
rotti Collection, con particolare attenzione
alla messa in sicurezza in linea con gli stan-
dard di sicurezza attuali. Alla base di Loico
c’è un sistema costruttivo formalmente
molto semplice fatto di cilindri e piani che
riesce a riunire una serie di principi che
Mangiarotti aveva già affrontato in altri
contesti, reinterpretati in una forma nuova.
La struttura portante è costituita da un ci-
lindro di marmo, svuotato al suo interno e
lavorato sui bordi per essere impilabile. Un
taglio longitudinale nel cilindro permette
l’incastro delle mensole di legno.
Materiali / Materials
marmo di Carrara, legno /
Carrara marble, wood
Dimensioni / Dimensions
W 151 x D 40 x H 76 cm
Hardy
Progetto di Andrea Parisio per Meridiani,
la libreria Hardy sembra disegnata diret-
tamente sulla parete. Un segno grafico e
geometrico delicato traccia il perimetro
della libreria, che ha un impatto visivo estre-
mamente leggero e scandisce un ritmo
regolare di moduli quadrati sovrapposti.
La struttura è realizzata interamente in
metallo mentre i ripiani sono proposti in
materiali differenti, che vanno dalle lacche,
ai marmi fino all’ottone bronzato o all’ac-
ciaio platinato.
Materiali / Materials
metallo, ottone / metal, brass
Finiture / Finishes
varnished black (struttura),
ottone bronzato (piani) /
varnished black (structure),
bronzed brass (tops)
Dimensioni / Dimensions
W 150 x D 30 x H 150 cm
domus 1064 Gennaio January 2022
Angelo Mangiarotti has always worked
on systems, creating modular elements to
be assembled freely and finding the most
effective way to join together the parts that
make up the objects. He has done this by
developing gravity joints that are impressive
for their immediate beauty and the disarm-
ing construction logic with which they have
been conceived. The Loico bookcase is no
exception - an ancient term for ‘logic’ - a
design created by the Milanese master in
1987, faithfully reissued by Agapecasa in
the Mangiarotti Collection, with particular
attention on securing it in line with current
safety standards. Loico is based on a con-
struction system with a simple shape made
up of cylinders and shelves that manage
to combine a series of principles that Man-
giarotti had already established in other
contexts, reinterpreted in a new form. The
supporting structure consists of a marble
cylinder, hollowed out inside and worked on
the edges to be stackable. A longitudinal
cut in the cylinder enables the insertion of
the wooden shelves.
Agapecasa
www.agapecasa.it
Hardy, designed by Andrea Parisio for
Meridiani seems to have been drawn di-
rectly onto the wall. A delicate graphic and
geometric mark outlines the perimeter of
the bookcase that has an extremely light
appearance and articulates a regular
rhythm of square modules over the top. The
structure is made entirely from metal while
the shelves come in different materials that
range from lacquer to marble, bronzed brass
or platinised steel.
Meridiani
www.meridiani.it
domus 1064 Gennaio January 2022
Wallover®
Il sistema di contenitori Wallover® di Cac-
caro reinterpreta la tipologia della madia
tradizionale lavorando sull’idea di ritmo e
proporzione in relazione allo spazio. Gli
elementi del programma, di dimensioni
variabili, possono essere installati libera-
mente sia in verticale sia in orizzontale e
dare così vita a un ampio ventaglio di con-
figurazioni: pilastri bifacciali a tutt’altezza
collocati anche al centro della stanza, pa-
reti attrezzate, librerie e contenitori per la
zona notte.
Materiali / Materials
legno e metallo / wood and metal
Dimensioni / Dimensions
W 270 x D 18 cm x H 25.5 cm
Sen 886
La propensione di Chiara Andreatti per
le materie prime naturali e le lavorazioni
artigianali sono evidenti nella madia Sen
886, che la designer ha progettato per Po-
tocco. Sen è una famiglia di mobili conteni-
tori che, oltre alla madia, comprende anche
una credenza, entrambe ispirate al disegno
delle tradizionali porte giapponesi di carta
di riso. Il solido volume in frassino della ma-
dia è alleggerito dalle ante vetrate scorre-
voli alle quali sono applicati listelli di legno
a creare un motivo reticolare.
