Tessuti epiteliali
Rappresentano un gruppo di tessuti in cui le cellule sono molto a contatto tra di loro; quindi, tra loro c’è
scarsa matrice exracellulare e mancano di vascolarizzazione ma possiedono innervazione. Poggiano su
una struttura della membrana basale che mette in comunicazione i tessuti epiteliali con il tessuto
connettivo che permette alle cellule epiteliali di sopravvivere poiché permette il trasporto di nutrienti e
ossigeno.
• protezione fisica;
• scambio di sostanze (metabolicamente attivi, funzione tipica degli epiteli ghiandolari) fra
ambiente e tessuti;
• produzione di secrezioni specializzate e recezione sensoriale.
Derivazione embriologica
L’origine embriologica dei tessuti epiteliali dipende da dove ci troviamo, se considero ciò che è esterno
devo considerare la derivazione di tipo ectodermico; gli epiteli che vanno a costituire gli endoteli e i
mesoteli sono di origine mesodermica; mentre la maggioranza degli epiteli di tutte le cavità interne sono
di origine endodermica perché derivano dal tubo digerente primitivo da cui deriva l’apparato digerente
e respiratorio.
FOGLIETTO ECTODERMINCO: Cellule dell’epidermide e dei suoi annessi, epitelio delle fosse nasali,
epitelio della cornea e del cristallino, epitelio dell’orecchio interno, epitelio del vestibolo della cavita
orale, delle gengive, del palato duro e del terzo distale del canale anale, parenchima della ghiandola
parotidea, epitelio dell’adenoipofisi;
FOGLIETTO ENDODERMICO: epiteli che fanno parte delle tonache mucose (quelli che rivestono cavità
che comunicano con l’esterno). Epiteli dell’apparato respiratorio, di quello digerente, parte di quello
urinario, parte dell’apparato genitale femminile, cavità timpanica;
FOGLIETTO MESODERMICO: epiteli che rivestono le tonache seriose (quelli che rivestono cavità che
non comunicano con l’esterno). Epiteli che rivestono i vasi (endotelio), quello che ricopre le ovaie, parte
degli epiteli dell’apparato urinario e di quello genitale;
Epiteli di rivestimento
Composti da una serie di cellule che vanno a delimitare una cavità, e al disotto di questa troviamo il
tessuto connettivo.
I tessuti epiteliali hanno sempre una superficie libera, detta anche superfice apicale, hanno una
superficie basale che poggia sulla membrana basale, e hanno della specializzazione sulle superfici
laterali delle cellule che permettono di mantenere l’integrità dell’epitelio.
Superfici laterali:
Rappresentano il compartimento attraverso il quale le cellule epiteliali entrano in contatto tra di loro;
possiedono dei complessi giunzionali che sono formati da delle giunzioni occludenti, giunzioni ancoranti
e giunzioni comunicanti.
Poiché le cellule devono aderire alla membrana basale esistono dei complessi di adesione che
permettono questo ancoraggio con il tessuto connettivo sottostante.
Le adesioni meccaniche sono possibili grazie a molecole specifiche che sono le molecole di adesione
cellulare (CAM); sono delle proteine trans-membrana dove il dominio intracellulare mette in
comunicazione la proteina trans-membrana con il citoscheletro, mentre il domino extracellulare lega
un’altra molecola, uguale o diversa. Se l’ambiente extracellulare è rappresentato da un’altra cellula sarà
presente un legame tra le due porzioni extracellulare delle due molecole di adesione, mentre se
l’ambiente extracellulare è rappresentato da un tessuto in cui non sono presenti cellule ho dei sistemi
di ancoraggio molto differenti. È molto importante il dominio intracellulare ancorato con i filamenti di
actina perché tramite la formazione di queste giunzioni il citoscheletro di actina è in grado di posizionare
in maniera corretta tutti gli organelli citoplasmatici determinando sia il funzionamento della cellula ma
anche la sua polarità.
Autore: Martiri Alice, Angelici Sophie, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 2 di 14
ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO
Queste giunzioni le possiamo trovare in molti altri tessuti che non sono di origine epiteliale. [fine ripasso
della lezione precedente minuto 20 della lezione registrata].
Autore: Martiri Alice, Angelici Sophie, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 3 di 14
ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO
Questi sono:
Questi sistemi aderiscono alla membrana basale. Nella figura 1 individuammo il lume dell’organo con la
parte bianca e le frecce bianche indicano la membrana basale.
Nella parte costituita dalla cellula epiteliale abbiamo le proteine transmembrana della cellula epiteliale
e il glicocalice, quindi le glicoproteine che costituiscono il contorno della cellula epiteliale che prendono
contatto con le componenti del tessuto connettivale.
Autore: Martiri Alice, Angelici Sophie, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 4 di 14
ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO
● MICROVILLI - immobili
● STEREOCIGLIA O STEREOVILLI - immobili
● CIGLIA – mobili
Microvilli:
sono immobili e sono costituiti all’interno da filamenti di actina,
sono visibili negli epiteli intestinali dove costituiscono l’ORLETTO
STRIATO (nella figura 3 è la striscia indicata dalla freccia). Infatti,
non sono visibili singolarmente al microscopio ma solo come orletto
striato. Sono costituiti da espansione della membrana, quindi sopra
il microvillo ho il glicocalice che è visibile e sono delle espansioni
molto piccole (1-2 um), servono a costituire dei punti in cui la cellula
Figura 4: microvilli.
aumenta enormemente la superficie di contatto con l’ambiente
esterno. Grazie a questa tecnica la cellula è in grado di aumentare
enormemente la membrana della superficie libera.
Nella superficie interna abbiamo dei filamenti di actina che si sono formati dalla polimerizzazione di
sub-unità globulari; esistono molte strutture, come la villina, in grado di ancorare i filamenti di actina in
modo tale che rimanga una struttura definita e costante nel tempo, anche se possiede una estremità in
grado di polimerizzare una in grado di depolimerizzare.
Stereo ciglia:
estroflessioni della membrana plasmatica, identiche ai microvilli
strutturalmente ma molto più lunghi (fino a 30𝜇𝑚) sono sempre costituiti
da actina, sono immobili e si trovano a livello dell’epididimo. Sono delle
sedi in cui le cellule dell’epididimo sono in grado di aumentare la
superficie per favorire la maturazione degli spermatozoi. Nella figura 4 le
stereociglia sono individuate dai prolungamenti più chiari. Assomigliano
alle ciglia ma differiscono da esse perché contengono i filamenti di actina
Figura 5 e quindi sono immobili.
Ciglia:
presenti sulla superficie apicale di cellule epiteliali coinvolte nel movimento di muco sulla superficie
dell’epitelio stesso. Si vedono chiaramente in una sezione al microscopio ottico. Sonio mobili perché
sono costituite da microtubuli associati in una struttura 9+2, coppia di microtubuli centrali costituiti da
13 proto-filamenti e 9 coppie di microtubuli periferici legati alle dineine che è una delle due proteine
motrici che permette il movimento delle ciglia. Queste sono presenti negli epiteli dell’apparato
Autore: Martiri Alice, Angelici Sophie, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 5 di 14
ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO
respiratorio, dove sono fondamentali per rimuovere, attraverso un movimento dal basso verso l’alto,
dalle vie respiratorie il polviscolo atmosferico che può essere inalato durante la respirazione. Ogni ciglio
presenta una porzione libera ed una porzione infissa nella cellula, che comprende il corpuscolo basale,
da cui prende origine il filamento assile del ciglio (assonema).
● Il nucleo e i mitocondri si trovano vicino alla parte basale della cellula perché attraverso la
membrana basale arriva energia che serve per compiere tutte le funzioni tipiche del nucleo e dei
mitocondri.
● Gli organelli citoplasmatici che servono per la sintesi delle proteine o per la digestione delle
molecole che vengono inglobate dalla cellula si trovano nello spazio tra il nucleo e la parte
apicale della cellula.
Classificazione
La classificazione può seguire due criteri che devono però essere messi insieme:
● Guardare quanti strati compongono l’epitelio: cioè una volta individuata la membrana basale ed
il nucleo, quanti strati di cellule ci sono.
Possiamo identificare, quindi:
o l’epitelio monostratificato o semplice: costituiti da un unico strato di cellule che
poggiano tutte sulla membrana basale, esistono però epiteli che sembrano essere
formati da più strati ma in realtà sono costituti da uno strato solo, li definiamo
pseudostratificati;
o L’epitelio composto o pluristratificato: sono costituiti da due a più strati cellulari. In
questi epiteli solo le cellule dello starato più profondo sono poggiate alla membrana
basale.
● Guardare qual è la forma delle cellule che rivestono la cavità:
È ovvio che non si può utilizzare una sola classificazione ma la combinazione delle due, avremmo quindi
all’interno dell’organismo:
Figura 6
In linea di principio, per quanto riguarda gli epiteli composti, nel nostro organismo la stragrande
maggioranza è costituita da epiteli pavimentosi composti, mentre la percentuale di cubici e cilindrici
composti è molto bassa. Inoltre nel caso degli epiteli pluristratificati, per definire se siano pavimentosi,
cubici o cilindrici si guarda lo strato a diretto contatto con la superficie, lo strato basale è infatti sempre
costituito da cellule in attiva proliferazione che in genere hanno un aspetto cubico.
Dietro alla localizzazione degli epiteli nell’organismo c’è una logica. Abbiamo detto che gli epiteli sono
tessuti non vascolarizzati che quindi prendono il nutrimento dal connettivo sottostante attraverso la
membrana basale.
Se considero un epitelio semplice vedo che questo è molto sottile e anche relativamente fragile poiché
non ha grande possibilità di fare unione con le cellule vicino. Inoltre la fragilità sarà proporzionale alla
sottigliezza del lato che dà alla cellula vicina, infatti una cellula diventa meccanicamente più resistente
mano a mano che aumentano i contatti che si possono avere con la cellula adiacente. In assoluto quindi
Autore: Martiri Alice, Angelici Sophie, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 7 di 14
ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO
l’epiteli più fragile è il pavimentoso semplice. Questo epitelio diventa però molto utile in tutti quei
distretti anatomici dove sono necessari scambi tra quello che passa sopra e il tessuto connettivo. Questi
tessuti saranno quindi tipici delle zone dove la funzione di scambio è estremamente importante.
L’epitelio pluristratificato invece risulta più robusto poiché avendo tanti strati prima di rompere i legami
tra le cellule è necessario più tempo, proprio per questo non può essere usato per funzioni di
assorbimento o secrezione. Per la classificazione risulta quindi più facile capire qual è la funzione del
tessuto in cui ci troviamo, e attraverso questa determinare il tipo di epitelio.
1) Epitelio pavimentoso semplice: sottile e delicato facilita notevolmente gli scambi tra il lume e il
connettivo sottostante. È localizzato a livello degli alveoli polmonari (cavità dove arriva l’aria
che deve essere subito messa in condivisione con il letto vascolare per ossigenare i globuli
rossi). Lo trovo inoltre a livello dell’ansa di Henle dove inizia
la filtrazione del sangue, o anche dell’endotelio (epitelio di
origine mesodermica che riveste i vasi) il quale risulta lo
stesso per tutti i vasi. Lo troviamo inoltre nel mesotelio
(pleura, pericardio e peritoneo), la funzione non è legata al
trasporto di meboliti o sostanze gassose come nel caso
dell’endotelio ma alla riduzione dell’attrito.
Figura 7
3) Epitelio cilindrico semplice: meccanicamente ancora più resistente e molto rappresentato tra
gli epiteli semplici in quanto localizzato nella stragrande maggioranza dell’apparato digerente
(a partire dallo stomaco fino all’intestino retto). Le funzioni dell’epitelio cilindrico semplice
variano a seconda delle specializzazioni presenti sulla superficie libera delle cellule, è presente
nell’organismo umano in due differenti varianti:
o Epitelio cilindrico semplice non ciliato: è presente in particolare nei dotti escretori
delle ghiandole, a livello della mucosa gastrica ed intestinale.
o Epitelio cilindrico semplice ciliato: riveste le tube uterine e parte dell’utero e si ritrova
anche nell’apparato respiratorio a livello dei bronchioli.
Autore: Martiri Alice, Angelici Sophie, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 8 di 14
ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO
4) Epitelio cilindrico pseudostratificato: viene definito tale poiché i nuclei vengono visti ad altezze
diverse anche se in realtà tutte le cellule poggiano sulla membrana basale, tuttavia non tutte le
cellule raggiungono la superficie apicale. Se tutte le cellule poggiano sulla membrana basale, che
rappresenta il punto da cui parte l’epitelio, allora lo strato cellulare sarà
solo uno. Questo epitelio è tipico delle vie respiratorie (figura 8) e
normalmente risulta ciliato. Esiste poi un epitelio pseudostratificato con
stereociglia, tipico dell’epididimo.
5) Epiteli cubici e cilindrici stratificati: risultano piuttosto rari e seppure abbiano funzione
protettiva in minima parte fanno anche secrezione ed assorbimento. Possiamo trovarli a livello
dei dotti di ghiandole sudoripare oppure (nello specifico per i cilindrici) in punti di passaggio
tra epiteli stratificati ed epiteli semplici. Quando infatti osserviamo come varia l’epitelio di
rivestimento all’interno del tubo digerente,
osserviamo che per un certo periodo svolge funzione
protettiva mentre poi la funzione di secrezione deve
diventare prevalente (stomaco, intestino tenue e
crasso) per poi tornare a livello dell’intestino retto
con funzione protettiva. Nei punti di passaggio tra un
epitelio semplice e stratificato posso trovare quindi
delle zone di epitelio cilindrico composto, per Figura 10
esempio nel cardias (passaggio esofago-stomaco) o
nel passaggio tra intestino crasso e retto. Quindi il
cilindrico risulta tipico delle zone di passaggio tra
epiteli semplici e stratificati.
Autore: Martiri Alice, Angelici Sophie, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 9 di 14
ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO
6) Epitelio pavimentoso stratificato: in questo caso le cellule vanno da uno strato basale fin ad uno
strato superficiale. Questo epitelio è robusto e resiste dunque molto alle sollecitazioni
meccaniche, per questo lo trovo in tutte quelle zone dove devo fare un fenomeno di protezione,
che sono dunque a contatto con l’esterno. La grossa distinzione in questi epiteli è tra epiteli
cheratinizzati, per esempio l’epidermide e non cheratinizzati, come le mucose, per esempio
bocca, faringe, esofago, vagina e retto (corneificati e cheratinizzati sono analoghi). Quindi nel
caso dell’epidermide vediamo che l’ultimo strato è costituito da
cellule morte (squame cornee) in un processo di apoptosi
cellulare, mentre per gli epiteli non corneificati anche nell’ultimo
strato avremmo cellule vive. Quindi le cellule subiscono un
differenziamento progressivo partendo dagli strati superiori a
quelli più superficiali.
Vediamo qui una sezione di esofago: abbiamo uno strato basale
costituito da cellule in attiva proliferazione, in quanto parliamo di
epitelio sottoposto ad usura, infatti le cellule seppure non sono
morte desquamano e devono essere sostituite.
Figura 11
Esiste in due varianti:
o Epitelio pavimentoso pluristratificato non cheratinizzato: riveste la cavità orale, la
faringe, l’esofago, il tratto distale del retto, la vagina, il tratto distale dell’uretra e la
cornea.
o Epitelio squamoso pluristratificato cheratinizzato: costituisce l’epitelio di
rivestimento del corpo umano (epidermide). Questo epitelio si differenzia dal precedente
per la presenza sulla superficie dello stato corneo, costituito da cellule appiattite non
più vitali, caratterizzate dall’assenza di nucleo e di altri organelli cellulari. Le cellule dello
stato corneo appaiono ricche di componenti del citoscheletro, in particolare di cheratina.
All’epidermide sono associati una serie di annessi cutanei (ghiandole sudoripare, ghiandole sebacee,
ghiandole mammarie, follicoli piliferi e unghie).
Autore: Martiri Alice, Angelici Sophie, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 10 di 14
ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO
Strati dell’epidermide:
- Strato germinativo (Basale): le cellule appartenenti a questo strato prendono contatto con il
connettivo attraverso gli emidesmosomi. Questo strato provvede al ricambio degli epiteli
nonché alla proliferazione, passando attraverso i vari strati fino alla superficie libera
modificando la propria sintesi proteica nel processo di maturazione. In tutte le cellule sono poi
presenti i filamenti di cheratine (principalmente 5 e 14). Assieme allo strato spinoso costituisce
il cosiddetto strato Maplighiano.
i nuclei sono ovali, disposti perpendicolarmente alla membrana basale con nucleoli evidenti,
sono rilevabili spesso figure mitotiche che testimoniano l’elevata capacità proliferativa, non
avvengono mitosi al di fuori di questo strato (tranne in caso di tumore).
- Strato spinoso: presenta cellule più grandi e con un aumento dei filamenti di cheratina che
mantengono parzialmente attività proliferativa (specificatamente nello strato più a contatto con
quello basale); inoltre rappresenta di norma lo strato più spesso (4-10) A questo livello le cellule
sono unite fra loro solo da desmosomi non essendoci più connettivo. Proprio la presenza dei
filamenti di cheratina e dei desmosomi da alle cellule un aspetto spinoso. Mano a mano che dalla
porzione basale ci si muove verso lo strato granulare le cellule dello strato spinoso cominciano
ad evidenziare nel citoplasma dei corpi (multilammaleare o di Odland) che contengono
lamelle di natura lipidica, prevalentemente colesterolo, che verranno poi mantenute nella cellula
fino allo strato granuloso, mentre a livello dello strato lucido saranno rilasciate (qui danno
impermeabilità all’epidermide). Oltre ai granuli di Odland comincia ad essere sempre più
evidente la presenza di una struttura proteica che si trova subito al di sotto della membrana
plasmatica, costituita da una molecola che si chiama involucrina. Quando si ha la modificazione
delle cellule dallo stato basale a quello corneo (dove abbiamo cellule andate incontro ad
apoptosi) vediamo in quest’ultimo il mantenimento di una struttura estremamente rigida legata
dalla cheratina e da altre molecole che si trovano al di sotto della membrana. La lamella dello
strato corneo avrà quindi una funzione più protettiva.
- Strato granuloso: (1-6 starti) qui aumenta notevolmente la sintesi delle cheratine, già presenta
nello strato basale, che vengono però cambiate nella loro tipologia (2 e 9). A questo livello
vengono accumulate sotto forma di granuli di cheratoialina, i quali poi insieme alla filaggrina
vengono liberati a livello del citoplasma, qui vanno a costituire delle strutture rigide che
permettono di bloccare il passaggio di molecole dalla superficie esterna verso l’interno
dell’epidermide (barriera impermeabile). Nei granuli di cheratoialina inoltre è presente la
loricrina, proteina che va ad aggiungersi all’involucrina, prodotta nello strato spinoso, a
costituire l’involucro corneificato.
- Strato lucido: può essere presente o meno. In particolare è sempre presente in tutte le zone
dove le sollecitazioni meccaniche sono maggiormente presenti, quindi per esempio nel palmo
delle mani o nelle piante dei piedi; non sarà invece presente sulla cute del dorso delle mani,
dell’addome o del dorso. A questo livello avremmo che i granuli di cheratoialina e le molecole di
involucrina raggiungono la loro massima espressione per facilitare la successiva formazione
dello strato corneo. Normalmente le parti di epidermide che presentano lo strato lucido vengono
definite come cute spessa con spessore tra 400-1400 um (NB: quando parliamo di cute
intendiamo sia l’epidermide, l’epitelio di rivestimento e il connettivo sottostante). Al contrario
la cute sottile senza interposizione di strato lucido ha uno spessore variabile tra 75-150 um.
Autore: Martiri Alice, Angelici Sophie, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 11 di 14
ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO
- Strato corneo: questo strato è completamente privo di nuclei (ci sono cellule che si occupano di
“mangiare” il nucleo delle cellule che hanno fatto apoptosi). Qui viene a formarsi un involucro,
con le squame cornee superficiali, attraverso una serie di giunzioni intercellulari e per la
presenza di molecole lipidiche che si intermezzano tra le lamelle, in maniera da dare
impermeabilità al tessuto epiteliale. L’epidermide va incontro a desquamazione, legata al fatto
che si vanno a perdere quelli che sono i punti di contatto tra le lamelle cornee e le cellule dello
strato granuloso; sono quindi espresse delle proteine che rompendo i legami permettono di
eliminare l’ultimo strato dell’epidermide. Le squame cornee, unite da desmosomi modificati, nei
piani superficilai si staccano grazie ad enzimi contenuti nei cheratinosomi, le squame cornee
vengono così perse continuamente dalla superficie e lo spessore dell’epidermide viene
mantenuto costante.
Le funzioni dello strato corneo sono diverse:
● Meccanismo di difesa: in primis nei
confronti delle infezioni da agenti
patogeni
● Regolazione termica Figura 13
Citomorfosi cornea
Il processo che induce al cambiamento della morfologia delle cellule epidermiche prende il nome di
citomorfosi cornea (rappresenta quindi il processo di differenziamento e apoptosi finale nel suo
complesso).
- Melanociti: situati a livello dello strato basale sono le cellule responsabili della produzione di
melanina (eumelanina: bruna o feomelanina: rossastra) in organelli che si formano
dall’apparato del Golgi, i premelanosomi. La melanina viene mantenuta all’interno di granuli
che si accumulano nei lunghi prolungamenti, per cui il corpo del melanocita si troverà a livello
dello strato basale mentre i suoi prolungamenti arriveranno fino a livello dello strato
spinoso/granuloso. La produzione della melanina è regolata dall’ormone melanina stimolante
(MSH) prodotto a livello della porzione intermedia dell’ipofisi. Una volta che i melanociti
producono i propri granuli di melanina possono cedere la colorazione ai cheratinociti in modo
quindi da colorare l’epidermide. La melanina si accumula negli stadi più avanzati dei
melanosomi che si spostano lungo i processi dentritici per mezzo di microtubuli e che vengono
trasferiti ai cheratinociti mediante un meccanismo di secrezione citocrina. La quantità e le
caratteristiche dei granuli sono dipendenti dalla razza. I melanociti sono presenti
nell’epidermide ad una densità media pari a circa 500-1000melanociti/mm2
Autore: Martiri Alice, Angelici Sophie, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 12 di 14
ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO
- Cellule di Langerhans: situati a livello dello strato spinoso appartengono al sistema monocito-
macrofagico quindi presentano elevata attività fagocitaria, sono infatti i responsabili della
rimozione del nucleo dei cheratinociti dello strato corneo. Inoltre, rappresentano una prima
difesa in caso qualcosa entri attraverso la barriera epiteliale. Non presentano desmosomi ma
sono unite fra di loro e ai cheratinociti circostanti attraverso molecole di adesione E-caderina.
La loro ultrastruttura è caratterizzata da un nucleo irregolare, numerosi lisosomi e i cosiddetti
granuli di Birbeck.
- Cellule di Merkel: (diametro di10𝜇𝑚) situati a livello dello strato basale la loro attività e
sensitiva, sono infatti dei propriocettori (sensori cutanei). Si trovano unite ai cheratinociti
mediante desmosomi. In seguito a stimoli di tipo meccanico, le cellule di Markel rilasciano ioni
calcio inducendo il rilascio di neurotrasmettitori, i quali stimolano la porzione distale della fibra
nervosa sensitiva.
Autore: Martiri Alice, Angelici Sophie, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 13 di 14
ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO
- Apparato urinario: nel rene abbiamo tutti i tipi di epitelio semplici; a livello del bacinetto
renale inizia epitelio di transizione che arriva fino alla vescica e al primo tratto dell’uretra
passando per gli ureteri; poi diventa epitelio cilindrico
- Apparato respiratorio: a livello del naso, della rino-faringe, della laringe e della trachea
pseudostratificato ciliato; nei bronchi è cubico ciliato; diventa poi cubico semplice; a livello
degli alveoli polmonari è pavimentoso semplice.
- Apparato digerente: epitelio pavimentoso pluristratificato parzialmente corneificato a
livello della bocca; epitelio pavimentoso pluristratificato non corneificato per oro-faringe ed
esofago; a livello del cardias, dello stomaco e dell’intestino tenue e crasso è cilindrico
semplice; epitelio pavimentoso pluristratificato non corneificato nel resto fino all’apertura
anale dove è invece corneificato
- TONACA MUCOSA: epitelio + connettivo che rivestono una cavità che comunica con l’esterno
- TONACA SIEROSA: epitelio + connettivo che rivestono una cavità che comunica con l’interno
- TONACA O LAMINA PROPRIA: solo il tessuto connettivo che rivesta una cavità
Autore: Martiri Alice, Angelici Sophie, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 14 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
ISTOLOGIA II
“EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO”
ID lezione IST02 Modulo Istologia II
Oggi ci occupiamo degli epiteli ghiandolari. Normalmente noi con il termine di ghiandole intendiamo
organi specializzati nella produzione e fuoriuscita (secrezione) di sostanze che svolgono una varietà di
funzioni biologiche all’interno del nostro organismo.
Il meccanismo di secrezione è un meccanismo attivo da parte delle cellule e va completamente separato
dal meccanismo dell’escrezione, cioè la produzione da parte delle cellule dei prodotti del catabolismo.
Quando parliamo di secrezione parliamo, per quello che riguarda la maggior parte del prodotto
secretivo (proteine), di un percorso che parte dalla fuoriuscita di un mRNA dal nucleo, dalla sua
traduzione sui ribosomi che sono adesi al RE, transito attraverso l’apparato del Golgi e poi la fuoriuscita
delle molecole attraverso il meccanismo dell’esocitosi, differenziato a seconda del tipo cellulare.
La secrezione può essere di due tipi
• Costitutiva: il rilascio delle molecole avviene man mano che queste si formano, non c’è
accumulo del prodotto di secrezione
• Regolata o discontinua: il prodotto di secrezione viene accumulato sotto forma di vescicole e
va incontro a secrezione solamente con l’arrivo di uno stimolo (natura ormonale, termica,
meccanica), il quale fa fondere le vescicole con la membrana plasmatica e il contenuto viene
riversato all’esterno
• Esocrine: il secreto viene riversato all’interno di un organo cavo o all’esterno del nostro
organismo; l’azione di queste ghiandole è locale, limitata alla zona dove il prodotto arriva. Tutte
le ghiandole esocrine sono epiteliali.
• Endocrine: il secreto, detto ormone, viene riversato nel torrente circolatorio e così influenza
altre cellule, dette bersaglio, regolandone la proliferazione, l’apoptosi, il differenziamento e la
funzione. l’azione dei secreti può avvenire anche a notevole distanza dal punto di secrezione
ed avviene grazie alla presenza di recettori specifici sulle cellule del nostro organismo che
riconoscono questi secreti. Le ghiandole endocrine non sono tutte epiteliali, ad esempio vi sono
le connettivali (nelle gonadi) o alcuni neuro-ormoni sono secreti dai neuroni dell’ipotalamo
Le ghiandole esocrine ed endocrine di origine epiteliale hanno uno sviluppo del tutto sovrapponibile. Lo
sviluppo avviene grazie ad un differenziamento delle cellule dell’epitelio di rivestimento, le quali
proliferano sempre più verso l’interno del tessuto connettivo sottostante fino ad arrivare a una
situazione in cui distinguiamo una porzione secretoria e una porzione che va a costituire il dotto
escretore, il quale permette la fuoriuscita del secreto.
Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 1 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
Nel caso in cui la ghiandola debba diventare endocrina, lo stelo, la zona di contatto tra porzione
secretrice e epitelio di rivestimento degenera, viene perso (apoptosi) e mi rimane solo la porzione
secernente, la quale viene circondata da tessuto connettivo e capillari.
EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
Le ghiandole esocrine vengono così definite poiché il loro secreto viene rilasciato all’interno degli organi
oppure verso l’esterno. La cellula esocrina si affaccia direttamente sulla superficie su viene riversato il
secreto; queste formano dei gruppi di cellule secernenti
esercenti chiamati adenomeri connessi tramite un canale
(dove viene riversato il secreto) ovvero il dotto escretore. La classificazione delle ghiandole esocrine
può essere fatta basandoci sulla morfologia e sulla funzionalità. Le due classificazioni vengono unite per
dare maggiore specificità alle ghiandole.
Classificazione morfologica
• N° cellule: uni o pluricellulare
• Sede: Intra o extraparietale
1. Cellule caliciformi
2. Superfici secernenti
3. Ghiandole esocrine propriamente dette
1| CELLULE CALICIFORMI solo le uniche cellule esocrine isolate, hanno una forma cilindrica o a calice.
Troviamo questa ghiandola intercalata tra le cellule dell’epitelio di rivestimento di molte tonache
mucose, come intestino e vie respiratorio (es. laringe e trachea). Questa ghiandola è una ghiandola
caliciforme mucipara (ha una forma a calice e produce una sostanza chiamata muco).
