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PSICOLOGIA SOCIALE

COMUNICAZIONE
 Ascoltare: prestare attenzione alla comunicazione verbale e non verbale
dell’interlocutore, dirigere tutti i cinque sensi verso l’altro (sentire a livello empatico).
 Percezione: in psicologia tutto eccetto il tempo è soggettivo. Ogni individuo è un
mondo psichico unico, cioè da un punto di vista psicologico ciascun individuo è unico.

MODELLO CIBERNETICO: come avviene la comunicazione verbale.


 Comunicazione a una via: veloce, non consente verifiche né correzioni, comporta molti
errori e non consente il dissenso. È monologo.
o Emittente: deve esserci qualità e pertinenza della codifica.
o Codifica: traduzione / trasformazione del pensiero in parole.
o Canale e codice: linguaggio utilizzato (es. parola). Non devono esserci disturbi
(rumori che comportano una riduzione della quantità delle informazioni
trasmesse).
o Decodifica: traduce (anche l’intenzionalità comunicativa).
o Ricevente: deve esserci una percezione corretta del messaggio e un’adeguata
capacità di decodifica (canale e codice condivisi).
 Comunicazione a due vie: richiede molto tempo, è dialogo, i ruoli sono intersecabili,
compare il feedback, consente verifiche, correzioni reciproche e il dissenso, comporta
pochi errori.
MODELLO PSICOLOGICO: considera prevalentemente il non verbale, e considera le persone
(non emittente e ricevente). Osserva quello che nello scambio comunicativo passa tra soggetti
da un punto di vista emotivo, psicologico. Considera la comunicazione come trasmissione
della sfera emotiva (emozioni, sentimenti, bisogni, desideri, percezioni…).
 Definizione di comunicazione: l’insieme di processi fisici e psichici attraverso i quali si
effettua l’operazione di messa in relazione di una o più persone (emittente) con una o più
persone (ricevente) al fine di raggiungere determinati obiettivi.
 Contesto della comunicazione
o Spazio personale: spazio intorno all’individuo, misurabile in termini di distanza e di
posizione ottimale per ottenere una comunicazione efficace e confortevole.
o Ambiente psico-sociale: contesto culturale e sociale, che può determinare i confini e
i vincoli di tipo qualitativo e quantitativo nelle relazioni tra gli individui.
 Scopo della comunicazione: ogni comunicazione è data con la precisa intenzione di
raggiungere un determinato fine ed assume le modalità espressive che sono più idonee a
tale scopo. Per comprendere il significato di una comunicazione è necessario conoscere gli
obiettivi dell’emittente.
 Linguaggio o codice verbale
o Linguaggio simbolico (sintetico): livello emotivo della comunicazione. È più veloce
del verbale.
o Linguaggio verbale (analitico): livello razionale della comunicazione.
o Significato denotativo di una parola: è dato dagli elementi che caratterizzano in
modo essenziale ciò che essa denota.
o Significato connotativo di una parola: varia da persona a persona in funzione delle
esperienze soggettive, delle associazioni personali e dei contesti.
 Comunicazione: processo che avviene tra due o più personalità 1 coinvolte in una
situazione comune2 e che discutono tra loro con dei significati3.
Ostacoli nell’ascolto: ascoltiamo noi stessi e non l’altro, siamo attenti solo al nostro
obiettivo, prestiamo poca attenzione all’altro e a quanto dice, formuliamo mentalmente la
risposta mentre l’altro parla.
MODELLO PSICOSOCIOLOGICO: aggiunge al modello psicologico quelli che sono gli aspetti
sociologici (sociali). Ci sono diverse identità : personale (chi sono?  si sviluppa nei primi tre
anni di vita), sociale (che ruolo rivesto?  si sviluppa dopo i primi tre anni di vita, nelle realtà
dove c’è un’elevata socializzazione). Questo modello prende in considerazione entrambe
queste identità .

ASCOLTO
L’eccessiva attenzione alle parole annulla il contenuto significativo del messaggio.
Meccanismi psichici inconsapevoli che influenzano la comunicazione umana:
 EFFETTO ALONE: difficoltà comunicativa determinata dal fatto che la comunicazione
in entrata suscita in noi particolari emozioni, o particolari ricordi che evocano delle
emozioni. Questo ci porta ad allontanarci dall’interlocutore e a rivolgerci verso noi
stessi.
 EFFETTO FILTRO: la comunicazione in entrata che riceviamo va a stimolare valori
morali, quindi tratteniamo contenuti che possono essere incongruenti con i nostri
valori. Succede maggiormente nei contesti affettivi.
Fattori che facilitano la comunicazione:
 Autostima: stima in ciò che ci caratterizza. La acquisiamo anche attraverso gli altri.
 Autoefficacia: stima verso ciò che sappiamo fare.
 Capacità di ascolto
 Chiarezza centrata sull’ascoltare
 Accettazione dell’aggressività
 Disponibilità ad aprirsi
Mezzi alternativi che facilitano la comunicazione:
 Costruzione dell’identità
 Costruzione di relazioni interpersonali
 Apprendimento
 Sviluppo del pensiero logico

1
Personalità: gli individui che comunicano sono caratterizzati da storia personale, sistemi di motivazioni, stati affettivi,
livello intellettuale e culturale, quadro di riferimento, status, ruoli psico-sociali.
2
Situazione comune: la comunicazione rende possibile l’azione sull’interlocutore all’interno di una situazione definita.
3
Significati: gli individui non comunicano solo delle informazioni, ma si scambiano dei significati.
COMUNICAZIONE AUMENTATIVA: obiettivo è accrescere, potenziare la comunicazione
naturale.
COMUNICAZIONE ALTERNATIVA: obiettivo è consentire agli individui di comunicare
messaggi in modo da permettere:
 Comunicazione di bisogni e desideri
 Trasferimento di informazioni
 Relazioni sociali
 Comunicazione con se stessi
WATZLAVICK: la comunicazione non è un fenomeno unidirezionale, da chi parla a chi ascolta,
ma un processo di interazione tra le diverse persone che stanno comunicando.
PRAGMATICA: psicologia del comportamento, indagine sull’interdipendenza tra l’individuo ed
il suo ambiente, che ritiene centrale il concetto di scambio di informazione, cioè di
comunicazione.
La comunicazione umana avviene attraverso il linguaggio verbale e il linguaggio non
verbale.
 Attraverso la comunicazione verbale passa il messaggio razionale, cioè il contenuto che
volontariamente si vuole trasmettere all’interlocutore.
 Attraverso la comunicazione non verbale passa il significato emotivo del messaggio,
cioè tutto ciò che è connesso al modo di percepire, sentire, accettare, rifiutare, valutare
o svalutare la relazione con l’interlocutore e che spesso viene trasmesso
involontariamente, cioè senza che l’interessato ne sia cosciente.
La comunicazione funzionale è formata da messaggi verbali e non verbali coerenti tra di loro
e rispetto al contesto, allo status, al ruolo, alle attese di ruolo e all’immagine degli
interlocutori.
COMUNICAZIONE NON VERBALE:
Prossemica: branca della psicologia che studia il linguaggio non verbale. È finalizzato alla
comprensione dei messaggi impliciti contenuti nei gesti delle persone.
La comunicazione non verbale è il mezzo principale con il quale esprimiamo le nostre
emozioni. Essa infatti lascia filtrare più facilmente i contenuti psichici profondi, mostra i
nostri sentimenti ed i vissuti relazionali.
 Gestualità  dipende anche dalla cultura (in culture diverse ha significati diversi), può
essere espressione di emotività , o può essere utilizzata a supporto della
comunicazione.
 Mimica gestuale  la gestualità non accompagna ma sostituisce la comunicazione
verbale (solo gesti)
 Postura  la posizione del corpo può esprimere come ci sentiamo durante lo scambio
comunicativo, può indicare chiusura per esempio. Principalmente utilizziamo le mani
(es. per salutare). Può dare messaggi sulla personalità di un individuo, sugli stati
d’animo, sulle intenzionalità relazionali e sul tipo di relazione.
 Mimica del volto  tutto il volto è composto da parti che esprimono emotività . Le
nostre emozioni sono così profondamente connesse con le espressioni facciali che,
modificando volontariamente l’espressione del volto, si riesce ad indurre un
cambiamento anche dell’emozione sentita.
 Occhi  insieme alle mani sono molto importanti per stabilire una relazione e
trasmettono emozioni.
 Voce  contiene ritmo, tono e pause. Rivela anche lo stato d’animo di chi parla.
 Uso degli oggetti  hanno un significato sociale, possono essere espressione di cultura,
possono rappresentare lo status economico (possono essere ingannevoli). Possono
avere funzione di barriera o facilitatore relazionale.
 Ambiente/spazio  ad esempio come arrediamo casa nostra, o come lo curiamo, se è
in ordine o in disordine, pulito e curato o sporco, che colori utilizziamo. Spazio: spazio
interpersonale (tra noi e gli altri).
 Comportamento spaziale: vicinanza, orientamento del corpo, movimento dell’ambiente
fisico. La vicinanza tra persone varia in base alla cultura di appartenenza e al contesto
(spazio psicologico). Il bisogno di preservare integri lo spazio psicologico e lo spazio
fisico è talmente forte che esiste un vero e proprio automatismo che ci porta a
mantenere costante la distanza, tra noi ed i nostri interlocutori, che riteniamo ottimale
per vivere la relazione senza disagio. Si intende anche quanto spazio utilizziamo (tanto
o poco).
 Rumori  causano disturbo nella comunicazione.
 Suoni  accompagnano le situazioni (es. nei film le colonne sonore).
 Estetica  anch’essa è espressione di cultura, comprende anche per esempio la
chirurgia estetica (può essere funzionale o disfunzionale).
 Silenzio  è fondamentale ascoltare i silenzi nella comunicazione non verbale, può
essere decodificato in modi molto differenti.
 Abbigliamento  è sia espressione culturale che di ruolo che di status economico, ma
anche di noi: per esempio anche se non ho pensato a come vestirmi, i capi che indosso
li ho scelti io quando li ho comprati.

