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ISTOLOGIA II

Sbobine riunite ed integrate con il libro “Istologia


umana”, Idelson-Gnocchi.
Liberamente ispirato alle lezioni della prof. Mattioli.
A.A. 2020-2021

Si ringrazia chiunque abbia partecipato


ISTOLOGIA II
“EPITELI DI RIVESTIMENTO”
ID lezione IST01 Modulo ISTOLOGIA II
Data lezione 1 marzo 2021
Autore Alice Martiri, Sophie Angelici, Piero Canzio, Aurora Gregoretti
Lezione
Prof. Monica Mattioli Belmonte
tenuta da
Argomento Classificazione degli epiteli di rivestimento
Eventuali Capitolo 7 (pag179 to 210) del libro di istologia e slide della lezione del 1 marzo
riferimenti 2021

Spiegazione dello svolgimento delle esercitazioni di teorico-pratiche-AFP:

● Sono previsti turni di esercitazione pomeridiane al microscopio ottico;


● Serve per avere uno scambio diretto tra gli studenti e il professore;
● Deve essere frequentata al 100%:
● Il voto del riconoscimento del preparato istologico dei AFP va a costituire per 1/6 la valutazione
complessiva del primo anno e va sostenuto prima dell’esame di istologia,
● Si inzia l’8 di marzo e saremo divi in gruppi, farà sapere lei l’elenco dei singoli gruppi (divisione in
ordine alfabetico) e ognuno può iscriversi soltanto al turno assegnato;
● Gli argomenti trattati sono già stati svolti a lezione;
● È presente una esercitazione di ripasso, alla fine delle varie lezioni, per poter riconoscere i vari
tessuti anche all’interno dello stesso organo.

Ripasso della lezione precedente (13-01-2021)


I tipi di tessuto sono fondamentalmente 4: epiteliale, connettivale, muscolare e nervoso; che hanno una
diversa derivazione embriologica.

Tessuti epiteliali
Rappresentano un gruppo di tessuti in cui le cellule sono molto a contatto tra di loro; quindi, tra loro c’è
scarsa matrice exracellulare e mancano di vascolarizzazione ma possiedono innervazione. Poggiano su
una struttura della membrana basale che mette in comunicazione i tessuti epiteliali con il tessuto
connettivo che permette alle cellule epiteliali di sopravvivere poiché permette il trasporto di nutrienti e
ossigeno.

Possono essere distinti in base alla funzione:

• protezione fisica;
• scambio di sostanze (metabolicamente attivi, funzione tipica degli epiteli ghiandolari) fra
ambiente e tessuti;
• produzione di secrezioni specializzate e recezione sensoriale.

In base al tipo di organizzazione parliamo di epiteli di rivestimento, epiteli ghiandolari divisi in


endocrini ed esocrini ed epiteli sensoriali.
ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO

Derivazione embriologica

L’origine embriologica dei tessuti epiteliali dipende da dove ci troviamo, se considero ciò che è esterno
devo considerare la derivazione di tipo ectodermico; gli epiteli che vanno a costituire gli endoteli e i
mesoteli sono di origine mesodermica; mentre la maggioranza degli epiteli di tutte le cavità interne sono
di origine endodermica perché derivano dal tubo digerente primitivo da cui deriva l’apparato digerente
e respiratorio.

Tutti e tre i foglietti contribuiscono al differenziamento degli epiteli:

FOGLIETTO ECTODERMINCO: Cellule dell’epidermide e dei suoi annessi, epitelio delle fosse nasali,
epitelio della cornea e del cristallino, epitelio dell’orecchio interno, epitelio del vestibolo della cavita
orale, delle gengive, del palato duro e del terzo distale del canale anale, parenchima della ghiandola
parotidea, epitelio dell’adenoipofisi;

FOGLIETTO ENDODERMICO: epiteli che fanno parte delle tonache mucose (quelli che rivestono cavità
che comunicano con l’esterno). Epiteli dell’apparato respiratorio, di quello digerente, parte di quello
urinario, parte dell’apparato genitale femminile, cavità timpanica;

FOGLIETTO MESODERMICO: epiteli che rivestono le tonache seriose (quelli che rivestono cavità che
non comunicano con l’esterno). Epiteli che rivestono i vasi (endotelio), quello che ricopre le ovaie, parte
degli epiteli dell’apparato urinario e di quello genitale;

Epiteli di rivestimento
Composti da una serie di cellule che vanno a delimitare una cavità, e al disotto di questa troviamo il
tessuto connettivo.

I tessuti epiteliali hanno sempre una superficie libera, detta anche superfice apicale, hanno una
superficie basale che poggia sulla membrana basale, e hanno della specializzazione sulle superfici
laterali delle cellule che permettono di mantenere l’integrità dell’epitelio.

Superfici laterali:
Rappresentano il compartimento attraverso il quale le cellule epiteliali entrano in contatto tra di loro;
possiedono dei complessi giunzionali che sono formati da delle giunzioni occludenti, giunzioni ancoranti
e giunzioni comunicanti.

Poiché le cellule devono aderire alla membrana basale esistono dei complessi di adesione che
permettono questo ancoraggio con il tessuto connettivo sottostante.

Le adesioni meccaniche sono possibili grazie a molecole specifiche che sono le molecole di adesione
cellulare (CAM); sono delle proteine trans-membrana dove il dominio intracellulare mette in
comunicazione la proteina trans-membrana con il citoscheletro, mentre il domino extracellulare lega
un’altra molecola, uguale o diversa. Se l’ambiente extracellulare è rappresentato da un’altra cellula sarà
presente un legame tra le due porzioni extracellulare delle due molecole di adesione, mentre se
l’ambiente extracellulare è rappresentato da un tessuto in cui non sono presenti cellule ho dei sistemi
di ancoraggio molto differenti. È molto importante il dominio intracellulare ancorato con i filamenti di
actina perché tramite la formazione di queste giunzioni il citoscheletro di actina è in grado di posizionare
in maniera corretta tutti gli organelli citoplasmatici determinando sia il funzionamento della cellula ma
anche la sua polarità.

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● GIUNZIONI OCCULDENTI: impediscono il passaggio di molecole dalla superficie che l’epitelio


riveste allo spazio intracellulare; sono formate grazie alla fusione delle due membrane
plasmatiche; serve anche per mantenere la polarizzazione delle cellule permettendo il
posizionamento di determinate proteine solo sul lato apicale delle cellule. La presenza di queste
giunzioni rende l’epitelio impermeabile e permette di creare una barriera bloccando la
diffusione di particelle (barriera emato-encefalica e barriera emato-testicolare).
Le giunzioni occludenti sono formate da numerose proteine tra le quali vi sono proteine
transmembrana (junctional Adhesion Molecules-JAM) e proteine estrinseche (proteine della
zonula occludentes) che costituiscono uno staro sul versante citoplasmatico della membrana
che unisce le giunzioni occludenti ai microfilamenti di actina.
Modificazioni strutturali delle giunzioni occludenti sono tipiche di alcune malattie in cui si
rileva una disfunzione della barriera epiteliale (es. Morbo di Cronh)

● GIUNZIONI ANCORANTI: permettono di distribuire uniformemente tra le cellule le forze che


agiscono su un determinato tessuto; grazie a queste giunzioni i citoscheletri, infatti, vengono
collegati permettendo di distribuire su un’area maggiore le
forze applicate su un’area ristretta.
Tra le giunzioni ancoranti distinguiamo:

o Fasce aderenti - zonula adhaerens: giunzioni che


permettono di legare meccanicamente le cellule epiteliali
fra di loro, le membrane citoplasmatiche delle cellule unite
a livello della zonula adhaerens sono divise da uno spazio
di circa 20 nm. Come elemento di giunzione esternamente
utilizzano vi sono le CADERINE (appartenenti alle Cam),
Figura 1
che internamente legano direttamente i filamenti di actina
(mediante delle proteine linker: CATENINE), formando
delle fasce attorno a tutta la cellula. Negli epiteli la molecola di adesione presente è la
E-caderina, la sua interazione è modulata dalla concentrazione degli ioni calcio.
o Desmosomi – macula adhaerens: (diametro fino a 1𝝁𝒎)sono più complessi, utilizzano
proteine di adesione della famiglia delle caderine, ma non caderina E; a livello della
placca di adesione le calderine interagiscono con proteine citoplasmatiche, le
PLACOGLOBINE che sono proteine che si legano direttamente ai filamenti intermedi di
cheratina. Dal punto di vista meccanico sono molto più resistenti. Vengono utilizzate
solo come piccoli spot.
● GIUNZIONI COMUNICANTI (gap Junction o Nexus): le proteine transmembrana sono in grado di
formare dei canali detti CONNESSONI, che si possono trovare in forma aperta o chiusa e sono
regolati dal calcio; possono favorire lo scambio di molecole tra una cellula e l’altra. Ciascun
connessone è formato da 6 proteine transmembrana (connessine); ciascun connessone può
essere costituito da connessine tutte identiche (connessone omomerico) o da connessine
differenti (connessone eteromerico). Nella maggior parte dei casi le gap junction mettono in
comunicazione cellule dello stesso tessuto (riconoscimento omotipico) ma possono esistere
anche tra cellule di diversa natura (riconoscimento eterotipico)

Queste giunzioni le possiamo trovare in molti altri tessuti che non sono di origine epiteliale. [fine ripasso
della lezione precedente minuto 20 della lezione registrata].

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GIUNZIONI CHE SI INSTAURANO TRA LA MEMBRANA DI UNA CELLULA E LA ECM


(DOMINIO BASALE)
Come la cellula è in grado di aderire meccanicamente alla cellula adiacente, è anche in grado di aderire
al tessuto connettivo sottostante. L’adesione tra la cellula e la membrana basale è mediata da dei
complessi giunzionali che assomigliano ai complessi giunzionali meccanici che abbiamo nella parte
laterale della cellula.

Questi sono:

● EMIDESMOSOMI: metà di un desmosoma.


● CONTATTI FOCALI: metà di una giunzione aderente.
● PODOSOMI: contatti puntiformi presenti solo in particolari tipi di cellule.

Questi sistemi aderiscono alla membrana basale. Nella figura 1 individuammo il lume dell’organo con la
parte bianca e le frecce bianche indicano la membrana basale.

Mentre questa immagine (figura 2) è a microscopia elettronica, la cellula


è quella che possiede il colore più scuro, il nucleo è la parte più scura in
alto a sinistra, sono individuabili anche i mitocondri, e la linea nera che
delimita la cellula è la struttura di ancoraggio e la parte più chiara è il
tessuto connettivo su cui poggia il tessuto epiteliale.

La membrana basale è costituita da due lamine:

● Lamina basale di natura epiteliale: costituita dalla cellula


Figura 2
epiteliale
● Lamina reticolare di natura connettivale: costituita dal tessuto
connettivale sottostante.

Nella parte costituita dalla cellula epiteliale abbiamo le proteine transmembrana della cellula epiteliale
e il glicocalice, quindi le glicoproteine che costituiscono il contorno della cellula epiteliale che prendono
contatto con le componenti del tessuto connettivale.

Questa è la struttura del desmosoma, nell’immagine in alto


si osserva la cellula, mentre le strutture più scure sono gli
emi-desmosomi, strutture che sono la metà del desmosoma.
Quindi la parte interna è identica a quella del desmosoma
ma cambia la proteina che permette l’ancoraggio
transmembrana perché cambia la superficie con cui la
cellula si ancora.

In questo caso le molecole di ancoraggio sono le INTEGRINE,


ma a differenza delle caderine che facevano in legame
omotipico, in questo caso la parte intracellulare di collega
Figura 3 alle placoglobine e ai filamenti intermedi (che variano per
ogni tessuto), mentre la parte extracellulare si collega al
tessuto connettivo. Per il contatto focale il ragionamento è analogo, ma si collegano ai filamenti di actina
non grazie alle caderine E ma alle integrine. Sono importanti per la migrazione delle cellule all’interno
del tessuto. Il tessuto epiteliale rimane ancorato anche grazie ai contatti focali, ma in particolare grazie

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agli emi-desmosomi perché la possibilità di polimerizzare o depolimerizzare velocemente l’actina


permette alla cellula di aumentare o diminuire il numero di contatti focali.

SPECIALIZZAZIONI DEL DOMINIO APICALE


Il dominio apicale è sempre presente poiché nei tessuti epiteliali ho sempre una superficie libera e può
presentare diverse specializzazioni che dipendono dalle funzioni dei vari epiteli e sono immobili o
mobili in base alla struttura del citoscheletro che possiedono:

● MICROVILLI - immobili
● STEREOCIGLIA O STEREOVILLI - immobili
● CIGLIA – mobili

Microvilli:
sono immobili e sono costituiti all’interno da filamenti di actina,
sono visibili negli epiteli intestinali dove costituiscono l’ORLETTO
STRIATO (nella figura 3 è la striscia indicata dalla freccia). Infatti,
non sono visibili singolarmente al microscopio ma solo come orletto
striato. Sono costituiti da espansione della membrana, quindi sopra
il microvillo ho il glicocalice che è visibile e sono delle espansioni
molto piccole (1-2 um), servono a costituire dei punti in cui la cellula
Figura 4: microvilli.
aumenta enormemente la superficie di contatto con l’ambiente
esterno. Grazie a questa tecnica la cellula è in grado di aumentare
enormemente la membrana della superficie libera.

Nella superficie interna abbiamo dei filamenti di actina che si sono formati dalla polimerizzazione di
sub-unità globulari; esistono molte strutture, come la villina, in grado di ancorare i filamenti di actina in
modo tale che rimanga una struttura definita e costante nel tempo, anche se possiede una estremità in
grado di polimerizzare una in grado di depolimerizzare.

Stereo ciglia:
estroflessioni della membrana plasmatica, identiche ai microvilli
strutturalmente ma molto più lunghi (fino a 30𝜇𝑚) sono sempre costituiti
da actina, sono immobili e si trovano a livello dell’epididimo. Sono delle
sedi in cui le cellule dell’epididimo sono in grado di aumentare la
superficie per favorire la maturazione degli spermatozoi. Nella figura 4 le
stereociglia sono individuate dai prolungamenti più chiari. Assomigliano
alle ciglia ma differiscono da esse perché contengono i filamenti di actina
Figura 5 e quindi sono immobili.

Ciglia:
presenti sulla superficie apicale di cellule epiteliali coinvolte nel movimento di muco sulla superficie
dell’epitelio stesso. Si vedono chiaramente in una sezione al microscopio ottico. Sonio mobili perché
sono costituite da microtubuli associati in una struttura 9+2, coppia di microtubuli centrali costituiti da
13 proto-filamenti e 9 coppie di microtubuli periferici legati alle dineine che è una delle due proteine
motrici che permette il movimento delle ciglia. Queste sono presenti negli epiteli dell’apparato

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respiratorio, dove sono fondamentali per rimuovere, attraverso un movimento dal basso verso l’alto,
dalle vie respiratorie il polviscolo atmosferico che può essere inalato durante la respirazione. Ogni ciglio
presenta una porzione libera ed una porzione infissa nella cellula, che comprende il corpuscolo basale,
da cui prende origine il filamento assile del ciglio (assonema).

Polarizzazione delle cellule:


Esiste sempre una perfetta organizzazione della distribuzione degli organelli interni:

● Il nucleo e i mitocondri si trovano vicino alla parte basale della cellula perché attraverso la
membrana basale arriva energia che serve per compiere tutte le funzioni tipiche del nucleo e dei
mitocondri.
● Gli organelli citoplasmatici che servono per la sintesi delle proteine o per la digestione delle
molecole che vengono inglobate dalla cellula si trovano nello spazio tra il nucleo e la parte
apicale della cellula.

CLASSIFICAZIONE DEGLI EPITELI DI


RIVESTIMENTO
Possiamo classificare tutti i tessuti di cui parliamo
secondo criteri sia puramente morfologici, cioè
unicamente legati al fatto che hanno quell’aspetto, sia
criteri che mettono insieme le caratteristiche
morfologiche dei tessuti e la loro funzione.

Questa è una sezione di un epitelio di rivestimento in


ematossilina eosina (una delle colorazioni usate) formato da un singolo strato di cellule che separa un
compartimento superiore dal connettivo sottostante. Qui si riescono a vedere delle strutture che
sembrano quasi gocciole, (i nuclei delle cellule) e dei pallini, che (i nucleoli). Solo grazie a questa visione
dobbiamo essere in grado di classificare i vari epiteli.

Classificazione

La classificazione può seguire due criteri che devono però essere messi insieme:

● Guardare quanti strati compongono l’epitelio: cioè una volta individuata la membrana basale ed
il nucleo, quanti strati di cellule ci sono.
Possiamo identificare, quindi:
o l’epitelio monostratificato o semplice: costituiti da un unico strato di cellule che
poggiano tutte sulla membrana basale, esistono però epiteli che sembrano essere
formati da più strati ma in realtà sono costituti da uno strato solo, li definiamo
pseudostratificati;
o L’epitelio composto o pluristratificato: sono costituiti da due a più strati cellulari. In
questi epiteli solo le cellule dello starato più profondo sono poggiate alla membrana
basale.
● Guardare qual è la forma delle cellule che rivestono la cavità:

o epitelio pavimentoso o squamoso: completamente appiattite ed hanno come


dimensione maggiore la larghezza;
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o epitelio cubico o isoprismatico: quando le tre dimensioni delle cellule che li


costituiscono si equivalgono;
o epitelio cilindrico o batiprismatico: quando le cellule che li costituiscono hanno come
dimensione maggiore l’altezza.

È ovvio che non si può utilizzare una sola classificazione ma la combinazione delle due, avremmo quindi
all’interno dell’organismo:

- Epiteli pavimentosi semplici


- Epiteli cubici semplici
- Epiteli cilindrici semplici
- Epiteli pavimentosi composti
- Epiteli cubici composti
- Epiteli cilindrici composti
- Epiteli pseduostratificati
- Epiteli di transizione (la cui dimensione dipende dal momento funzionale in cui analizzo
l’organo)

Figura 6

In linea di principio, per quanto riguarda gli epiteli composti, nel nostro organismo la stragrande
maggioranza è costituita da epiteli pavimentosi composti, mentre la percentuale di cubici e cilindrici
composti è molto bassa. Inoltre nel caso degli epiteli pluristratificati, per definire se siano pavimentosi,
cubici o cilindrici si guarda lo strato a diretto contatto con la superficie, lo strato basale è infatti sempre
costituito da cellule in attiva proliferazione che in genere hanno un aspetto cubico.

Dietro alla localizzazione degli epiteli nell’organismo c’è una logica. Abbiamo detto che gli epiteli sono
tessuti non vascolarizzati che quindi prendono il nutrimento dal connettivo sottostante attraverso la
membrana basale.

Se considero un epitelio semplice vedo che questo è molto sottile e anche relativamente fragile poiché
non ha grande possibilità di fare unione con le cellule vicino. Inoltre la fragilità sarà proporzionale alla
sottigliezza del lato che dà alla cellula vicina, infatti una cellula diventa meccanicamente più resistente
mano a mano che aumentano i contatti che si possono avere con la cellula adiacente. In assoluto quindi

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l’epiteli più fragile è il pavimentoso semplice. Questo epitelio diventa però molto utile in tutti quei
distretti anatomici dove sono necessari scambi tra quello che passa sopra e il tessuto connettivo. Questi
tessuti saranno quindi tipici delle zone dove la funzione di scambio è estremamente importante.

L’epitelio pluristratificato invece risulta più robusto poiché avendo tanti strati prima di rompere i legami
tra le cellule è necessario più tempo, proprio per questo non può essere usato per funzioni di
assorbimento o secrezione. Per la classificazione risulta quindi più facile capire qual è la funzione del
tessuto in cui ci troviamo, e attraverso questa determinare il tipo di epitelio.

1) Epitelio pavimentoso semplice: sottile e delicato facilita notevolmente gli scambi tra il lume e il
connettivo sottostante. È localizzato a livello degli alveoli polmonari (cavità dove arriva l’aria
che deve essere subito messa in condivisione con il letto vascolare per ossigenare i globuli
rossi). Lo trovo inoltre a livello dell’ansa di Henle dove inizia
la filtrazione del sangue, o anche dell’endotelio (epitelio di
origine mesodermica che riveste i vasi) il quale risulta lo
stesso per tutti i vasi. Lo troviamo inoltre nel mesotelio
(pleura, pericardio e peritoneo), la funzione non è legata al
trasporto di meboliti o sostanze gassose come nel caso
dell’endotelio ma alla riduzione dell’attrito.
Figura 7

2) Epitelio cubico semplice: protezione nettamente superiore all’epitelio pavimentoso semplice


ma comunque con funzione principale di secrezione e assorbimento. Si localizza a livello delle
ghiandole sia endocrine che esocrine. Nell’apparato genitale maschile riveste i tubuli retti e la
rete testis e ha funzione secretiva esocrina, come a
livello delle vescichette seminali; nell’apparato
genitale femminile l’epitelio germinativo che
riveste le ovaie; a livello dell’apparato
respiratorio riveste i bronchioli terminali. Per
esempio, qui vediamo la tiroide (ghiandola
endocrina) dove possiamo riconoscere nuclei
tondeggianti che identificano dunque un epitelio
cubico semplice; osserviamo inoltre in rosa il Figura 8
prodotto inattivo dell’ormone tiroideo. Anche nel
rene osserviamo cellule con il nucleo
tondeggiante.

3) Epitelio cilindrico semplice: meccanicamente ancora più resistente e molto rappresentato tra
gli epiteli semplici in quanto localizzato nella stragrande maggioranza dell’apparato digerente
(a partire dallo stomaco fino all’intestino retto). Le funzioni dell’epitelio cilindrico semplice
variano a seconda delle specializzazioni presenti sulla superficie libera delle cellule, è presente
nell’organismo umano in due differenti varianti:

o Epitelio cilindrico semplice non ciliato: è presente in particolare nei dotti escretori
delle ghiandole, a livello della mucosa gastrica ed intestinale.
o Epitelio cilindrico semplice ciliato: riveste le tube uterine e parte dell’utero e si ritrova
anche nell’apparato respiratorio a livello dei bronchioli.

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[NOTA: Il problema di osservare le sezioni è che in microscopia ottica vediamo in bidimensionale un


organo che è tridimensionale; a seconda quindi del piano di sezione osserviamo strutture
completamente diverse anche se in realtà sono la stessa. Per quanto riguarda il tubo digerente inoltre il
tutto è complicato dal fatto che questo è una struttura lunga, rigirata nell’organismo più di una volta.
Inoltre ricordiamo che i microvilli sono sempre presenti a livello dell’intestino tenue, mentre si perdono
nell’intestino crasso, questo perché il primo ha funzione di assorbimento di nutrienti mentre il secondo
ha funzione di assorbimento d’acqua che entra invece per diffusione. ]

4) Epitelio cilindrico pseudostratificato: viene definito tale poiché i nuclei vengono visti ad altezze
diverse anche se in realtà tutte le cellule poggiano sulla membrana basale, tuttavia non tutte le
cellule raggiungono la superficie apicale. Se tutte le cellule poggiano sulla membrana basale, che
rappresenta il punto da cui parte l’epitelio, allora lo strato cellulare sarà
solo uno. Questo epitelio è tipico delle vie respiratorie (figura 8) e
normalmente risulta ciliato. Esiste poi un epitelio pseudostratificato con
stereociglia, tipico dell’epididimo.

Il termine pseudostratificato, come detto in precedenza, deriva dal fatto


che, i nuclei appaiono situati a differenti altezze, come in un epitelio
pluristatifiacto. I nuclei disposti in profondità appartengono a cellule
staminali responsabili del ricambio dell’epitelio. Figura 9: sezione di trachea

Anche in questo caso è presente nel nostro organismo in due varianti:

o Epitelio cilindrico pseudostratificato non ciliato: riveste alcuni


tartti exratesticolari delle vie genitali maschili, precismanete l’epididimo e il dotto
deferente.
o Epitelio cilindrico pseudostratificato ciliato: riveste la maggior parte delle vie aeree
superiori, la laringe, la trachea ed i bronchi.

5) Epiteli cubici e cilindrici stratificati: risultano piuttosto rari e seppure abbiano funzione
protettiva in minima parte fanno anche secrezione ed assorbimento. Possiamo trovarli a livello
dei dotti di ghiandole sudoripare oppure (nello specifico per i cilindrici) in punti di passaggio
tra epiteli stratificati ed epiteli semplici. Quando infatti osserviamo come varia l’epitelio di
rivestimento all’interno del tubo digerente,
osserviamo che per un certo periodo svolge funzione
protettiva mentre poi la funzione di secrezione deve
diventare prevalente (stomaco, intestino tenue e
crasso) per poi tornare a livello dell’intestino retto
con funzione protettiva. Nei punti di passaggio tra un
epitelio semplice e stratificato posso trovare quindi
delle zone di epitelio cilindrico composto, per Figura 10
esempio nel cardias (passaggio esofago-stomaco) o
nel passaggio tra intestino crasso e retto. Quindi il
cilindrico risulta tipico delle zone di passaggio tra
epiteli semplici e stratificati.

Autore: Martiri Alice, Angelici Sophie, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 9 di 14
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6) Epitelio pavimentoso stratificato: in questo caso le cellule vanno da uno strato basale fin ad uno
strato superficiale. Questo epitelio è robusto e resiste dunque molto alle sollecitazioni
meccaniche, per questo lo trovo in tutte quelle zone dove devo fare un fenomeno di protezione,
che sono dunque a contatto con l’esterno. La grossa distinzione in questi epiteli è tra epiteli
cheratinizzati, per esempio l’epidermide e non cheratinizzati, come le mucose, per esempio
bocca, faringe, esofago, vagina e retto (corneificati e cheratinizzati sono analoghi). Quindi nel
caso dell’epidermide vediamo che l’ultimo strato è costituito da
cellule morte (squame cornee) in un processo di apoptosi
cellulare, mentre per gli epiteli non corneificati anche nell’ultimo
strato avremmo cellule vive. Quindi le cellule subiscono un
differenziamento progressivo partendo dagli strati superiori a
quelli più superficiali.
Vediamo qui una sezione di esofago: abbiamo uno strato basale
costituito da cellule in attiva proliferazione, in quanto parliamo di
epitelio sottoposto ad usura, infatti le cellule seppure non sono
morte desquamano e devono essere sostituite.
Figura 11
Esiste in due varianti:
o Epitelio pavimentoso pluristratificato non cheratinizzato: riveste la cavità orale, la
faringe, l’esofago, il tratto distale del retto, la vagina, il tratto distale dell’uretra e la
cornea.
o Epitelio squamoso pluristratificato cheratinizzato: costituisce l’epitelio di
rivestimento del corpo umano (epidermide). Questo epitelio si differenzia dal precedente
per la presenza sulla superficie dello stato corneo, costituito da cellule appiattite non
più vitali, caratterizzate dall’assenza di nucleo e di altri organelli cellulari. Le cellule dello
stato corneo appaiono ricche di componenti del citoscheletro, in particolare di cheratina.

Epidermide: Rappresenta l’epitelio che costituisce la pelle; lo spessore dell’epidermide varia da 50 𝜇m


a 1.5 mm. Essa essendo formata da molti starti cellulari e non essendo vascolarizzata deve essere nutrita
dal derma sottostante. Dallo strato basale fino allo strato corneo troverò cellule, i cheratinociti, essi
presentano caratteristiche diverse. Al fine di rendere più efficiente possibile lo scambio di molecole e di
gas tra i cheratinociti e i vasi contenuti nel derma, la membrana basale si ripiega a rivestire le cosiddette
creste epiteliali e papille dermiche, importanti per aumentare
la quantità di cellule che può prendere contatto con il tessuto
connettivo; (creste= zone di epitelio che si approfondano nel
connettivo; papille=zone di connettivo che si allungano verso la
superficie) queste sono particolarmente vistose sulla cute
palmare, dove danno origine ai dermatoglifi (impronte digitali).
Figura 12
Gli strati in totale possono essere 4/5. Possiamo qui vedere nella
zona più chiara il tessuto connettivo, nella riga le cellule dello
strato basale, nella zona centrale lo strato granuloso, nella parte
più chiara sovrastante lo strato lucido e sopra lo strato corneo.

NB: i cheratinociti producono come filamento intermedio la cheratina (acide e basiche).

All’epidermide sono associati una serie di annessi cutanei (ghiandole sudoripare, ghiandole sebacee,
ghiandole mammarie, follicoli piliferi e unghie).

Autore: Martiri Alice, Angelici Sophie, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 10 di 14
ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO

Strati dell’epidermide:

- Strato germinativo (Basale): le cellule appartenenti a questo strato prendono contatto con il
connettivo attraverso gli emidesmosomi. Questo strato provvede al ricambio degli epiteli
nonché alla proliferazione, passando attraverso i vari strati fino alla superficie libera
modificando la propria sintesi proteica nel processo di maturazione. In tutte le cellule sono poi
presenti i filamenti di cheratine (principalmente 5 e 14). Assieme allo strato spinoso costituisce
il cosiddetto strato Maplighiano.
i nuclei sono ovali, disposti perpendicolarmente alla membrana basale con nucleoli evidenti,
sono rilevabili spesso figure mitotiche che testimoniano l’elevata capacità proliferativa, non
avvengono mitosi al di fuori di questo strato (tranne in caso di tumore).

- Strato spinoso: presenta cellule più grandi e con un aumento dei filamenti di cheratina che
mantengono parzialmente attività proliferativa (specificatamente nello strato più a contatto con
quello basale); inoltre rappresenta di norma lo strato più spesso (4-10) A questo livello le cellule
sono unite fra loro solo da desmosomi non essendoci più connettivo. Proprio la presenza dei
filamenti di cheratina e dei desmosomi da alle cellule un aspetto spinoso. Mano a mano che dalla
porzione basale ci si muove verso lo strato granulare le cellule dello strato spinoso cominciano
ad evidenziare nel citoplasma dei corpi (multilammaleare o di Odland) che contengono
lamelle di natura lipidica, prevalentemente colesterolo, che verranno poi mantenute nella cellula
fino allo strato granuloso, mentre a livello dello strato lucido saranno rilasciate (qui danno
impermeabilità all’epidermide). Oltre ai granuli di Odland comincia ad essere sempre più
evidente la presenza di una struttura proteica che si trova subito al di sotto della membrana
plasmatica, costituita da una molecola che si chiama involucrina. Quando si ha la modificazione
delle cellule dallo stato basale a quello corneo (dove abbiamo cellule andate incontro ad
apoptosi) vediamo in quest’ultimo il mantenimento di una struttura estremamente rigida legata
dalla cheratina e da altre molecole che si trovano al di sotto della membrana. La lamella dello
strato corneo avrà quindi una funzione più protettiva.

- Strato granuloso: (1-6 starti) qui aumenta notevolmente la sintesi delle cheratine, già presenta
nello strato basale, che vengono però cambiate nella loro tipologia (2 e 9). A questo livello
vengono accumulate sotto forma di granuli di cheratoialina, i quali poi insieme alla filaggrina
vengono liberati a livello del citoplasma, qui vanno a costituire delle strutture rigide che
permettono di bloccare il passaggio di molecole dalla superficie esterna verso l’interno
dell’epidermide (barriera impermeabile). Nei granuli di cheratoialina inoltre è presente la
loricrina, proteina che va ad aggiungersi all’involucrina, prodotta nello strato spinoso, a
costituire l’involucro corneificato.

- Strato lucido: può essere presente o meno. In particolare è sempre presente in tutte le zone
dove le sollecitazioni meccaniche sono maggiormente presenti, quindi per esempio nel palmo
delle mani o nelle piante dei piedi; non sarà invece presente sulla cute del dorso delle mani,
dell’addome o del dorso. A questo livello avremmo che i granuli di cheratoialina e le molecole di
involucrina raggiungono la loro massima espressione per facilitare la successiva formazione
dello strato corneo. Normalmente le parti di epidermide che presentano lo strato lucido vengono
definite come cute spessa con spessore tra 400-1400 um (NB: quando parliamo di cute
intendiamo sia l’epidermide, l’epitelio di rivestimento e il connettivo sottostante). Al contrario
la cute sottile senza interposizione di strato lucido ha uno spessore variabile tra 75-150 um.

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ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO

- Strato corneo: questo strato è completamente privo di nuclei (ci sono cellule che si occupano di
“mangiare” il nucleo delle cellule che hanno fatto apoptosi). Qui viene a formarsi un involucro,
con le squame cornee superficiali, attraverso una serie di giunzioni intercellulari e per la
presenza di molecole lipidiche che si intermezzano tra le lamelle, in maniera da dare
impermeabilità al tessuto epiteliale. L’epidermide va incontro a desquamazione, legata al fatto
che si vanno a perdere quelli che sono i punti di contatto tra le lamelle cornee e le cellule dello
strato granuloso; sono quindi espresse delle proteine che rompendo i legami permettono di
eliminare l’ultimo strato dell’epidermide. Le squame cornee, unite da desmosomi modificati, nei
piani superficilai si staccano grazie ad enzimi contenuti nei cheratinosomi, le squame cornee
vengono così perse continuamente dalla superficie e lo spessore dell’epidermide viene
mantenuto costante.
Le funzioni dello strato corneo sono diverse:
● Meccanismo di difesa: in primis nei
confronti delle infezioni da agenti
patogeni
● Regolazione termica Figura 13

● Resistenza al passaggio di corrente


elettrica: soprattutto le molecole
lipidiche
● Barriera all’ingresso di agenti chimici
● Primo filtro per le radiazioni UV

Consideriamo che grosse lesioni a livello cutaneo dove


la barriera cheratinica viene ad essere persa, inducono perdita di liquidi e maggiori possibilità per
microrganismi di interagire direttamente con il tessuto connettivo.

Citomorfosi cornea

Il processo che induce al cambiamento della morfologia delle cellule epidermiche prende il nome di
citomorfosi cornea (rappresenta quindi il processo di differenziamento e apoptosi finale nel suo
complesso).

Cellule presenti nell’epidermide

Oltre ai cheratinociti abbiamo:

- Melanociti: situati a livello dello strato basale sono le cellule responsabili della produzione di
melanina (eumelanina: bruna o feomelanina: rossastra) in organelli che si formano
dall’apparato del Golgi, i premelanosomi. La melanina viene mantenuta all’interno di granuli
che si accumulano nei lunghi prolungamenti, per cui il corpo del melanocita si troverà a livello
dello strato basale mentre i suoi prolungamenti arriveranno fino a livello dello strato
spinoso/granuloso. La produzione della melanina è regolata dall’ormone melanina stimolante
(MSH) prodotto a livello della porzione intermedia dell’ipofisi. Una volta che i melanociti
producono i propri granuli di melanina possono cedere la colorazione ai cheratinociti in modo
quindi da colorare l’epidermide. La melanina si accumula negli stadi più avanzati dei
melanosomi che si spostano lungo i processi dentritici per mezzo di microtubuli e che vengono
trasferiti ai cheratinociti mediante un meccanismo di secrezione citocrina. La quantità e le
caratteristiche dei granuli sono dipendenti dalla razza. I melanociti sono presenti
nell’epidermide ad una densità media pari a circa 500-1000melanociti/mm2

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ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO

- Cellule di Langerhans: situati a livello dello strato spinoso appartengono al sistema monocito-
macrofagico quindi presentano elevata attività fagocitaria, sono infatti i responsabili della
rimozione del nucleo dei cheratinociti dello strato corneo. Inoltre, rappresentano una prima
difesa in caso qualcosa entri attraverso la barriera epiteliale. Non presentano desmosomi ma
sono unite fra di loro e ai cheratinociti circostanti attraverso molecole di adesione E-caderina.
La loro ultrastruttura è caratterizzata da un nucleo irregolare, numerosi lisosomi e i cosiddetti
granuli di Birbeck.

- Cellule di Merkel: (diametro di10𝜇𝑚) situati a livello dello strato basale la loro attività e
sensitiva, sono infatti dei propriocettori (sensori cutanei). Si trovano unite ai cheratinociti
mediante desmosomi. In seguito a stimoli di tipo meccanico, le cellule di Markel rilasciano ioni
calcio inducendo il rilascio di neurotrasmettitori, i quali stimolano la porzione distale della fibra
nervosa sensitiva.

7) Epitelio polimorfo o di transizione:


L’epitelio di transizione è costituito da tre starti differenti:

o Strato basale: comprende cellule staminali e poggia sulla membrana basale;


o Strato intermedio: è costituito da due o più file di cellule a clava (o piriformi) che hanno
la porzione basale assottigliata rispetto alla porzione apicale allargata che contiene il
nucleo;
o Strato superficiale: è costituito da cellule a ombrello (o a cupola) cellule di grosse
dimensioni

Questo epitelio è caratteristico delle vie urinarie per cui


normalmente viene anche definito come urotelio. Si può
presentare in maniera differente a seconda del momento
funzionale: può quindi essere più alto o più basso. Questa sua
caratteristica è legata al fatto che lo strato più superficiale
dell’epitelio è costituito da cellule binucleate e cupoliformi, in
grado di scivolare sulle cellule sottostanti, in maniera che
quando l’organo viene sottoposto a tensione possa essere
sempre protetto dal tessuto epiteliale. L’esempio più classico
di questo epitelio è la vescica (sacchettino per mantenere
l’urina) che presenta momenti funzionali diversi, infatti mano
a mano che la vescica si riempie la muscolatura si rilassa in
modo da facilitare l’ingresso dell’urina ma l’epitelio deve Figura 14
essere sempre presente per proteggere il connettivo dall’urina che avendo presenza di ammonio
risulta tossica. Quindi grazie alle sue caratteristiche questo tipo di epitelio varia in maniera
armonica con le variazioni nella forma della vescica.

Suddivisione degli epiteli in base agli apparati

- Epidermide: epitelio pavimentoso pluristratificato corneificato


- Ghiandole associate all’epidermide: cubici/cilindrici semplici o cilindrici composti

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ISTOLOGIA – istologia II IST01 - EPITELI DI RIVESTIMENTO

- Apparato urinario: nel rene abbiamo tutti i tipi di epitelio semplici; a livello del bacinetto
renale inizia epitelio di transizione che arriva fino alla vescica e al primo tratto dell’uretra
passando per gli ureteri; poi diventa epitelio cilindrico
- Apparato respiratorio: a livello del naso, della rino-faringe, della laringe e della trachea
pseudostratificato ciliato; nei bronchi è cubico ciliato; diventa poi cubico semplice; a livello
degli alveoli polmonari è pavimentoso semplice.
- Apparato digerente: epitelio pavimentoso pluristratificato parzialmente corneificato a
livello della bocca; epitelio pavimentoso pluristratificato non corneificato per oro-faringe ed
esofago; a livello del cardias, dello stomaco e dell’intestino tenue e crasso è cilindrico
semplice; epitelio pavimentoso pluristratificato non corneificato nel resto fino all’apertura
anale dove è invece corneificato

Il tessuto epiteliale non viaggia mai da solo

- TONACA MUCOSA: epitelio + connettivo che rivestono una cavità che comunica con l’esterno
- TONACA SIEROSA: epitelio + connettivo che rivestono una cavità che comunica con l’interno
- TONACA O LAMINA PROPRIA: solo il tessuto connettivo che rivesta una cavità

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ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

ISTOLOGIA II
“EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO”
ID lezione IST02 Modulo Istologia II

Data lezione 4 Marzo 2021

Autore Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti

Lezione tenuta da Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima

Argomento Ghiandole; epitelio ghiandolare esocrino

Eventuali riferimenti Slide proiettate a lezione

Oggi ci occupiamo degli epiteli ghiandolari. Normalmente noi con il termine di ghiandole intendiamo
organi specializzati nella produzione e fuoriuscita (secrezione) di sostanze che svolgono una varietà di
funzioni biologiche all’interno del nostro organismo.
Il meccanismo di secrezione è un meccanismo attivo da parte delle cellule e va completamente separato
dal meccanismo dell’escrezione, cioè la produzione da parte delle cellule dei prodotti del catabolismo.

Quando parliamo di secrezione parliamo, per quello che riguarda la maggior parte del prodotto
secretivo (proteine), di un percorso che parte dalla fuoriuscita di un mRNA dal nucleo, dalla sua
traduzione sui ribosomi che sono adesi al RE, transito attraverso l’apparato del Golgi e poi la fuoriuscita
delle molecole attraverso il meccanismo dell’esocitosi, differenziato a seconda del tipo cellulare.
La secrezione può essere di due tipi

• Costitutiva: il rilascio delle molecole avviene man mano che queste si formano, non c’è
accumulo del prodotto di secrezione
• Regolata o discontinua: il prodotto di secrezione viene accumulato sotto forma di vescicole e
va incontro a secrezione solamente con l’arrivo di uno stimolo (natura ormonale, termica,
meccanica), il quale fa fondere le vescicole con la membrana plasmatica e il contenuto viene
riversato all’esterno

Una grande distinzione che riguarda le ghiandole è la seguente

• Esocrine: il secreto viene riversato all’interno di un organo cavo o all’esterno del nostro
organismo; l’azione di queste ghiandole è locale, limitata alla zona dove il prodotto arriva. Tutte
le ghiandole esocrine sono epiteliali.

• Endocrine: il secreto, detto ormone, viene riversato nel torrente circolatorio e così influenza
altre cellule, dette bersaglio, regolandone la proliferazione, l’apoptosi, il differenziamento e la
funzione. l’azione dei secreti può avvenire anche a notevole distanza dal punto di secrezione
ed avviene grazie alla presenza di recettori specifici sulle cellule del nostro organismo che
riconoscono questi secreti. Le ghiandole endocrine non sono tutte epiteliali, ad esempio vi sono
le connettivali (nelle gonadi) o alcuni neuro-ormoni sono secreti dai neuroni dell’ipotalamo

Le ghiandole esocrine ed endocrine di origine epiteliale hanno uno sviluppo del tutto sovrapponibile. Lo
sviluppo avviene grazie ad un differenziamento delle cellule dell’epitelio di rivestimento, le quali
proliferano sempre più verso l’interno del tessuto connettivo sottostante fino ad arrivare a una
situazione in cui distinguiamo una porzione secretoria e una porzione che va a costituire il dotto
escretore, il quale permette la fuoriuscita del secreto.

Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 1 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

Nel caso in cui la ghiandola debba diventare endocrina, lo stelo, la zona di contatto tra porzione
secretrice e epitelio di rivestimento degenera, viene perso (apoptosi) e mi rimane solo la porzione
secernente, la quale viene circondata da tessuto connettivo e capillari.
EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

Le ghiandole esocrine vengono così definite poiché il loro secreto viene rilasciato all’interno degli organi
oppure verso l’esterno. La cellula esocrina si affaccia direttamente sulla superficie su viene riversato il
secreto; queste formano dei gruppi di cellule secernenti
esercenti chiamati adenomeri connessi tramite un canale
(dove viene riversato il secreto) ovvero il dotto escretore. La classificazione delle ghiandole esocrine
può essere fatta basandoci sulla morfologia e sulla funzionalità. Le due classificazioni vengono unite per
dare maggiore specificità alle ghiandole.

Classificazione morfologica
• N° cellule: uni o pluricellulare
• Sede: Intra o extraparietale

• Forma dell’adenomero: tubulare, alveolare o acinose


• Ramificazione dotti escretori: semplici, ramificate e composte
Classificazione funzionale

• Modalità di emissione del secreto: eccrine, merocrine, olocrine o apocrine

• Natura del secreto: idrosalino, mucoso, sieroso, lipidico


CLASSIFICAZIONE GENERALE:

1. Cellule caliciformi
2. Superfici secernenti
3. Ghiandole esocrine propriamente dette

1| CELLULE CALICIFORMI solo le uniche cellule esocrine isolate, hanno una forma cilindrica o a calice.
Troviamo questa ghiandola intercalata tra le cellule dell’epitelio di rivestimento di molte tonache
mucose, come intestino e vie respiratorio (es. laringe e trachea). Questa ghiandola è una ghiandola
caliciforme mucipara (ha una forma a calice e produce una sostanza chiamata muco).

La cellula ha la forma di calice e possiamo identificare


• Teca apicale o parte apicale: vi sono i granuli di secreto rivestiti di membrana detti gocce di
mucine

• Stroma: parte di superficie libera su cui si affaccia la teca e da cui avviene l’esocitosi del secreto
• Stelo intermedio: in sui intravede un nucleo allungato e un apparato di Golgi esteso, questo
perché il secreto di queste cellule (ovvero la mucina) è prevalentemente composto da
glicoproteine assemblate nel Golgi.
• Piede o parte profonda: inserito sulla MB (membrana basale)

La cellula o ghiandola caliciforme mucipare secerne la mucina (miscela GP e GAG), queste glicoproteine
che la vanno a formare interagiscono con l’acqua formando il muco (liquido viscoso).
Il muco ha svariate funzioni:

▪ nell’intestino: isola l’epitelio di rivestimento da azione enzimi digestivi e facilita progressione


del bolo

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ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

▪ nelle vie respiratorie: regola l’idratazione dell’aria inalata


▪ Il muco ha anche un’azione protettiva antinfettiva infatti in esso si sciolgono anticorpi,
principalmente IgA che sono i principali mezzi di difesa contro le infezioni per via alimentare e
respiratoria.

Processo di secrezione:

1. Le gocce di mucinogeno vengono accumulate a livello dell’apparato di Golgi


2. Con l’accumularsi di queste gocce, la superficie apicale della cellula si estende e assume la tipica
forma di un nucleo

3. Il nucleo viene schiacciato dalla parte opposto della cellula


4. Le vescicole iniziano a fondersi con la parte apicale della membrana plasmatica e il contenuto
viene riversato verso l’esterno

Spesso le cellule caliciformi mucipare vanno a costituire delle vere e proprie superfici secernenti e sono
in realtà considerate un compromesso tra un epitelio di rivestimento e un epitelio ghiandolare, perché
il rivestimento di una particolare cavità è costituito da questa lamina ghiandolare.
Oltre alle cellule caliciformi mucipare, vi sono anche le cellule cilindriche mucipare: le prime
accumulano il secreto e poi lo riversano in seguito ad uno stimolo, le seconde eseguono una secrezione
continua e rivestono principalmente le tube uterine.

In alcuni casi sono proprio le cellule ghiandolari a fungere da epitelio di rivestimento, mentre in altri
casi c’è una sorta di continuità tra l’epitelio di rivestimento e queste cellule ghiandolari.

2| SUPERFICI SECERNENTI o EPITELI SECERNENTI


Si tratta di un ibrido tra un epitelio ghiandolare esocrino e un epitelio di rivestimento, in quanto sono
composte da cellule secernenti riunite a formare una lamina di rivestimento.

L’esempio classico di un epitelio secernente è quello che riveste la cavità dello stomaco.
Il rivestimento è costituito da un epitelio di rivestimento in continuità con le cellule che producono il
secreto. Il muco che viene prodotto ha un importante funzione protettiva nei confronti della mucosa
gastrica, è formato da glicoproteine neutre (non acide) e viene prodotto in grande quantità. Questo muco
evita che l’HCl dello stomaco causi danni, lesioni alla mucosa.

