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MELUSINA

Fata legata alla casata dei Lusignano originaria del poitou regione vicina aLusignano.
X SECOLO ebbero la signoria del castello di Lusignano, uno dei castelli più important dell francia .
secondo la leggenda questo castello fu costruito dalla melusina.
Jean d’Arras, librario del luogo incaricato di scrivere la storia dei lusignano e del castello ricostruito da una
fata. D’Arras si mette all’opera disponendo degli OTIA IMPERALIA di Gervasio di Tilbury

Altra versione della narrazione melusiniana di COULDRETTE, romanzo commissionatogli da Giovanni II


un lontano discendente dei Lusignano
(più tarda rispetto a quella di jean)
versione poi tradotta in tedesco da THÜRING VON RINGOLTINGEN

Preistoria della melusina


Leggenda del re di Albania (ovvero l’attuale Scozia) Elynas.
Un giorno, cacciando in una foresta vicino al mare,, scorge una bellissima donna di cui sente il canto
meraviglioso e, innamoratosene le chiede di sposarla,
Pressine acconsente alla richiesta, ma ad una condizione: che lui non la veda mai partorire > introduzione di
un tabù
ma l’interdetto è trasgredito e per questo la donna fugge con le tre figlie, appunto partorite: Melusina,
Melior, Palestine, e vanno a rifugiarsi nell’isola di Avalon, l’isola della fata Morgana.
Quando le giovani compiranno 15 anni la madre narrerà di come il padre è diventato spergiuro e per questo
motivo le tre (istigate principalmente da melusina) decideranno di vendicarle la madre, rinchiudendo il
padre, Elynas, in Brumbloremllion, una montagna cava in Northumberland. Pressine ancora innamorata
dello sposo, decide di punire le figlie:
 Melior- posta a custodire uno sparviero in un castello d’Armenia (Leòn de Lusignano fu re di
questo paese)
 Pressine- guardia del tesoro di suo padre (nei Pirenei orientali) MONTE CANIGOU
 Melusina- viene maledetta >dall’ombelico in giù resa serpente tutti i SABATI
>uomo che trova come marito non può_ vederla
_ rivelare il suo segreto
(se le postille della maledizione vengono rispettate, melusina, potrà vivere una vita normale come quella di
ogni altra donna umana)

Raimondo, mentre stava cacciando con lo zio Emeric un immenso cinghale, per sbaglio il giovane uccide lo
zio con un colpo di spiedo, disperato erra nella foresta tutta la notte, finchè non giunge alla Fontana della
sete (chiamata anche Fontana delle fate) ove incontra le tre sorelle e melusina lo riscuote dal suo stato di
apatia chiamandolo per nome.
Melusina viene a conoscenza dell’incidente e promette di aiutare l giovane in cambio del matrimonio con
l’interdetto del sabato. Dona a Raimondo due anelli magici.
Grazie ad un abile stratagemma ideato da M. R. ottiene il possesso di un ampio feudo << tanta terra quanta
ne potrà chiudere una pelle di cervo >>
La donna si mette, inoltre, a costruire un castello, la fortezza dei lusignano, impiegando la manovalanza del
piccolo popolo, in poco tempo, questi esseri estremamente diligenti, sotto la ferrea direzione della fata
costruiscono il castello, disboscano foreste e costruiscono città. Questo intervento ‘’mortifero’’ viene
contrapposto con la prolificità della fata che partorisce 10 figli, otto dei quali recano una TARA FISICA (gli
ultimi due sono normali) simbolo della ferinità della prole melusinana:
 Urien- un occhio rosso e uno glauco, orecchie enormi
 Eudes- un orecchio più grande dell’altro
 Guyon- occhi ad altezze diverse
 Antoine- zampa di leone sulla guancia

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 Renoud- guercio/un solo occhio
 Geoffroy- dente di cinghiale che fuoriesce dalla bocca
 Fromont- una voglia sul naso
 Horrible- 3 occhi

I figli, grazie alla volontà della madre, vanno in giro per la Francia conquistando territori, accrescendo il
valore, il potere e l’importanza dellla famiglia
 Urien va in soccorso dei cristiani assediati a Famagosta (ISOLA DI CIPRO) – fona una nuova
dinstia
 Guyon aiuta il re d’Armenia (Pietro I Lusignano ne diventa re nel 1386)

Un giorno, Raimondo, insospettito dalle parole del fratello, temendo che la moglie lo tradisca, la spia da un
foro sulla porta. Melusina stava facendo il suo bagno di sabato, nel quale si riappropriava della sua forma
ferina e bestiale.
Raimondino è stordito dalla rivelazione, ma allo stesso tempo si sente terribilmente in colpa per aver tradito
il giuramento fatto ed aver mancato di fiducia nei confronti di M., la quale pazientemente lo perdona.
Nel frattempo Geoffroy scopre che il fratello Fromont si è fatto monaco e allora dà fuoco all’abbazia di
Maillezais. Venendo a sapere di tali vicende, Raimondino si altera ed accusa la moglie di aver dato alla luce
una prole di mostri, essendo lei stessa una creatura bestiale.
Scoperta davanti a tutti, la fata è costretta ad andarsene e si getta dalla finestra con un lungo gemito
trasformandosi poi in un drago alato, prima di sparire compie tre volte il giro del castello.
Non riappare più, se non la notte, quando le nutrici avvertono che torna per accudire i suoi due ultimi figli,
senza tuttavia scorgerla.
Si dice che quando il castello di Lusignano stia per cambiare padrone, appaia la melusina tre giorni prima,
tra le torri (oppure quando un dei suoi discendenti sta per morire)
Le leggende e le narrazioni popolari che hanno influito sul ‘canone’ melusiniano sono varie, vanno a
raccogliersi quindi nella figura della fata diverse immagini mitiche e fantastiche.

 GERVASIO DI TILBURY (morte 1222) – fonte principale OTIA IMPERIALIA


 WALTER MAP – DE NUGIS CURIALIUM concetto del
fili mortuae
Simili anche per quanto riguarda la trattazione della donna, ninfa pagana che si
sottrae ai riti cristiani

MELUSINA MATERNA E DISSODATRICE – Jaques le Goff

Una storia in particolare di Walter Map contiene la siluhette della storia melusiniana

 Bosco eletti generalmente si innamorano con un colpo di fulmine;


 Donna bellissima  sogno erotico che si realizza subito, al quale segue un matrimonio
legato
 Naufraga, in lacrime a dei vincoli inviolabili (tabù che sicuramente l’uomo violerà)

De nugis curialium – Walter Map


Henno ‘dai grandi denti’ un giorno incontra una fanciulla bellissima in lacrime, sopravvissuta ad un
naufragio della nave che la stava portando dal re di Francia, che doveva sposare. Henno si innamora e decide
di sposarla, la donna da al marito una << pulcherrimam prolem >>; la madre del marito si insospettisce
quando si accorge che la ragazza si sottrae all’aspersione dell’acqua benedetta e si astiene dal prendere la
comunione. Sospettosa e curiosa la suocera fa un buco nella porta della camera della nuora e la spia mentre

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fa il bagno sotto forma di drago. Informato dalla madre, Henno si porta dietro un prete per aspergere, con
acqua benedetta, la moglie che sorpresa balza via e scompare nell’aria cacciando un grande urlo.

La storia di Henno dai grandi denti è stata associata a quella della Dama del castello di esperver, narrata
negli Otia Imperialia.

Otia Imperialia – Gervasio di Tilbury


La dama di Esperver arrivava in ritardo alla messa e non poteva assistere alla consacrazione dell’ostia. Un
giorno, il marito e i servi la trattennero con la forza in chiesa, nel momento in cui vennero pronunciate le
parole per la benedizione, volò via distruggendo parte della cappella e non fu più rivista.

Altra narrazione di Gervasio di Tilbury, negli Otia che si potrebbe associare a quella di Henno è quella di
Raimondo dello Château-Rousset

Non lontano da Aix-en-Provence, il signore d Rousst incontra, presso il fiume Arc, una donna
magnificamente vestita che lo chiama per nome ed acconsente a sposarlo a patto che non tenti mai di vederla
nud: in tal caso perderà tutte le ricchezze e la fortuna che lei gli avrà procurato. Raimondo promette e la
coppia vive felice: ricchezza, prosperità e numerosa prole, finché un giorno il marito curioso ed imprudente,
strappa la tenda della camera in cui la moglie stava facendo il bagno. La bella sposa si trasforma in serpente
e sparisce per sempre nell’acqua del bagno. Solo le nutrici la sentono quando torna la notte per accudire i
bambini.
Al marito rimane solamente una figlia, la quale, bellissima ha sposato un nobile del luogo, il discendente
vive ancora in quelle zone ai tempi di Gervasio.

Un’altra storia nel De nugis, in cui vi è una donna serpente è quella di Edric il selvaggio

Una sera, dopo la caccia, Edric si smarrisce nella foresta. In piena notte, in una casa, vede danzare nobili
dame, bellissime e di alta statura. Una di loro gli ispira tanta passione che la rapisce e passa con lei tre giorni
e tre notti. Al quarto giorno la donna gli promette salute, frlicità e prosperità, a patto che non chieda mai
nulla riguardo le sue sorelle, l bosco e il punto in cui è avvenuto il rapimento.
Parecchi anni dopo il marito, nonostante la promessa, irritato nel non trovarla al ritorno dalla cacciale chiede:
<< Perché le tue sorelle ti hanno trattenuta così a lungo? >>
Essa quindi scompare. Lui muore di dolore
Lasciano un unico figlio, dalla grande intelligenza, colpito da paralisi, guarita grazie ad un pellegrinaggio.