COMUNICAZIONE VERBALE:
Ogni comunicazione verbale va letta ed interpretata nel contesto relazionale in cui ha
avuto luogo. Ciò che si dice, infatti, non sempre corrisponde a ciò che si vuole dire e,
inoltre, il contesto e l’insieme della comunicazione non verbale contribuiscono a dare
significati diversi alle medesime espressioni verbali.
Ciascun individuo tende a decodificare ed interpretare ciò che gli viene detto sulla base
delle sue esperienze, della sua storia personale e del suo modo di sentire.
Il contenuto (CV) è oggettivamente verificabile, l’interpretazione che se ne dà è un fatto
molto largamente soggettivo.

La percezione del mondo che ci circonda è il risultato sia delle conoscenze oggettive (livello
razionale) sia delle percezioni soggettive (livello emotivo).
Ciascun individuo tende a decodificare ed interpretare ciò che gli viene detto sulla base
delle sue esperienze, della sua storia personale e del suo modo di sentire.
L’influenza che le percezioni soggettive hanno sul comportamento umano è
notevolmente superiore a quella esercitata dalla sfera razionale.

COMUNICAZIONE NEI GRUPPI


Reti di comunicazione:
Grado in cui ciascun individuo può entrare in contatto direttamente con gli altri
membri del gruppo:
posizione centrale: l’individuo è in grado di comunicare direttamente con gli
altri membri del gruppo.
Posizione periferica: l’individuo riesce a comunicare con la maggior parte degli
altri solo indirettamente tramite una terza persona.
Rete a circolo (rete tutte le comunicazioni): tutti comunicano con tutti. L’esecuzione
del compito non è la migliore, gli individui si scambiano più messaggi commettendo ma
anche correggendo più errori. Individui più motivati nell’esecuzione del compito.
Rete a stella / a ruota: tutti comunicano solo con il leader. Esecuzione del compito
migliore sul breve periodo. L’individuo in posizione centrale (leader formale) era più
motivato e più soddisfatto, mentre quelli in posizione periferica tendevano ad essere
insoddisfatti.
Rete a Y: esecuzione del compito rapida. Gli individui in posizione di “relais”
(comunicano con il leader e con i periferici. Il leader comunica solo con loro e non con i
periferici.) sono soddisfatti e godono di maggior potere nel gruppo. Gli individui
periferici tendono ad essere insoddisfatti e si sentono estraniati rispetto al leader.
ASSERTIVITÀ
Assertività: è la capacità del soggetto di utilizzare in ogni contesto relazionale, modalità di
comunicazione che rendano altamente probabili reazioni positive dell’ambiente e annullino o
riducano la possibilità di reazioni negative.
Libet e Lewinsohn (1973): teoria che ha l’obiettivo di trovare quali sono le modalità funzionali e
disfunzionali nel relazionarsi con gli altri:
 Essere troppo rivolti verso gli altri non favorisce il rispetto di noi stessi.
 Essere assertivi (utilizzare l’unica modalità efficace):
o Esprimere chiaramente i propri obiettivi: è necessario che le relazioni siano esplicitate,
siano chiare. Mettere l’interlocutore nelle condizioni di sapere chi ha davanti, cosa sta
per succedere, cosa aspettarsi.
o Cercare soluzioni con il reciproco accordo: realizzare un obiettivo, senza la percezione o
di aver sopraffatto l’altro o di aver subito l’altro.
o Essere se stessi e non nascondere i propri sentimenti.
o Essere a proprio agio nel “faccia a faccia”: ricercare l’interazione diretta con
l’interlocutore. È difficile se l’interlocutore non è disposto al confronto.
o Avere con gli altri rapporti di fiducia.
 Importanza di dire “no, ma…”:
o Rifiutare una richiesta. Accettare tutto ciò che ci viene richiesto è una forma di mancato
rispetto per se stessi: aderiamo ad uno schema sociale, ad un pregiudizio, perché chi dice
di no è considerato egoista.
o Poter esprimere sentimenti, opinioni, idee.
o Essere responsabili del proprio comportamento: essere liberi, autonomi.
o Esprimere le proprie debolezze e i propri limiti.
o Poter dire: non capisco, non riesco.
 Il rispetto di sé va parallelamente al rispetto degli altri.

1. Riconoscimento delle emozioni – autonomia emotiva.


2. Capacità di esprimere emozioni piacevoli/spiacevoli (Diritto).
3. Consapevolezza dei propri diritti – rispetto auto/eterodiretto.
4. Auto/etero stima.
5. Capacità di autorealizzazione – immagine di sé, fiducia e sicurezza personale.

MODALITÀ EFFICACI: Assertiva:


 Disponibile all’ascolto
 Esprime ciò che sente e pensa
 Sa dire di no
 Chiede spiegazioni
 Cerca di capire com’è l’altro
 Cerca di capire come l’altro lo vede
 Comunicazione a 2 vie.

MODALITÀ INEFFICACI (disfunzionali): passiva, aggressiva, manipolatoria.


Modalità passiva: è una comunicazione a una via, non si entra in relazione spontaneamente,
ma si subisce la relazione.
Modalità aggressiva: è l’opposto di quella passiva.
Modalità manipolatoria: è la più inefficace. Fa leva sulle emozioni, induce nell’altro dei
sensi di colpa.
Sono modalità inconsce.