• Stroma: parte di superficie libera su cui si affaccia la teca e da cui avviene l’esocitosi del secreto
• Stelo intermedio: in sui intravede un nucleo allungato e un apparato di Golgi esteso, questo
perché il secreto di queste cellule (ovvero la mucina) è prevalentemente composto da
glicoproteine assemblate nel Golgi.
• Piede o parte profonda: inserito sulla MB (membrana basale)
La cellula o ghiandola caliciforme mucipare secerne la mucina (miscela GP e GAG), queste glicoproteine
che la vanno a formare interagiscono con l’acqua formando il muco (liquido viscoso).
Il muco ha svariate funzioni:
Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 2 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
Processo di secrezione:
Spesso le cellule caliciformi mucipare vanno a costituire delle vere e proprie superfici secernenti e sono
in realtà considerate un compromesso tra un epitelio di rivestimento e un epitelio ghiandolare, perché
il rivestimento di una particolare cavità è costituito da questa lamina ghiandolare.
Oltre alle cellule caliciformi mucipare, vi sono anche le cellule cilindriche mucipare: le prime
accumulano il secreto e poi lo riversano in seguito ad uno stimolo, le seconde eseguono una secrezione
continua e rivestono principalmente le tube uterine.
In alcuni casi sono proprio le cellule ghiandolari a fungere da epitelio di rivestimento, mentre in altri
casi c’è una sorta di continuità tra l’epitelio di rivestimento e queste cellule ghiandolari.
L’esempio classico di un epitelio secernente è quello che riveste la cavità dello stomaco.
Il rivestimento è costituito da un epitelio di rivestimento in continuità con le cellule che producono il
secreto. Il muco che viene prodotto ha un importante funzione protettiva nei confronti della mucosa
gastrica, è formato da glicoproteine neutre (non acide) e viene prodotto in grande quantità. Questo muco
evita che l’HCl dello stomaco causi danni, lesioni alla mucosa.
• Esoepiteliali: scendono al di sotto dell'epitelio e possono sprofondare fino alla tonaca propria
(ghiandole coriali) oppure fino alla tonaca sottomucosa (ghiandole sottomucose)
• Intraepiteliali: restano nello spessore dell’epitelio; sono rare, due esempi li ritroviamo
nell’uretra maschile e nell’epididimo
Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 3 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
Le cellule che costituiscono gli adenomeri sono strettamente associate tra di loro attraverso dei
complessi giunzionali; inoltre hanno un lume dove le cellule riverseranno il proprio secreto. Le cellule
confinano con il lume con la loro parte apicale, infatti sono cellule polarizzate per fare in modo che la
disposizione degli organelli sia funzionale e che l’apparato di Golgi sia rivolto verso la parte apicale.
Inoltre le cellule che costituiscono gli adenomeri sono legate attraverso gli emidesmosomi con il
connettivo circostante, lo stroma.
Nelle ghiandole salivari, nella ghiandola mammaria e nelle ghiandole sudoripare apocrine tra le cellule
degli adenomeri ritroviamo le cellule mioepiteliali, cellule che assomigliano molto alle muscolari lisce.
La loro attivazione, o meglio contrazione, favorisce la fuoriuscita del secreto favorendo la sua
progressione nel dotto escretore e infine verso la superficie libera.
CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA MORFOLOGIA DEGLI ADENOMERI
Gli adenomeri, ossia la porzione secernente della ghiandola, possono avere diverse forme
• ghiandole tubulari adenomeri con forma allungata e lume piccolo. I tubuli possono avere
andamento rettilineo o convoluto, in quest’ultimo caso si parla di ghiandole tubulari glomerulari
o a gomitolo (vedi ghiandola sudoripara). Esempio: ghiandole intestinali, lacrimali, sudoripare,
gastriche.
Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 4 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
• ghiandole alveolari: Forma sferica e lume molto ampio che comunica con il dotto escretore.
Esempio: ghiandola mammaria in allattamento.
Importante capire anche quanto è complesso il dotto escretore, o meglio quando le cellule secernenti
fanno fuoriuscire il secreto lo fanno attraverso un solo dotto escretore oppure più dotti escretori?
La distinzione è la seguente
• Ghiandole semplici: sono formate da un solo adenomero che riversa il secreto in un unico
dotto escretore
• Ghiandole ramificate: un unico dotto escretore raccoglie il secreto di più adenomeri
• Ghiandole composte: il dotto escretore principale si ramifica in condotti con calibro più piccolo
che terminano poi con gli adenomeri.
Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 5 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
Nello specifico le ghiandole con dotti escretori composti sono formate da:
I vari dotti escretori hanno un ruolo importante poiché contribuiscono alla formazione o elaborazione
del secreto. Per esempio:
i duttuli preterminali (in viola) nel pancreas => secernono bicarbonati, questi insieme agli enzimi
digestivi formano il succo pancreatico. Hanno un ruolo importante come sistema tampone nei confronti
del chimo proveniente dallo stomaco
i dotti intralobulari (in giallo) nelle ghiandole salivari => le cellule che compongono questi dotti sono
striate, da cui il nome dotti striati. Queste introflessioni della membrana plasmatica (delle cellule del
dotto) sono ricche di permeasi la cui funzione è pompare attivamente ioni e acqua dal citoplasma al
liquido interstiziale. L’acqua e gli ioni persi dalle cellule del dotto vengono recuperati dagli adenomeri
che secernono la saliva primaria.
Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 6 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 7 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
GHIANDOLE COMPOSTE
Le ghiandole composte sono le più complesse, possono
essere:
-TUBULARI
-ALVEOLARI
-ACINOSE
Sia le alveolari che le acinose possono essere complicate
dal fatto che all’interno della stessa ghiandola si possono
trovare delle porzioni che sono sia alveolari che tubulari
e parleremo di ghiandole TUBULO ALVEOLARI
COMPSOTE e TUBULO ACINOSO COMPOSTE
Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 8 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
-GHIANDOLA ACINOSA COMPOSTA= un esempio è la componente esocrina del pancreas (non riesco ad
indentificare vedi immagine a fianco, il lume dell’adenomero e per
questo è una ghiandola acinosa composta).
Il sistema duttale cioè il sistema di dotti che portano il prodotto della
secrezione verso l’esterno della ghiandola èmolto
olto complesso: le cellule
dell’adenomero (acino) mandano il secreto all’interno del dotto
escretore che saranno ramificati in dotti sempre più complessi che
in parte modificano anche il prodotto della secrezione fino ad
arrivare al dotto pancreatico principale che sarà responsabile della
fuoriuscita degli enzimi pancreatici con il dotto biliare.
Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 9 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
▪ eccrina= prevede la secrezione del solo secreto tramite un meccanismo di trasporto attivo ed è una
esocitosi di tipo costitutivo. La cellula di tali ghiandole non accumula il secreto nel citoplasma e a
livello molecolare, non osserviamo cambiamenti morfologici della cellula. Uno dei suoi ruolo più
importanti lo si riscontra nel mantenimento della temperatura corporea. Inoltre questo tipo di
secrezione si trova nelle ghiandole sudoripare che non sono associate al follicolo pelifero.
▪ merocrina= sono delle ghiandole che fanno un esocitosi di tipo regolato dove vengono accumulati
i prodotti di secrezione in dei granuli provenienti dal Golgi e poi questi espulsi in seguito a
stimolazione. Ne sono un esempio le ghiandole salivari e il pancreas esocrino.
Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 10 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
▪ olocrina= sono quelle che vanno in contro ad un fenomeno di apoptosi ed insieme al secreto viene
eliminata la ghiandola, la cellula che va in contro ad apoptosi viene rimpiazzata dalla presenza di
cellule staminali all’interno del lume dell’adenomero. Sono ghinadole di tipo olocrino le ghiandole
sebacee e le ghiandole di Meibomio che sono associate con le ciglia.
Un ruolo molto importante nella secrezione viene svolto dalle cellule mioepiteliali. Queste si trovano
nelle g. mammarie, salivari e sudoripare, precisamente tra dotti escretori e gli adenomeri di queste
ghiandole.
Le cellule mioepiteliali esprimono proteine citoscheltriche tipiche degli elementi contrattili come
l’actina e la miosina. Hanno una forma affusolata ed inoltre presentano dei fasci di filamenti contrattili
che sporgono e avvolgono l’adenomero e il dotto. Quando queste cellule si contraggono, spremono gli
adenomeri e i dotti ricchi di secreto, al fine di facilitare l’espulsione del secreto.
Ma cosa attiva e permette la contrazione delle cellule mioepiteliali?
▪ Meccanismo nervoso-parasimpatico => come nel caso delle g. salivari
▪ Meccanismo neuro- endocrino => come nel caso delle g. mammarie. Lo stimolo è dato dalla
suzione del capezzolo da parte del bambino che innesco un riflesso nervoso il quale porta alla
liberazione del neuro-ormone ossitocina; questa a sua volta agisce sulle cellule mioepiteliali che
contraendosi permettono la secrezione di latte.
Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 11 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
epitelio bistratificato. Il sudore è compsoto da una serie di ioni ma contiene anche delle piccole quantità
di ferro, zucchero e proteine.
▪ IDROSALINO: quindi la produzione di acqua associata a cloruro di sodio, ioni H + e ioni cloro.
Normalmente, ad esempio, per le ghiandole lacrimali (ghiandole acinose semplici) queste cellule
presentano delle particolari strutture che si chiamano infoldings (invaginazioni) all’interno delle
quali abbiamo la localizzazione di pompe ioniche che servono a pompare all’interno del dotto
escretore questi ioni. Ad esempio le ghiandole sudoripare eccrine producono sudore composto
principalmente da acqua, Na + e Cl-.
▪ LIPIDICO: è quello della ghiandola sebacea (acinose composte), il sebo è prevalentemente costituito
da trigliceridi e queste cellule secretando questi elementi di tipo lipidico avranno uno sviluppo del
REL nettamente superiore rispetto alle altre cellule.
▪ SIEROSO: prevalentemente proteico (enzimi) scarsamente o per nulla glicosilati; la natura di questo
secreto è prevalentemente fluida. Esempi: la parotide (una ghiandola salivare maggiore), la
componente esocrina del pancreas e una parte della sottomandibolare e della sottolinguale.
▪ MUCOSO: La componente mucosa è colorata in bianco, i nuclei sono alla periferia, la secrezione
mucosa è un secreto viscoso ed è legato ad una estesa glicosilazione delle glicoproteine e dei
proteoglicani che sono costituiti da zuccheri, le troviamo nelle cellule caliciformi mucipare, nelle
ghiandole sottolinguali e nell’epitelio dello stomaco. (nell’immagine sotto si in chiaro la componente
mucipare, mentre in viola la componente sierosa).
▪ MISTA, sia MUCOSO sia SIEROSO: sono tubulari acinose perché la componente mucosa necessita
di un lume più ampio per essere secreto, quindi il lume è quello di un adenomero tubulare, mentre
Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 12 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
la componente sierosa essendo una componente più fluida più essere immessa all’interno della
ghiandola anche tramite un epitelio piuttosto alto che quello caratteristico dell’adenomero di tipo
acinoso. (secrezione mucosa dipende dalla parte tubulare, mentre il sieroso viene prodotto dalla
componente acinosa).
Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 13 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO
viscosa mi creano un ostacolo fisico ad elementi tossici). A livello dell’apparato genitale femminile, sia a
livello delle tube uterine, sia nell’utero, svolge un ruolo fondamentale nella sopravvivenza dei gameti
subito dopo l’ovulazione e la fecondazione e favorisce l’impianto dell’embrione a livello dell’utero anche
andando a costituire una sorta di barriera per ridurre di immunosopressione durante il processo di
impianto.
Ci possono essere delle situazioni in cui l’adenomero è misto, infatti nelle ghiandole sottomandibolari e
sottolinguali sono delle ghiandole a secrezione mista cioè significa che producono sia siero che muco
che può essere fatta perché ho zone della ghiandola che hanno solo adenomeri sierosi e altre zone solo
mucosi e i due secreti si uniscono quando fuoriescono nel dotto escretore ma soprattutto nella
sottolinguale si indentificano degli adenomeri misti cioè degli adenomeri all’interno dei quali c’è la
coesistenza di cellule mucose e sierose; queste strutture prendono il nome di SEMILUNE
SEMILUME SIEROSE o
del GIANNUZZI e sono delle strutture cellulari sierose che si trovano inframmezzate rispetto alla
componente tubolare che secerne muco; secondo alcuni si trovano in una posizione più arretrata
rispetto alle mucose quindi butterebbero il loro secreto dentro le mucose poi portarlo nelle sierose,
mentre secondo altri si trovano giustapposte alle cellule che hanno una secrezione sieroso.
Il nucleo delle cellule mucose è un nucleo molto più appiattito e come da un punto di vista di colorazione
la presenza della componente proteica permette un’evidenziazione molto chiara della cellula.
Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 14 di 14
ISTOLOGIA II
“GHIANDOLE ENDOCRINE”
ID lezione IST03 Modulo Istologia
Data lezione 08 marzo 2021
Autore Lucia Maria Vitali e Tommaso Tentella
Lezione
Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima
tenuta da
Ghiandole endocrine; ormoni; cellule endocrine di natura connettivale,
Argomento
nervosa e muscolare
Eventuali
Slide proiettate a lezione
riferimenti
Ghiandole endocrine
Le ghiandole endocrine sono ghiandole che hanno la caratteristica di agire su cellule bersaglio specifiche
ed il meccanismo di azione viene normalmente definito un meccanismo di azione chiave serratura,
perché l’organo bersaglio ha dei recettori specifici nei confronti di quell’ormone.
Ci sono degli aspetti funzionali delle ghiandole endocrine che hanno anche una rilevanza dal punto di
vista della morfologia.
Tipo di trasmissione
Normalmente si
usa il termine
endocrino, ma
in realtà il
termine
endocrino andrebbe utilizzato solo quando consideriamo
delle sostanze che vengono liberate dalle ghiandole
all’interno del torrente circolatorio e attraverso questo
sistema vengono portate via via verso distretti periferici diversi sfruttando proprio il torrente
circolatorio. In realtà, il meccanismo chiave serratura può funzionare anche nelle immediate vicinanze
della cellula che ha prodotto l’ormone.
In questo caso, si parla di azione paracrina: la cellula produce una particolare sostanza la quale ha effetti
tramite un recettore su cellule localizzate non ad una grande distanza rispetto alla cellula che l’ha
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
prodotto e la trattiene nei fluidi interstiziali, ovvero nella matrice extracellulare. Quindi, non sfrutta il
torrente circolatorio, ma sfrutta i fluidi che si trovano tra una cellula e l’altro.
Esistono anche meccanismi di trasmissione di tipo autocrino: la cellula produce una sostanza che può
però essere percepita da un recettore localizzato in un’altra posizione e quindi favorire e “auto
convincersi” della attività che questa cellula deve fare. Riassumendo è quando la stessa cellula endocrina
è anche bersaglio dell’ormone prodotto, il quale interagisce con i suoi recettori in funzione della sua
concentrazione nel fluido interstiziale circostante.
Esistono anche meccanismi di attività simil-endocrina che vengono attuati da cellule di tipo nervoso
(cellule neuronali). Da un punto di vista endocrino, ci sono neuroni che con i loro prolungamenti
immettono nel torrente circolatorio sostanze che poi vengono percepite dalle cellule bersaglio, oppure
in realtà il meccanismo di liberazione e di comunicazione tra alcune cellule nervose può essere di per sé
considerato un meccanismo di regolazione di tipo endocrino, in quanto avremo un meccanismo di
riconoscimento chiave serratura.
Classi biochimiche: ormoni peptidici (formati da catene di amminoacidi), steroidei (derivati dal
colesterolo e aventi il gruppo policiclico) o amminici (ormoni tiroidei e catecolammine). Buona parte
degli ormoni appartiene o alla famiglia dei peptidi (piccole o grandi proteine), alcuni sono steroidei ed
altri ancora amminici (ormoni tiroidei e le catecolammine, prodotte dalla midollare del surrene).
Funzione: ormoni tropici o trofici sono in grado di modificare l’azione e la attività di altre ghiandole
endocrine regolandone le funzioni, ad esempio quelli prodotti dalla adenoipofisi; gli ormoni sessuali
sono ormoni di tipo steroideo prodotti in distretti differenti tra cui la parte corticale della ghiandola
surrenale e le ghiandole associate con le gonadi; ormoni anabolici sono ormoni come gli ormoni tiroidei
e le catecolammine in grado di modificare la attività basale della cellula favorendo la sintesi di molecole
più complesse.
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 2 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
Nel caso delle cellule della midollare del surrene che producono derivati
dell’ammina dette ammine biogene che si ottengono per decarbossilazione
degli amminoacidi. Si tratta di ormoni a basso peso molecolare e di natura
basica, questi non vengono accumulati sotto forma di vere e proprie vescicole,
ma di granuli secretori che si legano a particolari proteine acide di supporto
che sono le cromogranine. Le cromogranine permettono di essere
visualizzate una volta effettuata una visualizzazione al microscopio
elettronico, cellule di questa categoria compongono la midollare del surrene
che produce catecolammine, adrenalina e noradrenalina.
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 3 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
Gli ormoni peptidici agiscono attraverso un secondo messaggero. Il legame ligando-recettore porta a
una variazione della componente endocellulare della proteina
transmembrana. La componente endocellulare potrebbe
modificare la permeabilità della membrana cellulare ad alcuni
ioni o, più facilmente, si attiva un sistema di secondo
messaggero che, attraverso un meccanismo a cascata,
modifica l’attività endocellulare.
Gli ormoni amminici e cioè l’adrenalina e la noradrenalina, pur essendo ammine e molecole
estremamente piccole hanno un recettore di membrana. Hanno un numero elevato di recettori di
membrana con caratteristiche chimiche differenti: si chiamano recettori alfa adrenergici e beta
andrenergici. Mentre l’adrenalina è in grado di attivare e poter determinare un’azione a cascata
utilizzando tutti i tipi di recettori adrenergici alfa e beta presenti, la noradrenalina è sensibile ed è in
grado di poter attivare solo i recettori alfa e beta 1, quindi ha una capacità di azione più limitata rispetto
all’adrenalina. Adrenalina e noradrenalina hanno due funzioni antagoniste.
Gli ormoni steroidei, essendo lipofilici, hanno la capacità di attraversare direttamente il citoplasma
cellulare e di legarsi a un recettore che si trova all’interno del citoplasma, recettore che può essere
traslocato nel nucleo e attraverso questa traslocazione può stimolare (se ha una attività anabolizzante)
l’attività del DNA (quindi la duplicazione della cellula) o la sintesi proteica, modificando la attività finale
della cellula.
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 4 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
Gli ormoni tiroidei possono entrare direttamente all’interno del nucleo. Sono in grado di oltrepassare
non solo la membrana plasmatica, ma anche l’involucro nucleare.
L’azione degli ormoni tiroidei T3 e T4 avviene al livello di tutti i tipi
cellulari. Gli ormoni tiroidei possono potenziare i processi ossidativi
cellulari e quindi favorire la produzione di specifiche proteine della
cellula. Vanno a influire sul metabolismo basale di una cellula, ovvero la
capacità di utilizzo di energia della cellula durante le proprie funzioni
quindi questa azione può essere fatta dalla capacità di agire
direttamente al livello nucleare.
Regolazione ormonale
Non tutti gli ormoni hanno lo stesso tipo di regolazione. Il meccanismo degli ormoni viene definito a
feedback: il prodotto finale della produzione delle ghiandole ha una azione sulla sua produzione. Il
meccanismo di azione può essere un meccanismo di azione a feedback positivo o negativo.
Ghiandole endocrine
Così come per le ghiandole esocrine si potevano identificare ghiandole che svolgono la loro attività in
maniera isolata, analogamente per le ghiandole endocrine ci son cellule che sono in grado di svolgere
attività assimilabili ad attività endocrina o paracrina (attività selettiva nei confronti di cellule bersaglio).
Altre ghiandole endocrine sono propriamente dette e diventano dei veri e propri organi.
Le ghiandole endocrine isolate si trovano disperse in maniera singola all’interno di un altro tessuto
epiteliale, o di rivestimento o all’interno di altre ghiandole (spesso ghiandole di tipo endocrino e
esocrino) e vanno a costituire il sistema endocrino diffuso. Buona parte di queste ghiandole si trovano
disperse nell’apparato digerente, in quello respiratorio e delle vie urinarie. In questi apparati sono
responsabili della produzione di ormoni, polipeptidi o amminici, che svolgono un ruolo di regolazione
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 5 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
endocrina e/o paracrina della funzione degli organi di tali apparati. Siccome svolgono un ruolo
prevalentemente di regolazione endocrina o paracrina, fanno parte del sistema APUD (Amine Precursor
Uptake and Decarboxylation): le cellule di questo sistema hanno la caratteristica comune di assumere e
decarbossilare amminoacidi producendo ammine. Il sistema APUD serve all’apparato digerente ad
avere un meccanismo di controllo a feedback delle sostanze digestive che vengono prodotte da parte
delle cellule esocrine (ghiandole esocrine) presenti all’interno dell’apparato digerente.
Buona parte delle ghiandole endocrine isolate interagisce con l’apparato digerente, tranne le cellule T
che si trovano all’interno di una altra ghiandola endocrina che è la tiroide.
Un esempio di cellule endocrine isolate associate all’apparato digerente è rappresentato dalle cellule G.
Esse sono intercalate all’interno delle ghiandole tubulari semplici o tubulari
ramificate (che producono pepsina e HCl) al livello della mucosa gastrica.
Sono le ghiandole responsabili della produzione del succo gastrico. Quando il
pH dello stomaco è acido, in condizioni di digiuno, si ha una inibizione della
secrezione di gastrine. Nel momento in cui introduciamo cibo, il pH tende a
riportarsi verso valori di neutralità e questa variazione di pH stimola la
liberazione di gastrina, che diffonde per via paracrina e endocrina ed ha come
cellule bersaglio le cellule esocrine delle ghiandole gastriche, che vengono
indotte a liberare pepsinogeno e HCl. Questo porterà alla formazione di
pepsina e in seguito alla digestione del cibo ingerito.
Le ghiandole endocrine propriamente dette possono essere distinte in base alla morfologia con cui si
costituiscono.
• Sistema ipotalamo-ipofisi
• Epifisi
• Tiroide
• Paratiroidi
• Pancreas nella porzione endocrina
• Surreni-ghiandole surrenali
• Gonadi testicolo, ovaio
Di queste ghiandole endocrine, va sottolineato che non tutte sono di origine epiteliale. Sono di origine
nervosa il sistema ipotalamico e la neuroipofisi (ma non l’adenoipofisi. Sono di tipo connettivale le
ghiandole che si formano a livello testicolare.
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 6 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
Ci sono anche tessuti di natura completamente diversa che sono in grado si svolgere attività di tipo
endocrino. Si era partiti dall’idea che le ghiandole fossero di natura epiteliale, si era sicuramente arrivati
alla conclusione che le cellule nervose fossero in grado di svolgere attività endocrina e, dopo aver
identificato le cellule connettivali dell’apparato genitale maschile e femminile, ci si è resi conto che anche
il tessuto adiposo è in grado di svolgere attività endocrina. Anche tutti e 3 i tessuti muscolari
(cardiomiociti atriali-cellule del muscolo cardiaco-cellule muscolari lisce e cellule muscolari striate)
producono ormoni.
Ipofisi
L’ipofisi si trova alla base del cranio ed è alloggiata in una porzione dell’osso sfenoide che si chiama sella
turcica e si compone di due strutture istologicamente ed embriologicamente differenti: troviamo
l’adenoipofisi nella parte anteriore e la neuroipofisi nella parte posteriore. L’ipofisi risulta
strettamente collegata con la parte basale dell’encefalo, più esattamente con l’ipotalamo attraverso il
peduncolo ipofisario: attraverso questo peduncolo ipofisario si ha un sistema di comunicazione
vascolare con capillari tutti fenestrati (vasi che hanno delle aperture) per favorire il passaggio degli
ormoni e il controllo dell’attività della adenoipofisi da parte dell’ipotalamo. L’ipofisi secerne numerosi
ormoni che agiscono su organi specifici andando a modificare la attività di rilascio ormonale e la
secrezione delle ghiandole (poiché alcuni organi sono delle vere e proprie ghiandole). La funzione
dell’ipotalamo sarà quella di andare a regolare l’attività di secrezione endocrina da parte della ipofisi.
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 7 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
di scambio avviene in tutte le direzioni e permette di avere un controllo dell’ipotalamo sulla attività
dell’adenoipofisi.
Nell’adenoipofisi vi è uno stroma, componente connettivale che divide i vari lobi dell’ipofisi che porta la
vascolarizzazione e l’innervazione a livello dell’ipofisi e da un parenchima rappresentato dalle cellule
che secernono gli ormoni ipofisari. All’interno del
parenchima vi sono cellule cromofobe, ovvero cellule che
non tendono a colorarsi in maniera evidente e generalmente
sono cellule di tipo inattivo e cellule cromofile, le quali
attirano i coloranti che noi utilizziamo che si dividono in
cellule che tendono ad avere una colorazione più aranciata
(cellule acidofile) e cellule che nel citoplasma tendono ad
avere una colorazione più violacea (cellule basofile). Nel
complesso, l’adenoipofisi secerne 6 ormoni, tutti di origine proteica: 4 sono detti tropici perché agiscono
su altre ghiandole favorendone la funzione ormonale, 2 di questi vengono classificati come
gonadotropine (FSH e LH) e hanno come organo bersaglio la gonade maschile e la gonade femminile.
La diversa affinità per i coloranti, quindi la basofilia e l’acidofilia, è in realtà la risposta al fatto che le
cellule producono ormoni di tipo diverso. All’interno delle popolazioni cellulari dell’adenoipofisi
abbiamo cellule basofile che rappresentano circa il 30% e di questo 30% di cellule basofile si hanno
cellule corticotrope (che producono un ormone che va ad agire sulla corticale del surrene), cellule
tireotrope (che agiscono sulla tiroide) e gonadotrope (che secernono LH e FSH che vanno ad agire
sulle gonadi). La grande maggioranza delle cellule è rappresentata da cellule acidofile. Le cellule di tipo
acidofilo sono distinte nel gruppo di quelle che producono l’ormone della crescita GH o ormone
somatotropo e nelle cellule mammotrope e lattotrope che aumentano come numero in gravidanza e
producono la prolattina (PRL).
In ultrastruttura, se dal punto di vista della morfologia in microscopia ottica rientrano tutte nella
capacità di attrarre coloranti acidi (quindi essere colorate in maniera acidofila), sono diverse. L’ormone
della crescita agisce sule strutture muscolari e ossee regolando l’accrescimento. La prolattina stimola
invece il mantenimento della lattazione. Nel caso del GH, c’è un maggior accumulo di granuli di
dimensioni più piccole rispetto alle cellule che invece producono prolattina.
GH (50%)
L’ormone della crescita viene normalmente immesso nel circolo sanguigno in maniera pulsativa:
generalmente si ha un picco durante le prime ore di sonno e la sua azione è una azione indiretta, perché
essa si ha attraverso uno stimolo al livello epatico e una produzione di molecole (inizialmente
denominate come somatodine) chiamate attualmente fattori insulino simili (IGF1) L’IGF1 va poi a
stimolare l’attività proliferativa prevalentemente di una parte dei tessuti che intervengono
nell’accrescimento della lunghezza dell’osso o nell’accrescimento della massa muscolare . Ha anche una
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 8 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
azione diretta sul tessuto adiposo, perché è in grado di favorire la mobilizzazione dei grassi. L’attività
del rilascio del GH è influenzata da fattori di rilascio prodotti al livello ipotalamico.
PRL (20%)
La prolattina è l’altro ormone che viene prodotto dalle cellule acidofile e interviene nel meccanismo di
lattazione. In realtà, il meccanismo di lattazione è un meccanismo piuttosto complesso che comprende:
• la mammogenesi, ovvero la crescita della ghiandola mammaria che viene stimolata durante la
gravidanza dalla produzione di estrogeni e di progesterone. In questo caso, la prolattina regola
l’azione di progesterone e di estrogeni;
• la lattogenesi, ovvero la vera e propria stimolazione della produzione del latte. La stimolazione
da parte della prolattina è sempre presente, ma l’alto contenuto di estrogeni e progesterone fa
si che la lattazione venga inibita al momento del parto, si ha un brusco calo di estrogeni e
progestinici e ciò determina il fenomeno della lattogenesi;
• la galattopoiesi, ovvero continuazione della produzione del latte nella quale la PRL e anche
l’ossitocina sono fondamentali. La galattopoiesi è il periodo post parto che permette il
mantenimento della produzione di latte in relazione della stimolazione meccanica da parte del
neonato ad opera dell’ossitocina.
Le cellule di tipo basofilo producono l’ormone follicolostimolante (FSH) che stimola la maturazione
del follicolo ovarico nel sesso femminile e la spermatogenesi nel sesso maschile.