Materiali / Materials
legno massello di frassino, vetro /
solid ash wood, glass
Finiture / Finishes
bronzato, trasparente /
bronzed, transparent
Dimensioni / Dimensions
W 120 x D 50 x H 160 cm
The Wallover® system of storage units
by Caccaro reinterprets the traditional
sideboard by working on the idea of rhythm
and proportion in relation to space. The
elements in the programme, that come in
various sizes, can be installed freely either
vertically or horizontally to create a wide
range of configurations: full-height, dou-
ble-sided columns placed in the centre of
the room, accessorised walls, bookcases
and bedroom storage.
Caccaro
www.caccaro.com
Chiara Andreatti’s preference for natural
rawmaterialsandcraftsmanshipareevident
in the Sen 886 cupboard that the designer
has come up with for Potocco. Sen is a fam-
ily of storage units that, in addition to this
cupboard, also includes a sideboard, both
inspired by the design of traditional Japa-
nese doors in rice-paper. The solid volume
in ash of the cupboard is made lighter in
appearance by the sliding glass doors to
which strips of ash wood have been applied
to create an attractive latticed pattern.
Potocco
www.potocco.it
Sistemi e complementi / Systems and accessories RASSEGNA XLV
Formalia
Sistema modulare progettato da Vittore
Niolu per Scavolini, Formalia nasce per
essere trasversale agli ambienti cucina,
living e bagno. L’idea alla base è la scansio-
ne ritmica dello spazio che, nelle proposte
per il soggiorno, si integra nel Sistema Pa-
rete Status: una struttura modulare a gior-
no che può essere posizionata come base,
come elemento terminale o, ancora, come
divisorio all’interno della casa per separa-
re le diverse zone e che può essere acces-
soriato per organizzare lo spazio.
Materiali / Materials
PET riciclato, alluminio, vetro, legno laccato,
laminato / recycled PET, aluminium, glass,
lacquered wood, laminate
Finiture / Finishes
titanio, fumé, pioggia / titanium, smoked, rain
Dimensioni / Dimensions
W 141 x H 189 cm
Barista
Barista, il mobile bar progettato da Adria-
no Design per l’azienda veneta De Castel-
li, è un parallelepipedo dalle dimensioni
compatte e l’aspetto scultoreo, costituito
da una struttura di legno rivestita da un
canneté di tondini di rame naturale di dia-
metri diversi. L’apertura a libro è resa pos-
sibile dal disegno della sezione a V, che
permette alle due metà simmetriche di
combaciare. La parte superiore è un piano
in rame, posto in posizione leggermente
ribassata rispetto ai fianchi del volume.
Materiali / Materials
legno, tubolari di rame, acciaio inox, vetro /
wood, copper tube, stainless steel, glass
Finiture / Finishes
rame naturale, inox lucido /
natural copper, polished stainless steel
Dimensioni / Dimensions
W 57 x D 42 x H 42 cm
A modular system designed by Vittore
Niolu for Scavolini, Formalia was created
for use across kitchen, living and bathroom
spaces. The basic idea is the rhythmic ar-
ticulation of space that in the proposals for
the living room, is integrated into the Status
wall system: a modular, open-fronted struc-
ture that can be positioned as a base, an
end element or even as a partition within
the home to separate different areas and
can be accessorised to organise space.
Scavolini
www.scavolini.com
Contenitori / Storage units
Barista, a mobile bar designed byAdriano
Design for the Veneto based company De
Castelli, is a parallelepiped with compact
dimensions and sculptural appearence
that consists of a wooden frame clad in a
canneté of rods in natural copper of differ-
ent diameters. The book-style opening is
made possible by the design of theV-shaped
section that enables the two symmetrical
halves to line up. The upper part is a top in
copper, that is positioned at a slightly lower
level with respect to the sides.