D.E.S.C.
D  descrivere il comportamento altrui.
E  esprimere i propri sentimenti / emozioni.
S  specificare cosa modificare.
C  conseguenze (se… allora…).

 Modalità per esprimere una critica partendo da se stessi (io mi sento così, non tu mi senti così).
 La critica è costruttiva se aiuta a correggere gli errori commessi e aiuta al dialogo. Deve essere
chiara, non aggressiva, diretta al fare e non all’essere, e deve proporre alternative. È distruttiva
quando è lesiva contro l’altro, e quindi non è finalizzata al cambiamento.

10 regole di Bower (per chi muove una critica, per soffermarsi e riflettere prima di verbalizzare):
1. Trovare la parola giusta: soffermarsi a riflettere su chi è l’interlocutore verso cui muoviamo
la critica, e quindi valutare la modalità adatta.
2. Trattare in privato
3. Non lasciare ingrandire un conflitto
4. Essere concreti e precisi
5. Fare un appunto alla volta
6. Non scusarsi
7. Non dire “sempre”, “mai”.
8. Non fare richieste impossibili
9. Presentare l’aspetto costruttivo delle cose
10. Suggerire soluzioni accettabili.
IL GRUPPO
Socializzazione: processo di interazione attraverso il quale il comportamento di un individuo si
modifica per conformarsi alle aspettative dei componenti del gruppo di appartenenza.
Gruppo: ambito privilegiato del processo di socializzazione (campo relazionale e come luogo di
continuo confronto dinamico tra i componenti).
Secondo la psicologia un gruppo può essere composto da un insieme di componenti che si
percepiscono reciprocamente come interdipendenti in modo cooperativo e stimolante.
Oppure, un gruppo è la formazione sociale estremamente organizzata, per lo più composta
da un piccolo numero di persone aventi tra loro una reciprocità di rapporti. Il gruppo è
formato da componenti legati sl piano intellettivo ed affettivo dal principio “l’uno per
l’altro” ed ognuno dei componenti svolge nel gruppo una funzione specifica.
È un insieme di persone che, interagendo e confrontandosi l’un l’altro, determinano
particolari fenomeni la cui apparenza va integrata e ricondotta ai vissuti ed alle percezioni di
ciascun membro e dal gruppo nel suo complesso.
Tipi di gruppi:
 Gruppo psicologico: gruppo ristretto, con un preciso aspetto numerico (da ¾ a 12/15
persone). Quelli superiori sono gruppi sociali, inferiori a 3 sono diadi.
 Piccolo gruppo:
o Da 6 a 12 componenti.
o Consente la relazione faccia a faccia, la manifestazione dei sentimenti e l’espressione
di emozioni.
 Grande gruppo:
o 13-25/30 componenti.
o Troppo grande per le relazioni faccia a faccia.
o Identificazione degli altri lenta.
 Gruppo allargato:
o 30-80 componenti.
o Le relazioni di indifferenza sono maggiori di quelle di simpatia (ciascun componente
non conosce mediamente più della metà degli altri).
o Gli individui si accontentano di far parte di una coppia o di un piccolo gruppo
all’interno del gruppo allargato.
 Gruppo vasto:
o 80-300 componenti.
o Le relazioni interpersonali sono ancora più limitate e difficoltose.
 Folla:
o 300+ componenti.
o Fenomeno della folla: la folla possiede emozioni, sentimenti collettivi.
L’individualità è sostituita dalla moltitudine, si crea un’anima collettiva che porta i
singoli ad agire diversamente  deresponsabilizzazione (il soggetto non si
percepisce responsabile di ciò che fa e ciò che dice). Non è un gruppo psicologico,
ma non è nemmeno un gruppo, perché è una moltitudine di persone che si ritrova
casualmente, anche senza un obiettivo comune, e non è garantita l’interazione tra
tutti i soggetti.
Il gruppo è un’entità vivente e dinamica avente un’esistenza propria non riducibile alla semplice
somma dei componenti.
Gruppi primari: famiglia, amici. Gruppi in cui è forte la componente affettiva, l’aspetto
valoriale, le relazioni sono informali.
Gruppi secondari: gruppo di lavoro, relazioni formali, condivisione delle norme e degli
obiettivi.
Il gruppo si forma solo se si verificano particolari condizioni che portano i suoi componenti a:
 Avere obiettivi condivisi.
 Diversificare i ruoli.
 Avere uno scambio significativo di comunicazioni.
 Usare il “noi”.
 Avere un’interazione prolungata.
 Avere delle norme implicite ed esplicite.
 Instaurare relazioni affettive, di fiducia e stima.
 Soddisfare il bisogno di appartenenza.
4 fasi di sviluppo nel gruppo:
1. AGGREGATO: è un insieme di più individui, privo di particolari interrelazioni, con un
obiettivo comune, ma non condiviso. (ricerca di unità e omogeneità).
2. PREGRUPPO: gli individui, con molta insicurezza e quasi in attesa di qualcuno che li guidi,
iniziano a relazionare tra loro. (Reimportazione del conflitto e riconoscimento della pluralità
interna, si accetta la pluralità, coesione molto forte).
3. GRUPPO: le interrelazioni tra i componenti sono ricche, le comunicazioni fitte, c’è l’uso del
“noi”. si crea una struttura, si suddividono i ruoli, c’è coscienza collettiva. Si prende
coscienza del fatto che si può interagire con chiunque in vista di un obiettivo. Il collettivo
non è più temuto, ma visto come luogo in cui agire con altri in vista di un obiettivo.
FAMIGLIA: primo gruppo a cui l’individuo appartiene fin dalla nascita.
 Interazione prolungata tra i componenti.
 Percezione dell’appartenenza molto forte.
 Relazioni affettive molto importanti.
 Obiettivi sia interni sia esterni.
 Numerose norme, alcune imposte dall’esterno altre dall’interno.
 Ogni componente ha un ruolo specifico.
AMICI: gruppo che acquista importanza soprattutto nell’adolescenza.
 Norme che regolano il comportamento.
 Condivisione affettiva.
 Obiettivo predominante è il mantenimento del gruppo in sé e il benessere dei componenti.
 Ruoli diversi: presenza di un leader.
LAVORO:
 Obiettivi orientati al compito e di primaria importanza.
 Struttura di ruoli precisa, spesso di tipo gerarchico.
 Norme sono le stesse che caratterizzano l’organizzazione di cui il gruppo fa parte.
 Se il gruppo di lavoro è funzionale risponde al bisogno di appartenenza.
 Le relazioni affettive ci sono, tuttavia può anche non esservi condivisione.