All’incirca nella stessa epoca dei racconti di Gervasio e di Walter, il cistercense ELINANDO DI
FROIDMONT una storia analoga, di un matrimonio con una donna-serpente; racconto perduto, raccolto
in un riassunto di VNCENZO DI BEAUVAIS nel suo Speculum naturale

Nella provincia di Langres un nobile incontrò nel folto della foresta, una donna bellissima vestita con abiti
preziosi, di cui si innamorò e che sposò. Essa amava spesso fare il bagno, un giorno fu vista dalla serva
mentre galleggiava sotto forma di serpente. Accusata dal marito e sorpresa nel bagno, scomparve per sempre

Poi vi è un salto di circa un paio di secoli per quanto riguarda la letteratura dotta quando poi vengono
prodotte, a distanza di breve tempo due opere in materia di Melusina

Queste due opere presentano 3 caratteristiche fondamentali


I. La storiella è diventata un romanzo, o comunque un racconto molto più lungo

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II. La donna-serpente ha un nome, Melusina
III. La famiglia a cui appartiene il giovane nobile è quella dei Lusignano

Il dossier si riduce ai tre testi del 1200 circa


- Walter Map
- Gervasio di Tilbury
- Elinando di Froidmont
E ai due romanzi del 1400 circa
- Jean d’Arras
- Couldrette

Problema delle fonti: quali?


Tradizioni orali e fonti scritte a cui fa riferimento Jean d’Arras, la cui fonte libresca primaria è Gervasio di
Tilbury, ma essenzialmente i racconti vedono e dipingono un essere dai tratti abbastanza indistinti, sono
parenti stretti, antenati della Melusina che essenzialmente è una creatura medievale. E’ appunto una
creazione del Medioevo, la sua storia è un raccoglitore di punti fondamentali deella cultura che aleggia in
quel periodo
 Tabù  Trasgressione del tabù, quale valenza ha? Nell’ambito della cristianità del mondo
medievale, la trasgressione dello sposo è forse meno grave in quanto la moglie possiede tratti
demoniaci e bestiali
 Uomini/donne-serpenti a differenza delle religioni pagane, l’unione con un essere
sovrannaturale,
 Uomini/donne-pesci (mezzo animale) non è gloriosa ma degradante
 Creature meravigliose come si opera la distinzione tra magia bianca e magia nera?
 Streghe Melusina fata o strega?

Quella di Melusina è una fiaba o una leggenda?


(leggenda nel senso tedesco di sage) sono due generi paralleli ben distinti, ma allo stesso tempo si può
vedere la leggenda come un avatara possibile della fiaba. Quando una fiaba sconfina nel dominio degli
strati sociali superiori e della cultura dotta, quando passa a quadri spaziali e temporali più precisi e
definiti, quando è ghermita dalla storia più incalzante della società e delle classi sociali ‘calde’ diventa
leggenda.
Vediamo come n effetti la fata Melusina sia legata in particolar modo alla famiglia dei Lusignano, ma in che
modo?
o Il nome della Melusina ha condotto ai Lusignano
o I Lusignano, appropriandosi della fata, le hanno dato il nome per legarla meglio a sé
Da dove è partita la leggenda della Melusina? Difficile individuare un centro originario comune, da
diverse regioni, racconti simili che hanno determinato una leggenda unica.
La leggenda di Melusina sembra essere molto prossima per quanto riguarda
I. Antichità europea - Eros e Psiche
- Zeus e Semele
- Numa ed Egeria
II. India antica - mito di Uraçi (più antica versione del ceppo ariano)
III. Serie di miti, dai celti agli amerindi

Caratteristica comune di tutti questi miti


“un essere di un’altra natura si unisce a un uomoe, dopo aver condotto una normale esistenza umana,
scompare quando accade un certo avvenimento”
Per quanto un certo tipo di struttura sia la base e lo scheletro della fiaba e del racconto, vi sono anche
elementi esterni di tipo storico e culturale che vanno a mutare in una certa direzione la narrazione.

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Le trasformazioni sono quindi, non un semplice meccanismo interno, ma le risposte del raccontoalle
sollecitazioni della storia.
Interessante è la peculiarità del racconto melusiniano rispetto alle altre fiabe del meraviglioso. Se infatti si
ha un eroe, in genere lo sposo e un antagonista, elemento esterno alla coppia che cerca di rovinare l’idillio
amoroso, Melusina, la donna-serpente non è la cattiva della storia. Possiede anzi caratteristiche che ci
fanno partecipi del suo dramma. Inoltre, altra diversità rispetto alla norma è il fatto che il racconto non
abbia una happy end, ma che sia un dramma.

Problemi di interpretazione
Melusina porta la prosperità, è uno spirito fertilizzatore che dona una numerosa prole, ricchezza e felicità
all’uomo che decide di sposarla.
Colma lo sposo in tre campi principali
- Prosperità rurale: attività di dissodatrice
- Costruzione: melusina costruttrice
- Demografia: donna estremamente feconda
Melusina è lo specchio della sua epoca, lo specchio di quel medioevo che sta andando incontro ad una forte
crescita in vari ambiti e soprattutto quel medioevo che è costituito in primis da cavalieri e milites ambiziosi
che vogliono espandere il proprio territorio, il proprio potere e le loro ricchezze.
Milites ambiziosi  personificazione di tali ambizioni è la fata: Melusina

Il soprannaturale avvertito al tempo come una parte della realtà circostajnte e quindi non un qualcosa di finto
o irreale, ma appunto semplicemente surreale, soprannaturale, che va quindi aldilà del mondo terreno.
L’oltremondano si estende in zone che sono parallele a quelle umane e sensibili, ma che in qualche caso sono
accessibili.
Oltremondano diverso dall’oltretomba;
seppur simili, non sono la stessa cosa

Altri lai proto-melusiniani


 Lanval – Artù è in lotta contro Scoti e Pitti, ricompensa tutti i cavalieri della tavola rotonda al di
fuori di Lanval  lais di Marie de France (tra cui anche quello della storia di YONEC)
Li chevaliers dunt jeo vus di,
ki tant aveit le rei servi,
un jur munta sur sun destrier,
si s’est alez esbaneier.
Fors de la vile en est eissuz ;
tuz suls est en un pre venuz.
Sur une ewe curant descent ;
mes sis chevals tremble forment :
il le descengle, si s’en vait,
en mi le pre vultrer le fait.
Le pan de sun mantel plia
desuz sun chief, si se culcha.
Mult est pensis pur sa mesaise,

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il ne veit chose ki li plaise.
La u il gist en tel maniere,
guarda a val lez la riviere,
si vit venir dous dameiseles ;
unc nen ot veües plus beles.
Ele jut sur un lit mult bel
(li drap valeient un chastel)
en sa chemise senglement.
Mult ot le cors bien fait e gent.
Un chier mantel de blanc hermine,
covert de purpre Alexandrine,
ot pur le chalt sur li geté ;
tut ot descovert le costé,
le vis, le col e la peitrine :
plus ert blanche que flurs d’espine.

     Li chevaliers avant ala,


e la pucele l’apela.
Il s’est devant le lit asis.
’Lanval’, fet ele, ’bels amis,
pur vus vinc jeo fors de ma terre ;
de luinz vus sui venue querre.

Il dono e il divieto
Un dun li a duné aprés :
ja cele rien ne vuldra mes
que il nen ait a sun talent ;
doinst e despende largement,
ele li trovera asez.
Ore est Lanval bien assenez :
cum plus despendra richement,
e plus avra or e argent.
’Amis’, fet ele, ’or vus chasti,
si vus comant e si vus pri :
ne vus descovrez a nul hume !
De ceo vus dirai jeo la sume.
A tuz jurs m’avriëz perdue,
se ceste amurs esteit seüe ;
mes ne me purriëz veeir
ne de mun cors saisine aveir.’

Il rapimento morganiano di Lanval


Quant la pucele ist fors de l’us,
sur le palefrei detriers li
de plein eslais Lanval sailli.
Od li s’en vait en Avalun,
ceo nus recuntent li Bretun,
en un isle qui mult est beals ;
la fu raviz li dameiseals.
Nuls n’en oï puis plus parler,

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ne jeo n’en sai avant cunter.

 Graelent
 Desiré
 Guingamor
 in Italia, tema lanvaliano imitato da - Lionbruno
- Pulzella
 Partonopeu - origini del ‘Bel Gherardino’
- varie traduzioni del PARTONOPEU: Corrado di Würzburg (1220-1287) in tedesco
Altre ancora in danese, catalano, islandese
Avendo il Bel Gherardino dilapidato
rapidamente il patrimonio che gli è
toccato alla morte del padre, lascia
Roma con il fedele servitore Marco
bello… arrivano al castello di una fata,
dove sono serviti da mani invisibili.
Stanno per riposare e una giovane
 LEfanciulla
BEL INCONNU – bellovicino
viene a coricarsi e sconosciuto,
a perché ignora le sue origini, parte quindi alla ricerca della sua identità:
Gherardino. È la fata Bianca», p. 76 sente parlare della prova del bacio selvaggio:
(invece dell’anello, il guanto fatato) si tratta di liberare la figlia del re trasformata
in una serpe (guivre). Portata a compimento
la prova, l’idra si trasforma in una ragazza
incantevole, Bionda Esmérée, regina di Galles; a questo punto il giovane comprende di essere figlio
di Guavain e della Fata Blanchemal e si chiama Guinglain.

 La Ponzela Gaia – influenze tematiche del Bel inconnu e del Lanval.