De Castelli
www.decastelli.com
 XLVI RASSEGNA Sistemi e complementi / Systems and accessories
Complementi / Accessories
Truss
“Che cos’è la semplicità?”, si chiede Erwan
Bouroullec che, insieme al fratello Ronan,
ha lavorato alla serie Truss per Emeco. “È
una sorta di trasparenza, quando si rivela
la natura delle cose”. Il know-how w nella la-
vorazione dell’alluminio, che distingue il
marchio di Hanover, Pennsylvania, si tradu-
ce in questa collezione di tavoli multifunzio-
ne, panche e divani, caratterizzati da una
forma pura e da una costruzione classica,
e realizzati con materiali “onesti e sosteni-
bili”, per durare nel tempo.
Materiali / Materials
alluminio riciclato, legno di abete Douglas /
recycled aluminium, Douglas fir wood
Finiture / Finishes
grigio scuro / dark grey
Dimensioni / Dimensions
W 158 x D 46 x H 56 cm
“What is simplicity?” asks Erwin Bouroul-
lec who, together with his brother Ronan,
have worked on the Truss series for Emeco.
“It is a kind of transparency, when the nature
of things is revealed”. The skill in working
with aluminium that distinguishes the brand
from Hanover, Pennsylvania, is translated
in this collection into multi-functional tables,
benches and sofas, characterised by a pure
form and classic construction and made
from “honest and sustainable” materials
for enduring over time.
Emeco
www.emeco.net
Set
Architetto e designer americano, che
vive e lavora a New York, Marc Thorpe si è
cimentato per il brand francese La Manu-
facture nel disegno di un complemento
d’arredo molto specifico: il tavolino di ser-
vizio. “In origine era stato concepito per un
progetto di architettura, un appartamento
con una terrazza molto grande”, racconta
Thorpe. “Doveva essere in grado di essere
spostato velocemente tra gli ambienti in-
terni ed esterni”. Il risultato è Set, compatto
e facile da usare, composto da una strut-
tura metallica che descrive un grande arco
superiore, un elemento che dà riconosci-
bilità all’oggetto, servendo, al tempo stesso,
da pratica maniglia per il trasporto. Set è
un oggetto molto geometrico e dalle evi-
denti qualità grafiche che si esprime al
meglio nell’interazione fisica con gli utenti
e nel rapporto con lo spazio. La Manufactu-
re è un marchio nel quale moda e design
s’incontrano. Ha esordito nel dicembre 2019
con 14 pezzi firmati da designer internazio-
nali coinvolti dal direttore creativo Luca
Nichetto.
Materiali / Materials
metallo, pelle / metal, leather
Dimensioni / Dimensions
W 42 x D 45 x H 121 cm (piccolo / small)
W 42 x D 45 x H 66 cm (medio / medium)
W 74 x D 77 x H 69 cm (grande / large)
Lilas
Declinata al femminile come tutti i pezzi
proposti da Gallotti&Radice, Lilas (nome
che ha una radice indiana, che significa
‘grazia’ e ‘fascino’) ha ispirato a Marzia e
Leonardo Dainelli, dello studio omonimo,
questa collezione di sedute dalle propor-
zioni generose e dalla forte presenza sce-
nica. Come un arcipelago di isole, la poltron-
cina, la sedia e ora anche la panca della
famiglia Lilas hanno un aspetto indipenden-
te, quasi scultoreo, che convince anche
guardando un elemento singolo.