3|GHIANDOLE PLURICELLULARI (propriamente dette)


Le ghiandole pluricellulari possono essere distinte sulla base della sede in cui sono localizzate
• Ghiandole intraparientali (o intramurali): restano nello spessore della parete dell’organo cavo
nel quale versano il loro secreto

• Ghiandole extraparietali: si sviluppano al di fuori dell’organo cavo, ma vi rimangono in


collegamento attraverso il dotto escretore (es. Fegato, pancreas, ghiandole salivari maggiori)

Le ghiandole intraparietale si suddividono a loro volta in altre due categorie

• Esoepiteliali: scendono al di sotto dell'epitelio e possono sprofondare fino alla tonaca propria
(ghiandole coriali) oppure fino alla tonaca sottomucosa (ghiandole sottomucose)

• Intraepiteliali: restano nello spessore dell’epitelio; sono rare, due esempi li ritroviamo
nell’uretra maschile e nell’epididimo

Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 3 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

Un altro concetto che dobbiamo


introdurre quando parliamo di
ghiandole propriamente dette è che
queste sono unità pluri-tissutali, ossia
sono costituite non solo da tessuto
epiteliale, ma anche dal connettivo, con
cui sono in stretto rapporto.

In un organo pluri-tissutale, distinguiamo

• Parenchima: componente epiteliali che


costituisce sia l’adenomero (porzione
secernente) che il dotto escretore (porzione
che porta fuori il secreto prodotto
nell’adenomero)

• Stroma: componente connettivale di


supporto in cui decorrono vasi sanguigni e
nervi

Una ghiandola pluricellulare è costituita sempre dal


parenchima e dallo stroma.

Le cellule che costituiscono gli adenomeri sono strettamente associate tra di loro attraverso dei
complessi giunzionali; inoltre hanno un lume dove le cellule riverseranno il proprio secreto. Le cellule
confinano con il lume con la loro parte apicale, infatti sono cellule polarizzate per fare in modo che la
disposizione degli organelli sia funzionale e che l’apparato di Golgi sia rivolto verso la parte apicale.

Inoltre le cellule che costituiscono gli adenomeri sono legate attraverso gli emidesmosomi con il
connettivo circostante, lo stroma.

Nelle ghiandole salivari, nella ghiandola mammaria e nelle ghiandole sudoripare apocrine tra le cellule
degli adenomeri ritroviamo le cellule mioepiteliali, cellule che assomigliano molto alle muscolari lisce.
La loro attivazione, o meglio contrazione, favorisce la fuoriuscita del secreto favorendo la sua
progressione nel dotto escretore e infine verso la superficie libera.
CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA MORFOLOGIA DEGLI ADENOMERI
Gli adenomeri, ossia la porzione secernente della ghiandola, possono avere diverse forme

• ghiandole tubulari adenomeri con forma allungata e lume piccolo. I tubuli possono avere
andamento rettilineo o convoluto, in quest’ultimo caso si parla di ghiandole tubulari glomerulari
o a gomitolo (vedi ghiandola sudoripara). Esempio: ghiandole intestinali, lacrimali, sudoripare,
gastriche.

• Ghiandole otricolari: adenomeri con forma allungata e grosso lume centrale


• ghiandole acinose: Forma sferica e lume molto piccolo; il secreto viene immesso direttamente
nel dotto escretore. Esempio: pancreas

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ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

• ghiandole alveolari: Forma sferica e lume molto ampio che comunica con il dotto escretore.
Esempio: ghiandola mammaria in allattamento.

CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA COMPLESSITA’ DEL DOTTO ESCRETORE

Importante capire anche quanto è complesso il dotto escretore, o meglio quando le cellule secernenti
fanno fuoriuscire il secreto lo fanno attraverso un solo dotto escretore oppure più dotti escretori?
La distinzione è la seguente

• Ghiandole semplici: sono formate da un solo adenomero che riversa il secreto in un unico
dotto escretore
• Ghiandole ramificate: un unico dotto escretore raccoglie il secreto di più adenomeri

• Ghiandole composte: il dotto escretore principale si ramifica in condotti con calibro più piccolo
che terminano poi con gli adenomeri.

Semplici Ramificate Composte

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ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

Nello specifico le ghiandole con dotti escretori composti sono formate da:

una capsula di tessuto connettivo fibroso in


cui all’interno troviamo la componente
parenchimale delle ghiandole. Questa è
divisa in lobi (in giallo), separati dai setti
interlobari (in verde) di t. connettivo fibroso
che si dipartono dalla capsula. Ciascun lobo è
diviso da un lobulo dai setti interlobulari (in
azzurro). Proprio all’interno dei lobuli vi
sono gli adenomeri e i dotti escretori più
piccoli.

Il dotto escretore principale (in marrone)


penetra nella capsula e si dirama nei dotti
interlobari (in arancio), a sua volta entrano
nei lobuli prima passando attraverso i setti
interlobulari formando i dotti interlobulari
(in rosa), poi da qui si diramano in dotti intra-lobulari (in giallo) ed infine si dirama a sua volta nel
dottulo preterminale (in viola) comunicante con l’adenomero.

I vari dotti escretori hanno un ruolo importante poiché contribuiscono alla formazione o elaborazione
del secreto. Per esempio:
i duttuli preterminali (in viola) nel pancreas => secernono bicarbonati, questi insieme agli enzimi
digestivi formano il succo pancreatico. Hanno un ruolo importante come sistema tampone nei confronti
del chimo proveniente dallo stomaco
i dotti intralobulari (in giallo) nelle ghiandole salivari => le cellule che compongono questi dotti sono
striate, da cui il nome dotti striati. Queste introflessioni della membrana plasmatica (delle cellule del
dotto) sono ricche di permeasi la cui funzione è pompare attivamente ioni e acqua dal citoplasma al
liquido interstiziale. L’acqua e gli ioni persi dalle cellule del dotto vengono recuperati dagli adenomeri
che secernono la saliva primaria.

CLASSIFICAZIONE in base agli ADENOMERI e DOTTI ESCRETORI


Unendo la forma degli adenomeri e la complessità dei dotti escretori otteniamo le seguenti
denominazioni

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ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

Vediamo alcuni esempi

1. GHIANDOLE TUBULARI SEMPLICI a GOMITOLO/ o glomerulare: es le ghiandole sudoripare.


Queste possono trovarsi sia indipendenti che associate al follicolo pilifero.
2. GHIANDOLE TUBULARI SEMPLICI: nello stomaco, nell’intestino tenue e nell’intestino crasso
3. GHIANDOLE ALVEOLARI SEMPLICI: nella mucosa nasale e nell’uretra maschile
4. GHIANDOLE RAMIFICATE: queste sono prevalentemente tubulari (ghiandole piloriche) e
acinose (ghiandole sebacee associate al follicolo pilifero e ghiandole salivari minori)

-Una ghiandola pilorica è una ghiandola in cui il dotto


escretore è unico, invece gli adenomeri si ramificano.
Nell’immagine sotto è rappresentata la ghiandola pilorica
dello stomaco, gli adenomeri si ramificano verso la base e
nell’estremità dell’adenomero ci sono le cellule che sono
responsabili della produzione delle sostanze digestive, però
ci sono anche cellule che hanno la caratteristica di secernere
muco perché c’è la necessità anche a livello stesso del dotto
escretore di avere cellule che secernano una sostanza
viscosa che funge da protezione di fronte alle sostanze acide
(HCL) che viene prodotto da alcune cellule secernenti da parte
dell’adenomero delle ghiandole gastriche. (in particolare le
ghiandole gastriche contengono 3 tipi di cellule esocrine: cellule
mucose del colletto che secernono muco, cellule principali che
secernono pepsinogeno e cellule parietali che producono acido
cloridrico e fattore intrinseco).

-La ghiandola sebacea si sviluppa contestualmente allo


sviluppo del follicolo pelifero, il suo dotto escretore va a finire
direttamente all’interno del follicolo pelifero. (Nella ghiandola
sebacea è estremamente difficile andare a distinguere il lume
dell’adenomero). Viene definita a secrezione olocrina, cioè le
singole cellule sintetizzano il loro prodotto di secrezione e per
andare a costituire il prodotto di secrezione la cellula emette il
prodotto della sua secrezione ma va in contro ad un processo
di apoptosi quindi il prodotto di secrezione è rappresentato sia
da quello che è stato metabolicamente prodotto dalla
ghiandola sia da quello che è la componente citoplasmatica e membranosa della cellula stessa.

Il prodotto della secrezione (che si chiama SEBO),


nell’immagine sotto si può vedere una cellula ancora in attività
che produce sebo ed una che va in contro al fenomeno
apoptotico (la cellula va in contro a riduzione, compattazione
del nucleo e espulsione degli elementi nucleari). Quindi il
prodotto di questa ghiandola esocrina viene definita sebo de è
costituito dai detriti cellulari e da elementi lipidici che sono
trigliceridi e steri del colesterolo; la produzione di queste
sostanze è di dipendenza ormonale soprattutto durante la
pubertà e queste ghiandole sono presenti in tutte le sedi ad eccezione del palmo delle mani, pianta del
piede, in una parte del dorso del piede e nelle parti più elevate del torace e della schiena. (la presenza di

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ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

lipidi all’interno della ghiandola da un aspetto bucherellato al


citoplasma ed è una caratteristica di tutte le cellule che
producono molecole lipidica perché questa componente viene
difficilmente fissata dai processi di colorazione.

GHIANDOLE COMPOSTE
Le ghiandole composte sono le più complesse, possono
essere:
-TUBULARI
-ALVEOLARI
-ACINOSE
Sia le alveolari che le acinose possono essere complicate
dal fatto che all’interno della stessa ghiandola si possono
trovare delle porzioni che sono sia alveolari che tubulari
e parleremo di ghiandole TUBULO ALVEOLARI
COMPSOTE e TUBULO ACINOSO COMPOSTE

-TUBULARE COMPOSTA=l’esempio classico sono le ghiandole del


Brunner che si trovano all’interno della tonaca sottomucosa del
duodeno (primo tratto intestino tenue e servono per identificarlo),
sono delle ghiandole tubulari che secernono una componente
mucosa (infatti sono chiare). Secernano un secreto di tipo mucoso,
alla base della mucosa intestinale (cioè alla base dei villi intestinali;
la funzione della secrezione di muco all’interno dell’intestino è una
funzione di secrezione di un prodotto che protegge dal succo
gastrico (primo tratto dell’intestino tenue che
risente ancora i prodotti di secrezione sviluppati a livello dello stomaco).

-GHIANDOLA ALVEOLARE o TUBULO-ALVEOLARE COMPOSTA=


un esempio è la ghiandola mammaria in fase di attività e mostra
durante già durante la gravidanza ma questi adenomeri e alveoli
diventano sempre più espansi durante le fasi dell’allattamento. (in
foto sotto con freccia nera è l’adenomero).
Il lume dell’adenomero è un epitelio sufficientemente basso, si vede
il prodotto della secrezione cioè il latto
latte e la necessità di avere una
ghiandola alveolare per consentire al latte di occupare più spazio
possibile accumulato nell’alveolo e con l’assuzione
la suzione fatta dal
bambino viene convogliato in vati dotti fino al dotto galattofero e
nutrire il neonato).

Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 8 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

Nell’immagine a fianco ghinadola


ghiandola mammaria che va in contro ad
involuzione e buona parte degli adenomeri diventano tessuto
adiposo. L’evoluzione diventa sempre più evidente man mano
perde la sua attività). I dotti rimangono evidenti, si riducono gli
adenomeri sostiuiti da tessuti adiposo e conettivo

Un'altra ghiandola alveolare composta è la Prostata costiuita da un


grosso numero di ghiandole alveolari che sono disposte in strati
concentrici; gli alveoli della prostata all’interno accumulano il
prodotto della loro secrezione (adenomeri molto dilatati all’interno
di una enorme quntità di tessuto connettivo).

-GHIANDOLA ACINOSA COMPOSTA= un esempio è la componente esocrina del pancreas (non riesco ad
indentificare vedi immagine a fianco, il lume dell’adenomero e per
questo è una ghiandola acinosa composta).
Il sistema duttale cioè il sistema di dotti che portano il prodotto della
secrezione verso l’esterno della ghiandola èmolto
olto complesso: le cellule
dell’adenomero (acino) mandano il secreto all’interno del dotto
escretore che saranno ramificati in dotti sempre più complessi che
in parte modificano anche il prodotto della secrezione fino ad
arrivare al dotto pancreatico principale che sarà responsabile della
fuoriuscita degli enzimi pancreatici con il dotto biliare.

La funzione del pancreas esocrino è regolata da molecole che


vengono prodotte nel duodeno ed in parte regolata anche da una
molecola che viene creata a livello della componente endocrina del
pancreas.
Un altro tipo di ghiandole acinose composte o tubulo acinose
composte sono le ghiandole Salivari maggiori. Le parotidi che si
trovano sotto e davanti all’orecchio sono ghiandole acinose
composte mentre sia la sottomandibolare che la sottolinguale sono ghiandole tubulo acinose composte.
Anche nei dotti salivari abbiamo una complessità dei dotti escretori che partono dall’adenomero e
arrivano fino al dotto escretore terminale che è il dotto di Stenone per la parotide e di Wharton per la
sottomandibolare. I dotti soprattutto quelli nelle strette vicinanze degli adenomeri vanno a modificare
la componente del secreto che viene prodotto a livello dell’adenomero, quindi a livello di questi dotti si
hanno delle modificazioni di queste cellule che sono proprie relative alla capacità di queste cellule di
modificare il prodotto della secrezione.

Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 9 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

(Nell’immagine a fianco si vede la parotide, più in chiaro si vedono


gli adenomeri, mentre quelli più colorati sono i granuli)

(Nell’immagine a fianco si vede la ghiandola sottomandibolare e si


vede che ci sono delle colorazioni differenti, i dotti escretori sono
colorati in rosa, la componente che andrà a costiuire la componente
coponente
sierosa risulta colorata in un viola più intenso e la componente che va
a produrre muco sono ghiandole a secrezione mista sono colorati in
chiaro. Questa morofologia ci fa capire che questa ghiandola ha una
secrezione differente ovvero ha delle componenti che producono
muco e altre che producono siero; la componente che produce siero
ha una aspetto acinoso (globoso con un lume poco evidente), mentre la componente che produce muco
è di tipo alveolare e per questo viene classificata come ghiandola tubulo acinosa (tubulo componente
mucosa, acinosa legata alla componente sierosa/proteica)

Ghiandola di tipo sottolinguale e la colorazione è più chiara


rispetto alla sottomandibolare e la componente mucosa
diventa prevalente, è ancora a secrezione mista infatti avrà
ancora una parte che in grado di secernere siero e una che
secerno muco (ovvero la parte chiara) è maggiore (quelli
colorati in rosa sono dotti escretori)

CLASSIFICAZIONE IN BASE ALLA MODALITA’ DI ESPULSIONE DEL SECRETO


Per quanto riguarda la modalità di produzione del secreto può essere secrezione:

▪ eccrina= prevede la secrezione del solo secreto tramite un meccanismo di trasporto attivo ed è una
esocitosi di tipo costitutivo. La cellula di tali ghiandole non accumula il secreto nel citoplasma e a
livello molecolare, non osserviamo cambiamenti morfologici della cellula. Uno dei suoi ruolo più
importanti lo si riscontra nel mantenimento della temperatura corporea. Inoltre questo tipo di
secrezione si trova nelle ghiandole sudoripare che non sono associate al follicolo pelifero.

▪ merocrina= sono delle ghiandole che fanno un esocitosi di tipo regolato dove vengono accumulati
i prodotti di secrezione in dei granuli provenienti dal Golgi e poi questi espulsi in seguito a
stimolazione. Ne sono un esempio le ghiandole salivari e il pancreas esocrino.

▪ apocrina= utilizzano il fenomeno della gemmazione come meccanismo secretorio. è caratteristica


della ghiandola mammaria e delle ghiandole sudoripare collegate al follicolo pilifero, la parte più
esterna del citoplasma delle cellule viene ad essere secreta con il prodotto della secrezione
(vescicole)

Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 10 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

▪ olocrina= sono quelle che vanno in contro ad un fenomeno di apoptosi ed insieme al secreto viene
eliminata la ghiandola, la cellula che va in contro ad apoptosi viene rimpiazzata dalla presenza di
cellule staminali all’interno del lume dell’adenomero. Sono ghinadole di tipo olocrino le ghiandole
sebacee e le ghiandole di Meibomio che sono associate con le ciglia.

Un ruolo molto importante nella secrezione viene svolto dalle cellule mioepiteliali. Queste si trovano
nelle g. mammarie, salivari e sudoripare, precisamente tra dotti escretori e gli adenomeri di queste
ghiandole.
Le cellule mioepiteliali esprimono proteine citoscheltriche tipiche degli elementi contrattili come
l’actina e la miosina. Hanno una forma affusolata ed inoltre presentano dei fasci di filamenti contrattili
che sporgono e avvolgono l’adenomero e il dotto. Quando queste cellule si contraggono, spremono gli
adenomeri e i dotti ricchi di secreto, al fine di facilitare l’espulsione del secreto.
Ma cosa attiva e permette la contrazione delle cellule mioepiteliali?
▪ Meccanismo nervoso-parasimpatico => come nel caso delle g. salivari
▪ Meccanismo neuro- endocrino => come nel caso delle g. mammarie. Lo stimolo è dato dalla
suzione del capezzolo da parte del bambino che innesco un riflesso nervoso il quale porta alla
liberazione del neuro-ormone ossitocina; questa a sua volta agisce sulle cellule mioepiteliali che
contraendosi permettono la secrezione di latte.

Esempio di ghiandole sudoripare eccrine:

con dotti evidenti e largo e uguale per il lume, rispondono a stimoli


termici e sono responsabili di regolare la temperatura corporea.
Sono abbondanti nelle palmo delle mani e nella pianta dei pieidi
dove rispondo a molti stimoli di tipo fisiologico. Anche in queste
ghiandole se vado ad analizzare l’adenomero associate alle cellule
responsabili alla produzione del secreto ci sono delle cellule di tipo
mioepiteliale. Il dotto escretore normalmente è costiuito da un

Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 11 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

epitelio bistratificato. Il sudore è compsoto da una serie di ioni ma contiene anche delle piccole quantità
di ferro, zucchero e proteine.

Esempio di ghiandole sudoripare apocrine= emettono il loro


secreto anche alla assieme
perditàa in parte del citoplasma, quelle che si
trovano associate al follicolo pilifero si riconoscono rispetto alle
sudoripare eccrine perché il lume dell’adenomero risulta più ampio
rispetto a quelle delle ghiandole sudoripare. Si sviluppano durante la
pubertà perché durante questa fase si ha lo sviluppo di buona parte
dei follicoli piliferi con la comparsa dei peli localizzati delle ascelle e
del pube (apparati genitali). Quindi la sede di queste ghiandole è la
stessa della componente pilifera. (rimangono quiscenti fino alla
pubertà poi sotto stimolo ormonale ovvero ormoni sessuali influenzati dall’ipofisi si ha il loro sviluppo).
La secrezione apocrina di queste cellule e la contaminazione batterica legata anche alla presenza dei
follicoli peliferi è quella responsabile dell’emanazione di cattivo odore da parte di queste specifiche
ghiandole sudoripare

CLASSIFICAZIONE IN BASE AL TIPO DI SECREZIONE (NATURA DEL SECRETO)

▪ IDROSALINO: quindi la produzione di acqua associata a cloruro di sodio, ioni H + e ioni cloro.
Normalmente, ad esempio, per le ghiandole lacrimali (ghiandole acinose semplici) queste cellule
presentano delle particolari strutture che si chiamano infoldings (invaginazioni) all’interno delle
quali abbiamo la localizzazione di pompe ioniche che servono a pompare all’interno del dotto
escretore questi ioni. Ad esempio le ghiandole sudoripare eccrine producono sudore composto
principalmente da acqua, Na + e Cl-.

▪ LIPIDICO: è quello della ghiandola sebacea (acinose composte), il sebo è prevalentemente costituito
da trigliceridi e queste cellule secretando questi elementi di tipo lipidico avranno uno sviluppo del
REL nettamente superiore rispetto alle altre cellule.

▪ SIEROSO: prevalentemente proteico (enzimi) scarsamente o per nulla glicosilati; la natura di questo
secreto è prevalentemente fluida. Esempi: la parotide (una ghiandola salivare maggiore), la
componente esocrina del pancreas e una parte della sottomandibolare e della sottolinguale.

▪ MUCOSO: La componente mucosa è colorata in bianco, i nuclei sono alla periferia, la secrezione
mucosa è un secreto viscoso ed è legato ad una estesa glicosilazione delle glicoproteine e dei
proteoglicani che sono costituiti da zuccheri, le troviamo nelle cellule caliciformi mucipare, nelle
ghiandole sottolinguali e nell’epitelio dello stomaco. (nell’immagine sotto si in chiaro la componente
mucipare, mentre in viola la componente sierosa).

▪ MISTA, sia MUCOSO sia SIEROSO: sono tubulari acinose perché la componente mucosa necessita
di un lume più ampio per essere secreto, quindi il lume è quello di un adenomero tubulare, mentre

Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 12 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

la componente sierosa essendo una componente più fluida più essere immessa all’interno della
ghiandola anche tramite un epitelio piuttosto alto che quello caratteristico dell’adenomero di tipo
acinoso. (secrezione mucosa dipende dalla parte tubulare, mentre il sieroso viene prodotto dalla
componente acinosa).

La secrezione sierosa comporta una variazione all’interno del


citoplasma della cellula quindi le caratteristiche che si
evidenziamo in un preparato istologico (cioè il fatto che la cellula
si colori attivamente) sono legati al fatto che la cellula produce i
granuli enzimatici che vengono accumulati sulla superficie. (i
nuclei sono esterni ovvero verso la parte basale della cellula e
tende ad avere un aspetto rotondeggiante vedi immagine asotto).fianco).
La presenza di questi enzimi fa si che utilizzando le normali
colorazioni istologiche si evidenzia bene il citoplasma delle
cellule.

L’ immagine accanto è un ultra struttura del pancreas che produce


granuli di zimogeno che sono gli enzimi inattivi che vengono poi
attivati per la digestione, si vede il nucleo di una cellula pancreatica (è
un nucleo eucromatinico infatti è una cellula che fa attiva sintesi
proteica), si vede una quantità enorme di reticolo di reticolo
endoplasmatico e si vedono i granuli.

Nel caso della secrezione mucosa (immagine aaffianco)fianco il nucleo


viene sospinto alla base della cellula, la componente mucosa
difficilmente viene evidenziata, a meno che non si usino delle
colorazioni evidenti, ed in questo caso i nuclei vengono colorati e
sono schiacciati alla base della cellula, il lume è molto evidente
infatti è tubulare (piuttosto ampio). (i granuli di secrezione davanti
all’apparato di Golgi).

FUNZIONI SECRETO SIEROSO E MUCOSO


Il secreto sieroso ha un attività prevalente digestiva (enzimatica), il
secreto mucoso svolge delle funzioni differenti a seconda delle sedi
in cui si trova, infatti nello stomaco e in parte nell’intestino svolge
una funzione di protezione andando a costituire una sorta di
rivestimento sulle cellule epiteliali, nell’intestino tenue e crasso
svolge una funzione di lubrificazione per favorire lo scivolamento del
prodotto della digestione (nell’intestino crasso svolge anche la
funzione di mantenere la coesione del materiale fecale quindi di
compattazione); nell’apparato respiratorio da un lato garantisce
aria sia nelle cavità nasali a livello della trachea e della laringe e serve come ostacolo
umidificazione dell’area
fisico e di filtrazione delle vie respiratorie (l’epitelio delle vie respiratorie è un epitelio
pseudostratificato ciliato con un movimento delle ciglia che va dal basso verso l’alto e permette alle
cellule di evitare che elementi tossici e pulviscoli possono andare a finire all’interno degli alveoli
polmonari dove ci sarebbe un eccessivo contatto con la componente sanguigna; quindi nell’epitelio
respiratorio trovo non solo ciglia ma anche cellule mucipare caliciformi che formando una sostanza

Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 13 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II IST02 – EPITELIO GHIANDOLARE ESOCRINO

viscosa mi creano un ostacolo fisico ad elementi tossici). A livello dell’apparato genitale femminile, sia a
livello delle tube uterine, sia nell’utero, svolge un ruolo fondamentale nella sopravvivenza dei gameti
subito dopo l’ovulazione e la fecondazione e favorisce l’impianto dell’embrione a livello dell’utero anche
andando a costituire una sorta di barriera per ridurre di immunosopressione durante il processo di
impianto.

Ci possono essere delle situazioni in cui l’adenomero è misto, infatti nelle ghiandole sottomandibolari e
sottolinguali sono delle ghiandole a secrezione mista cioè significa che producono sia siero che muco
che può essere fatta perché ho zone della ghiandola che hanno solo adenomeri sierosi e altre zone solo
mucosi e i due secreti si uniscono quando fuoriescono nel dotto escretore ma soprattutto nella
sottolinguale si indentificano degli adenomeri misti cioè degli adenomeri all’interno dei quali c’è la
coesistenza di cellule mucose e sierose; queste strutture prendono il nome di SEMILUNE
SEMILUME SIEROSE o
del GIANNUZZI e sono delle strutture cellulari sierose che si trovano inframmezzate rispetto alla
componente tubolare che secerne muco; secondo alcuni si trovano in una posizione più arretrata
rispetto alle mucose quindi butterebbero il loro secreto dentro le mucose poi portarlo nelle sierose,
mentre secondo altri si trovano giustapposte alle cellule che hanno una secrezione sieroso.
Il nucleo delle cellule mucose è un nucleo molto più appiattito e come da un punto di vista di colorazione
la presenza della componente proteica permette un’evidenziazione molto chiara della cellula.

Autore: Chiara Passacantando, Dini Alex, Aurora Marchica, Aurora Gregoretti per Medicina08 14 di 14
ISTOLOGIA II
“GHIANDOLE ENDOCRINE”
ID lezione IST03 Modulo Istologia
Data lezione 08 marzo 2021
Autore Lucia Maria Vitali e Tommaso Tentella
Lezione
Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima
tenuta da
Ghiandole endocrine; ormoni; cellule endocrine di natura connettivale,
Argomento
nervosa e muscolare
Eventuali
Slide proiettate a lezione
riferimenti

Ghiandole endocrine

Le ghiandole endocrine sono ghiandole che hanno la caratteristica di agire su cellule bersaglio specifiche
ed il meccanismo di azione viene normalmente definito un meccanismo di azione chiave serratura,
perché l’organo bersaglio ha dei recettori specifici nei confronti di quell’ormone.

Principi funzionali generali delle ghiandole endocrine

Ci sono degli aspetti funzionali delle ghiandole endocrine che hanno anche una rilevanza dal punto di
vista della morfologia.

1. Tipo di trasmissione: si parla in generale di ghiandole endocrine, ma il meccanismo di azione


chiave serratura può essere utilizzato in maniera endocrina, paracrina, autocrina, neurocrina.
2. Classi chimiche degli ormoni prodotti: in relazione a questo, ci sarà una differenzia sia sulla
morfologia della cellula che produce l’ormone sia sulla localizzazione della sua serratura, ovvero
del suo recettore. Gli ormoni possono essere peptidici, steroidi, amminici.
3. Recettori: sulla membrana plasmatica, sul citoplasma, nel nucleo.
4. Organizzazione gerarchica secondo meccanismi a feed-back

Tipo di trasmissione

Normalmente si
usa il termine
endocrino, ma
in realtà il
termine
endocrino andrebbe utilizzato solo quando consideriamo
delle sostanze che vengono liberate dalle ghiandole
all’interno del torrente circolatorio e attraverso questo
sistema vengono portate via via verso distretti periferici diversi sfruttando proprio il torrente
circolatorio. In realtà, il meccanismo chiave serratura può funzionare anche nelle immediate vicinanze
della cellula che ha prodotto l’ormone.
In questo caso, si parla di azione paracrina: la cellula produce una particolare sostanza la quale ha effetti
tramite un recettore su cellule localizzate non ad una grande distanza rispetto alla cellula che l’ha
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE

prodotto e la trattiene nei fluidi interstiziali, ovvero nella matrice extracellulare. Quindi, non sfrutta il
torrente circolatorio, ma sfrutta i fluidi che si trovano tra una cellula e l’altro.

Esistono anche meccanismi di trasmissione di tipo autocrino: la cellula produce una sostanza che può
però essere percepita da un recettore localizzato in un’altra posizione e quindi favorire e “auto
convincersi” della attività che questa cellula deve fare. Riassumendo è quando la stessa cellula endocrina
è anche bersaglio dell’ormone prodotto, il quale interagisce con i suoi recettori in funzione della sua
concentrazione nel fluido interstiziale circostante.

Esistono anche meccanismi di attività simil-endocrina che vengono attuati da cellule di tipo nervoso
(cellule neuronali). Da un punto di vista endocrino, ci sono neuroni che con i loro prolungamenti
immettono nel torrente circolatorio sostanze che poi vengono percepite dalle cellule bersaglio, oppure
in realtà il meccanismo di liberazione e di comunicazione tra alcune cellule nervose può essere di per sé
considerato un meccanismo di regolazione di tipo endocrino, in quanto avremo un meccanismo di
riconoscimento chiave serratura.

Classificazione degli ormoni

Classi biochimiche: ormoni peptidici (formati da catene di amminoacidi), steroidei (derivati dal
colesterolo e aventi il gruppo policiclico) o amminici (ormoni tiroidei e catecolammine). Buona parte
degli ormoni appartiene o alla famiglia dei peptidi (piccole o grandi proteine), alcuni sono steroidei ed
altri ancora amminici (ormoni tiroidei e le catecolammine, prodotte dalla midollare del surrene).

Funzione: ormoni tropici o trofici sono in grado di modificare l’azione e la attività di altre ghiandole
endocrine regolandone le funzioni, ad esempio quelli prodotti dalla adenoipofisi; gli ormoni sessuali
sono ormoni di tipo steroideo prodotti in distretti differenti tra cui la parte corticale della ghiandola
surrenale e le ghiandole associate con le gonadi; ormoni anabolici sono ormoni come gli ormoni tiroidei
e le catecolammine in grado di modificare la attività basale della cellula favorendo la sintesi di molecole
più complesse.

Cellule a secrezione proteica e glicoproteica

In relazione alla natura chimica dell’ormone,


avremo delle variazioni da un punto di vista
morfologico della struttura della cellula che
produce l’ormone. La cellula che produce degli
ormoni di tipo proteico o di tipo glicoproteico è una
cellula che ha tutto il sistema di sintesi proteica
marcatamente sviluppato: si ha un notevole
sviluppo del RER, dell’apparato di Golgi e
l’accumulo di granuli secretori di aspetto variabile
a seconda del tipo di ormoni in essi contenuto. L’ormone viene quindi prodotto
attraverso il classico meccanismo di produzione RE-apparato di Golgi, viene
accumulato all’interno del citoplasma delle cellule sotto forma di granuli che verranno successivamente
secreti. Hanno questa morfologia le cellule che si trovano a livello degli isolotti pancreatici, a livello
dell’adenoipofisi e a livello delle paratiroidi.

Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 2 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE

Cellule a secrezione amminica

Nel caso delle cellule della midollare del surrene che producono derivati
dell’ammina dette ammine biogene che si ottengono per decarbossilazione
degli amminoacidi. Si tratta di ormoni a basso peso molecolare e di natura
basica, questi non vengono accumulati sotto forma di vere e proprie vescicole,
ma di granuli secretori che si legano a particolari proteine acide di supporto
che sono le cromogranine. Le cromogranine permettono di essere
visualizzate una volta effettuata una visualizzazione al microscopio
elettronico, cellule di questa categoria compongono la midollare del surrene
che produce catecolammine, adrenalina e noradrenalina.

Cellule a secrezione steroidea

Le cellule che producono ormoni di tipo steroideo a partire dal colesterolo,


dovranno avere un maggior sviluppo degli elementi endocellulari
responsabili della produzione di ormoni steroidei. Avranno perciò un
maggior sviluppo, a differenza delle cellule a secrezione amminica, del REL,
avranno anche numerosi mitocondri e una particolarità nella morfologia
delle loro creste. I mitocondri, infatti non hanno le classiche creste
allungate, bensì queste creste mitocondriali possono assumere forme più o
meno sferoidali o particolarmente lunghe e formare una sorta di anello.
Insieme al REL, i mitocondri servono per i meccanismi di formazione delle molecole lipidiche.

Le cellule che producono ormoni steroidei non hanno mai l’accumulo


dell’ormone al loro interno: man a mano che gli ormoni vengono prodotti, essi
vengono liberati negli spazi intracellulari o nel torrente circolatorio.

La presenza di vacuoli svuotati (liposomi o lipid droplets) conferisce al


citoplasma delle cellule endocrine a secrezione steroidea un tipico aspetto
spugnoso (spongiociti)

Ormoni: meccanismo d’azione

Anche la natura degli ormoni prodotti non solo va a modificare la struttura


delle cellule che producono ormoni, va anche a influenzare la posizione
del recettore/serratura a livello dell’organo bersaglio. Generalmente,
possiamo avere ormoni che hanno un recettore posizionato sulla
membrana plasmatica e quindi si attiva un secondo messaggero
attraverso una trasduzione del segnale; ci sono anche gli ormoni steroidei
che sono in grado di avere un recettore citoplasmatico in quanto sono
molecole che sono in grado di entrare e attraversare il doppio strato
fosfolipidico; ci sono anche ormoni che non solo entrano nella membrana
plasmatica, ma sono anche in grado di entrare anche all’interno
dell’involucro nucleare e avere una azione diretta sul DNA. Il risultato finale, a prescindere dalla
posizione recettoriale, è una attivazione, modificazione della attività di sintesi proteica da parte delle
cellule (attività enzimatica) e una conseguente risposta a all’attività ormonale.

Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 3 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE

Ormoni peptidici: meccanismo di azione

Gli ormoni peptidici agiscono attraverso un secondo messaggero. Il legame ligando-recettore porta a
una variazione della componente endocellulare della proteina
transmembrana. La componente endocellulare potrebbe
modificare la permeabilità della membrana cellulare ad alcuni
ioni o, più facilmente, si attiva un sistema di secondo
messaggero che, attraverso un meccanismo a cascata,
modifica l’attività endocellulare.

L’enorme vantaggio del secondo messaggero è consentire


che l’azione dell’ormone venga enormemente amplificata:
attraverso questa sistema, sulla porzione endocellulare, si
possono attivare a cascata tutti i meccanismi che modificano diverse funzioni della cellula, che possono
andare da funzioni di sintesi proteica a modificazioni della forma, del comportamento citoscheletrico.
Un singolo segnale amplia enormemente la attività della cellula. Basta poca attività dell’ormone, quindi
una concentrazione dell’ormone sufficientemente bassa per ottenere meccanismi di risposta molto
molto ampi.

I recettori di membrana possono essere di due grandi famiglie:

• recettori legati alla proteina G


• recettori di membrana associati ad attività
enzimatiche che portano alla formazione del
secondo messaggero attraverso meccanismi di
fosforilazione o de fosforilazione delle proteine che
favoriscono i meccanismi a cascata all’interno della
cellula.

I meccanismi di fosforilazione e de fosforilazione (quindi chinasi e fosfatasi) sono tra i meccanismi


maggiormente utilizzati per attivare (far progredire) o inibire processi del segnale all’interno della
cellula. Come secondi messaggeri, il più conosciuto e studiato è il cAMP, ma possono essere secondi
messaggeri anche molecole idrofobiche o molecole gassose (fosfatidilinositoli). Le molecole
idrofobiche nascono dalla porzione endocellulare della membrana plasmatica.

Ormoni amminici: meccanismo di azione

Gli ormoni amminici e cioè l’adrenalina e la noradrenalina, pur essendo ammine e molecole
estremamente piccole hanno un recettore di membrana. Hanno un numero elevato di recettori di
membrana con caratteristiche chimiche differenti: si chiamano recettori alfa adrenergici e beta
andrenergici. Mentre l’adrenalina è in grado di attivare e poter determinare un’azione a cascata
utilizzando tutti i tipi di recettori adrenergici alfa e beta presenti, la noradrenalina è sensibile ed è in
grado di poter attivare solo i recettori alfa e beta 1, quindi ha una capacità di azione più limitata rispetto
all’adrenalina. Adrenalina e noradrenalina hanno due funzioni antagoniste.

Gli ormoni steroidei, essendo lipofilici, hanno la capacità di attraversare direttamente il citoplasma
cellulare e di legarsi a un recettore che si trova all’interno del citoplasma, recettore che può essere
traslocato nel nucleo e attraverso questa traslocazione può stimolare (se ha una attività anabolizzante)
l’attività del DNA (quindi la duplicazione della cellula) o la sintesi proteica, modificando la attività finale
della cellula.

Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 4 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE

Ormoni tiroidei: meccanismo di azione

Gli ormoni tiroidei possono entrare direttamente all’interno del nucleo. Sono in grado di oltrepassare
non solo la membrana plasmatica, ma anche l’involucro nucleare.
L’azione degli ormoni tiroidei T3 e T4 avviene al livello di tutti i tipi
cellulari. Gli ormoni tiroidei possono potenziare i processi ossidativi
cellulari e quindi favorire la produzione di specifiche proteine della
cellula. Vanno a influire sul metabolismo basale di una cellula, ovvero la
capacità di utilizzo di energia della cellula durante le proprie funzioni
quindi questa azione può essere fatta dalla capacità di agire
direttamente al livello nucleare.

Regolazione ormonale

Non tutti gli ormoni hanno lo stesso tipo di regolazione. Il meccanismo degli ormoni viene definito a
feedback: il prodotto finale della produzione delle ghiandole ha una azione sulla sua produzione. Il
meccanismo di azione può essere un meccanismo di azione a feedback positivo o negativo.

Nel caso del meccanismo a feedback positivo, l’aumento della


secrezione ormonale è legato a un aumento della costante interna:
se aumento il glucosio, esso stimola il pancreas a produrre
insulina e far in modo che le cellule possano abbassare la glicemia
facendo endocitare il glucosio da parte delle cellule. Quando il
glucosio si abbassa, viene dato uno stimolo al pancreas per far in
modo che venga bloccata la produzione di insulina in modo da
riportare la glicemia ai livelli normali.

Situazione diversa è il meccanismo di feedback negativo: se


abbiamo una maggior concentrazione di estrogeni, si ha un
segnale che deprime la produzione dell’ipofisi degli ormoni che
stimolano la produzione di FSH, ormone che stimola la
produzione degli estrogeni da parte del follicolo ovarico. Se
invece il livello degli estrogeni si abbassa, si ha una segnalazione
che permette di andare a stimolare l’ipofisi, che va a stimolare la
produzione di FSH, che va a attivare l’attività di sintesi del
follicolo ovarico per favorire la produzione degli estrogeni.

Ghiandole endocrine

Così come per le ghiandole esocrine si potevano identificare ghiandole che svolgono la loro attività in
maniera isolata, analogamente per le ghiandole endocrine ci son cellule che sono in grado di svolgere
attività assimilabili ad attività endocrina o paracrina (attività selettiva nei confronti di cellule bersaglio).
Altre ghiandole endocrine sono propriamente dette e diventano dei veri e propri organi.

Le ghiandole endocrine isolate si trovano disperse in maniera singola all’interno di un altro tessuto
epiteliale, o di rivestimento o all’interno di altre ghiandole (spesso ghiandole di tipo endocrino e
esocrino) e vanno a costituire il sistema endocrino diffuso. Buona parte di queste ghiandole si trovano
disperse nell’apparato digerente, in quello respiratorio e delle vie urinarie. In questi apparati sono
responsabili della produzione di ormoni, polipeptidi o amminici, che svolgono un ruolo di regolazione

Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 5 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE

endocrina e/o paracrina della funzione degli organi di tali apparati. Siccome svolgono un ruolo
prevalentemente di regolazione endocrina o paracrina, fanno parte del sistema APUD (Amine Precursor
Uptake and Decarboxylation): le cellule di questo sistema hanno la caratteristica comune di assumere e
decarbossilare amminoacidi producendo ammine. Il sistema APUD serve all’apparato digerente ad
avere un meccanismo di controllo a feedback delle sostanze digestive che vengono prodotte da parte
delle cellule esocrine (ghiandole esocrine) presenti all’interno dell’apparato digerente.

Buona parte delle ghiandole endocrine isolate interagisce con l’apparato digerente, tranne le cellule T
che si trovano all’interno di una altra ghiandola endocrina che è la tiroide.

Un esempio di cellule endocrine isolate associate all’apparato digerente è rappresentato dalle cellule G.
Esse sono intercalate all’interno delle ghiandole tubulari semplici o tubulari
ramificate (che producono pepsina e HCl) al livello della mucosa gastrica.
Sono le ghiandole responsabili della produzione del succo gastrico. Quando il
pH dello stomaco è acido, in condizioni di digiuno, si ha una inibizione della
secrezione di gastrine. Nel momento in cui introduciamo cibo, il pH tende a
riportarsi verso valori di neutralità e questa variazione di pH stimola la
liberazione di gastrina, che diffonde per via paracrina e endocrina ed ha come
cellule bersaglio le cellule esocrine delle ghiandole gastriche, che vengono
indotte a liberare pepsinogeno e HCl. Questo porterà alla formazione di
pepsina e in seguito alla digestione del cibo ingerito.

Questa è una immagine in ultrastruttura in cui è possibile


identificare le cellule che producono gastrina, la
somatostatina che regola l’attività della gastrina e le cellule
con attività esocrina sono quelle con i grossi granuli di
pepsinogeno (precursore inattivo della pepsina). Sono cellule
con un nucleo e nucleolo ben evidente e una prevalente di
eucromatina proprio perché producono una notevole
quantità di ormoni.

Ghiandole endocrine propriamente dette

Le ghiandole endocrine propriamente dette possono essere distinte in base alla morfologia con cui si
costituiscono.

Ghiandole endocrine propriamente dette sono:

• Sistema ipotalamo-ipofisi
• Epifisi
• Tiroide
• Paratiroidi
• Pancreas nella porzione endocrina
• Surreni-ghiandole surrenali
• Gonadi testicolo, ovaio

Di queste ghiandole endocrine, va sottolineato che non tutte sono di origine epiteliale. Sono di origine
nervosa il sistema ipotalamico e la neuroipofisi (ma non l’adenoipofisi. Sono di tipo connettivale le
ghiandole che si formano a livello testicolare.

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ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE

Ci sono anche tessuti di natura completamente diversa che sono in grado si svolgere attività di tipo
endocrino. Si era partiti dall’idea che le ghiandole fossero di natura epiteliale, si era sicuramente arrivati
alla conclusione che le cellule nervose fossero in grado di svolgere attività endocrina e, dopo aver
identificato le cellule connettivali dell’apparato genitale maschile e femminile, ci si è resi conto che anche
il tessuto adiposo è in grado di svolgere attività endocrina. Anche tutti e 3 i tessuti muscolari
(cardiomiociti atriali-cellule del muscolo cardiaco-cellule muscolari lisce e cellule muscolari striate)
producono ormoni.

Sviluppo epiteli ghiandolari

Se consideriamo le ghiandole endocrine di tipo epiteliale, dobbiamo ricordare lo sviluppo embrionale di


una ghiandola endocrina. Essa deriva embriologicamente da un epitelio di rivestimento, ma durante lo
sviluppo, man a mano che si specializza la componente secretoria, la componente secretoria perde il
contatto dell’epitelio che lo ha generato e viene a contatto con la componente vascolare. Il contatto con
la componente vascolare permetterà alla ghiandola di produrre e liberare la propria sostanza a distretti
piuttosto lontani.

Ipofisi

L’ipofisi si trova alla base del cranio ed è alloggiata in una porzione dell’osso sfenoide che si chiama sella
turcica e si compone di due strutture istologicamente ed embriologicamente differenti: troviamo
l’adenoipofisi nella parte anteriore e la neuroipofisi nella parte posteriore. L’ipofisi risulta
strettamente collegata con la parte basale dell’encefalo, più esattamente con l’ipotalamo attraverso il
peduncolo ipofisario: attraverso questo peduncolo ipofisario si ha un sistema di comunicazione
vascolare con capillari tutti fenestrati (vasi che hanno delle aperture) per favorire il passaggio degli
ormoni e il controllo dell’attività della adenoipofisi da parte dell’ipotalamo. L’ipofisi secerne numerosi
ormoni che agiscono su organi specifici andando a modificare la attività di rilascio ormonale e la
secrezione delle ghiandole (poiché alcuni organi sono delle vere e proprie ghiandole). La funzione
dell’ipotalamo sarà quella di andare a regolare l’attività di secrezione endocrina da parte della ipofisi.

Adenoipofisi e neuroipofisi hanno origini embriologiche diverse

Adenoipofisi e neuroipofisi sono diverse da un punto di vista morfologico, di produzione embrionale.


Hanno una origine embriologica differente. L’adenoipofisi deriva da una invaginazione dello stomodeo
(quindi è una derivazione ectodermica). Lo stomodeo è la bocca definitiva, esso deriva dalla placca
precordale quando viene a invaginarsi per spinta durante
il ripiegamento della crescita del tubo neurale.
L’adenoipofisi deriva quindi dalla tasca del Rathke, mentre
la neuroipofisi deriva dal ripiegamento e dalla dilatazione
del diencefalo che prende il nome di infundibolo. La tasca
di Rathke inizia a innalzarsi, mentre l’infundibolo inizia a
discendere, quindi, al termine dello sviluppo embrionale,
l’ipofisi è costituita da un lobo inferiore di derivazione
ectodermica (l’adenoipofisi) e dal lobo posteriore
(neuroipofisi). In mezzo avremo una zona intermedia che è
quella che mette in congiunzione le due parti dell’ipofisi. La tasca di Rathke mantiene la spaziatura. Si
nota che da un punto di vista cromatico le due strutture sono completamente differenti perché
morfologicamente al loro interno sono diverse. Il collegamento con l’ipotalamo è garantito attraverso
un sistema di vasi chiuso che prende il nome di sistema portale, che è un sistema in cui il meccanismo

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di scambio avviene in tutte le direzioni e permette di avere un controllo dell’ipotalamo sulla attività
dell’adenoipofisi.

Adenoipofisi o ipofisi anteriore

Nell’adenoipofisi vi è uno stroma, componente connettivale che divide i vari lobi dell’ipofisi che porta la
vascolarizzazione e l’innervazione a livello dell’ipofisi e da un parenchima rappresentato dalle cellule
che secernono gli ormoni ipofisari. All’interno del
parenchima vi sono cellule cromofobe, ovvero cellule che
non tendono a colorarsi in maniera evidente e generalmente
sono cellule di tipo inattivo e cellule cromofile, le quali
attirano i coloranti che noi utilizziamo che si dividono in
cellule che tendono ad avere una colorazione più aranciata
(cellule acidofile) e cellule che nel citoplasma tendono ad
avere una colorazione più violacea (cellule basofile). Nel
complesso, l’adenoipofisi secerne 6 ormoni, tutti di origine proteica: 4 sono detti tropici perché agiscono
su altre ghiandole favorendone la funzione ormonale, 2 di questi vengono classificati come
gonadotropine (FSH e LH) e hanno come organo bersaglio la gonade maschile e la gonade femminile.

Queste immagini mostrano la differente colorazione che si


può trovare nelle cellule cromofile. Il termine “cromofile”,
dal greco cromos (colore) e filos (mi piace) viene attribuito
alle cellule che si colorano; il termine “cromofobe” invece
deriva dal greco “fobos” che vuol dire ho paura, quindi è
riferito a cellule che non si colorano.

La diversa affinità per i coloranti, quindi la basofilia e l’acidofilia, è in realtà la risposta al fatto che le
cellule producono ormoni di tipo diverso. All’interno delle popolazioni cellulari dell’adenoipofisi
abbiamo cellule basofile che rappresentano circa il 30% e di questo 30% di cellule basofile si hanno
cellule corticotrope (che producono un ormone che va ad agire sulla corticale del surrene), cellule
tireotrope (che agiscono sulla tiroide) e gonadotrope (che secernono LH e FSH che vanno ad agire
sulle gonadi). La grande maggioranza delle cellule è rappresentata da cellule acidofile. Le cellule di tipo
acidofilo sono distinte nel gruppo di quelle che producono l’ormone della crescita GH o ormone
somatotropo e nelle cellule mammotrope e lattotrope che aumentano come numero in gravidanza e
producono la prolattina (PRL).