L’ormone luteinizzante (LH) permette la formazione del corpo luteo nell’ovaio una volta avuta
l’ovulazione; esso agisce anche a livello della spermatogenesi a livello dell’apparato genitale maschile.
Questa è l'azione delle gonadotropine, quindi stimolazione a livello delle cellule del follicolo,
stimolazione delle cellule del Sertoli; diversa invece l'azione del luteinizzante che va a favorire, nel sesso
maschile, da parte delle cellule della Leydig, la produzione di testosterone.
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 9 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
La parte posteriore dell’ipofisi, che abbiamo detto deriva dal neuroectoderma (quindi non
dall'ectoderma) è in realtà anche lei in grado di andare a produrre due sostanze che hanno un'azione
ormonale. In realtà la neuroipofisi di per sé non produce ormoni, ma diventa la sede di passaggio dei
prolungamenti di neuroni che si trovano alloggiati a livello dell’ipotalamo, che sono il nucleo sopraottico
e il nucleo paraventricolare. Questi neuroni sono adagiati a livello ipotalamico, hanno questo lungo
prolungamento assonale, quindi uno dei prolungamenti più lunghi che arriva a livello del sistema
vascolare e permette la fuoriuscita dei miei ormoni. Se io vado a guardare qual è la struttura vera e
propria della mia adenoipofisi, quindi oltre agli assoni della mia componente nervosa troverò delle altre
cellule che sono i pituiciti, che sono delle cellule che circondano i miei prolungamenti assonali, che
assomigliano e sono riconducibili a delle cellule della glia (le cellule della glia sono quelle cellule che noi
troveremo a livello del tessuto nervoso che svolgono un attività di supporto all'attività neuronale) e
troveremo anche in questo caso numerosi capillari fenestrati, che sono quelli che permettono la
fuoriuscita dei miei ormoni nel torrente circolatorio.
Questa è un'immagine in
ultrastruttura (di nuovo) che
mi fa vedere a livello
dell'ipotalamo quella che è la
mia cellula nervosa con i suoi
prolungamenti, il lungo
prolungamento assonale, la
presenza [ 46,14 AUDIO
INTERROTTO, suppongo: dei
miei pituiciti ...vuoto... e queste
dilatazioni ] che si chiamano
corpi di Herring, che sono
importanti perché sono quelli
che mi permettono di
mantenere un ormone, e poi
un fattore faciliterà il rilascio
dell’ormone. Questo invece
(corpo bianco sull’immagine
di destra) è il capillare fenestrato per la fuoriuscita degli ormoni della neuroipofisi.
Gli ormoni della neuroipofisi sono l’ormone antidiuretico ADH, che viene prodotto dal nucleo
sopraottico e che agisce a livello renale, più esattamente agisce a livello del tubulo contorto distale e dei
tubuli collettori del rene: va a controllare la diuresi e in maniera indiretta va ad agire su quella che è la
pressione sanguigna.
Invece il nucleo paraventricolare mi produce l’ossitocina, che è un ormone che ha avuto un enorme
sviluppo per quello che riguarda le conoscenze delle sue funzioni, perché questo ormone è in grado di
agire a livelli molto differenti; agisce sicuramente a livello delle cellule muscolari lisce dell'utero, agisce
sulle cellule muscolari lisce, sulle cellule che vanno a produrre il latte nella ghiandola mammaria
(l'avevamo detto prima: quando io devo andare a favorire l'assunzione del latte da parte del neonato
devo da un lato avere il latte, la produzione del latte all'interno dell’adenomero alveolare della mia
ghiandola mammaria, ma nello stesso tempo devo favorire la contrazione attraverso le cellule
mioepiteliali, che sono sull’adenomero della mia ghiandola mammaria). Inoltre, agisce anche come
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 10 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
neurotrasmettitore a livello del sistema nervoso centrale soprattutto in quelle aree del mio cervello che
controllano la socialità, l'aggressività e l'umore.
Tant'è che il ruolo dell'ossitocina è sicuramente un ruolo nel meccanismo della maternità: durante il
travaglio e il parto l’ossitocina stimola le fibre muscolari lisce del miometrio, quindi della parte
muscolare dell'utero, a contrarsi, favorendo così l'inizio e la prosecuzione del travaglio. Questo lo può
fare perché durante le ultime fasi della gravidanza le cellule muscolari lisce del miometrio diventano
particolarmente sensibili all'ossitocina e questa elevata sensibilità della cellula muscolare liscia
all’ossitocina è legata agli elevati livelli di estrogeni che sono presenti durante la gravidanza. Quindi un
elevato livello di estrogeni durante la gravidanza mi inibisce la produzione di latte da parte della
ghiandola mammaria, ma mi aumenta la sensibilità della muscolatura miometrica all’ossitocina. Al
momento del parto si ha uno stimolo nervoso da parte dell'ipotalamo che non fa altro che aumentare
ulteriormente la secrezione dell’ossitocina, e quindi l'aumento delle contrazioni, che diventano più forti
e ritmiche quindi si può avere l'espulsione del bambino. Dopo il parto la funzione dell'ossitocina non
viene completamente inibita, ma è responsabile della montata lattea: continuiamo a produrre
ossitocina, ma si abbassano i livelli di estrogeni e progestinici: l'abbassamento soprattutto dei livelli di
estrogeni mi da la facilità della montata lattea e questa viene mantenuta proprio per tutto il periodo
della lattazione. Nel suo complesso andando ad agire poi anche a livello del sistema nervoso centrale è
in grado anche di favorire quello che è il rapporto complessivo di amore che si ha tra la madre e il
bambino e questo avviene molto probabilmente anche attraverso il contatto e l’olfatto.
Gli effetti dell'ossitocina su altri distretti sono sicuramente il controllo della sessualità, dell'emotività e
della socialità. Oltre a essere, si sa, coinvolto in tutte le fasi della sessualità, viene considerato
normalmente l'ormone della felicità perché coinvolto in tutti i fenomeni in cui c'è necessità di
accoppiamento: addirittura ci sono studi che dimostrano come in parte la monogamia sia legata a una
variazione dei livelli di ossitocina; nel maschio per esempio l'elevato livello di ossitocina favorisce
l'instaurarsi della relazione con la compagna così come l'istinto parentale; questo è sicuramente vero
negli animali, non del tutto così studiato a livello dell'uomo.
Un altro aspetto interessante è che sicuramente l’ossitocina va ad agire in maniera benevola riducendo
i meccanismi di stress, di rabbia, rendendo le persone più tranquille, più serene, più fiduciose e appagate
ed è stato ampiamente dimostrato che ci sono cibi come la cioccolata, le ostriche, le fragole che
favoriscono la produzione di ossitocina e quindi vi rendono molto più sereni molto più tranquilli.
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 11 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
IPOTALAMO-IPOFISI
Questi sono gli ormoni stimolanti: quindi quello che stimola il rilascio dell’ormone da parte della
tiroide, i fattori che stimolano il rilascio delle gonadotropine, dell'ormone della crescita, della prolattina
e dell'ormone che agisce a livello delle ghiandole surrenali;
abbiamo poi un ormone inibitore della prolattina e un ormone, la somatostatina, che ha davvero
un’azione inibitoria sulla liberazione dell’ormone della crescita e dell'ormone che stimola la tiroide.
I pinealociti praticamente sono delle cellule neuro epiteliali, quindi sono delle cellule nervose che sono
in grado di andare a produrre degli ormoni: producono gli ormoni attraverso i loro prolungamenti, che
terminano con delle espansioni a bottoncino e che quindi fanno in modo di immettere l’ormone,
prodotto dall'epifisi, a livello del torrente circolatorio. Normalmente queste cellule si trovano
raggruppate in cluster e sono circondate da una componente nervosa e vascolare.
La funzione del pinealocita è quella di sintetizzare la melatonina, un ormone che viene sintetizzato in
relazione a ritmi di luce buio: quindi è quell’ormone che regola i ritmi circadiani; sincronizza l'orologio
biologico per i meccanismi di sonno, di veglia e interviene anche sul meccanismo di liberazione degli
ormoni da parte del nostro organismo. Ha un'azione anche a livello degli ormoni delle gonadotropine
che vengono prodotti a livello della adenoipofisi.
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 12 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
La funzione di questa ghiandola è la produzione ormonale, produzione che è molto attiva soprattutto
nei primi anni di vita: infatti i bambini dormono molto di più rispetto agli adulti; ha un fenomeno di
riduzione e di regressione dopo i 7 anni e, a mano a mano che va incontro a regressione, lo stroma della
mia ghiandola endocrina viene rivestito da depositi di granuli di fosfato e carbonato di calcio che
prendono il nome di sabbia pineale o epifisaria; questi sono importanti perché rendono questa
struttura identificabile a livello dei raggi X, e quindi può essere un punto di repere (i punti di
repere vengono utilizzati per localizzare una regione del corpo in maniera univoca), cioè un punto nel
quale riusciamo a identificare la sede della ghiandola e quindi le strutture che sono adiacenti.
TIROIDE
La tiroide è una ghiandola follicolare, l'unica ghiandola follicolare: significa che le cellule dell’epitelio si
fondono a formare delle strutture cave. Si trova posizionata nella regione anteriore del collo, più
esattamente a livello della laringe, ed ha una forma a farfalla perché ha due lobi laterali e una porzione
centrale più assottigliata.È costituita da due popolazioni di cellule differenti: delle cellule che vengono
definite follicolari e delle cellule para follicolari.
CELLULE FOLLICOLARI
Le cellule follicolari sono le responsabili della produzione degli ormoni tiroidei, che sono la
triiodiotironina (T3) e la tetraiodiotironina (T4, o tiroxina). Normalmente le mie cellule tiroidee
formano un precursore inattivo degli ormoni tiroidei, che viene definita tireoglobulina, sintetizzata da
parte del tireocita, cioè della cellula che circonda il follicolo; viene poi “buttata” all'interno del follicolo
ed è una forma nella quale i miei ormoni tiroidei sono presenti ma non sono biologicamente attivi.
Quindi le mie cellule del follicolo tiroideo funzionano, diciamo così, in due sensi: funzionano facilitando
l'ingresso dei miei ormoni all'interno del follicolo e poi, una volta stimolati dal TSH, non fanno altro che
endocitare la colloide, questa tireoglobulina, coniugarla e digerirla all'interno della propria cellula e farla
fuoriuscire dal lato opposto, dove abbiamo la componente vascolare, in maniera che si liberino così gli
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 13 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
ormoni T3 e T4: quindi è una cellula che ha una doppia funzionalità, può fare endocitosi ed esocitosi a
livello della superficie che riveste il follicolo, e a seconda del momento funzionale della stimolazione da
parte del TSH ovviamente avremo la liberazione o meno del degli ormoni tiroidei.
Questa è un'immagine che mi fa vedere il doppio processo: quindi l'ingresso attraverso la coniugazione
con lo iodio e la presenza della tireoglobulina e, sotto
stimolazione del TSH, la fuoriuscita, il recupero della
tireoglobulina e la formazione di T3 e T4.
CELLULE PARAFOLLICOLARI
Oltre alle cellule follicolari nella tiroide troviamo delle celle più grandi, disposte tra un follicolo e l'altro.
Questa (immagine in basso a destra della slide) era la
colloide che vedevamo prima, quindi la tireoglobulina,
queste sono le cellule para follicolari. Sono localizzate in
posizione più periferica e sono delle cellule endocrine
isolate perché sono responsabili della produzione della
calcitonina, un ormone che va ad agire a livello delle cellule
dell’osso e va a ridurre i livelli plasmatici di calcio, perché
va a inibire l'attività di riassorbimento del calcio da parte
delle cellule osteoclastiche, che sono le cellule responsabili
del riassorbimento osseo a livello di questo tessuto e di
conseguenza determina una riduzione dei livelli di calcio
nel sangue.
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 14 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
PARATIROIDI
La tiroide è questa ghiandola che vedete qui a forma di farfalla, ai poli della
ghiandola tiroidea ci sono quattro altre piccole ghiandole che si chiamano
paratiroidi.
PARATORMONE E CALCITONINA
L’azione del paratormone e l'azione della calcitonina sono due azioni antagoniste; la calcitonina va ad
agire inibendo l'attività di riassorbimento del calcio da parte dell’osso e quindi diminuisce anche
l'assorbimento intestinale, quindi va ad abbassare i livelli di calcio nel sangue. Invece il paratormone va
a stimolare il rilascio del calcio da parte dell'osso (vedremo che l'osso è il più grande deposito di ioni
calcio all'interno del nostro organismo), va ad aumentare l'assorbimento del calcio a livello intestinale,
quindi lo recupera dall'intestino e lo porta a livello ematico e quindi non fa altro che andare ad
aumentare i livelli del calcio nel sangue; questo porterà poi all'utilizzo del calcio in altri distretti.
Lo ione calcio è fondamentale in moltissimi processi del nostro organismo: dalla conduzione
dell'impulso nervoso alla contrazione muscolare, alla coagulazione del sangue.
PANCREAS ENDOCRINO
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 15 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
ISOLOTTO DI LANGERHANS
I recettori per l'insulina vi ricordo sono stati localizzati sulla membrana plasmatica e sono responsabili
sia delle risposte metaboliche veloci (che sono soprattutto quelle legate ai meccanismi energetici, quindi
all'utilizzo del glucosio), ma in realtà l'insulina può intervenire anche sui meccanismi di risposta più
lenta, più a lungo termine, che sono quelli che portano, per esempio, alla stimolazione di sintesi proteica
o alla stimolazione della proliferazione cellulare.
Questi meccanismi, soprattutto i secondi, sono soprattutto legati all'attività di molecole che sono
definite molecole insulino-simili, cioè che in realtà sfruttano la caratteristica della similitudine alla
molecola dell'insulina per favorire la proliferazione cellulare.
GHIANDOLA SURRENALE
L'ultima ghiandola cordonale è rappresentata dalla ghiandola surrenale: le ghiandole surrenali, in realtà
sono due, sono localizzate sulla parte superiore del rene e sono costituite da due porzioni, che sono una
porzione corticale o corticosurrene, che si trova più alla periferia, e una parte centrale, una parte
all'interno, che si chiama parte midollare. Le due parti sono diverse da un punto di vista composizionale,
sono diverse da un punto di vista morfologico e si trovano associate solo per una questione anatomica:
però sono completamente diverse.
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 16 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
-e una zona che si chiama zona reticolare, che è in vicinanza con la zona midollare.
La zona glomerulare, la zona fascicolata e la zona reticolare sono tutte e tre responsabili della
produzione di ormoni steroidei. La midollare del surrene invece ha un’origine neuroendocrina ed è
responsabile della formazione della produzione di adrenalina e noradrenalina.
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 17 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
Riassumendo..
Per andare a riassumere la zona glomerulare è regolata dal sistema renina-angiotensina e produce
l'aldosterone.
La zona reticolare è invece regolata dagli ormoni LH e ACTH, sempre prodotti dall’adenoipofisi, e vanno
a produrre un precursore degli ormoni sessuali.
La midollare del surrene è costituita da quelle cellule che prima avevamo chiamato cellule cromaffini
(perché hanno quei granuli che contengono le cromatogranine che si colorano intensamente con dei sali
di cromo); queste cellule hanno un citoplasma intensamente basofilo e producono noradrenalina e
adrenalina.
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 18 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
Abbiamo detto all'inizio che in realtà quando noi parliamo di ghiandole endocrine parliamo in realtà di
tessuti che non è detto che abbiano un’origine di tipo epiteliale. La stragrande maggioranza delle
ghiandole endocrine è in realtà di origine epiteliale, ma ci sono ghiandole endocrine che hanno una
natura nervosa. Queste in realtà le abbiamo viste perché le abbiamo inquadrate da un punto di vista
anatomico: avevo parlato della neuroipofisi, dell’ipofisi, dell'epifisi, semplicemente perché rimanendo
al livello del capo siamo scesi anatomicamente e abbiamo parlato della midollare del surrene, perché
ovviamente l'abbiamo inglobata all'interno della ghiandola da un punto di vista anatomico.
Esistono però tessuti che svolgono la funzione di tipo endocrino, che possono essere di origine
connettivale o di origine muscolare.
Per quello che riguarda le cellule di natura connettivale, queste sono le cosiddette cellule interstiziali
del testicolo, le cellule interstiziale dell'ovaio.
Le cellule interstiziali del testicolo sono fondamentalmente le cellule del Leydig: sono quelle cellule
che si trovano inframezzate tra i tubuli seminiferi e sono responsabili della produzione del testosterone;
queste cellule agiscono sotto attività stimolatoria dell’LH.
Le cellule interstiziali dell'ovaio e le cellule della teca interna, che sono sempre di origine connettivale,
sono invece quelle che producono estrogeni, mentre a livello del corpo luteo quelle della teca interna
andranno a produrre progestinici.
Sono cellule connettivali che producono ormoni anche gli adipociti, più esattamente gli adipociti
bianchi che sono in grado di andare a produrre un ormone che si chiama leptina, che ha come bersaglio
i centri nervosi che controllano l'appetito, e quindi è un ormone che induce un senso di sazietà.
Quindi in questo caso noi abbiamo cellule che acquisiscono attività di produzione ormonale che si
associano tra di loro e vanno a costituire delle vere e proprie ghiandole.
CELLULE DI LEYDIG
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 19 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE
Queste invece sono le cellule della teca interna del follicolo ooforo,
questo è l’antro del follicolo, questo lo strato della granulosa, quindi le
cellule iniziali che formano il vostro follicolo, questa è la membrana
basale, quindi questo è connettivo; teche interna ed esterna: anche qui
avete delle cellule piuttosto grandi, il loro citoplasma risulta
sufficientemente vacuolato e con delle aperture che sono proprio
quelle legate alla presenza della componente lipidica.
CORPO LUTEO
Il corpo luteo è quello che si formerà dopo il fenomeno dell’ovulazione; in realtà nella formazione del
mio corpo luteo, avrò sia delle cellule di natura epiteliale, quindi quelle che erano le cellule della
granulosa che mi diventano cellule in grado di produrre progestinici, sia cellule della parte connettivale,
quelle che erano la teca del mio follicolo, e queste andranno a produrre estrogeni.
Poi ci sono delle cellule di natura epiteliale che vanno a produrre la relaxina, che è importante perché
servirà per produrre delle modificazioni della mucosa uterina, soprattutto della cervice uterina, della
parte bassa del dell'utero, che quindi favorirà il parto, e mi servirà anche per lo sviluppo della ghiandola
mammaria durante la gravidanza.
Infine abbiamo le cellule di natura muscolare: tutte e tre le nostre famiglie di tessuti muscolari sono in
grado di produrre sostanze che svolgono un'attività di tipo endocrina: i cardiomiociti atriali sono in
grado di produrre quello che si chiama il peptide natriuretico atriale, più facilmente abbreviato in ANP,
che viene a essere prodotto nel momento in cui si ha la dilatazione dell'atrio ed è importante perché va
ad agire a livello dell'escrezione renale del sodio, e quindi va ad agire su quella che è la regolazione del
volume ematico e, di conseguenza, sulla pressione sanguigna.
Le cellule muscolari lisce che sono in grado di svolgere attività endocrina sono quelle che si trovano a
livello di un'arteriola a livello renale, si trovano in un sistema che è il sistema iuxtaglomerulare (cioè
vicino, nelle vicinanze del glomerulo) ed è un ormone che è in grado di percepire la pressione parziale
dell’ossigeno e quindi di andare regolare, attraverso il sistema renina-angiotensina, il sistema di
liberazione dell’aldosterone, e quindi andare ad agire anche al livello del riassorbimento dell'acqua a
livello renale, regolando la pressione arteriosa.
L'ultimo ormone che viene prodotto dalle cellule muscolari viene prodotto dalle cellule muscolari
striate e si chiama irisina: viene prodotto in grossa quantità durante le attività sportive ed è un ormone
che ha degli effetti su moltissimi altri tessuti: ha degli effetti sul tessuto osseo, quindi anche la massa
muscolare va ad agire su quello che è il tessuto osseo: va ad agire su un meccanismo che è il meccanismo
di rimodellamento osseo quindi agisce in quei meccanismi che sono i processi, per esempio, di
osteoporosi, poiché va ad agire su tutte le cellule del metabolismo osseo; va ad agire in realtà anche sulle
cellule del tessuto adiposo, quindi andando a favorire o meno il deposito di grassi da parte del tessuto
adiposo: anche in questo caso, indipendentemente dalla natura del tessuto, che sia muscolare liscio, che
sia muscolare cardiaco, che sia muscolare striato abbiamo la produzione di ormoni che possono agire a
livello paracrino ma più spesso a livello endocrino.
Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 20 di 20
ISTOLOGIA II
“TESSUTO CONNETTIVO”
ID lezione IST04 Modulo Istologia II
Data lezione 11 Marzo 2021
Autore Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz
Lezione
Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima
tenuta da
Argomento Tessuto connettivo.
Eventuali
Slide proiettate a lezione.
riferimenti
TESSUTI CONNETTIVI
I tessuti di tipo connettivale vengono raggruppati all’interno di questa classificazione per 2 motivi
fondamentali:
2. Sono costituiti da cellule che si trovano disperse all’interno di una matrice extracellulare; lo
spazio al di fuori della cellula è preponderante.
Tessuti connettivi vengono anche definiti tessuti trofoconnettivali in quanto appartengono a questa
famiglia anche il sangue e la linfa.
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
2 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
Sono distribuiti in tutto l’organismo e sono costituiti da diversi tipi di cellule disperse all’interno di
un’abbondante matrice extracellulare (ECM).
All’interno di un tessuto connettivo propriamente
detto troviamo: vasi sanguigni, vasi linfatici e nervi.
B. Mobili o non fisse: nascono in un altro distretto, viaggiano all’interno del torrente
circolatorio e possono risiedere transitoriamente nel tessuto connettivo dove possono
esplicare la loro funzione e poi o tornare nel sangue attraverso la linfa, o terminare la
loro vita nel tessuto connettivo e sono:
• Monociti
• Linfociti
• Plasmacellule
• Granulociti
Mentre le FISSE sono sempre presenti in un tessuto connettivo, le MOBILI possono essere
più o meno presnti in base alla funzione del tessuto connettivo.
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
3 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
Raggiunto un certo livello nella crescita del tessuto e della cellula, il fibroblasta arriverà ad uno stato di
quiescenza in cui perderà la sua capacità di sintesi e diventerà un fibroblasta a riposo: cellula più
piccola che riduce le sue componenti di sintesi e che però può riattivare in caso di necessaria sintesi
delle componenti della matrice extracellulare. Ad esempio, nel caso di una ferita o lesione, le cellule
vengono stimolate a proliferare e a sintetizzare la matrice, così la cellula quiescente può rientrare in
completa attività, sintetizzare ciò che è necessario e poi tornare in uno stato di quiescenza fino al
prossimo stimolo.
La forma del fibroblasto è variabile: stellata e appiattita con alcuni prolungamenti sottili fusiformi tanto
da farlo assomigliare al macrofago in alcuni distretti; fusiforme con estremità allungate in altri che è la
più frequente nella fase di inattività.
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
4 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
Grazie alla loro forma stellata ed alla presenza di prolungamenti, aderiscono alle fibre reticolari
costituendo una parete cellulare attraverso cui alcune cellule possono avere la giusta interazione tra
loro.
Sono abbondanti soprattutto negli organi linfoidi primari e secondari dove le cellule del sistema
immunitario devono collaborare tra loro per fornire la giusta risposta immunitaria all’organismo; a
questo livello è necessario che ci sia rete tridimensionale nella quale le cellule riescono ad essere
adese e aiutano le altre cellule a venire in contatto le une con le atre.
Le cellule reticolari svolgono funzioni importanti anche nel midollo osseo, dove stimolano
l’emopoiesi.
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
5 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
PERICITI: cellule la cui forma sembra somigliare a dei polipetti e che circondano i capillari.
MACROFAGI: cellule mononucleate del sistema immunitario primario, di dimensione notevole (10-
30 micrometri) con forma variabile in base alla loro fase funzionale (tondeggianti nel sangue ma poi
assumono dei prolungamenti nei tessuti connettivi).
Hanno un elevato sviluppo del RE e del Golgi e
un elevato numero di lisosomi per la loro attività fagocitaria.
I macrofagi sono raggruppati nella famiglia dei fagociti mononuncleati (MPS) a cui appartengono:
• Macrofagi tessutali;
• Macrofagi monociti derivati
• Monociti
• Cellule dendritiche
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
6 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
• macrofagi tessutali hanno un’origine embriologica molto precoce: derivano prima dal sacco
vitellino e poi dai fegato da cui derivano tutte le cellule del sangue.
Le prime cellule del sangue del tipo monocito-macrofagico in parte rimangono a livello del sacco
vitellino e in parte migrano in diversi distretti tessutali andando a costituire i macrofagi tessutali.
L’altra parte rimane all’interno delle strutture a costituire i monociti.
Nell’adulto si ha la possibilità di produrre monociti e cellule dendritiche a livello del midollo osseo
che diventerà la sede specifica della produzione delle cellule del sangue.
Funzioni Macrofagi
Hanno funzioni di monitoraggio, percependo la presenza di componenti dannosi ed attività
effettrici: eliminano le sostanze nocive mantenendo l’omeoastasi tessutale.
Hanno funzione:
• Fagocitaria (di cellule morte per apoptosi)
• Regolazione della risposta immunitaria
• Produzione di sostanze battericide (per questo appartengono alla famiglia di cellule del sistema
immunitario innato)
• Intervengono nel primo meccanismo di difesa dell’organismo che è quello infiammatorio
• Emopoiesi
FAGOCITOSI
I macrofagi fagocitano perché sulle loro superfici ci sono dei recettori in grado di riconoscere
segnali diversi: quindi in base al tipo di recettore i macrofagi hanno funzioni differenti. Esistono:
• I recettori per il mannosio e i recettori scavenger: usati per legare le molecole batteriche.
• I recettori per le opsonine: permettono l’opsonizzazione che è quel meccanismo per il quale
alcuni componenti a livello plasmatico (anticorpi, elementi del complemento) si legano sulla
superficie batterica, li circondano: così i batteri sono identificati dal macrofago che lo fagociterà.
• I recettori associati alle proteine G: modificano l’attività del macrofago.
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
7 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
• I toll-like receptor: riconoscono delle molecole presenti sui batteri e quando si ha il legame con
tali recettori si favorisce l’interazione tra l’attività fagocitaria (immunità aspecifica) con il sistema
immunitario innato mediato dall’attività dei linfociti B e T.
IMMONUMODULAZIONE
Per poter iniziare la fagocitosi si deve stimolare uno dei recettori sopra citati presenti sulla
membrana dei macrofagi. Inizialmente vengono attivati solo quelli tessutali poi, attraverso la
produzione di chemochine, vengono richiamati anche i macrofagi di derivazione monocitica che
lasciano il torrente circolatorio e vanno all’interno del t. connettivo dove il rilascio di diverse
molecole e di altre chemochine inducono la vasodilatazione, aumentano la temperatura e rilasciano
molecole batteriostatiche che stimolano la guarigione.
Quest’ultimo processo porterà sulla superficie del macrofago delle molecole che sono l’espressione
dell’avvenuta digestione di un elemento estraneo. L’espressione di tali molecole sulla superficie
della cellula fa si che i linfociti T siano in grado di riconoscere l’antigene e quindi di svolgere la loro
attività immunitaria. Quindi il processo di fagocitosi, che è il primo meccanismo di difesa attuato
dall’organismo, è una sorta di sveglia per il sistema immunitario.
Questa attività di APC viene svolta anche dalle cellule dendritiche che, soprattutto all’interno di
organi linfatici, mettono in comunicazione le cellule immunocompetenti tra loro.
I macrofagi possono essere distinti in due grandi popolazioni in equilibrio tra loro:
1. I macrofagi che promuovono la fagocitosi, quindi il processo di infiammazione
2. I macrofagi che riducono l’infiammazione.
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
8 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
migrazione e proliferazione dei fibroblasti ma, arriva un momento in cui tale processo deve
terminare.
Infatti il corretto processo di guarigione della ferita è caratterizzato dal corretto bilanciamento delle
due popolazioni macrofagiche all’interno del tessuto, che saranno quindi in una situazione di
equilibrio detta M0 e poi verranno, a seconda delle molecole attivate, spostate prima nella fase M1
e poi nella fase M2 per favorire la guarigione del tessuto.
MASTOCITI: cellule dell’immunità innata, simili ai granulociti basofili per morfologie e funzione.
Cellule prodotte dal sacco vitellino e dal fegato in fase embrionale.
Hanno un diametro di 20 micron e nel loro citoplasma hanno
dei granuli basofili contenenti istamina (vasodilatatore)
ed eparina (anticoagulante).
Presentano sulla superficie i recettori per le IgE e
sono responsabili della risposta allergica. Le IgE si legano
sulla superficie del mastocita e la porzione
transmembrana libera questi granuli che rilasciano
istamina che è il più potente mediatore del fenomeno
allergico insieme ai basofili.