FATTORI SOCIO-EMOZIONALI E DINAMICHE


COESIONE
Coesione: il campo di forze che agisce sui componenti, in modo da farli rimanere nel gruppo. È
strettamente connessa all’esistenza e all’attività del gruppo perché è insieme causa ed effetto del
comportamento dei componenti.
Un gruppo è coeso quando i suoi componenti:
 Hanno obiettivi comuni.
 Sono legati da vincoli affettivi.
 Usano il “noi”.
 Si suddividono i compiti e collaborano tra loro.
 Si influenzano reciprocamente.
 Instaurano norme comuni.
 Elaborano una “cultura” di gruppo.
La coesione è un insieme di forze che lega gli individui in unità. Le forze che producono coesione si
possono ridurre a quattro variabili globali:
1. Le condizioni motivazionali dei componenti del gruppo: bisogno di affiliazione
(appartenenza), bisogno di riconoscimento e di sicurezza, possesso di beni materiali che il
gruppo garantisce.
2. Le qualità rinforzanti del gruppo: la finalità a cui è orientato, le caratteristiche dei
componenti, il prestigio del gruppo.
3. Le aspettative dei componenti sull’efficacia del gruppo.
4. L’interazione fra aspettative ed esperienze dei componenti: se il livello di soddisfazione che
il membro del gruppo si prospetta non viene raggiunto, si allenta l’attrazione verso il
gruppo.
Forze coesive che hanno origine nelle persone appartenenti al gruppo:
 Incertezza e insicurezza dei componenti: la coesione aumenta di fronte all’incertezza della
situazione esterna al gruppo, il gruppo diminuisce il timore.
 La prospettiva di raggiungere obiettivi apprezzati: la percezione della possibilità di
raggiungere gli scopi costituisce un incentivo alla partecipazione e viceversa.
 Percezione della relativa efficienza del gruppo rispetto ad altri gruppi di riferimento:
confronto tra soddisfazione del proprio gruppo e quella che potrebbero fornire altri gruppi.
 Utilità strumentale del gruppo: il gruppo deve consentire la soddisfazione delle aspirazioni
personali, altrimenti si tende ad abbandonarlo.
 La percepita accettazione da parte dei componenti: l’attrazione è potenziata
vicendevolmente quando si è stimati ed accettati dagli altri membri del gruppo.
 Bisogno di confermare le proprie decisioni: se il gruppo non è soddisfacente, si tende a
trovare giustificazioni ad esso, in quanto in precedenza vi si è inseriti.

Forze coesive che hanno origine dalla composizione ed organizzazione del gruppo:
 Orientamento collaborativo dell’attività del gruppo: le persone che hanno lavorato insieme
per scopi comuni tendono a stabilire relazioni.
 Omogeneità di status dei componenti: i gruppi che godono una posizione di status elevato
generano maggior coesione che gli altri gruppi.
 Limitata numerosità del gruppo: più aumenta la numerosità più diminuisce la coesione.
 Situazione: la coesione può derivare dalla situazione in cui il gruppo opera.
 Minaccia derivante dall’ambiente: la competitività tra gruppi genera coesione all’interno di
essi. La minaccia deve provenire dall’esterno e non dall’interno del gruppo.
 Successo del gruppo nella manipolazione dell’ambiente: i componenti riescono ad affrontare
efficacemente i problemi che stanno trattando. Il successo facilita la coesione.
 Omogeneità e eterogeneità: l’eterogeneità tende a produrre conflitto nei gruppi, ma ne
aumenta la capacità di soluzione dei problemi e la produttività del gruppo.
Coesione come variabile indipendente: coesione come causa del comportamento del gruppo (e non
come effetto di forze e di caratteristiche del gruppo). Quando la coesione è elevata:
 Aumenta l’aggressività verso i componenti del gruppo.
 I componenti si percepiscono come simili fra loro.
 Si tende a valutare positivamente i colleghi
 Aumenta la sensibilità empatica.
 Aumenta la similitudine di percezione: i sentimenti sono ricambiati.
 Valutazione positiva della situazione.
 Aumenta il livello di comunicazione tra i componenti.
 Aumenta la conformità alle norme del gruppo.
 Aumenta la produttività.
 Aumenta la capacità di apprendimento.

DIFESE DI GRUPPO
Le difese vengono messe in atto per non prendere coscienza di alcune situazioni presenti all’interno
del gruppo, vissute come minaccia alla coesione.
 Fuga da un piano di realtà ad un piano di fantasia: nell’affettività, nella teoria e nella virtù.
 Accoppiamento o pairing: il gruppo è escluso per un motivo funzionale, oppure tentativo di
un partecipante di fare coppia con il leader per avere un ruolo privilegiato.
 Provocazione protettiva: si sollecita l’intervento di chi si esprime poco e si giustifica questa
richiesta improvvisa col fatto che è giusto che tutti possano esprimere le loro idee. Il
provocatore consente così al gruppo e a sé di evitare di esprimersi.
 Lamento per rifiutare l’aiuto: è un fenomeno di controindipendenza (contro chi gestisce il
gruppo), ci si lamenta di tutto per non cambiare nulla.

ALIBI DI GRUPPO
Gli alibi proteggono il gruppo dalla realtà esterna e portano alla non azione.
 Alibi tecnocratico: non si può fare una determinata cosa perché mancano i tecnici con
competenza specifica.
 Alibi strutturalista: non si può perché la struttura, l’organizzazione, i capi non lo consentono.
 Alibi falso nemico: si inventa un nemico esterno da combattere e si ritrova la coesione
contro di esso.
 Alibi corporativo: noi saremmo d’accordo ma… e gli altri?

LA CULTURA DEL GRUPPO: il modo peculiare attraverso cui un gruppo provvede al


soddisfacimento dei bisogni dei componenti.
 Bisogno: è ciò che motiva all’azione (motivazione).
 Norma: regola che deve essere seguita per la soddisfazione del bisogno. La norma regola il
comportamento degli individui dall’esterno, indicando ciò che viene richiesto e ciò che è
proibito.
 Valore: attraverso il valore il controllo non viene più dall’esterno, ma dall’interno. I valori
indicano anche quali sono i bisogni da ritenersi più importanti e prioritari e contribuiscono a
creare e mantenere l’integrazione fra gli individui di un sistema.
 Ruolo: l’insieme delle azioni, degli atteggiamenti e dei valori che un individuo deve avere
per concorrere alla realizzazione dei valori generali e alla soddisfazione dei bisogni
collettivi.
 Atteggiamento: mentre il comportamento è manifesto, l’atteggiamento è un contenuto
interno all’individuo.
 Comportamento: è costituito dalle azioni concrete e osservabili di un individuo ed è
determinato da tutte le variabili precedenti.

CONFLITTI NEL GRUPPO:


 Conflitti orizzontali interpersonali o fra sottogruppi.
 Conflitti verticali con l’autorità o con chi detiene il potere.
In un gruppo si formano alleanze intorno a valori o bisogni comuni, si formano dei sottogruppi.
È probabile che tra sottogruppi di apra un fronte di conflitto intorno a questioni centrali come:
 La spartizione del territorio.
 Il controllo e l’uso delle risorse.
 La priorità dei valori e dei bisogni.
I conflitti fra sottogruppi di per sé non sono disfunzionali, ma possono diventarlo.
Ci sono gruppi in cui il conflitto viene represso e altri in cui viene liberamente espresso.
Gestione del conflitto:
1. Strategia vinco-perdi: le parti in conflitto sono d’accordo che ci sia un vincente ed un
perdente. Se non c’è dislivello di potere fra le due parti può diventare perdo-perdi.
2. Strategia perdo-vinci: è il reciproco della strategia precedente. Una delle due parti sceglie di
perdere per far vincere l’altra.
3. Strategia vinco-vinci: evita che ci sia un perdente e mantiene la relazione. È una strategia
collaborativa, che comporta l’interesse alla relazione di entrambe le parti. È diverso dal
compromesso, in cui tutti e due cedono o perdono qualcosa.

INFLUENZA SOCIALE
Il comportamento di una persona può essere influenzato da altre persone.
Conformità: il cambiamento di comportamento o di opinione che deriva da una pressione reale o
presunta esercitata dal gruppo.
 Influenza sociale informazionale: il comportamento degli altri viene osservato per
aumentare le proprie conoscenze.
 Influenza sociale normativa: si accetta il comportamento altrui per non differenziarsi dagli
altri, ma al di fuori di quella situazione il proprio comportamento non verrà modificato. Le
persone cancellano o riducono il peso delle proprie opinioni per seguire il gruppo.
Contagio: l’individuo vede altri componenti del gruppo comportarsi come egli vorrebbe realmente
e questo fa sì che egli si comporti come il gruppo (si sente deresponsabilizzato).