In ultrastruttura, se dal punto di vista della morfologia in microscopia ottica rientrano tutte nella
capacità di attrarre coloranti acidi (quindi essere colorate in maniera acidofila), sono diverse. L’ormone
della crescita agisce sule strutture muscolari e ossee regolando l’accrescimento. La prolattina stimola
invece il mantenimento della lattazione. Nel caso del GH, c’è un maggior accumulo di granuli di
dimensioni più piccole rispetto alle cellule che invece producono prolattina.

GH (50%)

L’ormone della crescita viene normalmente immesso nel circolo sanguigno in maniera pulsativa:
generalmente si ha un picco durante le prime ore di sonno e la sua azione è una azione indiretta, perché
essa si ha attraverso uno stimolo al livello epatico e una produzione di molecole (inizialmente
denominate come somatodine) chiamate attualmente fattori insulino simili (IGF1) L’IGF1 va poi a
stimolare l’attività proliferativa prevalentemente di una parte dei tessuti che intervengono
nell’accrescimento della lunghezza dell’osso o nell’accrescimento della massa muscolare . Ha anche una

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azione diretta sul tessuto adiposo, perché è in grado di favorire la mobilizzazione dei grassi. L’attività
del rilascio del GH è influenzata da fattori di rilascio prodotti al livello ipotalamico.

PRL (20%)

La prolattina è l’altro ormone che viene prodotto dalle cellule acidofile e interviene nel meccanismo di
lattazione. In realtà, il meccanismo di lattazione è un meccanismo piuttosto complesso che comprende:

• la mammogenesi, ovvero la crescita della ghiandola mammaria che viene stimolata durante la
gravidanza dalla produzione di estrogeni e di progesterone. In questo caso, la prolattina regola
l’azione di progesterone e di estrogeni;
• la lattogenesi, ovvero la vera e propria stimolazione della produzione del latte. La stimolazione
da parte della prolattina è sempre presente, ma l’alto contenuto di estrogeni e progesterone fa
si che la lattazione venga inibita al momento del parto, si ha un brusco calo di estrogeni e
progestinici e ciò determina il fenomeno della lattogenesi;
• la galattopoiesi, ovvero continuazione della produzione del latte nella quale la PRL e anche
l’ossitocina sono fondamentali. La galattopoiesi è il periodo post parto che permette il
mantenimento della produzione di latte in relazione della stimolazione meccanica da parte del
neonato ad opera dell’ossitocina.

ORMONI DA CELLULE BASOFILE

Le cellule di tipo basofilo producono l’ormone follicolostimolante (FSH) che stimola la maturazione
del follicolo ovarico nel sesso femminile e la spermatogenesi nel sesso maschile.

L’ormone luteinizzante (LH) permette la formazione del corpo luteo nell’ovaio una volta avuta
l’ovulazione; esso agisce anche a livello della spermatogenesi a livello dell’apparato genitale maschile.

L’ormone adrenocorticotropo (ACTH) stimola la corteccia delle ghiandole surrenali a produrre


cortisolo.

L’ormone tireotropo (TSH) stimola la tiroide a produrre gli ormoni tiroidei.

Qui di nuovo un'immagine in ultrastruttura, qui si vedono


molto chiaramente i capillari, i capillari sono capillari
cosiddetti fenestrati: ciò significa che questa è la mia cellula
endoteliale (macchia bianca a destra) ma il citoplasma è
molto sottile e questo favorisce il passaggio dei miei
ormoni all'interno del capillare per fare in modo che questi
possano essere portati in circolo. Sono indicate con GH le
cellule che producono l’ormone della crescita, con LH
quelle che producono l’ormone luteinizzante e con TSH
quelle che producono l’ormone tireostimolante.

Questa è l'azione delle gonadotropine, quindi stimolazione a livello delle cellule del follicolo,
stimolazione delle cellule del Sertoli; diversa invece l'azione del luteinizzante che va a favorire, nel sesso
maschile, da parte delle cellule della Leydig, la produzione di testosterone.

Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 9 di 20
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NEUROIPOFISI O IPOFISI POSTERIORE

La parte posteriore dell’ipofisi, che abbiamo detto deriva dal neuroectoderma (quindi non
dall'ectoderma) è in realtà anche lei in grado di andare a produrre due sostanze che hanno un'azione
ormonale. In realtà la neuroipofisi di per sé non produce ormoni, ma diventa la sede di passaggio dei
prolungamenti di neuroni che si trovano alloggiati a livello dell’ipotalamo, che sono il nucleo sopraottico
e il nucleo paraventricolare. Questi neuroni sono adagiati a livello ipotalamico, hanno questo lungo
prolungamento assonale, quindi uno dei prolungamenti più lunghi che arriva a livello del sistema
vascolare e permette la fuoriuscita dei miei ormoni. Se io vado a guardare qual è la struttura vera e
propria della mia adenoipofisi, quindi oltre agli assoni della mia componente nervosa troverò delle altre
cellule che sono i pituiciti, che sono delle cellule che circondano i miei prolungamenti assonali, che
assomigliano e sono riconducibili a delle cellule della glia (le cellule della glia sono quelle cellule che noi
troveremo a livello del tessuto nervoso che svolgono un attività di supporto all'attività neuronale) e
troveremo anche in questo caso numerosi capillari fenestrati, che sono quelli che permettono la
fuoriuscita dei miei ormoni nel torrente circolatorio.

Questa è un'immagine in
ultrastruttura (di nuovo) che
mi fa vedere a livello
dell'ipotalamo quella che è la
mia cellula nervosa con i suoi
prolungamenti, il lungo
prolungamento assonale, la
presenza [ 46,14 AUDIO
INTERROTTO, suppongo: dei
miei pituiciti ...vuoto... e queste
dilatazioni ] che si chiamano
corpi di Herring, che sono
importanti perché sono quelli
che mi permettono di
mantenere un ormone, e poi
un fattore faciliterà il rilascio
dell’ormone. Questo invece
(corpo bianco sull’immagine
di destra) è il capillare fenestrato per la fuoriuscita degli ormoni della neuroipofisi.

Gli ormoni della neuroipofisi sono l’ormone antidiuretico ADH, che viene prodotto dal nucleo
sopraottico e che agisce a livello renale, più esattamente agisce a livello del tubulo contorto distale e dei
tubuli collettori del rene: va a controllare la diuresi e in maniera indiretta va ad agire su quella che è la
pressione sanguigna.

Invece il nucleo paraventricolare mi produce l’ossitocina, che è un ormone che ha avuto un enorme
sviluppo per quello che riguarda le conoscenze delle sue funzioni, perché questo ormone è in grado di
agire a livelli molto differenti; agisce sicuramente a livello delle cellule muscolari lisce dell'utero, agisce
sulle cellule muscolari lisce, sulle cellule che vanno a produrre il latte nella ghiandola mammaria
(l'avevamo detto prima: quando io devo andare a favorire l'assunzione del latte da parte del neonato
devo da un lato avere il latte, la produzione del latte all'interno dell’adenomero alveolare della mia
ghiandola mammaria, ma nello stesso tempo devo favorire la contrazione attraverso le cellule
mioepiteliali, che sono sull’adenomero della mia ghiandola mammaria). Inoltre, agisce anche come

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neurotrasmettitore a livello del sistema nervoso centrale soprattutto in quelle aree del mio cervello che
controllano la socialità, l'aggressività e l'umore.

Tant'è che il ruolo dell'ossitocina è sicuramente un ruolo nel meccanismo della maternità: durante il
travaglio e il parto l’ossitocina stimola le fibre muscolari lisce del miometrio, quindi della parte
muscolare dell'utero, a contrarsi, favorendo così l'inizio e la prosecuzione del travaglio. Questo lo può
fare perché durante le ultime fasi della gravidanza le cellule muscolari lisce del miometrio diventano
particolarmente sensibili all'ossitocina e questa elevata sensibilità della cellula muscolare liscia
all’ossitocina è legata agli elevati livelli di estrogeni che sono presenti durante la gravidanza. Quindi un
elevato livello di estrogeni durante la gravidanza mi inibisce la produzione di latte da parte della
ghiandola mammaria, ma mi aumenta la sensibilità della muscolatura miometrica all’ossitocina. Al
momento del parto si ha uno stimolo nervoso da parte dell'ipotalamo che non fa altro che aumentare
ulteriormente la secrezione dell’ossitocina, e quindi l'aumento delle contrazioni, che diventano più forti
e ritmiche quindi si può avere l'espulsione del bambino. Dopo il parto la funzione dell'ossitocina non
viene completamente inibita, ma è responsabile della montata lattea: continuiamo a produrre
ossitocina, ma si abbassano i livelli di estrogeni e progestinici: l'abbassamento soprattutto dei livelli di
estrogeni mi da la facilità della montata lattea e questa viene mantenuta proprio per tutto il periodo
della lattazione. Nel suo complesso andando ad agire poi anche a livello del sistema nervoso centrale è
in grado anche di favorire quello che è il rapporto complessivo di amore che si ha tra la madre e il
bambino e questo avviene molto probabilmente anche attraverso il contatto e l’olfatto.

Gli effetti dell'ossitocina su altri distretti sono sicuramente il controllo della sessualità, dell'emotività e
della socialità. Oltre a essere, si sa, coinvolto in tutte le fasi della sessualità, viene considerato
normalmente l'ormone della felicità perché coinvolto in tutti i fenomeni in cui c'è necessità di
accoppiamento: addirittura ci sono studi che dimostrano come in parte la monogamia sia legata a una
variazione dei livelli di ossitocina; nel maschio per esempio l'elevato livello di ossitocina favorisce
l'instaurarsi della relazione con la compagna così come l'istinto parentale; questo è sicuramente vero
negli animali, non del tutto così studiato a livello dell'uomo.

Un altro aspetto interessante è che sicuramente l’ossitocina va ad agire in maniera benevola riducendo
i meccanismi di stress, di rabbia, rendendo le persone più tranquille, più serene, più fiduciose e appagate
ed è stato ampiamente dimostrato che ci sono cibi come la cioccolata, le ostriche, le fragole che
favoriscono la produzione di ossitocina e quindi vi rendono molto più sereni molto più tranquilli.

Tra l’adenoipofisi e la neuroipofisi esiste una parte


intermedia, la cosiddetta pars intermedia, la quale
produce anch'essa una sostanza, un ormone che si
chiama MSH, che è l'ormone melanocita stimolante che
agisce a livello dei melanociti, che si trovano a livello
dell'epidermide, e quindi favorisce l'instaurarsi di un
colore più o meno scuro a livello cutaneo.

Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 11 di 20
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IPOTALAMO-IPOFISI

Il meccanismo di regolazione dell’adenoipofisi avevamo detto avviene attraverso un sistema portale


cioè un sistema vascolare di controllo che permette di andare ad agire sulla produzione degli ormoni
che vengono prodotti dall’adenoipofisi. Esistono 5 ormoni che favoriscono il rilascio degli ormoni
ipofisari e 2 ormoni invece che hanno una funzione di tipo inibitorio.

Questi sono gli ormoni stimolanti: quindi quello che stimola il rilascio dell’ormone da parte della
tiroide, i fattori che stimolano il rilascio delle gonadotropine, dell'ormone della crescita, della prolattina
e dell'ormone che agisce a livello delle ghiandole surrenali;

abbiamo poi un ormone inibitore della prolattina e un ormone, la somatostatina, che ha davvero
un’azione inibitoria sulla liberazione dell’ormone della crescita e dell'ormone che stimola la tiroide.

Questo (slide) è solo un riassunto per avere “at


glance” (cioè visivamente) un'idea di quella che è la
complessa attività della ghiandola ipofisaria.

EPIFISI O GHIANDOLA PINEALE

Se rimaniamo a livello encefalico, e rimaniamo in realtà su una ghiandola di derivazione nervosa


neuroectodermica (e non ectodermica o epiteliale), dobbiamo parlare della ghiandola pineale. La
ghiandola pineale è una ghiandola che ha origine ancestrale nello sviluppo degli esseri viventi, che però
nell’uomo ha perso buona parte della sua attività. Deriva il suo nome dal fatto di essere a forma di pigna
e si trova vicino al diencefalo; contiene due popolazioni cellulari che sono i pinealociti, di origine
neuroepiteliale, e delle cellule interstiziali neurogliali, che invece assomigliano agli astrociti, cioè a delle
cellule che sono cellule della glia del sistema nervoso centrale.

I pinealociti praticamente sono delle cellule neuro epiteliali, quindi sono delle cellule nervose che sono
in grado di andare a produrre degli ormoni: producono gli ormoni attraverso i loro prolungamenti, che
terminano con delle espansioni a bottoncino e che quindi fanno in modo di immettere l’ormone,
prodotto dall'epifisi, a livello del torrente circolatorio. Normalmente queste cellule si trovano
raggruppate in cluster e sono circondate da una componente nervosa e vascolare.

La funzione del pinealocita è quella di sintetizzare la melatonina, un ormone che viene sintetizzato in
relazione a ritmi di luce buio: quindi è quell’ormone che regola i ritmi circadiani; sincronizza l'orologio
biologico per i meccanismi di sonno, di veglia e interviene anche sul meccanismo di liberazione degli
ormoni da parte del nostro organismo. Ha un'azione anche a livello degli ormoni delle gonadotropine
che vengono prodotti a livello della adenoipofisi.

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Questi sono gli aspetti della mia ghiandola pineale: quindi


questi nuclei (macchiette viola scuro a destra) sono
fondamentalmente i nuclei degli astrociti, questi più grandi
invece sono i nuclei dei pinealociti. Tutte queste strutture che
vediamo sono legate ai prolungamenti delle mie cellule.
Torneremo sull’aspetto di questa ghiandola quando andremo
a fare la struttura e la morfologia del tessuto nervoso.

La funzione di questa ghiandola è la produzione ormonale, produzione che è molto attiva soprattutto
nei primi anni di vita: infatti i bambini dormono molto di più rispetto agli adulti; ha un fenomeno di
riduzione e di regressione dopo i 7 anni e, a mano a mano che va incontro a regressione, lo stroma della
mia ghiandola endocrina viene rivestito da depositi di granuli di fosfato e carbonato di calcio che
prendono il nome di sabbia pineale o epifisaria; questi sono importanti perché rendono questa
struttura identificabile a livello dei raggi X, e quindi può essere un punto di repere (i punti di
repere vengono utilizzati per localizzare una regione del corpo in maniera univoca), cioè un punto nel
quale riusciamo a identificare la sede della ghiandola e quindi le strutture che sono adiacenti.

TIROIDE

La tiroide è una ghiandola follicolare, l'unica ghiandola follicolare: significa che le cellule dell’epitelio si
fondono a formare delle strutture cave. Si trova posizionata nella regione anteriore del collo, più
esattamente a livello della laringe, ed ha una forma a farfalla perché ha due lobi laterali e una porzione
centrale più assottigliata.È costituita da due popolazioni di cellule differenti: delle cellule che vengono
definite follicolari e delle cellule para follicolari.

Le cellule follicolari sono effettivamente le cellule che vi vanno


a racchiudere questa struttura che è la struttura (immagine
“gialla” in alto a sinistra della slide) che viene appunto definita
follicolo. Le cellule para follicolari sono cellule che invece non
sono direttamente coinvolte nella formazione di questa
sostanza.

L’aspetto della vostra tiroide può essere differente a seconda


del momento funzionale della tiroide stessa.

CELLULE FOLLICOLARI

Le cellule follicolari sono le responsabili della produzione degli ormoni tiroidei, che sono la
triiodiotironina (T3) e la tetraiodiotironina (T4, o tiroxina). Normalmente le mie cellule tiroidee
formano un precursore inattivo degli ormoni tiroidei, che viene definita tireoglobulina, sintetizzata da
parte del tireocita, cioè della cellula che circonda il follicolo; viene poi “buttata” all'interno del follicolo
ed è una forma nella quale i miei ormoni tiroidei sono presenti ma non sono biologicamente attivi.

Quindi le mie cellule del follicolo tiroideo funzionano, diciamo così, in due sensi: funzionano facilitando
l'ingresso dei miei ormoni all'interno del follicolo e poi, una volta stimolati dal TSH, non fanno altro che
endocitare la colloide, questa tireoglobulina, coniugarla e digerirla all'interno della propria cellula e farla
fuoriuscire dal lato opposto, dove abbiamo la componente vascolare, in maniera che si liberino così gli

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ormoni T3 e T4: quindi è una cellula che ha una doppia funzionalità, può fare endocitosi ed esocitosi a
livello della superficie che riveste il follicolo, e a seconda del momento funzionale della stimolazione da
parte del TSH ovviamente avremo la liberazione o meno del degli ormoni tiroidei.

L’azione degli ormoni tiroidei in realtà è un'azione ad


ampio spettro, l'abbiamo visto anche prima: gli ormoni
tiroidei hanno il recettore direttamente a livello nucleare,
sono in grado di controllare il bilancio azotato, sono in
grado di controllare il consumo di ossigeno e la produzione
di calore intervenendo in quel meccanismo che è il
metabolismo basale, e controllano sia il metabolismo
glucidico che quello lipidico.

Questa è un'immagine che mi fa vedere il doppio processo: quindi l'ingresso attraverso la coniugazione
con lo iodio e la presenza della tireoglobulina e, sotto
stimolazione del TSH, la fuoriuscita, il recupero della
tireoglobulina e la formazione di T3 e T4.

L’ormone metabolicamente più attivo sicuramente è il


T3, il T4 è un precursore meno attivo (quindi non
inattivo) che normalmente viene convertito in T3 per
facilitarne la funzione.

CELLULE PARAFOLLICOLARI

Oltre alle cellule follicolari nella tiroide troviamo delle celle più grandi, disposte tra un follicolo e l'altro.
Questa (immagine in basso a destra della slide) era la
colloide che vedevamo prima, quindi la tireoglobulina,
queste sono le cellule para follicolari. Sono localizzate in
posizione più periferica e sono delle cellule endocrine
isolate perché sono responsabili della produzione della
calcitonina, un ormone che va ad agire a livello delle cellule
dell’osso e va a ridurre i livelli plasmatici di calcio, perché
va a inibire l'attività di riassorbimento del calcio da parte
delle cellule osteoclastiche, che sono le cellule responsabili
del riassorbimento osseo a livello di questo tessuto e di
conseguenza determina una riduzione dei livelli di calcio
nel sangue.

Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 14 di 20
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PARATIROIDI

La tiroide è questa ghiandola che vedete qui a forma di farfalla, ai poli della
ghiandola tiroidea ci sono quattro altre piccole ghiandole che si chiamano
paratiroidi.

Le paratiroidi sono delle ghiandole cordonali; normalmente si


identificano in una sezione istologica. Questa è la tiroide (tutto
a sinistra della slide), i follicoli qui sono vuoti, tutta questa
(“ammasso” che occupa la parte destra e la porzione centrale)
è la paratiroide: in questa sezione la paratiroide risulta
particolarmente grande, ma è solo un problema della sezione,
perché in realtà sono molto più piccole rispetto alla tiroide.

Le paratiroidi producono, attraverso le loro cellule principali,


un ormone che si chiama paratormone, un ormone che va ad
agire in maniera antagonista rispetto alla calcitonina, quindi va a favorire quello che è il riassorbimento
dell'osso, cioè va a favorire quello che è l'aumento del livello del calcio; possiedono all'interno del loro
parenchima anche delle altre cellule, che si chiamano cellule ossifile, che hanno una funzione
probabilmente di regolazione dell'attività delle cellule principali.

PARATORMONE E CALCITONINA

L’azione del paratormone e l'azione della calcitonina sono due azioni antagoniste; la calcitonina va ad
agire inibendo l'attività di riassorbimento del calcio da parte dell’osso e quindi diminuisce anche
l'assorbimento intestinale, quindi va ad abbassare i livelli di calcio nel sangue. Invece il paratormone va
a stimolare il rilascio del calcio da parte dell'osso (vedremo che l'osso è il più grande deposito di ioni
calcio all'interno del nostro organismo), va ad aumentare l'assorbimento del calcio a livello intestinale,
quindi lo recupera dall'intestino e lo porta a livello ematico e quindi non fa altro che andare ad
aumentare i livelli del calcio nel sangue; questo porterà poi all'utilizzo del calcio in altri distretti.

Lo ione calcio è fondamentale in moltissimi processi del nostro organismo: dalla conduzione
dell'impulso nervoso alla contrazione muscolare, alla coagulazione del sangue.

PANCREAS ENDOCRINO

Un'altra ghiandola di origine epiteliale che è sempre costituita da


cordoni di cellule è rappresentata dalla componente endocrina
del pancreas. Il pancreas endocrino si trova circondato da una
capsula connettivale che ovviamente porta innervazione e
vascolarizzazione all'interno del parenchima esocrino del
pancreas, quindi qui (immagine “viola” a destra) si intravede la
componente esocrina del pancreas (la parte “esterna”
dell’immagine), che è una ghiandola acinosa composta; la parte
centrale è la componente endocrina del pancreas, cioè l’isolotto
di Langerhans.

Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 15 di 20
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Questa ancora (immagine “viola” a destra) è un'immagine che fa


vedere la componente esocrina del pancreas e la componente
endocrina; questi spazi chiari che voi vedete sono inserti costituiti
dal connettivo (vedremo che questi possono essere degli artefatti
che si hanno nelle immagini di microscopia ottica), quindi queste
strutture (quasi circolari) sono i vostri isolotti di Langerhans, che
vedete hanno un colore diverso rispetto alla parte esocrina.

In queste immagini è molto più chiaro: 2 ⟹ isola di Langerhans, i


nuclei sono molto evidenti.

ISOLOTTO DI LANGERHANS

Qual è la funzione del mio isolotto di Langerhans: abbiamo detto che


ha una funzione ormonale: all'interno del mio isolotto ho quattro tipi
cellulari diversi, tutti quanti a secrezione proteica: ho le cellule B, o
cellule β, che rappresentano circa il 20%, che mi producono
l'insulina, un ormone ipoglicemizzante, cioè che mi favorisce il recupero degli zuccheri da parte delle
cellule, quindi per poter utilizzare il glucosio a fini energetici. Le cellule α invece, che rappresentano
circa il 70% della popolazione dell'isolotto di Langerhans, mi producono il glucagone, che è un ormone
iperglicemizzante e quindi ha un'azione antagonista rispetto all'insulina. Poi abbiamo le cellule δ, che
invece producono la somatostatina, che inibisce per via paracrina l'attività delle cellule α e delle cellule
β. Poi abbiamo le cellule PP che invece producono un polipeptide pancreatico che ha sempre una
funzione paracrina, ma va a controllare quelle che sono alle attività di secrezione da parte del pancreas
esocrino, che si trova a circondare il mio isolotto di Langerhans.

I recettori per l'insulina vi ricordo sono stati localizzati sulla membrana plasmatica e sono responsabili
sia delle risposte metaboliche veloci (che sono soprattutto quelle legate ai meccanismi energetici, quindi
all'utilizzo del glucosio), ma in realtà l'insulina può intervenire anche sui meccanismi di risposta più
lenta, più a lungo termine, che sono quelli che portano, per esempio, alla stimolazione di sintesi proteica
o alla stimolazione della proliferazione cellulare.

Questi meccanismi, soprattutto i secondi, sono soprattutto legati all'attività di molecole che sono
definite molecole insulino-simili, cioè che in realtà sfruttano la caratteristica della similitudine alla
molecola dell'insulina per favorire la proliferazione cellulare.

GHIANDOLA SURRENALE

L'ultima ghiandola cordonale è rappresentata dalla ghiandola surrenale: le ghiandole surrenali, in realtà
sono due, sono localizzate sulla parte superiore del rene e sono costituite da due porzioni, che sono una
porzione corticale o corticosurrene, che si trova più alla periferia, e una parte centrale, una parte
all'interno, che si chiama parte midollare. Le due parti sono diverse da un punto di vista composizionale,
sono diverse da un punto di vista morfologico e si trovano associate solo per una questione anatomica:
però sono completamente diverse.

Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 16 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE

Analizzando la porzione corticale a partire dalla


componente più esterna:

-questa (indica la zona blu scuro in alto) è una capsula


connettivale che mi va rivestire gli organi;

-la parte più periferica è costituita da dei cordoni di


cellule che hanno una distribuzione spaziale differente,
andando a identificare una zona che si chiama zona
glomerulare;

-ho poi una zona più centrale, più chiara in questa


immagine, che si chiama zona fascicolata;

-e una zona che si chiama zona reticolare, che è in vicinanza con la zona midollare.

La zona glomerulare, la zona fascicolata e la zona reticolare sono tutte e tre responsabili della
produzione di ormoni steroidei. La midollare del surrene invece ha un’origine neuroendocrina ed è
responsabile della formazione della produzione di adrenalina e noradrenalina.

Se andiamo a guardare le zone della corticale del surrene:

-partiamo da questa zona (nell’immagine indicata con C,


la parte blu) che è la zona della capsula, quindi è quella
struttura che riveste esternamente la mia ghiandola
endocrina;

-in questa al di sotto della mia capsula connettivale


(indicata con G) trovo questi cordoni di cellule che
tendono a costituire delle strutture tondeggianti, un po’
come se fossero dei glomeruli; le cellule al loro interno,
producendo ormoni steroidei, hanno un abbondante reticolo endoplasmatico e questa zona del mio
surrene è responsabile della produzione di aldosterone, che è un ormone che interviene nel sistema
renina-angiotensina e mi serve per andare a regolare la diuresi e la pressione sanguigna.

La zona al di sotto della zona fascicolata è la zona più ampia,


più spessa, più evidente della mia ghiandola surrenale:
produce sempre ormoni di tipo steroideo, per cui anche
questa zona presenta un citoplasma vescicolato, ha
un'abbondanza di REL e di mitocondri, e qui i mitocondri
sono quelli che assumono una morfologia un pochino più
particolare: sono responsabili anche questi della
produzione di ormoni steroidei (la secrezione è regolata
dall’ACTH prodotto nell’adenoipofisi): producono
prevalentemente cortisolo e ormoni che intervengono nel
metabolismo degli zuccheri; intervengono anche nella
produzione di una piccola quantità di precursori di ormoni sessuali.

Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 17 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE

La parte più interna della mia corticale del surrene è


invece responsabile della produzione di ormoni
prevalentemente sessuali, precursori degli androgeni, ed
è anche questa con cellule che hanno caratteristiche
riconducibili alla produzione di ormoni sessuali.

Riassumendo..

Per andare a riassumere la zona glomerulare è regolata dal sistema renina-angiotensina e produce
l'aldosterone.

La zona fascicolata è regolata dall'adenoipofisi e produce il cortisolo.

La zona reticolare è invece regolata dagli ormoni LH e ACTH, sempre prodotti dall’adenoipofisi, e vanno
a produrre un precursore degli ormoni sessuali.

EFFETTI DEL CORTISOLO

Questa è un'immagine che vi dà un'idea di quella che è


l'effetto ovviamente del cortisolo, che ha da un lato degli
effetti estremamente positivi, come ad esempio facilitare
la maturazione del feto, quello di avere un’attività
antinfiammatorie, ma ha anche ovviamente degli effetti
dannosi soprattutto quando utilizzato in eccesso.

MIDOLLARE DEL SURRENE

La midollare del surrene è costituita da quelle cellule che prima avevamo chiamato cellule cromaffini
(perché hanno quei granuli che contengono le cromatogranine che si colorano intensamente con dei sali
di cromo); queste cellule hanno un citoplasma intensamente basofilo e producono noradrenalina e
adrenalina.

Questa è un'immagine che vi mette in evidenza:

-quelli che sono gli ormoni che vengono prodotti dalla


corticale del surrene e dalla midollare

-quelle che sono le varie azioni degli ormoni prodotti dalle


vostre ghiandole

Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 18 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE

ASPETTI DI SECREZIONE ENDOCRINA IN TESSUTI NON EPITELIALI

Abbiamo detto all'inizio che in realtà quando noi parliamo di ghiandole endocrine parliamo in realtà di
tessuti che non è detto che abbiano un’origine di tipo epiteliale. La stragrande maggioranza delle
ghiandole endocrine è in realtà di origine epiteliale, ma ci sono ghiandole endocrine che hanno una
natura nervosa. Queste in realtà le abbiamo viste perché le abbiamo inquadrate da un punto di vista
anatomico: avevo parlato della neuroipofisi, dell’ipofisi, dell'epifisi, semplicemente perché rimanendo
al livello del capo siamo scesi anatomicamente e abbiamo parlato della midollare del surrene, perché
ovviamente l'abbiamo inglobata all'interno della ghiandola da un punto di vista anatomico.

Esistono però tessuti che svolgono la funzione di tipo endocrino, che possono essere di origine
connettivale o di origine muscolare.

CELLULE ENDOCRINE DI NATURA CONNETTIVALE

Per quello che riguarda le cellule di natura connettivale, queste sono le cosiddette cellule interstiziali
del testicolo, le cellule interstiziale dell'ovaio.

Le cellule interstiziali del testicolo sono fondamentalmente le cellule del Leydig: sono quelle cellule
che si trovano inframezzate tra i tubuli seminiferi e sono responsabili della produzione del testosterone;
queste cellule agiscono sotto attività stimolatoria dell’LH.

Le cellule interstiziali dell'ovaio e le cellule della teca interna, che sono sempre di origine connettivale,
sono invece quelle che producono estrogeni, mentre a livello del corpo luteo quelle della teca interna
andranno a produrre progestinici.

Sono cellule connettivali che producono ormoni anche gli adipociti, più esattamente gli adipociti
bianchi che sono in grado di andare a produrre un ormone che si chiama leptina, che ha come bersaglio
i centri nervosi che controllano l'appetito, e quindi è un ormone che induce un senso di sazietà.

Quindi in questo caso noi abbiamo cellule che acquisiscono attività di produzione ormonale che si
associano tra di loro e vanno a costituire delle vere e proprie ghiandole.

CELLULE DI LEYDIG

Questa è un’immagine delle cellule del Leydig: qui abbiamo


(indica la “massa” in alto a sinistra) i vostri tubuli
seminiferi, quindi questi (indicando sempre lo stesso
punto) sono i vostri spermatozoi in via di formazione;
queste (posizione centrale) sono le mie cellule del Leydig:
se ci fate caso il nucleo assume questo aspetto
fondamentalmente un po’ bucherellato, che è dato proprio
dalla caratteristica delle mie cellule di produrre sostanze
di tipo lipidico.

Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 19 di 20
ISTOLOGIA – Istologia II IST03 – GHIANDOLE ENDOCRINE

CELLULE TECA INTERNA

Queste invece sono le cellule della teca interna del follicolo ooforo,
questo è l’antro del follicolo, questo lo strato della granulosa, quindi le
cellule iniziali che formano il vostro follicolo, questa è la membrana
basale, quindi questo è connettivo; teche interna ed esterna: anche qui
avete delle cellule piuttosto grandi, il loro citoplasma risulta
sufficientemente vacuolato e con delle aperture che sono proprio
quelle legate alla presenza della componente lipidica.

CORPO LUTEO

Il corpo luteo è quello che si formerà dopo il fenomeno dell’ovulazione; in realtà nella formazione del
mio corpo luteo, avrò sia delle cellule di natura epiteliale, quindi quelle che erano le cellule della
granulosa che mi diventano cellule in grado di produrre progestinici, sia cellule della parte connettivale,
quelle che erano la teca del mio follicolo, e queste andranno a produrre estrogeni.

Poi ci sono delle cellule di natura epiteliale che vanno a produrre la relaxina, che è importante perché
servirà per produrre delle modificazioni della mucosa uterina, soprattutto della cervice uterina, della
parte bassa del dell'utero, che quindi favorirà il parto, e mi servirà anche per lo sviluppo della ghiandola
mammaria durante la gravidanza.

CELLULE ENDROCRINE DI NATURA MUSCOLARE

Infine abbiamo le cellule di natura muscolare: tutte e tre le nostre famiglie di tessuti muscolari sono in
grado di produrre sostanze che svolgono un'attività di tipo endocrina: i cardiomiociti atriali sono in
grado di produrre quello che si chiama il peptide natriuretico atriale, più facilmente abbreviato in ANP,
che viene a essere prodotto nel momento in cui si ha la dilatazione dell'atrio ed è importante perché va
ad agire a livello dell'escrezione renale del sodio, e quindi va ad agire su quella che è la regolazione del
volume ematico e, di conseguenza, sulla pressione sanguigna.

Le cellule muscolari lisce che sono in grado di svolgere attività endocrina sono quelle che si trovano a
livello di un'arteriola a livello renale, si trovano in un sistema che è il sistema iuxtaglomerulare (cioè
vicino, nelle vicinanze del glomerulo) ed è un ormone che è in grado di percepire la pressione parziale
dell’ossigeno e quindi di andare regolare, attraverso il sistema renina-angiotensina, il sistema di
liberazione dell’aldosterone, e quindi andare ad agire anche al livello del riassorbimento dell'acqua a
livello renale, regolando la pressione arteriosa.

L'ultimo ormone che viene prodotto dalle cellule muscolari viene prodotto dalle cellule muscolari
striate e si chiama irisina: viene prodotto in grossa quantità durante le attività sportive ed è un ormone
che ha degli effetti su moltissimi altri tessuti: ha degli effetti sul tessuto osseo, quindi anche la massa
muscolare va ad agire su quello che è il tessuto osseo: va ad agire su un meccanismo che è il meccanismo
di rimodellamento osseo quindi agisce in quei meccanismi che sono i processi, per esempio, di
osteoporosi, poiché va ad agire su tutte le cellule del metabolismo osseo; va ad agire in realtà anche sulle
cellule del tessuto adiposo, quindi andando a favorire o meno il deposito di grassi da parte del tessuto
adiposo: anche in questo caso, indipendentemente dalla natura del tessuto, che sia muscolare liscio, che
sia muscolare cardiaco, che sia muscolare striato abbiamo la produzione di ormoni che possono agire a
livello paracrino ma più spesso a livello endocrino.

Autore: Lucia Maria Vitali, Tommaso Tentella e Serena Canala per Medicina08 20 di 20
ISTOLOGIA II
“TESSUTO CONNETTIVO”
ID lezione IST04 Modulo Istologia II
Data lezione 11 Marzo 2021
Autore Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz
Lezione
Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima
tenuta da
Argomento Tessuto connettivo.
Eventuali
Slide proiettate a lezione.
riferimenti

TESSUTI CONNETTIVI
I tessuti di tipo connettivale vengono raggruppati all’interno di questa classificazione per 2 motivi
fondamentali:

1. Hanno tutti la medesima derivazione embriologica;


derivano tutti dal tessuto connettivo embrionale
chiamato mesenchima che deriva dal mesoderma
(il terzo foglietto embrionale che si forma intorno al
15esimo giorno di vita embrionale a partire dalle
modifiche delle cellule dell’epiblasto che
diventano migranti);

2. Sono costituiti da cellule che si trovano disperse all’interno di una matrice extracellulare; lo
spazio al di fuori della cellula è preponderante.

Tessuti connettivi vengono anche definiti tessuti trofoconnettivali in quanto appartengono a questa
famiglia anche il sangue e la linfa.

Le cellule mesenchimali di tali tessuti


sono indifferenziate e, in base alle sollecitazioni
chimiche e meccaniche e a i fattori di crescita
che subiscono durante lo sviluppo,
originano tutte le cellule del connettivo.
Le cellule mesenchimali indifferenziate
rimangono presenti nell’adulto e permettono
in buona parte la rigenerazione tissutale:
sono per ciò considerate cellule staminali adulte.
ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO

Le altre cellule staminali adulte che abbiamo sono


quelle emopoietiche che derivano contestualmente alle
cellule mesenchimali ma che avranno poi un percorso
differenziativo diverso; quindi entrambe le popolazioni,
emopoietiche e mesenchimali, hanno derivazione
mesenchimale, più esattamente mesodermica.

La famiglia dei tessuti connettivi è piuttosto complessa e comprende:


• Tessuti connettivi propriamente detti: connettivo lasso, denso, reticolare, elastico e il
tessuto adiposo;
• Tessuti connettivi di sostegno: cartilagine e osso;
• Tessuti connettivi fluidi: sangue e linfa

Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
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ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO

TESSUTI CONNETTIVI PROPRIAMENTE DETTI

Sono distribuiti in tutto l’organismo e sono costituiti da diversi tipi di cellule disperse all’interno di
un’abbondante matrice extracellulare (ECM).
All’interno di un tessuto connettivo propriamente
detto troviamo: vasi sanguigni, vasi linfatici e nervi.

Tali tessuti rappresentano un sistema di coesione


e di integrazione delle componenti dei vari organi: il tessuto epiteliale è infatti privo di vascolarizzazione
ed è sempre accompagnato da un tessuto connettivo sottostante che gli permette di ricevere i nutrienti
necessari.

Altre funzioni di tale tessuto:


-meccanica: come quella di sostegno strutturale
-regolativa: come la difesa dell’organismo grazie alle cellule del sistema immunitario
- regolazione della diffusione di sostanze nutritive attraverso il liquido interstiziale.

Componenti del tessuto connettivo:


1. CELLULE che possono essere:
A. Fisse o residenti: trascorrono tutta la loro vita all’interno del tessuto connettivo e sono
responsabili della produzione della matrice extracellulare e sono:
• Fibroblasti
• Miofibroblasti
• Reticolociti
• Periciti
• Mastociti
• Macrofagi
• Adipociti

B. Mobili o non fisse: nascono in un altro distretto, viaggiano all’interno del torrente
circolatorio e possono risiedere transitoriamente nel tessuto connettivo dove possono
esplicare la loro funzione e poi o tornare nel sangue attraverso la linfa, o terminare la
loro vita nel tessuto connettivo e sono:
• Monociti
• Linfociti
• Plasmacellule
• Granulociti

Mentre le FISSE sono sempre presenti in un tessuto connettivo, le MOBILI possono essere
più o meno presnti in base alla funzione del tessuto connettivo.

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ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO

2. MATRICE EXTRACELLULARE (ECM) costituita da una:


• Componente fibrillare: insieme di proteine e macromolecole che formano delle fibre,
cordicelle di collagene e fibre elastiche;
• Sostanza fondamentale o amorfa: più idratata costituita da glicoproteine,
glicosamminoglicani e proteoglicani.

1.A: LE CELLULE FISSE

FIBROBLASTI: le cellule principali in un tessuto connettivo;


Compiono la sintesi delle componenti della matrice
extracellulare, sia quelle della componente fibrillare
che quelle della sostanza amorfa. In quanto svolgono tale
sintesi hanno un nucleo eucromatinico, un nucleolo
ben evidente ed appare ovale o allungato, un citoplasma ricco di RE e apparato di Golgi.

Raggiunto un certo livello nella crescita del tessuto e della cellula, il fibroblasta arriverà ad uno stato di
quiescenza in cui perderà la sua capacità di sintesi e diventerà un fibroblasta a riposo: cellula più
piccola che riduce le sue componenti di sintesi e che però può riattivare in caso di necessaria sintesi
delle componenti della matrice extracellulare. Ad esempio, nel caso di una ferita o lesione, le cellule
vengono stimolate a proliferare e a sintetizzare la matrice, così la cellula quiescente può rientrare in
completa attività, sintetizzare ciò che è necessario e poi tornare in uno stato di quiescenza fino al
prossimo stimolo.

La forma del fibroblasto è variabile: stellata e appiattita con alcuni prolungamenti sottili fusiformi tanto
da farlo assomigliare al macrofago in alcuni distretti; fusiforme con estremità allungate in altri che è la
più frequente nella fase di inattività.

Funzioni fibroblasi Microscopia ottica

• Sintesi e secrezione della matrice extracellulate:


-fibre (collagene e fibre elastiche)
- sostanza fondamentale
- glicoproteiche sulla superficie per controllare la ECM che lui stesso produce.
• Controllo del processo di assemblaggio ordinato dalle strutture della ECM che distingue i vari
tessuti connettivi. Quindi vi è sempre un’interazione bidirezionale della produzione della ECM
ed il fibroblasta stesso.

Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
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ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO

MIOFIBROBLASTI: Hanno caratteristiche intermedie tra i fibroblasti e le cellule muscolari lisce.


Contengono all’interno una maggiore quantità di α-SMA (actina di derivazione muscolare) che
permette loro:
• migrazione attraverso contatti focali all’interno
del connettivo con movimento ameboide
• una spiccata contrattilità: importante
per la guarigione di ferite
perché ne permette l’avvicinamento dei lembi
e la chiusura.
Se subisco una lesione,
ad esempio un taglio a livello del derma
(sanguinamento), i due lembi della cute
tendono a separarsi ed i miofibroblasti permettono di restringere i margini di guarigione grazie
alla loro attività contrattile.
• Sono anche responsabili dell’iniziale produzione di matrice collagenica
• Se alterati nella loro funzione, sono responsabili di un’ipertrofia della cicatrice che va sotto il
nome di cheloide. Il cheloide è un’alterazione del processo di cicatrizzazione nel quale dobbiamo
avere una giusta quantità di t. connettivo che viene prodotto ed epiteliale che viene riformato
ma, se questa formazione non è correttamente controllata dal punto di vista omeostatico (n° di
cellule prodotte) rischiamo di avere un eccesso di produzione di massa connettivale che crea
una situazione di cicatrice ipertrofica, cioè con un eccesso di tessuto rispetto alla situazione
originaria. Dopo aver svolto la loro funzione, i miofibroblasti vengono eliminati per apoptosi o
riprendono il fenotipo di normali fibroblasti.

RETICOLOCITI: popolazione eterogenea di cellule che svolgono


diverse funzioni nei confronti di diverse cellule dell’immunità.

Il tipo maggiormente rappresentato è chiamato


cellula reticolare fibroblastica di origine mesenchimale
nel midollo osseo e in tessuti del sistema linfatico, dove sintetizzano
la grande rete di fibre reticolari che caratterizza questi tessuti.

Grazie alla loro forma stellata ed alla presenza di prolungamenti, aderiscono alle fibre reticolari
costituendo una parete cellulare attraverso cui alcune cellule possono avere la giusta interazione tra
loro.

Sono abbondanti soprattutto negli organi linfoidi primari e secondari dove le cellule del sistema
immunitario devono collaborare tra loro per fornire la giusta risposta immunitaria all’organismo; a
questo livello è necessario che ci sia rete tridimensionale nella quale le cellule riescono ad essere
adese e aiutano le altre cellule a venire in contatto le une con le atre.

Le cellule reticolari svolgono funzioni importanti anche nel midollo osseo, dove stimolano
l’emopoiesi.

Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
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ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO

PERICITI: cellule la cui forma sembra somigliare a dei polipetti e che circondano i capillari.

Sono dotati di attività contrattile (contengono actina e miosina)


e quindi facilitano la contrazione capillare e la fuoriuscita
delle sostanze chiamato meccanismo di diapedesi (capacità
delle cellule di abbandonare il letto vascolare
e fuoriuscire nel tessuto connettivo).

Sono indifferenziate e quindi hanno delle potenzialità di


differenziamento molto vaste e vengono coinvolte in
processi di guarigione cellulare; possono originare cellule
di tipo muscolare o nervose.

MACROFAGI: cellule mononucleate del sistema immunitario primario, di dimensione notevole (10-
30 micrometri) con forma variabile in base alla loro fase funzionale (tondeggianti nel sangue ma poi
assumono dei prolungamenti nei tessuti connettivi).
Hanno un elevato sviluppo del RE e del Golgi e
un elevato numero di lisosomi per la loro attività fagocitaria.

Quando diventano cellule attivate aumentano di volume e


formano lamellipodi per far entrare la sostanza che
devono fagocitare (sostanza tossica o batteri).

I macrofagi sono raggruppati nella famiglia dei fagociti mononuncleati (MPS) a cui appartengono:

• Macrofagi tessutali;
• Macrofagi monociti derivati
• Monociti
• Cellule dendritiche

(questi quattro tipi di cellule differiscono per la loro origine)

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ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO

• macrofagi tessutali hanno un’origine embriologica molto precoce: derivano prima dal sacco
vitellino e poi dai fegato da cui derivano tutte le cellule del sangue.
Le prime cellule del sangue del tipo monocito-macrofagico in parte rimangono a livello del sacco
vitellino e in parte migrano in diversi distretti tessutali andando a costituire i macrofagi tessutali.
L’altra parte rimane all’interno delle strutture a costituire i monociti.
Nell’adulto si ha la possibilità di produrre monociti e cellule dendritiche a livello del midollo osseo
che diventerà la sede specifica della produzione delle cellule del sangue.

I macrofagi all’interno di un tessuto connettivo sono di 2 popolazioni differenti:


1) I macrofagi tessutali specifici a seconda del tessuto connettivo in cui ci troviamo;
-le cellule di Kupfell (fegato)
-macrofagi alveolare (negli alveoli polmonari),
-le cellule di Langerhans (nell’epidermide)
-le microglie (tessuto nervoso centrale)
-macrofagi pleurici (a livello della pleura),
-osteoclasti e condroclasti (cellule plurinucleate nell’osso e
nella cartilagine)

2) I macrofagi che si differenziano dai monociti che arrivano al tessuto connettivo.

Funzioni Macrofagi
Hanno funzioni di monitoraggio, percependo la presenza di componenti dannosi ed attività
effettrici: eliminano le sostanze nocive mantenendo l’omeoastasi tessutale.
Hanno funzione:
• Fagocitaria (di cellule morte per apoptosi)
• Regolazione della risposta immunitaria
• Produzione di sostanze battericide (per questo appartengono alla famiglia di cellule del sistema
immunitario innato)
• Intervengono nel primo meccanismo di difesa dell’organismo che è quello infiammatorio
• Emopoiesi

FAGOCITOSI
I macrofagi fagocitano perché sulle loro superfici ci sono dei recettori in grado di riconoscere
segnali diversi: quindi in base al tipo di recettore i macrofagi hanno funzioni differenti. Esistono:
• I recettori per il mannosio e i recettori scavenger: usati per legare le molecole batteriche.
• I recettori per le opsonine: permettono l’opsonizzazione che è quel meccanismo per il quale
alcuni componenti a livello plasmatico (anticorpi, elementi del complemento) si legano sulla
superficie batterica, li circondano: così i batteri sono identificati dal macrofago che lo fagociterà.
• I recettori associati alle proteine G: modificano l’attività del macrofago.

Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
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ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO

• I toll-like receptor: riconoscono delle molecole presenti sui batteri e quando si ha il legame con
tali recettori si favorisce l’interazione tra l’attività fagocitaria (immunità aspecifica) con il sistema
immunitario innato mediato dall’attività dei linfociti B e T.

IMMONUMODULAZIONE
Per poter iniziare la fagocitosi si deve stimolare uno dei recettori sopra citati presenti sulla
membrana dei macrofagi. Inizialmente vengono attivati solo quelli tessutali poi, attraverso la
produzione di chemochine, vengono richiamati anche i macrofagi di derivazione monocitica che
lasciano il torrente circolatorio e vanno all’interno del t. connettivo dove il rilascio di diverse
molecole e di altre chemochine inducono la vasodilatazione, aumentano la temperatura e rilasciano
molecole batteriostatiche che stimolano la guarigione.