Hanno anche altre attività come:
3) Riparazione delle ferite
4) protezione da batteri e virus
5) Interazione tra cellule muscolari e nervose
6) Regolazione delle risposte immunitarie di tipo acquisito.
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
9 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
LE CELLULE MOBILI
I MONOCITI
LE PLASMACELLULE sono l’ultimo stadio differenziativo dei linfociti B, sono di forma ovoidale e di
notevoli dimensioni.
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
10 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
• PROTEINE FIBROSE
Collagene
Elastina
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
11 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
I GAG, ad eccezione dell’acido ialuronico, sono in grado di formare legami con componenti
proteiche per costituire molecole di Proteoglicani.
I PG posseggono 1 carica negativa che consente il legame con ioni sodio (Na +) per così poter
attrarre nei tessuti una grande quantità di acqua che dona turgore al tessuto stesso.
Le funzioni dei proteoglicani sono di 2 tipi:
-contribuiscono ad organizzare in modo ordinato la ECM in seguito ad interazioni specifiche con
altri suoi componenti;
-regolano le funzioni cellulari intervenendo in vario modo sull’attività dei recettori cellulari.
[Digressione sulla capacità delle creme per il viso che contengono acido ialuronico di mantenere
elastica e tonica la pelle]
I GAG e i PG sono importanti modificatori della risposta biologica perché, grazie alle loro caratteristiche
di legame, sono capaci di:
-legare cationi;
-legare una serie di fattori di crescita e, di conseguenza, esporre le cellule a segnali che permettono loro
di svolgere al meglio la propria attività biologica.
-> Quindi il meccanismo di comunicazione all’interno del tessuto connettivo tra la componente cellulare
e quella extracellulare è mediato dalle caratteristiche chimiche dei Glicosamminoglicani e dei
Proteoglicani.
GLICOPROTEINE ADESIVE:
formati da una porzione proteica complessa a cui si
legano polisaccaridi ramificati.
Esse sono sintetizzate a partire dal RER, dove
subiscono glicosilazione, seguita da un’ulteriore
glicosilazione nell’Apparato del Golgi e infine
secrete all’esterno o immisse sulla superficie della
cellula.
[Commento tabella esplicazione delle differenze tra le Glicoproteine adesive e i Proteoglicani]
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
12 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
RICORDA: tutte le componenti della matrice extracellulare sono sintetizzate dai fibroblasti e sarà la
cellula stessa a modulare la produzione delle glicoproteine e degli elementi della matrice in maniera da
modificarne la struttura.
PROTEINE FIBROSE: sono rappresentate per la maggioranza dal collagene di cui ne sono stati
identificati almeno 28 tipi distinti; ogni tipo possiede una particolare localizzazione nell’organismo e
nella stessa è possibile la presenza contemporanea di più tipi della proteina.
Le diverse proprietà meccaniche e strutturali dei diversi tessuti dipendono in parte dalle differenti
miscele di collagene nelle fibre che li compongono.
1 Gli
epiteli devono collegarsi con il tessuto connettivo sottostante per poter ricevere nutrimento e poter effettuare
scambi di sostanze e ciò è possibile grazie alla formazione degli emidesmosomi che coinvolgono molecole del
connettivo quali la laminina.
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
13 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
L’osservazione al microscopio elettronico evidenzia che le fibre collagene sono costituite da subunità
filamentose chiamate fibrille collagene, il cui diametro va da un range di 15 ai 100 nm.
La fibrilla è una striatura trasversale che si ripete con un periodo di circa 67 nm. Una singola fibrilla è
costituita da tre catene polipeptidiche dette catene 𝜶, codificate da circa 43 geni. Queste catene si
associano a formare una struttura trimerica che può essere costituita da catene identiche
(omotrimeriche) o differenti (eterotrimeriche).
A seconda della modalità di associazione, potremmo avere, nella molecola di collagene, parti
tipicamente ad 𝛼-elica tripla associate ad elementi non elicoidali.
La tripla elica del collagene si forma a causa di un’abbondanza di glicina, prolina e idrossiprolina (in
particolare a causa dell’ingombro sterico dell’amminoacido Glicina). Sono quindi presenti nelle catene
𝛼 delle sequenze ripetute del tipo Gly-X-Y con X e Y solitamente prolina e idrossiprolina o talvolta lisina
e idrossilisina.
Nella formazione delle fibre di collagene, le triple eliche, grazie alla presenza di gruppi ossidrilici
dell’idrossiprolina/idrossilisina, interagiscono reciprocamente attraverso la formazione di legami a
idrogeno. Questi ponti formano dei legami crociati che stabilizzano le molecole di collagene portando
alla formazione delle fibre.
RICORDA: l’assemblaggio della fibra collagene avviene a partire da molecole di tropocollagene solo nel
momento in cui queste sono secrete al di fuori della cellula. NON PUÒ AVVENIRE ASSEMBLAGGIO DI
FIBRE COLLAGENE ALL’INTERNO DELLA CELLULA.
L’assemblaggio delle molecole di collagene avviene lateralmente in maniera sfalsata, lasciando degli
spazi che al microscopio elettronico, visti con particolari colorazioni, risultano essere vuoti.
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
14 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
15 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
COLLAGENE DI TIPO XI, presente a livello della cartilagine associato al collagene di tipo
II.
• Collageni associati alle fibrille (per l’interazione tra i collageni di maggiori dimensioni,
come il collagene I o II, e gli altri componenti della matrice extracellulare)
COLLAGENE DI TIPO IX;
COLLAGENE DI TIPO XII;
COLLAGENE DI TIPO XIV;
• Collageni che formano reti
COLLAGENE DI TIPO IV, presente nelle membrane basali;
COLLAGENE DI TIPO VII, presente sotto alle membrane basali.
2 Nel tessuto epiteliale ghiandolare endocrino ed esocrino la struttura è costituita da un parenchima, ossia la
cellula che svolge la funzione, e da uno stroma, ovvero un tessuto di supporto, vascolarizzato ed innervato. La
struttura sulla quale aderiscono le cellule per andare a formare gli adenomeri è proprio costituita da collagene III.
Lo ritroveremo negli organi linfatici per permettere la cooperazione tra le cellule dendritiche e i linfociti.
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
16 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
ELASTINA:
sintetizzata dai fibroblasti come tropoelastina, proteina ricca in Glicina e Lisina.
Si assembla per formare le vere e proprie fibre elastiche solo in presenza della fibrillina
(glicoproteina) della matrice extracellulare.
Nel momento in cui le due proteine interagiscono tra di loro, avremo una fase di maturazione
delle fibre elastiche:
-inizialmente le molecole di elastina sono circondate da poca fibrillina, con formazione di FIBRE
OSSITALANICHE;
-successivamente l’associazione delle proteine continua fino alla costituzione di agglomerati più
evidenti, le FIBRE ELAUNINICHE;
-infine avremo le vere e proprie FIBRE ELASTICHE con un core centrale di elastina e gli elementi
di fibrillina che medieranno il legame della fibra elastica con le fibre di collagene.
Con il progredire della maturazione delle fibre, aumenterà la resistenza elastica delle fibre.
Le fibre possono fondersi e formare:
-lamine elastiche fenestrate: nelle pareti dei vasi sanguigni
-legamenti elastici dopo essersi disposte in fasci paralleli.
Le fibre elastiche sono maggiormente rappresentate a livello dei grossi vasi poiché favoriscono
la dilatazione durante il passaggio del flusso sanguigno.
La patologia Sindrome di Marfan è caratterizzata da deficit di fibrillina che provoca la rottura
dei vasi.
L’insieme delle cellule e della matrice extracellulare può essere considerato un sistema unico in cui:
le cellule leggono i segnali della matrice, percepiscono gradienti di segnali solubili (PG e acido ialuronico
legano acqua, quindi passaggio di molecole) e li traducono in specifiche risposte cellulari.
La possibilità di traduzione è mediata da molecole di adesione, le
INTEGRINE, presenti sulla superficie cellulare.
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
17 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
Le integrine hanno:
un dominio intracellulare collegato al citoscheletro
un dominio extracellulare che legge le sequenze delle
molecole della matrice extracellulare (es. sequenza RGD della fibronectina).
Le interazioni tra matrice extracellulare e citoscheletro, mediate dalle integrine, sono BIDIREZIONALI.
Quindi avremo segnali provenienti dall’esterno che vengono “letti” dal citoscheletro e questo, collegato
al nucleo-scheletro, determina una variazione dell’attività cellulare e, di conseguenza, modifica le
caratteristiche della matrice extracellulare.
Questa interazione è resa possibile, nel versante extracellulare, grazie alle molecole come la fibronectina
e la laminina che posseggono sequenze di riconoscimento specifiche per le integrine.
Nel versante citoplasmatico, invece, ciò è reso possibile grazie a proteine di natura diversa quali, per
esempio, la paxillina o la vinculina, che interagiscono con i microfilamenti di actina del citoscheletro.
Per modificare le caratteristiche della matrice extracellulare è possibile attivare la produzione da parte
della cellula, tramite segnalazione attraverso le integrine, di due principali classi di enzimi:
o METALLOPROTEASI (la loro attività dipende dal legame con Ca2+ o Zn2+), come ad esempio
l’enzima collagenasi che scinde i legami cross-linking tra le catene delle molecole di collagene,
provocandone la dispersione e quindi la diminuzione della resistenza meccanica del collagene;
o SERINPROTEASI (possiedono nel sito catalitico una serina particolarmente reattiva).
Possiamo quindi dire che la ECM è una sede fondamentale per tutte le funzioni svolte dal tessuto
connettivo, poiché:
- Presentano molecole in grado di mantenere i fattori di crescita e fare in modo che questi siano
presentati in maniera efficiente ai recettori presenti sulla superficie cellulare a livello delle
membrane basali o alle cellule del tessuto connettivale;
- La componente fibrillare è in grado di regolare il comportamento meccanico, la forma e la
dimensione di un tessuto.
Il tessuto connettivo, secondo alcuni, può quindi essere considerato il più importante all’interno di un
organismo perché attraverso il suo sistema ricco di caratteristiche differenti, può regolare l’attività degli
atri tessuti. Questa attività viene svolta sia durante le fasi di sviluppo embrionale, grazie al mesenchima,
ma che poi si ripercuote su tutti i tessuti dell’individuo adulto.
A seconda di come sono presenti le componenti della matrice extracellulare, è possibile distinguere 2
strutture fondamentali di ECM:
la LAMINA BASALE, in cui le molecole della matrice vanno a costituire le sedi di appoggio delle
cellule su un unico piano;
la MATRICE INTERSTIZIALE DEI TESSUTI CONNETTIVI, in cui le molecole tendono a formare
una struttura di tipo tridimensionale andando a costituire degli spazi interstiziali, ossia tra una
popolazione cellulare ed un’altra, e quindi a riempire quei “vuoti” che risultano in seguito
all’associazione delle cellule nello svolgere le loro funzioni.
Questa differente organizzazione è dovuta a differenze nell’aggregazione della componente fibrillare
della ECM, ossia delle fibre collagene.
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
18 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
19 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO
Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
20 di 20
ISTOLOGIA - Istologia II VID01 – TESSUTO ADIPOSO
ISTOLOGIA
“TESSUTO ADIPOSO”
ID lezione VID01 Modulo Istologia II
Data lezione 13 Marzo 2020
Autore Serena Canala e Aurora Gregoretti
Lezione
Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima
tenuta da
Argomento Tessuto adiposo.
Eventuali
Lezione caricata sul sito learn.
riferimenti
TESSUTO ADIPOSO
Il tessuto adiposo era inizialmente considerato come un connettivo specializzato con un importante
ruolo nell’omeostasi energetica, ora è studiato come organo dinamico, coinvolto in molteplici funzioni
endocrine, autocrine e paracrine. È organizzato per formare un grande organo ed è quindi costituito da
vasi da nervi e da diversi tipi cellulari. Se io vado ad analizzare la struttura del mio tessuto adiposo
questo è costituito da cellulare adipose che vengono normalmente definiti adipociti che sono aggregati
in lobuli adiposi e a questa parte di cellule adipocitarie devo aggiungere una componente vasculo-
stromale cioè di vasi e di connettivo che è costituito da un connettivo lasso con vasi, fibre nervose,
fibroblasti, macrofagi e anche cellule pre-adipocitarie cioè cellule che sono in grado di differenziarsi in
adipociti maturi. Si conoscono fondamentalmente due tipi di adipociti:
-adipociti che vanno a costituire il tessuto adiposo uniloculare o tessuto adiposo bianco
-adipociti che vanno a costituire il tessuto adiposo multiloculare o tessuto adiposo bruno
Esiste poi un'ulteriore forma di tessuto adiposo identificata nel 2010 che viene definito tessuto adiposo
pauciloculare o anche tessuto adiposo beige.
Il tessuto adiposo è innervato dal sistema nervoso autonomo. Nel tessuto adiposo bianco le terminazioni
arrivano a livello della componente vascolare e poi qui per diffusione arriva all'adipocita. Nel tessuto
adiposo bruno invece l’innervazione arriva sia a livello del letto vascolare (vascolarizzazione molto più
abbondante) ma anche direttamente a livello dell'adipocita. I due principali tipi di tessuto cioè quello
adiposo bianco e quella adiposo bruno si differenziano per la sede e per il ruolo perché il bianco funziona
da riserva di materiale energetico mentre il tessuto adiposo bruno serve per sviluppare calore
dell'uomo. Il tessuto adiposo partecipa al peso corporeo per circa il 15-20%, nella donna anche fino al
25% e può subire delle forti variazioni in più o in meno in situazioni patologiche come, ad esempio, in
caso di obesità oppure in caso di anoressia. Il tessuto adiposo bruno costituisce quello che viene definito
il grasso primario si sviluppa molto precocemente durante l'età fetale e si riduce nei primi 10 anni di
vita, mentre il tessuto adiposo bianco forma il cosiddetto grasso secondario e si forma per tutta la vita.
Da un punto di vista anatomico identifichiamo una localizzazione:
- sottocutanea, circa 70%;
- viscerale, 20%;
- intramuscolare, 10%.
Esistono però anche dei lipidi di origine endogena che sono in realtà dei lipidi che vengono assemblati
a livello degli epatociti cioè a livello delle cellule del fegato. Questi vengono formati a livello degli
epatociti e vengono trasportati a livello del plasma attraverso le VLDL cioè delle lipoproteine
plasmatiche a densità molto bassa. Questi lipidi tramite la rete vascolare arrivano a livello del tessuto
adiposo e prima di poter essere utilizzati vengono degradati ad opera di lipasi e in maniera da poter
essere assunti in qualità di acidi grassi all'interno dei miei adipociti. Da parte del mio adipocita poi ci
sarà una successiva trasformazione degli acidi grassi nuovamente in trigliceridi che poi vengono
immessi all'interno della mia gocciolina di grasso che diventerà di dimensioni sempre più grandi fino a
diventare una gocciolona unica nel tessuto adiposo di tipo bianco.
L’adipocita non solo è in grado di trasformare gli acidi grassi in trigliceridi ma anche in grado di
idrolizzare i trigliceridi in acidi grassi e glicerolo utilizzando degli enzimi che vengono sintetizzati a
livello del RE, sono delle lipasi ormono-sensibile che vengono attivati sia da degli ormoni attivanti (o
lipolitici) come le catecolammine, sia da degli ormoni come l'insulina che sono invece degli ormoni di
tipo inibente (o lipogenetici).
Quindi a seconda del controllo ormonale che noi riceviamo a livello della mia cellula adipocitaria noi
potremmo avere l'accumulo dei trigliceridi a livello dell’adipocita, che vengono quindi sottratti dal
plasma, oppure avere una degradazione dei miei trigliceridi da parte dell’adipocita, quindi una lipolisi.
Dopo la lipolisi questi vengono trasportati attraverso l'albumina a livello dei tessuti periferici che li
internalizzano, li degradano e li utilizzano per le loro funzioni metaboliche.
Il ruolo del tessuto adiposo bianco è quello di contribuire all' isolamento termico del corpo: noi abbiamo
al di sotto dell'epidermide e del derma quello che si chiama ipoderma o pannicolo adiposo che ha una
distribuzione differente tra l'uomo e la donna: prevalentemente addominale nel caso dell'uomo,
prevalentemente retroperitoneale per quello che riguarda la donna. Serve alla protezione degli organi
vitali e alla secrezione di ormoni e fattori di crescita e citochine.
difese immunitarie, favorisce la secrezione di gonadotropine, viene prodotta anche dalla placenta
regolando l'accrescimento osseo durante le fasi di sviluppo fetale.
Adiponectina: stimola l'ossidazione degli acidi grassi, è in grado di ridurre la concentrazione ematica
della degli zuccheri e trigliceridi e aumenta la sensibilità all'insulina da parte delle cellule.
Angiotensinogeno: è in grado di andare a regolare la pressione sanguigna.
Proteina legante il retinolo (RBP4): a differenza dell’adiponectina ha una attività contraria quindi
induce l'insulino-resistenza.
Visfatina: induce l'insulino-sensibilità e favorisce la lipogenesi.
Resistina: induce insulino-resistenza.
Apellina: inibisce la secrezione di insulina.
Questi ultimi due vengono prodotti non solo dagli adipociti ma anche dai macrofagi che fanno parte
dell'organo adiposo. (un più dettagliato elenco delle sostanze vengono normalmente prodotte a livello
del tessuto adiposo bianco la trovate nella tabella del capitolo 10 del testo della Idelson Gnocchi)
In condizione di obesità il tessuto adiposo bianco viscerale si infiamma perché si ha un'azione combinata
da parte degli adipociti ma anche da parte dei macrofagi che vi ricordo sono cellule in grado di stimolare
o inibire l'attività infiammatoria. In queste situazioni gli adipociti sono in grado di crescere sia in numero
(iperplasia) che di dimensioni (ipertrofia). I macrofagi tendono a entrare all'interno delle nicchie di
tessuto adiposo formando delle strutture simili a corone intorno agli adipociti e che aumentano
ulteriormente il fenomeno infiammatorio perché vanno a produrre citochine proinfiammatorie (TNF
e IL-6), è un aspetto che può indurre, se diventa continuativo, la insorgenza di diabete mellito o di
malattie di tipo cardiovascolare.
Il sistema a breve termine è controllato da due fattori: dalla grelina e dal peptide YY.
La grelina viene prodotta dalle cellule dell'epitelio dello stomaco ed è un potente stimolatore
dell'appetito, ha un recettore a livello dell'ipotalamo e questo recettore fa aumentare la sensazione di
fame, inoltre agisce anche a livello dell’adenoipofisi cioè favorendo la produzione e il rilascio di ormone
della crescita.
Il peptide YY invece è prodotto a livello dell’intestino tenue, anch’esso ha dei recettori ipotalamici che
inducono un effetto contrario cioè inducono una riduzione dell’assunzione di cibo perché il contatto coi
suoi recettori aumenta la sensazione di pienezza e quindi l'individuo non è portato ad assumere
ulteriore cibo.
Il sistema a lungo termine invece è regolato dalla leptina e dall’insulina.
La leptina diminuisce il senso di fame. In condizioni normali livelli di leptina aumentano dopo il pasto
e si riducono con il digiuno prolungato. È stato dimostrato negli animali se noi depletiamo gli animali
per il gene della leptina i miei animali diventano degli animali obesi. Nell'uomo in realtà sembra che i
livelli di leptina siano fondamentalmente normali anche nei soggetti obesi.
L’insulina viene prodotta da parte delle cellule beta dell'isolotto del Langerhans a livello pancreatico,
aumenta la conversione dello zucchero in trigliceridi e regola di conseguenza il peso corporeo.
Per quello che riguarda il tessuto adiposo bruno la prima cosa che dobbiamo dire è che la motivazione
per cui normalmente viene definito bruno e perché presenta un numero elevatissimo di mitocondri.
All'interno dei mitocondri nella catena respiratoria noi abbiamo il citocromo c che contiene un atomo
di ferro, l'atomo di ferro risulta colorato e quindi questo da visivamente in un preparato a fresco questa
colorazione più scura. Hanno delle dimensioni inferiori rispetto all’adipocita bianco raggiungono un
diametro massimo di circa 60 micron (attenzione che sul vostro testo Idelson c'è un errore nell’unità di
Ancora un'immagine del tessuto adiposo bruno che tiene conto di tutta la struttura quindi le cellule, la
componente vascolare e la componente connettivale. Un'immagine in microscopia ottica e un'immagine
in microscopia elettronica che vi fa vedere soprattutto l'enorme quantità di mitocondri che sono questi
e queste sono le piccole goccioline di grasso che vanno a portare poi il mio mitocondrio in posizione
centrale.
L'origine degli adipociti bruni è sempre dalle cellule di tipo mesenchimale però diverse da quelle che
danno origine dai periciti che danno origine al mio tessuto adiposo bianco. Questa diversità di origine è
anche legata a una diversa espressione di fattori trascrizionali che mi determinano il passaggio e la
maturazione dei miei lipoblasti, cioè cellule più immature, a cellule mature. In questo caso viene
espresso un fattore di trascrizione che si chiama PRMD 16 il quale regola l'espressione, assieme a un
altro a fattore trascrizionale cioè il OGC-1, di una proteina importantissima a livello del tessuto adiposo
bruno che è la proteina mitocondriale UCP-1. Nelle creste mitocondriali delle cellule del tessuto adiposo
bruno si trova appunto questa proteina che viene definita UCP-1 o termogenina. È un fattore
disaccoppiante: ha la capacità di disaccoppiare il processo ossidativo da quello fosforilativo e quindi il
gradiente protonico che si genera a livello della catena respiratoria viene dissipato sotto forma di calore.
Al posto di andare a produrre ATP viene prodotto calore secondo un fenomeno che viene definito
termogenesi adattativa. Questo vi rende ragione anche del fatto che il tessuto adiposo bruno è
particolarmente presente nel neonato, il quale ha un sistema termo-regolatorio che si sviluppa
completamente più o meno attorno all'anno e mezzo/due anni quindi nelle prime fasi della vita deve
avere un sistema che gli permette di mantenere termo regolate le diverse parti del corpo, tenete sempre
conto che una neonato si trova all'interno del grembo materno più o meno intorno ai 37 °/ 37.5 ° e quindi
una volta che viene portato alla luce mondo ovviamente deve contrastare la enorme differenza di
temperatura in cui si viene a trovare quindi ha necessità di avere un sistema che permette al neonato
di sviluppare il calore all'interno dell' organismo.
Il tessuto adiposo bruno è un tessuto adiposo che è particolarmente sviluppato ad esempio anche negli
animali ibernanti e questo permette loro di far scendere la temperatura corporea fino a un livello nel
quale si possa ancora mantenere un’attività metabolica.
Quindi UCP-1 ha lo scopo di produrre calore quando l'individuo ha esposto a basse temperature.
L’altra volta avevamo affrontato il concetto di tessuto connettivo e avevamo visto quelle che sono le
cellule proprie dei tessuti connettivi e detto che ci sono le cellule fisse e le mobili. Le cellule fisse sono
quelle che sono sempre presenti all’interno dei tessuti connettivi, mentre le cellule mobili sono quelle
che vengono richiamate da altri distretti. In particolare le cellule fisse sono quelle che si replicano anche
all’interno del tessuto connettivo e tra queste vanno menzionato i fibroblasti nei connettivi
propriamente detti perché sono quelli responsabili della produzione della matrice extracellulare. La
matrice extracellulare è fatta da una componente fibrillare, prevalentemente di fibro-collagene e
fibro-elastina e da una sostanza amorfa costituita prevalentemente da componenti zuccherini che sono
i glucosamminoglicani che si possono associare a formare i proteoglicani e poi ci sono le glicoproteine
adesive.
Quando vado a considerare la grossa famiglia dei tessuti connettivi propriamente detti, cioè quelli che
sono quasi sempre a contatto con gli altri tessuti del nostro organismo per andare a costituire gli organi,
questi hanno delle differenze morfologiche che normalmente sono riconducibili a quella che è la
differenza funzionale. Avevamo detto l’altra volta che le due grandi differenze che posso trovare in
questo tipo di connessione sono la connessione funzionale, che quindi consente il transito-trasporto di
molecole che possono essere: di crescita e fattori nutrizionali, movimento cellulare, quindi ad esempio
delle cellule del sistema immunocompetente, oppure può essere una connessione più di tipo meccanico,
quindi la capacità degli elementi di questo tessuto di andare a sostenere e proteggere gli organi o
ancorare tra di loro due tessuti di tipo differente. Quindi a seconda di quella che è la prevalenza di una
di queste strutture, il mio tessuto connettivo si organizzerà per svolgere al meglio la sua funzione. Le
due estremità mi portano ovviamente ad avere in una connessione funzionale una quantità di matrice
extracellulare amorfa più abbondante perché questa mi dà la capacità di legare le molecole d’acqua,
quindi mi danno un materiale più fluido che mi permette la migrazione cellulare e in questi tessuti
avremo anche una prevalenza di molte popolazioni cellulari e anche di tante cellule migratorie e, proprio
perché migranti, sono in grado poi di muoversi all’interno del tessuto connettivo, mentre, se io vado a
considerare una connessione di tipo meccanico, prevalgono quelle che sono le fibre proteiche che danno
la resistenza meccanica del tessuto, soprattutto ai fenomeni di trazione.
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
Quindi alla luce del tipo di tessuto connettivo, connessione funzionale e connessione meccanica, se io
devo considerare tutti miei tessuti connettivi dell’adulto, sono:
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 2 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
La connessione funzionale viene normalmente formata da un tessuto connettivo che noi definiamo
come tessuto connettivo lasso, chiamato anche tessuto areolare. Il tessuto connettivo lasso fornisce un
sostegno a tutte quelle strutture che possono essere sottoposte a fenomeni di pressione. È un tessuto
morbido in cui ritroviamo le fibre collageniche (collagene di tipo I e di tipo III), matrice amorfa, cellule
caratteristiche del tessuto connettivo, quindi fibroblasti, periciti attorno ai vasi, sicuramente anche
miofibroblasti. Questo è un tessuto a livello del quale migrano facilmente le cellule della serie bianca
del sangue, quindi, sarà un tessuto ricco anche di elementi mobili presenti all’interno del tessuto
connettivo. La funzione di un tessuto connettivo lasso è di fornire una connessione prevalentemente di
tipo funzionale. Infatti, è di tipo meccanico solo nei confronti dei fenomeni di compressione. Nei
fenomeni di compressione perché, avendo molecole che legano un’enorme quantità d’acqua, è in grado
di dare una sorta di resistenza a tutto quello che può subire, potendo liberare le molecole d’acqua.
Ad esempio, al di sotto degli epiteli che non sono vascolarizzati. Si agganciano alla lamina basale e
poggiano sul tessuto connettivo. Il tessuto connettivo al di sotto di qualsiasi tipo di epitelio è un tessuto
connettivo lasso, perché è un tessuto che deve fornire nutrimento e difesa all’epitelio sovrastante e
possibile difesa nell’eventualità che qualcosa entri per la rottura dell’ epitelio. Questo connettivo lo
troviamo inoltre, nella costituzione della lamina propria della tonaca mucosa e la sottomucosa degli
organi cavi, il connettivo su cui poggia il mesotelio delle tonache seriose viscerale e parietale e lo stroma
delle ghiandole.
Di tessuto connettivo lasso son inoltre formati il perimisio ed il perinervio, strutture che separano,
rispettivamente, i fasci di fibre muscolari e le fibre nervose.
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 3 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
In generale, l’architettura lassa della matrice dona una certa deformabilità al tessuto e consente una
facile diffusione di gas e nutrienti tra le cellule e il circolo sanguigno. Questo tessuto inoltre, esplica
anche una funzione di difesa grazie alla presenza di numerose cellule di tipo immunitario che migrano
dal circolo sanguigno ai siti di infiammazione.
Il tessuto connettivo mucoso: è molto diffuso durante lo sviluppo embrionale, e può essere
considerato uno stadio intermedio tra mesenchima e tessuto connettivo lasso.
Il tessuto adiposo: è un tessuto connettivo lasso in cui predominano le cellule adipose, specializzate
nell’accumulo di lipidi.
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 4 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
Il tessuto connettivo denso, detto anche compatto o fibroso, è l’opposto rispetto a quello lasso, è un
tessuto connettivo in cui abbiamo la prevalenza della componente fibrillare. Fibre collagene di tipo I,
fibre elastiche, una prevalenza della componente cellulare rappresentata dai fibroblasti. In questo
tessuto in condizioni fisiologica normale non avete la presenza di cellule della serie bianca del sangue.