RUOLI PROBLEMATICI NEI GRUPPI


 Auto-svalutatore: riesce a occupare la maggior parte del tempo e dello spazio in un gruppo
continuando a scusarsi di tutto. Ha un insaziabile bisogno di rassicurazione. Più cresce la sua
autostima, meno interviene nel gruppo.
 Passivo-aggressivo: è ostile e arrabbiato, ma nega di averne avuto l’intenzione. Critica
qualcuno in modo che senta qualcun altro.
 Pollyanna: apparentemente vede tutto in positivo e utilizza sempre il lato migliore di ogni
cosa che avviene. Con il passare del tempo, ci si accorge che uccide il gruppo pur di evitare
il minimo conflitto e il minimo scontro.
 Dirottatore: fa spesso commenti e domande che non hanno nulla a che vedere con ciò di cui
si parla in quel momento.
 Criticone: ha da ridire su tutti gli aspetti del lavoro. Espressione indiretta dei suoi sentimenti
negativi attraverso smorfie, sospiri e lamenti.
 Farfallone: sembra vivere in un altro mondo, chiede spiegazioni su cose che tutti hanno già
capito.
 Proiettore: usa principalmente meccanismi proiettivi, attribuendo agli altri i propri pensieri e
sentimenti.
 Rattrappito: atteggiamento triste e sofferente, in un angolo del gruppo. Attrae su di sé
l’attenzione creando un’atmosfera di imbarazzo e disagio. Sta in silenzio e sospira.
 Inquisitore: continua ad interrompere il flusso del discorso con le sue domande. Irrita per
ottenere l’attenzione.
 Intellettualizzatore: tenta di dare un senso assolutamente a tutto.
 Antagonista: tende ad opporsi alla maggior parte delle cose che vengono dette. Fa domande
e commenti in modo provocatorio. Comportamento aggressivo.
 Monopolizzatore: ha poca capacità di ascolto e si appropria della maggior parte dello spazio
nel lavoro del gruppo.
 Sapientone: è esperto in tutto, perfeziona qualsiasi cosa venga detta, sfida il leader.
 Salvatore: tende a rendersi utile e gradito, si scusa spesso, difende e interpreta gli altri,
spiega continuamente i propri e gli altrui sentimenti, teme il conflitto e cerca di proteggere
gli altri dalle situazioni conflittuali.

LEADERSHIP
Leader è qualcuno che hai dei follower, colui che vede l’obiettivo (vision) e lo mostra agli altri
come raggiungibile (mission: che cosa permette il raggiungimento degli obiettivi, proietta nel futuro
gli obiettivi). È presente in tutti i gruppi, anche se non in modo ufficiale.
Leader formale: leader formalmente riconosciuto, abilitato ad esercitare il potere di condurre un
determinato gruppo di persone.
Leadership: sistema di comportamento richiesto da e per il funzionamento del gruppo, come una
condizione e una qualità dinamica della sua strutturazione.
 Leadership come funzione all’interno di un gruppo.
 Leadership come relazione.
 Leadership come predisposizione individuale.
La leadership consiste nello svolgimento di quelle azioni che aiutano il gruppo a realizzare gli
obiettivi da esso ritenuti importanti.
Differenziazione di ruolo: differenziazione di ruolo tra leader e seguaci e differenziazione tra un
leader funzionale e uno socio-emotivo:
Leader funzionale: individuo che suggerisce idee e guida il gruppo nella soluzione dei
compiti.
Leader socio-emotivo: tiene alto il morale del gruppo e sdrammatizza le tensioni in presenza
di difficoltà. Riscuote il maggior numero di simpatia del gruppo.
Leadership funzionale: i componenti di un gruppo traggono maggior soddisfazione dai leader che
tenevano conto delle loro esigenze, e sono insoddisfatti se il leader tengono contro esclusivamente
delle esigenze produttive. A maggior soddisfazione corrisponde maggior produttività. Il leader
dovrebbe conoscere le più comuni dinamiche di gruppo ed essere in grado di gestirle
coscientemente per facilitare il lavoro del suo gruppo e per divenire il vero catalizzatore dei bisogni
e dei mezzi del gruppo.

STILI DI LEADERSHIP
Weber ha distinto tre grandi figure:
 Capo carismatico: considerato infallibile e quasi sacro, si circonda di un alone di mistero per
mantenere maggiormente le distanze.
 Capo tradizionale: insieme autoritario e paternalista.
 Capo democratico: l’autorità poggia su basi consultive e razionali.
Redl: considera il leader come la persona centrale sulla quale si focalizzano le emozioni e
l’attenzione di tutti. Distingue dieci tipi di leadership:
 Leader autoritario: influenza gli altri direttamente e con pressioni esterne.
o Capo autocratico: si impone attraverso l’intimidazione o le punizioni.
o Capo paternalistico: vuole essere ubbidito, rispettato ma anche amato.
 Leader cooperativo: vuole coinvolgere gli altri. La distanza con gli altri membri è minore.
 Leader manipolatore: influenza gli altri indirettamente e a loro insaputa.
 Leader delucidatore: determinato a porre il gruppo in condizione di decidere
collettivamente, dopo aver preso coscienza dei suoi problemi e del processo in atto.
 Leader laissez-faire: rinuncia dell’autorità da parte del capo che si disinteressa del gruppo.

GRUPPO DI LAVORO E LAVORO DI GRUPPO


Gruppo: insieme di persone in interazione tra loro, con obiettivi comuni e condivisi, ruoli
differenziati, senso di appartenenza, uso del noi, reti comunicative utilizzate formali ed informali,
sviluppo della coesione che porta alla condivisione delle regole, del piacere di appartenere al
gruppo, alla percezione del supporto degli altri.
Gruppo di lavoro: piccolo gruppo, spontaneo o artificiale, determinato dall’interdipendenza. È
finalizzato al raggiungimento di obiettivi definiti congiuntamente e che possono essere raggiunti
solo attraverso la collaborazione di tutti.
Interdipendenza: acquisizione da parte dei componenti della consapevolezza di dipendere
gli uni dagli altri. Si fonda sulla percezione della necessità reciproca.
Interazione: si fonda sulla percezione della presenza.
Collaborazione: determina l’instaurarsi di rapporti di fiducia, nel valutare e stimare le
proprie ed altrui competenze.
Negoziazione: confrontare tutte le opinioni dei componenti del gruppo, allargando il
campo delle possibilità delle alternative, seguendo una logica di incontro (e non di
eliminazione).
Condivisione: è il risultato della negoziazione, permette al gruppo di riconoscere il
risultato come proprio.
Lavoro di gruppo: è l’espressione dell’azione complessa propria del gruppo di lavoro. Comprende
la pianificazione del compito, il suo svolgimento e la gestione delle relazioni.
 I gruppi fanno un numero significativamente inferiore di errori rispetto agli individui (il
controllo degli errori nel lavoro di gruppo è superiore): si esprimono solo le idee di cui si è
sicuri perché si teme il giudizio degli altri. C’è un continuo scambio di feedback.
 La performance di un gruppo è più elevata della performance individuale, ma generalmente
richiede un tempo superiore.
 Le risorse di cui dispone un gruppo sono numericamente superiori a quelle di cui dispone un
individuo isolato.
 La performance collettiva dipende dal valore del lavoro svolto da ciascun individuo:
l’incompetenza o la disattenzione di un solo partecipante può bloccare la risposta del
gruppo.
 La semplice presenza di altre persone serve ad aumentare la produttività di un individuo, ma
anche a diminuirne la precisione.
 Il livello di attenzione, di aspirazione e la motivazione al compito possono essere elevati.
 Si ha un effetto di facilitazione lavorando simultaneamente con altri allo stesso compito.
 Competizione: i diversi componenti lavorano insieme e hanno elementi oggettivi di
paragone. I soggetti mediocri tendono ad avvicinarsi a quelli migliori, migliorando la
propria performance.
 Influenza informativa: il singolo all’interno del gruppo è portato a tenere in considerazione
le diverse informazioni che gli vengono apportate dalle risposte date dagli altri componenti e
quindi modifica il suo giudizio.