PRESENTAZIONE DELL’ANTIGENE: svolto soprattutto dai macrofagi


con i toll-like receptor e che vengono quindi
chiamati cellule presentate l’antigene (APC).
I linfociti T non sono in grado di riconoscere l’antigene
a meno che questo non gli venga presentato
in maniera specifica; allora entra in gioco
l’attività fagocitaria del macrofago.
Il macrofago riconosce, attraverso i suoi recettori,
l’antigene specifico da fagocitare, la porta al suo interno
e inizia la fagocitosi grazie alla quale la sostanza che è entrata all’interno del macrofago, tramite una
vescicola, viene messa a contatto con i lisosomi per iniziarne la digestione.

Quest’ultimo processo porterà sulla superficie del macrofago delle molecole che sono l’espressione
dell’avvenuta digestione di un elemento estraneo. L’espressione di tali molecole sulla superficie
della cellula fa si che i linfociti T siano in grado di riconoscere l’antigene e quindi di svolgere la loro
attività immunitaria. Quindi il processo di fagocitosi, che è il primo meccanismo di difesa attuato
dall’organismo, è una sorta di sveglia per il sistema immunitario.
Questa attività di APC viene svolta anche dalle cellule dendritiche che, soprattutto all’interno di
organi linfatici, mettono in comunicazione le cellule immunocompetenti tra loro.

I macrofagi possono essere distinti in due grandi popolazioni in equilibrio tra loro:
1. I macrofagi che promuovono la fagocitosi, quindi il processo di infiammazione
2. I macrofagi che riducono l’infiammazione.

Esempio: Quando ho una lesione a livello


della cute (epidermide e derma) entrano
anche sostanze che possono essere tossiche,
quindi si attivano i macrofagi che attivano
una risposta infiammatoria che può attivare
una risposta immunitaria: così attivo il
processo di guarigione della ferita e quindi il
rilascio di sostanze che facilitano la

Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
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ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO

migrazione e proliferazione dei fibroblasti ma, arriva un momento in cui tale processo deve
terminare.

Infatti il corretto processo di guarigione della ferita è caratterizzato dal corretto bilanciamento delle
due popolazioni macrofagiche all’interno del tessuto, che saranno quindi in una situazione di
equilibrio detta M0 e poi verranno, a seconda delle molecole attivate, spostate prima nella fase M1
e poi nella fase M2 per favorire la guarigione del tessuto.

MASTOCITI: cellule dell’immunità innata, simili ai granulociti basofili per morfologie e funzione.
Cellule prodotte dal sacco vitellino e dal fegato in fase embrionale.
Hanno un diametro di 20 micron e nel loro citoplasma hanno
dei granuli basofili contenenti istamina (vasodilatatore)
ed eparina (anticoagulante).
Presentano sulla superficie i recettori per le IgE e
sono responsabili della risposta allergica. Le IgE si legano
sulla superficie del mastocita e la porzione
transmembrana libera questi granuli che rilasciano
istamina che è il più potente mediatore del fenomeno
allergico insieme ai basofili.
Hanno anche altre attività come:
3) Riparazione delle ferite
4) protezione da batteri e virus
5) Interazione tra cellule muscolari e nervose
6) Regolazione delle risposte immunitarie di tipo acquisito.

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LE CELLULE MOBILI

Sono tutte di derivazione ematica che arrivano dal


torrente circolatorio e poi vanno nel tessuto connettivale.

I MONOCITI

Sono cellule del sistema immunitario innato che si differenziano


nel midollo osseo e migrano nel sangue e attraverso il meccanismo
della diapedesi arrivano nel connettivo dove si differenziano in macrofagi.
La loro presenza nei tessuti connettivi è rilevante in presenza di un danno
tessutale perché svolgono un ruolo fondamentale nei processi infiammatori
e nella risposta immunitaria a patogeni.

LE PLASMACELLULE sono l’ultimo stadio differenziativo dei linfociti B, sono di forma ovoidale e di
notevoli dimensioni.

Hanno il RER molto sviluppato e un nucleo eucromatinico


piuttosto grande dove l’eucromatina ha una disposizione
particolare (perchè normalmente hanno il nucleolo in zona centrale
e zolle di cromatina in periferia dell’involucro nucleare
“diposizione a ruota di carro”).
Se li osserviamo in microscopia ottica osserviamo
un citoplasma intensamente basofilo con una zona più chiara
dove è localizzato l’apparto di Golgi.
Queste cellule, grazie alla presenza del Golgi e del RER molto sviluppati
producono quasi tutte le classi di anticorpi.

Tabella riassuntiva cellule mobili

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MATRICE EXTRACELLULARE (ECM)


La matrice extracellulare è un network di proteine, glicoproteine e proteoglicani che acquisiscono una
struttura tridimensionale tessuto-specifica; la quantità, il rapporto reciproco e la modalità con cui
interagiscono queste molecole variano a seconda dei tessuti.
Il fibroblasto è il principale responsabile della sintesi e della secrezione delle molecole della ECM.
I vari tessuti connettivi propriamente detti quindi avranno diverse forme relative all’attività funzionale
del tessuto stesso: le molecole, presenti in concentrazioni variabili, si distribuiranno in maniera
differente a seconda della funzione che il tessuto svolgerà.

La Matrice Extracellulare è formata da:


• SOSTANZA FONDAMENTALE, costituita prevalentemente da molecole di natura polisaccaridica
Glicosamminoglicani (GAG)
Proteoglicani (PG)

• GLICOPROTEINE ADESIVE, necessarie per mediare l’interazione tra le cellule e la matrice


extracellulare
Laminina
Fibronectina

• PROTEINE FIBROSE
Collagene
Elastina

SOSTANZA FONDAMENTALE: è una soluzione estremamente viscosa in quanto le molecole che la


compongono legano una grande quantità di acqua.
Sua funzione: regolare il passaggio dei liquidi e resistere ai meccanismi di compressione.
Le molecole che vanno a costituire la sostanza fondamentale sono: i Glicosamminoglicani, i
Proteoglicani e le Glicoproteine adesive (queste ultime sono una sorta di collegamento tra la
componente cellulare e parte della matrice extracellulare).
I GLICOSAMMINOGLICANI (GAG) sono degli zuccheri lineari sintetizzati direttamente
dall’Apparato del Golgi, costituiti dall’unione di unità disaccaridiche ripetute.

Tutti i GAG sono solforati (presenza


di uno o più gruppi solfato), ad
eccezione dell’ACIDO IALURONICO,
il più grande della serie. Esso è
formato da un monomero di Acido
D-glucuronico e da un monomero di
D-glucosamina ed è considerato il
GAG ubiquitario, ossia presente in
tutti i tipi di tessuto connettivo, a
differenza degli altri che possono
essere ubiquitari o specifici di
particolari distretti anatomici.

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I GAG, ad eccezione dell’acido ialuronico, sono in grado di formare legami con componenti
proteiche per costituire molecole di Proteoglicani.

I PROTEOGLICANI (PG) nascono dall’unione di un’asse


centrale proteico sulla quale si legano vari tipi di
glucosamminoglicani diversi.
Il più grande proteoglicano prende il nome di AGGRECANO.
Ogni molecola di proteoglicano possiede, nella porzione
proteica, 1 sito di legame per l’acido ialuronico che, a sua volta,
costituisce una rete necessaria all’attacco dei proteoglicani.

I PG posseggono 1 carica negativa che consente il legame con ioni sodio (Na +) per così poter
attrarre nei tessuti una grande quantità di acqua che dona turgore al tessuto stesso.
Le funzioni dei proteoglicani sono di 2 tipi:
-contribuiscono ad organizzare in modo ordinato la ECM in seguito ad interazioni specifiche con
altri suoi componenti;
-regolano le funzioni cellulari intervenendo in vario modo sull’attività dei recettori cellulari.
[Digressione sulla capacità delle creme per il viso che contengono acido ialuronico di mantenere
elastica e tonica la pelle]

I GAG e i PG sono importanti modificatori della risposta biologica perché, grazie alle loro caratteristiche
di legame, sono capaci di:
-legare cationi;
-legare una serie di fattori di crescita e, di conseguenza, esporre le cellule a segnali che permettono loro
di svolgere al meglio la propria attività biologica.
-> Quindi il meccanismo di comunicazione all’interno del tessuto connettivo tra la componente cellulare
e quella extracellulare è mediato dalle caratteristiche chimiche dei Glicosamminoglicani e dei
Proteoglicani.

GLICOPROTEINE ADESIVE:
formati da una porzione proteica complessa a cui si
legano polisaccaridi ramificati.
Esse sono sintetizzate a partire dal RER, dove
subiscono glicosilazione, seguita da un’ulteriore
glicosilazione nell’Apparato del Golgi e infine
secrete all’esterno o immisse sulla superficie della
cellula.
[Commento tabella esplicazione delle differenze tra le Glicoproteine adesive e i Proteoglicani]

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Le glicoproteine adesive della matrice extracellulare possono essere:


• GLICOPROTEINE STRUTTURALI
o Fibronectina
o Laminina
o Condronectina
o Entactina
o Osteonectina
• GLICOPROTEINE ASSOCIATE AI PROTEOGLICANI
• GLICOPROTEINE ASSOCIATE AL COLLAGENE
• GLICOPROTEINE ASSOCIATE ALL’ELASTINA
• GLICOPROTEINE CONNESSE AI PROCESSI DI CALCIFICAZIONE (nei tessuti di sostegno)

RICORDA: tutte le componenti della matrice extracellulare sono sintetizzate dai fibroblasti e sarà la
cellula stessa a modulare la produzione delle glicoproteine e degli elementi della matrice in maniera da
modificarne la struttura.

GLICOPROTEINE STRUTTURALI possono formare:


- delle vere e proprie fibrille: la fibrillina (per la formazione delle fibre elastiche) e la
fibronectina (per l’adesione delle cellule alla matrice extracellulare),
- delle lamine: la laminina (per l’adesione cellula-matrice ed essenziale nella formazione di un
complesso di adesione cellula-matrice a livello della lamina basale1), la condronectina e
l’osteonectina.

La proteina laminina possiede una particolare forma a


croce e, all’interno ha dei siti di legame con le cellule
coinvolte e altri per le componenti della matrice
extracellulare.
La fibronectina invece possiede una particolare sequenza,
detta sequenza RGD usata per l’adesione alle cellule.

PROTEINE FIBROSE: sono rappresentate per la maggioranza dal collagene di cui ne sono stati
identificati almeno 28 tipi distinti; ogni tipo possiede una particolare localizzazione nell’organismo e
nella stessa è possibile la presenza contemporanea di più tipi della proteina.
Le diverse proprietà meccaniche e strutturali dei diversi tessuti dipendono in parte dalle differenti
miscele di collagene nelle fibre che li compongono.

1 Gli
epiteli devono collegarsi con il tessuto connettivo sottostante per poter ricevere nutrimento e poter effettuare
scambi di sostanze e ciò è possibile grazie alla formazione degli emidesmosomi che coinvolgono molecole del
connettivo quali la laminina.

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L’osservazione al microscopio elettronico evidenzia che le fibre collagene sono costituite da subunità
filamentose chiamate fibrille collagene, il cui diametro va da un range di 15 ai 100 nm.
La fibrilla è una striatura trasversale che si ripete con un periodo di circa 67 nm. Una singola fibrilla è
costituita da tre catene polipeptidiche dette catene 𝜶, codificate da circa 43 geni. Queste catene si
associano a formare una struttura trimerica che può essere costituita da catene identiche
(omotrimeriche) o differenti (eterotrimeriche).
A seconda della modalità di associazione, potremmo avere, nella molecola di collagene, parti
tipicamente ad 𝛼-elica tripla associate ad elementi non elicoidali.
La tripla elica del collagene si forma a causa di un’abbondanza di glicina, prolina e idrossiprolina (in
particolare a causa dell’ingombro sterico dell’amminoacido Glicina). Sono quindi presenti nelle catene
𝛼 delle sequenze ripetute del tipo Gly-X-Y con X e Y solitamente prolina e idrossiprolina o talvolta lisina
e idrossilisina.

Nella formazione delle fibre di collagene, le triple eliche, grazie alla presenza di gruppi ossidrilici
dell’idrossiprolina/idrossilisina, interagiscono reciprocamente attraverso la formazione di legami a
idrogeno. Questi ponti formano dei legami crociati che stabilizzano le molecole di collagene portando
alla formazione delle fibre.

FORMAZIONE DEL COLLAGENE


Inizia con la sintesi delle catene alfa e il loro assemblaggio in una
molecola precursore detta procollagene.
Dopo la secrezione nello spazio extracellulare, le molecole di
procollagene sono trasformate in molecole di tropocollagene.
Infine queste molecole si aggregano spontaneamente in fibrille
che vengono stabilizzate da legami covalenti tra le molecole.

[Nella prima immagine è possibile notare il fibroblasto, il collagene in


sezione trasversale e longitudinale. Nella seconda è ritratta la fibra
collagenica a maggior ingrandimento]

RICORDA: l’assemblaggio della fibra collagene avviene a partire da molecole di tropocollagene solo nel
momento in cui queste sono secrete al di fuori della cellula. NON PUÒ AVVENIRE ASSEMBLAGGIO DI
FIBRE COLLAGENE ALL’INTERNO DELLA CELLULA.

L’assemblaggio delle molecole di collagene avviene lateralmente in maniera sfalsata, lasciando degli
spazi che al microscopio elettronico, visti con particolari colorazioni, risultano essere vuoti.

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STRUTTURA DEL COLLAGENE

RICAPITOLANDO: SINTESI DEL COLLAGENE


La sintesi del collagene avviene nelle
fibrocellule:
1. Sintesi di catene 𝛼 di procollagene;
2. Idrossilazione delle proline e delle lisine
del procollagene;
3. Glicosilazione e assemblaggio delle pro-
catene 𝛼;
4. Taglio di un peptide terminale con
formazione della catena di procollagene;
5. Secrezione del procollagene sotto forma di
tropocollagene all’interno di vescicole;
6. Esternamente vengono tagliati i peptidi di
restrizione che evitavano la possibilità di
formare sovrastrutture all’interno della cellula;
7. Il tropocollagene forma le fibre
collageniche.

TROPOCOLLAGENE: molecola di grandi dimensioni orientata in maniera da avere un’estremità


carbossi-terminale ed una ammino-terminale, con possibilità di formare fibre di dimensioni
maggiori con spazi di circa 60-70 nm e di natura diversa a seconda del tipo di fibrille di
tropocollagene e catene 𝛼 impiegate.

CLASSIFICAZIONE DEI COLLAGENI


• Collageni che formano fasci
COLLAGENE DI TIPO I, maggiormente rappresentato, per resistenza alla trazione;
COLLAGENE DI TIPO II, principalmente nel tessuto cartilagineo e del corpo vitreo,
responsabile della resistenza alla pressione;
COLLAGENE DI TIPO III, importante nella costituzione delle strutture reticolari;
COLLAGENE DI TIPO V;

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ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO

COLLAGENE DI TIPO XI, presente a livello della cartilagine associato al collagene di tipo
II.

I collageni I, II e III : costituiscono la struttura a fibrille di collagene e successivamente fibre vere e


proprie con diametro sempre maggiore.
Il collagene I: è quello maggiormente resistente ai meccanismi di trazione, formato da strutture lunghe
non ramificate
Il collagene III: costituisce le fibre reticolari, più sottili ed intrecciate e più flessibili rispetto al
collagene I. Formano il supporto degli organi parenchimatosi2.

[Nell’immagine, esempio di impregnazione


argentica che evidenzia le fibre reticolari
ma non il citoplasma delle cellule]

• Collageni associati alle fibrille (per l’interazione tra i collageni di maggiori dimensioni,
come il collagene I o II, e gli altri componenti della matrice extracellulare)
COLLAGENE DI TIPO IX;
COLLAGENE DI TIPO XII;
COLLAGENE DI TIPO XIV;
• Collageni che formano reti
COLLAGENE DI TIPO IV, presente nelle membrane basali;
COLLAGENE DI TIPO VII, presente sotto alle membrane basali.

2 Nel tessuto epiteliale ghiandolare endocrino ed esocrino la struttura è costituita da un parenchima, ossia la
cellula che svolge la funzione, e da uno stroma, ovvero un tessuto di supporto, vascolarizzato ed innervato. La
struttura sulla quale aderiscono le cellule per andare a formare gli adenomeri è proprio costituita da collagene III.
Lo ritroveremo negli organi linfatici per permettere la cooperazione tra le cellule dendritiche e i linfociti.

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ELASTINA:
sintetizzata dai fibroblasti come tropoelastina, proteina ricca in Glicina e Lisina.
Si assembla per formare le vere e proprie fibre elastiche solo in presenza della fibrillina
(glicoproteina) della matrice extracellulare.
Nel momento in cui le due proteine interagiscono tra di loro, avremo una fase di maturazione
delle fibre elastiche:
-inizialmente le molecole di elastina sono circondate da poca fibrillina, con formazione di FIBRE
OSSITALANICHE;
-successivamente l’associazione delle proteine continua fino alla costituzione di agglomerati più
evidenti, le FIBRE ELAUNINICHE;
-infine avremo le vere e proprie FIBRE ELASTICHE con un core centrale di elastina e gli elementi
di fibrillina che medieranno il legame della fibra elastica con le fibre di collagene.

Con il progredire della maturazione delle fibre, aumenterà la resistenza elastica delle fibre.
Le fibre possono fondersi e formare:
-lamine elastiche fenestrate: nelle pareti dei vasi sanguigni
-legamenti elastici dopo essersi disposte in fasci paralleli.
Le fibre elastiche sono maggiormente rappresentate a livello dei grossi vasi poiché favoriscono
la dilatazione durante il passaggio del flusso sanguigno.
La patologia Sindrome di Marfan è caratterizzata da deficit di fibrillina che provoca la rottura
dei vasi.

[Nell’immagine sono presenti due esempi di rappresentanza di


fibre elastiche: a livello del derma, con maggioranza di fibre
elauniniche ed elastiche; a livello della tonaca media dell’aorta
con maggiore quantità di fibre elastiche].

L’insieme delle cellule e della matrice extracellulare può essere considerato un sistema unico in cui:
le cellule leggono i segnali della matrice, percepiscono gradienti di segnali solubili (PG e acido ialuronico
legano acqua, quindi passaggio di molecole) e li traducono in specifiche risposte cellulari.
La possibilità di traduzione è mediata da molecole di adesione, le
INTEGRINE, presenti sulla superficie cellulare.
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ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO

Le integrine hanno:
un dominio intracellulare collegato al citoscheletro
un dominio extracellulare che legge le sequenze delle
molecole della matrice extracellulare (es. sequenza RGD della fibronectina).

Le interazioni tra matrice extracellulare e citoscheletro, mediate dalle integrine, sono BIDIREZIONALI.
Quindi avremo segnali provenienti dall’esterno che vengono “letti” dal citoscheletro e questo, collegato
al nucleo-scheletro, determina una variazione dell’attività cellulare e, di conseguenza, modifica le
caratteristiche della matrice extracellulare.

Questa interazione è resa possibile, nel versante extracellulare, grazie alle molecole come la fibronectina
e la laminina che posseggono sequenze di riconoscimento specifiche per le integrine.
Nel versante citoplasmatico, invece, ciò è reso possibile grazie a proteine di natura diversa quali, per
esempio, la paxillina o la vinculina, che interagiscono con i microfilamenti di actina del citoscheletro.

Per modificare le caratteristiche della matrice extracellulare è possibile attivare la produzione da parte
della cellula, tramite segnalazione attraverso le integrine, di due principali classi di enzimi:
o METALLOPROTEASI (la loro attività dipende dal legame con Ca2+ o Zn2+), come ad esempio
l’enzima collagenasi che scinde i legami cross-linking tra le catene delle molecole di collagene,
provocandone la dispersione e quindi la diminuzione della resistenza meccanica del collagene;
o SERINPROTEASI (possiedono nel sito catalitico una serina particolarmente reattiva).

Possiamo quindi dire che la ECM è una sede fondamentale per tutte le funzioni svolte dal tessuto
connettivo, poiché:
- Presentano molecole in grado di mantenere i fattori di crescita e fare in modo che questi siano
presentati in maniera efficiente ai recettori presenti sulla superficie cellulare a livello delle
membrane basali o alle cellule del tessuto connettivale;
- La componente fibrillare è in grado di regolare il comportamento meccanico, la forma e la
dimensione di un tessuto.

Il tessuto connettivo, secondo alcuni, può quindi essere considerato il più importante all’interno di un
organismo perché attraverso il suo sistema ricco di caratteristiche differenti, può regolare l’attività degli
atri tessuti. Questa attività viene svolta sia durante le fasi di sviluppo embrionale, grazie al mesenchima,
ma che poi si ripercuote su tutti i tessuti dell’individuo adulto.

A seconda di come sono presenti le componenti della matrice extracellulare, è possibile distinguere 2
strutture fondamentali di ECM:
la LAMINA BASALE, in cui le molecole della matrice vanno a costituire le sedi di appoggio delle
cellule su un unico piano;
la MATRICE INTERSTIZIALE DEI TESSUTI CONNETTIVI, in cui le molecole tendono a formare
una struttura di tipo tridimensionale andando a costituire degli spazi interstiziali, ossia tra una
popolazione cellulare ed un’altra, e quindi a riempire quei “vuoti” che risultano in seguito
all’associazione delle cellule nello svolgere le loro funzioni.
Questa differente organizzazione è dovuta a differenze nell’aggregazione della componente fibrillare
della ECM, ossia delle fibre collagene.

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ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO

LAMINA BASALE (presente in tutti


i tipi di tessuti che interagiscono con il
tessuto connettivo) è formata dalle
cellule epiteliali, o altri tipi cellulari,
seguite dalla componente zuccherina e
proteica delle integrine, fino ad
arrivare alla componente connettivale
rappresentata da fibre collageniche
di tipo IV e VII (non formano vere e
proprie fibre ma reti tridimensionali
sulle quali le cellule si attaccano
sfruttando la laminina e la
fibronectina).

Le funzioni principali sono:


- Sostegno strutturale;
- Filtrazione;
- Influire sulla polarità delle cellule (soprattutto nel
tessuto epiteliale);
- Regolare la proliferazione e il differenziamento;
- Influire sul metabolismo cellulare.

I TESSUTI PROPRIAMENTE DETTI


Sono costituiti dalla matrice extracellulare che riempie gli spazi vuoti non occupati dalle cellule.
Si distinguono in base all’abbondanza relativa e alla disposizione delle componenti extracellulari.
Alle differenze istologiche corrispondono delle specifiche proprietà funzionali e quindi ruoli fisiologici
differenti.
I tessuti connettivi possono “connettere” in 2 modi differenti:
• CONNESSIONE FUNZIONALE: facilita il transito delle sostanze (nutrizione e metabolismo) o
delle cellule (sistema immunitario);
• CONNESSIONE MECCANICA: ancora tra di loro i tessuti o protegge e sostiene i vari organi (es.
ghiandola surrenale, esternamente è costituita da una capsula connettivale che circonda l’organo
e lo protegge).

A seconda dell’attività prevalente avranno maggior sviluppo di componenti diverse:


nella connessione funzionale: maggiore sviluppo della sostanza fondamentale idrata per consentire il
passaggio delle molecole e la migrazione cellulare;
nella connessione meccanica: maggiore sviluppo delle fibre proteiche, collagene o elastiche, che
conferiranno stabilità e robustezza al tessuto.

Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
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ISTOLOGIA – Istologia II IST04 – TESSUTO CONNETTIVO

Sarà quindi possibile classificare i tessuti connettivi in:


TESSUTO CONNETTIVO LASSO
Permeabile;
Facilita gli scambi metabolici;
Sede privilegiata dei meccanismi di difesa;

TESSUTO CONNETTIVO DENSO


Robusto;
Notevole resistenza alle sollecitazioni meccaniche.

Autore: Serena Manuale, Sara D’Angeli, Maria Vittoria Lavagna, Valentina Crepaz per Medicina08
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ISTOLOGIA - Istologia II VID01 – TESSUTO ADIPOSO

ISTOLOGIA
“TESSUTO ADIPOSO”
ID lezione VID01 Modulo Istologia II
Data lezione 13 Marzo 2020
Autore Serena Canala e Aurora Gregoretti
Lezione
Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima
tenuta da
Argomento Tessuto adiposo.
Eventuali
Lezione caricata sul sito learn.
riferimenti

TESSUTO ADIPOSO
Il tessuto adiposo era inizialmente considerato come un connettivo specializzato con un importante
ruolo nell’omeostasi energetica, ora è studiato come organo dinamico, coinvolto in molteplici funzioni
endocrine, autocrine e paracrine. È organizzato per formare un grande organo ed è quindi costituito da
vasi da nervi e da diversi tipi cellulari. Se io vado ad analizzare la struttura del mio tessuto adiposo
questo è costituito da cellulare adipose che vengono normalmente definiti adipociti che sono aggregati
in lobuli adiposi e a questa parte di cellule adipocitarie devo aggiungere una componente vasculo-
stromale cioè di vasi e di connettivo che è costituito da un connettivo lasso con vasi, fibre nervose,
fibroblasti, macrofagi e anche cellule pre-adipocitarie cioè cellule che sono in grado di differenziarsi in
adipociti maturi. Si conoscono fondamentalmente due tipi di adipociti:
-adipociti che vanno a costituire il tessuto adiposo uniloculare o tessuto adiposo bianco
-adipociti che vanno a costituire il tessuto adiposo multiloculare o tessuto adiposo bruno
Esiste poi un'ulteriore forma di tessuto adiposo identificata nel 2010 che viene definito tessuto adiposo
pauciloculare o anche tessuto adiposo beige.
Il tessuto adiposo è innervato dal sistema nervoso autonomo. Nel tessuto adiposo bianco le terminazioni
arrivano a livello della componente vascolare e poi qui per diffusione arriva all'adipocita. Nel tessuto
adiposo bruno invece l’innervazione arriva sia a livello del letto vascolare (vascolarizzazione molto più
abbondante) ma anche direttamente a livello dell'adipocita. I due principali tipi di tessuto cioè quello
adiposo bianco e quella adiposo bruno si differenziano per la sede e per il ruolo perché il bianco funziona
da riserva di materiale energetico mentre il tessuto adiposo bruno serve per sviluppare calore
dell'uomo. Il tessuto adiposo partecipa al peso corporeo per circa il 15-20%, nella donna anche fino al
25% e può subire delle forti variazioni in più o in meno in situazioni patologiche come, ad esempio, in
caso di obesità oppure in caso di anoressia. Il tessuto adiposo bruno costituisce quello che viene definito
il grasso primario si sviluppa molto precocemente durante l'età fetale e si riduce nei primi 10 anni di
vita, mentre il tessuto adiposo bianco forma il cosiddetto grasso secondario e si forma per tutta la vita.
Da un punto di vista anatomico identifichiamo una localizzazione:
- sottocutanea, circa 70%;
- viscerale, 20%;
- intramuscolare, 10%.

FUNZIONE DEL TESSUTO ADIPOSO

• garantire l'omeostasi metabolica;


• i vari tipi di tessuto adiposo partecipano e cooperano in maniera differente nell’accumulo attivo
dei lipidi e alla loro mobilizzazione;
• i lipidi accumulati sono prevalentemente dei trigliceridi che derivano dalla dieta e vengono
trasportati all'interno di strutture che prendono il nome di chilomicroni;

Autore: Serena Canala e Aurora Gregoretti per Medicina08 1 di 6


ISTOLOGIA - Istologia II VID01 – TESSUTO ADIPOSO

• l’adipocita è in grado di metabolizzare molecole lipidiche


assunte con l'alimentazione e le molecole che vengono
normalmente metabolizzate sono:
- i trigliceridi
- i fosfogliceridi
- il colesterolo
La bile che viene prodotta a livello del fegato, immagazzinato livello
della cistifellea e poi riversata a livello del duodeno, ha il compito di
emulsionare in micelle queste componenti lipidiche e questo permette
loro di essere più facilmente idrolizzati.
La lipasi pancreatica idrolizza questi trigliceridi e permette,
idrolizzandoli, di ottenere monogliceridi e acidi grassi, assieme a un
cofattore chiamato co-lipasi.
Gli acidi grassi una volta che vengono liberati attraverso questa azione
della lipasi pancreatica possono essere assorbiti per endocitosi da parte
delle cellule dal lato apicale delle cellule epiteliali della mucosa
intestinale cioè da parte degli enterociti. Una volta che i miei enterociti
hanno endocitato gli acidi grassi attraverso il lato apicale, gli acidi grassi
si legano delle proteine specifiche dette FABPs (prot. leganti gli
acidi grassi) e vengono portati al livello del REL. A questo livello
gli acidi grassi vengono nuovamente riconvertiti in trigliceridi.
Queste strutture vengono poi portate dal REL all'apparato di golgi,
complessati con lipoproteine, colesterolo e fosfolipidi e vengono
convertiti in chilomicroni, con un diametro piuttosto grande.
Queste vescicole contenenti chilomicroni si staccano dall'
apparato di golgi, si vanno a fondere con la membrana baso-
laterale del mio enterocita, cioè della mia cellula intestinale che
libera i miei chilomicroni a livello dei vasi linfatici e poi questi
vengono veicolate a livello del circolo venoso.
I chilomicroni costituiscono quella che è la componente esogena dei nostri lipidi, cioè quella che noi
assumiamo per via alimentare.

Esistono però anche dei lipidi di origine endogena che sono in realtà dei lipidi che vengono assemblati
a livello degli epatociti cioè a livello delle cellule del fegato. Questi vengono formati a livello degli
epatociti e vengono trasportati a livello del plasma attraverso le VLDL cioè delle lipoproteine
plasmatiche a densità molto bassa. Questi lipidi tramite la rete vascolare arrivano a livello del tessuto
adiposo e prima di poter essere utilizzati vengono degradati ad opera di lipasi e in maniera da poter
essere assunti in qualità di acidi grassi all'interno dei miei adipociti. Da parte del mio adipocita poi ci
sarà una successiva trasformazione degli acidi grassi nuovamente in trigliceridi che poi vengono
immessi all'interno della mia gocciolina di grasso che diventerà di dimensioni sempre più grandi fino a
diventare una gocciolona unica nel tessuto adiposo di tipo bianco.

L’adipocita non solo è in grado di trasformare gli acidi grassi in trigliceridi ma anche in grado di
idrolizzare i trigliceridi in acidi grassi e glicerolo utilizzando degli enzimi che vengono sintetizzati a
livello del RE, sono delle lipasi ormono-sensibile che vengono attivati sia da degli ormoni attivanti (o
lipolitici) come le catecolammine, sia da degli ormoni come l'insulina che sono invece degli ormoni di
tipo inibente (o lipogenetici).

Quindi a seconda del controllo ormonale che noi riceviamo a livello della mia cellula adipocitaria noi
potremmo avere l'accumulo dei trigliceridi a livello dell’adipocita, che vengono quindi sottratti dal
plasma, oppure avere una degradazione dei miei trigliceridi da parte dell’adipocita, quindi una lipolisi.
Dopo la lipolisi questi vengono trasportati attraverso l'albumina a livello dei tessuti periferici che li
internalizzano, li degradano e li utilizzano per le loro funzioni metaboliche.

Autore: Serena Canala e Aurora Gregoretti per Medicina08 2 di 6


ISTOLOGIA - Istologia II VID01 – TESSUTO ADIPOSO

Questa è una tabella riassuntiva che vi fa vedere


quella che è l'azione ormonale a livello del tessuto
adiposo. Insulina e glucagone hanno un'azione
antagonista in tutto e per tutto. Poi interviene
l'ormone della crescita GH, l’ACTH se prodotte
dell’adenoipofisi, la tiroxina prodotta dalla
tiroide, i glucocorticoidi che vengono prodotti
della corticale del surrene, la noradrenalina che
invece viene prodotta a livello della midollare del
surrene.

TESSUTO ADIPOSO UNILOCULARE

Il tessuto adiposo uniloculare rappresenta il 15-20% del peso


corporeo, è un tessuto distribuito bene o male ubiquitariamente,
caratterizzato da grosse cellule sferiche poligonali con un
diametro di circa 70-150 micron, è costituito da nicchie di cellule
unite da uno stroma connettivale. Viene definito uniloculare
perché in questo caso si trova una singola enorme gocciolona di
grasso la quale spinge il nucleo gli organelli verso la periferia e
quindi queste cellule vengono chiamate anche cellule con forma
ad anello con castone.
Gli adipociti bianchi derivano dalle cellule mesenchimali
perivascolari quindi probabilmente da dei periciti, queste cellule
indifferenziate, sotto opportuna stimolazione, esprimono dei
fattori di trascrizione specifici, ad esempio, il PPAR o RXR.
Questo PPAR fa sì che le mie cellule cominciano ad accumulare
lipidi sotto forma di piccole goccioline le quali via via coalescono
tra di loro fino a formare l'unica gocciolona lipidica. Se
osserviamo il mio adipocita al TEM vediamo l’enorme goccia lipidica e nello spazio che si trova tra la
membrana plasmatica e la mia goccia lipidica si trovano tutti gli organelli citoplasmatici quindi il RER,
l’apparato di Golgi, i tubuli del REL, ribosomi liberi e mitocondri allungati. Al di sotto della membrana
plasmatica sono identificabili delle vescicole di pinocitosi che mi identificano la notevole attività
metabolica da parte della mia cellula adipocitaria. La gocciolina lipidica non la posso chiamare vacuolo
perché in realtà non è rivestita di membrana come potrebbe essere un lisosoma o una vescicola di
esocitosi ma è rivestita da una struttura che è costituita da dei filamenti intermedi del citoscheletro più
esattamente da dei filamenti di vimentina.
Il lipide mi costituisce quasi il 60% della mia cellula ed è prevalentemente costituito da trigliceridi ma
all'interno possiamo trovare anche fosfolipidi e colesterolo. In realtà la composizione lipidica della
gocciolona varia in relazione alla dieta dell’individuo.

Il ruolo del tessuto adiposo bianco è quello di contribuire all' isolamento termico del corpo: noi abbiamo
al di sotto dell'epidermide e del derma quello che si chiama ipoderma o pannicolo adiposo che ha una
distribuzione differente tra l'uomo e la donna: prevalentemente addominale nel caso dell'uomo,
prevalentemente retroperitoneale per quello che riguarda la donna. Serve alla protezione degli organi
vitali e alla secrezione di ormoni e fattori di crescita e citochine.

PRODOTTI DEL TESSUTO ADIPOSO

Le molecole biologicamente attive prodotte a livello dell’adipocita si chiamano adipochine, possono


essere ormoni, fattori di crescita e citochine.
Leptina: un ormone che legandosi a specifici recettori ipotalamici è in grado di indurre un fenomeno di
sazietà, la leptina inoltre regola l'attività della tiroide, facilita l’emopoiesi, è in grado di potenziare le

Autore: Serena Canala e Aurora Gregoretti per Medicina08 3 di 6


ISTOLOGIA - Istologia II VID01 – TESSUTO ADIPOSO

difese immunitarie, favorisce la secrezione di gonadotropine, viene prodotta anche dalla placenta
regolando l'accrescimento osseo durante le fasi di sviluppo fetale.
Adiponectina: stimola l'ossidazione degli acidi grassi, è in grado di ridurre la concentrazione ematica
della degli zuccheri e trigliceridi e aumenta la sensibilità all'insulina da parte delle cellule.
Angiotensinogeno: è in grado di andare a regolare la pressione sanguigna.
Proteina legante il retinolo (RBP4): a differenza dell’adiponectina ha una attività contraria quindi
induce l'insulino-resistenza.
Visfatina: induce l'insulino-sensibilità e favorisce la lipogenesi.
Resistina: induce insulino-resistenza.
Apellina: inibisce la secrezione di insulina.
Questi ultimi due vengono prodotti non solo dagli adipociti ma anche dai macrofagi che fanno parte
dell'organo adiposo. (un più dettagliato elenco delle sostanze vengono normalmente prodotte a livello
del tessuto adiposo bianco la trovate nella tabella del capitolo 10 del testo della Idelson Gnocchi)

In condizione di obesità il tessuto adiposo bianco viscerale si infiamma perché si ha un'azione combinata
da parte degli adipociti ma anche da parte dei macrofagi che vi ricordo sono cellule in grado di stimolare
o inibire l'attività infiammatoria. In queste situazioni gli adipociti sono in grado di crescere sia in numero
(iperplasia) che di dimensioni (ipertrofia). I macrofagi tendono a entrare all'interno delle nicchie di
tessuto adiposo formando delle strutture simili a corone intorno agli adipociti e che aumentano
ulteriormente il fenomeno infiammatorio perché vanno a produrre citochine proinfiammatorie (TNF
e IL-6), è un aspetto che può indurre, se diventa continuativo, la insorgenza di diabete mellito o di
malattie di tipo cardiovascolare.

REGOLAZIONE DEL TESSUTO ADIPOSO


La quantità del tessuto adiposo di un individuo dipende da due sistemi di regolazione:
- un sistema di regolazione a breve termine: quello che fondamentalmente ci controlla l'appetito
e il metabolismo giornaliero;
- un sistema di regolazione a lungo termine: controlla le condizioni basali dell'appetito e il
metabolismo nell'arco di tempi più prolungati cioè nell'arco di mesi o nell'arco di anni.

Il sistema a breve termine è controllato da due fattori: dalla grelina e dal peptide YY.
La grelina viene prodotta dalle cellule dell'epitelio dello stomaco ed è un potente stimolatore
dell'appetito, ha un recettore a livello dell'ipotalamo e questo recettore fa aumentare la sensazione di
fame, inoltre agisce anche a livello dell’adenoipofisi cioè favorendo la produzione e il rilascio di ormone
della crescita.
Il peptide YY invece è prodotto a livello dell’intestino tenue, anch’esso ha dei recettori ipotalamici che
inducono un effetto contrario cioè inducono una riduzione dell’assunzione di cibo perché il contatto coi
suoi recettori aumenta la sensazione di pienezza e quindi l'individuo non è portato ad assumere
ulteriore cibo.
Il sistema a lungo termine invece è regolato dalla leptina e dall’insulina.
La leptina diminuisce il senso di fame. In condizioni normali livelli di leptina aumentano dopo il pasto
e si riducono con il digiuno prolungato. È stato dimostrato negli animali se noi depletiamo gli animali
per il gene della leptina i miei animali diventano degli animali obesi. Nell'uomo in realtà sembra che i
livelli di leptina siano fondamentalmente normali anche nei soggetti obesi.
L’insulina viene prodotta da parte delle cellule beta dell'isolotto del Langerhans a livello pancreatico,
aumenta la conversione dello zucchero in trigliceridi e regola di conseguenza il peso corporeo.

TESSUTO ADIPOSO BRUNO

Per quello che riguarda il tessuto adiposo bruno la prima cosa che dobbiamo dire è che la motivazione
per cui normalmente viene definito bruno e perché presenta un numero elevatissimo di mitocondri.
All'interno dei mitocondri nella catena respiratoria noi abbiamo il citocromo c che contiene un atomo
di ferro, l'atomo di ferro risulta colorato e quindi questo da visivamente in un preparato a fresco questa
colorazione più scura. Hanno delle dimensioni inferiori rispetto all’adipocita bianco raggiungono un
diametro massimo di circa 60 micron (attenzione che sul vostro testo Idelson c'è un errore nell’unità di

Autore: Serena Canala e Aurora Gregoretti per Medicina08 4 di 6


ISTOLOGIA - Istologia II VID01 – TESSUTO ADIPOSO

misura, non sono 60 nanometri come


scritto ma sono 60 micron). Il volume
citoplasmatico è nettamente superiore. Il
nucleo è più grande, è eucromatinico e in
posizione centrale, è circondato da
numerose goccioline di grasso, motivo
per il quale questo tessuto adiposo viene
non solo definito bruno, per la
colorazione di cui abbiamo detto prima,
ma viene anche definito tessuto adiposo
multiloculare. È meno abbondante
livello dell’organismo e molto
abbondante a livello dei neonati, si riduce
via via col passare degli anni e fino a quasi
scomparire attorno ai 10 anni di età.

Questa è un'immagine del tessuto adiposo bruno, a


piccolo ingrandimento o elevato ingrandimento. Si
notano i vasi sanguigni e se noi andiamo a vedere
l'immagine a più alto ingrandimento questa cellula
voi vedete che avete il nucleo in posizione centrale.
Anche qui tutte le vostre strutturine sono le vostre
goccioline di grasso che vi portano il nucleo in
posizione centrale.

Ancora un'immagine del tessuto adiposo bruno che tiene conto di tutta la struttura quindi le cellule, la
componente vascolare e la componente connettivale. Un'immagine in microscopia ottica e un'immagine
in microscopia elettronica che vi fa vedere soprattutto l'enorme quantità di mitocondri che sono questi
e queste sono le piccole goccioline di grasso che vanno a portare poi il mio mitocondrio in posizione
centrale.

L'origine degli adipociti bruni è sempre dalle cellule di tipo mesenchimale però diverse da quelle che
danno origine dai periciti che danno origine al mio tessuto adiposo bianco. Questa diversità di origine è
anche legata a una diversa espressione di fattori trascrizionali che mi determinano il passaggio e la
maturazione dei miei lipoblasti, cioè cellule più immature, a cellule mature. In questo caso viene
espresso un fattore di trascrizione che si chiama PRMD 16 il quale regola l'espressione, assieme a un
altro a fattore trascrizionale cioè il OGC-1, di una proteina importantissima a livello del tessuto adiposo
bruno che è la proteina mitocondriale UCP-1. Nelle creste mitocondriali delle cellule del tessuto adiposo
bruno si trova appunto questa proteina che viene definita UCP-1 o termogenina. È un fattore
disaccoppiante: ha la capacità di disaccoppiare il processo ossidativo da quello fosforilativo e quindi il
gradiente protonico che si genera a livello della catena respiratoria viene dissipato sotto forma di calore.
Al posto di andare a produrre ATP viene prodotto calore secondo un fenomeno che viene definito
termogenesi adattativa. Questo vi rende ragione anche del fatto che il tessuto adiposo bruno è
particolarmente presente nel neonato, il quale ha un sistema termo-regolatorio che si sviluppa
completamente più o meno attorno all'anno e mezzo/due anni quindi nelle prime fasi della vita deve
avere un sistema che gli permette di mantenere termo regolate le diverse parti del corpo, tenete sempre
conto che una neonato si trova all'interno del grembo materno più o meno intorno ai 37 °/ 37.5 ° e quindi
una volta che viene portato alla luce mondo ovviamente deve contrastare la enorme differenza di

Autore: Serena Canala e Aurora Gregoretti per Medicina08 5 di 6


ISTOLOGIA - Istologia II VID01 – TESSUTO ADIPOSO

temperatura in cui si viene a trovare quindi ha necessità di avere un sistema che permette al neonato
di sviluppare il calore all'interno dell' organismo.
Il tessuto adiposo bruno è un tessuto adiposo che è particolarmente sviluppato ad esempio anche negli
animali ibernanti e questo permette loro di far scendere la temperatura corporea fino a un livello nel
quale si possa ancora mantenere un’attività metabolica.
Quindi UCP-1 ha lo scopo di produrre calore quando l'individuo ha esposto a basse temperature.

TESSUTO ADIPOSO PAUCILOCULARE O BEIGE (BRITE-BROWN IN WHITE)

Si è visto che se noi esponiamo un individuo a un ambiente


freddo alcuni adipociti di tipo uniloculare sono in grado di
esprimere e la UCP-1 e quindi avere un meccanismo di
differenziamento da tessuto adiposo bianco verso tessuto
adiposo bruno e viceversa.

Questa è un'immagine in immunoistochimica che vi fa


vedere cellule del tessuto adiposo bianco che è questo
assieme a delle cellule che esprimono UCP-1 quindi cellule
che stanno diventando prima con pochi granuli di lipidi e poi via via diventeranno tessuto adiposo
bruno. Quindi la colorazione marrone è una colorazione di immunoistochimica che vi evidenzia le cellule
che esprimono la UCP-1 cioè cellule che sono in grado di avere questa proteina di tipo disaccoppiante.

Immagine riassuntiva dei possibili destini:

Autore: Serena Canala e Aurora Gregoretti per Medicina08 6 di 6


ISTOLOGIA II
“TESSUTI CONNETTIVI”
ID lezione IST05 Modulo Istologia II
Data lezione 15 marzo 2021
Autore Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti
Lezione
Prof.ssa Mattioli Belmonte Cima
tenuta da
Argomento Fine tessuti connettivi propriamente detti, tessuti connettivi specializzati
Eventuali
Slide proiettate a lezione.
riferimenti

Ripresa della scorsa lezione…

L’altra volta avevamo affrontato il concetto di tessuto connettivo e avevamo visto quelle che sono le
cellule proprie dei tessuti connettivi e detto che ci sono le cellule fisse e le mobili. Le cellule fisse sono
quelle che sono sempre presenti all’interno dei tessuti connettivi, mentre le cellule mobili sono quelle
che vengono richiamate da altri distretti. In particolare le cellule fisse sono quelle che si replicano anche
all’interno del tessuto connettivo e tra queste vanno menzionato i fibroblasti nei connettivi
propriamente detti perché sono quelli responsabili della produzione della matrice extracellulare. La
matrice extracellulare è fatta da una componente fibrillare, prevalentemente di fibro-collagene e
fibro-elastina e da una sostanza amorfa costituita prevalentemente da componenti zuccherini che sono
i glucosamminoglicani che si possono associare a formare i proteoglicani e poi ci sono le glicoproteine
adesive.

Quando vado a considerare la grossa famiglia dei tessuti connettivi propriamente detti, cioè quelli che
sono quasi sempre a contatto con gli altri tessuti del nostro organismo per andare a costituire gli organi,
questi hanno delle differenze morfologiche che normalmente sono riconducibili a quella che è la
differenza funzionale. Avevamo detto l’altra volta che le due grandi differenze che posso trovare in
questo tipo di connessione sono la connessione funzionale, che quindi consente il transito-trasporto di
molecole che possono essere: di crescita e fattori nutrizionali, movimento cellulare, quindi ad esempio
delle cellule del sistema immunocompetente, oppure può essere una connessione più di tipo meccanico,
quindi la capacità degli elementi di questo tessuto di andare a sostenere e proteggere gli organi o
ancorare tra di loro due tessuti di tipo differente. Quindi a seconda di quella che è la prevalenza di una
di queste strutture, il mio tessuto connettivo si organizzerà per svolgere al meglio la sua funzione. Le
due estremità mi portano ovviamente ad avere in una connessione funzionale una quantità di matrice
extracellulare amorfa più abbondante perché questa mi dà la capacità di legare le molecole d’acqua,
quindi mi danno un materiale più fluido che mi permette la migrazione cellulare e in questi tessuti
avremo anche una prevalenza di molte popolazioni cellulari e anche di tante cellule migratorie e, proprio
perché migranti, sono in grado poi di muoversi all’interno del tessuto connettivo, mentre, se io vado a
considerare una connessione di tipo meccanico, prevalgono quelle che sono le fibre proteiche che danno
la resistenza meccanica del tessuto, soprattutto ai fenomeni di trazione.
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI

Quindi alla luce del tipo di tessuto connettivo, connessione funzionale e connessione meccanica, se io
devo considerare tutti miei tessuti connettivi dell’adulto, sono:

● Tessuto connettivo embrionale (tutti


i tessuti connettivi derivano da un
tessuto embrionale)
● Tessuti connettivi propriamente
detti divisi in:
o tessuto connettivo lasso;
o tessuto connettivo denso, poi in
questo troveremo un tessuto
denso regolare e uno irregolare.
● Tessuto connettivo di tipo reticolare
● Tessuto connettivo di tipo elastico
● Tessuti connettivi specializzati:

o adiposo (di tipo bianco e bruno);


o tessuti connettivi a carattere di
sostegno: la cartilagine e l’osso;
o tessuti connettivi di trasporto: il
sangue.