Perché la funzione in condizione normale è solo una funzione meccanica, quindi è adatto per offrire
resistenza e protezione. Normalmente facciamo la distinzione tra un tessuto connettivo irregolare,
dove le mie componenti collageniche, hanno un’organizzazione piuttosto disordinata e un tessuto invece
connettivo di tipo regolare che è un tessuto connettivo in cui le mie fibre collagene sono disposte in
un’unica direzione: normalmente sono disposte parallelamente tra di loro e la disposizione delle fibre
collageniche è dipendente dalla sollecitazione meccanica a cui quel tessuto viene sottoposto.
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 5 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
Se scendo in questo preparato e mi porto a livello del derma, questo è costituito da enormi zone di
tessuto massimamente colorato in rosa. Sono fibre di collagene di tipo I, i nuclei sono tutti nuclei di
fibroblasti, Gli spazi che intravedete sono quelli occupati dalla matrice cellulare amorfa. Non è che non
è presente, ma è che è presente in una concentrazione molto più bassa. Perché il tessuto connettivo
denso del derma è di tipo irregolare? Perché in questo caso le sollecitazioni meccaniche a cui è
sottoposta la nostra epidermide/cute, sono delle sollecitazioni meccaniche che non sono di tipo
unidirezionale, per cui non essendo unidirezionale le cellule fibroblastiche non sono indirizzate a
produrre la matrice extracellulare in un’unica direzione. I fasci di fibre collagene si intrecciano formando
una rete compatta con scarsa sostanza fondamentale. Questo tipo di tessuto lo possiamo riscontrare nel
derma reticolare (profondo), nella sottomucosa, nelle capsule di numerosi organi e in altri tessuti quali
il periostio, il pericondrio, la dura madre, l’epimisio, l’epinervio, le capsule articolari e la sclera
dell’occhio.
Il tendine
Il tendine ha una struttura particolare: all’interno di esso riusciamo a identificare sia strutture di tessuto
connettivo denso a fasci paralleli, ma anche guaine costituite da tessuto connetti più lassi.
Il tessuto connettivo denso a fasce parallele che costituisce la parte centrale, il core del mio tendine, ma
esso avrà anche una serie di guaine che serviranno alla funzione e alla vitalità del tendine stesso che in
realtà saranno costituiti da tessuti connettivali con caratteristiche più lasse. Quindi da un punto di vista
istologico, il tendine è un tessuto connettivo denso a fasci paralleli, ma se io vado a considerare come
un’unità anatomica ha altri tessuti connettivi che aiutano le varie fibre collageniche del tendine a essere
unite tra di loro e a svolgere la loro funzione.
Possiede due estremità, si origina infatti dalla capsula connettivale esterna del muscolo e dovrà andare
a portare la contrazione muscolare a livello dell’osso, avrà una zona che è la giunzione mio-tendinea, cioè
che esce dal muscolo dal muscolo e diventa tendine (dal tessuto muscolare a quello tendineo c’è un
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 6 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
passaggio brusco, c’è una grossa differenza di strutturazione tant’è che questa è una zona che subisce
delle grosse alterazioni da un punto di vista meccanico); l’altra parte ,che è la parte invece che va dal
tendine verso l’osso, che è la giunzione osteo-tendinea, è invece una zona di transizione molto più
graduale perché da qui passeremo da un tessuto connettivale denso a fasci paralleli a una struttura
intermedia che in parte è la fibrocartilagine a una struttura che diventa in parte mineralizzata, che è una
fibro-cartilagine mineralizzata, e poi direttamente all’osso che è un tessuto connettivo di tipo
mineralizzato.
Dove avete un cambiamento strutturale
molto marcato, è una zona facilmente
lesionabile. Una zona dove invece c’è
gradualità di passaggio tra le
caratteristiche della matrice
extracellulare e i vari tipi di tessuto vi
permettono un maggiore ancoraggio del
tendine al livello del tessuto osseo.
Questa (immagine a fianco) è la struttura del vostro tendine a livello istologico. È un tessuto connettivo
denso a fasci paralleli, tra cui Abbiamo spazi chiari, matrice extracellulare, nuclei delle cellule, fibre
collagene. Le cellule che vanno a produrre, che si trovano all’interno del mio tendine in realtà sono in
massima parte fibroblasti specifici del tendine, fibroblasti e poi successivamente tenociti e in piccola
parte troveremo delle cellule che sono riconducibili alla presenza di vascolarizzazione legata a tonache
connettivali che portano vasi all’interno del
tendine, perché i fasci di fibre collageniche non
sono di per sé vascolarizzate, ma ci sono delle
guaine che portano che la vascolarizzazione e
anche qualche cellula di tipo muscolare, ma la
stragrande maggioranza del mio tendine viene
costituito dai tenociti, che sono le cellule
responsabili della produzione di tutta la matrice
collagenica presente all’interno del mio tendine,
quindi del collagene di tipo I all’interno del
tendine.
Le cellule del tendine sintetizzano la matrice, ne iniziano la produzione e sono le sollecitazioni
meccaniche che vi facilitano la distribuzione delle fibre collagene, in maniera parallela mentre le
molecole non-collageniche, cioè le molecole che appartengono alla famiglia dei proteoglicani e
glucosamminoglicani e le glicoproteine adesive, mi serviranno a favorire la compattazione delle fibre
collagene per dare la giusta resistenza meccanica a tutta la struttura del tendine. Se vado a guardare il
tendine, mi accorgerò che esso è costituito da una serie di fibre collageniche, che sono queste (immagine
sopra), tutte costituite da fibre collagene di tipo I, le quali si associano ad altre fibre collageniche e a
proteoglicani e glucosamminoglicani per andare a costituire delle fibre collageniche di spessore sempre
maggiore. Quindi partiamo da un collagene di tipo I che viene orientato nella direzione di trazione del
tendine questi poi si associano a collagene di tipo VI, a proteoglicani e glucosaminoglicani e va a
costituire strutture con complessità sempre maggiore: queste strutture a mano a mano che si associano
tra di loro vengono rivestite da una serie guaine che hanno il compito di garantire la stabilità delle
singole strutture a filamento, quindi questa corda che andate a formare, aumentando sempre più
l’unione delle singole fibrille, dovrà avere nella sua compattazione altre strutture che ne permettono il
corretto funzionamento.
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 7 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
Oltre alla struttura del tendine (istologicamente quindi un tessuto connettivo denso a fasce parallele)
dobbiamo tenere conto di altre strutture e sovrastrutture che in realtà sono sempre fatte da tessuto
connettivale che mi permettono il corretto funzionamento del tendine. Il tendine nel suo complesso è
costituito da tutte le mie fibrille che si uniscono tra di loro, da un complesso di guaine che prende il nome
di Paratenonio
Partenonio, (tenion è il nome di tendine in greco) quindi Partenonio è una sorta di involucro
connettivale abbastanza lasso che mi permette di raggruppare un intero tendine che è costituito da
fascicoli di tendine via via di dimensioni inferiori. I
l tendine viaggia all’interno di una guaina che permette lo scorrimento, tale guaina è poi rivestita da
cellule particolari che producono un liquido che è riconducibile al liquido sinoviale e permette a questa
struttura di potersi muovere, quindi di poter scorrere, perché il movimento del muscolo sull’osso è un
movimento di scorrimento a seconda di quello che è il meccanismo di contrazione muscolare: avrò una
guaina esterna che è il mio Paratenonio, il quale è un tessuto fatto prevalentemente da collagene di tipo
I e III con fibre elastiche, poi questo paratenonio mi porterà all’interno dei setti collagenici che mi
andranno a costituire quello che è l’Epitenonio. L’epitenonio comincia a essere un tessuto connettivo
leggermente più lasso e mi va a rivestire un fascio di fibrille tendinee e poi internamente ancora avrò
endotenonioQuindi, a seconda del livello strutturale avrò capsule di connettivo che mi servono a
l’endotelonio.
lubrificare, a mantenere in attività, a facilitare quella che è l’attività delle singole fibre collageniche che
orientate in maniera parallela, mi vanno a costituire il mio tendine. [Questa sovrastruttura è come se
fossero le cime di una nave, le cime devono ancorare le navi nel porto. Normalmente bisogna aumentare le
sovrastrutture delle cime, ma le cime per mantenere il loro corretto scorrimento vengono cerate,
lubrificate, vengono mantenute con delle sostanze che permettono loro di mantenere un certo tipo di
tonicità e non andare incontro a rotture. Le cime di una nave vanno controllate per mantenere questa sorta
di lubrificazione, perché se andate a perdere questa lubrificazione, poi anche gli elementi più piccoli non
ottengono nutrimento e quindi tendono a rompersi.]
I tendini subiscono dei cambiamenti con i processi di crescita e di invecchiamento. Per esempio, i miei
tenociti e i tenoblasti sono marcatamente presenti durante tutte le fasi della vita di un individuo, ma
riducono la loro attività sintetica e il controllo di quella che è la disposizione delle fibre a mano a mano
che andiamo avanti con gli anni. Il collagene rappresenta una piccola porzione del mio tendine, circa il
35%, mentre una buona parte della ECM è occupata dai proteoglicani e dai glucosamminoglicani:
quando terminiamo lo sviluppo corporeo e siamo degli individui adulti, il tendine è rappresentato per
la stragrande maggioranza da fibrille di collagene. Mentre percentualmente si riduce la componente di
proteoglicani e glucosamminoglicani. Con il processo dell’invecchiamento, il contenuto del mio
collagene è fondamentalmente inalterato,
ma si abbassa enormemente il contenuto
della quota di proteoglicani e
glicosamminoglicani che abbiamo detto
sono quelli che ci servono a mantenere
lubrificato, a favorire il passaggio delle
sostanze all’interno del mio tendine,
quindi questo porta a un irrigidimento,
una ridotta risposta meccanica del
tendine, rispetto a quelle che sono le
sollecitazioni meccaniche. Questo effetto
di irrigidimento è connesso a una
variazione delle fibre elastiche che sono
presenti e crescono in base a un aumento
delle fibre collageniche e a una riduzione
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 8 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
della quantità d’acqua, la riduzione della quantità d’acqua, va da un 80% alla nascita fino a un 30%
nell’invecchiamento ed è legato alla modificazione della percentuale dei glucosamminoglicani e dei
proteoglicani. Se io riduco la quantità d’acqua riduco la possibilità di scambi metabolici all’interno del
tendine, perché riduco i fenomeni diffusivi, portando a un irrigidimento, il quale a sua volta comporta
una diversa risposta meccanica del tendine nei confronti di quelle che sono le sollecitazioni meccaniche.
- Legamenti: sono strutture anatomiche che connettono un osso con un altro, le fibre di collagene
di tipo I sono fittamente stipate e orientate nel senso delle forze meccaniche di trazione.
- Aponeurosi: sono delle fini lamine fibrose mediante le quali muscoli larghi e sottili si fissano ai
loro punti di intersezione. Sono composti da vari strati di fasci collagenici, con le fibre parallele
tra loro all’interno dello strato, ma con direzioni diverse nei vari strati.
Il tessuto connettivo denso a fasci incrociati è una varietà di tessuto connetivo denso regolare
presente nello stroma della cornea. Lo stroma corneale presenta un’organizzazione lamellare;
all’interno di ogni lamella i fasci di fibre di collagene li dispongono parallelamente tra di loro e
ortogonalmente ai fasci di fibre delle lamelle congiunte. L’organizzazione delle fibre e l’assenza di
vascolarizzazione conferiscono alla cornea la caratteristica di trasparenza.
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 9 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 10 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
Il sangue viene inserito all’interno dei tessuti connettivali per due motivazioni fondamentali:
- una ragione di tipo embriologica, perché le cellule del sangue hanno infatti ha un’origine di tipo
mesodermica, e quindi rientra all’interno della famiglia di tessuti connettivi
- e è costituito da delle cellule che si trovano disperse all’interno della matrice extracellulare. La
matrice è fluida.
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 11 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
Valori normali di un classico esame del sangue (figura) emocromocitometrico in cui possiamo andare a
vedere:
- la quantità di emoglobina presente all’interno dei globuli rossi. Per anemia si intende una
riduzione della concentrazione dell’emoglobina nel sangue; la maggior parte delle anemie è
riconducibile ad una riduzione nel numero degli eritrociti.
- Le piastrine, che sono circa 150-450mila su mm3.
- I globuli bianchi sono massimo 10.000 per mm3
Quindi all’interno del mio prelievo di sangue riesco ad andare a identificare tutte quelle che sono le
sostanze disciolte anche all’interno del plasma e i soluti, cioè gli elementi che si trovano all’interno del
plasma, sono importanti per mantenere quel fenomeno che viene definito osmolarità del sangue. Quindi,
il pH e la corretta concentrazione ionica: quest’ultima è importante perché serve a permettere tutti gli
scambi di sostanze a livello dei tessuti connettivi periferici. Ci deve essere una corretta pressione con
cui il sangue arriva a livello della periferia per poter permettere la fuoriuscita della giusta quantità di
liquido e di sostanze a livello di un tessuto connettivo e il recupero di quelli che possono essere gli
elementi di scarto.
Se vado a guardare quello che è contenuto all’interno del plasma, avrò delle proteine specifiche del
plasma e poi una serie di sostanze che vengono trasportate dal plasma, ma che hanno origini
completamente diverse. Per quello che riguarda le proteine specifiche del sangue, queste
fondamentalmente sono tre:
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 12 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
• fibrinogeno che è la più importante proteina coagulativa, infatti mi andrà a costituire il coagulo,
per cui prima dovrà essere convertito in fibrina e la conversione di fibrinogeno in fibrina potrà
avvenire attraverso l’attivazione del sistema chiamato cascata coagulativa che porterà al taglio
del fibrinogeno grazie a un enzima e può andare a costituire una struttura tridimensionale. Per
Arrivare a questo tipo di taglio, necessitiamo di alcuni fattori della coagulazione che devono
essere presenti nel sangue.
Parliamo ora di emopoiesi o ematopoiesi quando dobbiamo parlare della formazione di tutti gli
elementi corpuscolati del sangue. Gli elementi plasmatici non vengono formati assieme alla componente
corpuscolata. Sull’emopoiesi ritorneremo e viene attuata nel midollo osseo, le componenti plasmatiche
del sangue vengono prodotte in altri distretti, in parte l’abbiamo visto per quel che riguarda di proteine
specifiche del fegato, gli anticorpi dai linfociti B gli ormoni che circolano nel sangue vengono prodotte
dalle ghiandole endocrine e quindi ovviamente ci sono sedi diverse in cui le componenti plasmatiche
vengono prodotte. (l’emopoiesi verrà trattata in una videolezione specifica, vedi VID02)
L’ Emocateresi è invece la distruzione dei globuli rossi. I globuli rossi hanno una vita finita, quando sono
inefficienti da un punto di vista funzionale devono essere eliminati: questo tipo di operazione viene
effettuata da parte di grosse cellule che svolgono attività fagocitaria e che sono localizzate
prevalentemente nella milza, perciò avviene nella milza, nel fegato e in alcune zone anche nei grossi vasi.
E a questi livelli il globulo rossi viene fagocitato e viene recuperato tutto quelli che possono essere
elementi utili che troviamo all’interno del globulo rosso.
Se io devo andare a studiare i globuli rossi, posso usare lo studio dell’esame emocromocitometrico ma
in realtà se li voglio osservare al microscopico utilizzo una tecnica ancora presente che è la tecnica dello
striscio di sangue: è un tipo di tecnica che viene usata solo nei centri in cui viene fatta una diagnostica
precisa per le malattie del sangue, ma è comunque una tecnica stranamente valida. Questa tecnica si
basa sullo strisciare una goccia di sangue, possibilmente prelevata in vena e non dalla punta del dito e
questa goccia di sangue viene strisciata effettivamente attraverso un altro vetrino su un vetrino e vi è
poi fissata e colorata attraverso delle colorazioni tricromiche specifiche che sono le colorazioni di May-
Grunwald-Giemsa: attraverso queste colorazioni noi riusciamo a identificare quelle che sono le
morfologie specifiche di tutta la componente corpuscolata del sangue e quindi riusciamo a identificare i
globuli rossi, che sono a forma di ciambella e privi di nuclei, i tipi di globuli bianchi e le piastrine.
Descrizione delle immagini: quello a sinistra è uno striscio di sangue periferico e quello a destra uno
striscio di sangue midollare. Vedete che le due popolazioni cellulari sono differenti, non tanto per quello
che riguarda i globuli rossi tanto per quello che riguarda tutte le altre componenti cellulari.
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 13 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
La funzione dell’eritrocita è legata alle particolari caratteristiche dovute alla composizione chimica della
sua membrana plasmatica. La membrana plasmatica dell’eritrocita:
• Impedisce l’adesione degli eritrociti alle cellule endoteliali e l’aggregazione dei globuli rossi
(previene quindi l’occlusione dei vasi)
• Fornisce flessibilità al globulo rosso
• Ancora alcuni enzimi utili per l’attività metabolica del globulo rosso
• È fondamentale per gli scambi tra il citoplasma dell’eritrocita e l’ambiente esterno. Il globulo
rosso è responsabile di scambiare ossigeno e anidride carbonica a seconda della diversa
pressione parziale (a favore dell’ossigeno a livello polmonare e dell’anidride carbonica a
livello dei tessuti periferici). Per poter fare ciò il globulo rosso deve avere una membrana
plasmatica estremamente selettiva, in particolare deve essere impermeabile ai cationi mono
e bivalenti, e altamente permeabile all’acqua e agli anioni.
Da un punto di vista strutturale la membrana cellulare dell’eritrocita è composta per il 40% della massa
da un doppio strato lipidico (costituito prevalentemente da colesterolo e fosfolipidi, a distribuzione
asimmetrica tra i due foglietti lipidici), da molte proteine transmembrana e da uno sviluppatissimo
citoscheletro che si trova al di sotto della membrana plasmatica. La forma degli eritrociti, che è
essenziale per il corretto funzionamento degli stessi, è mantenuta tale dall’interazione tra il
citoscheletro sotto la membrana e le proteine transmembrana. Questa interazione permette di
mantenere la forma corretta e di rispondere a tutte le sollecitazioni meccaniche a cui i globuli rossi sono
esposti nel momento in cui si trovano nel torrente circolatorio.
Le proteine di membrana. Le proteine integrali fondamentali per il mantenimento della struttura sono
le Glicoforine (A, B e C) e le Proteine della banda 3. La porzione extracellulare glicosilata di queste
proteine esprime gli antigeni specifici dei gruppi sanguigni, la porzione citoplasmatica invece lega sia le
proteine citoscheletriche (con i filamenti di actina) che con l’emoglobina. Quindi l’emoglobina non è
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 14 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
semplicemente disciolta nel globulo rosso ma è legata a delle proteine che la mettono in correlazione
con le proteine transmembrana.
Le proteine del citoscheletro. Per quanto riguarda le proteine del citoscheletro al di sotto della
membrana plasmatica avremo delle proteine citoscheletriche che sono organizzate a formare un
reticolo esagonale posizionato parallelamente alla membrana plasmatica, al suo interno. Questo
scheletro è formato principalmente da eterodimeri di proteine spectrina α e specrina β. Queste due
molecole si associano (attorcigliano) tra di loro e vanno a formare questa rete che mette in
comunicazione proteine interne al citoplasma con le proteine transmembrana. In questo modo tutte le
funzioni del globulo rosso sono mediate dall’interazione tra membrana cellulare e citoscheletro.
Interazioni tra citoscheletro e proteine di membrana. Sono presenti degli importanti complessi di
proteine che mediano l’interazione tra citoscheletro e proteine transmembrana. Questi complessi sono:
Attraverso questo sistema ho un collegamento tra le modificazioni che possono avvenire sulla superfice
della membrana e le necessita del globulo rosso
I gruppi sanguigni
Sul versante extracellulare gli eritrociti sono presenti catene di carboidrati (componente glucidica delle
glicoforine e proteine banda 3) specifiche e ereditarie che funzionano come antigeni. Tali carboidrati
determinano i gruppi sanguigni. I primi gruppi sanguigni identificati sono quelli del sistema noto come
sistema AB0 (A, B, Zero). I globuli rossi contengono due antigeni, indicati con A e B. Ciascun globulo
rosso può contenere:
• Antigene A (gruppo A)
• Antigene B (gruppi B)
• Entrambi gli antigeni (gruppo AB)
• Nessun antigene (gruppo 0)
Attenzione: nel gruppo 0 non mancano le proteine transmembrana, manca solamente la componente
glucidica di queste proteine.
Oltre alla componente dei gruppi AB0 abbiamo anche la componente più complessa del fattore Rh, che
sono definiti da più fattori che devono essere contestualmente presenti. Identifichiamo popolazioni Rh
positive e Rh negative. La diversità nei gruppi sanguigni e soprattutto la diversità dei fattori Rh è quella
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 15 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
diversità che deve essere tenuta in considerazione nei meccanismi trasfusionali: se il donatore ha nel
suo sangue antigeni che il ricevente non ha, nel ricevente si scatenerà una risposta immunitaria.
L’esempio più conosciuto di
incompatibilità Rh è l’incompatibilità
materno-fetale: una madre Rh- che
partorisce figlio Rh+. Nella prima
gravidanza, non essendoci contatto tra
la circolazione materna e la
circolazione fetale il feto può crescere
senza complicazioni, ma al momento
del parto si ha normalmente il
contatto tra la circolazione materna e
la circolazione fetale e di conseguenza
la madre, riconoscendo l’antigene Rh
produrrà anticorpi Rh positivi. Nel
caso di una seconda gravidanza Rh+ il
sangue della madre attraverso la
placenta entra in contatto con il sangue del feto e in questo caso si ha la possibilità di generare anticorpi
nei confronti dei globuli rossi del feto e quindi l’istaurarsi di una malattia emolitica (MEN). Questo
fenomeno è un risolto attraverso terapie ad hoc al momento del parto per eliminare la possibilità della
produzione di anticorpi contro il fattore Rh.
L’emoglobina
All’interno del globulo rosso è presente l’emoglobina. L’emoglobina è una proteina con una struttura di
tipo quaternario ed è responsabile della maggior parte del trasporto di ossigeno e anidride carbonica
nel nostro organismo. È composta da quattro subunità proteiche (globine) e da una porzione non
proteica (prostetica) che contiene l’atomo di ferro. Le globine sono normalmente costituite nell’adulto
da due catene alpha e due catene beta, e costituiscono l’emoglobina di classe A. In realtà però noi durante
lo sviluppo embrionale andiamo a produrre una serie di globine di tipo diverso che vengono via via
sostituite prima della nascita e anche dopo la nascita. La diversa sostituzione di queste globine è
fondamentale perché serve ad andare a produrre globine che permettano un più efficiente trasporto
dell'ossigeno. Prima della nascita,
prima della respirazione, il
nutrimento e l'ossigenazione del
feto avviene attraverso la placenta
quindi non attraverso l’atto
respiratorio, di conseguenza
l'affinità dell'emoglobina per le
molecole di ossigeno è
completamente diversa. [Tabella]
Con l’atto espiratorio, proprio il
giorno 0 della nascita, cominciano
a scendere le catene di tipo gamma (prodotte prevalentemente durante il periodo fetale) e cominciano
ad essere prodotte le catene di tipo beta (tipiche dell’emoglobina dell’adulto).
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 16 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
Scambi gassosi. Gli scambi gassosi avvengono a livello dei tessuti e a livello del polmone. Circa il 90%
della CO2 non viene trasportata come tale ma viene prima convertita in ione bicarbonato HCO3 e poi nel
momento in cui si arriva in una zona in cui la pressione parziale di ossigeno è maggiore (quindi a livello
del polmone) lo ione bicarbonato viene nuovamente riconvertito in CO 2 e si ha lo scambio a livello
dell’alveolo polmonare. Questo tipo di riconversione avviene attraverso un enzima che si chiama
anidrasi carbonica. Si ha quindi il rilascio e il recupero dell'ossigeno che avviene in direzione opposta. I
2 processi sono rispettivamente accoppiati alla deossigenazione (deossiemoglobina) e all’ossigenazione
dell’emoglobina (ossiemoglobina) e permettono di trasportare l’ossigeno all’interno del globulo rosso.
Se ci fossero legami stabili o se venisse alterata quella che è l'attività dell'anidrasi carbonica il globulo
rosso non verrebbe correttamente ossigenato a livello del distretto polmonare e quindi non riuscirebbe
a portare ossigeno a livello della periferia.
Metabolismo eritocita. Il globulo rosso possiede un suo metabolismo. È presente un’alta percentuale
di proteine, oltre all’emoglobina, rappresentata da proteine enzimatiche. Abbiamo quindi l’anidrasi
carbonica, le proteine legate al meccanismo che permette di mantenere lo stato ridotto dell’atomo di
ferro, le proteine che servono a mantenere elevate concentrazioni di potassio all'interno della cellula e
basse concentrazioni di calcio e sodio e soprattutto il metabolismo deve essere atto a mantenere quella
che è la forma biconcava del globulo rosso. L'alterazione della forma del globulo rosso fa identificare la
cellula come anomala e quindi come una cellula che deve andare incontro a un fenomeno di distruzione
(si ha quindi un fenomeno di emocateresi).
Ricambio globuli rossi. Il globulo rosso va incontro a morte dopo circa 120 giorni. Le cellule che
svolgono attività fagocitaria identificano i globuli rossi che devono essere distrutti individuando le
modificazioni delle molecole esposte sulla superficie del globulo rosso. Ad esempio se si ha un aumento
dell'esposizione di acido sialico sulla superfice del globulo rosso questo significa che c’è un aumento di
acido sialico all’interno del globulo rosso. Questo fenomeno identifica un globulo rosso invecchiato che
deve essere distrutto. Anche stress meccanici severi possono andare ad alterare quella che è la
morfologia del mio globulo rosso e quindi ovviamente anche in questo caso si assiste alla distruzione
del globulo rosso stesso. Altre alterazioni che modificano la morfologia del globulo rosso possono essere
legate a delle patologie. Ad esempio alcune anemie sono legate alla produzione di un globulo rosso che
ha una forma anomala e che viene riconosciuto dal corpo come tale (e che viene quindi distrutto).
Esempi di questo tipo possono essere legati ad alterazioni del citoscheletro, come nel caso della
elissocitosi ereditaria, (immagine a sinistra) dove il globulo rosso anziché essere a forma biconcava ha
la forma di pavesino, quindi ha una forma più allungata e ovaloide, non schiacciata. Questo globulo rosso
anomalo verrà distrutto. Poiché c’è un'alterazione genica dal midollo osseo (sede nella quale vengono
prodotti i globuli rossi), continueranno ad essere prodotte cellule con questa morfologia. Situazione
diversa invece è quella dell’anemia falciforme (immagine a destra) in cui l'alterazione non è ad opera
della direttamente delle proteine del citoscheletro ma della molecola di emoglobina. Qui c'è
un'alterazione nella catena beta dell'emoglobina, come abbiamo detto in precedenza l’emoglobina si
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 17 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
lega alle componenti del citoscheletro della membrana per mantenere la struttura del globulo rosso.
Questa alterazione dell’emoglobina si ripercuote su quella che è la forma della cellulare e quindi anche
in questo caso il globulo rosso viene distrutto molto più precocemente dei 120 giorni ma continuerà a
essere prodotta in maniera normale da parte del midollo. Quindi questa è una la patologia non legata
alle strutture proteiche di globulo rosso ma alla alterazione della molecola dell'emoglobina.
La sede di funzione può essere rappresentata dai tessuti connettivi o dagli organi linfatici secondari. La
forma delle cellule è variabile se le serviamo prevalentemente a livello del torrente circolatorio o se le
osserviamo a livello dei tessuti connettivi (forma tonda nei vasi, forme varie nel connettivo). Oltre alla
difesa dalle tossine si occupano anche della attività fagocitaria, quindi si preoccuperanno sia della
distruzione degli elementi estranei (elementi patogeni) che delle cellule morte e dei residui cellulari (si
occupano quindi anche dell’emocateresi).
Da un punto di vista morfologico normalmente classifichiamo le cellule della serie bianca in:
- cellule che possiedono delle granulazioni evidenti a livello del citoplasma (granulociti neutrofili
eosinofili e basofili a seconda delle affinità tintoriale dei grandi presenti all'interno del
citoplasma)
- cellule non granulante (monociti e linfociti).
Se dobbiamo considerare i globuli bianchi che circolano nel sangue abbiamo detto che sono massimo
10 mila per millimetro cubo; in realtà non sono tutti rappresentati nella stessa maniera. La percentuale
dei globuli bianchi che circolano all'interno del torrente circolatorio viene normalmente definita la
formula leucocitaria. La formula leucocitaria è una classificazione (“una sorta di hit parade”) di come
le diverse tipologie di globuli
bianchi sono presenti all'interno
del vostro torrente circolatorio.