Materiali / Materials
poliuretano espanso e fibra poliestere,
legno / non-deformable expanded
polyurethane and polyester fibre, wood
Finiture / Finishes
tessuto, pelle / fabric, leather
Dimensioni / Dimensions
W 120/140/160 x D 48 x H 44 cm
domus 1064 Gennaio January 2022
An American architect and designer who
lives and works in New York, Marc Thorpe
worked with French brand La Manufacture
to create a very specific decor accessory:
a service table. “Originally it was conceived
for an architectural project, an apartment
with a very large terrace” says Thorpe. “It
had to be able to be moved swiftly between
the indoor and outdoor spaces of the house”.
The result was Set, compact and easy to
use, made up of a metal structure that out-
lines a large upper arc, an element that gives
character to the object and at the same
time serves as a practical handle for trans-
port. Set is a very geometric object that has
evident graphic qualities and is best ex-
pressed in the physical interaction with
users and their relationship with space. La
Manufacture is a brand in which fashion
meets design. It was launched in December
2019 with 14 pieces by international design-
ers brought in by Luca Nichetto, art director
for the brand.
La Manufacture
www.lamanufacture-paris.fr
Declined in the feminine like all the pieces
proposed by Galotti&Radice, Lilas (a name
of Indian origin that means ‘grace’ and
‘charm’) inspired Marzia and Leonardo Da-
inelli, from the studio of the same name, to
come up with this range of chairs with gen-
erous proportions and a strong stage pres-
ence.Likean archipelagoof islands,thechair,
seat and now also the bench in the Lilas
collection have an independent, almost
sculptural appearance, that is convincing
even when looking at a single element.
Gallotti&Radice
www.gallottiradice.it
domus 1064 Gennaio January 2022
Karl Lagerfeld scommette sul lusso sostenibile
Può il lusso essere democratico?
Per Andrea Boschetti, direttore creativo
di The One Atelier, “il lusso può essere
un’opportunità. Può ridistribuire ricchezza”.
Esempi in cui il lusso è stato un volano per
la città ne abbiamo avuti parecchi, non
ultimo il recupero della Fondazione Prada
a Milano, che ha innescato un processo
cruciale di rigenerazione urbana nell’area in
cui si trova il museo.
Dev’essere letto in quest’ottica anche
il progetto delle Karl Lagerfeld Villas,
cinque magnifiche dimore che saranno
completate entro il 2023 a Marbella, in
Spagna, grazie alla sinergia tra il marchio
di moda e il developerr spagnolo Sierra
Blanca Estates, con il supporto di The One
Atelier che ha ideato il progetto e trasferito
in architettura il DNA dello stilista tedesco.
In sintonia con l’impegno etico di
Lagerfeld per l’ambiente, il complesso
sfrutta l’energia geotermica ed è stato
concepito per essere a emissioni zero.
“La compagnia immbobiliare che ha
sviluppato l’idea”, racconta Boschetti che
non dimentica il suo background di progetti
di riqualificazione urbana con un ritorno
pubblico importante, “ha rinunciato
a parte della volumetria a vantaggio di
un percorso pedonale pubblico e creerà
un tassello di forestazione, impiantando
nell’area molti alberi”.
Lontani dall’idea comune di opulenza, i
materiali usati sono stati scelti per dare
continuità alla passione di Lagerfeld per i
contrasti e per la rifrazione della luce: per
le pavimentazioni esterne è stato usato
un terrazzo dai forti contrasti cromatici,
nei rivestimenti di facciata, invece, si è
scelta una speciale ceramica specchiante
che, con cornici di legni rigorosamente
sostenibili, crea un interessante gioco
di riflessi, in una dialettica aperta tra
architettura e il paesaggio.
“Concepisco il lusso solo così. Credo che
oggi il lusso significhi tempo e qualità della
vita”, prosegue Boschetti. In un mondo che
va verso una rigenerazione il più possibile
ecologica delle nostre città, anche il
lusso si muove nella stessa direzione,
abbracciando i principi della sostenibilità
ambientale.
