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Teologia

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Noi abbiamo concluso con la parte biblica. Quello che ci permette di connettere la riflessione biblica
con quella etico teologica è soffermarci su quella che si chiama la SVOLTA CONCILIALE (del concilio
Vaticano secondo, indetto da papa giovanni Paolo II). È un concilio che riunisce tutta la chiesa, cioè
ecumenico. L’argomento che a noi importa maggiormente è la costituzione apostolica gaudium et
spes che parla della chiesa nel mondo. È importante capire che il concilio Vaticano secondo è un
momento fondamentale per la riflessione etico teologica: si parla di una rivoluzione a livello di
impostazione, si passa dalla morale della legge alla morale della coscienza. Se prima si poteva
pensare a una riflessione che aveva dio come legislatore (immagine di dio che dona la legge scritta
sulla pietra), ora la centralità si sposta alla coscienza (come luogo in cui dio si rivela all’uomo).

Per capire dio dobbiamo partire dall’umano. Dio si comunica all’uomo e l’uomo comprendendo se
stesso arriva a capire quella tensione verso l’infinito di dio che lo rende soggetto religioso. Facendo
riferimento all’antropocentrismo (uomo al centro perché è in relazione con dio), riconosciamo dio
come presente in ogni realtà. Parallelamente a quella che è la svolta conciliare come passaggio dalla
morale della legge alla morale della coscienza vediamo che c’è anche un cambiamento rispetto alla
comprensione che si ha dell’uomo nella sua relazione con dio. Questo cambia il discorso teocentrico,
dio non è al centro perché non è un oggetto, ma è in ogni realtà perché vive la relazione che l’uomo
ha con il mondo. Soprattutto si comunica all’uomo in una relazione diretta che è presente nella
cosciEnza. È una relazione esistenziale, che sostiene la vita del soggetto perché vive in forza della
relazione con se stesso, con gli altri, con il mondo e con dio (presente in ogni cosa).

GAUDIUM ET SPES 16 parla della coscienza come sacrario. Un passaggio fondamentale che
ricorderemo molte volte.

Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve
obbedire e la cui voce che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando
occorre, chiaramente dice alle orecchie del cuore: fa’ questo, fuggi quest’altro. L’uomo ha in realtà
una legge scritta da Dio nel suo cuore: obbedire ad essa è la dignità stessa dell’uomo, e secondo
questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si
trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria.

(Ogni uomo ha una interiorità dove percepisce questa apertura a dio e in quel nucleo riconosce la
tensione che non è lui a darsi che lo spinge a fare il bene: la legge naturale e spinta morale. Dio
risulta essere presente dentro l’uomo, come ricordiamo il rovo di mose disse: togliti le scarpe perché
il luogo in cui sei è sacro. Dimensione di inviolabilità che si connette al rispetto che dovremmo avere
per la coscienza. Inoltre dá una possibilità intima di relazione con dio che allo stesso tempo è
comune. Non è esclusiva per qualcuno ma di ogni uomo in quanto uomo. L’essere umano è creato
e voluto da dio in relazione con lui. Da questo nucleo profondo abbiamo la spinta etica del soggetto.
In questo sacrario etico e teologico si uniscono: questa è una legge percepita nel cuore come voce
di dio. L’esperienza morale tramite l’incontro con il prossimo e l’esperienza di fede tramite
l’incontro con dio si fondono e si uniscono. Il soggetto riconosce dentro se stesso questa spinta e
grazie all’incontro con l’altro capisco quale sia il bene per me. Relazionalitá come elemento di
incontro )

Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge, che trova il suo compimento
nell’amore di Dio e del prossimo. Nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini
per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali,

(Credenti e non credenti sono uniti, accomunati dalla ricerca del bene e alla soluzione di tanti
problemi morali. Non è possibili riuscirci se non nella ricerca del bene oggettivo e non del bene per
me. La coscienza cerca rettamente il bene, secondo la retta ratio e il giusto utilizzo della ragione.
Boezio parlava di uomo come sostanza individuale di natura razionale.)

che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale. Quanto più, dunque, prevale la
coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi sociali si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano
di conformarsi alle norme oggettive della moralità. Tuttavia succede non di rado che la coscienza sia
erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità. Ma ciò non si può
dire quando l’uomo poco si cura di cercare la verità e il bene, e quando la coscienza diventa quasi
cieca in seguito all’abitudine del peccato.