In modo particolare narra della storia d’amore tra la giovane Gaia, donna serpente figlia
della fata Morgana e di Galvano. I due vivono insieme nell’isola d Avalon, ma quando il
ragazzo sente nostalgia di casa, decide di partire in viaggio. Prima di andarsene, il giovane
riceve dalla sposa un anello magico che lo aiuti nelle avversità a patto che non parli con
nessuno del loro legame
La regina, Ginevra, moglie di re Artù, rimane estremamente affascinata da lui, che però le
si deve negare dichiarando che << la sua amica è cento volte più bella della regina >>

LECOUTEUX  leggenda della Melusina ebbe notevole diffusione in Islanda


Due aspetti fondamentali di tipo antropologico:
 Melusina = una e trina (Melusina e le due sorelle)
 Animali TOTEMICI (cinghiale e cervo, serpenti e orsi)  traghettamento dalla natura al
sovrannaturale
 Utilizzati in generale, come tramite, animali terrestri/ctoni
FUNZIONI DUMEZILIANE
7 Tripartizione funzionale

 Sacrale giuridica - Melusina


 Guerriera - Melior
 Inoltre è interessante analizzare, a livello antropologico e
Religioso, i giorni della settimana in cui avvengono i
Principali eventi  SABATO: trasformazione di Melusina
 LUNEDI’: matrimonio
 MARTEDI’: Geoffroy dà fuoco al
convento (giorno di marte)

Fortuna danese e svedese


 inizio XVII secolo e divulgata a stampa nel 1623, in una
miscellanea che includeva anche L’ASINO D’ORO (Amore e
Psiche) < deriva da TvR che a sua volta spiccava da Couldrette

Abbastanza certo è il fatto che alle spalle de mito melusiniano vi sia


Il prototipo ovidiano  La nymphe Salmacis

XII secolo Plantageneta: romanzo e lai

ROMAN DE BRUT (1155) – Robert Wace


Chierico e intellettuale legato alla corte di Eleonora d’ Aquitania e di Enrico II d’Inghilterra
L’opera è una traduzione ampliata dell’HISTORIA REGUM BRITANNIAE di Goffredo di Monmouth
(1135), romanzo presentato nel 1155, con dedica ad Eleonora, è di carattere encomiastico  radici dei
monarchi bretoni ricollegate ad Enea (protagonista, Brut = uno de nipoti di Enea)
Solamente la matrice formale è di carattere classico, vi sono innovazioni, anche rispetto all’opera originale,
come per esempio il tema della TAVOLA ROTONDA sovrano è un primus inter pares

LA TRIADE CLASSICA (1155-1165)


 Roman de Thèbes – poema francese di autore ignoto, leggenda di Edipo, mutuata dalla Tebaide di
Stazio, dalle Metamorfosi di Ovidio e dall’Iliade latina
 Roman d’Eneas (1155-1160) – basato principalmente sull’Eneide virgiliana con influenze di
Ovvidio e notevoli riferimenti alla letteratura medievale
Roman de Troie (1165) – BENOÎT DE SAINTE-MAURE, poeta francese, compose il roman per Eleonora
d’Aquitania, poema di 30000 ottosillabi

JEAN BODEL (1167-1210) – Chanson de Saisnes


<< non ci sono che tre materie - DI FRANCIA: fatti veri, ogni giorno di più
- DI BRETAGNA: fantasiosi e dilettevoli
- DI ROMA: saggi e didascalici

LAIS, prologo di MARIE DE FRANCE, in cui afferma di aver solamente messo in rima l’opera, in quanto
la materia non è sua.  LANVAL: Melusina
 YONEC: amante/uccello (astore) - Flamenca
Prologo Lais Marie de France
 Pur ceo començai a penser
D'alkune bone estoire faire
E de Latin en Romanz traire; = tradurre dal latino alla lingua romanza
Mais ne me fust guaires de pris:
Itant s'en sunt altre entremis.
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Des lais pensai qu'oïz aveie. = che avevo udito (prima che lei li raccogliesse in forma
Ne dutai pas, bien le saveie, scritta, i lais erano delle ballate che venivano tramandate oralmente)
Que pur remembrance les firent
Des aventures qu'il oïrent = aventure > avventura cavalleresca, amorosa (ciò che si affronta con
Cil ki primes les comencierent coraggio)
E ki avant les enveierent.
Plusurs en ai oïz conter,
Nes vueil laissier ne obliër.
Rimé en ai e fait ditié, = rimati ne ho e dettati spesso ne ho fatti e vi ho vegliato
Soventes feiz en ai veillié.

En l'onur de vus, nobles reis,


Ki tant estes pruz e curteis,
A qui tute joie s'encline,
E en qui quer tuz biens racine,
M'entremis des lais assembler
Par rime faire e reconter.

Translatio studii (dal prologo del CLIGES di hreètien de Troyes, 1176)


Ce nos ont nostre livre apris Qu’an Grece ot de
I libri ci hanno insegnato che in Grecia c’era una cavalleria di
chevalerie Le premier los et de clergie. Pus vint
prim’ordine così come conoscenza e sapere. Poi la cavalleria
chevalerie a Rome Et de la clergie la some, Qui or
est an France venue. Dex doint quele i soit retenue, arrivò a Roma con una grande bagaglio di conoscenze e
Et que li leus l’abelisse Tant que ja mes de France sapere, e ora è arrivata in Francia. Dio voglia che tutto
n’isse L’enors qui s’i est arestee. Dex l’avoit as questo sia preservato, coltivato e migliorato e che non se ne
altres prestee, Car de Grezois ne de Romains Ne dit vada dalla Francia ciò che qui ha voluto fermarsi. Dio l’aveva
an mes ne plus ne mains: D’ax est la parole remese solo dato in prestito a questi Greci e Romani, di cui non
Et estainte la vive brese voglio più parlare: di loro si è estinta la parola e si è spenta
la vita.

ONDINE
Figure strettamente legate alla fata Melusina, sempre creature marine, tradizione mitologica intrecciata.
Sono considerate degli spiriti elementali e ne parla in modo particolare, dal punto di vista
naturalistico/scientifico il medico, naturalista e filosofo PARACELSO (Philippus Aureolus Teophrastus
Bombastus Paracelsus) 1493-1541
Opera scaturita dall’ambiente rinascimentale, profondamente influenzato da dottrine naturalistiche di
carattere magico-platonico: alla base della sua concezione sta la visione di un universo inteso come unità ,
ovvero vasto sistema organico in cui le singole parti sono legate tra di loro. In questo macrocosmo si
inserisce il microcosmo, l’uomo che rispecchia in sé la costituzione dell’universo e resta legato dagli stessi
rapporti.
La sua opera principale è appunto il

Un elementale è un essere mitologico presente in diverse


tradizioni spirituali e alchimistiche. La parola è un aggettivo nato
nell’ ambito teosofico, indicante la peculiare caratteristica di una
creatura di appartenere ad uno solo di questi quattro elementi
classici

Per estensione elementale è diventato un sostantivo, così da


indicare direttamente la creatura e non solo la sua natura
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De Nymphis, Sylphis, Pygmaeis et Salamandris et coeteris spiritibus (1566)
Ondine descritte come esseri dall’aspetto prevalentemente femminile, dalle voci meravigliose, sono le
creature invisibili più propense ad avvicinarsi agli uomini e ad unirsi ad essi per ottenere un’anima.
SPIRITI ELEMENTALI

 Gnomi: spiriti della Terra «Quest'ultima natura partecipa di quella dell'uomo e di quella dello
 Ondine o sirene: spiriti dell’Acqua spirito, senza diventare natura né di questo né di quella: infatti gli
 Silfidi o silfi: spiriti dell’Aria esseri che appartengono ad essa non potrebbero essere classificati
 Salamandre: spiriti del Fuoco con gli uomini, perché volano alla maniera degli spiriti; ma neppure
potrebbero essere classificati con gli spiriti, perché evacuano,
bevono, hanno carne ed ossa alla maniera degli uomini. L'uomo ha
un'anima, lo spirito non ne ha bisogno; le creature in questione non
hanno affatto un'anima e tuttavia non sono simili agli spiriti: questi
non muoiono, quelli muoiono. Queste creature che muoiono e non
hanno un'anima, sono dunque  animali? Esse sono più che animali:
Vi sono anche altri esempi di autori che infatti parlano e ridono, cosa che questi non fanno. Di conseguenza,
trattano di spiriti e creature simili si avvicinano più agli uomini che agli animali. Però, esse si
avvicinano agli uomini senza divenire tali.»
 Gervasio di Tilbury
 Isidoro di Siviglia – ETYMOLOGIAE

Gervasio di Tilbury – Gli spiriti domestici

Ad esempio, l’Inghilterra ha dei demoni… che i Galli chiamano nettuni, gli inglesi portuni. Per loro natura approfittano
dell’ingenuità degli spensierati contadini, e quando questi rimangono svegli la notte per adempiere a lavori domestici
subito essi, chiuse le porte, si scaldano al fuoco e mangiano ranocchie estratte dalle tasche e arrostite sulla brace. Hanno
aspetto senile, volto raggrinzito, sono piccoli di statura, non raggiungono il mezzo pollice e si vestono di pezzi di stoffa
cuciti assieme; e se in casa c’è qualcosa da trasportare o un lavoro pesante da svolgere, si mettono all’opera e la portano
a compimento più celermente di quanto sia nelle possibilità umane… (Latella, p. 209)

Ma la questione che mette in campo FERLAN, riguarda essenzialmente il rapporto di parentela, se esiste, tra
le ondine e la Melusina:
Mito di ondina creazione del Romanticismo tedesco, oppure una filiazione della figura di Melusina?