TESSUTO CONNETTIVO EMBRIONALE


È il primo tessuto che si forma a partire dal mesoderma. È un tessuto ricco in tutta quella che è la
componente di proteoglicani, glicosamminoglicani e soprattutto abbondante acido ialuronico. Ha delle
cellule piuttosto grandi con un nucleo eucromatinico, è importante questa sua consistenza così
gelatinosa perché è quella consistenza che permette alle cellule di far arrivare una grande quantità di
molecole per diffusione che mi porta a favorire il differenziamento. Da questo tipo di tessuto derivano
tutti quanti i tessuti connettivali degli adulti; quindi, i tessuti dell’adulto vengono sostituiti e modificati
in modo tale da modificare le proprie funzioni. Tessuti nell’adulto sufficientemente simili a quello che è
il tessuto mesenchimale, sono ad esempio i tessuti che sono definiti tessuti mucosi maturi, i quali sono
dei tessuti che si trovano o nel cordone ombelicale o nella polpa dentale. Sono dei tessuti in cui si ha
ancora un’enorme quantità di acido ialuronico, una componente fibrillare molto più evidente rispetto al
mesenchima, ma ancora un tessuto dove la componente gelatinosa, quindi la componente in
proteoglicani e glicosamminoglicani la fa da padrone. Nell’adulto questo tessuto che è una sorta di
reminiscenza ancestrale di quello che era il mesenchima lo ritroviamo nel cordone ombelicale,
ovviamente nelle fasi di formazione prima della nascita e lo andiamo a ritrovare solo e unicamente
all’interno della polpa dentale.
È importante perché, mantenendo questo tessuto delle caratteristiche simile al mesenchima, ha
fondamentalmente delle cellule di tipo staminale. Le cellule della polpa dentale sono per esempio cellule
che hanno un’elevatissima capacità rigenerativa. Le cellule del cordone ombelicale vengono in parte
prese e tenute per essere congelate per poterle utilizzarle a fini terapeutici per la rigenerazione dei
tessuti.

Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 2 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI

TESSUTI CONNETTIVI PROPRIAMENTE DETTI


-TESSUTO CONNETTIVO LASSO

La connessione funzionale viene normalmente formata da un tessuto connettivo che noi definiamo
come tessuto connettivo lasso, chiamato anche tessuto areolare. Il tessuto connettivo lasso fornisce un
sostegno a tutte quelle strutture che possono essere sottoposte a fenomeni di pressione. È un tessuto
morbido in cui ritroviamo le fibre collageniche (collagene di tipo I e di tipo III), matrice amorfa, cellule
caratteristiche del tessuto connettivo, quindi fibroblasti, periciti attorno ai vasi, sicuramente anche
miofibroblasti. Questo è un tessuto a livello del quale migrano facilmente le cellule della serie bianca
del sangue, quindi, sarà un tessuto ricco anche di elementi mobili presenti all’interno del tessuto
connettivo. La funzione di un tessuto connettivo lasso è di fornire una connessione prevalentemente di
tipo funzionale. Infatti, è di tipo meccanico solo nei confronti dei fenomeni di compressione. Nei
fenomeni di compressione perché, avendo molecole che legano un’enorme quantità d’acqua, è in grado
di dare una sorta di resistenza a tutto quello che può subire, potendo liberare le molecole d’acqua.

Questo è un esempio di un tessuto connettivo lasso,


in cui voi avete il rosa per quelle che sono le fibre
collageniche; quelle che vedete in nero in realtà sono
fibre elastiche, quindi vedete che all’interno della
matrice extracellulare avete la possibilità
dell’interazione di fibre di natura diverse. Gli spazi
bianchi che vedete ci sono grazie al fatto che la
matrice in proteoglicani e glucosaminoglicani non si
colora, non è colorabile, e quindi il fatto che ci siano
questi abbondanti spazi bianchi, dà l’idea che ci sia
tanta matrice extracellulare amorfa e quindi
propendo verso un tessuto connettivo lasso e se vado a guardare le cellule, in realtà mi accorgo che ci
sono delle cellule allungate, e queste sono sicuramente fibroblasti. Ma se vado a guardare i nuclei delle
mie cellule, sono molto diversi, vedo anche citoplasma, mi accorgo che la popolazione cellulare è
estremamente eterogenea. Un’eterogeneità che che mi fa capire che è un tessuto che deve svolgere una
funzione, una connessione funzionale. Connessione funzionale, tessuto connettivo lasso. Un
paradigma quasi assoluto.

“Dove troviamo il tessuto connettivo lasso?”

Ad esempio, al di sotto degli epiteli che non sono vascolarizzati. Si agganciano alla lamina basale e
poggiano sul tessuto connettivo. Il tessuto connettivo al di sotto di qualsiasi tipo di epitelio è un tessuto
connettivo lasso, perché è un tessuto che deve fornire nutrimento e difesa all’epitelio sovrastante e
possibile difesa nell’eventualità che qualcosa entri per la rottura dell’ epitelio. Questo connettivo lo
troviamo inoltre, nella costituzione della lamina propria della tonaca mucosa e la sottomucosa degli
organi cavi, il connettivo su cui poggia il mesotelio delle tonache seriose viscerale e parietale e lo stroma
delle ghiandole.

Di tessuto connettivo lasso son inoltre formati il perimisio ed il perinervio, strutture che separano,
rispettivamente, i fasci di fibre muscolari e le fibre nervose.

Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 3 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI

Questo è un altro esempio di un tessuto connettivo lasso. Qui


avete un epitelio pseudostratificato ciliato. Queste sono delle
ciglia, questo è il mio tessuto connettivo lasso, quello che
vedete colorato. Quelle in rosa sono le fibre collageniche.
Questi sono tutti i nuclei delle vostre cellule presenti nel
connettivo, questa è un’altra zona di tipo connettivo, qui in
rosa tutti questi filamenti di fibre collageniche e spazi chiari
occupati dalla matrice amorfa e cellule di forma e natura
diversa. Nel connettivo lasso possono esserci tutte cellule
della serie bianca, un’enorme diversità di cellule.
Questo invece è un villo intestinale, di cui ne
avevamo visto l’epitelio di rivestimento, infatti è
un epitelio cilindrico semplice. Se vado a
ingrandire questa zona vedete la cellula mucipara
caliciforme, il nucleo delle cellule epiteliali, la
membrana basale e il connettivo lasso. Se
aumento ancora di più questa zona, queste sono le
caratteristiche delle mie cellule: nuclei differenti,
molto chiaro, molto pallido se è proprio la
componente connettivale fatta prevalentemente
da matrice amorfa. Attenzione a questa sezione,
qui avete un tessuto connettivo che è quello
all’interno del villo intestinale, ma anche quello
sotto è tessuto connettivo ed è anch’esso lasso,
meno lasso rispetto al precedente, ma pur sempre un tessuto connettivo lasso perché è ricco in vasi. Un
tessuto connettivo ricco in capillari e ricco in vasi è un tessuto connettivo lasso.

In generale, l’architettura lassa della matrice dona una certa deformabilità al tessuto e consente una
facile diffusione di gas e nutrienti tra le cellule e il circolo sanguigno. Questo tessuto inoltre, esplica
anche una funzione di difesa grazie alla presenza di numerose cellule di tipo immunitario che migrano
dal circolo sanguigno ai siti di infiammazione.

Il tessuto connettivo mucoso: è molto diffuso durante lo sviluppo embrionale, e può essere
considerato uno stadio intermedio tra mesenchima e tessuto connettivo lasso.

Il tessuto adiposo: è un tessuto connettivo lasso in cui predominano le cellule adipose, specializzate
nell’accumulo di lipidi.

Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 4 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI

-TESSUTO CONNETTIVO DENSO

Il tessuto connettivo denso, detto anche compatto o fibroso, è l’opposto rispetto a quello lasso, è un
tessuto connettivo in cui abbiamo la prevalenza della componente fibrillare. Fibre collagene di tipo I,
fibre elastiche, una prevalenza della componente cellulare rappresentata dai fibroblasti. In questo
tessuto in condizioni fisiologica normale non avete la presenza di cellule della serie bianca del sangue.
Perché la funzione in condizione normale è solo una funzione meccanica, quindi è adatto per offrire
resistenza e protezione. Normalmente facciamo la distinzione tra un tessuto connettivo irregolare,
dove le mie componenti collageniche, hanno un’organizzazione piuttosto disordinata e un tessuto invece
connettivo di tipo regolare che è un tessuto connettivo in cui le mie fibre collagene sono disposte in
un’unica direzione: normalmente sono disposte parallelamente tra di loro e la disposizione delle fibre
collageniche è dipendente dalla sollecitazione meccanica a cui quel tessuto viene sottoposto.

Tessuto connettivo denso di tipo irregolare


In esso abbiamo una disposizione non
omogenea della componente collagenica,
che in queste immagini (a fianco) è
rappresentata da queste grosse zolle
rosso fucsia, e la troviamo per esempio
all’interno dei connettivi al di sotto
dell’epidermide, in quello che si chiama
derma, nelle capsule fibrose che
contengono i vari organi, i vari distretti.
Quando abbiamo fatto le ghiandole, sia le
esocrine sia le endocrine, soprattutto le
ghiandole che hanno una dimensione
elevata (sottomandibolari, sottolinguali,
la parotide o il pancreas) abbiamo visto
che queste ghiandole, che rappresentano
dei veri e propri organi, sono rivestite esternamente da una capsula che le contiene: questa capsula è
costituita da un tessuto connettivo denso a fasci intrecciati che avrà al suo interno vasi e nervi, il quale
fornisce una protezione. Da questa capsula si dirameranno strutture di connettivo via via meno denso
fino ad arrivare a contatto completo del parenchima con l’organo che stiamo studiando. La troveremo
nelle guaine dei tendini nervi, dei muscoli, tutte quelle strutture in cui dobbiamo svolgere una funzione
meccanica di contenimento e poi via via, invece, una funzione di tipo trofica, la troveremo anche nelle
guaine esterne che vanno a rivestire l’osso e la cartilagine.

Questi sono degli esempi di tessuto connettivo denso di tipo


irregolare, che quindi si trova a livello del derma. Il derma è
questa parte della mia cute: siamo quindi in un epitelio
pavimentoso pluristratificato corneificato. Al di sotto
dell’epidermide esiste sempre uno strato tessuto connettivo
più lasso, non è completamente lasso, ma riccamente
vascolarizzato ed è quello si frappone tra le papille
dermiche, cioè quell’andamento sinusoidale che troviamo
nello strato basale dell’epidermide che permette alle cellule
dello strato basale di prender contatto con uno strato
riccamente vascolarizzato che è quello che dà nutrimento alle cellule.

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Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI

Se scendo in questo preparato e mi porto a livello del derma, questo è costituito da enormi zone di
tessuto massimamente colorato in rosa. Sono fibre di collagene di tipo I, i nuclei sono tutti nuclei di
fibroblasti, Gli spazi che intravedete sono quelli occupati dalla matrice cellulare amorfa. Non è che non
è presente, ma è che è presente in una concentrazione molto più bassa. Perché il tessuto connettivo
denso del derma è di tipo irregolare? Perché in questo caso le sollecitazioni meccaniche a cui è
sottoposta la nostra epidermide/cute, sono delle sollecitazioni meccaniche che non sono di tipo
unidirezionale, per cui non essendo unidirezionale le cellule fibroblastiche non sono indirizzate a
produrre la matrice extracellulare in un’unica direzione. I fasci di fibre collagene si intrecciano formando
una rete compatta con scarsa sostanza fondamentale. Questo tipo di tessuto lo possiamo riscontrare nel
derma reticolare (profondo), nella sottomucosa, nelle capsule di numerosi organi e in altri tessuti quali
il periostio, il pericondrio, la dura madre, l’epimisio, l’epinervio, le capsule articolari e la sclera
dell’occhio.

Tessuto connettivo denso di tipo regolare


Il tessuto connettivo denso di tipo regolare è legato al fatto che le fibre collageniche risentono nella
produzione delle loro fibre collageniche di un’induzione meccanica prevalentemente unidirezionale, per
cui le fibre collageniche vengono deposte in un’unica direzione. Anche qui questi spazi virtuali sono
comunque spazi occupati dalla presenza di matrice amorfa. Qui si intravedono i nuclei che sono quelli
leggermente più violacei e anche qui i nuclei sono prevalentemente di fibroblasti, ma non andiamo a
trovare cellule non specifiche del tessuto connettivo, non ci sono cellule mobili all’interno di questo
tessuto connettivo. Si trovano nei tendini, nei legamenti, nelle fasce, nelle aponeurosi (anche se nei
legamenti è prevalente la componente di fibre elastiche rispetto ai tendini) e le troviamo nella cornea
dove questo connettivo forma in realtà due strati, tra questi due strati le fibre collageniche sono parallele
tra loro, ma i due strati sono disposti uno perpendicolarmente all’altro. Le fibre sono strettamente
impacchettate alle altre quindi allineate lungo delle linee di trazione; le linee di trazione vengono
percepite dal fibroblasta, durante anche le mie fasi di deposizione. È importante il contatto delle mie
cellule con la matrice extracellulare. Il fibroblasta man a mano che produce matrice extracellulare, che
viene sottoposta a delle forze di trazione, viene indotto da queste forze ad orientare la disposizione delle
fibre collageniche.
Il tessuto connettivo denso a fasci paralleli è la forma più diffusa di tessuto connettivo denso regolare,
ed è costituito da robusti fasci di fibre di collagene disposti parallelamente e strettamente addossate le
une alle altre: questo tipo di tessuto connettivo lo riscontriamo nei tendini, nelle aponeurosi e nei
legamenti.

Il tendine
Il tendine ha una struttura particolare: all’interno di esso riusciamo a identificare sia strutture di tessuto
connettivo denso a fasci paralleli, ma anche guaine costituite da tessuto connetti più lassi.
Il tessuto connettivo denso a fasce parallele che costituisce la parte centrale, il core del mio tendine, ma
esso avrà anche una serie di guaine che serviranno alla funzione e alla vitalità del tendine stesso che in
realtà saranno costituiti da tessuti connettivali con caratteristiche più lasse. Quindi da un punto di vista
istologico, il tendine è un tessuto connettivo denso a fasci paralleli, ma se io vado a considerare come
un’unità anatomica ha altri tessuti connettivi che aiutano le varie fibre collageniche del tendine a essere
unite tra di loro e a svolgere la loro funzione.
Possiede due estremità, si origina infatti dalla capsula connettivale esterna del muscolo e dovrà andare
a portare la contrazione muscolare a livello dell’osso, avrà una zona che è la giunzione mio-tendinea, cioè
che esce dal muscolo dal muscolo e diventa tendine (dal tessuto muscolare a quello tendineo c’è un

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Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI

passaggio brusco, c’è una grossa differenza di strutturazione tant’è che questa è una zona che subisce
delle grosse alterazioni da un punto di vista meccanico); l’altra parte ,che è la parte invece che va dal
tendine verso l’osso, che è la giunzione osteo-tendinea, è invece una zona di transizione molto più
graduale perché da qui passeremo da un tessuto connettivale denso a fasci paralleli a una struttura
intermedia che in parte è la fibrocartilagine a una struttura che diventa in parte mineralizzata, che è una
fibro-cartilagine mineralizzata, e poi direttamente all’osso che è un tessuto connettivo di tipo
mineralizzato.
Dove avete un cambiamento strutturale
molto marcato, è una zona facilmente
lesionabile. Una zona dove invece c’è
gradualità di passaggio tra le
caratteristiche della matrice
extracellulare e i vari tipi di tessuto vi
permettono un maggiore ancoraggio del
tendine al livello del tessuto osseo.

Questa (immagine a fianco) è la struttura del vostro tendine a livello istologico. È un tessuto connettivo
denso a fasci paralleli, tra cui Abbiamo spazi chiari, matrice extracellulare, nuclei delle cellule, fibre
collagene. Le cellule che vanno a produrre, che si trovano all’interno del mio tendine in realtà sono in
massima parte fibroblasti specifici del tendine, fibroblasti e poi successivamente tenociti e in piccola
parte troveremo delle cellule che sono riconducibili alla presenza di vascolarizzazione legata a tonache
connettivali che portano vasi all’interno del
tendine, perché i fasci di fibre collageniche non
sono di per sé vascolarizzate, ma ci sono delle
guaine che portano che la vascolarizzazione e
anche qualche cellula di tipo muscolare, ma la
stragrande maggioranza del mio tendine viene
costituito dai tenociti, che sono le cellule
responsabili della produzione di tutta la matrice
collagenica presente all’interno del mio tendine,
quindi del collagene di tipo I all’interno del
tendine.
Le cellule del tendine sintetizzano la matrice, ne iniziano la produzione e sono le sollecitazioni
meccaniche che vi facilitano la distribuzione delle fibre collagene, in maniera parallela mentre le
molecole non-collageniche, cioè le molecole che appartengono alla famiglia dei proteoglicani e
glucosamminoglicani e le glicoproteine adesive, mi serviranno a favorire la compattazione delle fibre
collagene per dare la giusta resistenza meccanica a tutta la struttura del tendine. Se vado a guardare il
tendine, mi accorgerò che esso è costituito da una serie di fibre collageniche, che sono queste (immagine
sopra), tutte costituite da fibre collagene di tipo I, le quali si associano ad altre fibre collageniche e a
proteoglicani e glucosamminoglicani per andare a costituire delle fibre collageniche di spessore sempre
maggiore. Quindi partiamo da un collagene di tipo I che viene orientato nella direzione di trazione del
tendine questi poi si associano a collagene di tipo VI, a proteoglicani e glucosaminoglicani e va a
costituire strutture con complessità sempre maggiore: queste strutture a mano a mano che si associano
tra di loro vengono rivestite da una serie guaine che hanno il compito di garantire la stabilità delle
singole strutture a filamento, quindi questa corda che andate a formare, aumentando sempre più
l’unione delle singole fibrille, dovrà avere nella sua compattazione altre strutture che ne permettono il
corretto funzionamento.

Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 7 di 22
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Oltre alla struttura del tendine (istologicamente quindi un tessuto connettivo denso a fasce parallele)
dobbiamo tenere conto di altre strutture e sovrastrutture che in realtà sono sempre fatte da tessuto
connettivale che mi permettono il corretto funzionamento del tendine. Il tendine nel suo complesso è
costituito da tutte le mie fibrille che si uniscono tra di loro, da un complesso di guaine che prende il nome
di Paratenonio
Partenonio, (tenion è il nome di tendine in greco) quindi Partenonio è una sorta di involucro
connettivale abbastanza lasso che mi permette di raggruppare un intero tendine che è costituito da
fascicoli di tendine via via di dimensioni inferiori. I
l tendine viaggia all’interno di una guaina che permette lo scorrimento, tale guaina è poi rivestita da
cellule particolari che producono un liquido che è riconducibile al liquido sinoviale e permette a questa
struttura di potersi muovere, quindi di poter scorrere, perché il movimento del muscolo sull’osso è un
movimento di scorrimento a seconda di quello che è il meccanismo di contrazione muscolare: avrò una
guaina esterna che è il mio Paratenonio, il quale è un tessuto fatto prevalentemente da collagene di tipo
I e III con fibre elastiche, poi questo paratenonio mi porterà all’interno dei setti collagenici che mi
andranno a costituire quello che è l’Epitenonio. L’epitenonio comincia a essere un tessuto connettivo
leggermente più lasso e mi va a rivestire un fascio di fibrille tendinee e poi internamente ancora avrò
endotenonioQuindi, a seconda del livello strutturale avrò capsule di connettivo che mi servono a
l’endotelonio.
lubrificare, a mantenere in attività, a facilitare quella che è l’attività delle singole fibre collageniche che
orientate in maniera parallela, mi vanno a costituire il mio tendine. [Questa sovrastruttura è come se
fossero le cime di una nave, le cime devono ancorare le navi nel porto. Normalmente bisogna aumentare le
sovrastrutture delle cime, ma le cime per mantenere il loro corretto scorrimento vengono cerate,
lubrificate, vengono mantenute con delle sostanze che permettono loro di mantenere un certo tipo di
tonicità e non andare incontro a rotture. Le cime di una nave vanno controllate per mantenere questa sorta
di lubrificazione, perché se andate a perdere questa lubrificazione, poi anche gli elementi più piccoli non
ottengono nutrimento e quindi tendono a rompersi.]
I tendini subiscono dei cambiamenti con i processi di crescita e di invecchiamento. Per esempio, i miei
tenociti e i tenoblasti sono marcatamente presenti durante tutte le fasi della vita di un individuo, ma
riducono la loro attività sintetica e il controllo di quella che è la disposizione delle fibre a mano a mano
che andiamo avanti con gli anni. Il collagene rappresenta una piccola porzione del mio tendine, circa il
35%, mentre una buona parte della ECM è occupata dai proteoglicani e dai glucosamminoglicani:
quando terminiamo lo sviluppo corporeo e siamo degli individui adulti, il tendine è rappresentato per
la stragrande maggioranza da fibrille di collagene. Mentre percentualmente si riduce la componente di
proteoglicani e glucosamminoglicani. Con il processo dell’invecchiamento, il contenuto del mio
collagene è fondamentalmente inalterato,
ma si abbassa enormemente il contenuto
della quota di proteoglicani e
glicosamminoglicani che abbiamo detto
sono quelli che ci servono a mantenere
lubrificato, a favorire il passaggio delle
sostanze all’interno del mio tendine,
quindi questo porta a un irrigidimento,
una ridotta risposta meccanica del
tendine, rispetto a quelle che sono le
sollecitazioni meccaniche. Questo effetto
di irrigidimento è connesso a una
variazione delle fibre elastiche che sono
presenti e crescono in base a un aumento
delle fibre collageniche e a una riduzione

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della quantità d’acqua, la riduzione della quantità d’acqua, va da un 80% alla nascita fino a un 30%
nell’invecchiamento ed è legato alla modificazione della percentuale dei glucosamminoglicani e dei
proteoglicani. Se io riduco la quantità d’acqua riduco la possibilità di scambi metabolici all’interno del
tendine, perché riduco i fenomeni diffusivi, portando a un irrigidimento, il quale a sua volta comporta
una diversa risposta meccanica del tendine nei confronti di quelle che sono le sollecitazioni meccaniche.

Ulteriori strutture di questo tipo:

- Legamenti: sono strutture anatomiche che connettono un osso con un altro, le fibre di collagene
di tipo I sono fittamente stipate e orientate nel senso delle forze meccaniche di trazione.
- Aponeurosi: sono delle fini lamine fibrose mediante le quali muscoli larghi e sottili si fissano ai
loro punti di intersezione. Sono composti da vari strati di fasci collagenici, con le fibre parallele
tra loro all’interno dello strato, ma con direzioni diverse nei vari strati.

Il tessuto connettivo denso a fasci incrociati è una varietà di tessuto connetivo denso regolare
presente nello stroma della cornea. Lo stroma corneale presenta un’organizzazione lamellare;
all’interno di ogni lamella i fasci di fibre di collagene li dispongono parallelamente tra di loro e
ortogonalmente ai fasci di fibre delle lamelle congiunte. L’organizzazione delle fibre e l’assenza di
vascolarizzazione conferiscono alla cornea la caratteristica di trasparenza.

TESSUTO CONNETTIVO RETICOLARE


Altri due tipi di connettivo denso a fasce parallele
particolare che possiamo avere marcatamente
espresso sono il connettivo reticolare, costituito
prevalentemente da collagene di tipo III, ed è
quel tessuto che mi va a formare lo stroma cioè il
supporto di tutti gli organi parenchimatosi. Una
ghiandola è costituita da una componente
parenchimatosa, cioè le cellule che sono
chiamate a svolgere quella specifica funzione. E
invece una componente di supporto è la
componente stromale. La componente stromale
più nelle vicinanze delle mie cellule
parenchimatose, cioè delle cellule che svolgono la funzione, è costituita da collagene di tipo III e funge
da supporto mie cellule. Per esempio, nel pancreas, le cellule pancreatiche formano degli adenomeri,
che sono degli acini, i quali possono essere posizionati in questa maniera perché le fibre collageniche
svolgono questa sorta di rete tridimensionale al di sotto delle mie cellule. Qui (immagine sopra) invece
abbiamo che in seguito le cellule sono disposte in maniera ordinata e queste linee nere, sono le mie
cellule del connettivo reticolare che permettono di mantenere la posizione del parenchima.

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Questo ancora è il pancreas: le cellule sono


attaccate come una rete (le fibre collageniche) e
tutta questa è la struttura vera e propria. Quando
io penso a un organo parenchimatoso, se parto
dall’interno trovo la componente cellulare che si
attacca tramite la lamina basale, quindi tramite il
collagene di tipo IV alle fibre reticolari, cioè
tramite le fibre collagene di tipo IV al collagene di
tipo II, e via via vanno a costituire gli adenomeri.
Gli adenomeri si associano tra di loro se la
ghiandola è piuttosto grande, uniti da un
connettivo lasso che costituisce dei lobi, i quali
vengono poi assemblati fino alla zona più esterna della mia ghiandola, cioè la capsula, che è costituita da
tessuto connettivo denso a fasci intrecciati e tutto questo mi costituisce lo stroma.

TESSUTO CONNETTIVO ELASTICO


Il tessuto connettivo elastico è costituito da fibre elastiche, cioè fibre la cui molecola principale è
l’elastina. L’elastina assieme alla fibrillina mi va a costituire una struttura centrale che è la fibra elastica,
che prenderà contatto con le fibre collageniche. Quindi non è che in un connettivo elastico non si trova
collagene, perché quello è sempre presente insieme a proteoglicani e glicosamminoglicani, ma è
maggiormente evidente la struttura della fibra elastica, che si compatta in maniera diversa e diventa
fibra elastica solo quando abbiamo il core centrale di
elastina e la parte periferica costituita da fibrille di
collagene. Ci sono delle zone in cui il mio tessuto
connettivo elastico è marcatamente presente ed è
tipicamente la tonaca media dei grossi vasi. Questo
(immagine a fianco) è un vaso sanguigno: è rivestito
sempre e comunque da un tessuto epiteliale
monostratificato, che prende il nome di endotelio. Al
di sotto dell’endotelio, c’è un tessuto connettivo lasso,
perché il tessuto connettivo, comunque, deve favorire
gli scambi, poi la tonaca mucosa, sotto ancora la
tonaca sottomucosa, in cui avrete un enorme sviluppo
che va a creare il tessuto connettivo elastico. Le fasce di fibre collagene sono colorate in rosa. Questa è
un vaso arterioso (quarta immagine in basso a destra): vedete che la componente delle fibre di un’arteria
è superiore alla componente delle fibre elastiche di una vena, questo perché la pressione sanguigna è
maggiore nei vasi arteriosi rispetto ai vani venosi. Per questo la tonaca media dei vasi è più spessa e
definisce in maniera circolare il mio vaso arterioso, piuttosto che la mia vena. Infatti, in sezione notiamo
che le arterie sono più tondeggianti, le vene avendo meno componente elastica nella tonaca media,
risultano più schiacciate.

Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 10 di 22
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TESSUTI CONNETTIVI SPECIALIZZATI


-SANGUE

Il sangue viene inserito all’interno dei tessuti connettivali per due motivazioni fondamentali:

- una ragione di tipo embriologica, perché le cellule del sangue hanno infatti ha un’origine di tipo
mesodermica, e quindi rientra all’interno della famiglia di tessuti connettivi
- e è costituito da delle cellule che si trovano disperse all’interno della matrice extracellulare. La
matrice è fluida.

Il sangue, infatti, è costituito:

- da una componente corpuscolata. Sottolineiamo il termine “corpuscolata”, e non “cellulata”


perché le piastrine non sono delle cellule. Questa parte corpuscolata è costituita dia globuli rossi,
globuli bianchi e piastrine.
- dalla parte liquida che è il plasma, all’interno del quale troviamo proteine, ormoni, lipidi,
zuccheri, enzimi ed elettroliti. Mediamente noi abbiamo circa sei litri di sangue, che rappresenta
circa il 7-8% circa del peso corporeo e circola all’interno del letto vascolare.

Le funzioni del sangue:

• L’ossigenazione dei tessuti periferici attraverso il trasporto di gas disciolti;


• La distribuzione delle sostanze nutritizie;
• Eliminazione dei prodotti del catabolismo;
• È il mezzo attraverso il quale possiamo andare a portare gli ormoni nelle diverse sedi;
• È un meccanismo attraverso il quale possiamo attuare il meccanismo di difesa, sia in parte
attraverso degli elementi specifici all’interno del sangue, sia facendo passare attraverso il sangue
cellule che vanno a espletare la propria funzione in distretti anatomici differenti;
• Contribuisce a regolarizzare quella che è la temperatura corporea, a mantenerla costante, del pH
e della concentrazione degli elettroliti nei liquidi interstiziali;
• Controllo dell’emostasi dopo lesioni delle pareti vascolari attraverso il processo di coagulazione;

Quindi il sangue è costituito da una componente


corpuscolata e da una liquida, quindi se io prendo un
prelievo di sangue, e vado ad analizzare percentualmente
quanto sono presenti queste componenti, mi accorgerò che
in condizioni fisiologiche normali circa il 55% del sangue è
costituito da plasma, circa l’1% va a costituire i globuli
bianchi e che circa il 45% da globuli rossi e piastrine. Il
rapporto che esiste tra la quantità di globuli rossi presenti
e il plasma prende il nome di ematocrito. Quindi
L’ematocrito non è altro che il volume del sangue che è
occupato dai globuli rossi. Questo valore è un valore
importante che si aggira tra il 40 e il 50% nell’uomo,
leggermente più basso nella donna, questo dipende che
nella donna c’è una quantità di sangue inferiore: nell’uomo
ci sono attorno ai 5 litri in mezzo, e 4,5 litri nella donna. Il valore dell’ematocrito è importante perché
una variazione marcata è indice di un evento di tipo patologico.

Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 11 di 22
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Per esempio, un’eccessiva diminuzione dell’ematocrito


mi indica sicuramente una riduzione dei globuli rossi e
può essere sintomo di anemia, invece un aumento
dell’ematocrito può essere cenno di poliglobulia e
generalmente questo più difficilmente è accumunabile a
un aumento dei globuli rossi, ma può essere anche
accomunabile a un aumento dei globuli bianchi, quindi
alla riduzione di percentuale di plasma circolante.

Valori normali di un classico esame del sangue (figura) emocromocitometrico in cui possiamo andare a
vedere:

- la quantità di emoglobina presente all’interno dei globuli rossi. Per anemia si intende una
riduzione della concentrazione dell’emoglobina nel sangue; la maggior parte delle anemie è
riconducibile ad una riduzione nel numero degli eritrociti.
- Le piastrine, che sono circa 150-450mila su mm3.
- I globuli bianchi sono massimo 10.000 per mm3

Quindi all’interno del mio prelievo di sangue riesco ad andare a identificare tutte quelle che sono le
sostanze disciolte anche all’interno del plasma e i soluti, cioè gli elementi che si trovano all’interno del
plasma, sono importanti per mantenere quel fenomeno che viene definito osmolarità del sangue. Quindi,
il pH e la corretta concentrazione ionica: quest’ultima è importante perché serve a permettere tutti gli
scambi di sostanze a livello dei tessuti connettivi periferici. Ci deve essere una corretta pressione con
cui il sangue arriva a livello della periferia per poter permettere la fuoriuscita della giusta quantità di
liquido e di sostanze a livello di un tessuto connettivo e il recupero di quelli che possono essere gli
elementi di scarto.

Se vado a guardare quello che è contenuto all’interno del plasma, avrò delle proteine specifiche del
plasma e poi una serie di sostanze che vengono trasportate dal plasma, ma che hanno origini
completamente diverse. Per quello che riguarda le proteine specifiche del sangue, queste
fondamentalmente sono tre:

• L’albumina: prodotta a livello epatico e maggiormente presente. È fondamentale per mantenere


una pressione colloido-osmotico nella norma (cioè quella pressione che permette di avere il
giusto livello pressorio quando arrivate nei distretti periferici e quindi far fluire in maniera
normale, in maniera da interscambiare i fluidi dal torrente circolatorio alla componente
connettivale, in particolare al connettivo lasso, sia a livello dei vasi e fare in modo che quella che
è la sostanza di scarto del contenuto del connettivo possa essere passata per diffusione a livello
del letto capillare, quindi poi trasportata attraverso il torrente circolatorio, nelle sedi per la sua
eliminazione);
• Le globuline: distinte in alfa, beta e gamma globuline sono anche loro prodotte a livello del
fegato e normalmente sono delle proteine di trasporto, cioè sono in grado di legare altre
molecole per veicolarle nei diversi distretti. Per esempio, le alfa e le beta mi servono per andare
a trasportare il ferro nei vari distretti oppure possono rappresentare il fattore della
coagulazione, cioè gli elementi plasmatici che mi serviranno per andare a bloccare la fuoriuscita
di sangue. Le gamma-globuline, invece, non sono prodotte dal fegato, ma dai linfociti B e dalle
plasmacellule che sono l’ultimo stadio differenziativo dei linfociti B. Prodotti a questo livello una
parte di queste circola liberamente nel sangue, mentre una parte rimangono collocata nei vari
distretti periferici;

Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 12 di 22
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• fibrinogeno che è la più importante proteina coagulativa, infatti mi andrà a costituire il coagulo,
per cui prima dovrà essere convertito in fibrina e la conversione di fibrinogeno in fibrina potrà
avvenire attraverso l’attivazione del sistema chiamato cascata coagulativa che porterà al taglio
del fibrinogeno grazie a un enzima e può andare a costituire una struttura tridimensionale. Per
Arrivare a questo tipo di taglio, necessitiamo di alcuni fattori della coagulazione che devono
essere presenti nel sangue.

Parliamo ora di emopoiesi o ematopoiesi quando dobbiamo parlare della formazione di tutti gli
elementi corpuscolati del sangue. Gli elementi plasmatici non vengono formati assieme alla componente
corpuscolata. Sull’emopoiesi ritorneremo e viene attuata nel midollo osseo, le componenti plasmatiche
del sangue vengono prodotte in altri distretti, in parte l’abbiamo visto per quel che riguarda di proteine
specifiche del fegato, gli anticorpi dai linfociti B gli ormoni che circolano nel sangue vengono prodotte
dalle ghiandole endocrine e quindi ovviamente ci sono sedi diverse in cui le componenti plasmatiche
vengono prodotte. (l’emopoiesi verrà trattata in una videolezione specifica, vedi VID02)

L’ Emocateresi è invece la distruzione dei globuli rossi. I globuli rossi hanno una vita finita, quando sono
inefficienti da un punto di vista funzionale devono essere eliminati: questo tipo di operazione viene
effettuata da parte di grosse cellule che svolgono attività fagocitaria e che sono localizzate
prevalentemente nella milza, perciò avviene nella milza, nel fegato e in alcune zone anche nei grossi vasi.
E a questi livelli il globulo rossi viene fagocitato e viene recuperato tutto quelli che possono essere
elementi utili che troviamo all’interno del globulo rosso.

Se io devo andare a studiare i globuli rossi, posso usare lo studio dell’esame emocromocitometrico ma
in realtà se li voglio osservare al microscopico utilizzo una tecnica ancora presente che è la tecnica dello
striscio di sangue: è un tipo di tecnica che viene usata solo nei centri in cui viene fatta una diagnostica
precisa per le malattie del sangue, ma è comunque una tecnica stranamente valida. Questa tecnica si
basa sullo strisciare una goccia di sangue, possibilmente prelevata in vena e non dalla punta del dito e
questa goccia di sangue viene strisciata effettivamente attraverso un altro vetrino su un vetrino e vi è
poi fissata e colorata attraverso delle colorazioni tricromiche specifiche che sono le colorazioni di May-
Grunwald-Giemsa: attraverso queste colorazioni noi riusciamo a identificare quelle che sono le
morfologie specifiche di tutta la componente corpuscolata del sangue e quindi riusciamo a identificare i
globuli rossi, che sono a forma di ciambella e privi di nuclei, i tipi di globuli bianchi e le piastrine.
Descrizione delle immagini: quello a sinistra è uno striscio di sangue periferico e quello a destra uno
striscio di sangue midollare. Vedete che le due popolazioni cellulari sono differenti, non tanto per quello
che riguarda i globuli rossi tanto per quello che riguarda tutte le altre componenti cellulari.

Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 13 di 22
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GLOBULI ROSSI- eritrociti

È una cellula anucleata, non è in grado di fare sintesi proteica, non


possedendo il nucleo, quindi è destinata ad essere distrutta. Ha un
diametro di circa sette micron e mezzo, ha la forma di disco biconcavo,
con una zona centrale schiacciata, per cui al microscopio ottico la zona
centrale risulta chiara un po’ biconcava. Non possiede nucleo né elementi
per la sintesi proteica, per cui contiene
acqua e molte proteine, tra cui in larga
parte l’emoglobina e un 5% costituito da
proteine enzimatiche servono per il corretto mantenimento della
morfologia della cellula. Noi abbiamo tra i 4 e i 6 milioni di globuli rossi
per millilitro. La dimensione del globulo rosso può essere utile come
riferimento per le dimensioni delle altre componenti nello striscio di
sangue (le piastrine misureranno circa 3-4 micron, i linfocita tra i 7 e i
14 micron)

La membrana cellulare dell’eritrocita.

La funzione dell’eritrocita è legata alle particolari caratteristiche dovute alla composizione chimica della
sua membrana plasmatica. La membrana plasmatica dell’eritrocita:

• Impedisce l’adesione degli eritrociti alle cellule endoteliali e l’aggregazione dei globuli rossi
(previene quindi l’occlusione dei vasi)
• Fornisce flessibilità al globulo rosso
• Ancora alcuni enzimi utili per l’attività metabolica del globulo rosso
• È fondamentale per gli scambi tra il citoplasma dell’eritrocita e l’ambiente esterno. Il globulo
rosso è responsabile di scambiare ossigeno e anidride carbonica a seconda della diversa
pressione parziale (a favore dell’ossigeno a livello polmonare e dell’anidride carbonica a
livello dei tessuti periferici). Per poter fare ciò il globulo rosso deve avere una membrana
plasmatica estremamente selettiva, in particolare deve essere impermeabile ai cationi mono
e bivalenti, e altamente permeabile all’acqua e agli anioni.

Da un punto di vista strutturale la membrana cellulare dell’eritrocita è composta per il 40% della massa
da un doppio strato lipidico (costituito prevalentemente da colesterolo e fosfolipidi, a distribuzione
asimmetrica tra i due foglietti lipidici), da molte proteine transmembrana e da uno sviluppatissimo
citoscheletro che si trova al di sotto della membrana plasmatica. La forma degli eritrociti, che è
essenziale per il corretto funzionamento degli stessi, è mantenuta tale dall’interazione tra il
citoscheletro sotto la membrana e le proteine transmembrana. Questa interazione permette di
mantenere la forma corretta e di rispondere a tutte le sollecitazioni meccaniche a cui i globuli rossi sono
esposti nel momento in cui si trovano nel torrente circolatorio.

Le proteine di membrana. Le proteine integrali fondamentali per il mantenimento della struttura sono
le Glicoforine (A, B e C) e le Proteine della banda 3. La porzione extracellulare glicosilata di queste
proteine esprime gli antigeni specifici dei gruppi sanguigni, la porzione citoplasmatica invece lega sia le
proteine citoscheletriche (con i filamenti di actina) che con l’emoglobina. Quindi l’emoglobina non è

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semplicemente disciolta nel globulo rosso ma è legata a delle proteine che la mettono in correlazione
con le proteine transmembrana.

Le proteine del citoscheletro. Per quanto riguarda le proteine del citoscheletro al di sotto della
membrana plasmatica avremo delle proteine citoscheletriche che sono organizzate a formare un
reticolo esagonale posizionato parallelamente alla membrana plasmatica, al suo interno. Questo
scheletro è formato principalmente da eterodimeri di proteine spectrina α e specrina β. Queste due
molecole si associano (attorcigliano) tra di loro e vanno a formare questa rete che mette in
comunicazione proteine interne al citoplasma con le proteine transmembrana. In questo modo tutte le
funzioni del globulo rosso sono mediate dall’interazione tra membrana cellulare e citoscheletro.

Interazioni tra citoscheletro e proteine di membrana. Sono presenti degli importanti complessi di
proteine che mediano l’interazione tra citoscheletro e proteine transmembrana. Questi complessi sono:

• il Complesso della banda 4.2 (a


cui appartengono l’actina, la
tropomodulina e la tropomiosina)
che media l’interazione tra la
spectrina, il citoscheletro actinico e
le glicoforine.
• il Complesso proteico
dell’anchirina che media
l’interazione tra le molecole di
spectrina e le proteine transmembrana della banda 3.

Attraverso questo sistema ho un collegamento tra le modificazioni che possono avvenire sulla superfice
della membrana e le necessita del globulo rosso

I gruppi sanguigni

Sul versante extracellulare gli eritrociti sono presenti catene di carboidrati (componente glucidica delle
glicoforine e proteine banda 3) specifiche e ereditarie che funzionano come antigeni. Tali carboidrati
determinano i gruppi sanguigni. I primi gruppi sanguigni identificati sono quelli del sistema noto come
sistema AB0 (A, B, Zero). I globuli rossi contengono due antigeni, indicati con A e B. Ciascun globulo
rosso può contenere:

• Antigene A (gruppo A)
• Antigene B (gruppi B)
• Entrambi gli antigeni (gruppo AB)
• Nessun antigene (gruppo 0)

Attenzione: nel gruppo 0 non mancano le proteine transmembrana, manca solamente la componente
glucidica di queste proteine.

Oltre alla componente dei gruppi AB0 abbiamo anche la componente più complessa del fattore Rh, che
sono definiti da più fattori che devono essere contestualmente presenti. Identifichiamo popolazioni Rh
positive e Rh negative. La diversità nei gruppi sanguigni e soprattutto la diversità dei fattori Rh è quella

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diversità che deve essere tenuta in considerazione nei meccanismi trasfusionali: se il donatore ha nel
suo sangue antigeni che il ricevente non ha, nel ricevente si scatenerà una risposta immunitaria.
L’esempio più conosciuto di
incompatibilità Rh è l’incompatibilità
materno-fetale: una madre Rh- che
partorisce figlio Rh+. Nella prima
gravidanza, non essendoci contatto tra
la circolazione materna e la
circolazione fetale il feto può crescere
senza complicazioni, ma al momento
del parto si ha normalmente il
contatto tra la circolazione materna e
la circolazione fetale e di conseguenza
la madre, riconoscendo l’antigene Rh
produrrà anticorpi Rh positivi. Nel
caso di una seconda gravidanza Rh+ il
sangue della madre attraverso la
placenta entra in contatto con il sangue del feto e in questo caso si ha la possibilità di generare anticorpi
nei confronti dei globuli rossi del feto e quindi l’istaurarsi di una malattia emolitica (MEN). Questo
fenomeno è un risolto attraverso terapie ad hoc al momento del parto per eliminare la possibilità della
produzione di anticorpi contro il fattore Rh.

L’emoglobina

All’interno del globulo rosso è presente l’emoglobina. L’emoglobina è una proteina con una struttura di
tipo quaternario ed è responsabile della maggior parte del trasporto di ossigeno e anidride carbonica
nel nostro organismo. È composta da quattro subunità proteiche (globine) e da una porzione non
proteica (prostetica) che contiene l’atomo di ferro. Le globine sono normalmente costituite nell’adulto
da due catene alpha e due catene beta, e costituiscono l’emoglobina di classe A. In realtà però noi durante
lo sviluppo embrionale andiamo a produrre una serie di globine di tipo diverso che vengono via via
sostituite prima della nascita e anche dopo la nascita. La diversa sostituzione di queste globine è
fondamentale perché serve ad andare a produrre globine che permettano un più efficiente trasporto
dell'ossigeno. Prima della nascita,
prima della respirazione, il
nutrimento e l'ossigenazione del
feto avviene attraverso la placenta
quindi non attraverso l’atto
respiratorio, di conseguenza
l'affinità dell'emoglobina per le
molecole di ossigeno è
completamente diversa. [Tabella]
Con l’atto espiratorio, proprio il
giorno 0 della nascita, cominciano
a scendere le catene di tipo gamma (prodotte prevalentemente durante il periodo fetale) e cominciano
ad essere prodotte le catene di tipo beta (tipiche dell’emoglobina dell’adulto).

Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 16 di 22
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Porzione prostetica. Il trasporto avviene a livello dell'emoglobina


grazie all'atomo di ferro che si trova all'interno del gruppo
prostetico. All'interno delle catene alpha e beta c’è questo gruppo
prostetico che si chiama protoporfirina IX. All'interno della
protoporfirina IX c'è un atomo di ferro che deve essere mantenuto
nella sua forma bivalente (Fe++) perché è quella che permette uno
scambio fisiologico, quindi un legame labile, sia con l'ossigeno che
con l'anidride carbonica. I legami con questi due gas sono dunque
reversibili.

Scambi gassosi. Gli scambi gassosi avvengono a livello dei tessuti e a livello del polmone. Circa il 90%
della CO2 non viene trasportata come tale ma viene prima convertita in ione bicarbonato HCO3 e poi nel
momento in cui si arriva in una zona in cui la pressione parziale di ossigeno è maggiore (quindi a livello
del polmone) lo ione bicarbonato viene nuovamente riconvertito in CO 2 e si ha lo scambio a livello
dell’alveolo polmonare. Questo tipo di riconversione avviene attraverso un enzima che si chiama
anidrasi carbonica. Si ha quindi il rilascio e il recupero dell'ossigeno che avviene in direzione opposta. I
2 processi sono rispettivamente accoppiati alla deossigenazione (deossiemoglobina) e all’ossigenazione
dell’emoglobina (ossiemoglobina) e permettono di trasportare l’ossigeno all’interno del globulo rosso.
Se ci fossero legami stabili o se venisse alterata quella che è l'attività dell'anidrasi carbonica il globulo
rosso non verrebbe correttamente ossigenato a livello del distretto polmonare e quindi non riuscirebbe
a portare ossigeno a livello della periferia.

Metabolismo eritocita. Il globulo rosso possiede un suo metabolismo. È presente un’alta percentuale
di proteine, oltre all’emoglobina, rappresentata da proteine enzimatiche. Abbiamo quindi l’anidrasi
carbonica, le proteine legate al meccanismo che permette di mantenere lo stato ridotto dell’atomo di
ferro, le proteine che servono a mantenere elevate concentrazioni di potassio all'interno della cellula e
basse concentrazioni di calcio e sodio e soprattutto il metabolismo deve essere atto a mantenere quella
che è la forma biconcava del globulo rosso. L'alterazione della forma del globulo rosso fa identificare la
cellula come anomala e quindi come una cellula che deve andare incontro a un fenomeno di distruzione
(si ha quindi un fenomeno di emocateresi).