STRATEGIE COLLABORATIVE del lavoro di gruppo


Riunione: sede di decisioni, di esercizio del potere, di modificazione di equilibri e di atteggiamenti,
di scoperta di nuove ipotesi e di nuove soluzioni. Sono uno spazio per la soluzione collaborativa dei
problemi e per le decisioni prese in modo consensuale.
Piccolo gruppo: è la dimensione che più di ogni altra contribuisce a sviluppare il senso di
appartenenza all’organizzazione, il senso del proprio valore e del proprio potere. È la dimensione
più appropriata ed efficace per perseguire obiettivi di cambiamento culturale in quanto è il luogo
della socializzazione dove i nuovi comportamenti possono essere appresi.
Nelle riunioni di piccolo gruppo può essere efficacemente presidiata la qualità delle decisioni.
Collaborazione: comportamento intrapreso insieme per la ricerca di benefici comuni. Presuppone
condizioni di libera scelta, l’adesione a valori comuni, la percezione del proprio potere personale e
dei vantaggi che essa comporta.
Aspetti di fondamentale importanza:
1. La preparazione delle riunioni in modo più rigoroso di quanto non si faccia oggi,
predisponendole per il successo adottando tutti quegli accorgimenti atti a prevenire i
problemi.
2. La conduzione delle riunioni, con metodologie funzionali, dinamiche che favoriscano la
produttività, la partecipazione attiva e la soddisfazione delle persone.
3. La formazione al lavoro di gruppo che coinvolga progressivamente tutti coloro che in
gruppo si trovano ad operare, a risolvere problemi o a decidere.
Decidere in gruppo: in un gruppo, se il processo di decisione è chiaro, nettamente definito, ben
compreso e semplice, le decisioni saranno prese ed attuate direttamente e con precisione. Questo
gruppo sarà considerato efficace, in grado di raggiungere generalmente i risultati che si prefigge e
probabilmente beneficerà di una buona immagine.
MECCANISMI DI DECISIONE DI GRUPPO:
 Decisione per “caduta nel vuoto”: vengono fatte proposte una dopo l’altra senza che la
precedente sia stata commentata.
 Decisione d’autorità: decisioni influenzate dalla struttura di potere del gruppo.
 Decisione a minoranza forzata: alleanza tra due o più persone che tendono poi a sfidare il
gruppo.
 Decisione a maggioranza – votazione e/o consultazione: si considera come decisione
l’opinione della maggioranza verificata verbalmente o anche tramite votazione.
 Decisione per consenso: (consenso non è unanimità) si ha consenso quando la
comunicazione è stata aperta e si è instaurato un clima di fiducia. Questo porta all’adesione
anche in caso non vi sia condivisione.
 Decisione all’unanimità: è la più efficace da un punto di vista razionale, ma difficile da
realizzare.

Decisione collaborativa:
Collaborazione: sforzo compiuto da due o più persone in vista della realizzazione di uno scopo
comune. Permette di limitare i conflitti e le frustrazioni conseguenti ed evita prese di posizione
rigide e poco funzionali. Può garantire una migliore funzionalità nel processo decisionale ed un
maggior senso di responsabilità.
La decisione collaborativa richiede molto tempo: è necessario ascoltarsi, confrontarsi, capire bene i
termini del problema, valutare tutte le possibili soluzioni; ma allo stesso tempo rende le relazioni
più solide e soddisfacenti, consente di separare la persona dal problema. Permette di far aumentare
le possibilità di prendere delle decisioni che soddisfino tutti i componenti.

LA SQUADRA
Squadra: gruppo organizzato in cui sono presenti ruoli e poteri formali differenti che concorrono,
con le proprie particolari mansioni e competenze, al raggiungimento di un obiettivo comune. È lo
strumento gestionale più adeguato per motivare, creare appartenenza e trasmettere entusiasmo.
I componenti della squadra possono avere obiettivi individuali, oltre che di gruppo, ma ciò
che li accomuna è il desiderio di avere successo non solo come singoli, ma anche come
squadra.
Il lavoro di squadra è finalizzato allo scambio di tutte quelle informazioni, dati, esperienze,
idee, intuizioni e suggerimenti che possono contribuire alla soluzione di un problema
comune. Genera creatività e dà origine a legami affettivi e di solidarietà.
Per sviluppare le proprie competenze e la propria creatività, un gruppo deve sempre far emergere le
differenze e le divergenze al suo interno, ma il leader deve poi intervenire perché i conflitti siano
vissuti e gestiti come confronti, ossia come divergenza di idee e non come contrapposizione tra
individui.
Lavorare in squadra significa apprendere il cambiamento, cioè l’abituarsi a confrontarsi e a trarre
sempre nuovi insegnamenti dalle idee che da questo confronto scaturiscono. Questo processo
continuo di verifica di sé e di innovazione rinforza l’autostima e dà impulso alla motivazione al
successo.

EQUIPE
Equipe multidisciplinare: squadra composta da diversi operatori con qualifiche e ruoli funzionali
diversi, che appartengono generalmente alla stessa organizzazione.
È il metodo più efficace di lavoro per favorire il raggiungimento degli obiettivi professionali ed
inoltre tutela l’operatore da eventuali rischi di isolamento e di “burnout” professionale.
La presenza di diverse professionalità, diversi punti di vista, favorisce un confronto costruttivo ed
una risoluzione dei problemi più efficace e ricca.
La competizione è meno efficace della cooperazione perché necessita di un investimento di
energia che potrebbero essere invece più proficuamente impiegate nello svolgimento del compito.