Ondine delineate da Paracelso, tratti fondamentali


 Non hanno anima, sposano mortali per ottenerla
 Divieto di offendere l’ondina
 Unione consente all’uomo di conoscere l’universo nelle sue figure intermediarie, attraenti e sagge
Molto vicine alla Melusina anche per altri aspetti
 Donne selvagge che poi finiscono per vivere in società
 Sentimento dei cavalieri ancipite: attrazione e insieme repulsione per lo sconosciuto
Ma ci sonoanche elementi di diversità
 Ondina non si ritrasforma periodicamente
 Intensità dei sentimenti, spontaneità e fantasia la caratterizzano
 con il matrimonio non è né imprenditrice né costruttrice  ideale della donna angelicata,
ammaestrata dal marito e docile (perde tutti i suoi attributi di ferinità)

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Quindi vediamo che l’ondina è perfettamente integrata nella famiglia patriarcale modello dell’epoca, dipinta
nelle riviste femminili del tempo. Inoltre l’Ondina non porta fortuna al marito, ma anzi una serie di esseri
anormali a corte che risultano scomodi e troppo fuori dall’ordinario, per il tipico uomo borghese che
ricerca la sicurezza della banalità; per questo motivo cerca di separarsene al più presto.

ONDINE OTTOCENTESCHE
I. La Motte Foqué – Undine (1811)
Undine, figlia del re del mare, abbandona il suo ambiente per cercare un amore umano ed ottenere
così un’anima immortale. Si ritrova bambina sulla terra e viene trovata da un pescatore e da sua
moglie; allevata da umani, trova quindi l’amore del cavalier Hulbrand, che presto sposa. Anche
dopo essere venuto a conoscenza del segreto della moglie, Hulbrand rimane con lei e i due si
dchiarano amore eterno. Ma lo zio di Undine, Kuhleborn, la mette in guardia contro il suo amore
umano dicendole che se avesse mai subito un torto da lui, lei sarebbe stata costretta a tornare in
mare, mentre lui sarebbe andato incontro alla morte. La loro vita prosegue felice e tranquilla, fino
a quando Beltranda, amica di Undine ed ex fidanzata di Hulbrand, cerca di riprenderselo indietro,
lui torna al vecchio amore ed arriva a trattare male la sposa.
Gli spiriti dell’acqua esigono la loro vendetta: la stessa Undine dovrà uccidere l’amato con un
BACIO MORTALE.
Questa versione del racconto avrà una grande influenza nelle opere successive, non solo di tipo
letterario, ma anche teatrale e cinematografico.
II. Wolfgang Goethe – La nuova Melusina
Fiaba disincantata, ormai la Melusina ha perduto tutte le sue caratteristiche medievali di costruttrice
e dissodatrice, oltre che di madre prolifica.
Il personaggio principale maschile è un libertino, lei è la regina del piccolo popolo (gnomi, spiriti
della terra). La Melusina non si configura più come un personaggio maestoso e isolato,
semplicemente convince l’uomo a sposarla, facendolo poi divenire piccolo e portandolo nel suo
regno oltremondano. Questo viaggio transumano è possibile grazie all’utilizzo di un anello magico.
Melusina desidera, anzi deve sposare un uomo, in quanto il piccolo popolo è destinato a divenire
sempre più piccolo fino a scomparire. Per impedire questa tragica fine, ogni tot di anni è necessario
congiungersi con un essere umano per rinvigorire la specie dopo la morte del fratello. (endogamia
all’interno della famiglia reale ha velocizzato il processo di decadenza)
Ma il libertino, tipica figura della letteratura ottocentesca squattrinato e alla continua ricerca
dell’erotismo, è restio al matrimonio, e capisce di non voler avere quel tipo di vita, si sente limitato
e in trappola, decide quindi di scappare.
Il primo incontro tra i due non è in un ambiente silvano, né vicino ad una fonte; incontro galante ma
vi è comunque un frivolo corteggiamento da parte del protagonista.
La fata sottopone il futuro marito a delle prove

Prove del matrimonio


 Portare il cofanetto per lei
 Chiuderlo in una stanza in cui non può dormire
 Deve astenersi da vino e da donne

La vera e più grave violazione del patto, consiste nell’aprire il cofanetto (all’interno del quale si trova il
mondo del piccolo popolo)
Il nostro squattrinato eroe apre l’oggetto alla ricerca di denaro a cui segue un duello, dopo la fine del
suddetto duello, lei lo medica ma deve abbandonarlo. Addio struggente, ma per questo motivo l’uomo
decide di seguirla nel suo mondo, unico modo possibile perché i due possano convivere.

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Ma allo stesso modo quello di Melusina è un amore non incondizionato che sta stretto al protagonista,
troppi vincoli che non sono sopportabili dall’uomo.

Versione poco riconoscibile del mito, in chiave di fiaba-divertissement. Lui libertino e sconsiderato. Lei,
regina del piccolo popolo che convince lui a diventare piccolo per sposarla nel suo regno. Ciò è possibile per
la virtù di un anello. Dopo lo sposalizio nel palazzo fatato, lui lima l’anello, ridiventa grande, sventato come
prima, ma torna alla sua condizione di libertà.
Motivi melusiniani:
- condizione: prova della custodia del cofanetto; errori e sperperi del giovane contro denaro e perdono
da parte della benefattrice; lei è incinta.
- Infrazione dei divieti: ira e vino.
- Separazione.
- Rivelazione della natura della fata.
- Genealogia: Dio creò gli gnomi, quindi i draghi e poi i giganti per cacciare i draghi; da ultimo i
cavalieri che cacciano tutti, fuorché gli gnomi. Dalla creazione, gli gnomi sono destinati a diventare
sempre più piccoli, allora mandano sulla terra una di loro perché, incrociandosi con gli uomini,
rinvigorisca la razza degli gnomi.
- Ritorna nel suo regno inoltrandosi in un pianoro
- Finale a sorpresa: lui tenta la fuga, ma un esercito di formiche lo ferma. Dopo si lima l’anello, torna
a statura d’uomo e fugge dal palazzo miniaturizzato, ritrovandosi in una cucina degli umani, fallito,
ma libero.
Motivi magici: il cofanetto, la borsa dei denari inesauribili, la fata che risana le finanze e le ferite del duello,
il piccolo popolo racchiuso nel cofanetto, regina degli gnomi metallurgici; anello che, inforcato, rende grandi
o piccoli. L’uomo diventa piccolo grazie all’anello ed entrano insieme nello scrigno-palazzo che, battuto con
l’anello, si articola e si anima

LA NUOVA MELUSINA di Johann Wolfgang Goethe, 1821 (ma scritta a fine ‘700)
 
