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Victor hugo in viaggio sulle alpi

Un libriccino minuscolo, poco più di 80 pagine, in grado però di trasportare il lettore in un altro
mondo e in un altro tempo. Grazie alla densità e alla vivacità della descrizione di luoghi e paesaggi,
che il grande Victor Hugo sa mettere in campo anche in scritture private.

In questo agevole libro, dalla meravigliosa copertina, In viaggio. Le Alpi (Elliot edizioni), sono raccolte
infatti le lettere che lo scrittore francese, già allora celeberrimo, inviò alla moglie Adele (tranne il
racconto di un episodio, indirizzato a Louis Boulanger) durante un viaggio che l'avrebbe condotto
tra le Alpi e le città della Svizzera.
Siamo nel 1839 e Victor Hugo intraprende questo itinerario, come altri scrittori romantici
dell'epoca, per avvicinarsi al «sublime», per rendersi conto di quanto la «spaventosa» magnificenza
dell'opera di Dio, trasposta nella natura, avvicini l'uomo a quel trasalimento che è soffio di eternità.

Le Alpi, specie il coté svizzero, restano dunque l'universo dell'ascensione romantica alla visionarietà... (p. 7)

Come spiega Arnaldo Colasanti nella sua introduzione al libro. In verità, già dal secolo precedente,
le Alpi erano entrate nell'obiettivo di molti scrittori, viaggiatori, turisti (i primi...) e soprattutto
studiosi.  Che vi si avvicinavano con l'occhio più analitico, con una disposizione, per così dire, più
scientifica, più conoscitiva. E anche quando alle spedizioni alpine si univano incisori, con il compito
di realizzare vedute e paesaggi, la visione risultava in ogni caso diversa, idealizzata, quasi che
l'ordinato paesaggio alpino potesse tradurre l'ordine eterno della Natura e la felicità arcadica.
Quanto diverse invece le visioni romantiche dell'Ottocento: l'occhio indugia su dirupi, orridi,
cascate, rocce, forre, guglie, precipizi, pareti alte da capogiro... su uno qualunque degli aspetti
montani atti a indurre timore, paura, ammirazione tremante, «delizioso orrore», attrazione
adrenalinica. E se tra Settecento e Ottocento le Alpi diventano un mito collettivo, esse diventano in
breve «la terra d'elezione del Romanticismo». 

Il quadro che, visivamente, riesce a tradurre tutto ciò in immagine è il Viandante sul mare di nebbia di
Caspar David Friedrich, dipinto nel 1818. Appena arrivato sulla punta di una roccia brulla e,
s'indovina, altissima, il viandante, pensoso, contempla il maestoso paesaggio che si staglia ai suoi
piedi, «ove per poco il cor non si spaura» (L'Infinito, Giacomo Leopardi).
Qui, come nelle lettere di viaggio di Victor Hugo, il paesaggio montano diventa una quinta teatrale
per mettere in scena la propria interiorità, il proprio profondo sentire.
Victor Hugo racconta alla moglie, con gusto tutto romantico, di città immerse nel buio (lo scrittore ama arrivare di
notte, quando l'oscurità rivela nascondendo e cela mostrando), talmente silenziose da lasciare udire i salti dei
pesci nelle acque del lago. Racconta di leggende paurose, come la frana che spinse un paese sul fondo delle
acque, con case e abitanti, narra delle ascensioni sulle cime circostanti, il Rigi e il Pilato, «montagna strana... di
forma terribile» (p. 29).

Arrivato sulla cima della scarpata, ero senza fiato; mi sono seduto qualche istante sull'erba, delle grosse nubi
scure avevano nascosto il sole, ogni abitazione umana era scomparsa, l'ombra che cadeva dal cielo dava a questo
immenso paesaggio deserto un non so che di sinistro... (p. 48)

Oltre alle notazioni, tipicamente romantiche, sulla "bellezza terribile" della natura, le lettere di Victor Hugo ci
aprono anche finestre interessanti sugli usi e costumi dell'epoca: il saltimbanco che si porta appresso un orso per
farlo danzare nelle piazze dei paesi, l'altro gruppo di "artisti di strada" che lestamente si trasformano in ladri di
argenteria, i marmocchi che urlano e ridono per le vie, le comari alle fontane, le donne che spiano dalle finestre.
Incontriamo poi i primi turisti, giovani studenti tedeschi, eleganti con le loro pipe di ceramica e il loro bastone da
passeggio, parigine avvolte in scialli di velluto, inglesi coperti alla bell'e meglio con soprabiti, trasportini, cavalli,
carrozze e cabriolet fermate dai cocchieri davanti ad alberghi lussuosi. L'umanità, elegante e colta, dei primi
viaggiatori. Siamo agli albori della letteratura di viaggio.

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