Ricambio globuli rossi. Il globulo rosso va incontro a morte dopo circa 120 giorni. Le cellule che
svolgono attività fagocitaria identificano i globuli rossi che devono essere distrutti individuando le
modificazioni delle molecole esposte sulla superficie del globulo rosso. Ad esempio se si ha un aumento
dell'esposizione di acido sialico sulla superfice del globulo rosso questo significa che c’è un aumento di
acido sialico all’interno del globulo rosso. Questo fenomeno identifica un globulo rosso invecchiato che
deve essere distrutto. Anche stress meccanici severi possono andare ad alterare quella che è la
morfologia del mio globulo rosso e quindi ovviamente anche in questo caso si assiste alla distruzione
del globulo rosso stesso. Altre alterazioni che modificano la morfologia del globulo rosso possono essere
legate a delle patologie. Ad esempio alcune anemie sono legate alla produzione di un globulo rosso che
ha una forma anomala e che viene riconosciuto dal corpo come tale (e che viene quindi distrutto).
Esempi di questo tipo possono essere legati ad alterazioni del citoscheletro, come nel caso della
elissocitosi ereditaria, (immagine a sinistra) dove il globulo rosso anziché essere a forma biconcava ha
la forma di pavesino, quindi ha una forma più allungata e ovaloide, non schiacciata. Questo globulo rosso
anomalo verrà distrutto. Poiché c’è un'alterazione genica dal midollo osseo (sede nella quale vengono
prodotti i globuli rossi), continueranno ad essere prodotte cellule con questa morfologia. Situazione
diversa invece è quella dell’anemia falciforme (immagine a destra) in cui l'alterazione non è ad opera
della direttamente delle proteine del citoscheletro ma della molecola di emoglobina. Qui c'è
un'alterazione nella catena beta dell'emoglobina, come abbiamo detto in precedenza l’emoglobina si

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lega alle componenti del citoscheletro della membrana per mantenere la struttura del globulo rosso.
Questa alterazione dell’emoglobina si ripercuote su quella che è la forma della cellulare e quindi anche
in questo caso il globulo rosso viene distrutto molto più precocemente dei 120 giorni ma continuerà a
essere prodotta in maniera normale da parte del midollo. Quindi questa è una la patologia non legata
alle strutture proteiche di globulo rosso ma alla alterazione della molecola dell'emoglobina.

GLOBULI BIANCHI o leucociti


I globuli bianchi sono i componenti presenti all'interno del torrente circolatorio responsabili della difesa
immunitaria, sia specifica che aspecifica. Il numero di globuli bianchi è di circa 5000-10.000 per
millimetro cubo. È importante tenere conto che i globuli bianchi non svolgono la loro azione a livello del
torrente circolatorio ma lo utilizzano per andare nelle sedi dove devono svolgere la loro funzione.

La sede di funzione può essere rappresentata dai tessuti connettivi o dagli organi linfatici secondari. La
forma delle cellule è variabile se le serviamo prevalentemente a livello del torrente circolatorio o se le
osserviamo a livello dei tessuti connettivi (forma tonda nei vasi, forme varie nel connettivo). Oltre alla
difesa dalle tossine si occupano anche della attività fagocitaria, quindi si preoccuperanno sia della
distruzione degli elementi estranei (elementi patogeni) che delle cellule morte e dei residui cellulari (si
occupano quindi anche dell’emocateresi).

Da un punto di vista morfologico normalmente classifichiamo le cellule della serie bianca in:

- cellule che possiedono delle granulazioni evidenti a livello del citoplasma (granulociti neutrofili
eosinofili e basofili a seconda delle affinità tintoriale dei grandi presenti all'interno del
citoplasma)
- cellule non granulante (monociti e linfociti).

Se dobbiamo considerare i globuli bianchi che circolano nel sangue abbiamo detto che sono massimo
10 mila per millimetro cubo; in realtà non sono tutti rappresentati nella stessa maniera. La percentuale
dei globuli bianchi che circolano all'interno del torrente circolatorio viene normalmente definita la
formula leucocitaria. La formula leucocitaria è una classificazione (“una sorta di hit parade”) di come
le diverse tipologie di globuli
bianchi sono presenti all'interno
del vostro torrente circolatorio.
Le cellule maggiormente presenti
in uno striscio di sangue sono i
granulociti neutrofili che
arrivano a rappresentare fino al
75% dei globuli bianchi
circolanti. Le seconde cellule

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presenti (“quindi quelle che hanno ricevuto un maggior gradimento”) sono sicuramente i linfociti che
possono arrivare addirittura un 50-55% di presenza - questi sono ovviamente i valori normali. I
monociti raggiungono normalmente il 3-8%. Eosinofili e basofili sono estremamente rari all'interno del
torrente circolatorio, possono raggiungere massimo un 6% nel caso degli eosinofili e massimo un 2%
nel caso della dei basofili.

Perché sono importanti queste percentuali? Perché qualsiasi alterazione di questi rapporti percentuali è
indice di un fenomeno patologico in atto che può essere solo un fenomeno infiammatorio (quindi un
fenomeno transitorio) ma che purtroppo può essere anche indice di alcune patologie più gravi che
necessitano di terapie molto mirate. (Può essere anche una patologia non particolarmente grave, ad
esempio infezione che genera la mononucleosi vi porta a una completa alterazione di quello che è il
numero di neutrofili e linfociti circolanti, ma non è altrettanto grave come una patologia neoplastica a
carico della serie bianca del sangue). La formula leucocitaria come abbiamo detto indica la percentuale
di globuli bianchi che sta circolando, però la maggior parte dei globuli bianchi si trova al di fuori del
circolo ematico. Le cellule della serie bianca del sangue infatti sono in grado di aderire a quella che è la
componente endoteliale (quindi le cellule di rivestimento del mio del vaso), di scollare le cellule epiteliali
e quindi di portarsi a livello del tessuto connettivo. Questo prende il nome di diapedesi. le cellule che
più facilmente fanno diapedesi a livello del torrente circolatorio sono i granulociti (i granulociti
neutrofili soprattutto).

Granulociti.

Cellule globose con diametro medio tra i 10 e i 12 micrometri. Se io vado a considerare la distribuzione
dei granulociti devo tenere conto che, seppur ci sono moltissimi granulociti a livello del torrente
circolatorio, queste cellule sono prodotte in quantità particolarmente elevata dal midollo e la maggior
parte di esse si trovano nei distretti periferici. Quindi diventa difficile se non impossibile avere un'idea
di quanti granulociti neutrofili abbiamo all'interno del nostro organismo. I granulociti fuoriescono dal
torrente circolatorio perché vengono attirati da specifici stimoli chimici attraverso un meccanismo che
si chiama chemiotassi. Per chemiotassi si intende la produzione di molecole che arrivano a livello del
tessuto connettivo e richiamano i granulociti , li fanno entrare attraverso scollando le cellule endoteliali
e li fanno entrare nel tessuto connettivo. Questo meccanismo di diapedesi si attua attraverso un
meccanismo di rolling (cioè di circolazione) via via sempre più lento. Le cellule granulocitari vengono
riconosciute delle molecole particolari di adesione che si chiamano selectine, queste selectine tendono
a rallentare sempre di più il flusso dei globuli bianchi lungo il letto vascolare e successivamente lo
bloccano. Il granulocita cambia la
sua morfologia, si schiaccia diciamo
così, per poter passare all'interno
della dell'apertura che si forma tra
le due cellule endoteliali e viene
portato all'interno del tessuto
connettivo. La funzione del
granulocita neutrofilo è una volta
che viene richiamato a livello del
tessuto connettivo è quella di
svolgere un'attività di difesa.

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Il nome di granulocita neutrofilo viene spesso associato anche al nome di granulocita


polimorfonucleato perché quando io vado a guardare la morfologia del nucleo della cellula mi accorgerò
che questo è costituito da tante lobature diverse, fino a un massimo di 5. Contiene all'interno del suo
citoplasma tre tipi di granulazioni che però non hanno un'affinità tintoriale prevalente nei confronti di
coloranti basici nè nei confronti di coloranti acidi, e per questo motivo viene considerato neutro.
Contengono 3 tipi di granuli:

- Granuli primari che sono fondamentalmente lisosomi e che contengono dei peptidi
fondamentali per l'attività difensiva. Ad esempio le difensine e le catelicidine
- Granuli specifici, che contengono enzimi come le collagenasi e le gelatinasi che servono a
modificare la fluidità della matrice extracellulare nella quale si trova, quindi per facilitare
l’attività di difesa, e anche il lisozima che è una molecola che ha attività batteriostatica.
- Granuli terziari che contengono metalloproteasi, che sonodegli enzimi che mi servono per
andare a modificare quella che è la struttura della matrice extracellulare

Questa è un'immagine in ultrastruttura di un granulocita neutrofilo.


Le grandi macchie scure sono i due lobi del nucleo (attenzione: non è
binucleata) e si possono osservare i vari granuli (i granuli primari
sono i più grandi)

Il ruolo difensivo dei neutrofili: nel caso in cui ci sia un danno quindi
un ingresso di batteri da una lesione in un epitelio. I batteri producono
delle chemochine, quindi delle sostanze che sono in grado di attirare i
granulociti neutrofili che effettuano una diapedesi e vanno a svolgere la loro attività difensiva. L'attività
difensiva si svolge attraverso la formazione di fagosomi, quindi emissioni di elementi del citoscheletro
per inglobare l'elemento patogeno. I granuli specifici si fondono con la membrana del fagosoma e
liberano enzimi lisosomiali. La fagocitosi dei neutrofili determina la formazione di specie reattive
dell'ossigeno che portano alla morte del granulocita neutrofilo una volta che ha distrutto l'elemento che
ha ingerito. Quindi è vero che i granulociti neutrofili svolge un’attività difensiva, è vero che svolge
un’attività fagocitaria, ma spesso questa attività fagocitaria è associata alla produzione di specie reattive
dell'ossigeno che portano alla morte del mio granulocita neutrofilo. Questo fenomeno è facilmente
identificabile da un punto di vista macroscopico perché la morte dei granulociti è identificabile in quello
che normalmente conosciuto come pus.

I granulociti eosinofili: (12microm) si chiamano così perché hanno


all'interno del loro citoplasma delle caratteristiche granulazioni che si
colorano di arancio, presentano al loro interno una struttura particolare che
si chiama cristalloide (nella foto la struttura allungata di forma ellittica con
all’interno una linea più scura). Il cristalloide contiene gli elementi specifici
per l'attività dei granulociti eosinofili.

I granulociti eosinofili normalmente contrastano alcune reazioni allergiche e sono importanti per la
difesa del nostro organismo nei confronti di infezione di tipo parassitario. Saranno quindi marcatamente
presenti all'interno dei tessuti connettivi lassi di tutto l'apparato digerente, perché le infezioni
parassitarie sono quelle alle quali andiamo incontro attraverso l'alimentazione, attraverso l'ingestione
di alimenti alterati. Attraverso questo sistema vengono portati questi antigeni alterati a livello della
mucosa dell'apparato digerente, qui le cellule granulocitarie eosinofile potranno svolgere la loro
funzione di difesa.

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I granulociti sono spesso e volentieri nelle loro nella colorazione risultano molto colorati in bluastro
quindi è difficile riuscire ad andare a identificare il nucleo all'interno della cellula e sono importanti nelle
reazioni di ipersensibilità immediata e nelle reazioni allergiche, tipo l'orticaria e l'asma. Questo perché
all'interno di questi granuli noi abbiamo la presenza soprattutto di eparina e istamina. L’istamina è un
vasodilatatore ed è uno è una delle molecole principali che determinano la lacrimazione e la comparsa
di fenomeni asmatici. Sulla superficie dei granulociti basofili così come sulla superficie dei mastociti (tra
i basofili e mastociti c'è una grossa affinità, hanno sicuramente un precursore comune durante lo
sviluppo embrionale, ma poi durante la vita adulta hanno un'origine differente) si hanno dei recettori
per una classe specifica di anticorpi che è la classe delle immunoglobuline le immunoglobuline della
classe IgE. Queste immunoglobuline sono in grado di legarsi sulla superficie dei basofili e una volta che
si legano sulla superficie determinano il rilascio di istamina.

Come avvengono i fenomeni allergici? La prima volta che vengo a contatto con un agente che per me
diventerà un allergene, quindi un agente che determina la comparsa di una reazione allergica, il sistema
immunitario identifica la mia entità come un'entità estranea e quindi produrrà nei confronti di questo
elemento delle immunoglobuline,
comprese la classe delle immunoglobuline
di tipo E. Queste immunoglobuline di tipo E
vanno al legarsi fisiologicamente attorno
alla membrana dei miei basofili.

Nel secondo contatto con lo stesso antigene le mie immunoglobuline che si trovano attaccate sulla
superficie del mastocita o del basofilo saranno in grado di riconoscere questo agente, perché sono state
costruite apposta per riconoscerlo. Abbiamo quindi il mastocita con legata la immunoglobulina (piccole
Y nella foto) tramite una porzione transmembrana che modifica quella che è l'attività interna del
mastocita. Quando il polline si lega alla immunoglobulina (alla Y) si genera una reazione all’interno del
mastocita che produce istamina che viene liberata. L’istamina, a questa seconda del distretto corporeo
dove viene liberata, determinerà la
lacrimazione, l’eccessiva produzione di
muco e di secreto da parte delle cellule degli
epiteli dell'apparato respiratorio o nei casi
ancora molto più gravi causerà lo shock
anafilattico.

I granulociti basofili: sono i meno numerosi tra i leucociti e


presentano forma rotondeggiante, un diametro medio di 10-15
𝜇𝑚 ed un nucleo lobato di forma irregolare generalmente
oscurato dai numerosi e grandi granuli intracitoplasmatici. Nel
citoplasma sono presenti:

• Granuli specifici: di dimensioni maggiori rispetto a


quelli degli eosinofili, contenenti eparina, istamina,
eparan-solfato e leucotrieni;
• Granuli azzurrofili: rappresentano i lisosomi dei granulociti.

Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 21 di 22
Istologia – Istologia II IST05 – TESSUTI CONNETTIVI

Funzione: i granulociti basofili svolgono funzioni simili a quelle svolte dai mastociti nei tessuti
connettivi, sono però più mobili e vita più breve. Presentano sulla membrana specifici recettori per delle
immunoglobuline IgE secrete dalle plasmacellule. Questi, quindi, legano tali immunoglobuline quando
particolari allergeni ne inducono la formazione. Una seconda esposizione all’allergene specifico induce
il rilascio degli agenti vasoattivi contenuti nei granuli.

I granulociti basofili possono essere responsabili di patologie allergiche come l’asma, dovuta al rapido
rilascio da parte di queste cellule di sostanze come i leucotrieni e l’istamina. Nel Lupus (LES) malattia
autoimmune si hanno gravi conseguenze sistemiche dovute a un iper attivazione di queste cellule.

Autori: Lucia Gentili, Veronica Barlassina, Piero Canzio, Aurora Gregoretti per Medicina08 22 di 22
ISTOLOGIA II
“CELLULE NON GRANULARI DEL SANGUE E SISTEMA IMMUNITARIO”
ID lezione IST06 Modulo Istologia II
Data lezione 18 Marzo 2021
Autore Linda Martelli, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese
Lezione
Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima
tenuta da
Argomento Cellule non granulate del sangue, Sistema immunitario
Eventuali
Slide proiettate a lezione.
riferimenti

Ripresa della lezione precedente

Formula leucocitaria

Questa formula ci indica la percentuale dei globuli bianchi circolanti nel sangue

CELLULE NON GRANULARI DEL SANGUE

MONOCITI

Questi sono i globuli bianchi circolanti più grandi come dimensioni,


infatti, come è evidente in figura, la loro dimensione è maggiore rispetto
a quella degli eritrociti circostanti ed è rappresentata dai 14 fino anche ai
20-25 micron.
I monociti mancano completamente di granulazioni citoplasmatiche
evidenziabili in microscopia ottica e prevedono un nucleo voluminoso
“reniforme”.
Il monocita circola molto poco nel torrente circolatorio (circa 1-4 giorni), infatti migra precocemente a
livello dei tessuti periferici dove si trasforma in macrofago libero e dove vivrà per mesi. La migrazione
avviene grazie alla liberazione di sostanze definite chemochine, queste ultime possono essere sostanze
batteriche o sostanze rilasciate a livello di tessuto connettivale, che richiamano il monocita in quella
specifica sede connettivale.

Nei tessuti connettivi propriamente detti sono presenti macrofagi tissutali, cioè giunti in quel tessuto
precocemente durante lo sviluppo embrionale fetale mentre altri macrofagi presenti sono quelli che
giungono dal torrente circolatorio.
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO

Nel momento in cui il monocita è migrato in un tessuto e si è trasformato in macrofago subisce


delle modifiche morfologiche, infatti: aumenta enormemente le sue espansioni citoplasmatiche
(lamellipodi) e il nucleo da reniforme diventa sufficientemente globoso.

I lamellipodi formati saranno necessari per lo svolgimento dell’attività fagocitaria, ovvero


internalizzare sostanze estranee, tra cui sostanze tossiche, elementi di scarto, cellule morte per
apoptosi in modo da rimuoverle dal tessuto connettivo.

I macrofagi rappresentano delle cellule presentanti l’antigene (APC), ovvero presentano


l’elemento estraneo definito antigene a una popolazione cellulare del nostro sistema immunitaria
in modo che quest’ultima venga attivata

LINFOCITI

Sono cellule che appartengono al sistema dell’immunità specifica, al


contrario degli altri globuli bianchi che sono coinvolti nell’immunità innata.
I linfociti sono definiti come cellule a lunga vita, infatti riescono a
retrocedere, da un punto di vista evolutivo, e ritrasformarsi in linfoblasti
cioè in cellule più immature, così facendo mantiene in memoria le
informazioni che ha avuto riguardo ai contatti con altre popolazioni
cellulari (risposta immunitaria secondaria).

Morfologicamente i linfociti sono delle cellule piccole, poco più grandi di un


eritrocita, hanno un rapporto nucleo-citoplasma elevatissimo e il nucleo
presenta grosse zolle di eterocromatina.

In circolo si possono trovare comunque dei grandi linfociti che


presentano anche delle granulazioni nel citoplasma, il loro nucleo è
leggermente indentato. Questo tipo di linfociti appartengono a una delle
popolazioni dei linfociti circolanti, ovvero quella dei natural killer

LINFOCITI CIRCOLANTI:

• Linfociti Natural Killer (NK): 5-10%


• Linfociti T: 60-80%
• Linfociti B: 20-30%

PIASTRINE

Non sono cellule ma elementi corpuscolati, infatti non sono dotate né di nucleo
né della componente utile alla sintesi proteica, hanno un diametro di circa 2-4
micron.
Non sono altro che frammenti cellulari prodotti a livello del midollo osseo,
ovvero la sede di sintesi di tutte le popolazioni cellulari del sangue nell’adulto, in
particolare le piastrine derivano dai megacariociti. I megacariociti sono cellule

Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 2 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO

molto grandi, plurinucleate e a livello del midollo osseo emettono propagazioni del loro citoplasma
che poi vengono tagliate e da cui si originano le piastrine. La vita media delle piastrine è piuttosto
limitata, ovvero di 8-10 giorni, dopodiché vengono distrutte soprattutto a livello della milza.

Nel sangue sono presenti all’incirca 150000-400000 piastrine/mmc.


Il ruolo fondamentale delle piastrine è quello di intervenire a livello della coagulazione del sangue,
in particolare a livello del sistema emostatico.

Da un punto di vista morfologico la loro ultrastruttura è abbastanza complessa:

• Zona periferica: vi si identifica una membrana cellulare e un glicocalice con proteine


transmembrana che fungono da recettori per le attività piastriniche (attivazione del
sistema emostatico)
• Zona strutturata: sottostante alla periferica, costituita da elementi del citoscheletro in
particolare microtubuli sono importanti, assieme al sistema canalicolare, perché sono quei
sistemi utili a far fuoriuscire le sostanze immagazzinate nelle piastrine. Questo processo
avviene grazie al trasporto di vescicole e contrazione, grazie a actina e miosina
• Zona membranosa: si compone di un sistema canalicolare aperto (SCA) e un sistema
tubulare denso (STD) che partecipano alla fuoriuscita di questi granuli accumulati
all’interno delle piastrine, in realtà il sistema STD immagazzina anche ioni Ca 2+

Al centro delle piastrine si identifica la zona degli organelli (o zona dei granuli) a livello della quale
sono presenti diversi tipi di granuli:

• Granuli α (300nm): contengono fibrinogeno che permette la formazione del coagulo,


fattori della coagulazione (es. FP4), plasminogeno che interviene nella rimozione del
coagulo e PDGF. Quest’ultimo è un fattore di crescita che stimola tutte le attività riparative
da parte, proliferazione e in parte differenziamento delle altre popolazioni cellulari
(soprattutto fibroblasti e cellule basali dell’epidermide) circostanti al tessuto lesionato
• Granuli δ: contengono ADP e ATP che servono per favorire l’unione delle piastrine,
serotonina e istamina che invece fungono da vasocostrittori e vasodilatatori per regolare il
calibro del vaso in cui è avvenuta la lesione.
• Granuli λ: contengono enzimi litici, ovvero che scindono alcune molecole a livello del
connettivo e favorire la guarigione, inoltre permettono anche di ripristinare lì attività del
vaso che era stato lesionato.

Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 3 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO

Nel momento in cui la piastrina viene attivata per mezzo della liberazione dei granuli δ, e quindi per
mezzo della liberazione di ATP e ADP, le piastrine si uniscono tra di loro. La secrezione dei diversi tipi
di granuli caratterizza tappe differenti del meccanismo di coagulazione del sangue.

Sistema coagulativo o emostatico

Nel suo complesso questo sistema tiene conto soltanto delle piastrine e della loro attività, ma anche:

• Dell’attività delle cellule endoteliali, monociti, eritrociti,


• Di fattori e inibitori coagulativi o fattori e inibitori fibrinolitici
• Proteine adesive (es. Von Willebrand factor)
• Proteine della fase acuta
• Ioni calcio
• Superfici fosfolipidiche a carica negative
• Citochine

In particolare, i fattori anticoagulanti evitano che ci sia un’eccessiva o anomala coagulazione e insieme
a quelli pro-coagulanti instaurano un equilibrio. Se questo viene alterato, si possono istaurare
disordini emorragici dovuti per esempio a una riduzione del numero delle piastrine o all’alterazione
di fattori della cascata coagulativa e ciò non garantiscono il risultato finale ovvero la coagulazione.

L’effetto contrario comporta disordini trombotici, questo potrebbe essere legato a un eccesso di
piastrine (non frequente), molto più spesso è dovuto a una alterazione di fattori inibitori del
meccanismo coagulativo oppure fattori che vanno ad attivare in maniera scorretta le piastrine,
portando a uno squilibrio tra la quantità di coagulo prodotta e la quantità di coagulo che può essere
eliminata.

Le piastrine presentano sulla superficie delle proteine che ne impediscono l’aggregazione, questo
fattore è determinato anche da elementi presenti sulla superficie dell’endotelio. Le cellule endoteliali
presentano delle molecole particolari, come un GAG chiamato eparan-solfato espresso per mezzo della
lamina basale, che permettono di evitare l’adesione delle piastrine alla parete endoteliale.

Nel momento in cui si ha la rottura di un vaso sanguigno e quindi della sua membrana basale, viene
esposto il tessuto connettivo sottostante all’endotelio. Il collagene esposto comporta l’aggregazione
delle piastrine che liberano serotonina e altre sostanze inducendo vasocostrizione e quindi riducendo
il flusso sanguigno in quel punto, le piastrine continuano nell’aggregazione agganciandosi al collagene.
A questo punto le piastrine stesse rilasciano le sostanze contenute nei loro granuli, compreso
fibrinogeno e fattori della coagulazione e inizia a formarsi il coagulo.
Il coagulo si forma nel momento in cui il fibrinogeno, presente nel plasma e in piccola parte nelle
piastrine, si trasforma in fibrina, questa che origina maglie tridimensionali dove si aggregano piastrine
ma verranno imprigionati anche globuli rossi e globuli bianchi.

Una volta che il sistema coagulativo si è innescato, i fattori, compresi quelli di crescita quelli liberati
dalle piastrine, vanno a ricostruire la lesione vascolare e tramite il meccanismo di ritrazione del
coagulo viene eliminata la fibrina (fibrinolisi) con ripristino della pervietà del vaso.

Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 4 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO

CASCATA COAGULATIVA

Il sistema si basa su un meccanismo a cascata di una serie di fattori presenti nel plasma e in parte nelle
piastrine. Questi fattori non sono altro che enzimi, una volta attivati agiscono sui fattori successivi
attivandoli e così via uno dietro l’altro.

Le modalità di attivazione della cascata coagulativa sono due:

• VIA ESTRINSECA: si instaura a causa dell’esistenza di una vera e propria lesione tissutale.
Questa lesione porta alla liberazione di un fattore tissutale, una proteina di membrana, il
fattore attivato comporterà a seguito di diverse reazioni l’attivazione del fattore X
• VIA INTRINSECA: si instaura all’interno del vaso sanguigno, quindi prevalentemente coinvolta
nella cascata coagulativa. Questa prevede l’attivazione del fattore VIII (fattore di Von
Willebrand) e IX, tra l’altro coinvolte in gravi malattie genetiche ovvero due tipi di emofilie.
Quella che coinvolge il fattore VIII (piastrinico), la più conosciuta, è l’emofilia di Von
Willebrand.
Quest’ultimo meccanismo si attua anche nel momento in cui in un campione di sangue
prelevato da un paziente non si inserisce l’anticoagulante, infatti le piastrine riconosceranno la
superficie della provetta, diversa rispetto a quella dell’endotelio, e attiveranno la coagulazione.

Indipendentemente dalla modalità utilizzata l’elemento chiave è l’attivazione del fattore X, questo
porta all’attivazione dell’enzima che mi trasforma la protrombina in trombina. La trombina induce
proprio il taglio delle molecole di fibrinogeno producendo fibrina in piccoli frammenti, questi ultimi si
aggregheranno costituendo una rete tridimensionale.

I fattori anticoagulanti che regolano questa cascata sono per esempio la protrombina, che ha
un’attività inibitoria verso la fibrina e quindi evita un eccessiva formazione del coagulo. Altri elementi
regolano l’attivazione del fattore V e infine molecole in grado di scindere il coagulo per eliminarlo.
Un eccesso di coagulo comporta la modificazione dell’aerologia, ovvero del flusso sanguigno, a questo
livello e l’aumentare la quantità di piastrine, globuli rossi che si legano al vaso fino all’occlusione.

Tempistica della coagulazione

1. EMOSTASI PRIMARIA: legato alla vasocostrizione delle piastrine che aderiscono al vaso
lesionato per poi aggregarsi tra loro. Nell’aggregazione piastrinica si ha un vero e proprio
cambiamento morfo-strutturale che facilita il rilascio di fattori della coagulazione

Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 5 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO

2. EMOSTASI SECONDARIA: i fattori della coagulazione vengono attivati, perciò avviene


l’interazione tra la componente plasmatica e quella piastrinica. Si formerà il coagulo di fibrina
3. FIBRINOLISI: attivazione della lisi del coagulo di fibrina e ripristino della struttura del letto
vascolare

SISTEMA IMMUNITARIO
È rappresentato da un sistema di cellule e molecole coinvolte nella protezione dell’organismo
dall’azione di agenti a esso estranei.

Gli agenti estranei possono essere definiti come:

• Antigeni: normalmente sono grandi molecole estranee come per esempio proteine o
carboidrati, il nome deriva da antibody gene rating
• Epitopi: porzione specifica di un antigene, riconosciuta dall’anticorpo
• Apteni: piccole molecole organiche (es. piccole proteine o piccoli carboidrati) legate dagli
anticorpi ma non attivano risposta immunitaria, diventano antigenici se legati a una molecola
più grande (es. lattosio)

Esistono due tipi di immunità che collaborano per la difesa del nostro organismo:

IMMUNITA’ NATURALE (o innata): formata da una serie di meccanismi di difesa non specifici,
evoluzionisticamente antichi, presenti fin dalla nascita di un individuo. Rappresenta la prima vera
barriera di difesa dell’organismo verso agenti patogeni e agisce immediatamente
Intervengono in essa tutti i globuli bianchi (granulociti, macrofagi e natural killers)

IMMUNITA’ ACQUISITA (o adattativa o specifica): agisce in senso specifico successivamente


all’immunità naturale, per ogni tipo di stimolo viene innescata una risposta che vale per quello stimolo
e non per altri. Questa specificità assicura un altro grado d’efficienza in quanto evita risposte non
necessarie.
Intervengono in essa i linfociti B e i linfociti T, scandendo nel primo caso una risposta umorale e nel
secondo caso una risposta cellulo-mediata

Infiammazione

I macrofagi e i neutrofili sono le classiche “cellule infiammatorie”, l’infiammazione è il principale


sistema di difesa innata del nostro organismo ed è innescata da qualsiasi danno ai tessuti.

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ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO

Nel momento in cui si presenta una lesione a livello di un tessuto, viene a rompersi la continuità di
quest’ultimo e ciò permette la penetrazione di batteri che inviano segnali chimici inducendo a
rigonfiamento della zona (rilascio interleuchine e chemiochine). La chemiotassi data da questi segnali
richiama granulociti neutrofili e monociti che maturano in macrofagi, questi svolgono attività
fagocitaria e la temperatura della zona inizierà ad aumentare. Lo sviluppo di queste condizioni ha un
effetto batteriostatico, successivamente la fagocitosi porta a distruzione dei batteri. Alcuni monocito-
macrofagi hanno attività pro-infiammatoria, mentre i monocito-macrofagi della classe M2
intervengono dopo che avvenuto tutto questo fenomeno liberando interleuchine antinfiammatorie per
ripristinare l’omeostasi tissutale.

Differenziamento delle cellule del sistema immunitario

Le cellule del sistema immunitario hanno tra loro delle origini


leggermente diverse.
Derivano tutte da una cellula staminale pluripotente, questo fa
parte del meccanismo dell’emopoiesi e infatti tutte le cellule del
sangue derivano da questa cellula iniziale del midollo osseo. Da
questa cellula a seguito di diversi processi di differenziamento
uscirà una cellula commissionata, ovvero indirizzata a costituire
la serie di tutti i globuli bianchi di tipo monocitario e
granulocitario.
Mentre le cellule che andranno a costituire i linfociti migreranno
precocemente negli organi linfoidi primari, quindi nel tipo e in
parte in una sede separata del midollo osseo per formare linfociti
B, T e NK

L’immunità innata, come già accennato, è immediata infatti si attua tramite il fenomeno
d’infiammazione entro le 96 ore. Nonostante ciò, è altamente efficiente ma non ha memoria
immunologica.
Le sue componenti sono rappresentate da:
• BARRIERE FISICO-CHIMICHE: pelle, mucosa vaginale (il suo pH impedisce la crescita
batterica), mucosa bronchiale (caratterizzata da muco che imprigiona sostanze inspirate e
cellule ciliate), mucosa nasale, saliva e lacrime dove troviamo lisozima con attività battericida.

• PROTEINE EMATICHE: tra cui i componenti del sistema del complemento e altri mediatori
dell’infiammazione

• FATTORI SOLUBILI: sostanze che agiscono sulle altre cellule, come ad esempio citochine
prodotte dai macrofagi tra cui INFγ – INF β, che stimolano cellule immunitarie

• CELLULE FAGOCITARIE: macrofagi, neutrofili, eosinofili, basofili e altri leucociti ad attività


citotossica naturale (NK)

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ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO

Sistema del complemento

È un sistema proteico che si trova a livello plasmatico e si


attiva a cascata come gli enzimi di coagulazione. Anche in
questo caso ci sono due meccanismi per l’attivazione del
complemento che convergono in una via comune, ovvero
l’attivazione del fattore C3 del complemento. Quest’ultimo
faciliterà l’attacco su queste sostanze di anticorpi per
facilitare il riconoscimento della molecola che è entrata, da
parte del sistema immunitario e indurre una risposta
immunitaria acquisita.
In sintesi, il sistema del complemento facilita il
riconoscimento della molecola estranea (opsonizzazione) al
sistema immunitario acquisito.

Linfociti Natural Killer (NK)

Sono le cellule linfocitarie più grandi, infatti sono anche detti grandi
linfociti granulari. Questi sono in grado di agire in maniera diretta nei
confronti di cellule infettate da virus e in parte verso cellule neoplastiche,
grazie a un riconoscimento recettoriale. Quando il legame avviene i
linfociti NK producono delle molecole dette perforine che distruggono la cellula con cui il
linfocita è venuto a contatto

L’attività citolitica del linfocita NK è indipendente da una pregressa sensibilizzazione


dell’individuo da parte della cellula bersaglio e non è ristretta dai meccanismi di
riconoscimento associativo (MHC di classe I o II associato all’ antigene tipico dei linfociti T)

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ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO

L’immunità acquisita invece si instaura in relazione all’instaurarsi della immunità innata, quindi si
hanno tempi di risposta più lunghi e presenta memoria immunologica. Le sue caratteristiche sono:

SPECIFICITA’: infatti ogni linfocita presenta sulla superficie un recettore che riconosce un solo
epitopo o determinante antigenico (porzione proteica o polisaccaridica e dell’antigene riconosciuta
dall’anticorpo).

DIVERSITA’: Ogni individuo possiede un “repertorio linfocitario” per discriminare almeno 109 diversi
determinanti antigenici

MEMORIA: il sistema immunitario risponde a un particolare antigene estraneo in maniera più efficacie
quando è già entrato in contatto con tale antigene una prima volta. Le risposte immunitarie
secondarie sono più rapide e più intense

AUTOLIMITAZIONE: tutte le risposte immunitarie normali si esauriscono col tempo dopo


l’eliminazione del patogeno

DISCRIMINAZIONE del self dal non-self: le cellule del sistema immunitario sono capaci di riconoscere,
rispondere ed eliminare antigeni estranei (non-self) senza reagire contro i componenti antigenici del
proprio stesso organismo (self). Questo fenomeno è detto tolleranza e viene originato al momento
della maturazione linfocitaria dove i linfociti vengono “istruiti” a riconoscere e distinguere cellule self
da quelle non self.
Anomalie nell’induzione o nel mantenimento della tolleranza verso il self portano alla generazione di
risposte immuni verso gli antigeni autologhi provocando malattie “autoimmuni”

Linfociti

I linfociti normalmente sono a riposo, possono diventare cellule più immature come già definito in
precedenza, e poi diventare cellule in grado di svolgere la loro funzione. Anche la morfologia cellulare
nel corso di questi processi si modifica, quindi si hanno cellule con un elevato rapporto
nucleo/citoplasma quando queste non hanno ancora acquisito completamente la loro funzione e
successivamente con l’acquisizione di uno specifico ruolo si osserva una certa polarizzazione cellulare

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ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO

L’acquisizione del ruolo funzionale dei linfociti avviene tramite migrazione a livello degli organi
linfoidi primari, quindi per i linfociti B avviene nel midollo osseo mentre per i linfociti T avviene nel
timo. A questo livello le cellule saranno istruite e caricate di molecole importanti per le loro funzioni e
successivamente si ha un ulteriore migrazione verso organi linfoidi secondari (milza, linfonodi,
sistema linfatico diffuso). Negli organi linfoidi secondari i linfociti entrano in contatto con antigeni,
situati in queste zone perché trasportati dal sistema linfatico, ciò fa si che i linfociti possano proliferare
molto e differenziarsi in due popolazioni di cloni cellulari:

• Cellule effettrici: linfociti che modificano la loro morfologia diventando immunocompetenti,


quindi altamente in grado di svolgere la loro funzione
• Cellule della memoria: cellule che generano un risposta nel caso in cui lo stesso antigene
dovesse ripresentarsi, i meccanismi che vengono innescati sono altamente specifici verso quel
tipo di antigene particolare e permettono di eliminare quest’ultimo molto più rapidamente

L’attività di queste due popolazioni cellulari non viene quasi mai svolta in circolo ma a livello di tessuti
periferici (linfonodi, tessuto connettivo)

Linfociti T

Entrano a far parte della risposta cellulo-mediata e sono caratterizzati dalla


presenza sulla superficie del TCR (T cell receptor), questo TCR serve per svolgere la
loro attività immunitaria.

Si riconoscono tre popolazioni di linfociti T:

• LINFOCITI T CITOTOSSICI (CD8+): svolgono attività citotossica diretta su cellule infettate da


agenti patogeni. La sigla CD8+ indica che questi linfociti presentano sulla loro superficie di
membrana un recettore che viene riconosciuto da un anticorpo della classe 8
• LINFOCITI T HELPER (CD4+): hanno una funzione abbastanza variegata nella risposta
immunitaria, coadiuvano i linfociti T citotossici e dei macrofagi, e stimolando i linfociti B a
produrre anticorpi
• LINFOCITI T REGOLATORI: servono a smorzare il meccanismo di risposta immunitaria una
volta che l’antigene è stato eliminato

Il TCR (T-cell receptor) è una proteina transmembrana che serve al linfocita T per riconoscere cellule
infettate, quindi cellule presentanti l’antigene (APC). Essendo una proteina trans membrana è
costituita da una porzione extracellulare per riconoscere la cellula infettata e una porzione
intracellulare che al variare della porzione esterna sarà responsabile della produzione di un segnale
all’interno del linfocita

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ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO

Linfociti B

Riconoscono l’antigene nella sua conformazione naturale senza bisogno di essere


presentato da una cellula APC, si differenziano in cellule terminali dette plasmacellule
e possono svolgere esse stesse il ruolo di cellule presentanti l’antigene verso i linfociti T.
Anche i linfociti B presentano un recettore sulla loro superficie costituito da
immunoglobuline, quindi anticorpi.

Una volta che il linfocita B ha riconosciuto il suo antigene, si attiverà, diventerà una cellula funzionante
o una cellula della memoria e si trasforma in plasmacellula. La plasmacellula è un laboraorio di
produzione degli anticorpi, esse si trovno localizzate soprattutto a livello dei tessuti connettivi lassi
(l’attività immunitaria si svolge soprattutto a livello dei tessutoi connettivi e degli organi linfoidi
secondari come milza e linfonodi)

Possediamo 2 tipi di immunità: immunità cellulo mediata dovuta ai linfociti T, immunità umorale
mediata da anticorpi mediata da linfociti B. L’ Imunità cellulo mediata si basa sul fatto che il linfocita T
non è in grado di riconoscere l’antigene a meno che questo non gli venga presentato da un’altra cellula,
la cosiddetta cellula presentante l’antigene. Funge da cellula presentante l’antigene ad esempio il
macrofago che è in grado di mangiare una sostanza estranea, attraverso uesto sistema è in grado di
presentare degli elementi sulla sua superficie che possono essere riconosciuti dal linfocita T. Il
linfocita B non è in grado di fare fagocitosi, può essere infettato da un virus, se viene infettato da un
virus il virus si replica all’interno del linfocita B, gli elementi di replicazione vengono espressi sulla
superficie del linfocita B in maniera he il linfocita T possa riconoscerlo. La principale popolazione che
svolge l’attività di cellula presentante l’antigene è la cellula dendritica che sono cellule che si trovano a
livello di vari distretti anatomici, si trovano a livello del polmone, intestino, mucosa gastrica. Nel
momento in cui entra un agente estraneo che può essere un batterio o un virus, queste cellule fanno
fagocitosi e presentano l’elemento ai linfociti T che in questo modo sono in grado di esplicare la loro
funzione. Un esempio di cellule dendritiche sono le cellule di Langherans che nel momento in cui
catturano l’antigene o cambiano di morfologia esprimono sulla superficie una serie di molecole che
vengono riconosciute da dei linfociti T, il linfocta T si attiva, diventando attivato è in grado di legarsi
alla cellula e riconoscere l’antigene e scatenare la
risposta immunitaria di tipo cellulo-mediata.

Come si può fare in modo che la cellula


presentante l’antigene presenti l’antigene? Nel
caso del fagocita, è necessario che il batterio faccia
fagocitosi, l’elemento viene internalizzato e
digerito ad opera delle componenti lisosomiali e le
vescicole associate ad un recettore che è il
recettore del maggior complesso di
istocomptibilità vengono portate sulla superficie
della membrana, il linfocita riconosce la struttura
ed è in grado di esplicare la sua funzione.

Il sistema maggiore di istocompatibilità (HLA) è un sistema di glicoproteine che si trovano sulla


membrana delle cellule e identificano specificamente ognuno di noi, ogni cellula possiede una “targa”.
L’MHC di tipo I è espresso da tutte le cellule nucleate. Le molecole di classe II sono espresse solo da
cellule direttamente coinvolte nella risposta immunitaria, vengono quindi espresse dalle cellule
dendritiche, linfociti B, monociti macrofagi. I linfociti T che sono in grado di riconoscere le cellule

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ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO

infettate perché gli viene conferito l’elemento estraneo associato alla molecola sono differenziate in 2
popolazioni cellulari che svolgono attività diversa in relazione alla molecola di MHC che viene
presentata da parte della cellula.

I linfociti T helper (CD4+) sono in grado di riconoscere unicamente


gli antigeni che vengono presentati dalle molecole di classe II (cellule
presentanti l’antigene APC). I linfociti T helper coadiuvano l’attività
dei linfociti T citotossici e dei macrofagi, stimolano i linfociti B a
produrre anticorpi, secernono interleuchine che permettono la
formazione della risposta immunitaria.

Nel caso in cui venga infettata una cellula che non appartiene alle
normali cellule presentanti l’antigene e quindi è più facile che sia
un’infezione virale (è indipendente dal meccanismo di
fagocitosi). Nel caso
in cui venga
espresso sulla
superficie una
molecola di
istocompatibilità di
classe I si attivano i
linfociti I CD8+ che
hanno attività
citotossica diretta.

L’immunità umorale o specifica è mediata da anticorpi, gli anticorpi possiedono sulla loro superficie
un’immunoglobulina che si trova come recettore sulla membrana sul linfocita, una volta che il linfocita
si trasforma in plasmacellula produce degli anticorpi che
diventeranno anche anticorpi circolari.

Un anticorpo è una glicoproteina a struttura quaternaria


perché possiede 2 coppie di catene pesanti e 2 coppie di
catene leggere, le catene pesanti possiedono una regione
costante che identifica la classe delle immunoglobuline e
una zona variabili. La zona in giallo è la zona in grado di
riconoscere l’antigene. Esistono 5 classi di
immunoglobuline che dipendono dalla frazione costante

Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 12 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO

della catena pesante che sono le: IgM, IgG, IgA, IgD, IgE che si trovano dislocate in maniera diversa
nelle varie secrezioni e tessuti. Esistono solo 2 tipi di catene leggere: catena alpha e catena lambda. Il
sistema immunitario attraverso lo splicing alternativo ha la possibilità di produrre anticorpi che
riconoscono lo stesso antigene ma sono diverse dal punto di vista della classe.

Immunoglobuline:

• La classe IgM è quella a più alto peso molecolare, va a costituire attraverso dei legami dei
pentameri, rappresentano circa il 6% delle immunoglobuline circolanti, sono le prime
immunoglobuline che vengono prodotte durante la risposta primaria, vivono in media circa 6
giorni.
• La classe IgG sono quelle maggiormente rappresentate, si suddividono in varie sottoclassi, è il
principale anticorpo prodotto nella risposta secondaria, sono le uniche immunoglobuline che
possono attraversare la barriera fetoplacentare e vengono coinvolte nella malattia emolitica
del neonato, incompatibilità fetale del fattore Rh. Questa patologia è dovuta a delle
immunoglobuline della classe IgG che dopo la prima gravidanza possono attraversare la
barriera fetoplacentare e creare danno nell’eventualità di un feto Rh positivo con madre Rh
negativa. L’identificare di un aumento delle IgM nei confronti di un determinato agente
patogeno indica in linea di principio la presenza di un’infezione in atto, la presenza delle sole
IgG indica il superamento della patologia, la presenza di IgM e IgG indica che la patologia è in
parte in atto ma si è già attivata la risposta di tipo secondario. La durata delle IgG in circolo è in
media 21 ma dipende dai diversi agenti patogeni.
• Le IgA sono dei dimeri e vengono prodotte dalle plasmacellule che si trovano nelle sedi dove ci
sono secrezioni, si trovano a livello delle lacrime, della saliva, colostro (primo latte prodotto
dalla madre).
• Le IgD sono quelle maggiormente rappresentate sulla superficie cellulare ma sono poco
circolanti. Il linfocita B quando viene in contatto con l’antigene ha sulla sua superficie le IgM e
le IgD, nel momento in cui si ha il riconoscimento antigenico viene portata dentro
l’informazione, vengono generate da subito le IgM, successivamente verranno prodotte tutte le
classi di immunoglobuline.
• Le IgE vengono prodotte nelle risposte allergiche e trovano la loro sede di attacco una volta
prodotte e secrete sulla superficie dei mastociti o dei basofili, sono responsabili della rottura
della membrana dei mastociti o dei basofili con la liberazione di istamina

La funzione anticorpale è quella di legarsi in vari distretti e facilitare meccanismi come la fagocitosi o
favorire l’attivazione del complemento per favorire la lisi cellulare. Una volta che le cellule T e B
vengono attivate vanno incontro a proliferazione andando a costituire il cosiddetto clone cellulare che
si adatterà per andare a costituire sia cellule effettrici che cellule della memoria. Nel caso delle cellule
B effettrici, si differenzieranno in plasmacellule per la produzione di anticorpi.

L’importanza della cellula della


memoria è legata al fatto che nel
momento in cui vengo a contatto
nuovamente con lo stesso tipo di
antigene, ho tutte le cellule per
sconfiggere l’antigene in maniera più
rapida ed efficace.

Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 13 di 14
ISTOLOGIA II IST06 –SISTEMA IMMUNITARIO

A livello 0 si ha il primo contatto con l’antigene. Nella risposta immunitario di tipo secondario produco
già IgG da subito, quindi la risposta è più rapida e il livello di anticorpi secreti è nettamente più elevato.

I 2 meccanismi di risposta immunitaria


funzionano sempre
contemporaneamente, i linfociti B e T
coadiuvano per effettuare la risposta
immunitaria, quello che varia dipende
dal tipo di infezione con la quale
veniamo in contatto, in caso di infezione
batterica c’è fagocitosi da parte dei
macrofagi o il riconoscimento degli
antigeni da parte dei linfociti B, i
linfociti B poi diventano APC per i
linfociti T i quali a loro volta si
attiveranno per esplicare la risposta di
tipo cellula-mediata e favoriranno la
produzione degli anticorpi da parte dei
linfociti B. Nel momento in cui
l’infezione è di tipo virale partono prima
i linfociti i tipo T, il virus può essere
riconosciuto solo ed unicamente grazie
alla presenza di un incontro tra i linfociti
T e le cellule infettate. Nel momento in cui il linfociti T vengono attivati, sia i linfociti T helper, sia i T
citotossici indurranno i linfociti B a produrre gli anticorpi.

Autore: Martelli Linda, Morabito Elisa, Broccoli Giulia, Ottaviani Agnese per Medicina08 14 di 14
ISTOLOGIA – Istologia II VID02 - EMOPOIESI

ISTOLOGIA II
“EMOPOIESI”
ID lezione VID02 Modulo ISTOLOGIA II
Data lezione 20 marzo 2021
Autore Elisa Micci
Lezione
Prof. Monica Mattioli Belmonte
tenuta da
Argomento Emopoiesi
Eventuali
Lezione caricata sul sito learn
riferimenti

Parliamo ora di emopoiesi o ematopoiesi, cioè della


formazione degli elementi figurati del sangue che sono
elementi labili ovvero hanno una vita più o meno
breve ad eccezione dei linfociti. È quindi necessario
provvedere al loro rinnovamento per poter
mantenere il loro numero costante. Le cellule del
sangue vengono prodotte dal tessuto emopoietico. Per
emopoiesi intendiamo la produzione della
componente corpuscolata del sangue mentre per
emocateresi la distruzione della componente
corpuscolata mentre la componente plasmatica del
sangue ha origine diversa.