Egregi signori! So che non amate particolarmente preamboli e discorsi
preliminari, perciò vi assicuro senz'altro che questa volta nutro
buone speranze di evitarli. Ho già raccontato alcune storie vere con
grande soddisfazione di tutti, ma oggi posso dire che ve ne racconterò
una che supera di gran lunga le altre e il cui ricordo, nonostante sia
accaduta diversi anni fa, mi rende ancora inquieto e addirittura mi fa
sperare in uno sviluppo decisivo. Difficilmente ne trovereste una
uguale.
Prima di tutto devo confessare che la mia vita non è sempre stata
organizzata in modo tale da non avere la certezza del futuro già
prossimo, e perfino del domani. Nella mia gioventù non sono stato un
buon amministratore e spesso mi sono trovato in difficoltà
finanziarie. Una volta mi misi in viaggio per procurarmi un buon
guadagno; ma feci le cose un po' troppo alla grande e, dopo esser
partito con una vettura personale e aver proseguito per un certo
periodo con la diligenza ordinaria, alla fine mi trovai costretto a
raggiungere la meta a piedi.
Quand'ero un giovanotto vivace avevo sempre l'abitudine, appena
arrivato in una locanda, di cercare la locandiera, o anche la cuoca e
di lusingarla, così il mio conto in genere veniva ridotto.
Una sera stavo entrando nella stazione di posta di una piccola
cittadina, deciso a comportarmi nel modo solito, quando proprio dietro
di me, davanti alla porta, si fermò con gran fracasso una bella
carrozza a due posti tirata da quattro cavalli. Mi girai e vidi una
donna sola, senza cameriera né servitori. Mi affrettai subito ad
aprire lo sportello e a chiederle se desiderasse qualcosa. Quando
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scese rivelò una bella figura, e il suo viso amabile, se lo si
guardava più da vicino, mostrava una lieve ombra di malinconia. Chiesi
di nuovo se potevo esserle utile in qualche modo. - Oh, sì - mi
disse, se volete tirar fuori con attenzione il cofanetto che sta sul
sedile e portarlo su; ma vi prego davvero di non agitarlo o scuoterlo
assolutamente quando lo trasportate -. Presi con cautela il
cofanetto, lei chiuse lo sportello della vettura, salimmo insieme la
scala e lei disse ai servitori che si sarebbe fermata per la notte.
Ora eravamo soli nella stanza, lei mi ordinò di posare il cofanetto
sul tavolo vicino alla parete e io, notando da certi suoi movimenti
che voleva restare sola, mi congedai baciandole la mano
rispettosamente, ma non senza ardore.
- Ordinate la cena per tutti e due - aggiunse; e si può immaginare
con quale piacere adempii al mio compito; nella mia baldanza non
degnai di uno sguardo il locandiere, la moglie e i servitori. Con
impazienza aspettai il momento che finalmente mi avrebbe riportato a
lei. Era pronto in tavola, sedemmo uno di fronte all'altro, e per la
prima volta da molto tempo mi ristorai grazie a un buon pasto e a una
visione tanto ambita: mi sembrava addirittura che a ogni istante
diventasse più bella.
La sua conversazione era piacevole, ma cercava di evitare tutto quello
che si riferiva alla simpatia e all'amore. Sparecchiarono; io
indugiai, provai ogni espediente per avvicinarmi a lei, ma
inutilmente: mi tenne a distanza con una specie di dignità alla quale
non riuscii a oppormi, e contro il mio desiderio dovetti separarmi da
lei presto.
Dopo una notte passata per lo più vegliando e sognando in modo
inquieto, mi alzai di buon'ora; mi informai se avesse ordinato i
cavalli, sentii che non l'aveva fatto, e andai in giardino, la vidi
già vestita alla finestra e mi affrettai a salire. Quando mi venne
incontro così bella, ancora più bella del giorno prima, in me si
agitarono di colpo passione, malizia e audacia; mi gettai su di lei e
la presi tra le braccia. - Creatura angelica, irresistibile! -
esclamai -: perdonami, ma non posso evitarlo! - Con incredibile
abilità si divincolò dalle mie braccia, senza che avessi potuto darle
neppure un bacio sulla guancia. - Contenete questi impeti d'amore
improvviso e appassionato, se non volete giocarvi una felicità che vi
sta vicina, ma che potrete afferrare solo dopo alcune prove.
- Chiedi ciò che vuoi, spirito angelico! - esclamai -, ma non
portarmi alla disperazione -. Lei rispose sorridendo: - Se volete
consacrarvi al mio servizio, ascoltate le condizioni! Sono venuta qui
a trovare un'amica, dalla quale penso di passare alcuni giorni;
intanto vorrei che la mia carrozza e questo cofanetto continuassero il
viaggio. Volete incaricarvene voi? Non dovrete fare altro che
trasportare con cura il cofanetto fuori e dentro la carrozza; quando
si troverà all'interno vi siederete vicino a esso e ne avrete cura.
Quando arriverete in una locanda, lo poserete su un tavolo, in una
stanza particolare, che voi non potrete occupare e dove non potrete
dormire. Ogni volta chiuderete la stanza con questa chiave, che apre e
chiude qualsiasi serratura e le conferisce una speciale virtù: nessuno
in quell'arco di tempo può aprirla.
La guardai, provando una strana sensazione; promisi di fare ogni cosa,
se solo avessi potuto sperare di rivederla presto, e se lei avesse
suggellato questa speranza con un bacio. Lo fece, e da quel momento
fui suo anima e corpo. Ora dovevo solo ordinare i cavalli, mi disse.
Parlammo della strada da prendere, dei posti dove avrei dovuto sostare
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e aspettarla. Infine mi mise in mano una borsa piena di denaro, e io
premetti le labbra sulle sue mani. Al momento del distacco sembrò
commossa, e io non seppi cosa facevo o cosa dovessi fare.
Quando tornai dopo aver dato disposizioni, trovai la porta della
stanza chiusa. Provai subito la mia chiave speciale, che superò la
prova perfettamente. La porta si aprì di scatto, trovai la stanza
vuota, solo il cofanetto era posato sul tavolo dove lo avevo
sistemato.
La carrozza era pronta, portai giù con cura il cofanetto e lo misi
accanto a me. La locandiera chiese: - Dov'è la signora? . Un bambino
rispose: - E' andata in città -. Salutai tutti e me ne andai come in
trionfo, io che ero arrivato lì la sera prima con i gambali pieni di
polvere. Potete facilmente immaginare che approfittando
dell'inattività mi misi a riflettere su questa storia, contai il
denaro, feci alcuni progetti, e ogni tanto lanciavo un'occhiata al
cofanetto. Viaggiai ininterrottamente, non scesi in parecchie stazioni
di posta, e non mi fermai finché non arrivai in una bella città in cui
lei mi aveva convocato. I suoi ordini vennero eseguiti accuratamente,
il cofanetto venne sistemato in una stanza particolare, con vicino un
paio di candele spente, come lei aveva ordinato. Chiusi a chiave la
stanza, mi sistemai nella mia e mi svagai un po'.
Per un po' il ricordo di lei mi tenne occupato, ma ben presto
cominciai ad annoiarmi. Non ero abituato a vivere senza compagnia; la
trovai in fretta ai tavoli delle osterie e nei luoghi pubblici, come
mi piaceva. Fu così che il mio denaro cominciò a volatilizzarsi e una
sera sparì completamente dalla borsa, essendomi abbandonato
incautamente al gioco sfrenato. Quando arrivai nella mia stanza ero
fuori di me. Sprovvisto com'ero di denaro, in attesa di un conto
cospicuo, senza sapere se e quando la mia bella si sarebbe fatta di
nuovo vedere, mi trovai in un grave imbarazzo. Avevo doppiamente
nostalgia di lei, e credetti di non poter più vivere senza di lei e
senza il suo denaro.
Dopo il pasto serale, che non mi piacque per nulla dato che questa
volta fui costretto a gustarmelo in solitudine, camminai agitato su e
giù per la stanza parlando da solo, mi maledissi, mi gettai a terra,
mi strappai i capelli e persi ogni pudore. Di colpo sento un lieve
movimento nella stanza vicina chiusa a chiave, e poco dopo sento
bussare alla porta ben chiusa. Mi ricompongo, afferro la chiave
comune, ma le ante della porta si aprono di scatto da sole, e alla
luce delle candele che ardono mi viene incontro la mia bella. Mi getto
ai suoi piedi, le bacio la veste, le mani, lei mi rialza, io non oso
abbracciarla, nemmeno guardarla; ma le confesso con sincero pentimento
il mio errore. - E' scusabile - disse lei -, ma purtroppo ritardate
la vostra e la mia felicità. Ora dovete di nuovo procedere per un
tratto nel mondo, prima di rivederci. Qui c'è ancora più denaro -
disse -, e basterà se siete disposto a fare qualche economia. Questa
volta il vino e il gioco vi hanno messo in difficoltà, quindi
guardatevi dal vino e dalle donne e lasciatemi sperare in un incontro
più felice.
Indietreggiò oltre la soglia, i battenti si richiusero, io bussai,
pregai, ma non sentii più nulla. Il giorno dopo, quando chiesi il
conto, l'oste sorrise e disse: - Ora sappiamo perché chiudete le
vostre porte in modo tanto complicato e incomprensibile che nessuna
chiave comune poteva aprirle. Pensavamo che teneste molto denaro e
cose preziose, ma ora abbiamo visto scendere dalle scale il tesoro, e
in ogni caso sembra degno di essere ben custodito.
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Non risposi niente, pagai il conto e salii in carrozza con il mio
cofanetto. Così me ne andai di nuovo per il mondo con il solido
proposito di badare agli ammonimenti della mia misteriosa amica. Ma
non appena arrivai di nuovo in una grande città, feci conoscenza con
amabili signore dalle quali non riuscii assolutamente a staccarmi.
Sembrava che volessero farmi pagare cari i loro favori; infatti, pur
tenendomi sempre a una certa distanza, mi spingevano a una spesa
dietro l'altra, e poiché cercavo solo di assecondare il loro piacere,
neppure questa volta pensai alla mia borsa, ma continuai a pagare e a
spendere secondo le circostanze. Perciò grandi furono il mio stupore e
la mia gioia quando, alcune settimane dopo, notai che il contenuto
della mia borsa non era ancora diminuito, anzi era sempre piena e
rigonfia come all'inizio. Volli rassicurarmi più da vicino su questa
bella qualità, mi misi a contare, annotai la somma precisa e
ricominciai a vivere allegramente come prima con la mia compagnia. Non
mancarono scampagnate, gite in barca, balli, canti e altri
divertimenti. Ma a quel punto non fu necessaria molta attenzione per
accorgersi che la borsa in realtà diminuiva di peso, proprio come se
io l'avessi privata della virtù di essere inesauribile a causa del mio
maledetto contare. Intanto la mia vita di piaceri aveva preso il via e
non potevo tirarmi indietro, ma il denaro in contanti presto finì.
Maledissi la mia situazione, offesi la mia amica, che mi aveva indotto
in simili tentazioni, mi sentii offeso perché non si era più fatta
vedere, e in preda al risentimento mi considerai sciolto dagli
obblighi verso di lei e decisi di aprire il cofanetto, nel quale forse
avrei potuto trovare un aiuto. Infatti non era abbastanza pesante per
contenere del denaro, ma potevano esserci dei gioielli, che sarebbero
stati graditi. Stavo per attuare il mio proposito, ma decisi di
rimandarlo alla notte per compiere l'operazione in tutta calma, e
andai a un banchetto che era annunciato per quella sera. Si fece
baldoria, ed eravamo molto eccitati a causa del vino e degli squilli
di tromba, quando mi capitò un brutto scherzo: al momento del dolce
entrò inaspettatamente un vecchio amico della mia bellezza preferita,
di ritorno da un viaggio, si sedette accanto a lei e senza tante
cerimonie cercò di far valere i suoi antichi diritti. Ne scaturirono
ben presto irritazione, lite, contesa; ci battemmo e io fui riportato
a casa mezzo morto con diverse ferite.
Il chirurgo mi aveva fasciato e se n'era andato, era già notte fonda,
il mio guardiano dormiva, la porta della stanza vicina si aprì la mia
misteriosa amica entrò e si sedette vicino a me sul letto. Mi chiese
come mi sentissi; io non risposi, perché ero spossato e di cattivo
umore. Lei continuò a parlare con grande sollecitudine e mi strofinò
le tempie con un certo balsamo, che in breve mi fece sentire
decisamente rinvigorito, tanto rinvigorito che riuscii ad arrabbiarmi
e a rimproverarla. In un discorso veemente addossai l'intera colpa
della mia sfortuna a lei, alla passione che mi ispirava, alle sue
apparizioni e alle sue scomparse, alla noia, alla nostalgia che ero
costretto a provare. Divenni sempre più violento, come se una febbre
mi avesse assalito, e alla fine le giurai che se non fosse stata mia,
se questa volta rifiutava di appartenermi e di unirsi a me, non avrei
voluto vivere più a lungo; ed esigevo una risposta precisa. Quando
vidi che esitava, trattenendosi dal darmi una spiegazione, persi la
testa e mi strappai dalle ferite la doppia e tripla fasciatura, con il
fermo proposito di dissanguarmi. Ma quale fu il mio stupore, quando
notai che le mie ferite erano tutte guarite, il mio corpo era bello e
intatto e lei si trovava fra le mie braccia.
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Ora eravamo la coppia più felice del mondo. Ci chiedemmo perdono
reciprocamente, senza sapere bene perché. Lei promise di continuare il
viaggio con me, e presto ci trovammo seduti uno vicino all'altra in
carrozza, con il cofanetto di fronte a noi, al posto della terza
persona. Non l'avevo mai nominato in sua presenza; neppure adesso mi
venne in mente di parlarne, malgrado fosse sotto i nostri occhi e ce
ne occupassimo tutti e due, come per un tacito accordo, a seconda
delle circostanze; io lo trasportavo dentro e fuori della carrozza e,
come prima, provvedevo a chiudere le porte a chiave.
Finché era rimasto qualcosa nella borsa avevo sempre pagato; quando il
denaro in contanti finì glielo feci notare. - Un rimedio si trova
facilmente - disse lei, e indicò un paio di piccole borse attaccate
in alto su un fianco della carrozza, che io avevo già notato ma che
non avevo mai usato. Lei infilò la mano in una di esse e tirò fuori
alcune monete d'oro, poi dall'altra delle monete d'argento, e mi
mostrò che era possibile continuare a spendere quanto desideravamo.
Così viaggiammo di città in città, di paese in paese, eravamo felici
tra di noi e con gli altri, e io non pensavo che mi potesse lasciare
di nuovo, tanto più che da qualche tempo era sicuramente incinta,
circostanza che aveva aumentato la nostra felicità e il nostro amore.
Ma purtroppo una mattina non la trovai più, e poiché il soggiorno
senza di lei mi annoiava, mi misi di nuovo in strada con il mio
cofanetto, saggiai la consistenza delle due borse e le trovai sempre
intatte.
Il viaggio proseguì felicemente, e se fino a quel momento non avevo
avuto voglia di riflettere sulla mia avventura, perché aspettavo uno
sviluppo del tutto naturale di quegli eventi straordinari, tuttavia
capitò qualcosa che mi stupì, mi preoccupò e addirittura mi spaventò.
Dato che ero abituato a viaggiare ininterrottamente per spostarmi, mi
succedeva spesso di farlo nell'oscurità, e nella mia carrozza, quando
per caso le lanterne si spegnevano, era molto buio. Una volta, in una
di queste notti scure, mi ero addormentato, e quando mi svegliai vidi
il bagliore di una luce sul tetto della carrozza. La osservai e mi
accorsi che usciva dal cofanetto, che sembrava avere una fenditura,
proprio come se il tempo caldo e secco dell'estate che era
sopraggiunta lo avesse spaccato. Le mie idee sui gioielli si
risvegliarono, pensai che nel cofanetto ci fosse un rubino, e volli
accertarmene. Mi sistemai il meglio possibile, in modo da toccare
direttamente con l'occhio la fenditura. Ma grande fu il mio stupore
quando vidi all'interno una stanza arredata con molto gusto e perfino
con sfarzo, ben illuminata dalle lampade, proprio come se avessi
guardato in una sala reale attraverso l'apertura di una volta. Potevo
osservare solo una parte dell'ambiente, che lasciava indovinare il
resto. Un fuoco pareva ardere nel camino, vicino al quale c'era una
poltrona. Trattenni il respiro e continuai a osservare. Dall'altro
lato della sala arrivò una donna con un libro in mano, e subito
riconobbi mia moglie, sebbene la sua figura si fosse ridotta a
proporzioni minuscole. La bella si sedette in poltrona a leggere,
vicino al camino, attizzò il fuoco con delle molle molto graziose, e
potei notare chiaramente che anche la cara piccola creatura era
incinta. In quel momento fui costretto a spostarmi un po' dalla mia
scomoda posizione, e subito dopo, quando osservai nuovamente per
convincermi che non era stato un sogno, la luce era scomparsa e mi
trovai a guardare in un'oscurità vuota.
Si può immaginare come fossi stupito, anzi spaventato. Mi vennero
mille pensieri su questa scoperta, non riuscivo proprio a spiegarmela.
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E così mi addormentai, e quando mi svegliai credetti di avere solo
sognato; eppure mi sentii in qualche modo estraneo alla mia bella, e
portando il cofanetto con cura tanto maggiore, non sapevo se dovevo
augurarmi o temere il suo ritorno alla dimensione umana. Dopo qualche
tempo la mia bella entrò effettivamente, verso sera, con un abito
bianco, e poiché la stanza era in penombra mi sembrò più alta del
solito, e ricordai di aver sentito che tutti coloro che appartengono
alla stirpe delle ninfe e degli gnomi, quando si fa notte crescono
notevolmente d'altezza. Come al solito volò fra le mie braccia, ma
l'angoscia non mi permise di stringermela al petto con autentica
gioia.
- Mio caro - disse lei -, sento dalla tua accoglienza quello che
purtroppo so già. Tu mi hai visto in questo periodo di tempo; sei
informato della condizione in cui mi trovo in certi momenti, e questo
ha interrotto la tua e la mia felicità, anzi sta per annientarla del
tutto. Devo lasciarti, e non so se un giorno ti rivedrò -. La sua
presenza, la grazia con cui parlava, allontanò subito quasi ogni
ricordo del viso che fino a quel momento aveva aleggiato davanti a me
come un sogno. La abbracciai con ardore, la convinsi della mia
passione, le assicurai la mia innocenza, le raccontai della casualità
della mia scoperta, insomma tanto feci che lei stessa sembrò
tranquillizzarsi, e cercò di tranquillizzare anche me.
- Devi chiederti sinceramente - disse - se questa scoperta non ha
compromesso il tuo amore, se puoi dimenticare che mi trovavo vicino a
te in due sembianze diverse, se il rimpicciolirsi del mio essere non
diminuirà anche il tuo affetto.