In questa pagina: tutte diverse, le cinque
residenze del complesso Karl Lagerfeld
Villas rivelano la natura sensibile e ricca
di contrasti dello stilista tedesco. Ogni
unità abitativa ha un diverso orientamento
per entrare in dialogo con il paesaggio
circostante incorniciando, nei diversi
momenti della giornata, le viste più
suggestive verso il mare, da un lato, e,
dall’altro, verso la Cordillera Penibetica
Sistemi e complementi / Systems and accessories RASSEGNA XLVII
• This page: all unique, the five residences
of the Karl Lagerfeld Villas reveal the
German fashion designer’s sensitive
nature full of contrasts. Each residential
unit faces a different direction of the
surrounding landscape that offers
spectacular views of the sea, on the one
side, and the Cordillera Penibetica, on the
other, at different times of the day
Testo /Text Giulia Guzzini
Karl Lagerfeld bets on
sustainable luxury
Can luxury be democratic? ForAndrea
Boschetti,creative directorof The One Atelier,
“luxurycan bean opportunity.It can redistribute
wealth.” There have been examples where
luxury has been a driving force for cities,as for
exapmple the renovation of the Fondazione
Prada in Milan,which triggered a pivotal
renewal process in the section of the city
where the museum is located.
The design for the Karl Lagerfeld Villas must
also be read from this perspective: five
luxury residences that will be completed
by 2023 in Marbella, Spain, thanks to the
synergy between the fashion house and
the Spanish developer Sierra Blanca
Estates, with the support of The One Atelier
who conceived the design and translated
the German fashion designer’s DNA into
architecture. In synch with Lagerfeld’s
efforts to safeguard the environment,
the compound takes advantage of
geothermic energy and was conceived to
be zero-emission. “The developers,” states
Boschetti who has not forgotten his own
background and experience in designs
involving urban repurposing with important
public results, “have given up a part of the
volumetry in favour of a public pedestrian
path and will create a green forested area,
by planting numerous trees.”
Far from the common notion of opulence,
all materials used are chosen as a
continuation of Lagerfeld’s passion for
contrasts and refraction of light: for the
outdoor flooring a terrace has been
Lusso / Luxury
installed with boldly clashing colours,
while for the façade a special reflective
ceramic was chosen that, with totally
sustainable wooden frames, creates an
interesting mirroring game, in an open
dialectic between the architecture and
the landscape. “This is the only way I
understand luxury. I believe that today it
means time and quality of life,” continues
Boschetti. In a world that is heading toward
the most ecological way of regenerating
our cities, luxury is also moving in this
direction, embracing the principles of
environmental sustainability.
XLVIII DIARIO
Marziani / Martians Incontri fuori dall’ordinario / Out of the ordinary encounters
Geminello Alvi
Testo /Text Walter Mariotti
Viaggiatore, antichista,
economista, Geminello Alvi
è nato ad Ancona nel 1955,
ha lavorato per Banca dei
Regolamenti internazionali
a Basilea e la Banca
d’Italia a Roma. È stato
membro del consiglio di
amministrazione dell’ACEA,
del Consiglio degli esperti
del ministero delle Finanze,
della Fondazione Mattei
dell’ENI, del Comitato
scientifico della rivista Limes.
• A traveller, antiquarian
and economist, Geminello Alvi
was born in Ancona in 1955;
he worked for the Bank for
International Settlements in
Basel and the Banca d’Italia in
Rome. He was a member of the
board of directors of ACEA,
of the Council of Experts of
the Ministry of Finance, of ENI’s
Fondazione Mattei and
the Scientific Committee
of the review Limes.
Photo Giulia Candussi / Corbis via Getty Images
In giorni dove l’economia si vuole ormai teologia “e tutto
confonde nella grevità che veste il creato e l’uomo
di un utile inutile”, ha scritto un libro impossibile dove
evoca la città dell’evangelista Giovanni.