L’emopoiesi si distingue in due fenomeni:

• emopoiesi prenatale che si divide in quattro frasi:

-mesoblastica: avviene nel sacco vitellino che si forma durante la seconda settimana di vita intrauterina
a livello del mesoderma extraembrionale e qui le cellule mesenchimali si iniziano ad aggregare tra loro
formando isole sanguigne. Le cellule periferiche andranno a costituire le pareti vasali mentre le altre
diventeranno eritroblasti che si differenzieranno in eritrociti nucleati
-epatica: avviene durante la sesta settimana, gli eritrociti sono ancora nucleati e solo durante
l’ottava settimana si iniziano a produrre leucociti

-splenica: avviene all’inizio del secondo


semestre e continua fino al termine del
trimestre insieme a quella epatica
per un certo periodo -mieloide: verrà
mantenuta durante la vita postnatale e
inizia verso la fine del secondo semestre.
Man mano che si sviluppa il sistema
scheletrico, il midollo osseo assume un
ruolo sempre più importante nella produzione di cellule ematiche

• emopoiesi postnatale: fase in cui non partecipano mai il fegato e la milza

Autore: Elisa Micci per Medicina08 1 di 8


ISTOLOGIA – Istologia II VID02 - EMOPOIESI

Ogni giorno vengono prodotte dal midollo osseo 10^11 cellule.

Il midollo osseo

Il midollo osseo è l’unico organo deputato alla sintesi degli elementi figurati del sangue e produrrà
perciò sia globuli bianchi che globuli rossi che piastrine. È un organo disperso, contenuto nel canale
diafisario scavato nel tratto centrale delle ossa lunghe e nelle cavità del tessuto spugnoso per un peso
complessivo nell’adulto di 1500-3500 grammi con una spiccata variabilità individuale.
Inizialmente buona parte si trova nella cavità delle ossa lunghe, poi con il passare del tempo tende a
ridursi e a rimanere nell’adulto soprattutto nelle creste iliache.

Si riconoscono tre tipi di midollo osseo:

• rosso così definito per la presenza di una fitta rete di capillari, di cellule emopoietiche di cui
soprattutto globuli rossi, infatti esso ha il compito di formare gli elementi figurati
• giallo che è prevalentemente formato da grasso (ricco di adipociti uniloculari) e in particolari
circostante può trasformarsi in midollo rosso a funzione emopoietica
• gelatinoso presente unicamente nelle persone anziane

Nell’adulto il midollo giallo si trova nel canale diafisario mentre il midollo osseo nel tessuto osseo
spugnoso soprattutto nelle ossa piatte della cresta iliaca e dello sterno.
Il midollo osseo viene infatti di solito prelevato in corrispondenza della cresta iliaca.

Il midollo osseo possiede due tipi di cellule staminali:

• mesenchimali
• ematopoietiche dalle quali si sviluppano tutte le cellule del sangue quindi parliamo di una
cellula iniziale pluripotente

Queste cellule sotto l’influenza di fattori tissutali e ormonali si differenziano nelle linee specifiche del
sangue.

Questo è l’aspetto del midollo osseo, dove


troviamo una trabecola ossea in alto e tutte le
cellule del sangue, che non sono facilmente
distinguibili ma si possono notare le più
grandi che sono i megacariociti.

Struttura del midollo osseo

Autore: Elisa Micci per Medicina08 2 di 8


ISTOLOGIA – Istologia II VID02 - EMOPOIESI

(in questa immagine è rappresentato il midollo osseo spugnoso contenuto nell’epifisi delle ossa)

Esso è costituito da cavità


compartimentalizzate da
trabecole ossee che
contengono:

• cellule stromali con


funzione di supporto
come adipociti,
fibroblasti e macrofagi
• cellule emopoietiche
che costituiscono le
varie popolazioni delle cellule del sangue
• sistema vascolare con capillari che si anastomizzano tra loro e che sono detti capillari fenestrati
o discontinui che sono estremamente permeabili che permettono la fuoriuscita di cellule
diventate mature
• matrice extracellulare che fornisce una rete importante dove le cellule si possono ancorare e
serve anche per la corretta presentazione dei fattori di crescita che favoriscono il
differenziamento delle cellule verso linee specifiche.

Il microambiente emopoietico

Questo tipo di struttura viene anche definito microambiente cioè la presenza di matrice extracellulare
che possa presentare determinate molecole e che possa favorire l’interazione cellula-cellula viene
definito microambiente, più esattamente nicchia emopoietica in questo caso. Quindi cellule stromali ed
emopoietiche che sono connesse tra loto tramite uno stroma a favorire l’interazione e il
differenziamento cellulare.

Ci sono una serie di fattori che mi permettono di favorire questo fenomeno come:

• contatto con la superficie


• presenza matrice extracellulare
• produzione di fattori solubili che entrano attraverso il letto vascolare e che favoriscono la
proliferazione, il differenziamento e la quiescenza dei progenitori emopoietici

Le funzioni della nicchia emopoietica sono diverse:

• istruire all’autorinnovamento cellulare dato che sono cellule staminali e che sono quindi in
grado da un lato di dare origine a cellule uguali a loro stesso e dall’altro di dare origine a cellule
che andranno incontro a differenziamento
• fornire uno spazio anatomico
• influenzare la mobilità cellulare

Il microambiente è costituito da cellule staminali che prendono contatto con


la nicchia tramite un contatto diretto cellula-cellula o un contatto tramite
fattori solubili che vengono rilasciati attraverso la matrice e che inducono le
cellule staminali ad andare incontro a un processo di differenziamento o può
essere la presenza di più cellule collegate tra loro che mi permette di indurre
il differenziamento della cellula staminale.

Il processo emopoietico avviene attraverso tre/quattro fasi successive che comportano la progressiva
riduzione delle potenzialità differenziative, la perdita della capacità proliferativa e l’acquisizione di
proprietà morfo-funzionali caratteristiche. Le cellule diventano quindi sempre più capaci di svolgere al
meglio la funzione a cui sono destinate.

Autore: Elisa Micci per Medicina08 3 di 8


ISTOLOGIA – Istologia II VID02 - EMOPOIESI

Le cellule staminali emopoietiche pluripotenti e che sono in grado quindi di dare origine a tutte le
popolazioni corpuscolate del sangue sono circa l’0,1%. Parte di queste deve essere in grado di
mantenere la staminalità, parte comincia già un processo differenziativo e il primo a cui si assiste è la
separazione in due popolazioni di cellule che rimangono ancora pluripotenti ma si dividono in cellule
della linea mieloide responsabile della formazione di granulociti, eritrociti, piastrine e monociti e in
cellule della linea linfoide che produrranno linfociti B e T.
Normalmente queste cellule, difficilmente identificabili in singolo vengono identificate come gruppi di
cellule formanti colonie chiamate CFU-GEMM per il precursore mieloide e CFU-Ly per quello della linea
linfoide.
La maturazione è caratterizzata da molti aspetti comuni come:

• riduzione dimensioni e capacità di sintesi proteica


• addensamento cromatina
• scomparsa nucleoli
• comparsa nel citoplasma delle caratteristiche cellule mature come i granuli nei granulociti

La regolazione del processo emopoietico dipende da numerosi fattori come citochine e fattori di
crescita che vengono prodotti da cellule di tipo diverso. Si distinguono le citochine che sono polipeptidi
o proteine che fungono da segnali di comunicazione fra cellule e le interleuchine che sono citochine
prodotte dalle cellule del sistema immunitario.

Esempi di alcuni fattori importanti

• fattore delle cellule staminali SCF prodotto dalle cellule stromali che facilita l’adesione della
cellula staminale totipotente alle cellule stromali, in maniera da confinare le pluripotenti a livello
del midollo osseo
• interleuchine tra cui alcune come IL-1,-3,-6 servono a mantenere costante il numero delle
cellule pluripotenti, altre come la IL-3,-8,-11 servono a favorire il differenziamento in
progenitrici uni potenti
• eritropoietina fondamentale per la produzione di globuli rossi
• trombopoietina che stimola la formazione delle piastrine

Questa è un’immagine del midollo osseo dove si possono


vedere colonie di cellule che rimangono le une vicine alle
altre e normalmente quando si produce una determinata
popolazione cellule si formano delle isole vere e proprie
che producono solo globuli rossi, un’altra solo
granulociti

Autore: Elisa Micci per Medicina08 4 di 8


ISTOLOGIA – Istologia II VID02 - EMOPOIESI

Dalla cellula staminale emopoietica si ha una grossa distinzione in cellule progenitrice mieloide e
linfoide

Maturazione delle cellule a partire dalla cellula progenitrice mieloide

L’eritropoiesi è il processo con cui vengono prodotti gli eritrociti


Dalla cellula staminale totipotente si differenziano prima le due unità progenitrici degli eritrociti ovvero

• BFU-E (blast-forming units-erithrocyte) responsabili della maturazione delle cellule


• CFU-E (colony-forming units-erithrocyte) che formano colonie
Fasi di maturazione:

• proeritroblasto che è una cellula piuttosto grande


con un elevato rapporto nucleo-citoplasma, con un
nucleo rosso e sottili aggregati citoplasmatici
• eritroblasto basofilo con maggiore concentrazione
della cromatina e la presenza di maggior quantità di
elementi della sintesi proteica a livello del citoplasma
(aspetto basofilo)
• eritroblasto policromatofilo in cui la sintesi di
emoglobina già iniziata nell’eritroblasto basofilo inizia
ad essere evidente. Qui la policromatofila indica che il
citoplasma sta variando dalla colorazione basofila a
quella acidofila

Autore: Elisa Micci per Medicina08 5 di 8


ISTOLOGIA – Istologia II VID02 - EMOPOIESI

• eritroblasto ortocromatico con un nucleo piccolo,


tondo e denso, in fase di espulsione e citoplasma più
acidofilo in quando comincia ad essere maggiormente
presente l’emoglobina

• reticolocita in cui il nucleo è già stato espulso ma


abbiamo ancora degli elementi della sintesi proteica che
si colorano ancora di blu
• eritrocita in cui è presente solo emoglobina, infatti
troviamo un citoplasma rosa

Normalmente dal midollo osseo vengono rilasciati anche in piccola parte reticolociti ma
prevalentemente globuli rossi maturi che vivono circa 120 giorni e poi vengono distrutti dal sistema
vascolare prevalentemente quindi dalla milza e fegato e piccola parte a livello intravascolare

La formazione di globuli rossi richiede circa 7/8 giorni e tanto maggiore sarà la produzione di
eritropoietina da parte del rene tanto maggiore sarà lo stimolo a produrre globuli rossi. L’eritropoietina
viene prodotta a livello renale perché l’apparato iuxtaglomerulare che si trova a livello del rene è in
grado di percepire la pressione parziale di ossigeno per cui in zone rarefatte come in alta montagna
viene prodotta eritropoietina che stimola la produzione di globuli rossi in maniera da sopperire alla
scarsità di ossigeno a livello atmosferico.

La mielopoiesi o granulocitopoiesi è quel processo che porta alla formazione dei granulociti basofili,
eosinofili e neutrofili che sono i più abbondanti.

Inizialmente la cellula che


produrrà i granulociti è la stessa che produrrà i monociti poi successivamente avremo una cellula, CFU-
G specifica per la produzione di granulociti.
Il mieloblasto è un precursore comune a tutte e tre le linee e solo successivamente avremo un
differenziamento nelle tre linee cellulari.

Questo è il mieloblasto che diventa un promielocita a partire dal quale cominceremo ad avere il
differenziamento delle tre linee, ad esempio, per quanto riguarda l’eosinofilo si avrà il metamielocia
eosinofilo, poi la cellula eosinofila e infine l’eosinofilo vero e proprio.

Autore: Elisa Micci per Medicina08 6 di 8


ISTOLOGIA – Istologia II VID02 - EMOPOIESI

Vediamo qualche esempio:

• mieloblasto che è una cellula con un nucleo rosso,


piuttosto grande con aggregati citoplasmatici e numerosi
processi citoplasmatici
• promielocita che ha numerosissime granulazioni
a livello del citoplasma e si iniziano a vedere i granuli
primari, quindi azzurrofili

• mielocita che comincia a produrre granulazioni più


specifiche quindi riusciremo a identificare il mielocita
eosinofilo, basofilo e neutrofilo
• metamielocita in cui si inizia anche a vedere la modifica
dell’aspetto del nucleo che nelle cellule granulate è
polimorfo nucleato nel caso dei neutrofili, bilobato nel caso
degli eosinofili e reniforme nel caso dei basofili

• neutrofilo giovane in cui, in questo caso, si inizia


a vedere un nucleo bilobato
• neutrofilo in cui notiamo un nucleo
polimorfonucleato caratteristico della cellula
neutrofila

Monocitopoiesi

Abbiamo un precursore comune con la serie granulocitaria, poi


abbiamo cellule che prendono il nome di monoblasto e
promonoblasto che sono piuttosto grandi con un nucleo
reniforme e grossi granuli azzurrofili che sono poi
fondamentalmente granuli lisosomiali. Si formano circa 10^10
monociti al giorno e la maggior parte di questi entra nel terrente
circolatorio. Poi questi vanno a svolgere la loro funzione come
macrofagi a livello dei tessuti. Alcuni monociti vanno a finire in
distretti periferici andando a costituire i macrofagi tissutali o le
cellule dendritiche presenti a livello dei linfociti o del sistema
nervoso centrale

Autore: Elisa Micci per Medicina08 7 di 8


ISTOLOGIA – Istologia II VID02 - EMOPOIESI

Piastrinopoiesi o trombocitopoiesi o megacariocitopoiesi

Si parte da una cellula commissionata per


la formazione delle piastrine che prende il
nome di CFU-Meg che è una cellula grande
e che anziché andare incontro ad una
progressiva riduzione della sua
dimensione, va incontro ad un progressivo
aumento della propria dimensione, e
quindi ad una serie di divisioni cellulari in
cui si ha una duplicazione del DNA senza
avere una separazione del citoplasma. Quindi avremo cellule che diventano 16N, poi 32N, fino a 64N. Le
fasi sono megacarioblasto, promegacarioblasto, megacariocita maturo e infine megacariocita vero
e proprio il quale andrà incontro ad un fenomeno di frammentazione del proprio citoplasma, a seguito
della quale verranno prodotte le piastrine.

Il megacariocita è una cellula molto grande che arriva fino a 100 micron di diametro contro i 12-14
micron delle altre cellule, si dispone vicino ai sinusoidi, cellule vascolari, e il suo citoplasma si frammenta
in seguito a invaginazione e quindi vengono emesse le singole piastrine. I rimasugli cellulari del
megacariocita verranno poi fagocitati dai macrofagi

Questo è lo spettro di frammentazione del citoplasma


delle piastrine

Facciamo un breve accenno a quello che sarà il destino delle cellule destinate alla linfocitopoiesi.

La cellula staminale pluripotente commissionata per la linfocitopoiesi darà origine molto precocemente
a due popolazioni cellulari differenti, una che darà origine ai linfociti B e una ai linfociti T.

Le prime rimarranno all’interno del midollo osseo, dando origine a cellule che diventeranno linfociti
B immunocompetenti. Questi eventi identificati per la prima volta negli uccelli, in un organo
particolare chiamato la borsa di Fabrizio avvengono nei mammiferi nel midollo osseo che viene definito
organo linfatico primario.
Le secondo invece migreranno molto precocemente a livello del timo per far produrre i linfociti T e a
livello di questo organo ci sarà un’elevata selezione per fare in modo di produrre solo le cellule
immunocompetenti in grado di funzionare correttamente. Una volta ottenute queste cellule a livello del
timo sia i linfociti T che B migreranno a livello degli organi linfatici secondari dove sono in grado di
formare delle cellule di tipo immunocompetenti.

Autore: Elisa Micci per Medicina08 8 di 8


ISTOLOGIA II
“ORGANI LINFATICI”
ID lezione VID03 Modulo Istologia II
Data lezione 20 Marzo 2021
Autore Masè Alessio, Gambuti Martina
Lezione
tenuta da Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima
Argomento Organi linfatici
Eventuali
Lezione caricata su sito learn.
riferimenti

ORGANI LINFATICI
Esistono 2 tipi di organi linfatici:

• Organi linfatici primari: timo e midollo osseo.


• Organi linfatici secondari: linfonodi, milza e MALT

Organi linfatici primari


Rappresentano il luogo di produzione e maturazione dei linfociti, cioè dove si differenziano e
specializzano per riconoscere un determinato antigene. Il processo di maturazione è molto selettivo, i
linfociti che non sono capaci di riconoscere antigeni self o MHC autologo vengono distrutti.

La maturazione dei linfociti B e T è molto simile: si parte da una cellula staminale, la quale si
differenzia in pro-linfocita e poi in pre-linfocita (inizia ad avere recettori per riconoscere l’antigene). Il
linfocita immaturo dovrà essere sottoposto a un processo selettivo per diventare un linfocita maturo e
poi una vera e propria cellula effettrice.

La maturazione dei linfociti B inizia e termina a livello del midollo osseo (nel fegato durante lo
sviluppo fetale); mentre i linfociti T dovranno terminare il loro processo di differenziamento nel timo.
L’indirizzamento verso una linea B o T è indotto da particolari segnali che possono spingere il linfocita
verso il timo oppure farlo rimanere nel midollo e quindi farlo diventare un linfocita B.
Ad esempio, l’interleuchina 7 (IL-7) è importantissima per la maturazione del linfocita T, essa viene
sintetizzata a livello delle cellule stromali del midollo osseo e del timo.
ISTOLOGIA – Istologia II VID03 – ORGANI LINFATICI

MIDOLLO OSSEO

L’intero processo di maturazione del


linfocita B avviene all’interno del
midollo osseo e avviene in più tappe:
si parte da una cellula staminale che
si differenzia inizialmente in Linfocita
Pro-B, il quale non possiede
caratteristiche recettoriali, ma
possiede comunque dei marcatori
specifici che mi fanno capire che diventerà un Linfocita B. Inoltre, tutti i linfociti Pro nel citoplasma
possiedono l’enzima TdT (deossinucleotidil transferasi terminale) che è utile per rimaneggiare i geni e
indurli a esprimere le caratteristiche di uno (B) piuttosto che l’altro (T), quindi esprimere le
immunoglobuline piuttosto che il TCR receptor o viceversa. A questo punto si passa al linfocita Pre-B, il
quale esprime una piccola percentuale di catene pesanti citoplasmatiche delle immunoglobuline sulla
membrana. A livello del linfocita B immaturo, le IgM vengono completamente espresse e il linfocita è
pronto per essere immesso nel torrente circolatorio in modo da poter raggiungere gli organi linfatici
secondari. A questo stadio però il linfocita non è ancora in grado di fornire una risposta immunitaria,
infatti nel caso in cui dovesse incontrare l’antigene andrebbe in apoptosi. Finiscono di perfezionarsi
entrando in contatto con altri linfociti B nell’organo linfoide secondario. I linfociti B vergini (ancora
non attivati dall’antigene) possiedono IgD e IgM, oltre ai recettori C3 per il complemento e le MHC II.

Nel midollo osseo si trovano delle specifiche nicchie


di staminalità, di cui una anche per la maturazione
del linfocita B. Come è possibile notare dalla figura, la
maturazione dei Linfociti B è indotta da cellule del
sangue, in particolare plasmacellule e cellule
dendritiche, e il linfocita B immaturo viene liberato
nel flusso ematico.

TIMO

Dopo essere stati prodotti a livello del midollo osseo, i timociti (linfociti T immaturi) arrivano al timo,
un organo linfoepiteliale che deriva dalla III e IV tasca faringea (parte cefalica dello sviluppo
embrionale). Il timo è un organo impari situato nel mediastino. È costituito da due lobi simmetrici ed
esternamente è racchiuso da una capsula connettivale, da cui partono trabecole che suddividono
l’organo in lobuli. Ogni lobulo è composto da una zona corticale periferica ed una zona midollare
centrale.
Il timo tende a degenerare con l’età (involuzione dai 16 anni in
poi) e tende a trasformarsi in tessuto adiposo. I timociti
maturano inizialmente nella corticale, poi trasferiti nella
midollare e infine vengono liberati nel flusso ematico per
arrivare agli organi linfatici secondari.

Autore: Masè Alessio e Gambuti Martina per Medicina08 2 di 7


ISTOLOGIA – Istologia II VID03 – ORGANI LINFATICI

Dall’immagine è possibile distinguere i vari lobuli del timo e in ognuno identificare la regione corticale
(più scura) e la regione midollare. Cellule della corticale = timociti e cellule reticolo-epiteliali. Cellule
della midollare = linfociti T maturi, cellule dendritiche, macrofagi e corpuscoli di Hassall
(degenerazione delle cellule epiteliali).

La diversa colorazione dipende dal grado di maturazione dei linfociti, infatti sappiamo che i linfociti
sono delle cellule piuttosto piccole ma con elevato rapporto nucleo/citoplasma, quindi sono altamente
colorabili -> questo ci permette di comprendere che nella regione midollare passeranno solamente
pochi dei linfociti presenti nella corticale -> solamente il 5-10% dei linfociti della corticale
sopravvivono alle varie selezioni durante il processo di maturazione.

Di fondamentale importanza per la maturazione delle cellule T è il microambiente timico, cioè le varie
popolazioni cellulari con le quali i linfociti T possono entrare in contatto:

• 3 varietà di cellule epiteliali


• Cellule interdigitali
• Macrofagi

Le cellule epiteliali vanno a costruire una rete


tridimensionale in grado di accogliere i timociti
a livello della corticale, in modo che questi
siano protetti dall’esposizione prematura agli
antigeni presenti nel sangue, che possano
entrare a contatto con cellule epiteliali che
esprimono MHC I e MHC II e che possano
ottenere informazioni utili per differenziarsi in
maniera corretta. Man mano che le cellule
epiteliali esauriscono il loro ruolo degenerano
in corpuscoli di Hassall.

Le cellule interdigitali si trovano invece a livello della midollare e sono utili per favorire i contatti tra
cellule. Anche i macrofagi si trovano nella midollare e servono per eliminare le cellule che sono andate
in apoptosi durante la loro maturazione.

Per il corretto differenziamento dei Linfociti T sono indispensabili delle


sostanze espresse dalle varie popolazioni cellulari:

• MHC I= espresse dalle cellule epiteliali


• MHC II = espresse dalle cellule dendritiche e macrofagi
• Citochine = espresse dalle cellule stromali ed epiteliali

I precursori dei linfociti T, dopo essere stati prodotti a livello del midollo
osseo, vengono trasportati nel timo:

1. Si inseriscono nella capsula connettivale (non esprimono né TCR


receptor né CD4 o CD8).
2. Nella corticale vengono dotati di TCR receptor.
3. Nella midollare vengono dotati di CD4 o CD8.

Le cellule che non maturano correttamente vengono eliminate per apoptosi o attraverso i macrofagi.

Autore: Masè Alessio e Gambuti Martina per Medicina08 3 di 7


ISTOLOGIA – Istologia II VID03 – ORGANI LINFATICI

I linfociti T entrano nella capsula


connettivale del timo allo stadio
di Linfociti Pro-T (o doppio
negativi). I linfociti Pre-T entrano
nella corticale dove gli viene
aggiunto il TCR receptor. I
linfociti doppio positivi escono
dalla corticale e si dirigono verso
la midollare, lungo questo
percorso subiscono 2 selezioni:

1. Selezione positiva = permette la sopravvivenza solo ai linfociti capaci di riconoscere MHC self,
gli altri vengono mandati in apoptosi. Quelli che sopravvivono, vengono trasformati a singola
positività:
✓ Se riconoscono MHC I -> esprimono CD8 (T citotossici)
✓ Se riconoscono MHC II -> esprimono CD4 (T helper)
2. Selezione negativa = tutti i linfociti che possiedono un’eccessiva affinità per le MHC vengono
mandati in apoptosi perché potrebbero creare problemi nel riconoscere cellule che hanno
subito alterazioni.

Al termine di questa doppia selezione, nella midollare avrò cellule singolo positive che sono pronte per
essere immesse nel torrente circolatorio ed essere trasportate negli organi linfatici secondari.

A questo punto abbiamo creato entrambe le popolazioni di linfociti, i quali però per svolgere la loro
azione devono entrare a contatto con l’antigene e devono coesistere insieme ai linfociti B e T, finora
divisi. Vengono quindi trasportati agli organi linfatici secondari.

Organi linfatici secondari


I principali sono milza, linfonodi e MALT:

• La milza riceve gli antigeni direttamente dal sangue


• I linfonodi sono specializzati nel catturare gli antigeni presenti nel tessuto linfatico (linfa)
• MALT = tessuto linfatico associato alle mucose

Cosa è la linfa?
A livello dei capillari sanguigni avviene lo scambio di nutrienti, gas e liquidi con i vari tessuti
interstiziali. Non tutto il liquido fuoriuscito rientra però nei vasi sanguigni, infatti circa il 10% (3L/die)
rimane nei tessuti come liquido interstiziale. Questo liquido rimanente è chiamato linfa e, per
mantenere una corretta omeostasi, deve essere drenato e riportato nel torrente circolatorio tramite i
capillari linfatici (presenti in tutti i tessuti tranne denti, ossa, midollo osseo, cornea, cartilagini, SNC),
che confluiscono poi nei vasi linfatici. La circolazione linfatica è messa in moto dall’azione meccanica
dei muscoli, quindi non avviene sulla spinta di una pompa come lo è il cuore per il circolo sanguigno.

La linfa scorre attraverso i linfonodi, fino ad arrivare al dotto linfatico destro, che raccoglie quella
proveniente dall’arto superiore destro e dalla parte destra del tronco e della testa, e al dotto toracico,
che riceve la linfa da tutto il resto del corpo. Ogni dotto reimmette la linfa nel circolo venoso in
corrispondenza della giunzione tra giugulare interna e succlavia del proprio lato del corpo.

Autore: Masè Alessio e Gambuti Martina per Medicina08 4 di 7


ISTOLOGIA – Istologia II VID03 – ORGANI LINFATICI

Vasi linfatici: costituiscono un sistema unidirezionale dove la linfa parte dai capillari linfatici e si
dirige unicamente verso il sistema cardiocircolatorio. I capillari linfatici permettono il drenaggio del
liquido interstiziale grazie alla loro elevata permeabilità garantita dalla presenza di minivalvole e
filamenti di ancoraggio.

Le minivalvole derivano dal fatto che le cellule epiteliali che costituiscono i capillari linfatici non sono
ben unite tra loro, possiedono dei margini distaccati che sporgono e permettono l’entrata di grandi
proteine e agenti patogeni.

Funzioni del circolo linfatico:

• Recupero: reimmette in circolo proteine plasmatiche (1/3 del totale) e acqua (fino a 5L/die).
• Assorbimento: trasporta i chilomicroni dai villi intestinali al circolo sanguigno.
• Immunitaria: la linfa viene filtrata nei linfonodi che trattengono gli agenti patogeni.

LINFONODI

I linfonodi sono posizionati strategicamente in tutto il corpo e possiedono


varie strutture associate:
▪ Vaso linfatico afferente (in altro a destra)
▪ Arteria
l’arteria entra, mentre vena e vaso efferente
▪ Vena
escono dal linfonodo a livello dell’ilo
▪ Vaso linfatico efferente

Nel linfonodo troviamo linfociti T e B (localizzati in posizioni differenti), cellule


epiteliali e macrofagi mobili.

Percorso della linfa: arriva attraverso il vaso linfatico afferente, passa


al seno marginale (o sottocapsulare), poi al seno intermedio, infine ai
seni midollari, per poi uscire attraverso il vaso linfatico efferente che
diventerà il vaso linfatico afferente del linfonodo successivo.

Nel linfonodo possiamo distinguere varie regioni:


➢ Capsula (di connettivo denso e tessuto adiposo)
➢ Corticale
➢ Paracorticale
➢ Midollare

Sotto alla capsula che avvolge il linfonodo troviamo il seno marginale e poi via via gli altri seni che
permettono di convogliare la linfa verso la zona midollare. La corticale possiede degli aggregati
cellulari rotondi chiamati follicoli linfoidi costituiti da
linfociti B della memoria e cellule dendritiche follicolari.
Distinguiamo 2 tipi di follicoli linfoidi:
- Follicoli primari: possiedono solo linfociti B
della memoria (più scuri)
- Follicoli secondari:
✓ Mantello: Linfociti
✓ Centro germinativo: plasmacellule, APC
e macrofagi.

Autore: Masè Alessio e Gambuti Martina per Medicina08 5 di 7


ISTOLOGIA – Istologia II VID03 – ORGANI LINFATICI

La paracorticale è posta tra i follicoli linfoidi e la midollare, contiene linfociti T, cellule interdigitali che
fungono da APC e venule ad endotelio alto (HEV). Il 90% dei linfociti penetra nel linfonodo attraverso
le pareti di queste venule, mentre il resto entra per il vaso linfatico afferente.
La midollare contiene poche plasmacellule, soprattutto macrofagi e linfociti B e T maturi ed è quindi la
zona che mi permette di mettere in relazione le due popolazioni cellulari di linfociti.

Come gli antigeni raggiungono i linfociti:

MILZA

È molto vascolarizzata, infatti nella parte concava (ilo) il sangue entra


attraverso l’arteria splenica, che forma diramazioni, poi esce dalla vena
splenica. È inoltre rivestita da una capsula di connettivo denso esterno, la
quale poi si dirama e divide la milza in lobuli. Si distinguono due porzioni:
• Polpa Rossa = formata da cellule macrofagiche che si occupano di
filtrare il sangue, eliminando detriti ed eritrociti invecchiati
(funzione emocateretica) e recuperando il ferro dalle molecole di
emoglobina degradate.
• Polpa Bianca = formata da tessuto linfoide, che si attiva in risposta agli antigeni circolanti nel
sangue (funzione immunologica).

È possibile effettuare questa distinzione cromatica se osserviamo


la milza a fresco, mentre se osserviamo un preparato istologico di
milza i colori non corrispondono, perché la polpa bianca risulta
più colorata della rossa.

La polpa bianca contiene noduli linfatici o follicoli


secondari (diversi da quelli linfonodali) con linfociti B e
PALS (guaine linfatiche ricche di linfociti T, che circondano
un’arteriola centrale). Nella polpa rossa troviamo i sinusoidi
(dilatazioni dei vasi sanguigni), circondati da macrofagi.

Autore: Masè Alessio e Gambuti Martina per Medicina08 6 di 7


ISTOLOGIA – Istologia II VID03 – ORGANI LINFATICI

MALT (Tessuto linfatico associato alle mucose)

È molto diffuso nel tratto gastro-intestinale, uro-genitale, tiroide, polmoni, pelle e occhi. Il suo ruolo è
assicurare una risposta immunitaria completa (completa = cellulare + umorale) in risposta a
stimoli antigenici locali.

Contiene linfociti T e B, macrofagi e nel tratto gastro intestinale sono state individuate anche le cellule
M (svolgono il ruolo di presentazione dell’antigene).

Esistono 6 gruppi di MALT diversi in base alla loro


localizzazione:

➢ GALT = intestinale (placche del Pleyer a livello dell’ileo)


➢ BALT = area bronchiale
➢ NALT = nasale
➢ SALT = cutaneo (epidermide)
➢ VALT = endoteliale (vasi)
➢ CALT = oculare

Indipendentemente dalle varie localizzazioni, le caratteristiche


del MALT sono le associazioni a follicoli linfatici:

- Tonsille = aggregati nodulari nel tratto naso-faringe:


▪ Palatine -> follicoli rivestiti di tessuto epiteliale
pavimentoso pluristratificato (tipico della
mucosa orale).

▪ Faringee (adenoidi) -> follicoli rivestiti da tessuto


epiteliale pseudostratificato ciliato (tipico del
rinofaringe).

- Appendice ileo cecale (foto di sinistra) e placca di Pleyer (nella sottomucosa dell’ileo),
entrambe per garantire difesa immunitaria a livello intestinale.

Autore: Masè Alessio e Gambuti Martina per Medicina08 7 di 7


ISTOLOGIA
“TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO”

IST07
ID lezione Modulo Istologia

Data lezione 22 Marzo 2021

Autore Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto e Jonathan Costantini

Lezione tenuta
Prof. Monica Mattioli Belmonte Cima
da

Argomento Tessuto cartilagineo e tessuto osseo

Eventuali
Slide proiettate a lezione e libro capitoli:
riferimenti

Tessuto cartilagineo
Il tessuto cartilagineo è una forma specializzata di tessuto connettivale sprovvista sia della
vascolarizzazione che dell’innervazione. È un tessuto molto solido e flessibile e meno resistente del
tessuto osseo dal punto di vista meccanico. In relazione alla sua composizione è adatto a esercitare un
effetto importante ad alcune sollecitazioni meccaniche dovute alla compressione. Lo ritroviamo in
alcune zone dove è necessario mantenere aperte le strutture cave,
come ad esempio nell’apertura delle vie aeree (noi abbiamo a livello
del collo il canale dell’apparato digerente e dell’apparato respiratorio
dove la presenza del tessuto cartilagineo ci permette di tenere il
canale pervio).

Gran parte del nostro scheletro deriva dal tessuto cartilagineo che si
sviluppa durante il periodo embrionale fetale che poi viene sostituito
da tessuto osseo nella vita adulta.

COME TUTTI I TESSUTI CONNETTIVI, il cartilagineo è costituito da cellule disperse in una matrice
extracellulare, che sono:

• Condrobasti/condrociti responsabili della produzione della matrice extracellulare


stessa,e privi di lamina basale. Queste cellule sono confinate in delle nicchie dette lacune
condrocitarie e distribuite all’interno della matrice cartilaginea.

L’abbondante sostanza intercellulare costituita da: fibre extracellulari e sostanza fondamentale (o


amorfa).
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO

Pericondrio
Poiché il tessuto cartilagineo è privo sia di innervazione che di vascolarizzazione, il meccanismo di
vascolarizzazione gli deve essere fornito da un tessuto connettivale particolare che si trova associato a
tutti i tessuti cartilaginei e che prende il nome di pericondrio (dal greco = intorno alla cartilagine).

La sua componente cellulare è caratterizzata da fibroblasti sparsi e la sua funzione è quella di fornire
nutrimento alla cartilagine e durante le fasi di accrescimento della cartilagine, A livello dello strato più
interno, i pericondri mantengono la capacità di differenziarsi.

Il pericondrio manca a livello della cartilagine articolare, quindi a questo livello le sostanze
nutritizie dovranno essere fornite da un altro tessuto. Per quanto riguarda la funzione trofo-
respiratoria, è importante ricordare che gli scambi di gas respiratori e dei metaboliti fra il
sangue dei capillari intra-pericondriali e le cellule confinate nelle lacune condrocitarie possono
avvenire grazie all’alto gradiente di diffusibilità che caratterizza la matrice cartilaginea. Questa
proprietà dipende da un elevato tasso di idratazione conferito dai glicosamminoglicani acidi e
proteoglicani e quindi dall’alta pressione idrostatica. Tale pressione è esercitata
dall’acqua, attratta elettrostaticamente da queste molecole anioniche, in un contesto
strutturale pressoché inestensibile per via di una impalcatura collagenica che ingabbia il
tessuto impedendo adattamenti volumetrici, determinando così il turgore caratteristico.

Ha la funzione di:

- Nutrimento
- Produzione condroblasti, tramite accrescimento per apposizione.

Il tessuto cartilagineo deve seguire l’accrescimento dell’individuo e quindi deve considerare la


possibilità di aumentare le proprie dimensioni. Una delle modalità di accrescimento è quella di
permettere alle cellule del pericondrio, che si trovano più a contatto con il tessuto cartilagineo stesso,
di andare incontro a un fenomeno differenziativo che porterà alla produzione di condroblasti, che
andranno a formare la matrice extracellulare. Attraverso questo sistema si può aumentare lo spessore
della cartilagine.

Quando nasce la cartilagine?

Nasce nel periodo embrionale, dalla quinta settimana, a partire delle cellule mesenchimali. Queste
cellule, se opportunamente stimolate da fattori di crescita, da morfogeni e in seguito alle pressioni
esercitate dai tessuti che stanno modificando la loro forma, sono indotte a differenziarsi in condroblasti.
Successivamente, il differenziamento in condrociti avviene attraverso un meccanismo che prevede la
perdita dei loro prolungamenti. Così rimangono soltanto cellule tondeggianti che costituiranno dei siti
dove si formerà la cartilagine, chiamati centri di condrificazione, cominceranno a cambiare la loro
produzione proteica, continueranno a produrre proteoglicani ed elementi fibrillari ma le caratteristiche
di queste molecole saranno differenti e permetteranno di formare la matrice extracellulare. A mano a
mano che producono matrice, rimangono imprigionati in questo tessuto, fino ad arrivare ad un punto in
cui il rapporto superfice/volume delle cellule sarà insufficiente per il corretto metabolismo delle cellule.
Durante questo sviluppo verrà ridotto al massimo l’apporto vascolare al tessuto cartilagineo. Quindi da

Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 2 di 18
ISTOLOGIA – Istologia II IST07 – TESSUTI CONNETTIVI DI SOSTEGNO

una cellula grande, in seguito al processo di divisione, si formeranno due cellule figlie, le quali non
riusciranno ad allontanarsi dalla zona dove era presente la cellula madre, perché la matrice prodotta
dalla cartilagine è particolarmente viscosa.

Quindi l’insieme delle cellule che restano vicine, addossate le une alle altre, prendono il nome
isogeno (formato dalle 4 alle 6 cellule). Dal momento in cui le cellule sono andate
di gruppo esogeno
incontro a divisione, esse acquisiscono un’altra modalità di accrescimento, perché ora
hanno un rapporto superficie/volume che garantisce una corretta attività metabolica e
permette di formare matrice extracellulare. I condrociti dei gruppi esogeni
isogeni modificano il loro
profilo, rimanendo convessi a livello dei versanti rivolti verso la parete lacunare e
appiattendosi a livello dei fronti di contrapposizione reciproca. Il complesso costituito da un
condrocita o da un gruppo esogeno e matrice cartilaginea viene denominato condrone. Nelle
cartilagini fetali soggette a processi di ossificazione encondrale e nelle cartilagini metafisarie
delle ossa lunghe, si riscontra la presenza di una ulteriore popolazione cellulare, denominata
condroclasti. Si tratta di voluminosi fagociti multinucleati ricchi di lisosomi. Queste cellule
sinciziali sono responsabili dell’erosione del tessuto cartilagineo calcificato. Questo processo
prelude all’arrivo di cellule osteoprogenitrici destinate ad avviare la deposizione della matrice
osteoide che rimpiazza il tessuto cartilagineo rimosso.

Quindi la cartilagine, non appena viene formata, si accresce:

• in parte per apposizione, ovvero il tipo di accrescimento che consiste nella formazione
superficiale di un nuovo tessuto condrale durante l’accrescimento pre e post-natale;

• in parte perché le cellule all’interno della matrice vanno incontro a divisione e crescono per
via interstiziale permettendo la formazione di nuova matrice mediante deposizione di
nuova matrice da parte dei condroblasti, con conseguente allontanamento tra le lacune
condrocitarie.
Aspetto morfologico delle cellule
cartilaginee:

le cellule cartilaginee sono


tondeggianti. Si trovano localizzate al
di sotto dello strato del pericondrio,
infatti si trovano nello strato
condrogenico che è quello in cui le
cellule del pericondrio si possono
trasformare in condroblasti. hanno
un nucleo eccentrico (presente in
tutte le cellule adibite alla
secrezione).

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La differenza tra condroblasto e condrocita è la riduzione della componente del reticolo endoplasmatico
rugoso, e l’aumento di glicogeno che è importante per l’attività metabolica delle cellule, poiché nelle
cellule cartilaginee manca la vascolarizzazione, quindi la cellula ha bisogno di una componente glucidica
lipidica
da cui ricavare energia. Gli scambi metabolici sono mantenuti dall’alta diffusibilità della matrice
extracellulare, dove la componente acquosa rende l’ambiente abbastanza viscoso per consentire alle
molecole nutritive di muoversi. Durante lo sviluppo fetale, si trovano delle introflessioni che sono dei
punti in cui viene aumentata la percentuale di pericondrio che viene a contatto con il tessuto cartilagineo
e ciò serve per consentire il processo di accrescimento delle cellule cartilaginee.

Composizione matrice:

La matrice extracellulare è costituita per il 70-80% da acqua, mentre a secco, circa il 50% del
peso spetta al collagene e il 30-40% ai proteoglicani. La maggior parte della componente
macromolecolare è tessuto-specifica, a seconda delle funzioni. Analogamente a ciò, la
matrice cartilaginea è caratterizzata da una marcata permissività al passaggio e alla
diffusione di gas respiratori e metaboliti. Le principali componenti della matrice sono:

• Gel compatto
• Fibre elastiche
• Fibre collagene
• Sostanza amorfa
• Glicosamminoglicani
• Proteoglicani
• Glicoproteine adesive

• TIPI DI COLLAGENE
Uno dei tipi di collagene maggiormente rappresentati all’interno del tessuto cartilagineo, che serve
per le funzioni meccaniche, è il collageno di tipo II. A livello molecolare, il protocollagene di tipo II
differisce dagli altri tipi di collagne riguardo a posizione o natura di alcuni amminoacidi in sequenza
3 nelle catene alpha-collageniche costitutive.
Esso si ritrova a livello della cartilagine ialina ed è un collagene di tipo omotrimerico, ciò significa
che le tre catene alfa sono identiche e dopo viene assemblato a formare delle fibrille che poi
formano delle reti tridimensionali una volta che queste vengono espulse dalla cellula.
Una volta secrete dai condroblasti, le molecole procollageniche subiscono il clivaggio del propeptide
N-terminale e del propeptide c-terminale, regioni con sequenza amminoacidica non collagenica
poste all’estremità di ciascuna catena alpha, acquisendo la denominazione di molecole di
tropocollagene. Occorre aggiungere che tale clivaggio risparmia a livello delle estremità di
ciuascuna catena alpha, due brevi tratti non collagenici: il telopeptide N- terminale, composto da 19
amminoacidi e il telopeptide C-terminale composto da 27 amminoacidi. Questi tratti non collagenici
sono cruciali nel processo di fibrillogenesi. Questo processo avviene secondo la modalità condivisa

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da tutti i collageni fibrillari, che vede le molecole assemblarsi con disposizione parallela, co-
orientata e con uno sfalsamento di molecole adiacenti di 234 amminoacidi. Tale sfalsamento dà
luogo alla bandeggiatura periodica esibita in microscopia elettronica delle fibre collagene, mentre la
cosiddetta “gap- zone” rivelata dalla colorazione negativa riflette il distanziamento testa-coda fra
molecole disposte in successione lineare, che corrisponde al 60% del periodo D. La stabilizzazione
di tale assetto molecolare dipende dalla formazione di legami covalenti, denominati legami crociati
o crosslinks, fra un residuo di lisina presente in entrambi i telopeptidi N- e C- terminale delle tre
catene alpha di una molecola tropocollagenica adiacente. Le fibrille collageniche di tipo II sono
peculiari del tessuto cartilagineo, anche se è possibile riscontrarne anche nell’umor vitreo
dell’occhio. A livello ultrastrutturale possono apparire prive di bandeggiatura, ma tale
mascheramento è imputabile ad una ingente quantità di sostanza fondamentale. In condizioni di
visualizzazione favorevole, esse mostrano la tipica bandeggiatura periodica assile. Rispetto alle
fibrille di collagene di tipo I, quelle di tipo II presentano un calibro minore e più omogeneo, ma
sempre maggiore e meno omogeneo di quelle di tipo III. Una differenza fondamentale sta nel fatto
che le fibrille di tipo II non si associano tra loro a formare fibre collagene. In microscopia elettronica,
le fibrille collagene appaiono organizzate a comporre una impalcatura tridimensionale
generalmente irregolare e più o meno fitta nei vari distretti della matrice cartilaginea.
Nella formazione delle fibre è importante anche il collagene di tipo IX e di tipo XI. Il collagene di tipo
XI forma fibrille che vengono associate al collagene di tipo II. Il collagene di tipo IX, invece, non
forma fibrille e ha il ruolo di unire le fibre ibride che si formano tra collageni di tipo II e collageni di
tipo XI.
Studi recenti attesterebbero la presenza di ulteriori tipi di collagene fibrillare minore, ovvero il tipo
XXIV e il tipo XXVII, per i quali sono recentemente stati scoperti i geni codificanti. Ancora più
recente è la localizzazione immunoistochimica di quest’ultimo tipo di collagene minore nel contesto
della matrice pericellulare delle lacune occupate dai condrociti ipertrofici nel corso di ossificazione
encondrale, nel feto, nelle metafisi delle ossa lunghe durante l’accrescimento post-natale.
Il collagene di tipo X è tessuto-specifico, ed è secreto soltanto da condrociti ipertrofici che si trovano
nelle zone di passaggio tra tessuto cartilagineo e tessuto osseo e che sono un indice della
mineralizzazione delle ossa durante i processi di ossificazione encondrale, nel feto, nelle metafisi
delle ossa lunghe durante l’accrescimento post-natale.
Le fibre elastiche sono costituite da un coro centrale di elastine e circondato da una guaina di
fibrillina. A seconda del distretto anatomico e delle sollecitazioni vi sarà un diverso rapporto tra fibre
elastiche e fibre collageniche differenti.

Proteoglicani
Riguardo ai proteoglicani, queste macromolecole sono presenti in grande quantità rendendo
la matrice intensamente colorata a seguito dell’impiego di reazioni istochimiche quali quelle

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che prevedono l’Alcian Blue o Rosso rutenio. Quando vengono impiegati coloranti basici
come il blu di toluidina, avviene il fenomeno della metacromasia, in cui la matrice assume
una colorazione violacea per via della concentrazione di molecole polianioniche. Si tratta
perlopiù di grandissimi proteoglicani, aggrecani e versicani, caratterizzati da un lungo core
proteico al quale sono associate oltre un centinaio di catene laterali rappresentate dai
glicosamminoglicani condroitin-4-solfato, condroitin-6- solfato e cheratan solfato. Grazie alla
natura polianionica di tali catene glicosaminoglicaniche e al loro elevato numero per core
proteico, ogni proteoglicano attrae elettrostaticamente a sé delle molecole d’acqua
polarizzate, che ne rappresentano il cosiddetto dominio acquoso. Ad incrementare
ulteriormente il tasso di idratazione della matrice è la proprietà di questi proteoglicani di
assemblarsi in forma aggregata, da cui la denominazione di aggrecani. In particolare, gli
aggregati di proteoglicani originano in seguito al legame, mediato da specifiche proteine,
ovvero le link proteins, che si instaura fra ciascun aggrecano e una lunga catena lineare di
acido ialuronico (glicosamminoglicano più diffuso, recepito dal recettore transmembrana
CD44). Gli aggregati di proteoglicani sono facilmente identificabili nei quadri ultrastrutturali
ottenuti con metodi di preparazione standard, apparendo sottoforma di corpi irregolari detti
granuli della matrice. Questi risultano da fenomeni di ripiegamento e condensazione
molecolari imputabili ad artefatto tecnico. Forma e dimensioni più applicabili alla realtà sono
più osservabili dopo applicazione di reazioni istochimiche con reagenti basici come le
ftalocianine rameiche. Tra i proteoglicani ricordiamo:

• Versicano, costituito da diverse molecole di condroitinsolfato


• Decorina, caratterizzata da un core proteico legato ad una singola catena di condroitinsolfato
• Fibromodulina, è una catena di cheratansolfato a legarsi al core proteico
• Sindecano, è legato alla membrana e media l’azione dei fattori di crescita
• Glicosamminoglicani

Acido ialuronico = polisaccaride non ramificato fatto da acido glucuronico ed N-acetilglucossamina. È il


più grande ed è l’unico non solforato, è l’unico che non può andarsi a legare a una proteina per formare
un proteoglicano. Non è solforato anche perché non è sintetizzato dagli enzimi dell’apparato del Golgi
ma viene formato sulla superficie cellulare e da lì viene fatto fuoriuscire in seguito all’aggiunta di
zuccheri. Non essendo formato dagli enzimi dall’apparato del Golgi, non può subire l’aggiunta di gruppi
fosfato. L’acido ialuronico è fondamentale per il mantenimento della lubrificazione dell’articolazione,
serve a dare una consistenza gelatinosa a tutti i tessuti connettivali, è presente come rivestimento della
superficie cellulare e serve a costituire un ancoraggio con altri proteoglicani per formare una rete
tridimensionale. È molto elevato a livello dello sviluppo. È presente nella fase di guarigione delle ferite
perché favorisce l’idratazione, l’umidificazione e la possibilità di movimento delle cellule. Si trova a
livello di tessuti specializzati come cartilagine articolare, liquido sinoviale, umor vitreo perché è un gel
ad elevata viscosità.