La guardai; era più bella che mai, e pensai fra me e me: «E' poi una
disgrazia tanto grande avere una moglie che ogni tanto diventa
minuscola, che si può portare in giro dentro un cofanetto? Non sarebbe
peggio se diventasse gigantesca e mettesse suo marito nel cofanetto?».
Mi era tornata l'allegria. Per niente al mondo l'avrei lasciata
andare. - Amore mio - le risposi -, lascia che restiamo così come
siamo stati finora. Tutti e due non potremmo stare meglio! Fa' come ti
è comodo, e io ti prometto di portare il cofanetto con maggior cura.
Come potrebbe farmi una brutta impressione la cosa più graziosa che io
abbia visto nella mia vita? Come sarebbero felici gli innamorati se
potessero avere simili miniature! E in fondo era solo una di queste
immagini, un piccolo gioco di prestigio. Tu mi metti alla prova e mi
stuzzichi; ma vedrai come mi comporterò.
- La questione è più seria di quanto pensi - disse la bella -;
comunque sono contenta che tu la prenda con allegria, infatti possono
venirne conseguenze molto felici per tutti e due. Voglio avere fiducia
in te e farò il possibile da parte mia; ma devi promettermi di non
ripensare mai a questa scoperta con biasimo. E a questo proposito
aggiungo un'altra preghiera pressante: guardati più di prima dal vino
e dall'ira.
Le promisi quello che desiderava, e avrei continuato a farle promesse,
ma lei stessa cambiò discorso e tutto tornò come prima. Non avevamo
motivo di cambiare posto del nostro soggiorno; la città era grande, la
compagnia numerosa, la stagione offriva l'occasione per qualche festa
campestre e ricevimenti in giardino.
In tutti questi divertimenti la mia compagna era molto ben vista,
addirittura reclamata con entusiasmo da uomini e donne. Un
atteggiamento benevolo, amabile, accattivante, unito a una certa
nobiltà di modi, la rendevano gradita e degna di stima agli occhi di
tutti. Inoltre suonava magnificamente il liuto e cantava, e ogni
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serata lieta doveva essere coronata dal suo talento.
Devo confessare che non mi era mai importato molto della musica, che
anzi aveva su di me un effetto sgradevole. La mia bella, che se n'era
accorta presto, non cercò mai di intrattenermi con la musica quando
eravamo soli; invece sembrava rifarsi in società, dove trovava una
quantità di ammiratori.
E ora, perché dovrei negarlo, la nostra ultima conversazione, malgrado
la mia buona volontà, non era stata sufficiente per me a risolvere del
tutto la questione; piuttosto la mia sensibilità si dispose in modo
singolare, senza che io ne fossi completamente consapevole. Una sera,
alla presenza di molte persone, la mia rabbia repressa esplose, e me
ne derivò il massimo del danno.
Se ora ci rifletto bene, dopo quella infelice scoperta amavo molto
meno la mia bella, ed ero diventato geloso di lei, mentre prima non mi
era mai venuto in mente. Di sera, a tavola, eravamo seduti
diagonalmente uno rispetto all'altra, a una certa distanza, e io mi
trovavo molto bene fra le mie due vicine, un paio di signore che da
qualche tempo mi sembravano attraenti. Fra discorsi scherzosi e
schermaglie amorose non si lesinava il vino, mentre dall'altra parte
due invitati appassionati di musica si erano impadroniti di mia
moglie, e riuscirono a spingere la compagnia a cantare, in coro e in
assolo. Questo mi mise di malumore; i due amanti dell'arte mi
sembrarono entrambi importuni; il canto mi irritò, e quando richiesero
anche a me una strofa mi infuriai davvero, vuotai la coppa e la posai
molto bruscamente.
L'avvenenza delle mie vicine riuscì di nuovo a placarmi, ma l'ira è
una brutta cosa una volta accesa. Continuò a ribollire in me
segretamente, anche se tutto avrebbe dovuto predispormi alla gioia,
alla condiscendenza. Invece diventai ancora più ostile, quando
portarono il liuto e la mia bella accompagnò il suo canto suscitando
l'ammirazione degli altri. Sfortunatamente chiesero che tutti
facessero silenzio. Quindi non potevo neppure più chiacchierare, e i
suoni mi facevano digrignare i denti. C'è da stupirsi se alla fine
bastò una piccolissima scintilla ad accendere la mina?
La cantante, finita una canzone fra grandi applausi, guardò verso di
me, a dire il vero amorevolmente. Purtroppo i suoi sguardi non mi
penetrarono. Lei si accorse che avevo appena mandato giù una coppa di
vino e me ne riempivo un'altra. Con l'indice della mano destra mi fece
un cenno di affettuosa minaccia. - Pensa che è vino! - disse con un
tono di voce sufficientemente alto da farsi sentire da me. - L'acqua
è per le ninfe! - esclamai. - Signore - disse alle mie vicine -,
adornate la coppa con ogni grazia, in modo che non si vuoti troppo
spesso. - Non vi lascerete dominare! - mi bisbigliò una delle due
all'orecchio. - Che vuole la nana? - gridai, comportandomi con tale
irruenza da rovesciare la coppa. - Se n'è versato molto! - esclamò
la splendida creatura; e trasse un suono dalle corde, come a voler
attirare di nuovo su di sé l'attenzione della compagnia distogliendola
dall'incidente. E le riuscì davvero, tanto più quando si alzò, solo
fingendo di volersi sistemare più comodamente per suonare, e continuò
a preludiare.
Quando vidi scorrere il vino rosso sulla tovaglia tornai in me.
Riconobbi di aver commesso un grave errore, e mi sentii intimamente
pentito. Per la prima volta la musica mi parlava. La prima strofa che
lei cantò era un commiato amichevole rivolto alla compagnia, che
ancora poteva sentirsi unita. Alla strofa seguente fu come se la
comitiva si disperdesse, e ognuno si sentì solo, e separato dagli
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altri, nessuno credette più di essere presente. Che posso dire
dell'ultima strofa? Era rivolta solo a me, era la voce dell'amore
ferito, che dà l'addio al malumore e alla spavalderia.
In silenzio la portai a casa, e non mi aspettavo niente di buono. Ma
appena raggiunta la nostra stanza, si mostrò molto affettuosa e dolce,
addirittura scherzosa, e mi rese il più felice degli uomini.
Il mattino dopo le dissi fiducioso e pieno d'amore: - Più d'una volta
hai cantato su richiesta di una bella compagnia, per esempio ieri sera
quella commovente canzone d'addio; canta ancora una volta per amor mio
un lieto, leggiadro canto di benvenuto in quest'ora mattutina, perché
sia come se ci conoscessimo per la prima volta.
- Non posso farlo, amico mio - mi rispose con gravità -. La canzone
di ieri sera si riferiva alla nostra separazione, che dovrà avvenire
senza indugio: posso dirti solo che l'offesa recata alla promessa e al
giuramento avrà per noi le peggiori conseguenze; ti sei giocato una
grande felicità, e anch'io devo rinunciare ai miei desideri più cari.
Quando insistetti, pregandola di spiegarsi più chiaramente, rispose:
- Questo posso farlo, purtroppo, perché si tratta di qualcosa che
riguarda la mia vita con te. Ora saprai quello che avrei preferito
nasconderti il più a lungo possibile. Le sembianze in cui mi hai vista
dentro il cofanetto sono quelle a me naturali e innate; infatti
appartengo alla stirpe del re Eckwald, il potente principe degli
gnomi, di cui tanto parla la storia vera. Il nostro popolo è sempre
attivo e operoso, ora come fin dai tempi più lontani, e anche per
questo è facile da governare. Ma non devi immaginare che gli gnomi
siano rimasti indietro nelle loro attività. Una volta i loro lavori
più famosi erano le spade che inseguivano i nemici, se venivano
lanciate dietro a loro, catene che si stringevano invisibili e
misteriose, scudi impenetrabili e altre cose simili. Ora, però, si
occupano soprattutto di oggetti che riguardano le comodità e gli
ornamenti, e in questo sono superiori a tutti i popoli della Terra. Ti
stupiresti se visitassi le nostre officine e i nostri magazzini. Tutto
questo andrebbe molto bene, se non intervenisse una circostanza
particolare che riguarda l'intero popolo e specialmente la famiglia
reale.
Poiché si fermò un momento, le chiesi di rivelarmi qualcosa di più di
quegli straordinari segreti, e lei acconsentì subito.
- E' risaputo - disse - che Dio, appena ha creato il mondo, poiché
tutta la Terra era asciutta e le montagne erano là possenti e
maestose, Dio, dicevo, prima di ogni altra cosa creò i piccoli gnomi,
perché ci fossero anche esseri intelligenti che potessero guardare con
stupore le sue meraviglie all'interno della Terra, in gallerie e
abissi, e le onorassero. Inoltre si sa che questa piccola razza, in
seguito, si è sollevata e ha pensato di arrogarsi il dominio della
Terra, e perciò Dio ha creato i draghi, per respingere il popolo degli
gnomi nelle montagne. Ma poiché i draghi si annidarono anche loro
nelle grandi caverne e nei crepacci e presero l'abitudine di abitare
là, e molti di essi sputarono fuoco e causarono altre devastazioni, ai
piccoli gnomi ne vennero grandi difficoltà e preoccupazioni, tanto che
non seppero più che cosa fare, e perciò si rivolsero a Dio, umili e
supplichevoli, e nelle loro preghiere lo implorarono di annientare di
nuovo questo spregevole popolo di draghi. Ma anche se, nella sua
saggezza, lui non poteva decidersi a distruggere le sue creature, la
grande pena dei poveri gnomi lo commosse tanto che senza indugio creò
i giganti, che avrebbero lottato contro i draghi, e anche se non li
avessero sterminati, almeno li avrebbero ridotti di numero.
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Ma quando i giganti riuscirono più o meno a spuntarla con i draghi,
anche dentro di loro crebbero l'audacia e la boria, e perciò commisero
dei misfatti, specialmente contro i buoni gnomi, che una volta di più,
trovandosi in difficoltà, si rivolsero al Signore, che dalla sua
grande potenza creò i cavalieri, che avrebbero lottato contro i
giganti e i draghi e avrebbero vissuto in buona armonia con gli gnomi.
E così l'opera della creazione, da questo lato, era conclusa, e in
seguito giganti e draghi si troveranno sempre uniti, come i cavalieri
e gli gnomi. Da questo, amico mio, puoi vedere che noi siamo la razza
più antica del mondo, il che torna a nostro onore ma porta con sé
anche un grosso svantaggio.
Poiché nel mondo niente può esistere in eterno, ma tutto ciò che una
volta è stato grande deve diventare piccolo e ridursi, anche nel
nostro caso, a partire dalla creazione del mondo, siamo diminuiti
diventando sempre più piccoli; prima d'ogni altra, però, la famiglia
reale, che a causa del suo sangue puro è soggetta per prima a questo
destino. Perciò i nostri saggi maestri già da molti anni hanno
escogitato un espediente, e così ogni tanto una principessa reale
viene mandata fuori sulla Terra per sposare un onesto cavaliere,
cosicché la razza degli gnomi si rinvigorisca e si salvi da una
completa decadenza.
Mentre la mia bella pronunciava queste parole con assoluta
schiettezza, la guardai pensieroso, perché sembrava che avesse voglia
di rivelarmi qualcosa. Non avevo più dubbi per quanto riguardava la
sua graziosa origine; ma mi rendeva un po' diffidente il fatto che
avesse preso me invece di un cavaliere, dato che mi conosceva fin
troppo bene per poter credere che i miei antenati fossero stati creati
direttamente da Dio.
Nascosi stupore e perplessità, e le chiesi con affetto: - Ma dimmi,
mia cara bambina, come hai potuto assumere quest'aspetto così
imponente e bello? Conosco poche donne che possano paragonarsi a te
per la splendida figura. - Lo saprai rispose la mia bella -. Da
sempre viene tramandato nel Consiglio dei re degli gnomi di guardarsi
il più a lungo possibile da ogni misura straordinaria, cosa che
anch'io ritengo del tutto naturale e ragionevole. Forse avremmo
aspettato ancora a lungo prima di inviare un'altra volta una
principessa sulla terra, se il fratello nato dopo di me non fosse
stato tanto piccolo che le sue balie l'hanno perso dalle fasce, e non
si sa bene dove sia finito. Dopo questo caso inaudito, mai registrato
negli annali del regno degli gnomi, i saggi si riunirono e, per farla
breve, venne presa la decisione di mandarmi a cercare un marito.
- La decisione! - esclamai -; è tutto giusto e bello. Si può
prendere una decisione, si può stabilire qualcosa; ma i vostri saggi,
come sono riusciti a dare a uno gnomo questa figura divina?
- Anche questo - disse lei - era già stato previsto dai nostri avi.
Nel tesoro reale c'era un enorme anello d'oro. Ora ti parlo di come mi
sembrò quando mi venne mostrato una volta, da bambina, dove si
trovava: infatti è lo stesso che ora ho al dito; e poi si andò avanti
in questo modo. Mi informarono di tutto quello che stava per
succedere, e mi insegnarono quello che avrei dovuto fare e non fare.
Venne costruito un magnifico palazzo, secondo il modello della
residenza estiva dei miei genitori: un edificio centrale, ali laterali
e tutto quello che si poteva desiderare. Era posto all'entrata di un
grande anfratto di roccia, e lo adornava nel modo migliore. Nel giorno
stabilito la Corte vi si trasferì e i miei genitori insieme con me.
L'esercito sfilò in parata e ventiquattro sacerdoti portarono su una
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preziosa lettiga, non senza difficoltà, il meraviglioso anello. Fu
posato sulla soglia dell'edificio, proprio dove si passa per entrare.
Furono compiute delle cerimonie, e dopo un affettuoso congedo passai
all'azione. Mi avvicinai, appoggiai la mano sull'anello e cominciai
subito a crescere sensibilmente. In pochi minuti avevo raggiunto la
mia altezza di adesso; dopo di che misi immediatamente l'anello al
dito. In un attimo finestre, porte e portoni si chiusero, le ali
laterali si ritirarono nel corpo centrale, al posto del palazzo,
vicino a me c'era un cofanetto che presi subito e portai via non senza
la piacevole sensazione di essere così grande e forte, ma sempre uno
gnomo rispetto agli alberi e alle montagne e ai fiumi, e sempre un
gigante in confronto all'erba e alle piante e specialmente alle
formiche, con le quali noi gnomi non sempre abbiamo buoni rapporti, e
perciò ci tormentano spesso violentemente.
Avrei molto da raccontare su quel che successe prima di trovarti,
durante il mio pellegrinaggio. In breve, misi alla prova qualcuno, ma
nessuno mi sembrò degno di rinnovare ed eternare la stirpe del
magnifico Eckwald.
Durante tutti questi racconti la testa mi dondolò senza che io la
scuotessi. Feci diverse domande, alle quali però non ricevetti
risposte particolari, mentre seppi con la massima tristezza che doveva
far ritorno per forza dai suoi genitori dopo quello che era successo.
Sperava di tornare da me, ma ora doveva inevitabilmente presentarsi
là, perché altrimenti tutto sarebbe stato perduto sia per me che per
lei. Le borse presto avrebbero smesso di pagare, con tutto quello che
ne sarebbe derivato.
Avendo sentito che il denaro poteva finire, non chiesi più che altro
potesse succedere. Scossi le spalle, tacqui, e lei sembrò capirmi.
Raccogliemmo tutto e sedemmo in carrozza; di fronte a noi era posato
il cofanetto, nel quale non riuscii a notare ancora niente di un
palazzo. Oltrepassammo diverse stazioni di posta. Il denaro per il
viaggio e le mance venne pagato agevolmente e con abbondanza dalle due
piccole borse sistemate a destra e a sinistra, finché raggiungemmo una
regione montuosa, e appena scesi la mia bella mi precedette e io, per
suo ordine, la seguii con il cofanetto. Mi portò su sentieri
abbastanza ripidi fino a una stretta valle, attraverso la quale un
limpido ruscello ora precipitava ora serpeggiava tranquillo. Allora mi
mostrò un pianoro elevato, mi ordinò di posare il cofanetto e disse:
Addio: troverai facilmente la strada del ritorno; ricordati di me,
spero di rivederti.
In quel momento mi sembrò di non poterla lasciare. Era di nuovo in una
delle sue belle giornate o, se preferite, nel suo momento migliore. Da
solo con una creatura così graziosa, sul prato verde, tra erba e
fiori, circondati dalle rocce, con l'acqua che mormorava: quale cuore
sarebbe rimasto insensibile! Volevo prenderle le mani, abbracciarla,
ma lei mi respinse e mi minacciò, con la consueta dolcezza, di un
grave pericolo, se non mi fossi allontanato immediatamente.
- Non c'è nessuna possibilità - esclamai che io resti vicino a te,
che tu possa tenermi con te? -. Accompagnai queste parole con gesti e
toni così afflitti che lei sembrò commossa e dopo un momento di
riflessione mi confessò che non era impossibile che la nostra unione
continuasse. Chi era più felice di me! La mia insistenza che diventava
sempre più vivace, alla fine, la costrinse a parlare e a rivelarmi
che, se mi fossi deciso a diventare piccolo come lei, come l'avevo
vista quella volta, avrei potuto restarle vicino, entrare nella sua
casa, nel suo regno, far parte della sua famiglia. Questa proposta non
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mi piacque completamente, ma in quel momento non potevo staccarmi da
lei; così, essendo abituato da qualche tempo a cose straordinarie e
disposto a prendere decisioni rapide, acconsentii e dissi che poteva
fare di me ciò che voleva.
Immediatamente dovetti stendere il mignolo dalla mano sinistra, e lei
vi appoggiò il suo, si tolse piano l'anello con la sinistra e lo fece
scivolare al mio dito. Appena questo accadde, sentii un dolore
violento al dito, l'anello si strinse e mi torturò orribilmente.
Lanciai un urlo acuto e involontariamente cercai a tastoni intorno a
me la mia bella, che era scomparsa. Non saprei esprimere come mi sono
sentito in quel momento, e non mi resta niente altro da dire eccetto
che mi ritrovai ben presto piccolo e basso, accanto alla mia bella, in
un bosco di fili d'erba. La gioia di rivederla dopo una separazione
breve ma tanto singolare, o se volete, di riunirci senza più
separazione, era inaudita. Mi gettai al suo collo, lei ricambiò le mie
carezze, e la piccola coppia si sentì felice quanto la grande.
Con un certo disagio risalimmo una collina; infatti il prato per noi
era diventato quasi un bosco impenetrabile. Comunque alla fine
arrivammo in una radura, e mi stupii molto vedendo la grande massa
squadrata, che fui ben presto in grado di riconoscere: era il
cofanetto, nelle condizioni in cui l'avevo posato là.
- Va', amico mio, batti con l'anello e vedrai miracoli - disse la mia