Le cellule maggiormente presenti
in uno striscio di sangue sono i
granulociti neutrofili che
arrivano a rappresentare fino al
75% dei globuli bianchi
circolanti. Le seconde cellule
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 18 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
presenti (“quindi quelle che hanno ricevuto un maggior gradimento”) sono sicuramente i linfociti che
possono arrivare addirittura un 50-55% di presenza - questi sono ovviamente i valori normali. I
monociti raggiungono normalmente il 3-8%. Eosinofili e basofili sono estremamente rari all'interno del
torrente circolatorio, possono raggiungere massimo un 6% nel caso degli eosinofili e massimo un 2%
nel caso della dei basofili.
Perché sono importanti queste percentuali? Perché qualsiasi alterazione di questi rapporti percentuali è
indice di un fenomeno patologico in atto che può essere solo un fenomeno infiammatorio (quindi un
fenomeno transitorio) ma che purtroppo può essere anche indice di alcune patologie più gravi che
necessitano di terapie molto mirate. (Può essere anche una patologia non particolarmente grave, ad
esempio infezione che genera la mononucleosi vi porta a una completa alterazione di quello che è il
numero di neutrofili e linfociti circolanti, ma non è altrettanto grave come una patologia neoplastica a
carico della serie bianca del sangue). La formula leucocitaria come abbiamo detto indica la percentuale
di globuli bianchi che sta circolando, però la maggior parte dei globuli bianchi si trova al di fuori del
circolo ematico. Le cellule della serie bianca del sangue infatti sono in grado di aderire a quella che è la
componente endoteliale (quindi le cellule di rivestimento del mio del vaso), di scollare le cellule epiteliali
e quindi di portarsi a livello del tessuto connettivo. Questo prende il nome di diapedesi. le cellule che
più facilmente fanno diapedesi a livello del torrente circolatorio sono i granulociti (i granulociti
neutrofili soprattutto).
Granulociti.
Cellule globose con diametro medio tra i 10 e i 12 micrometri. Se io vado a considerare la distribuzione
dei granulociti devo tenere conto che, seppur ci sono moltissimi granulociti a livello del torrente
circolatorio, queste cellule sono prodotte in quantità particolarmente elevata dal midollo e la maggior
parte di esse si trovano nei distretti periferici. Quindi diventa difficile se non impossibile avere un'idea
di quanti granulociti neutrofili abbiamo all'interno del nostro organismo. I granulociti fuoriescono dal
torrente circolatorio perché vengono attirati da specifici stimoli chimici attraverso un meccanismo che
si chiama chemiotassi. Per chemiotassi si intende la produzione di molecole che arrivano a livello del
tessuto connettivo e richiamano i granulociti , li fanno entrare attraverso scollando le cellule endoteliali
e li fanno entrare nel tessuto connettivo. Questo meccanismo di diapedesi si attua attraverso un
meccanismo di rolling (cioè di circolazione) via via sempre più lento. Le cellule granulocitari vengono
riconosciute delle molecole particolari di adesione che si chiamano selectine, queste selectine tendono
a rallentare sempre di più il flusso dei globuli bianchi lungo il letto vascolare e successivamente lo
bloccano. Il granulocita cambia la
sua morfologia, si schiaccia diciamo
così, per poter passare all'interno
della dell'apertura che si forma tra
le due cellule endoteliali e viene
portato all'interno del tessuto
connettivo. La funzione del
granulocita neutrofilo è una volta
che viene richiamato a livello del
tessuto connettivo è quella di
svolgere un'attività di difesa.
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 19 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
- Granuli primari che sono fondamentalmente lisosomi e che contengono dei peptidi
fondamentali per l'attività difensiva. Ad esempio le difensine e le catelicidine
- Granuli specifici, che contengono enzimi come le collagenasi e le gelatinasi che servono a
modificare la fluidità della matrice extracellulare nella quale si trova, quindi per facilitare
l’attività di difesa, e anche il lisozima che è una molecola che ha attività batteriostatica.
- Granuli terziari che contengono metalloproteasi, che sonodegli enzimi che mi servono per
andare a modificare quella che è la struttura della matrice extracellulare
Il ruolo difensivo dei neutrofili: nel caso in cui ci sia un danno quindi
un ingresso di batteri da una lesione in un epitelio. I batteri producono
delle chemochine, quindi delle sostanze che sono in grado di attirare i
granulociti neutrofili che effettuano una diapedesi e vanno a svolgere la loro attività difensiva. L'attività
difensiva si svolge attraverso la formazione di fagosomi, quindi emissioni di elementi del citoscheletro
per inglobare l'elemento patogeno. I granuli specifici si fondono con la membrana del fagosoma e
liberano enzimi lisosomiali. La fagocitosi dei neutrofili determina la formazione di specie reattive
dell'ossigeno che portano alla morte del granulocita neutrofilo una volta che ha distrutto l'elemento che
ha ingerito. Quindi è vero che i granulociti neutrofili svolge un’attività difensiva, è vero che svolge
un’attività fagocitaria, ma spesso questa attività fagocitaria è associata alla produzione di specie reattive
dell'ossigeno che portano alla morte del mio granulocita neutrofilo. Questo fenomeno è facilmente
identificabile da un punto di vista macroscopico perché la morte dei granulociti è identificabile in quello
che normalmente conosciuto come pus.
I granulociti eosinofili normalmente contrastano alcune reazioni allergiche e sono importanti per la
difesa del nostro organismo nei confronti di infezione di tipo parassitario. Saranno quindi marcatamente
presenti all'interno dei tessuti connettivi lassi di tutto l'apparato digerente, perché le infezioni
parassitarie sono quelle alle quali andiamo incontro attraverso l'alimentazione, attraverso l'ingestione
di alimenti alterati. Attraverso questo sistema vengono portati questi antigeni alterati a livello della
mucosa dell'apparato digerente, qui le cellule granulocitarie eosinofile potranno svolgere la loro
funzione di difesa.
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 20 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
I granulociti sono spesso e volentieri nelle loro nella colorazione risultano molto colorati in bluastro
quindi è difficile riuscire ad andare a identificare il nucleo all'interno della cellula e sono importanti nelle
reazioni di ipersensibilità immediata e nelle reazioni allergiche, tipo l'orticaria e l'asma. Questo perché
all'interno di questi granuli noi abbiamo la presenza soprattutto di eparina e istamina. L’istamina è un
vasodilatatore ed è uno è una delle molecole principali che determinano la lacrimazione e la comparsa
di fenomeni asmatici. Sulla superficie dei granulociti basofili così come sulla superficie dei mastociti (tra
i basofili e mastociti c'è una grossa affinità, hanno sicuramente un precursore comune durante lo
sviluppo embrionale, ma poi durante la vita adulta hanno un'origine differente) si hanno dei recettori
per una classe specifica di anticorpi che è la classe delle immunoglobuline le immunoglobuline della
classe IgE. Queste immunoglobuline sono in grado di legarsi sulla superficie dei basofili e una volta che
si legano sulla superficie determinano il rilascio di istamina.
Come avvengono i fenomeni allergici? La prima volta che vengo a contatto con un agente che per me
diventerà un allergene, quindi un agente che determina la comparsa di una reazione allergica, il sistema
immunitario identifica la mia entità come un'entità estranea e quindi produrrà nei confronti di questo
elemento delle immunoglobuline,
comprese la classe delle immunoglobuline
di tipo E. Queste immunoglobuline di tipo E
vanno al legarsi fisiologicamente attorno
alla membrana dei miei basofili.
Nel secondo contatto con lo stesso antigene le mie immunoglobuline che si trovano attaccate sulla
superficie del mastocita o del basofilo saranno in grado di riconoscere questo agente, perché sono state
costruite apposta per riconoscerlo. Abbiamo quindi il mastocita con legata la immunoglobulina (piccole
Y nella foto) tramite una porzione transmembrana che modifica quella che è l'attività interna del
mastocita. Quando il polline si lega alla immunoglobulina (alla Y) si genera una reazione all’interno del
mastocita che produce istamina che viene liberata. L’istamina, a questa seconda del distretto corporeo
dove viene liberata, determinerà la
lacrimazione, l’eccessiva produzione di
muco e di secreto da parte delle cellule degli
epiteli dell'apparato respiratorio o nei casi
ancora molto più gravi causerà lo shock
anafilattico.
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 21 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI
Funzione: i granulociti basofili svolgono funzioni simili a quelle svolte dai mastociti nei tessuti
connettivi, sono però più mobili e vita più breve. Presentano sulla membrana specifici recettori per delle
immunoglobuline IgE secrete dalle plasmacellule. Questi, quindi, legano tali immunoglobuline quando
particolari allergeni ne inducono la formazione. Una seconda esposizione all’allergene specifico induce
il rilascio degli agenti vasoattivi contenuti nei granuli.
I granulociti basofili possono essere responsabili di patologie allergiche come l’asma, dovuta al rapido
rilascio da parte di queste cellule di sostanze come i leucotrieni e l’istamina. Nel Lupus (LES) malattia
autoimmune si hanno gravi conseguenze sistemiche dovute a un iper attivazione di queste cellule.
Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 22 di 22
ISTOLOGIA II
“CELLULE NON GRANULARI DEL SANGUE E SISTEMA IMMUNITARIO”
ID lezione IST06 Modulo Istologia II
Data lezione 18 Marzo 2021
Autore Linda Martelli, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese
Lezione
Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima
tenuta da
Argomento Cellule non granulate del sangue, Sistema immunitario
Eventuali
Slide proiettate a lezione.
riferimenti
Formula leucocitaria
Questa formula ci indica la percentuale dei globuli bianchi circolanti nel sangue
MONOCITI
Nei tessuti connettivi propriamente detti sono presenti macrofagi tissutali, cioè giunti in quel tessuto
precocemente durante lo sviluppo embrionale fetale mentre altri macrofagi presenti sono quelli che
giungono dal torrente circolatorio.
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO
LINFOCITI
LINFOCITI CIRCOLANTI:
PIASTRINE
Non sono cellule ma elementi corpuscolati, infatti non sono dotate né di nucleo
né della componente utile alla sintesi proteica, hanno un diametro di circa 2-4
micron.
Non sono altro che frammenti cellulari prodotti a livello del midollo osseo,
ovvero la sede di sintesi di tutte le popolazioni cellulari del sangue nell’adulto, in
particolare le piastrine derivano dai megacariociti. I megacariociti sono cellule
Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 2 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO
molto grandi, plurinucleate e a livello del midollo osseo emettono propagazioni del loro citoplasma
che poi vengono tagliate e da cui si originano le piastrine. La vita media delle piastrine è piuttosto
limitata, ovvero di 8-10 giorni, dopodiché vengono distrutte soprattutto a livello della milza.
Al centro delle piastrine si identifica la zona degli organelli (o zona dei granuli) a livello della quale
sono presenti diversi tipi di granuli:
Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 3 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO
Nel momento in cui la piastrina viene attivata per mezzo della liberazione dei granuli δ, e quindi per
mezzo della liberazione di ATP e ADP, le piastrine si uniscono tra di loro. La secrezione dei diversi tipi
di granuli caratterizza tappe differenti del meccanismo di coagulazione del sangue.
Nel suo complesso questo sistema tiene conto soltanto delle piastrine e della loro attività, ma anche:
In particolare, i fattori anticoagulanti evitano che ci sia un’eccessiva o anomala coagulazione e insieme
a quelli pro-coagulanti instaurano un equilibrio. Se questo viene alterato, si possono istaurare
disordini emorragici dovuti per esempio a una riduzione del numero delle piastrine o all’alterazione
di fattori della cascata coagulativa e ciò non garantiscono il risultato finale ovvero la coagulazione.
L’effetto contrario comporta disordini trombotici, questo potrebbe essere legato a un eccesso di
piastrine (non frequente), molto più spesso è dovuto a una alterazione di fattori inibitori del
meccanismo coagulativo oppure fattori che vanno ad attivare in maniera scorretta le piastrine,
portando a uno squilibrio tra la quantità di coagulo prodotta e la quantità di coagulo che può essere
eliminata.
Le piastrine presentano sulla superficie delle proteine che ne impediscono l’aggregazione, questo
fattore è determinato anche da elementi presenti sulla superficie dell’endotelio. Le cellule endoteliali
presentano delle molecole particolari, come un GAG chiamato eparan-solfato espresso per mezzo della
lamina basale, che permettono di evitare l’adesione delle piastrine alla parete endoteliale.
Nel momento in cui si ha la rottura di un vaso sanguigno e quindi della sua membrana basale, viene
esposto il tessuto connettivo sottostante all’endotelio. Il collagene esposto comporta l’aggregazione
delle piastrine che liberano serotonina e altre sostanze inducendo vasocostrizione e quindi riducendo
il flusso sanguigno in quel punto, le piastrine continuano nell’aggregazione agganciandosi al collagene.
A questo punto le piastrine stesse rilasciano le sostanze contenute nei loro granuli, compreso
fibrinogeno e fattori della coagulazione e inizia a formarsi il coagulo.
Il coagulo si forma nel momento in cui il fibrinogeno, presente nel plasma e in piccola parte nelle
piastrine, si trasforma in fibrina, questa che origina maglie tridimensionali dove si aggregano piastrine
ma verranno imprigionati anche globuli rossi e globuli bianchi.
Una volta che il sistema coagulativo si è innescato, i fattori, compresi quelli di crescita quelli liberati
dalle piastrine, vanno a ricostruire la lesione vascolare e tramite il meccanismo di ritrazione del
coagulo viene eliminata la fibrina (fibrinolisi) con ripristino della pervietà del vaso.
Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 4 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO
CASCATA COAGULATIVA
Il sistema si basa su un meccanismo a cascata di una serie di fattori presenti nel plasma e in parte nelle
piastrine. Questi fattori non sono altro che enzimi, una volta attivati agiscono sui fattori successivi
attivandoli e così via uno dietro l’altro.
• VIA ESTRINSECA: si instaura a causa dell’esistenza di una vera e propria lesione tissutale.
Questa lesione porta alla liberazione di un fattore tissutale, una proteina di membrana, il
fattore attivato comporterà a seguito di diverse reazioni l’attivazione del fattore X
• VIA INTRINSECA: si instaura all’interno del vaso sanguigno, quindi prevalentemente coinvolta
nella cascata coagulativa. Questa prevede l’attivazione del fattore VIII (fattore di Von
Willebrand) e IX, tra l’altro coinvolte in gravi malattie genetiche ovvero due tipi di emofilie.
Quella che coinvolge il fattore VIII (piastrinico), la più conosciuta, è l’emofilia di Von
Willebrand.
Quest’ultimo meccanismo si attua anche nel momento in cui in un campione di sangue
prelevato da un paziente non si inserisce l’anticoagulante, infatti le piastrine riconosceranno la
superficie della provetta, diversa rispetto a quella dell’endotelio, e attiveranno la coagulazione.
Indipendentemente dalla modalità utilizzata l’elemento chiave è l’attivazione del fattore X, questo
porta all’attivazione dell’enzima che mi trasforma la protrombina in trombina. La trombina induce
proprio il taglio delle molecole di fibrinogeno producendo fibrina in piccoli frammenti, questi ultimi si
aggregheranno costituendo una rete tridimensionale.
I fattori anticoagulanti che regolano questa cascata sono per esempio la protrombina, che ha
un’attività inibitoria verso la fibrina e quindi evita un eccessiva formazione del coagulo. Altri elementi
regolano l’attivazione del fattore V e infine molecole in grado di scindere il coagulo per eliminarlo.
Un eccesso di coagulo comporta la modificazione dell’aerologia, ovvero del flusso sanguigno, a questo
livello e l’aumentare la quantità di piastrine, globuli rossi che si legano al vaso fino all’occlusione.
1. EMOSTASI PRIMARIA: legato alla vasocostrizione delle piastrine che aderiscono al vaso
lesionato per poi aggregarsi tra loro. Nell’aggregazione piastrinica si ha un vero e proprio
cambiamento morfo-strutturale che facilita il rilascio di fattori della coagulazione
Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 5 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO
SISTEMA IMMUNITARIO
È rappresentato da un sistema di cellule e molecole coinvolte nella protezione dell’organismo
dall’azione di agenti a esso estranei.
• Antigeni: normalmente sono grandi molecole estranee come per esempio proteine o
carboidrati, il nome deriva da antibody gene rating
• Epitopi: porzione specifica di un antigene, riconosciuta dall’anticorpo
• Apteni: piccole molecole organiche (es. piccole proteine o piccoli carboidrati) legate dagli
anticorpi ma non attivano risposta immunitaria, diventano antigenici se legati a una molecola
più grande (es. lattosio)
Esistono due tipi di immunità che collaborano per la difesa del nostro organismo:
IMMUNITA’ NATURALE (o innata): formata da una serie di meccanismi di difesa non specifici,
evoluzionisticamente antichi, presenti fin dalla nascita di un individuo. Rappresenta la prima vera
barriera di difesa dell’organismo verso agenti patogeni e agisce immediatamente
Intervengono in essa tutti i globuli bianchi (granulociti, macrofagi e natural killers)
Infiammazione
Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 6 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO
Nel momento in cui si presenta una lesione a livello di un tessuto, viene a rompersi la continuità di
quest’ultimo e ciò permette la penetrazione di batteri che inviano segnali chimici inducendo a
rigonfiamento della zona (rilascio interleuchine e chemiochine). La chemiotassi data da questi segnali
richiama granulociti neutrofili e monociti che maturano in macrofagi, questi svolgono attività
fagocitaria e la temperatura della zona inizierà ad aumentare. Lo sviluppo di queste condizioni ha un
effetto batteriostatico, successivamente la fagocitosi porta a distruzione dei batteri. Alcuni monocito-
macrofagi hanno attività pro-infiammatoria, mentre i monocito-macrofagi della classe M2
intervengono dopo che avvenuto tutto questo fenomeno liberando interleuchine antinfiammatorie per
ripristinare l’omeostasi tissutale.
L’immunità innata, come già accennato, è immediata infatti si attua tramite il fenomeno
d’infiammazione entro le 96 ore. Nonostante ciò, è altamente efficiente ma non ha memoria
immunologica.
Le sue componenti sono rappresentate da:
• BARRIERE FISICO-CHIMICHE: pelle, mucosa vaginale (il suo pH impedisce la crescita
batterica), mucosa bronchiale (caratterizzata da muco che imprigiona sostanze inspirate e
cellule ciliate), mucosa nasale, saliva e lacrime dove troviamo lisozima con attività battericida.
• PROTEINE EMATICHE: tra cui i componenti del sistema del complemento e altri mediatori
dell’infiammazione
• FATTORI SOLUBILI: sostanze che agiscono sulle altre cellule, come ad esempio citochine
prodotte dai macrofagi tra cui INFγ – INF β, che stimolano cellule immunitarie
Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 7 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO
Sono le cellule linfocitarie più grandi, infatti sono anche detti grandi
linfociti granulari. Questi sono in grado di agire in maniera diretta nei
confronti di cellule infettate da virus e in parte verso cellule neoplastiche,
grazie a un riconoscimento recettoriale. Quando il legame avviene i
linfociti NK producono delle molecole dette perforine che distruggono la cellula con cui il
linfocita è venuto a contatto
Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 8 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO
L’immunità acquisita invece si instaura in relazione all’instaurarsi della immunità innata, quindi si
hanno tempi di risposta più lunghi e presenta memoria immunologica. Le sue caratteristiche sono:
SPECIFICITA’: infatti ogni linfocita presenta sulla superficie un recettore che riconosce un solo
epitopo o determinante antigenico (porzione proteica o polisaccaridica e dell’antigene riconosciuta
dall’anticorpo).
DIVERSITA’: Ogni individuo possiede un “repertorio linfocitario” per discriminare almeno 109 diversi
determinanti antigenici
MEMORIA: il sistema immunitario risponde a un particolare antigene estraneo in maniera più efficacie
quando è già entrato in contatto con tale antigene una prima volta. Le risposte immunitarie
secondarie sono più rapide e più intense
DISCRIMINAZIONE del self dal non-self: le cellule del sistema immunitario sono capaci di riconoscere,
rispondere ed eliminare antigeni estranei (non-self) senza reagire contro i componenti antigenici del
proprio stesso organismo (self). Questo fenomeno è detto tolleranza e viene originato al momento
della maturazione linfocitaria dove i linfociti vengono “istruiti” a riconoscere e distinguere cellule self
da quelle non self.
Anomalie nell’induzione o nel mantenimento della tolleranza verso il self portano alla generazione di
risposte immuni verso gli antigeni autologhi provocando malattie “autoimmuni”
Linfociti
I linfociti normalmente sono a riposo, possono diventare cellule più immature come già definito in
precedenza, e poi diventare cellule in grado di svolgere la loro funzione. Anche la morfologia cellulare
nel corso di questi processi si modifica, quindi si hanno cellule con un elevato rapporto
nucleo/citoplasma quando queste non hanno ancora acquisito completamente la loro funzione e
successivamente con l’acquisizione di uno specifico ruolo si osserva una certa polarizzazione cellulare
Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 9 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO
L’acquisizione del ruolo funzionale dei linfociti avviene tramite migrazione a livello degli organi
linfoidi primari, quindi per i linfociti B avviene nel midollo osseo mentre per i linfociti T avviene nel
timo. A questo livello le cellule saranno istruite e caricate di molecole importanti per le loro funzioni e
successivamente si ha un ulteriore migrazione verso organi linfoidi secondari (milza, linfonodi,
sistema linfatico diffuso). Negli organi linfoidi secondari i linfociti entrano in contatto con antigeni,
situati in queste zone perché trasportati dal sistema linfatico, ciò fa si che i linfociti possano proliferare
molto e differenziarsi in due popolazioni di cloni cellulari:
L’attività di queste due popolazioni cellulari non viene quasi mai svolta in circolo ma a livello di tessuti
periferici (linfonodi, tessuto connettivo)
Linfociti T
Il TCR (T-cell receptor) è una proteina transmembrana che serve al linfocita T per riconoscere cellule
infettate, quindi cellule presentanti l’antigene (APC). Essendo una proteina trans membrana è
costituita da una porzione extracellulare per riconoscere la cellula infettata e una porzione
intracellulare che al variare della porzione esterna sarà responsabile della produzione di un segnale
all’interno del linfocita
Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 10 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO
Linfociti B
Una volta che il linfocita B ha riconosciuto il suo antigene, si attiverà, diventerà una cellula funzionante
o una cellula della memoria e si trasforma in plasmacellula. La plasmacellula è un laboraorio di
produzione degli anticorpi, esse si trovno localizzate soprattutto a livello dei tessuti connettivi lassi
(l’attività immunitaria si svolge soprattutto a livello dei tessutoi connettivi e degli organi linfoidi
secondari come milza e linfonodi)
Possediamo 2 tipi di immunità: immunità cellulo mediata dovuta ai linfociti T, immunità umorale
mediata da anticorpi mediata da linfociti B. L’ Imunità cellulo mediata si basa sul fatto che il linfocita T
non è in grado di riconoscere l’antigene a meno che questo non gli venga presentato da un’altra cellula,
la cosiddetta cellula presentante l’antigene. Funge da cellula presentante l’antigene ad esempio il
macrofago che è in grado di mangiare una sostanza estranea, attraverso uesto sistema è in grado di
presentare degli elementi sulla sua superficie che possono essere riconosciuti dal linfocita T. Il
linfocita B non è in grado di fare fagocitosi, può essere infettato da un virus, se viene infettato da un
virus il virus si replica all’interno del linfocita B, gli elementi di replicazione vengono espressi sulla
superficie del linfocita B in maniera he il linfocita T possa riconoscerlo. La principale popolazione che
svolge l’attività di cellula presentante l’antigene è la cellula dendritica che sono cellule che si trovano a
livello di vari distretti anatomici, si trovano a livello del polmone, intestino, mucosa gastrica. Nel
momento in cui entra un agente estraneo che può essere un batterio o un virus, queste cellule fanno
fagocitosi e presentano l’elemento ai linfociti T che in questo modo sono in grado di esplicare la loro
funzione. Un esempio di cellule dendritiche sono le cellule di Langherans che nel momento in cui
catturano l’antigene o cambiano di morfologia esprimono sulla superficie una serie di molecole che
vengono riconosciute da dei linfociti T, il linfocta T si attiva, diventando attivato è in grado di legarsi
alla cellula e riconoscere l’antigene e scatenare la
risposta immunitaria di tipo cellulo-mediata.
Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 11 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO
infettate perché gli viene conferito l’elemento estraneo associato alla molecola sono differenziate in 2
popolazioni cellulari che svolgono attività diversa in relazione alla molecola di MHC che viene
presentata da parte della cellula.
Nel caso in cui venga infettata una cellula che non appartiene alle
normali cellule presentanti l’antigene e quindi è più facile che sia
un’infezione virale (è indipendente dal meccanismo di
fagocitosi). Nel caso
in cui venga
espresso sulla
superficie una
molecola di
istocompatibilità di
classe I si attivano i
linfociti I CD8+ che
hanno attività
citotossica diretta.
L’immunità umorale o specifica è mediata da anticorpi, gli anticorpi possiedono sulla loro superficie
un’immunoglobulina che si trova come recettore sulla membrana sul linfocita, una volta che il linfocita
si trasforma in plasmacellula produce degli anticorpi che
diventeranno anche anticorpi circolari.
Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 12 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO
della catena pesante che sono le: IgM, IgG, IgA, IgD, IgE che si trovano dislocate in maniera diversa
nelle varie secrezioni e tessuti. Esistono solo 2 tipi di catene leggere: catena alpha e catena lambda. Il
sistema immunitario attraverso lo splicing alternativo ha la possibilità di produrre anticorpi che
riconoscono lo stesso antigene ma sono diverse dal punto di vista della classe.
Immunoglobuline:
• La classe IgM è quella a più alto peso molecolare, va a costituire attraverso dei legami dei
pentameri, rappresentano circa il 6% delle immunoglobuline circolanti, sono le prime
immunoglobuline che vengono prodotte durante la risposta primaria, vivono in media circa 6
giorni.
• La classe IgG sono quelle maggiormente rappresentate, si suddividono in varie sottoclassi, è il
principale anticorpo prodotto nella risposta secondaria, sono le uniche immunoglobuline che
possono attraversare la barriera fetoplacentare e vengono coinvolte nella malattia emolitica
del neonato, incompatibilità fetale del fattore Rh. Questa patologia è dovuta a delle
immunoglobuline della classe IgG che dopo la prima gravidanza possono attraversare la
barriera fetoplacentare e creare danno nell’eventualità di un feto Rh positivo con madre Rh
negativa. L’identificare di un aumento delle IgM nei confronti di un determinato agente
patogeno indica in linea di principio la presenza di un’infezione in atto, la presenza delle sole
IgG indica il superamento della patologia, la presenza di IgM e IgG indica che la patologia è in
parte in atto ma si è già attivata la risposta di tipo secondario. La durata delle IgG in circolo è in
media 21 ma dipende dai diversi agenti patogeni.
• Le IgA sono dei dimeri e vengono prodotte dalle plasmacellule che si trovano nelle sedi dove ci
sono secrezioni, si trovano a livello delle lacrime, della saliva, colostro (primo latte prodotto
dalla madre).
• Le IgD sono quelle maggiormente rappresentate sulla superficie cellulare ma sono poco
circolanti. Il linfocita B quando viene in contatto con l’antigene ha sulla sua superficie le IgM e
le IgD, nel momento in cui si ha il riconoscimento antigenico viene portata dentro
l’informazione, vengono generate da subito le IgM, successivamente verranno prodotte tutte le
classi di immunoglobuline.
• Le IgE vengono prodotte nelle risposte allergiche e trovano la loro sede di attacco una volta
prodotte e secrete sulla superficie dei mastociti o dei basofili, sono responsabili della rottura
della membrana dei mastociti o dei basofili con la liberazione di istamina
La funzione anticorpale è quella di legarsi in vari distretti e facilitare meccanismi come la fagocitosi o
favorire l’attivazione del complemento per favorire la lisi cellulare. Una volta che le cellule T e B
vengono attivate vanno incontro a proliferazione andando a costituire il cosiddetto clone cellulare che
si adatterà per andare a costituire sia cellule effettrici che cellule della memoria. Nel caso delle cellule
B effettrici, si differenzieranno in plasmacellule per la produzione di anticorpi.
Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 13 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO
A livello 0 si ha il primo contatto con l’antigene. Nella risposta immunitario di tipo secondario produco
già IgG da subito, quindi la risposta è più rapida e il livello di anticorpi secreti è nettamente più elevato.
Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 14 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II VID02 - EMOPOIESI
ISTOLOGIA II
“EMOPOIESI”
ID lezione VID02 Modulo ISTOLOGIA II
Data lezione 20 marzo 2021
Autore Elisa Micci
Lezione
Prof. Monica Mattioli Belmonte
tenuta da
Argomento Emopoiesi
Eventuali
Lezione caricata sul sito learn
riferimenti
-mesoblastica: avviene nel sacco vitellino che si forma durante la seconda settimana di vita intrauterina
a livello del mesoderma extraembrionale e qui le cellule mesenchimali si iniziano ad aggregare tra loro
formando isole sanguigne. Le cellule periferiche andranno a costituire le pareti vasali mentre le altre
diventeranno eritroblasti che si differenzieranno in eritrociti nucleati
-epatica: avviene durante la sesta settimana, gli eritrociti sono ancora nucleati e solo durante
l’ottava settimana si iniziano a produrre leucociti
Il midollo osseo
Il midollo osseo è l’unico organo deputato alla sintesi degli elementi figurati del sangue e produrrà
perciò sia globuli bianchi che globuli rossi che piastrine. È un organo disperso, contenuto nel canale
diafisario scavato nel tratto centrale delle ossa lunghe e nelle cavità del tessuto spugnoso per un peso
complessivo nell’adulto di 1500-3500 grammi con una spiccata variabilità individuale.