La prima parte tratta di quella che è la relazione di dio con il mondo e soprattutto quella che è la
relazione della chiesa nel mondo. Sono dei principi che valgono sempre, mentre la seconda parte
parla di come questi elementi possono essere inseriti nel mondo contemporaneo (che dobbiamo
comprendere per poter capire come la chiesa è presente nel mondo di oggi) (Un mondo
contemporaneo che ha fatto passi avanti)
Ci ricorda il principio dell’incarnazione, ovvero di comprendere come realizzare la realtà di dio nel
mondo.
C’è una continuità dalla comprensione di se nell’altro alla comprensione di se con dio.

Questo fare il bene ed evitare il male si tematizza nella relazione con gli altri e nella concreta realtà
dell’esistenza e nell’impegno reciproco di una realizzazione di un’umanitá che denota quello che è
l’aspetto sociale. È un percorso dinamico (circolarità ermeneutica) che vede questi aspetti
compresenti ed importanti, inseriti in un percorso storico.

Come affrontiamo il tema della coscienza e quali sono gli aspetti e le attenzioni che dobbiamo avere?
Il soggetto non ha una coscienza ma il soggetto è coscienza. Denota quel cambiamento che ha
portato il concilio Vaticano secondo a superare quel concetto di coscienza come facoltà applicativa
della norma. Prima la coscienza era vista come la facoltà che permette al singolo di riconoscere la
norma ed applicarla. Se noi spostiamo il soggetto, dicendo che egli è coscienza e portiamo
l’attenzione del la riflessione alla coscienza e alla sua attuazione possiamo dire che la coscienza è
quella che determina le azioni, perché ha l’ultima parola sulle azioni. Siccome il soggetto è
responsabile noi possiamo dire che la coscienza è il soggetto. Nel riflettere sulla moralità noi
riflettiamo sempre su un soggetto pienamente cosciente. Qualora egli non lo sia viene meno la vera
moralità dell’atto, se manca coscienza non può esserci giudizio morale e non c’è responsabilità (nel
bene come nel male). Coscienza ed azioni sono sempre connesse è mai separate.

Il soggetto può comprendere e realizzare il bene. Emerge quello che è un piano comune a quello
che è tutto il genere umano. Qui si parla di ragione pratica, non solo vedere il bene ma anche
realizzarlo: intellettuale più pratico. La vita morale non è solo un cieco seguire le norme ma il
soggetto è chiamato a creatività proprio riprendendo il discorso di sequela. Quando noi parliamo di
sequela christi ovvero di aderire a cristo impegnandoci a vivere secondo la sua umanità dobbiamo
pensare a come poter essere credenti oggi, in che modo noi possiamo realizzare il bene oggi,
ciascuno con la propria personalità. La norma indica il limite minimo ma noi dobbiamo trovare il
bene maggiore possibile. Vogliamo essere appena sufficienti o eccellere nella realizzazione piena?
Ci sono delle norme oggettive ma che guidano ognuno secondo la propria possibilità ad un bene
maggiore possibile. In questo senso il bene è per ogni singolo concretamente vincolante, non in
generale ma nella situazione in cui si trova.