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amata. Mi avvicinai, e appena picchiai vissi davvero il più grande dei
miracoli. Spuntarono due ali laterali, e contemporaneamente diverse
parti calarono come scaglie e schegge, infatti di colpo mi trovai
davanti agli occhi porte, finestre, colonnati e tutto quello che fa
parte di un palazzo completo.
Chi ha visto un artistico scrittoio di Rontgen, in cui con una mossa
si mettono in moto molle e scomparti, e contemporaneamente o uno dopo
l'altro si estraggono leggio e occorrente per scrivere, cassette per
le lettere e per il denaro1, può farsi un'idea di come si sviluppò quel
palazzo, dove la mia dolce accompagnatrice mi trascinò. Nel salone
riconobbi subito il camino, che una volta avevo visto dall'alto, e la
poltrona su cui lei si era seduta. E quando guardai in alto credetti
davvero di vedere nella cupola ancora qualcosa della fenditura
attraverso la quale avevo guardato all'interno. Vi risparmio la
descrizione del resto; insomma tutto era ampio, prezioso e pieno di
gusto. Mi ero appena ripreso dallo stupore, quando sentii da lontano
una musica militare. La mia bella metà fece un salto dalla gioia e mi
annunciò con entusiasmo l'arrivo del suo signor padre. Allora passammo
sotto la porta e vedemmo uno splendido corteo, che sembrava muoversi
da una grande anfratto di roccia. Si susseguirono soldati, servitori,
maggiordomi e un magnifico seguito di cortigiani. Alla fine vidi una
calca dorata, in mezzo alla quale c'era il re in persona. Quando tutto