Inizialmente buona parte si trova nella cavità delle ossa lunghe, poi con il passare del tempo tende a
ridursi e a rimanere nell’adulto soprattutto nelle creste iliache.
• rosso così definito per la presenza di una fitta rete di capillari, di cellule emopoietiche di cui
soprattutto globuli rossi, infatti esso ha il compito di formare gli elementi figurati
• giallo che è prevalentemente formato da grasso (ricco di adipociti uniloculari) e in particolari
circostante può trasformarsi in midollo rosso a funzione emopoietica
• gelatinoso presente unicamente nelle persone anziane
Nell’adulto il midollo giallo si trova nel canale diafisario mentre il midollo osseo nel tessuto osseo
spugnoso soprattutto nelle ossa piatte della cresta iliaca e dello sterno.
Il midollo osseo viene infatti di solito prelevato in corrispondenza della cresta iliaca.
• mesenchimali
• ematopoietiche dalle quali si sviluppano tutte le cellule del sangue quindi parliamo di una
cellula iniziale pluripotente
Queste cellule sotto l’influenza di fattori tissutali e ormonali si differenziano nelle linee specifiche del
sangue.
(in questa immagine è rappresentato il midollo osseo spugnoso contenuto nell’epifisi delle ossa)
Il microambiente emopoietico
Questo tipo di struttura viene anche definito microambiente cioè la presenza di matrice extracellulare
che possa presentare determinate molecole e che possa favorire l’interazione cellula-cellula viene
definito microambiente, più esattamente nicchia emopoietica in questo caso. Quindi cellule stromali ed
emopoietiche che sono connesse tra loto tramite uno stroma a favorire l’interazione e il
differenziamento cellulare.
Ci sono una serie di fattori che mi permettono di favorire questo fenomeno come:
• istruire all’autorinnovamento cellulare dato che sono cellule staminali e che sono quindi in
grado da un lato di dare origine a cellule uguali a loro stesso e dall’altro di dare origine a cellule
che andranno incontro a differenziamento
• fornire uno spazio anatomico
• influenzare la mobilità cellulare
Il processo emopoietico avviene attraverso tre/quattro fasi successive che comportano la progressiva
riduzione delle potenzialità differenziative, la perdita della capacità proliferativa e l’acquisizione di
proprietà morfo-funzionali caratteristiche. Le cellule diventano quindi sempre più capaci di svolgere al
meglio la funzione a cui sono destinate.
Le cellule staminali emopoietiche pluripotenti e che sono in grado quindi di dare origine a tutte le
popolazioni corpuscolate del sangue sono circa l’0,1%. Parte di queste deve essere in grado di
mantenere la staminalità, parte comincia già un processo differenziativo e il primo a cui si assiste è la
separazione in due popolazioni di cellule che rimangono ancora pluripotenti ma si dividono in cellule
della linea mieloide responsabile della formazione di granulociti, eritrociti, piastrine e monociti e in
cellule della linea linfoide che produrranno linfociti B e T.
Normalmente queste cellule, difficilmente identificabili in singolo vengono identificate come gruppi di
cellule formanti colonie chiamate CFU-GEMM per il precursore mieloide e CFU-Ly per quello della linea
linfoide.
La maturazione è caratterizzata da molti aspetti comuni come:
La regolazione del processo emopoietico dipende da numerosi fattori come citochine e fattori di
crescita che vengono prodotti da cellule di tipo diverso. Si distinguono le citochine che sono polipeptidi
o proteine che fungono da segnali di comunicazione fra cellule e le interleuchine che sono citochine
prodotte dalle cellule del sistema immunitario.
• fattore delle cellule staminali SCF prodotto dalle cellule stromali che facilita l’adesione della
cellula staminale totipotente alle cellule stromali, in maniera da confinare le pluripotenti a livello
del midollo osseo
• interleuchine tra cui alcune come IL-1,-3,-6 servono a mantenere costante il numero delle
cellule pluripotenti, altre come la IL-3,-8,-11 servono a favorire il differenziamento in
progenitrici uni potenti
• eritropoietina fondamentale per la produzione di globuli rossi
• trombopoietina che stimola la formazione delle piastrine
Dalla cellula staminale emopoietica si ha una grossa distinzione in cellule progenitrice mieloide e
linfoide
Normalmente dal midollo osseo vengono rilasciati anche in piccola parte reticolociti ma
prevalentemente globuli rossi maturi che vivono circa 120 giorni e poi vengono distrutti dal sistema
vascolare prevalentemente quindi dalla milza e fegato e piccola parte a livello intravascolare
La formazione di globuli rossi richiede circa 7/8 giorni e tanto maggiore sarà la produzione di
eritropoietina da parte del rene tanto maggiore sarà lo stimolo a produrre globuli rossi. L’eritropoietina
viene prodotta a livello renale perché l’apparato iuxtaglomerulare che si trova a livello del rene è in
grado di percepire la pressione parziale di ossigeno per cui in zone rarefatte come in alta montagna
viene prodotta eritropoietina che stimola la produzione di globuli rossi in maniera da sopperire alla
scarsità di ossigeno a livello atmosferico.
La mielopoiesi o granulocitopoiesi è quel processo che porta alla formazione dei granulociti basofili,
eosinofili e neutrofili che sono i più abbondanti.
Questo è il mieloblasto che diventa un promielocita a partire dal quale cominceremo ad avere il
differenziamento delle tre linee, ad esempio, per quanto riguarda l’eosinofilo si avrà il metamielocia
eosinofilo, poi la cellula eosinofila e infine l’eosinofilo vero e proprio.
Monocitopoiesi
Il megacariocita è una cellula molto grande che arriva fino a 100 micron di diametro contro i 12-14
micron delle altre cellule, si dispone vicino ai sinusoidi, cellule vascolari, e il suo citoplasma si frammenta
in seguito a invaginazione e quindi vengono emesse le singole piastrine. I rimasugli cellulari del
megacariocita verranno poi fagocitati dai macrofagi
Facciamo un breve accenno a quello che sarà il destino delle cellule destinate alla linfocitopoiesi.
La cellula staminale pluripotente commissionata per la linfocitopoiesi darà origine molto precocemente
a due popolazioni cellulari differenti, una che darà origine ai linfociti B e una ai linfociti T.
Le prime rimarranno all’interno del midollo osseo, dando origine a cellule che diventeranno linfociti
B immunocompetenti. Questi eventi identificati per la prima volta negli uccelli, in un organo
particolare chiamato la borsa di Fabrizio avvengono nei mammiferi nel midollo osseo che viene definito
organo linfatico primario.
Le secondo invece migreranno molto precocemente a livello del timo per far produrre i linfociti T e a
livello di questo organo ci sarà un’elevata selezione per fare in modo di produrre solo le cellule
immunocompetenti in grado di funzionare correttamente. Una volta ottenute queste cellule a livello del
timo sia i linfociti T che B migreranno a livello degli organi linfatici secondari dove sono in grado di
formare delle cellule di tipo immunocompetenti.
ORGANI LINFATICI
Esistono 2 tipi di organi linfatici:
La maturazione dei linfociti B e T è molto simile: si parte da una cellula staminale, la quale si
differenzia in pro-linfocita e poi in pre-linfocita (inizia ad avere recettori per riconoscere l’antigene). Il
linfocita immaturo dovrà essere sottoposto a un processo selettivo per diventare un linfocita maturo e
poi una vera e propria cellula effettrice.
La maturazione dei linfociti B inizia e termina a livello del midollo osseo (nel fegato durante lo
sviluppo fetale); mentre i linfociti T dovranno terminare il loro processo di differenziamento nel timo.
L’indirizzamento verso una linea B o T è indotto da particolari segnali che possono spingere il linfocita
verso il timo oppure farlo rimanere nel midollo e quindi farlo diventare un linfocita B.
Ad esempio, l’interleuchina 7 (IL-7) è importantissima per la maturazione del linfocita T, essa viene
sintetizzata a livello delle cellule stromali del midollo osseo e del timo.
ISTOLOGIA – Istologia II VID03 – ORGANI LINFATICI
MIDOLLO OSSEO
TIMO
Dopo essere stati prodotti a livello del midollo osseo, i timociti (linfociti T immaturi) arrivano al timo,
un organo linfoepiteliale che deriva dalla III e IV tasca faringea (parte cefalica dello sviluppo
embrionale). Il timo è un organo impari situato nel mediastino. È costituito da due lobi simmetrici ed
esternamente è racchiuso da una capsula connettivale, da cui partono trabecole che suddividono
l’organo in lobuli. Ogni lobulo è composto da una zona corticale periferica ed una zona midollare
centrale.
Il timo tende a degenerare con l’età (involuzione dai 16 anni in
poi) e tende a trasformarsi in tessuto adiposo. I timociti
maturano inizialmente nella corticale, poi trasferiti nella
midollare e infine vengono liberati nel flusso ematico per
arrivare agli organi linfatici secondari.
Dall’immagine è possibile distinguere i vari lobuli del timo e in ognuno identificare la regione corticale
(più scura) e la regione midollare. Cellule della corticale = timociti e cellule reticolo-epiteliali. Cellule
della midollare = linfociti T maturi, cellule dendritiche, macrofagi e corpuscoli di Hassall
(degenerazione delle cellule epiteliali).
La diversa colorazione dipende dal grado di maturazione dei linfociti, infatti sappiamo che i linfociti
sono delle cellule piuttosto piccole ma con elevato rapporto nucleo/citoplasma, quindi sono altamente
colorabili -> questo ci permette di comprendere che nella regione midollare passeranno solamente
pochi dei linfociti presenti nella corticale -> solamente il 5-10% dei linfociti della corticale
sopravvivono alle varie selezioni durante il processo di maturazione.
Di fondamentale importanza per la maturazione delle cellule T è il microambiente timico, cioè le varie
popolazioni cellulari con le quali i linfociti T possono entrare in contatto:
Le cellule interdigitali si trovano invece a livello della midollare e sono utili per favorire i contatti tra
cellule. Anche i macrofagi si trovano nella midollare e servono per eliminare le cellule che sono andate
in apoptosi durante la loro maturazione.
I precursori dei linfociti T, dopo essere stati prodotti a livello del midollo
osseo, vengono trasportati nel timo:
Le cellule che non maturano correttamente vengono eliminate per apoptosi o attraverso i macrofagi.
1. Selezione positiva = permette la sopravvivenza solo ai linfociti capaci di riconoscere MHC self,
gli altri vengono mandati in apoptosi. Quelli che sopravvivono, vengono trasformati a singola
positività:
✓ Se riconoscono MHC I -> esprimono CD8 (T citotossici)
✓ Se riconoscono MHC II -> esprimono CD4 (T helper)
2. Selezione negativa = tutti i linfociti che possiedono un’eccessiva affinità per le MHC vengono
mandati in apoptosi perché potrebbero creare problemi nel riconoscere cellule che hanno
subito alterazioni.
Al termine di questa doppia selezione, nella midollare avrò cellule singolo positive che sono pronte per
essere immesse nel torrente circolatorio ed essere trasportate negli organi linfatici secondari.
A questo punto abbiamo creato entrambe le popolazioni di linfociti, i quali però per svolgere la loro
azione devono entrare a contatto con l’antigene e devono coesistere insieme ai linfociti B e T, finora
divisi. Vengono quindi trasportati agli organi linfatici secondari.
Cosa è la linfa?
A livello dei capillari sanguigni avviene lo scambio di nutrienti, gas e liquidi con i vari tessuti
interstiziali. Non tutto il liquido fuoriuscito rientra però nei vasi sanguigni, infatti circa il 10% (3L/die)
rimane nei tessuti come liquido interstiziale. Questo liquido rimanente è chiamato linfa e, per
mantenere una corretta omeostasi, deve essere drenato e riportato nel torrente circolatorio tramite i
capillari linfatici (presenti in tutti i tessuti tranne denti, ossa, midollo osseo, cornea, cartilagini, SNC),
che confluiscono poi nei vasi linfatici. La circolazione linfatica è messa in moto dall’azione meccanica
dei muscoli, quindi non avviene sulla spinta di una pompa come lo è il cuore per il circolo sanguigno.
La linfa scorre attraverso i linfonodi, fino ad arrivare al dotto linfatico destro, che raccoglie quella
proveniente dall’arto superiore destro e dalla parte destra del tronco e della testa, e al dotto toracico,
che riceve la linfa da tutto il resto del corpo. Ogni dotto reimmette la linfa nel circolo venoso in
corrispondenza della giunzione tra giugulare interna e succlavia del proprio lato del corpo.
Vasi linfatici: costituiscono un sistema unidirezionale dove la linfa parte dai capillari linfatici e si
dirige unicamente verso il sistema cardiocircolatorio. I capillari linfatici permettono il drenaggio del
liquido interstiziale grazie alla loro elevata permeabilità garantita dalla presenza di minivalvole e
filamenti di ancoraggio.
Le minivalvole derivano dal fatto che le cellule epiteliali che costituiscono i capillari linfatici non sono
ben unite tra loro, possiedono dei margini distaccati che sporgono e permettono l’entrata di grandi
proteine e agenti patogeni.
• Recupero: reimmette in circolo proteine plasmatiche (1/3 del totale) e acqua (fino a 5L/die).
• Assorbimento: trasporta i chilomicroni dai villi intestinali al circolo sanguigno.
• Immunitaria: la linfa viene filtrata nei linfonodi che trattengono gli agenti patogeni.
LINFONODI
Sotto alla capsula che avvolge il linfonodo troviamo il seno marginale e poi via via gli altri seni che
permettono di convogliare la linfa verso la zona midollare. La corticale possiede degli aggregati
cellulari rotondi chiamati follicoli linfoidi costituiti da
linfociti B della memoria e cellule dendritiche follicolari.
Distinguiamo 2 tipi di follicoli linfoidi:
- Follicoli primari: possiedono solo linfociti B
della memoria (più scuri)
- Follicoli secondari:
✓ Mantello: Linfociti
✓ Centro germinativo: plasmacellule, APC
e macrofagi.
La paracorticale è posta tra i follicoli linfoidi e la midollare, contiene linfociti T, cellule interdigitali che
fungono da APC e venule ad endotelio alto (HEV). Il 90% dei linfociti penetra nel linfonodo attraverso
le pareti di queste venule, mentre il resto entra per il vaso linfatico afferente.
La midollare contiene poche plasmacellule, soprattutto macrofagi e linfociti B e T maturi ed è quindi la
zona che mi permette di mettere in relazione le due popolazioni cellulari di linfociti.
MILZA
È molto diffuso nel tratto gastro-intestinale, uro-genitale, tiroide, polmoni, pelle e occhi. Il suo ruolo è
assicurare una risposta immunitaria completa (completa = cellulare + umorale) in risposta a
stimoli antigenici locali.
Contiene linfociti T e B, macrofagi e nel tratto gastro intestinale sono state individuate anche le cellule
M (svolgono il ruolo di presentazione dell’antigene).
- Appendice ileo cecale (foto di sinistra) e placca di Pleyer (nella sottomucosa dell’ileo),
entrambe per garantire difesa immunitaria a livello intestinale.
IST07
ID lezione Modulo Istologia
Lezione tenuta
Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima
da
Eventuali
Slide proiettate a lezione e libro capitoli:
riferimenti
Tessuto cartilagineo
Il tessuto cartilagineo è una forma specializzata di tessuto connettivale sprovvista sia della
vascolarizzazione che dell’innervazione. È un tessuto molto solido e flessibile e meno resistente del
tessuto osseo dal punto di vista meccanico. In relazione alla sua composizione è adatto a esercitare un
effetto importante ad alcune sollecitazioni meccaniche dovute alla compressione. Lo ritroviamo in
alcune zone dove è necessario mantenere aperte le strutture cave,
come ad esempio nell’apertura delle vie aeree (noi abbiamo a livello
del collo il canale dell’apparato digerente e dell’apparato respiratorio
dove la presenza del tessuto cartilagineo ci permette di tenere il
canale pervio).
Gran parte del nostro scheletro deriva dal tessuto cartilagineo che si
sviluppa durante il periodo embrionale fetale che poi viene sostituito
da tessuto osseo nella vita adulta.
COME TUTTI I TESSUTI CONNETTIVI, il cartilagineo è costituito da cellule disperse in una matrice
extracellulare, che sono:
Pericondrio
Poiché il tessuto cartilagineo è privo sia di innervazione che di vascolarizzazione, il meccanismo di
vascolarizzazione gli deve essere fornito da un tessuto connettivale particolare che si trova associato a
tutti i tessuti cartilaginei e che prende il nome di pericondrio (dal greco = intorno alla cartilagine).
La sua componente cellulare è caratterizzata da fibroblasti sparsi e la sua funzione è quella di fornire
nutrimento alla cartilagine e durante le fasi di accrescimento della cartilagine, A livello dello strato più
interno, i pericondri mantengono la capacità di differenziarsi.
Il pericondrio manca a livello della cartilagine articolare, quindi a questo livello le sostanze
nutritizie dovranno essere fornite da un altro tessuto. Per quanto riguarda la funzione trofo-
respiratoria, è importante ricordare che gli scambi di gas respiratori e dei metaboliti fra il
sangue dei capillari intra-pericondriali e le cellule confinate nelle lacune condrocitarie possono
avvenire grazie all’alto gradiente di diffusibilità che caratterizza la matrice cartilaginea. Questa
proprietà dipende da un elevato tasso di idratazione conferito dai glicosamminoglicani acidi e
proteoglicani e quindi dall’alta pressione idrostatica. Tale pressione è esercitata
dall’acqua, attratta elettrostaticamente da queste molecole anioniche, in un contesto
strutturale pressoché inestensibile per via di una impalcatura collagenica che ingabbia il
tessuto impedendo adattamenti volumetrici, determinando così il turgore caratteristico.
Ha la funzione di:
- Nutrimento
- Produzione condroblasti, tramite accrescimento per apposizione.
Nasce nel periodo embrionale, dalla quinta settimana, a partire delle cellule mesenchimali. Queste
cellule, se opportunamente stimolate da fattori di crescita, da morfogeni e in seguito alle pressioni
esercitate dai tessuti che stanno modificando la loro forma, sono indotte a differenziarsi in condroblasti.
Successivamente, il differenziamento in condrociti avviene attraverso un meccanismo che prevede la
perdita dei loro prolungamenti. Così rimangono soltanto cellule tondeggianti che costituiranno dei siti
dove si formerà la cartilagine, chiamati centri di condrificazione, cominceranno a cambiare la loro
produzione proteica, continueranno a produrre proteoglicani ed elementi fibrillari ma le caratteristiche
di queste molecole saranno differenti e permetteranno di formare la matrice extracellulare. A mano a
mano che producono matrice, rimangono imprigionati in questo tessuto, fino ad arrivare ad un punto in
cui il rapporto superfice/volume delle cellule sarà insufficiente per il corretto metabolismo delle cellule.
Durante questo sviluppo verrà ridotto al massimo l’apporto vascolare al tessuto cartilagineo. Quindi da
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 2 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
una cellula grande, in seguito al processo di divisione, si formeranno due cellule figlie, le quali non
riusciranno ad allontanarsi dalla zona dove era presente la cellula madre, perché la matrice prodotta
dalla cartilagine è particolarmente viscosa.
Quindi l’insieme delle cellule che restano vicine, addossate le une alle altre, prendono il nome
isogeno (formato dalle 4 alle 6 cellule). Dal momento in cui le cellule sono andate
di gruppo esogeno
incontro a divisione, esse acquisiscono un’altra modalità di accrescimento, perché ora
hanno un rapporto superficie/volume che garantisce una corretta attività metabolica e
permette di formare matrice extracellulare. I condrociti dei gruppi esogeni
isogeni modificano il loro
profilo, rimanendo convessi a livello dei versanti rivolti verso la parete lacunare e
appiattendosi a livello dei fronti di contrapposizione reciproca. Il complesso costituito da un
condrocita o da un gruppo esogeno e matrice cartilaginea viene denominato condrone. Nelle
cartilagini fetali soggette a processi di ossificazione encondrale e nelle cartilagini metafisarie
delle ossa lunghe, si riscontra la presenza di una ulteriore popolazione cellulare, denominata
condroclasti. Si tratta di voluminosi fagociti multinucleati ricchi di lisosomi. Queste cellule
sinciziali sono responsabili dell’erosione del tessuto cartilagineo calcificato. Questo processo
prelude all’arrivo di cellule osteoprogenitrici destinate ad avviare la deposizione della matrice
osteoide che rimpiazza il tessuto cartilagineo rimosso.
• in parte per apposizione, ovvero il tipo di accrescimento che consiste nella formazione
superficiale di un nuovo tessuto condrale durante l’accrescimento pre e post-natale;
• in parte perché le cellule all’interno della matrice vanno incontro a divisione e crescono per
via interstiziale permettendo la formazione di nuova matrice mediante deposizione di
nuova matrice da parte dei condroblasti, con conseguente allontanamento tra le lacune
condrocitarie.
Aspetto morfologico delle cellule
cartilaginee:
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 3 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
La differenza tra condroblasto e condrocita è la riduzione della componente del reticolo endoplasmatico
rugoso, e l’aumento di glicogeno che è importante per l’attività metabolica delle cellule, poiché nelle
cellule cartilaginee manca la vascolarizzazione, quindi la cellula ha bisogno di una componente glucidica
lipidica
da cui ricavare energia. Gli scambi metabolici sono mantenuti dall’alta diffusibilità della matrice
extracellulare, dove la componente acquosa rende l’ambiente abbastanza viscoso per consentire alle
molecole nutritive di muoversi. Durante lo sviluppo fetale, si trovano delle introflessioni che sono dei
punti in cui viene aumentata la percentuale di pericondrio che viene a contatto con il tessuto cartilagineo
e ciò serve per consentire il processo di accrescimento delle cellule cartilaginee.
Composizione matrice:
La matrice extracellulare è costituita per il 70-80% da acqua, mentre a secco, circa il 50% del
peso spetta al collagene e il 30-40% ai proteoglicani. La maggior parte della componente
macromolecolare è tessuto-specifica, a seconda delle funzioni. Analogamente a ciò, la
matrice cartilaginea è caratterizzata da una marcata permissività al passaggio e alla
diffusione di gas respiratori e metaboliti. Le principali componenti della matrice sono:
• Gel compatto
• Fibre elastiche
• Fibre collagene
• Sostanza amorfa
• Glicosamminoglicani
• Proteoglicani
• Glicoproteine adesive
• TIPI DI COLLAGENE
Uno dei tipi di collagene maggiormente rappresentati all’interno del tessuto cartilagineo, che serve
per le funzioni meccaniche, è il collageno di tipo II. A livello molecolare, il protocollagene di tipo II
differisce dagli altri tipi di collagne riguardo a posizione o natura di alcuni amminoacidi in sequenza
3 nelle catene alpha-collageniche costitutive.
Esso si ritrova a livello della cartilagine ialina ed è un collagene di tipo omotrimerico, ciò significa
che le tre catene alfa sono identiche e dopo viene assemblato a formare delle fibrille che poi
formano delle reti tridimensionali una volta che queste vengono espulse dalla cellula.
Una volta secrete dai condroblasti, le molecole procollageniche subiscono il clivaggio del propeptide
N-terminale e del propeptide c-terminale, regioni con sequenza amminoacidica non collagenica
poste all’estremità di ciascuna catena alpha, acquisendo la denominazione di molecole di
tropocollagene. Occorre aggiungere che tale clivaggio risparmia a livello delle estremità di
ciuascuna catena alpha, due brevi tratti non collagenici: il telopeptide N- terminale, composto da 19
amminoacidi e il telopeptide C-terminale composto da 27 amminoacidi. Questi tratti non collagenici
sono cruciali nel processo di fibrillogenesi. Questo processo avviene secondo la modalità condivisa
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 4 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
da tutti i collageni fibrillari, che vede le molecole assemblarsi con disposizione parallela, co-
orientata e con uno sfalsamento di molecole adiacenti di 234 amminoacidi. Tale sfalsamento dà
luogo alla bandeggiatura periodica esibita in microscopia elettronica delle fibre collagene, mentre la
cosiddetta “gap- zone” rivelata dalla colorazione negativa riflette il distanziamento testa-coda fra
molecole disposte in successione lineare, che corrisponde al 60% del periodo D. La stabilizzazione
di tale assetto molecolare dipende dalla formazione di legami covalenti, denominati legami crociati
o crosslinks, fra un residuo di lisina presente in entrambi i telopeptidi N- e C- terminale delle tre
catene alpha di una molecola tropocollagenica adiacente. Le fibrille collageniche di tipo II sono
peculiari del tessuto cartilagineo, anche se è possibile riscontrarne anche nell’umor vitreo
dell’occhio. A livello ultrastrutturale possono apparire prive di bandeggiatura, ma tale
mascheramento è imputabile ad una ingente quantità di sostanza fondamentale. In condizioni di
visualizzazione favorevole, esse mostrano la tipica bandeggiatura periodica assile. Rispetto alle
fibrille di collagene di tipo I, quelle di tipo II presentano un calibro minore e più omogeneo, ma
sempre maggiore e meno omogeneo di quelle di tipo III. Una differenza fondamentale sta nel fatto
che le fibrille di tipo II non si associano tra loro a formare fibre collagene. In microscopia elettronica,
le fibrille collagene appaiono organizzate a comporre una impalcatura tridimensionale
generalmente irregolare e più o meno fitta nei vari distretti della matrice cartilaginea.
Nella formazione delle fibre è importante anche il collagene di tipo IX e di tipo XI. Il collagene di tipo
XI forma fibrille che vengono associate al collagene di tipo II. Il collagene di tipo IX, invece, non
forma fibrille e ha il ruolo di unire le fibre ibride che si formano tra collageni di tipo II e collageni di
tipo XI.
Studi recenti attesterebbero la presenza di ulteriori tipi di collagene fibrillare minore, ovvero il tipo
XXIV e il tipo XXVII, per i quali sono recentemente stati scoperti i geni codificanti. Ancora più
recente è la localizzazione immunoistochimica di quest’ultimo tipo di collagene minore nel contesto
della matrice pericellulare delle lacune occupate dai condrociti ipertrofici nel corso di ossificazione
encondrale, nel feto, nelle metafisi delle ossa lunghe durante l’accrescimento post-natale.
Il collagene di tipo X è tessuto-specifico, ed è secreto soltanto da condrociti ipertrofici che si trovano
nelle zone di passaggio tra tessuto cartilagineo e tessuto osseo e che sono un indice della
mineralizzazione delle ossa durante i processi di ossificazione encondrale, nel feto, nelle metafisi
delle ossa lunghe durante l’accrescimento post-natale.
Le fibre elastiche sono costituite da un coro centrale di elastine e circondato da una guaina di
fibrillina. A seconda del distretto anatomico e delle sollecitazioni vi sarà un diverso rapporto tra fibre
elastiche e fibre collageniche differenti.
Proteoglicani
Riguardo ai proteoglicani, queste macromolecole sono presenti in grande quantità rendendo
la matrice intensamente colorata a seguito dell’impiego di reazioni istochimiche quali quelle
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 5 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
che prevedono l’Alcian Blue o Rosso rutenio. Quando vengono impiegati coloranti basici
come il blu di toluidina, avviene il fenomeno della metacromasia, in cui la matrice assume
una colorazione violacea per via della concentrazione di molecole polianioniche. Si tratta
perlopiù di grandissimi proteoglicani, aggrecani e versicani, caratterizzati da un lungo core
proteico al quale sono associate oltre un centinaio di catene laterali rappresentate dai
glicosamminoglicani condroitin-4-solfato, condroitin-6- solfato e cheratan solfato. Grazie alla
natura polianionica di tali catene glicosaminoglicaniche e al loro elevato numero per core
proteico, ogni proteoglicano attrae elettrostaticamente a sé delle molecole d’acqua
polarizzate, che ne rappresentano il cosiddetto dominio acquoso. Ad incrementare
ulteriormente il tasso di idratazione della matrice è la proprietà di questi proteoglicani di
assemblarsi in forma aggregata, da cui la denominazione di aggrecani. In particolare, gli
aggregati di proteoglicani originano in seguito al legame, mediato da specifiche proteine,
ovvero le link proteins, che si instaura fra ciascun aggrecano e una lunga catena lineare di
acido ialuronico (glicosamminoglicano più diffuso, recepito dal recettore transmembrana
CD44). Gli aggregati di proteoglicani sono facilmente identificabili nei quadri ultrastrutturali
ottenuti con metodi di preparazione standard, apparendo sottoforma di corpi irregolari detti
granuli della matrice. Questi risultano da fenomeni di ripiegamento e condensazione
molecolari imputabili ad artefatto tecnico. Forma e dimensioni più applicabili alla realtà sono
più osservabili dopo applicazione di reazioni istochimiche con reagenti basici come le
ftalocianine rameiche. Tra i proteoglicani ricordiamo:
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 6 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
Cheratansolfato 10%
Queste ultime tre molecole si uniscono a formare il preteoglicano più grande, chiamato aggrecano.