ENTRARE IN UN GRUPPO
Un nuovo componente viene definito neofita, novizio, recluta o cucciolo.
Due modalità per entrare:
Alto rischio: interazione indiretta in cui si viene esclusi dal gruppo perché ci si propone
all’istante ma si viene rifiutati.
Basso rischio: osservazione del gruppo verso il nuovo arrivato, non vi è un tempo stabilito
ma solo un tempo di osservazione reciproca.
Facilitatori:
Scelta di un gruppo adeguato in cui si privilegia l’osservazione.
Avere un mediatore o referente per collaborare anche con gli altri nuovi, ma serve anche al
gruppo per avere informazioni sul nuovo arrivato.
Non creare alleanze perché si viene esclusi a prescindere.
Ruoli dei novizi:
Sono visitatori di passaggio.
Sono trasferiti da altri gruppi però sono criticati perché vi è timore che esso operi nei
confronti del nuovo gruppo dei giudizi che paragonano il gruppo precedente e quest’ultimo.
Sono sostituiti da un posto all’altro che può essere evitato perché potrebbe essere giudicato
inferiore rispetto al precedente, avviene un’idealizzazione che mette nei panni del perdente il
nuovo sostituto. Però nessuno può essere sostituito perché ognuno è unico, quindi si dovrà
accogliere l’altro.
STRESS E BURNOUT
Lo stress produce una reazione fisiologica sintomatologia = battito accelerato sudore ecc.
quanto è percettibile o visibile un 'emozione) e successivamente anche psicologica, lo stress è
sia piacevole che spiacevole ed è una risposta emotiva a delle situazioni che producono un
disequilibrio interno. Infatti qualsiasi situazione che crea disequilibrio fa si che il soggetto
percepisca la richiesta eccessiva rispetto alle risorse (ad esempio se sono stanca posso
percepire una richiesta più pesante rispetto a quando sono rilassata). Se non ci fosse lo stress
saremmo morti, poiché lo stress è anche funzionale. Lo stress è la risposta complessa prodotta
da un soggetto nell'interazione con l'ambiente.
Stress: reazione biologica specifica dell'organismo alla presenza di un agente stressante tesa a
ristabilire la condizione di equilibrio precedente (prima definizione di stress generata Selye
dopo un esperimento su dei topolini). In quanto l'agente stressante produce disequilibrio.
Stress per la psicologia: è un fenomeno a livello globale che ha luogo quando la persona
incontra eventi percepiti come significativi per il proprio benessere. Si dovranno attivare
quindi risposte affinché la persona riesca a generare un adattamento sia interno che esterno
per rigenerare un equilibrio (es. generare elementi protettivi per paura). Lo stress può quindi
generare emozioni spiacevoli, come la paura o l'ansia che offuscano la razionalità del
pensiero, oppure essere funzionale se lo si sa gestire
* Le emozioni producono un’energia psicofisica notevole (psico perché attiva aree cerebrali
mentre fisica perché attiva risposte di tipo fisiologico) che consente anche il riconoscimento
delle emozioni che si stanno provando per prendere consapevolezza e contestualizzarle.
Questi passaggi sono generati da una collaborazione tra intelligenza emotiva e razionale,
permettono che l'emozione non sia pervasiva e ostacolante e cioè permettono di gestire le
emozioni. Il coinvolgimento emotivo implica di essere all'interno dell'emozione con
successiva perdita di razionalità e di gestione dell'emozione.
Lo stress si può suddividere in:
1. EUSTRESS che dovrebbe essere sempre presente e funzionale ed e una risposta
emotiva agli stimoli che porta l'individuo a generare un adattamento. La risposta
psicofisica genera un allarme o una preoccupazione interna, poiché il disequilibrio
genera malessere, successivamente si attiva la fase di adattamento ovvero cercare con
le proprie risorse una risposta o fare una richiesta di aiuto L'individuo trova quindi le
energie fisiche necessarie per gestire un adattamento interno ed esterno; il primo più
funzionale perché percepiamo noi stessi il nostro ruolo come attivo. Se un individuo è
sottoposto costantemente a una situazione di eustress, la sua condizione potrebbe
portare a un distress cronico
2. DISTRESS è lo stress che porta l'individuo alla percezione di non poter gestire,
l'emozione e ritenere insufficienti le proprie risorse, si sente incapace e non accettato o
soddisfatto socialmente infatti talvolta è causa di patologie depressive. La risposta
psicofisica produce un allarme o una preoccupazione interna a causa del disequilibrio
che a sua volta causa un esaurimento per malessere. Essendo una risposta psicofisica si
va anche ad alterare il sistema immunitario il quale deprimendosi porta all'espressione
di malattie croniche.
SALUTE: stato di benessere fisico, mentale e sociale e non solo assenza di malattia. (1948
OMS)
Lo stress psicologico è ciò che produce una risposta allo stress (determinato dalla
soggettività dell'individuo) disadattiva in base al significato che esso assume per la persona
che lo vive (es. eccessiva ansia).

Cause dello Stress:


EVENTI NATURALI gli eventi naturali sono percepiti dagli individui come impotenti e
c'è quindi dal punto di vista sociale una percezione di minor responsabilità , trovando
in questo modo maggior supporto sociale e facendo si che la società di attivi. Gli eventi
naturali possono quindi essere stressor psicologici.
EVENTI PERSONALI gli stressor psicologici possono anche essere legati agli eventi
personali (es. lutto) anche se certi eventi sono considerati neutri in base all'esperienza
dell'individuo, Tendenzialmente a questi eventi si trova un supporto sociale (es. per i
lutti si fa il funerale).
(DAILY HASSLES) fattori quotidiani (es. portafoglio rubato, perso il treno...). Gli eventi
quotidiani riguardano il singolo ed è più difficile trovare un supporto sociale in questo
caso perché più un fattore è personale meno si avrà un supporto sociale, Lo stress
psicologico può quindi avere un impatto maggiore poiché non sostenuto da un
supporto sociale,
STRATEGIE DI COPING: sono le strategie per far fronte allo stress e si imparano da bambini
osservando e imitando l'adulto, Le strategie di coping hanno una parte funzionale (gestione
delle emozioni) e una disfunzionale (le emozioni prendono il sopravvento e si ha un
coinvolgimento emotivo). Sviluppare le strategie di coping vuol dire aumentare le capacità di
affrontare situazioni problematiche e stressanti,
Le strategie principali sono 4:
1. Coping emozionale: modalità emotive che l'individuo utilizza per gestire l'emotività e
cioè la risposta emotiva all'evento.
2. Coping razionale: utilizza la razionalità per analizzare la situazione e le risorse
cognitive ed emotive capaci di individuare le modalità per affrontare l'evento.
3. Coping centrato sul sostegno sociale lo utilizziamo nel momento in cui andiamo a
considerare gli altri come entità importante per il supporto sociale (abbiamo bisogno
di aiuto). Crea relazioni soddisfacenti tra individui.
4. Coping centrato sull'evitamento: non risolvere la situazione che ha prodotto
disequilibrio e quindi non ristabilire equilibrio, è quindi disfunzionale Il supporto
sociale in questo caso viene utilizzato per realizzare l'evitamento perché potremmo
rimanere incapaci di risolvere la situazione. Queste modalità possono essere generate
in modo inconscio

LAVORO CORRELATO: una vecchia legge sulla sicurezza 626 è stata soppiantata da un decreto
del 2008 sulla sicurezza che rivela la rilevazione dello STRESS DA LAVORO CORRELATO, si
inizia a tenere conto anche dello stato di salute mentale, sociale e fisico del lavoratore. In
questa legge si ha quindi una valutazione del clima lavorativo in ambito delle relazioni nei
gruppi in cui l'unico rilevatore è il datore di lavoro. Il lavoro ha un ruolo importante che ci
consente di rispondere a tutti i bisogni fisiologici e psicologici come sicurezza, appartenenza,
stima e autorealizzazione, anche se non sempre le persone vivono bene in un contesto
lavorativo e partendo dall'individuo ciascuno può intervenire sul sé, mentre in un contesto
organizzativo si può intervenire meno. La sostituzione dalla legge al decreto 2008 è stata
determinata dall'evento avvenuto in Francia: aumento dei casi di suicidio degli operatori
callcenter, casi non tutti basati su problematicità fisiche ma per lo più psicologiche. I
lavoratori socio-sanitari si pensava fossero maggiormente colpiti dalla sindrome del Burnout,
ma agli inizi degli anni 2000 si è affermato che non solo i contesti socio-sanitari sono i
responsabili dello sviluppo della sindrome del Burnout, quindi è opportuno modificare lo
sguardo verso la persona che può avere delle modalità disfunzionali o personalità fragili. Il
datore di lavoro deve valutare i rischi che sono all'interno del contesto lavorativo sia di tipo
fisiologico per il lavoratore che di tipo psicologico. Da un punto di vista metodologico l'ordine
degli psicologi ha affermato che la rilevazione di fattori di rischio deve essere fatta
parallelamente sia dal datore di lavoro che dal medico del lavoro i quali devono stare attenti
ad EVENTI SENTINELLA.
 Assenze dell'operatore sia per ferie che per malattia, tendenzialmente si superano le
ore massime disponibili = ASSENTEISMO o FUGA che si cerca di stare a casa per
alimentare la condizione di malattia.
 incidenti sul lavoro, infortuni.
 Analisi del contenuto e del CONTESTO LAVORATIVQ (es, se c'è un equipe oppure si
lavora individualmente, le ore che prevede il contratto, le pause a disposizione,
l'organizzazione interna del gruppo...).
 ATTEGGIAMENTO BUROCRATICO.
 Ricorso a MODELLI STANDARDIZZATI come le pratiche generalizzate, protocollo
mansionari, linee guida senza osservare chi ha intorno o stabilire una relazione.
 Fuga dalle RELAZIONI che lo fanno stare male o sentire non professionale, anche come
i colleghi non più visti come alleati a cui chiedere sostegno ma sono visti come nemici,
rivali questo provoca un'organizzazione privata del lavoro, allontanandosi dalle
relazioni.
Le rilevazioni da stress possono essere effettuate da fest somministrati sia in gruppo che in
singolo, e tendenzialmente sono questionati. In parallelo si dovrebbero anche effettuare dei
(Colloqui) tra lavoratore e psicologi dedicati, riunioni di gruppo per avere maggiori possibilità
di dialogo con i vari membri.
I risultati che emergono sono dei dati che verificano la presenza di rischio o l'assenza, nel
primo caso si deve avvisare il datore di lavoro e attuare un piano di AZIONI PREVENTIVE
attivate dal datore di lavoro per evitare la situazione di stress, La rilevazione viene fatta ogni
due anni per verificare la presenza o diminuzione di fattori di rischio. La legge però dà la
possibilità di fermare la rilevazione senza avviare il piano di miglioramento, ma impone
l'obbligo di rilevazione per le aziende private o grandi imprese ma non nel pubblico.
La psicologia si sofferma su una multifattorialità delle problematiche perché il malessere può
anche essere generato da alcune motivazioni (motivi del nostro agire che dipendono da
bisogni che ci portano a scegliere) del lavoratore disfunzionali.