Condroitin 4 solfato 40%

Condroitin 6 solfato 50%

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Cheratansolfato 10%

Queste ultime tre molecole si uniscono a formare il preteoglicano più grande, chiamato aggrecano.

Glicoproteine

Come nella sostanza fondamentale di tutte le matrici extracellulari, in quella cartilaginea è


anche presente un ampio assortimento di glicoproteine che contribuiscono alla
costituzione del microambiente rapportandosi in parte fra loro e in parte alla molecole dei
adesione cellula-matrice. Di queste ultime, le principali sono rappresentate da proteine
eterodimeriche transmembrana appartenenti alla famiglia delle integrine, in particolare le
isoforme alpha1beta1, alpha2beta1, alpha3beta1, alpha5beta1, alpha10beta1,alphaVbeta3 e
alphaVbeta5, alle quali si associano in maniera selettiva diverse proteine della matrice.

• Ubiquitarie: servono per mediare il contatto tra di loro, attraverso le integrine e a favorire
l’interazione tra cellula e matrice extracellulare (fibronectina, trombospondina, tenascina)
• Tessuto-specifiche come la condronectina, che media la connessione al collagene di tipo II; CMPs
(Cartilage Matrix Complex), collegate ad un’altra famiglia di diverse isoforme denominate
matriline, capaci di legarsi ad altre macromolecole della matrice costituendo reti tridimensionali; e
le COMP (Cartilage Oligomeric Matrix Protein),alla quale sono stati attribuiti i ruoli di regolare
la proliferazione dei condrociti, favorire la fibrillogenesi del collagene di tipo II e di prevenire
fenomeni di vascolarizzazione in seno alla matrice cartilaginea. COMP rappresenta un marker del
turnover e della degenerazionedella cartilagine, assumendo valore diagnostico di fenomeni artrosici
quando se ne riscontra un aumento nel sangue o nel liquido sinoviale

Le proprietà meccaniche della cartilagine sono fornite dalle proprietà di trazione delle fibre di collagene
e dalla pressione osmotica dovuta all’alta concentrazione di aggrecano, immobilizzato all’interno
dell’ECM come aggregato sovramolecolare con acido ialuronico.

La matrice può essere divisa in più regioni:

• Matrice capillare: quella più vicina alle cellule, che circonda i gruppi esogeni e che è ricca di
glicoproteine e proteoglicani, si colora intensamente con coloranti basici.
• Matrice territoriale: si trova nelle vicinanze dei gruppi esogeni, è povera di collagene e ricca di
condroitinsolfato, anch’essa si colora intensamente con coloranti basici.
• Matrice interterritoriale: ricca di collagene di tipo II (acidofila) e di glicorpoteine. Ha meno
proteoglicani della matrice territoriale.

A seconda della composizione della matrice, si possono avere tipi di cartilagine differenti. Si possono
riconoscere tre tipi di cartilagine:

• ialina
• elastica
• fibrosa, forma di connessione tra connettivo denso e cartilagine.

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Oltre a questi tre tipi di cartilagine, ci sono tre tessuti, annoverati all’ interno del gruppo del tessuto
connettivo, perché hanno la stessa origine, mancano di vascolarizzazione e la loro funzione è
prettamente meccanica. Questi tipi di tessuti sono:

• cartilagine cellulare, formata da cellule meno tondeggianti


• tessuto cordoide, che deriva dalla notocorda, con ricca matrice cellulare e poca componente
fibrillare.
• tessuto condroide, che possiede cellule piccole, assomiglia ad un tessuto cartilagineo non
completamente sviluppato. Si trova nei punti di contatto tra tessuto connettivo e tessuto osseo
(entesi) a livello delle ossa sesamoidi e del menisco.

A seconda della distribuzione delle componenti della matrice extracellulare, cioè la maggiore o minore
presenza di matrice amorfa/fibre elastiche/fibre di collagene I e fibre di collagene di tipo II, avremo dei
tipi di cartilagine differenti che si vanno a localizzare in distretti anatomici diversi a seconda della
funzione che vanno a svolgere.
Noi riconosciamo tre tipi di cartilagine:
1 iàlina (dal greco hyalos, “vetro”, “trasparente”, se la guardiamo ex vivo è trasluicida) è relativamente
elastica
2 elastica: in cui la componente elastica è prevalente sulla collagenica
3 fibrosa: forma di transizione fra connettivo denso a fasci paralleli e cartilagineo di tipo ialino

Oltre a questi ci sono 3 tessuti annoverati all’interno del tessuto cartilagineo per tre motivi principali:
1. origine: derivano tutte quante da tessuto connettivo mesenchimale
2. mancanza di vascolarizzazione
3. hanno funzione prevalentemente meccanica

Questi tipi di tessuto sono:


• Cartilagine cellulare (prima che si forma, cellule meno tondeggianti e più cuboidali)
• Tessuto condroide (deriva dalla notocorda, costituito da tessuto con grossa ECM e con poca
componente fibrillare, presente nel disco intervertebrale). È caratterizzato da piccole lacune
condrocitarie a condrocita singolo e alquanto ravvicinate per l’interposizione di scarsa matrice
cartilaginea che comunque contiene gli altri tipi di collagene e le macromolecole tessuto-specifiche. Nel
feto, possono essere paragonate a questo tipo tutte le cartilagini neoformate, generalmente definite con
il termine di cartilagine cellulare. Nella vita post-natale, invece, se ne possono riscontrare foci in ossa
sesamoidi, in menischi o nel contesto dei processi istogenetici iniziali implicati nella riparazione di
fratture a carico di un segmento scheletrico, in associazione con la comparsa del callo osseo.
• Tessuto cordoide (con cellule piccole, assomiglia a tessuto cartilagineo non particolarmente
sviluppato. Si trova raramente, in alcuni punti delle ossa sesamoidi nelle entesi (punto di contatto fra
connettivo ed osso) e in parte a livello del menisco). Anche questo tipo di tessuto è riferibile ai retaggi
evolutivi ed embriogenetici. Infatti, esso deve la denominazione alla derivazione dalla notocorda. Nei
vertebrati si fora durante lo sviluppo embrionale come struttura assile transitoria, fungendo da
induttore primario di varie altre formazioni anatomiche, compresi gli abbozzi dei corpi vertebrali che
vanno a modellarsi intorno ad essa con assetto metamerico. Mentre a livello di tali abbozzi il tessuto
cordale è destinato ad essere eliminato, nei segmenti interposti esso è destinato a persistere al centro
degli abbozzi dei dischi intervertebrali sotto forma di nucleo polposo. Il tessuto notocordale, povero di

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matrice e caratterizzato da grandi cellule rigonfie, si trasforma in tessuto cordoide definitivo


modificando i suoi connotati strutturali in seguito alla migrazione dei condroblasti dalle cartilagini
articolari dei corpi vertebrali adiacenti. Ne consegue la deposizione di matrice contenente fibrille
collagene di tipo II, aggrecani, versicani e altre macromolecole tipiche. In questa matrice sono presenti
anche fibre elastiche ad orientamento radiale diventando intrecciate in corrispondenza dell’interfaccia
con le lamelle interne dell’anello fibroso e delle superfici rivolte verso i piani cartilaginei vertebrali,
andando a costituire un sistema di ancoraggio elastico con queste strutture contigue. Grazie alla
concentrazione degli aggregati di proteoglicani, la matrice extracellulare è idratata, assumendo la
consistenza di massa semifluida. Al suo interno, le lacune condrocitarie, rade e molto voluminose,
contengono gruppi esogeni formati da grosse cellule vacuolate e ricche di glicogeno. L’implicazione del
tessuto cordoide nella meccanica della colonna vertebrale è cruciale, in quanto consente al nucleo
polposo di agire come ammortizzatore idrodinamico deformandosi in maniera controllata a seconda dei
cambiamenti spaziali di torsione, di flessione nei diversi piani del corpo dei piatti articolari dei due corpi
vertebrali contigui, per ripristinare la forma a riposo al termine dell’azione motoria.

Localizzazione cartilagine ialina


Maggiormente presente anche nell’ individuo adulto, la troveremo
nello sviluppo degli arti. È il tipo di cartilagine più diffuso e
rappresenta la maggior parte dello scheletro nello stadio fetale.
Si trova nell’adulto:
-a livello delle cartilagini nasali
-cartilagini delle vie respiratorie superiori a partire da laringe,
trachea a bronchi dove formano anelli cartilaginei per mantenere
aperte le vie respiratorie
- a livello delle coste, per inserimento coste a livello dello sterno
-soprattutto a livello delle articolazioni in una forma specializzata, la
cartilagine articolare
-come cartilagini di accrescimento fino a quando lo scheletro non avrà
raggiunto il suo completo sviluppo

Questa è una sezione di una cartilagine ialina


In cui notiamo epitelio di rivestimento, tessuto connettivo che
sostituisce il pericondrio, vediamo le cellule tondeggianti con la
zona capsulare diversa dalla matrice interterritoriale

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Questa è un’immagine di tessuto cartilagineo


La freccia nella prima immagine in alto indica il
pericondrio, mentre la freccia dell’immagine in basso a sx
indica gruppi esogeni e la differenza di colorazione fra le
varie parti della ECM. La differenza di colorazione è
sempre evidente, il tipo di colorazione dipende dal tipo di
tecniche istologiche usate; se usiamo ematossilina-eosina
(quindi solo due coloranti), oppure una tricromica (dove
utilizzando tre coloranti la cartilagine viene colorata in
blu poiché le fibre collageniche tendono ad essere
colorate in blu-verde). Indipendentemente da questo
processo ci sarà diversità nella colorazione fra la
componente capsulare e la matrice extraterritoriale.
Questa è una sezione classica è fatta a livello del collo
dove la cavità dell’esofago non viene mantenuta
aperta ma si allargherà col passaggio del bolo
alimentare. Inoltre, si nota la trachea, ingrandendo la
trachea troverò epitelio tracheale, cartilagine e
tessuto connettivo al di sotto della cartilagine.
Con ulteriore ingrandimento troviamo epitelio
pseudostratificato ciliato con cellule mucipare
caliciformi; la cartilagine è colorata con una
tricromica che prende prevalentemente la componente in collagene e
infatti è più colorata a questo livello. Si notano i gruppi esogeni e zone
relative al pericondrio. Cellule tondeggianti che si orientano più
parallelamente al pericondrio con passaggio graduale fra cellule
fibroblastoidi (del pericondrio) e cellule che potrebbero dare origine alla
cartilagine.

Cartilagini articolari
Le diartrosi, articolazioni mobili del nostro organismo, servono dal punto di vista strutturale per una
duplice funzione grazie alle loro caratteristiche peculiari:
1)ammortizzare e distribuire le forze di carico
2) per favorire lo scorrimento fra due superfici articolari (es. articolazione del ginocchio con la patella).
Quindi, devono evitare che si creino attriti fra i due monconi d’osso per permettere corretto
scorrimento.

Hanno forma appiattita e uno spessore che va dai 2 ai 5 mm, esse


presentano una faccia profonda in rapporto di continuità con il
sottostante tessuto osseo trabecolare che costituisce i capi
articolari impegnati nell’articolazione e una faccia superficiale,
che si affaccia direttamente nella cavità articolare, in diretto
rapporto con il liquido sinoviale.
Una peculiarità risiede nell’assenza di pericondrio, condizione
che comporta una esposizione diretta alla matrice cartilaginea

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nella cavità articolare, dove offre un bassissimo coefficiente di attrito nello scivolamento fra i capi intra-
articolari in movimento grazie alla sua estrema levigatezza.
La superficie è liscia, lucida poiché questa è l’unica cartilagine priva di pericondrio. L’assenza di
pericondrio comporta inoltre una ulteriore limitazione delle scarse proprietà proliferative dei tessuti
cartilaginei, venendo meno la presenza dello strato condrogenico. Siccome il pericondrio serve per
fornire altre cellule e nutrimento, significa che ci sarà un altro tessuto con funzione trofo-respiratoria
per le cellule della cartilagine, il liquido sinoviale.

Il liquido sinoviale è un filtrato del plasma prodotto ad opera della membrana


sinoviale, un tessuto connettivale propriamente detto diversamente
organizzato (lasso, denso o ricco in componente adiposa) a seconda del distretto
della diartrosi, costituito sul versante articolare da 1-4 strati di cellule
ravvicinate al di sopra di una ricca rete vascolare. Essa riveste le pareti della
cavità articolare ad eccezione delle aree in cui sono posizionate le cartilagini
articolari.
Rete vascolare (fig 7)

La membrana sinoviale contiene due popolazioni cellulari:


-sinoviociti di tipo B; fibroblasti, responsabili della attività secretoria. Sono responsabili della
produzione di molecole della matrice extracellulare quali l’acido ialuronico
-sinoviociti di tipo A; macrofagi, digeriscono detriti cellulari o scorie del liquido sinoviale, svolgendo
quindi funzione fagocitaria e riducendo ancora l’attrito fra le superfici articolari contrapposte.
Il liquido sinoviale nutre le superfici articolari e contiene molecole per ridurre attrito fra i due capi
articolari.

La cartilagine articolare

La cartilagine articolare è nella zona dell’epifisi di un osso. A partire dalla superficie articolare a
scendere verso l’osso posso distinguere una serie di strati sovrapposti dallo spessore piuttosto variabile
a seconda del tipo di articolazione:
1. Zona tangenziale (o zona Superficiale), la zona superficiale si affaccia con la cavità articolare. Essa
è caratterizzata dalla presenza di condrociti di forma appiattita immersi in una matrice particolarmente
ricca di fibrille di collagene approssimativamente complanari alla superficie libera. A livello più
superficiale questa zona presenta poi un sottile strato acellulare, la lamina splendens, che ha importanti
implicazioni funzionali sia meccaniche sia biologiche. Le prime sono dovute alla sua levigatezza
superficiale atta a conferirle un coefficiente di attrito particolarmente basso, anche grazie alla presenza
di un sottile rivestimento di acido ialuronico e di lubricina, glicoproteina secreta dai sinoviociti di tipo
B. Le seconde proprietà consistono nella capacità di fungere da barriera protettiva rispetto al passaggio
in entrata di scorie, enzimi litici ed eventuali anticorpi presenti nel liquido sinoviale e, in uscita, di
prodotti di degradazione delle sue stesse molecole, potenzialmente capaci di provocare risposte
infiammatorie o immunogeniche.
2. Zona di transizione, zona intermedia, che è generalmente la zona più spessa. Rappresenta infatti il
40-60% dello spessore totale. Presenta lacune condrocitarie tondeggianti e contenenti gruppi esogeni e
fibrille di collagene con orientamento non uniforme e progressivamente variabile da tangenziale a
perpendicolare.

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3. Zona radiale, zona profonda, che in alcuni casi può rappresentare lo strato più spesso dei quattro.
Presenta lacune condrocitarie grossolanamente impilate a costituire colonne parallele fra loro ed
immerse in una matrice occupata da fibrille collagene tendenzialmente co-orientate. Il suo confine
inferiore si può presentare bordato da un sottile strato basofilo di natura glicoproteica, denominato
tidemark. Esso segna il confine con la sottostante zona calcificata e funge presumibilmente da barriera
di protezione della cartilagine da ambienti pro-calcifici provenienti dagli strati più profondi.
4. Zona calcificata, al di sotto della quale troverò l’osso. È caratterizzata da lacune condrocitarie di
piccole dimensioni, distribuite in una matrice mascherata dalla precipitazione di sali di calcio sotto
forma di cristalli di idrossiapatite. Esse sono anche state denominate “sepolcri calcificanti”, contenendo
piccoli condrociti a scarsa attività metabolica. Questo strato profondo funge da solido strato di
ancoraggio della cartilagine articolare all’osso subcondrale dell’epifisi interessata.
All’interno delle zone avremo una diversa distribuzione delle fibre collageniche (tengono conto dei vari
carichi applicati alla cartilagine articolare) e conseguentemente della componente cellulare.

Distribuzione delle fibre collageniche:


Nella zona di transizione le fibre collageniche non hanno
andamento spaziale specifico, sono disordinate, ma la loro
distribuzione è come una struttura ad arco, adatta a sopportare
carichi provenienti dalla superficie. Quando l’arco arriva alla
zona radiale questo comporta la ordinata distribuzione delle
cellule cartilaginee.

Esiste un punto identificabile anche nella cartilagine adulta, il tidemark che è il punto di separazione
fra cartilagine articolare e il tessuto osseo. Nello specifico si trova fra zona radiale e calcificata, è un
punto molto importante che evita l’ingresso di vascolarizzazione a livello della cartilagine. Quando entra
la vascolarizzazione della cartilagine, inizia processo di calcificazione che porta ad avere tessuto osseo.
Avere un tessuto osseo sarebbe un doppio handicap: meccanicamente è meno elastico rispetto alla
cartilagine (la cartilagine risponde meglio a fenomeni di compressione), inoltre la cartilagine non
essendo innervata non presenta terminazioni nervose, ossia terminazioni del dolore che ha invece il
tessuto osseo. Se il tessuto osseo scavalla la cartilagine o questa è sostituita da tessuto innervato, oltre
a perdere funzioni biomeccaniche del collagene aggiungiamo una componente nervosa con la
percezione del dolore. Questo si instaura nei fenomeni di degenerazione della cartilagine che possono
essere infiammatori o cronici quindi le artiriti e le artrosi.

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Cartilagine di accrescimento

Rappresenta un particolare tipo di cartilagine ialina. Essa è localizzata fra i fronti di ossificazione
encondrale che si instaurano nel corso della vita fetale a livello degli abbozzi cartilaginei delle ossa
lunghe e permane nella vita post-natale fino a crescita ultimata. A partire dall’epifisi, in una cartilagine
di accrescimento si distinguono istologicamente cinque zone, le quali riflettono in senso spaziale gli
stadi di avanzamento del processo di ossificazione encondrale. Abbiamo quindi la zona di cartilagine
a riposo, che presenta una distribuzione uniforme di piccole lacune condrocitarie contenenti un solo
condrocita; la zona di cartilagine in proliferazione, che è caratterizzata da lacune condrocitarie
contigue impilate in colonne grossolanamente longitudinali, da cui le denominazioni alternative di
cartilagine colonnare o cartilagine seriata; la zona di cartilagine ipertrofica, con lacune
condrocitarie ancora disposte in colonne e caratterizzate da un ulteriore aumento volumetrico,
contestuale alla trasformazione dei condrociti intra-lacunari in condrociti ipertrofici. Questi perdono
le loro capacità mitotiche e incrementano le loro espansioni citoplasmatiche, si arricchiscono in
organelli di membrana e intensificano l’attività secretoria, con produzione di fattori implicati nel
processo calcifico che, ultimato, va a caratterizzare la sottostante zona calcifica. In particolar modo, la
cartilagine ipertrofica è caratterizzata dalla presenza di collagene di tipo X, condrocalcina, osteocalcina,
annessina-V e fosfatasi alcalina. Fra queste componenti, la condrocalcina corrisponde ai peptidi C-
terminali clivati enzimaticamente a livello delle estremità terminali delle molecole di procollagene di
tipo II, all’avvio della fibrillogenesi. Ulteriore prerogativa dei condrociti ipertrofici è quella di confinare
fosfatasi alcalina ed annessina-V a livello della membrana cellulare in corrispondenza di punti focali
corrispondenti a successiva gemmazione di vescicole citoplasmatiche delimitate da membrana e
denominate vescicole della matrice, note anche come globuli calcificanti o vescicole di Bonucci-
Anderson. Le membrane di questi derivati cellulari sono cruciali nel processo calcifico, in quanto
fungono da siti di nucleazione dei Sali di calcio, inducendone la precipitazione sotto forma di cristalli di
idrossiapatite. Le vescicole della matrice, in rapporto con i cristalli di minerale possono assumere la
denominazione di calcosferule o calcosferiti. L’ultima zona è quella della cartilagine calcificata. A
questo livello la matrice ha subito il processo di mineralizzazione per cui viene a perdersi la proprietà
della diffusibilità dei fattori vitali per i condrociti. Le lacune contengono condrociti avviati a morte
cellulare o i detriti cellulari che ne derivano. Le lacune più prossime al fronte del sottostante tessuto
osteoide perdono la loro integrità e alle loro pareti aderiscono i condroclasti, responsabili della loro
demolizione. In seguito all’apertura di varchi da parte dei condroclasti, gli spazi accessibili della matrice
in disgregazione vengono colonizzati da cellule provenienti dal sottostante midollo osseo, comprendenti
cellule mesenchimali osteoprogenitrici, e sono sede della formazione di vasi capillari. Il tessuto
metafisario collima, alla superficie dell’osso, con quella che, in gergo anatomico è la cosiddetta doccia di
ossificazione del Ranvier, circoscritta dal cosiddetto anello fibroso pericondriale del La Croix. La prima è
sede di cellule rotondeggianti indifferenziate che migrano verso l’interno della cartilagine metafisaria
rinnovando la componente cellulare della zona di cartilagine a riposo, mentre il secondo è costituito da

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tessuto connettivo fibroso in raccordo con il periostio, con ruolo di contenimento della metafisi. Queste
strutture adempiono alla funzione esercitata dal pericondrio.
Un aspetto di modificazione della cartilagine articolare consente al nostro scheletro di accrescersi in
lunghezza.

Localizzazione cartilagine elastica


La cartilagine elastica appare di colore giallastro e di aspetto più opaco rispetto alla cartilagine ialina,
questo tipo di cartilagine si ritrova a costruire lo scheletro cartilagineo di particolari distretti.
Si trova:
-a livello di orecchio (sia esterno e che interno)
-a livello dell’epiglottide (cartilagine a forma di foglia all’interno della laringe) è in grado di muoversi
per impedire che il bolo alimentare entri nelle vie respiratorie mentre entra lungo la faringe e poi lungo
esofago. Ha la capacità di flettersi lungo legamenti e muscoli e di rientrare alla posizione iniziale per
favorire passaggio di aria.

La condizione strutturale che la caratterizza sta nella cospicua


presenza nella matrice di fibre elastiche, assenti negli altri
tipi di cartilagine ad eccezione del tessuto cordoide, in
aggiunta alle macromolecole tipiche del tessuto cartilagineo
già descritte. Sono invece più ridotte le capacità di rispondere
a forze compressive, soprattutto a causa della relativa scarsità
di sostanza fondamentale.
Nell’immagine sopra si notano: pericondrio, cartilagine
elastica (con evidenziate le fibre elastiche e i gruppi esogeni)
e vaso a livello pericondrale. Presenta colore più giallastro ed è più opaca, ha
maggiore flessibilità e fibre elastiche (prevalentemente collagene I), presenta meno matrice amorfa,
quindi i gruppi esogeni sono più piccoli e molto più ravvicinati fra loro rispetto alla cartilagine ialina.
Le fibre elastiche tendono ad organizzarsi in lamine o fascetti ad andamento ondulato, evidenziabili con
coloranti ad affinità specifica quali l’orceina o la resorcina. In microscopia elettronica sono riconoscibili
per via dei profili irregolari e una debole elettrodensità diffusa che caratterizza la matrice amorfa di
elastina. Alla superficie delle fibre elastiche sono riconosciute microfibrille di fibrillina.
Si nota nella sezione di orecchio (in immagine orecchio di coniglio), come la colorazione metta in
evidenza soprattutto le fibre elastiche mentre non vengono evidenziate in maniera chiara le cellule.
Nella cartilagine elastica, le lacune condrocitarie sono alquanto ravvicinate e, soprattutto in profondità
possono presentare dimensioni notevoli per la presenza di cellule dall’aspetto rigonfio, condizione
particolarmente evidente nella cartilagine costituente lo scheletro del padiglione auricolare. Queste
cellule risultano infatti ripiene di voluminosi inclusi citoplasmatici di natura lipidica. La presenza di
pericondrio consente alle cartilagini elastiche di accrescersi grazie a deposizione di matrice per
apposizione.

Cartilagine elastica in cui si notano pericondrio e


zona di transizione fra pericondrio e cartilagine elastica.

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L’impregnazione argentica mette la componente elastica in


evidenza. Nei preparati istologici la cartilagine elastica
viene prevalentemente evidenziata con questi tipi di
colorazioni.

Cartilagine fibrosa o fibrocartilagine

Il nome deriva dal fatto che ai caratteri istologici tipici del tessuto cartilagineo si sovrappone la presenza
di numerose fibre collagene, con conseguente perdita dell’aspetto amorfo caratteristico della matrice
delle cartilagini ialine.
Forma di transizione fra tessuto connettivo denso a fasci paralleli e la cartilagine ialina. Vediamo infatti
una matrice cartilaginea con le componenti tipiche, comprese le fibrille collagene di tipo II, associato a
componenti di collagene di tipo I, atte ad esaltare la robustezza ed inestensibilità del tessuto. Le lacune
condrocitarie sono spesso di dimensioni ridotte e possono contenere un condrocita singolo o gruppi
esogeni di pochi elementi. Le cartilagini fibrose non sono dotate di pericondrio ma contraggono rapporti
di continuità con i tessuti connettivi propriamente detti
adiacenti, salvo non trovarsi a diretto contatto con il liquido
sinoviale se situate all’interno di cavità articolari delle
diartrosi. È quindi da queste fonti che i condrociti ricevono
ossigeno e nutrienti.
In questa immagine vediamo la cartilagine ialina, una
fibrocartilagine e tessuto connettivo di tipo denso.
Le cellule sono tendenzialmente tondeggianti (mentre
quando ci si sposta verso il connettivo denso sono
fibroblasti) che producono ECM, GAG e PG rendendo il
tessuto intermedio da un punto di vista meccanico rispetto al connettivo denso in fasci paralleli.
Lo trovo in zone in cui sollecitazioni meccaniche in trazione sono prevalenti rispetto a quelle in
compressione come nel caso della classica cartilagine.

Si trova a livello:
- della sinfisi pubica
- di una pare dei dischi intervertebrali
- inserzione del tendine di Achillle
- menischi

I gruppi esogeni sono allineati lungo le linee di trazione


delle fibrille di collagene.
In una fibra ci collagene si ha la composizione di fibre
collageniche mista fra collagene 1 e 2.

Fibrocartilagine di sinfisi pubica

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Classica colorazione in ematossilina-eosina, mette in evidenza la componente fibrillare e i gruppi


esogeni disposti lungo la linea di trazione

Disco intervertebrale
Interposto tra le superfici adiacenti dei corpi vertebrali.
Struttura adagiata sul piatto intervertebrale, serve per separare le vertebre, avrà forma differente in
base alla zona di colonna vertebrale in cui si trova, ma indipendentemente da ciò la sua struttura di
fondo è sempre la stessa. Consta di 3 tipi di cartilagine differente:
1. Cartilagine ialina (articolare) a livello del piatto vertebrale– a livello della superficie della vertebra
è sottile e costituita da strato tangenziale, a riposo, seriato e calcificato.
All’interno del disco intervertebrale troverò una porzione più esterna, l’anello fibroso (cartilagine
fibrosa)
e una componente centrale, il nucleo polposo, costituito da tessuto cordoide, assimilato a tessuti
cartilaginei per la sua mancanza di vascolarizzazione.

L’anello fibroso è costituito da due strutture concentriche:


1) Anello fibroso esterno
ricco in fibroblasti (responsabili della produzione della ECM) e composto da collagene
I, che andrà a costruire lamelle disposte più o meno parallelamente. La lamella
adiacente è inclinata nella disposizione di collagene, obliquamente, con un angolo di
circa 30°.
Una sorta di struttura circolare in cui metto collagene in una
direzione e nell’anello successivo metto fibre collageniche
leggermente inclinate rispetto a precedenti.

2) Anello fibroso interno


Se mi sposto verso la zona più interna le fibrille di collagene avranno
andamento meno ordinato, costituite principalmente da fibrocartilagine
(contiene collagene I e II e una maggiore componente in proteoglicani)
Le cellule condroblastiche sono più evidenti.

Nucleo polposo
La parte centrale del disco intervertebrale è particolarmente gelatinosa,
essendo infatti costituita da tessuto cordoide (fatto di grossi ammassi di
cellule di grosso volume, parte di ECM e scarsità di componente fibrillare,
riccamente vascolarizzabile, potendo mantenere lo spessore del disco
intervertebrale legando molecole d’acqua).
La quantità di cellule che costituisce il nucleo polposo tende a ridursi con
l’età.

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Durante lo sviluppo embrionale a fianco della notocorda si formava il mesoderma parassiale che andava
a costituire i somiti, i quali dalla 5° settimana in avanti si suddividono in porzione apicale e caudale. Le
due porzioni si separano fra di lor, e la porzione
apicale di un somite si associa con la porzione
caudale del somite adiacente. La notocorda viene
a trovarsi fra i due somiti che vanno a rifondersi
fra di loro e viene bloccata dentro la struttura,
andando così a formare il disco intervertebrale.
Ciò ci ricorda che apparteniamo ai cordati.
Le cellule condrocitarie tendono ad essere ridotte
con lo sviluppo, ma viene mantenuta una ECM
molto ricca di collagene II, glicosamminoglicani e proteoglicani (prevalentemente aggrecano). Questo ci
permette di mantenere lo spessore del disco intervertebrale.

Funzione disco intervertebrale


Il disco funziona da “shock absorber”, ammortizzatore. Lungo la nostra colonna vertebrale il nostro
peso, compresa la forza di gravità, è scaricato sul nucleo polposo. Il nucleo polposo funziona come una
sorta di spugna. Se lo premo tende a buttare fuori l’acqua, ma essa non esce completamente per la
presenza dell’anello fibroso, perché le strutture di collagene attorno al nucleo fibroso fanno rientrare le
molecole d’acqua e quindi il nucleo polposo continua a mantenersi idrato. In condizioni fisiologiche
normali non può essere comprimibile perché la carica negativa evita, per repulsione di carica,
l’assottigliamento della ECM.
Durante riposo notturno, in posizione supina, abbiamo la possibilità di far rientrare una piccola quantità
d’acqua. Questo perché una piccola quantità d’acqua in posizione eretta viene persa. [meglio misurarsi
la mattina dopo aver dormito 8 ore che la sera dopo essere stati in piedi o seduti tutto il giorno]

Con gli anni, la caratteristica morfologica del nucleo polposo cambia perché le cellule vengono a
perdersi, si riduce la componente PG, si tende a secernere meno cheratansolfato e condroitinsolfato
(prodotte dalle cellule cartilaginee dell’anello fibroso interno). Il cheratansolfato, inoltre, (più corto)
lega meno molecole d’acqua così che il disco diventi più rigido e meno idoneo ad assorbire i carichi.

La cartilagine va incontro ad un processo di senescenza o degenerazione che comporta la variazione


della componente di PG, ma viene a perdersi anche la formazione di collageni che servono per
mantenere unite le fibrille collageniche. Viene definita degenerazione asbestiforme, perché le fibrille
assomigliano alle fibre di amianto. Queste fibre sono costituite da collageni di tipo I e III. Esse, se
riassorbite enzimaticamente, danno luogo alla comparsa di cavità, pseudocisti, che rendono il tessuto
più debole La cartilagine va così a perdere la resistenza meccanica.

La cartilagine da un punto di vista fisiologico è priva di capacità rigenerative. Qualsiasi danno che va a
lesionare il tessuto cartilagineo, porta a formazione di tessuto fibroso, quindi con meno capacità di
idratazione perdendo la lubricina e acido ialuronico e portando a comparsa di tessuto innervato che si
mette in contatto con la innervazione propriocettiva sistemica ed avremo la comparsa del dolore.
Nei mammiferi la cartilagine è un tessuto caratterizzato da un lento turnover delle sue componenti
molecolari e soprattutto di minime o nulle capacità di
rimodellamento. In caso di danni estesi, prevalgono invece la
capacità riparative del tessuto connettivo pericondriale, che
portano alla formazione di tessuto fibroso cicatriziale in

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sostituzione di quello cartilagineo, con perdita delle prerogative meccaniche. Solo raramente vediamo
processi di formazione di neo-cartilagine. Avviene nello sviluppo embrionale e nel rimodellamento post-
natale un processo di ricambio della matrice. Questa attività catalitica è fondamentalmente svolta
tramite la produzione di enzimi proteolitici appartenenti alla famiglia delle MMPs (Matrix Metallo-
Proteinases), enzimi che condividono un dominio catalitico contenente un sito di legame per lo zinco, in
particolare da MMP-1, MMP-3, MMP-9, MMP-13, quest’ultima capace di degradare il collagene di tipo II.
L’attività catabolica vede implicati anche enzimi appartenenti alla famiglia ADAMTS (A Disintegrin And
Metalloproteinase with Thrombospondin type 1 motif). In particolar modo l’’ADAMTS-5 è il principale
aggrecanasi della cartilagine umana. Va anche ricordato il ruolo delle vitamine e degli ormoni
nell’accrescimento della cartilagine e nella sua omeostasi. La vitamina A, liposolubile, è responsabile
della differenziazione condroblastica; la vitamina C, idrosolubile, favorisce la proliferazione cellulare e
la sintesi di collagene; la vitamina D, liposolubile, interviene nell’assorbimento di calcio e fosforo a livello
della mucosa intestinale, necessari per l’attuazione di processi calcifici a livello dei tessuti osseo e
cartilagineo, la cui carenza si rivela in deformazioni dello scheletro (rachitismo). L’ormone della crescita
(Growth Hormon, GH; Somato-Tropic Hormon, STH) influenza l’accrescimento della cartilagine in
sinergia con gli ormoni tiroidei triiodotironina e tetraiodotironina /tiroxina. L’omeostasi della
cartilagine è in qualche modo influenzata anche dagli ormoni sessuali, in particolar modo dagli
estrogeni, i quali sembrano intervenire nell’equilibrio fra la produzione di MMP-13 e di TIMPs, i suoi
inibitori.

Autore: Aurora Miciletto, Sara Senni, Maria Pancotto, Jonathan Costantini e per Medicina08 18 di 18
ISTOLOGIA
“TESSUTO OSSEO”
ID lezione IST08 Modulo Istologia II
Data lezione 25 Marzo 2020
Autore Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni
Lezione
Monica Mattioli Belmonte Cima
tenuta da
Argomento Tessuto osseo
Eventuali
Slide proiettate a lezione e libro capitoli
riferimenti

Continuiamo a parlare di tessuti connettivi di sostegno.

Tessuto osseo
Il tessuto osseo è una forma specializzata di tessuto connettivo caratterizzata dalla mineralizzazione
della matrice extracellulare (componente inorganica).

È mineralizzato al 70%, (non è il tessuto più mineralizzato del corpo, ci sono la dentina e
particolarmente lo smalto, mineralizzato al 90%)

Una delle caratteristiche dell’osso è la sua estrema resistenza dal punto di vista meccanico, ma dal punto
fisico un’estrema leggerezza. Questo ha fatto si che per anni è stato molto difficile trovare un sostituto.
(titanio ed elementi in carbonio)

Un altro aspetto importante è che non è un tessuto statico: è continuamente rinnovato e rimodellato per
tutta la vita.

FUNZIONI:

• impalcatura di sostegno
• movimento (si inseriscono i muscoli volontari)
protezione per organi delicati quali il SNC, il cuore e i grossi vasi (gabbia toracica e scatola
cranica)
• organo di riserva per lo ione calcio (principale riserva, ed è uno dei motivi per cui viene
continuamente rimodellato, per rendere disponibile il calcio)
• funzioni emopoietiche (ospita il midollo osseo rosso e contribuisce alla formazione delle
nicchie emopoietiche)
• funzioni endocrine, interviene: nell’omeostasi glucidica, nell’omeostasi del testosterone nel
maschio e nella escrezione renale dei fosfati, grazie ad alcuni fattori prodotti dalle cellule
dell’osso
ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO

• Organizzazione architetturale del tessuto osseo

Da un punto di vista macroscopico le ossa sono:

- lunghe: asse longitudinale maggiore di quello


trasversale (arti) sono caratterizzati da:
un corpo centrale (diafisi)
due estremità (epifisi prossimale e distale)
una cavità interna alla diafisi (cavità midollare)

- brevi: cuboidali (della mano o del polso)


- piatte: hanno superfici sottili,
approssimativamente parallele. Si trovano nelle
ossa della volta cranica e nella scapola. Maggiormente rappresentate.
- irregolari: forme complesse (base della scatola cranica, ossa sesamoidi)

Tutte le superfici ossee sono rivestite da PERIOSTIO:

è uno strato di connettivo fibrillare denso irregolare, ricco di collagene e fibre elastiche e circonda l’osso,
prende contatto con la matrice dell’osso attraverso le fibre di Sharpey che permettono l’ancoraggio del
tessuto connettivale con le strutture collageniche del tessuto osseo.

La componente elastica del periostio è prevalentemente


presente a livello delle fibre di Sharpey.

Il periostio è costituito di due porzioni distinte: componente più esterna (densa, ricca di vasi e fibre
collageniche) e una porzione più a contatto con la superficie ossea (contiene delle cellule
osteoprogenitrici).

Il periostio e il pericondrio sono assenti a livello delle superfici articolari e nelle zone di inserzione dei
tendini e dei legamenti. (sono tessuti fibrosi che modificano l’attrito)

Autore: Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni per Medicina08 2 di 22
ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO

Zona più chiara: periostio

1. fibroblasti
2. fibre collageniche
3. cellule progenitrici
4. osteoblasti
5. matrice ossea
6. osteoblasto che sta per essere circondato da matrice
calcificata
7. osteocito nella sua lacuna

Tenete conto che il periostio di un osso piatto del cranio


(pericranio) va a costituire una membrana connettivale che
va ad associarsi con una parte delle meningi (dura madre).

Quindi nel caso di un osso piatto il periostio si trova sia sulle


superfici inferiori e superiori, mentre nel caso di un osso
lungo circonda la diafisi e si porta su tutte le epifisi.

ENDOSTIO:

è un tessuto connettivo denso, leggermente più sottile, che va a circondare tutte le cavità interne
dell’osso, in certe zone queste sono rappresentate dalle trabecole dell’osso, dai canali di Volkman, di
Havers e anche la grossa cavità midollare dell’osso lungo.

Abbiamo normalmente due forme di osso:

- OSSO COMPATTO: osso solido, privo di spazi tranne quelli per le cellule, i loro processi e i vasi
sanguigni, porosità tra il 5%-10% normalmente costituisce la porzione più esterna delle ossa
lunghe (struttura portante degli arti)

- OSSO SPUGNOSO O TRABECOLARE: solitamente parte più interna dell’osso, ha una superficie di
contatto molto più estesa. Va a costituire le trabecole (cavità che ospitano il tessuto midollare)
e solitamente va costituire la struttura della colonna vertebrale, delle costole, della mandibola,
del polso.

All’interno delle cavità è normalmente alloggiato il MIDOLLO:

ROSSO: emopoietico, responsabile della produzione delle cellule del sangue

GIALLO: grasso, che sostituisce il midollo rosso durante l’invecchiamento e lo sviluppo. Le cellule
staminali prendono una via di differenziamento verso il tessuto adiposo.

Guardando la distribuzione di ossa compatto e spugnoso vedo che:

nelle ossa lunghe troviamo nelle diafisi OSSO COMPATTO, nelle epifisi OSSO SPUGNOSO (al loro interno
troviamo anche il disco epifisario che servirà per permettere l’accrescimento in lunghezza dell’osso).

Autore: Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni per Medicina08 3 di 22
ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO

Se vado a considerare l’osso piatto invece questo è costituito da un tavolato esterno ed interno, entrambi
fatti di osso compatto, la parte centrale dell’osso è però costituito di osso spugnoso, chiamato dìploe.
L’endostio in questo caso si trova all’interno delle cavità dell’osso spugnoso a rivestire le trabecolature.

La differente distribuzione dell’osso compatto rispetto allo spugnoso è determinato dalla diversa
distribuzione di peso. L’osso compatto è molto resistente alla compressione in senso longitudinale
(costituisce le zone in cui il carico è unidirezionali) l’osso spugnoso è presente dove le forze vengono
applicate da varie direzioni.

La disposizione delle trabecolature deve rispondere alle sollecitazioni meccaniche. Infatti sarà diversa
la strutturazione dipendentemente dal carico.

Vediamo qua sotto l’osso spugnoso di una epifisi di un osso lungo di cane, spostandoci al suo interno è
diversa la trabecolatura (cavità più o meno ampie a seconda del carico a cui è soggetta). Adatta la sua
struttura.

• Componenti del tessuto osseo:

Come gli altri connettivi ha una componente cellulare ed extracellulare, a differenza degli altri tessuti
però la matrice extracellulare ha una componente organica (uguale agli altri connettivi) e da una
componente inorganica (circa un 70% sono sali di calcio)

osteoide: parte di matrice extracellulare che non è completamente mineralizzata.

I 4 tipi di cellule che costituiscono il tessuto sono:

1. PREOSTEOBLASTI (cellule staminali appiattite, affusolate che assomigliano ai fibroblasti)


si trasformano in:

2. OSTEOBLASTI (cellule cuboidale, disposte a strati, partecipano, direttamente alla formazione


della matrice ossea) sono il 90-95% circa
3. OSTEOCITI (popolazione di cellule mature, hanno perso capacità mitotica e sono accolti in
cavità chiamate lacune ossee) sono meno del 5%

Autore: Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni per Medicina08 4 di 22
ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO

Questi sono 3 stadi evolutivi della stessa cellula, esiste un processo differenziativo in cui le
cellule maturano. Queste derivano dalle cellule mesenchimali embrionali.

4. OSTEOCLASTI: cellula multinucleata, origine embriologica diversa: derivano direttamente


dalla linea monocito-macrofagica (origine dalle cellule staminali emopoietiche) sono meno
dell’1%

Gli osteoblasti formano le LAMIINE EPITELIOIDI a ridosso delle superfici ossee in via di formazione e
formano tutta la matrice extracellulare (organica e inorganica)

Gli osteoblasti vanno ad unirsi attraverso giunzioni comunicanti, e fasce aderenti e formano dei fronti
di formazione della matrice ossea (camminano come l’esercito romano) a mano a mano che producono
la matrice dell’osso si cominciano a perdere i contatti tra le cellule che vengono imprigionate dalla
matrice che loro stessi stanno producendo, questa comincia ad essere più viscosa, via via viene
mineralizzata e gli osteoblasti cominciano a diventare osteociti.

Se devo vedere dal punto di vista


ultrastrutturale le due cellule sono diverse:
l’osteoblasto è una cellula in attiva sintesi,
nucleo in posizione eccentrica, grosso
sviluppo del RER (sintesi proteica).

Sopra vediamo le cellule mesenchimali


preosteoblastiche. Nella immagine di sotto ci
sono zone più scure (più elettrondense)
questo è dato da una componente più
mineralizzata. Di fianco all’osteoblasta ci sarà
matrice meno mineralizzata

Quando l’osteoblasta diventa osteocita, si


riduce di dimensioni, sposta il nucleo in posizione centrale, aumenta la quantità di eterocromatina. non
è una cellula morta, ma ha una produzione proteica minore e diversa.

Gli osteoblasti sono importanti nel processo di formazione dell’osso, per formarlo sono in grado di
produrre anche una serie di fattori che sono in grado di regolare in maniera autocrina o paracrina la
loro attività. Tra i fattori più importanti:

In formazione dell’osso: secernono TGF-beta (trasforming grown factor beta) e BMPs (bone
morfogenetic proteins) che modulano la proliferazione e differenziamento delle cellule
osteoprogenitrici in osteoblasti.

Producono dei fattori insulino-simili (IGF) che sono in grado di stimolare l’attività proliferativa (IGF1)
e l’attività metabolica (IGF2) delle cellule dell’osso.

Autore: Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni per Medicina08 5 di 22
ISTOLOGIA – Istologia II IST08 – TESSUTO OSSEO

Le cellule osteoblastiche intervengono anche nel rimaneggiamento osseo: innescano il processo di


riassorbimento della matrice sia in maniera diretta (secernono un fattore tissutale TPA che va a
stimolare la produzione di plasmina, la quale forma degli enzimi (collagenasi) che servono a rompere le
molecole di collagene che rappresentano la componente proteica dell’osso) che indiretta (attivano
un’altra popolazione cellulare-> osteoclasti della linea RANKL che riassorbono la matrice). L’azione
indiretta è invece mediata dal fatto che gli osteoblasti possiedono i recettori del paratormone (secreto
dalle paratiroidi).

Quindi l’osteoblasto produce matrice ossa, rimane intrappolato e si trasforma in osteocita.

Gli osteociti sono accolti in cavità scavate nella matrice calcificata, dette
lacune osteocitarie, che sono circondate da una componente organica della
matrice ossea prevalentemente rappresentata da scarsa componente
fibrillare e più matrice in proteoglicani e GAG.

Gli osteociti che rimangono all’interno delle lacune non sono isolati, ma
partono delle strutture (freccia in basso) che sono i CANALICOLI OSSEI,
all’interno delle quali gli osteociti sono in grado di immettere dei loro
prolungamenti. Si trovano dispersi all’interno di tutta la superficie dell’osso
e vanno a confluire nelle strutture canalicolari più grandi: i canali di Havers
e canali di Volkman, che contengono vasi sanguigni e nervi.

Questi canalicoli ossei servono perché le cellule possano prendere


contatto con la componente vascolare.

L’osteocita ha una struttura con una serie di prolungamenti che vanno all’interno dei canalicoli ossei,
alle cui estremità gli osteociti possiedono delle GAP JUNCTION (giunzioni comunicanti), sono presenti
tra osteociti-osteociti, osteociti-osteoblasti e tra osteoblasti-cellule progenitrici. Tutta la componente
cellulare è in grado di rimanere in contatto. All’estremità Le giunzioni consentono rapidi flussi di calcio
coinvolti nella trasmissione di informazioni per regolare il metabolismo dell’osso.

Gli osteociti sono dei meccano-sensori, in grado di percepire il carico, è un segnale per comprendere se
la quantità di osso è sufficiente o deve aumentare. A seconda del carico vinee prodotta una proteina che
si chiama sclerostina, la quale stimola o inibisce la attività di produzione della matrice (fa differenziare
le cellule in osteoblasti). In particolare, un aumento di sclerostina da parte degli osteociti riduce il
differenziamento MSC in osteoblasti con conseguente inibizione nella formazione di matrice ossea.

Gli osteociti sono in gradi di andare a fornire dei fattori che vanno a stimolare la produzione dell’osso,
ma anche la stessa attività di produzione di osteoclasti che andranno a riassorbire la matrice. Diventano
una bilancia nel meccanismo di produzione e riassorbimento.

Autore: Chiara Arleo, Maria Pancotto, Serena Canala, David Brandoni per Medicina08 6 di 22

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