La norma indica un caso ipotetico ma noi siamo chiamati a vivere nella situazione concreta.
Dobbiamo essere sempre attenti a tradurre con l’aiuto delle norme, come scelta personale, nella
realtà concreta il bene che noi riconosciamo in coscienza in qui e ora. Ogni decisione non è mai
semplice, il discernimento serve per sciogliere quelle che sono le difficoltà. Il bene da farsi non è
mai ne vantaggioso ne misurato sul proprio tornaconto. La vita morale non è solo seguire le norme
ma riuscire a capire qual è il valore morale che realizza la mia moralità. Ecco che ritorna
l’incarnazione come paradigma della vita morale. L’appello in coscienza che noi percepiamo in quel
sacrario in cui “risuona la voce di dio” richiama a dare corpo al bene. Per questo l’incarnazione è un
paradigma di vita morale e per questo noi possiamo vedere quell’elemento di sintesi tra l’umano e
il divino. Vediamo un percorso di comprensione che è progressivo: si lascia percepire come appello
interiore e come appello che va vissuto ed interpretato in una relazione. Dalla morale
dell’obbedienza a quella che è la comunione con il prossimo e della responsabilità possibile.
Abbiamo il dovere di vivere la presenza dell’altro come appello e vincolo nei confronti dei quali noi
riusciamo a realizzare noi stessi proprio nella relazione con dio. Allora ecco che quella voce che il
soggetto percepisce prende corpo nella storia dell’uomo, per questo il documento da come
indicazione una indicazione generica. È nell’esperienza concreta che noi diamo forma al fai bene ed
evita il male, affidandosi alla responsabilità. Quindi non è un imperativo esteriore ma interiore e
comune a tutti, per il credente è la voce di dio. Non è una distinzione di due cose diverse ma è una
evoluzione della crescita e dell’esperienza. Il non credente non ha esperienza di dio ma sicuramente
del bene e del male si. Il soggetto invece come soggetto morale è anche aperto all’infinito e diventa
credente quando riconosce in quella voce Gesù cristo (AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO).
Non significa essere diversi ma avere compreso un di più. Riconoscersi di fronte all’altro: momento
originario della moralità, non posso possedere l’altro ma devo entrare in una relazione di rispetto e
uguaglianza.

Il dovere morale è realizzare il bene ed essere coinvolti nella totalità di se in ogni azione. Per quanto
piccola essa sia permette al soggetto di esprimere se stesso. L’azione ha un agire comunicativo,
trasmette un significato. Fondamentale è capire che nel nucleo più segreto l’uomo si trova con dio.
Dio è lì da sempre in modo gratuito e continuo e non serve essere credenti per capire che siamo
chiamati al bene. La fede esplicita porta alla consapevolezza che quella voce è la voce di dio,
consapevolezza della provenienza di quella voce. Nella relazione con dio in cristo ( esperienza di
fede in cristo = persona concreta) da a quella voce un contenuto normativo riconoscibile proprio
perché cristo è la norma. Al centro della riflessione deve esserci l’uomo e il suo mondo affinché
ognuno possa capire e comprendere la realtà a partire da quel nucleo profondo. Riuscire a dare un
contenuto a quel nucleo permette di dare una progressiva consapevolezza a ogni relazione che
matura fino all’esperienza di fede. Abbiamo comunque il dovere di prendere quegli elementi della
tradizione che sono ancora validi perché crescere non significa annullare il passato ma maturarlo e
comprenderlo in modo migliore. Il cambiamento di paradigma comprende una nuova comprensione
della moralità in quattro elementi:
- Rapporto tra piano oggettivo e soggettivo (inscindibile, la realtà concreta non esiste a livello
di moralità se non con la relazione al soggetto. La moralità vede il soggetto che si realizza
nella realtà concreta. Moralità come termine ponte)
- Attenzione della formazione delle norme (sistema teleologico che si struttura sulla base dei
valori che vuole realizzare. Si trova un’attenzione nuova alla forza vincolante delle norme
stesse, le norme sono vincolanti nella misura in cui indicano un bene da realizzare. La forza
vincolante delle norme è la possibilità che indicano non il pericolo che indicano)
- Il primato della coscienza (la coscienza che deve interpretare la realtà aiutata dalle norme e
non sono le norme che interpretano per la coscienza)

Questi elementi sono da comprendere con un’attenzione che distingue piano oggettivo,
soggettivo, norma e coscienza senza separarle. Un criterio importante è quello che dice che
distinguere non significa separare. La riflessione ci apre a un dibattito che ha vivacizzato la
riflessione teologica dopo il concilio Vaticano secondo: sulla domanda circa l’esistenza o meno
di un’esistenza di una morale cristiana. Tutta l’impostazione finora detta sulla coscienza porta
alla domanda sulla specificità dell’essere cristiano, animando il panorama teologico degli anni
70 e 80. Ci aiuta il fatto di non se parare ma distinguere, non sono uguali! Non significa che
credere o non credere a livello di moralità non sono la stessa cosa, anche se credenti e non
credenti sono alla ricerca del bene assieme. Quali sono le norme che i credenti riconoscono e i
non credenti non possono riconoscere per una mancanza? Il punto chiave della questione è
riferito al contenuto morale dell’esperienza di fede.

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