Motivazioni disfunzionali:
 Ricerca di Potere) in un contesto generale l'individuo può scegliere di lavorare per
soddisfare un bisogno di potere (motivazione disfunzionale). Esso è un bisogno che a
lungo termine non può essere soddisfatto e quindi genera nella persona
insoddisfazione. Disfunzionale perché sostituisce la relazione di reciprocità tra
operatore e paziente.
 Bisogno di Successo: orientato solo al raggiungimento di obiettivi. Anche se è
disfunzionale perché non porta ad alcuna soluzione delle criticità e problematiche.
 Orientamento all'Affiliazione, si tende ad associare una sorta di adozione verso qualche
collega come se fosse un surrogato familiare perché sentono un vuoto o una solitudine
familiare, ma è disfunzionale perché non può essere soddisfatto per molta.
 Orientato all'Evitamento: in cui il lavoratore riversa tutta la tensione nel contesto
lavorativo evitando i conflitti e i problemi degli altri contesti.
 Insicurezza: si rivolge l'attenzione all'attività lavorativa con razionalità rispetto alla
componente emotiva.
 Bisogno eccessivo di Aiutare: dedicarsi all'altro ponendo la sua attenzione solo su di
esso ed evitando di curare il proprio benessere.
Rimanere comunque professionale, in modo esaustivo nell'agire la propria specificità
professionale in totale autonomia, FIDUCIA IN SE STESSI maturare il senso di
responsabilità e dei limiti che uno ha, CAPACITA RELAZIONALI o entrare in relazione
determinato dal saper essere disponibili verso l'altro.
VARIABILI ORGANIZZATIVE
VARIABILI SOCIALI

Fasi che portano alla morte professionale o fine;


IDEALIZZAZIONE)= non consente di vedere i punti di debolezza e criticità delle
proprie azioni. Porta all'ONNIPOTENZA di controllo
INIZIALE INSODDISFAZIONE e DELUSIONE rispetto a un ruolo lavorativo.
VISSUTO PERDITA - INUTILITA= non ritrovarsi adeguato al ruolo che rivestiamo.
MORTE PROFESSIONALE doyuta anche alle caratteristiche di personalità :
IMPERSONALITÀ EMOTIVA
ECCESSIVO COINVOLGIMENTO
INTOLLERANZA ALLA FRUSTRAZIONE
INCAPACITA DI GESTIRE IL TEMPO IN MANIERA PRODUTTIVA

Cause del Burnout:


 Scarsa retribuzione comunica agli operatori di non riconoscere in modo
appropriato la complessità del loro lavoro.
 Troppe ore lavorative rispetto a quelle stabilite dal contratto (max 8 al giorno, max
38 alla settimana).
 Condizioni ambientali sfavorevoli come l'illuminazione, la temperatura delle stanze
 Poche risorse materiali.
 Troppo/Poco da fare senza avere il tempo per riflettere o confrontarsi, oppure non
avere lavoro da fare e sentirsi esclusi
 Rigidità dei compiti che sottolinea situazioni di malessere come anche l'ambiguità
nei compiti che comporta dei tutto-fare, non crea le possibilità di gruppo ed equipe.
 Eccesso o Mancanza di responsabilità che è ciò di cui sappiamo rispondere significa
essere liberi ma si può eccedere in onnipotenza oppure in dipendenza da
qualcun'altro.
 Elevato carico psicofisico
STRESS NON PROFESSIONALE: l'operatore che vive condizioni stressanti al di fuori
dell'ambito lavorativo, ma influisce sul suo lavoro e sulle altre relazioni.

CONDIZIONI DI AFFATICAMENTO
 Lavorare sempre nello stesso contesto lavorativo per troppo tempo,
 Stare con gli stessi utenti.
 Relazionarsi con utenti cronici o con patologie meno invalidanti,
 Avere troppe richieste e anche difficili sia da parte dei bambini che dei genitori che
 Non percepire un nuovo ambito lavorativo come una sfida o percepirla sempre
come fonte di cambiamento e malessere.
Ruolo ancora più importante è quello dell'equipe che favorisce la diffusione delle
informazioni, la comunicazione circolare, è un supporto professionale coeso sia per i membri
che lo compongono che per i pazienti che sono seguiti da più professionisti e dunque essere
osservato da molti esperti avendo un ampio sguardo sulla sua condizione. Bisogna creare una
rete di comunicazione per favorire la circolarità delle comunicazioni che riguardano le
informazioni del bambino, coinvolgendo anche i genitori.
Prevenire lo stress lavorativo e la sindrome di Bumout:
1. PREVENZIONE-PRIMARIA: selezione del personale che non significa esclusione dei
candidati ma vuol dire creare un incontro tra domanda e offerta e Valutare se la
mansione è adatta a quel candidato ed esso è adatto all'organizzazione. Significa anche
(stabilire) un progetto individuale per il lavoratore favorendo alla meglio il suo
sviluppo in un contesto specifico,
2. PREVENZIONE SECONDARIA): azioni del datore di lavoro per evitare qualsiasi
condizione di stress.
 formazione per approfondire conoscenze di base, pratiche oppure rispetto al saper
essere con tematiche psicologiche, comunicazione, la gestione del conflitto o
all'interno del gruppo. Il datore comunica in questo modo di considerare
importante la loro crescita personale.
 (supervisione importante come strategia organizzativa condotta da un operatore o
altre figure per organizzare dei momenti di dialogo per consentire una situazione di
dialogo sia in gruppo che individuale per confrontarsi nelle varie faccende del saper
essere non sul saper fare coesione.
 distribuzione dei compiti per avere un equo riconoscimento personale sufficiente
impiego personale, rispettare la fatica altrui e le ore del contratto.
 Favorire l'autonomia per la delega delle informazioni e far sentire ognuno
responsabile come libero.
 avere chiari obiettivi e condivisibili per avere un lavoro condiviso e soddisfare la
richiesta della presa in carico.
 alleanza con utenza, famiglie e comunità , la costruzione del servizio di rete
fondamentale.

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