Glicoproteine
• Ubiquitarie: servono per mediare il contatto tra di loro, attraverso le integrine e a favorire
l’interazione tra cellula e matrice extracellulare (fibronectina, trombospondina, tenascina)
• Tessuto-specifiche come la condronectina, che media la connessione al collagene di tipo II; CMPs
(Cartilage Matrix Complex), collegate ad un’altra famiglia di diverse isoforme denominate
matriline, capaci di legarsi ad altre macromolecole della matrice costituendo reti tridimensionali; e
le COMP (Cartilage Oligomeric Matrix Protein),alla quale sono stati attribuiti i ruoli di regolare
la proliferazione dei condrociti, favorire la fibrillogenesi del collagene di tipo II e di prevenire
fenomeni di vascolarizzazione in seno alla matrice cartilaginea. COMP rappresenta un marker del
turnover e della degenerazionedella cartilagine, assumendo valore diagnostico di fenomeni artrosici
quando se ne riscontra un aumento nel sangue o nel liquido sinoviale
Le proprietà meccaniche della cartilagine sono fornite dalle proprietà di trazione delle fibre di collagene
e dalla pressione osmotica dovuta all’alta concentrazione di aggrecano, immobilizzato all’interno
dell’ECM come aggregato sovramolecolare con acido ialuronico.
• Matrice capillare: quella più vicina alle cellule, che circonda i gruppi esogeni e che è ricca di
glicoproteine e proteoglicani, si colora intensamente con coloranti basici.
• Matrice territoriale: si trova nelle vicinanze dei gruppi esogeni, è povera di collagene e ricca di
condroitinsolfato, anch’essa si colora intensamente con coloranti basici.
• Matrice interterritoriale: ricca di collagene di tipo II (acidofila) e di glicorpoteine. Ha meno
proteoglicani della matrice territoriale.
A seconda della composizione della matrice, si possono avere tipi di cartilagine differenti. Si possono
riconoscere tre tipi di cartilagine:
• ialina
• elastica
• fibrosa, forma di connessione tra connettivo denso e cartilagine.
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 7 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
Oltre a questi tre tipi di cartilagine, ci sono tre tessuti, annoverati all’ interno del gruppo del tessuto
connettivo, perché hanno la stessa origine, mancano di vascolarizzazione e la loro funzione è
prettamente meccanica. Questi tipi di tessuti sono:
A seconda della distribuzione delle componenti della matrice extracellulare, cioè la maggiore o minore
presenza di matrice amorfa/fibre elastiche/fibre di collagene I e fibre di collagene di tipo II, avremo dei
tipi di cartilagine differenti che si vanno a localizzare in distretti anatomici diversi a seconda della
funzione che vanno a svolgere.
Noi riconosciamo tre tipi di cartilagine:
1 iàlina (dal greco hyalos, “vetro”, “trasparente”, se la guardiamo ex vivo è trasluicida) è relativamente
elastica
2 elastica: in cui la componente elastica è prevalente sulla collagenica
3 fibrosa: forma di transizione fra connettivo denso a fasci paralleli e cartilagineo di tipo ialino
Oltre a questi ci sono 3 tessuti annoverati all’interno del tessuto cartilagineo per tre motivi principali:
1. origine: derivano tutte quante da tessuto connettivo mesenchimale
2. mancanza di vascolarizzazione
3. hanno funzione prevalentemente meccanica
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 8 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 9 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
Cartilagini articolari
Le diartrosi, articolazioni mobili del nostro organismo, servono dal punto di vista strutturale per una
duplice funzione grazie alle loro caratteristiche peculiari:
1)ammortizzare e distribuire le forze di carico
2) per favorire lo scorrimento fra due superfici articolari (es. articolazione del ginocchio con la patella).
Quindi, devono evitare che si creino attriti fra i due monconi d’osso per permettere corretto
scorrimento.
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 10 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
nella cavità articolare, dove offre un bassissimo coefficiente di attrito nello scivolamento fra i capi intra-
articolari in movimento grazie alla sua estrema levigatezza.
La superficie è liscia, lucida poiché questa è l’unica cartilagine priva di pericondrio. L’assenza di
pericondrio comporta inoltre una ulteriore limitazione delle scarse proprietà proliferative dei tessuti
cartilaginei, venendo meno la presenza dello strato condrogenico. Siccome il pericondrio serve per
fornire altre cellule e nutrimento, significa che ci sarà un altro tessuto con funzione trofo-respiratoria
per le cellule della cartilagine, il liquido sinoviale.
La cartilagine articolare
La cartilagine articolare è nella zona dell’epifisi di un osso. A partire dalla superficie articolare a
scendere verso l’osso posso distinguere una serie di strati sovrapposti dallo spessore piuttosto variabile
a seconda del tipo di articolazione:
1. Zona tangenziale (o zona Superficiale), la zona superficiale si affaccia con la cavità articolare. Essa
è caratterizzata dalla presenza di condrociti di forma appiattita immersi in una matrice particolarmente
ricca di fibrille di collagene approssimativamente complanari alla superficie libera. A livello più
superficiale questa zona presenta poi un sottile strato acellulare, la lamina splendens, che ha importanti
implicazioni funzionali sia meccaniche sia biologiche. Le prime sono dovute alla sua levigatezza
superficiale atta a conferirle un coefficiente di attrito particolarmente basso, anche grazie alla presenza
di un sottile rivestimento di acido ialuronico e di lubricina, glicoproteina secreta dai sinoviociti di tipo
B. Le seconde proprietà consistono nella capacità di fungere da barriera protettiva rispetto al passaggio
in entrata di scorie, enzimi litici ed eventuali anticorpi presenti nel liquido sinoviale e, in uscita, di
prodotti di degradazione delle sue stesse molecole, potenzialmente capaci di provocare risposte
infiammatorie o immunogeniche.
2. Zona di transizione, zona intermedia, che è generalmente la zona più spessa. Rappresenta infatti il
40-60% dello spessore totale. Presenta lacune condrocitarie tondeggianti e contenenti gruppi esogeni e
fibrille di collagene con orientamento non uniforme e progressivamente variabile da tangenziale a
perpendicolare.
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 11 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
3. Zona radiale, zona profonda, che in alcuni casi può rappresentare lo strato più spesso dei quattro.
Presenta lacune condrocitarie grossolanamente impilate a costituire colonne parallele fra loro ed
immerse in una matrice occupata da fibrille collagene tendenzialmente co-orientate. Il suo confine
inferiore si può presentare bordato da un sottile strato basofilo di natura glicoproteica, denominato
tidemark. Esso segna il confine con la sottostante zona calcificata e funge presumibilmente da barriera
di protezione della cartilagine da ambienti pro-calcifici provenienti dagli strati più profondi.
4. Zona calcificata, al di sotto della quale troverò l’osso. È caratterizzata da lacune condrocitarie di
piccole dimensioni, distribuite in una matrice mascherata dalla precipitazione di sali di calcio sotto
forma di cristalli di idrossiapatite. Esse sono anche state denominate “sepolcri calcificanti”, contenendo
piccoli condrociti a scarsa attività metabolica. Questo strato profondo funge da solido strato di
ancoraggio della cartilagine articolare all’osso subcondrale dell’epifisi interessata.
All’interno delle zone avremo una diversa distribuzione delle fibre collageniche (tengono conto dei vari
carichi applicati alla cartilagine articolare) e conseguentemente della componente cellulare.
Esiste un punto identificabile anche nella cartilagine adulta, il tidemark che è il punto di separazione
fra cartilagine articolare e il tessuto osseo. Nello specifico si trova fra zona radiale e calcificata, è un
punto molto importante che evita l’ingresso di vascolarizzazione a livello della cartilagine. Quando entra
la vascolarizzazione della cartilagine, inizia processo di calcificazione che porta ad avere tessuto osseo.
Avere un tessuto osseo sarebbe un doppio handicap: meccanicamente è meno elastico rispetto alla
cartilagine (la cartilagine risponde meglio a fenomeni di compressione), inoltre la cartilagine non
essendo innervata non presenta terminazioni nervose, ossia terminazioni del dolore che ha invece il
tessuto osseo. Se il tessuto osseo scavalla la cartilagine o questa è sostituita da tessuto innervato, oltre
a perdere funzioni biomeccaniche del collagene aggiungiamo una componente nervosa con la
percezione del dolore. Questo si instaura nei fenomeni di degenerazione della cartilagine che possono
essere infiammatori o cronici quindi le artiriti e le artrosi.
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 12 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
Cartilagine di accrescimento
Rappresenta un particolare tipo di cartilagine ialina. Essa è localizzata fra i fronti di ossificazione
encondrale che si instaurano nel corso della vita fetale a livello degli abbozzi cartilaginei delle ossa
lunghe e permane nella vita post-natale fino a crescita ultimata. A partire dall’epifisi, in una cartilagine
di accrescimento si distinguono istologicamente cinque zone, le quali riflettono in senso spaziale gli
stadi di avanzamento del processo di ossificazione encondrale. Abbiamo quindi la zona di cartilagine
a riposo, che presenta una distribuzione uniforme di piccole lacune condrocitarie contenenti un solo
condrocita; la zona di cartilagine in proliferazione, che è caratterizzata da lacune condrocitarie
contigue impilate in colonne grossolanamente longitudinali, da cui le denominazioni alternative di
cartilagine colonnare o cartilagine seriata; la zona di cartilagine ipertrofica, con lacune
condrocitarie ancora disposte in colonne e caratterizzate da un ulteriore aumento volumetrico,
contestuale alla trasformazione dei condrociti intra-lacunari in condrociti ipertrofici. Questi perdono
le loro capacità mitotiche e incrementano le loro espansioni citoplasmatiche, si arricchiscono in
organelli di membrana e intensificano l’attività secretoria, con produzione di fattori implicati nel
processo calcifico che, ultimato, va a caratterizzare la sottostante zona calcifica. In particolar modo, la
cartilagine ipertrofica è caratterizzata dalla presenza di collagene di tipo X, condrocalcina, osteocalcina,
annessina-V e fosfatasi alcalina. Fra queste componenti, la condrocalcina corrisponde ai peptidi C-
terminali clivati enzimaticamente a livello delle estremità terminali delle molecole di procollagene di
tipo II, all’avvio della fibrillogenesi. Ulteriore prerogativa dei condrociti ipertrofici è quella di confinare
fosfatasi alcalina ed annessina-V a livello della membrana cellulare in corrispondenza di punti focali
corrispondenti a successiva gemmazione di vescicole citoplasmatiche delimitate da membrana e
denominate vescicole della matrice, note anche come globuli calcificanti o vescicole di Bonucci-
Anderson. Le membrane di questi derivati cellulari sono cruciali nel processo calcifico, in quanto
fungono da siti di nucleazione dei Sali di calcio, inducendone la precipitazione sotto forma di cristalli di
idrossiapatite. Le vescicole della matrice, in rapporto con i cristalli di minerale possono assumere la
denominazione di calcosferule o calcosferiti. L’ultima zona è quella della cartilagine calcificata. A
questo livello la matrice ha subito il processo di mineralizzazione per cui viene a perdersi la proprietà
della diffusibilità dei fattori vitali per i condrociti. Le lacune contengono condrociti avviati a morte
cellulare o i detriti cellulari che ne derivano. Le lacune più prossime al fronte del sottostante tessuto
osteoide perdono la loro integrità e alle loro pareti aderiscono i condroclasti, responsabili della loro
demolizione. In seguito all’apertura di varchi da parte dei condroclasti, gli spazi accessibili della matrice
in disgregazione vengono colonizzati da cellule provenienti dal sottostante midollo osseo, comprendenti
cellule mesenchimali osteoprogenitrici, e sono sede della formazione di vasi capillari. Il tessuto
metafisario collima, alla superficie dell’osso, con quella che, in gergo anatomico è la cosiddetta doccia di
ossificazione del Ranvier, circoscritta dal cosiddetto anello fibroso pericondriale del La Croix. La prima è
sede di cellule rotondeggianti indifferenziate che migrano verso l’interno della cartilagine metafisaria
rinnovando la componente cellulare della zona di cartilagine a riposo, mentre il secondo è costituito da
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 13 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
tessuto connettivo fibroso in raccordo con il periostio, con ruolo di contenimento della metafisi. Queste
strutture adempiono alla funzione esercitata dal pericondrio.
Un aspetto di modificazione della cartilagine articolare consente al nostro scheletro di accrescersi in
lunghezza.
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 14 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
Il nome deriva dal fatto che ai caratteri istologici tipici del tessuto cartilagineo si sovrappone la presenza
di numerose fibre collagene, con conseguente perdita dell’aspetto amorfo caratteristico della matrice
delle cartilagini ialine.
Forma di transizione fra tessuto connettivo denso a fasci paralleli e la cartilagine ialina. Vediamo infatti
una matrice cartilaginea con le componenti tipiche, comprese le fibrille collagene di tipo II, associato a
componenti di collagene di tipo I, atte ad esaltare la robustezza ed inestensibilità del tessuto. Le lacune
condrocitarie sono spesso di dimensioni ridotte e possono contenere un condrocita singolo o gruppi
esogeni di pochi elementi. Le cartilagini fibrose non sono dotate di pericondrio ma contraggono rapporti
di continuità con i tessuti connettivi propriamente detti
adiacenti, salvo non trovarsi a diretto contatto con il liquido
sinoviale se situate all’interno di cavità articolari delle
diartrosi. È quindi da queste fonti che i condrociti ricevono
ossigeno e nutrienti.
In questa immagine vediamo la cartilagine ialina, una
fibrocartilagine e tessuto connettivo di tipo denso.
Le cellule sono tendenzialmente tondeggianti (mentre
quando ci si sposta verso il connettivo denso sono
fibroblasti) che producono ECM, GAG e PG rendendo il
tessuto intermedio da un punto di vista meccanico rispetto al connettivo denso in fasci paralleli.
Lo trovo in zone in cui sollecitazioni meccaniche in trazione sono prevalenti rispetto a quelle in
compressione come nel caso della classica cartilagine.
Si trova a livello:
- della sinfisi pubica
- di una pare dei dischi intervertebrali
- inserzione del tendine di Achillle
- menischi
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 15 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
Disco intervertebrale
Interposto tra le superfici adiacenti dei corpi vertebrali.
Struttura adagiata sul piatto intervertebrale, serve per separare le vertebre, avrà forma differente in
base alla zona di colonna vertebrale in cui si trova, ma indipendentemente da ciò la sua struttura di
fondo è sempre la stessa. Consta di 3 tipi di cartilagine differente:
1. Cartilagine ialina (articolare) a livello del piatto vertebrale– a livello della superficie della vertebra
è sottile e costituita da strato tangenziale, a riposo, seriato e calcificato.
All’interno del disco intervertebrale troverò una porzione più esterna, l’anello fibroso (cartilagine
fibrosa)
e una componente centrale, il nucleo polposo, costituito da tessuto cordoide, assimilato a tessuti
cartilaginei per la sua mancanza di vascolarizzazione.
Nucleo polposo
La parte centrale del disco intervertebrale è particolarmente gelatinosa,
essendo infatti costituita da tessuto cordoide (fatto di grossi ammassi di
cellule di grosso volume, parte di ECM e scarsità di componente fibrillare,
riccamente vascolarizzabile, potendo mantenere lo spessore del disco
intervertebrale legando molecole d’acqua).
La quantità di cellule che costituisce il nucleo polposo tende a ridursi con
l’età.
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 16 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
Durante lo sviluppo embrionale a fianco della notocorda si formava il mesoderma parassiale che andava
a costituire i somiti, i quali dalla 5° settimana in avanti si suddividono in porzione apicale e caudale. Le
due porzioni si separano fra di lor, e la porzione
apicale di un somite si associa con la porzione
caudale del somite adiacente. La notocorda viene
a trovarsi fra i due somiti che vanno a rifondersi
fra di loro e viene bloccata dentro la struttura,
andando così a formare il disco intervertebrale.
Ciò ci ricorda che apparteniamo ai cordati.
Le cellule condrocitarie tendono ad essere ridotte
con lo sviluppo, ma viene mantenuta una ECM
molto ricca di collagene II, glicosamminoglicani e proteoglicani (prevalentemente aggrecano). Questo ci
permette di mantenere lo spessore del disco intervertebrale.
Con gli anni, la caratteristica morfologica del nucleo polposo cambia perché le cellule vengono a
perdersi, si riduce la componente PG, si tende a secernere meno cheratansolfato e condroitinsolfato
(prodotte dalle cellule cartilaginee dell’anello fibroso interno). Il cheratansolfato, inoltre, (più corto)
lega meno molecole d’acqua così che il disco diventi più rigido e meno idoneo ad assorbire i carichi.
La cartilagine da un punto di vista fisiologico è priva di capacità rigenerative. Qualsiasi danno che va a
lesionare il tessuto cartilagineo, porta a formazione di tessuto fibroso, quindi con meno capacità di
idratazione perdendo la lubricina e acido ialuronico e portando a comparsa di tessuto innervato che si
mette in contatto con la innervazione propriocettiva sistemica ed avremo la comparsa del dolore.
Nei mammiferi la cartilagine è un tessuto caratterizzato da un lento turnover delle sue componenti
molecolari e soprattutto di minime o nulle capacità di
rimodellamento. In caso di danni estesi, prevalgono invece la
capacità riparative del tessuto connettivo pericondriale, che
portano alla formazione di tessuto fibroso cicatriziale in
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 17 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO
sostituzione di quello cartilagineo, con perdita delle prerogative meccaniche. Solo raramente vediamo
processi di formazione di neo-cartilagine. Avviene nello sviluppo embrionale e nel rimodellamento post-
natale un processo di ricambio della matrice. Questa attività catalitica è fondamentalmente svolta
tramite la produzione di enzimi proteolitici appartenenti alla famiglia delle MMPs (Matrix Metallo-
Proteinases), enzimi che condividono un dominio catalitico contenente un sito di legame per lo zinco, in
particolare da MMP-1, MMP-3, MMP-9, MMP-13, quest’ultima capace di degradare il collagene di tipo II.
L’attività catabolica vede implicati anche enzimi appartenenti alla famiglia ADAMTS (A Disintegrin And
Metalloproteinase with Thrombospondin type 1 motif). In particolar modo l’’ADAMTS-5 è il principale
aggrecanasi della cartilagine umana. Va anche ricordato il ruolo delle vitamine e degli ormoni
nell’accrescimento della cartilagine e nella sua omeostasi. La vitamina A, liposolubile, è responsabile
della differenziazione condroblastica; la vitamina C, idrosolubile, favorisce la proliferazione cellulare e
la sintesi di collagene; la vitamina D, liposolubile, interviene nell’assorbimento di calcio e fosforo a livello
della mucosa intestinale, necessari per l’attuazione di processi calcifici a livello dei tessuti osseo e
cartilagineo, la cui carenza si rivela in deformazioni dello scheletro (rachitismo). L’ormone della crescita
(Growth Hormon, GH; Somato-Tropic Hormon, STH) influenza l’accrescimento della cartilagine in
sinergia con gli ormoni tiroidei triiodotironina e tetraiodotironina /tiroxina. L’omeostasi della
cartilagine è in qualche modo influenzata anche dagli ormoni sessuali, in particolar modo dagli
estrogeni, i quali sembrano intervenire nell’equilibrio fra la produzione di MMP-13 e di TIMPs, i suoi
inibitori.
Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 18 di 18
ISTOLOGIA
“TESSUTO OSSEO”
ID lezione IST08 Modulo Istologia II
Data lezione 25 Marzo 2020
Autore Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni
Lezione
Monica Mattioli Belmonte Cima
tenuta da
Argomento Tessuto osseo
Eventuali
Slide proiettate a lezione e libro capitoli
riferimenti
Tessuto osseo
Il tessuto osseo è una forma specializzata di tessuto connettivo caratterizzata dalla mineralizzazione
della matrice extracellulare (componente inorganica).
È mineralizzato al 70%, (non è il tessuto più mineralizzato del corpo, ci sono la dentina e
particolarmente lo smalto, mineralizzato al 90%)
Una delle caratteristiche dell’osso è la sua estrema resistenza dal punto di vista meccanico, ma dal punto
fisico un’estrema leggerezza. Questo ha fatto si che per anni è stato molto difficile trovare un sostituto.
(titanio ed elementi in carbonio)
Un altro aspetto importante è che non è un tessuto statico: è continuamente rinnovato e rimodellato per
tutta la vita.
FUNZIONI:
• impalcatura di sostegno
• movimento (si inseriscono i muscoli volontari)
protezione per organi delicati quali il SNC, il cuore e i grossi vasi (gabbia toracica e scatola
cranica)
• organo di riserva per lo ione calcio (principale riserva, ed è uno dei motivi per cui viene
continuamente rimodellato, per rendere disponibile il calcio)
• funzioni emopoietiche (ospita il midollo osseo rosso e contribuisce alla formazione delle
nicchie emopoietiche)
• funzioni endocrine, interviene: nell’omeostasi glucidica, nell’omeostasi del testosterone nel
maschio e nella escrezione renale dei fosfati, grazie ad alcuni fattori prodotti dalle cellule
dell’osso
ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO
è uno strato di connettivo fibrillare denso irregolare, ricco di collagene e fibre elastiche e circonda l’osso,
prende contatto con la matrice dell’osso attraverso le fibre di Sharpey che permettono l’ancoraggio del
tessuto connettivale con le strutture collageniche del tessuto osseo.
Il periostio è costituito di due porzioni distinte: componente più esterna (densa, ricca di vasi e fibre
collageniche) e una porzione più a contatto con la superficie ossea (contiene delle cellule
osteoprogenitrici).
Il periostio e il pericondrio sono assenti a livello delle superfici articolari e nelle zone di inserzione dei
tendini e dei legamenti. (sono tessuti fibrosi che modificano l’attrito)
Autore: Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni per Medicina08 2 di 22
ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO
1. fibroblasti
2. fibre collageniche
3. cellule progenitrici
4. osteoblasti
5. matrice ossea
6. osteoblasto che sta per essere circondato da matrice
calcificata
7. osteocito nella sua lacuna
ENDOSTIO:
è un tessuto connettivo denso, leggermente più sottile, che va a circondare tutte le cavità interne
dell’osso, in certe zone queste sono rappresentate dalle trabecole dell’osso, dai canali di Volkman, di
Havers e anche la grossa cavità midollare dell’osso lungo.
- OSSO COMPATTO: osso solido, privo di spazi tranne quelli per le cellule, i loro processi e i vasi
sanguigni, porosità tra il 5%-10% normalmente costituisce la porzione più esterna delle ossa
lunghe (struttura portante degli arti)
- OSSO SPUGNOSO O TRABECOLARE: solitamente parte più interna dell’osso, ha una superficie di
contatto molto più estesa. Va a costituire le trabecole (cavità che ospitano il tessuto midollare)
e solitamente va costituire la struttura della colonna vertebrale, delle costole, della mandibola,
del polso.
GIALLO: grasso, che sostituisce il midollo rosso durante l’invecchiamento e lo sviluppo. Le cellule
staminali prendono una via di differenziamento verso il tessuto adiposo.
nelle ossa lunghe troviamo nelle diafisi OSSO COMPATTO, nelle epifisi OSSO SPUGNOSO (al loro interno
troviamo anche il disco epifisario che servirà per permettere l’accrescimento in lunghezza dell’osso).
Autore: Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni per Medicina08 3 di 22
ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO
Se vado a considerare l’osso piatto invece questo è costituito da un tavolato esterno ed interno, entrambi
fatti di osso compatto, la parte centrale dell’osso è però costituito di osso spugnoso, chiamato dìploe.
L’endostio in questo caso si trova all’interno delle cavità dell’osso spugnoso a rivestire le trabecolature.
La differente distribuzione dell’osso compatto rispetto allo spugnoso è determinato dalla diversa
distribuzione di peso. L’osso compatto è molto resistente alla compressione in senso longitudinale
(costituisce le zone in cui il carico è unidirezionali) l’osso spugnoso è presente dove le forze vengono
applicate da varie direzioni.
La disposizione delle trabecolature deve rispondere alle sollecitazioni meccaniche. Infatti sarà diversa
la strutturazione dipendentemente dal carico.
Vediamo qua sotto l’osso spugnoso di una epifisi di un osso lungo di cane, spostandoci al suo interno è
diversa la trabecolatura (cavità più o meno ampie a seconda del carico a cui è soggetta). Adatta la sua
struttura.
Come gli altri connettivi ha una componente cellulare ed extracellulare, a differenza degli altri tessuti
però la matrice extracellulare ha una componente organica (uguale agli altri connettivi) e da una
componente inorganica (circa un 70% sono sali di calcio)
Autore: Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni per Medicina08 4 di 22
ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO
Questi sono 3 stadi evolutivi della stessa cellula, esiste un processo differenziativo in cui le
cellule maturano. Queste derivano dalle cellule mesenchimali embrionali.
Gli osteoblasti formano le LAMIINE EPITELIOIDI a ridosso delle superfici ossee in via di formazione e
formano tutta la matrice extracellulare (organica e inorganica)
Gli osteoblasti vanno ad unirsi attraverso giunzioni comunicanti, e fasce aderenti e formano dei fronti
di formazione della matrice ossea (camminano come l’esercito romano) a mano a mano che producono
la matrice dell’osso si cominciano a perdere i contatti tra le cellule che vengono imprigionate dalla
matrice che loro stessi stanno producendo, questa comincia ad essere più viscosa, via via viene
mineralizzata e gli osteoblasti cominciano a diventare osteociti.
Gli osteoblasti sono importanti nel processo di formazione dell’osso, per formarlo sono in grado di
produrre anche una serie di fattori che sono in grado di regolare in maniera autocrina o paracrina la
loro attività. Tra i fattori più importanti:
In formazione dell’osso: secernono TGF-beta (trasforming grown factor beta) e BMPs (bone
morfogenetic proteins) che modulano la proliferazione e differenziamento delle cellule
osteoprogenitrici in osteoblasti.
Producono dei fattori insulino-simili (IGF) che sono in grado di stimolare l’attività proliferativa (IGF1)
e l’attività metabolica (IGF2) delle cellule dell’osso.
Autore: Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni per Medicina08 5 di 22
ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO
Gli osteociti sono accolti in cavità scavate nella matrice calcificata, dette
lacune osteocitarie, che sono circondate da una componente organica della
matrice ossea prevalentemente rappresentata da scarsa componente
fibrillare e più matrice in proteoglicani e GAG.
Gli osteociti che rimangono all’interno delle lacune non sono isolati, ma
partono delle strutture (freccia in basso) che sono i CANALICOLI OSSEI,
all’interno delle quali gli osteociti sono in grado di immettere dei loro
prolungamenti. Si trovano dispersi all’interno di tutta la superficie dell’osso
e vanno a confluire nelle strutture canalicolari più grandi: i canali di Havers
e canali di Volkman, che contengono vasi sanguigni e nervi.
L’osteocita ha una struttura con una serie di prolungamenti che vanno all’interno dei canalicoli ossei,
alle cui estremità gli osteociti possiedono delle GAP JUNCTION (giunzioni comunicanti), sono presenti
tra osteociti-osteociti, osteociti-osteoblasti e tra osteoblasti-cellule progenitrici. Tutta la componente
cellulare è in grado di rimanere in contatto. All’estremità Le giunzioni consentono rapidi flussi di calcio
coinvolti nella trasmissione di informazioni per regolare il metabolismo dell’osso.
Gli osteociti sono dei meccano-sensori, in grado di percepire il carico, è un segnale per comprendere se
la quantità di osso è sufficiente o deve aumentare. A seconda del carico vinee prodotta una proteina che
si chiama sclerostina, la quale stimola o inibisce la attività di produzione della matrice (fa differenziare
le cellule in osteoblasti). In particolare, un aumento di sclerostina da parte degli osteociti riduce il
differenziamento MSC in osteoblasti con conseguente inibizione nella formazione di matrice ossea.
Gli osteociti sono in gradi di andare a fornire dei fattori che vanno a stimolare la produzione dell’osso,
ma anche la stessa attività di produzione di osteoclasti che andranno a riassorbire la matrice. Diventano
una bilancia nel meccanismo di produzione e riassorbimento.
Autore: Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni per Medicina08 6 di 22