L’ultima del tempo, in cui però il tempo e lo spazio si
sovvertono in quell’Apocalisse che tanto sinistramente
pare l’attuale, piagato dal virus e dalla sovversione di
tutti i valori. Rovesciamento contrario a quello che Alvi
insegue da sempre, illuminando chi ha avuto la pazienza
di leggerlo e i fortunati che lo hanno incontrato, mentre
innesta le piante da frutto nell’entroterra marchigiano,
al mattino presto, dopo aver letto la Frankfurter
Allgemeine Zeitung. Anconetano con uso di mondo,
a suo agio nei rumorosi club della finanza d’oltreoceano
come nel silenzio della preghiera sufi, Alvi ci abitua
da sempre al redesign dei pensieri.
Fin dal primo virtuosismo, Le seduzioni economiche
di Faust, composto nelle pause dei bagni solitari sulle
spiagge di Ancona e dei giochi con gli aquiloni con
l’amico Manlio. Più che un libro, un percorso esoterico
che rivelava tutta l’inadeguatezza del pensiero
economico dominante, suggerendo la virtù di altre vie
e altri maestri abbandonati troppo in fretta: Sombart,
Polanyi, Veblen, Olivetti.
Era la prefigurazione de L’estremo occidente,
superba sinfonia dolente dell’innocenza perduta del
Novecento, composta con la polvere degli archivi della
Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea.
Dove un Paolo Baffi in esilio aveva chiamato il giovane
Alvi a condividere un destino di solitudine esistenziale.
Bambino precoce ed eterno fanciullo, svezzato dal
francese di una madre rimasta sola troppo presto,
l’esuberanza di uno zio che costruiva barche e il dialogo
del nonno coi seguaci del Martinismo, in 30 anni
di percorsi eccentrici Alvi ha spiegato come
l’architettura del capitalismo attuale sia il risultato
del compromesso tra la prepotenza statale, la mania
di spesa dei governanti e la vanità che spinge a
consumare beni inutili.
Così l’Occidente è indirizzato verso l’ideale cinese, un
percorso obbligato da cui solo le vite di uomini fuori dal
mondo possono salvarlo. Uomini a cui occorre chiedere
perdono, come ai padri, soprattutto in un luogo diverso
che è l’Italia, patria di un popolo senza patria e senza
nazione per cui, direbbe Leopardi, l’anormalità
è normale da sempre. Così, mentre parla al telefono con
le figlie ormai grandi e lontane, Alvi guarda all’ennesimo
giro di un viaggio sempre bizzarro e sempre inattuale,
che dalla Russia postcomunista l’ha riportato all’origine
dei popoli indoeuropei di Dumézil.
Continua a farlo parlando una lingua diversa da tutte
le altre, un susseguirsi d’immagini aforistiche che
mescolano citazioni, ricordi, pensieri, esperienze
riaccendendo la speranza nei cuori di chi l’ascolta per
un mondo migliore. Altro e parallelo, ma possibile.
Nelle sue giornate da astemio, dopo aver indugiato a
lungo nel judo e nell’aikido, Alvi ha raggiunto l’alloro di
maestro di systema, il metodo di combattimento che i
Cosacchi elaborarono contro i Mongoli e che solleva
chiunque vi si avventuri a stati di maggiore coscienza
spirituale. Come la lettura di Rudolph Steiner, che Alvi
frequenta da sempre.
Forse, per questo, ha rallentato gli spostamenti in quella
che spera diventi la Confederazione italiana, preferendo
l’entroterra di Iesi come porta d’accesso ai mondi
sovrasensibili. Qui è libero d’indagare le fasi della luna
e le matematiche non euclidee, preparando in tedesco
la colazione alla moglie Anna, che non ha mai smesso
di sorridergli.
domus 1064 Gennaio January 2022
• In a world where “economics is now passed off
as theology, and everything is confused in the
coarseness that drapes creation and humanity in
useless profit”, a few months back he published
an impossible book evoking the city of John the
Evangelist. It’s the last city in time, but where time and
space are subverted in that theological Apocalypse
that looks ominously like our present, plagued
by a virus and the subversion of all values. It’s an
inversion that runs counter to what Alvi has always
pursued. He illuminates those who have patiently
read his words, as well as the lucky ones who have
met him, while grafting plants in the hinterland of the
Marches region, early in the morning, after reading the
Frankfurter Allgemeine Zeitung. A worldly man from
Ancona, Alvi is just as at home in the bustling clubs
of overseas finance as he is in the silence of Sufi
prayer. He has always accustomed us to redesigning
our ways of thinking, ever since his first virtuoso
piece, Le seduzioni economiche di Faust, which was
written between solitary swims off the beaches of
Ancona and flying kites with his friend Manlio. More
than a book, it was a karmic path revealing all the
inadequacy of the prevailing economic thought,
while advocating the virtues of other avenues and
masters that had been too hastily set aside, such
as Sombart, Polanyi, Veblen and Olivetti. That book
set the stage for his L’estremo occidente, a superb
symphonic story of the 20th century’s lost innocence,
composed delving into the dusty archives of the Bank
for International Settlements, to which an exiled Paolo
Baffi had summoned the young Alvi to share a destiny
of existential loneliness. A precocious and eternal
child, weaned from the French of a mother who was
left alone too soon, growing up with an exuberant
boat-building uncle and a grandfather with Martinist
connections, in 30 years of eccentric reflections Alvi
has explained that the architecture of capitalism today
is the result of a compromise between overbearing
state action, the spending mania of the ruling classes,
and the vanity that compels us to consume useless
goods. The West thus drifts towards the Chinese ideal,
an obligatory course from which it can only be saved
by the lives of humans beyond this world.
And to whom we must seek forgiveness, as from
our fathers, especially in Italy, the abnormal land of
a people who have neither a homeland nor a nation.
And where abnormality has always been the norm,
to paraphrase Giacomo Leopardi.
Today, as he speaks on the phone with his grown-up
and far-off daughters, Alvi looks forward to the next
trip in his ever-extraordinary journey removed from
the present, ranging from post-communist Russia
to Dumézil’s Indo-European peoples. He continues
to do so speaking a language that is different from
all the others: a succession of aphoristic images
juxtaposing quotations, memories, thoughts and
experiences, rekindling hope for a better world in the
hearts of his readers. It is a different and parallel world,
but nonetheless possible. After lengthy forays into
judo and aikido, Alvi is now a master of Systema, the
Cossack martial art that leads its adepts to higher
states of spiritual awareness. Alvi has scaled back his
travels to Rome, preferring the hinterland of Iesi as a
portal to supersensible worlds. There, in the Marches
countryside, he is free to study the moon’s phases
and non-Euclidean mathematics, while making
breakfast in German for his wife Anna, who smiles
at him now as always.
WE ARE MAKING
GREEN BUILDING
POSSIBLE.
THIS IS HOW.

Striatus: designed by Block Research Group and Zaha Hadid Architects, in collaboration with Incremental3D. Made possible by Holcim. ©naaro

LOW CARBON SMART CIRCULAR NEXT GENERATION

MATERIALS DESIGN ECONOMY TECHNOLOGIES

We offer the world’s first
global range of green
concrete – ECOPact – and
green cement – ECOPlanet.
LET’S BUILD
GREENER
With technologies like 3D
printing, we are reducing up
to 70% of material use.
LET’S BUILD
MORE WITH LESS
Today, we are recycling
50 million tons of material;
by 2030, we will double it.
LET’S BUILD
NEW FROM THE OLD
We are piloting breakthrough
technologies, like 30 carbon
capture, utilization
and storage projects.
LET’S BUILD
FOR NET ZERO

BUILDING PROGRESS
FOR PEOPLE AND THE PLANET.