1
https://www.jacoporanieri.com/blog/?p=3746 Non dev’essere stato facile succedere agli oltre 40 anni di regno
di uno dei più grandi condottieri militari della storia, antonomasia stessa del concetto di monarca illuminato nella
turbolenta Europa del XVIII secolo. Eppure questo fu il destino imprevisto di Federico Guglielmo II di Prussia
(anni di regno 1786-1797) detto dai suoi contemporanei der dicke Lüderjahn  (grassone buono a nulla) il nipote di
Federico il Grande e che era diventato improvvisamente erede al trono in seguito alla morte di suo padre, un
generale della guerra dei sette anni. Questo corpulento sovrano, elogiato in giovane età dal celebre zio per il
suo comportamento esemplare durante l’assedio di Schweidnitz, passò alla storia come dongiovanni
intemperante e sfrenato festaiolo, più appassionato al godersi la vita che nel gestire le complesse vicende
storiche della sua nazione, minacciata in quegli anni dalle nuove forze politiche nate a seguito della
Rivoluzione Francese. Appassionato di occultismo, legato a mistici e società segrete, si trovò a gestire una
corte ricca di intrighi ed amanti, sempre condizionato dai vecchi e ostinati amministratori che erano rimasti
in carica dai tempi dello zio. Ma una cosa e certa: Federico Guglielmo sapeva apprezzare l’arte. Ne è una
prova la sua scrivania più famosa, detta scrittoio di Berlino, un capolavoro d’ebano meccanizzato con tanto
di orologio prodotto dai fratelli Roentgen, costruttori di mobili tra i più importanti della loro epoca. Nel
1792 David Roentgen, artista e uomo d’affari ormai a capo di una grande dinastia commerciale con sedi da
Parigi a San Pietroburgo, conobbe il re di Prussia e venne nominato suo Commerzienratlf, ovvero agente
commerciale per tutta la regione del Basso Reno. Il suo punto forte, nonchè ciò che l’aveva reso famoso, era
la creatività nell’impiego della meccanica, un aspetto delle sue opere a cui lavorava insieme con il fratello
Abraham e il socio orologiaio Kintzing. A quel punto era già stato il creatore di preziosi mobili per la regina
Antonietta e per Caterina II, imperatrice di Russia, venendo negli anni riconosciuto come maestro
dell’intarsio ligneo e dello stile Rococò. Eppure non aveva ancora creato quella che sarebbe stata  forse la sua
opera più importante: lo scrittoio di Berlino.

Che cosa teneva Federico Guglielmo nei molti cassetti segreti di questo vero e proprio mobile trasformabile,
quasi un automa in forma di arredo? Nascondigli posti dietro figure dipinte, nel doppio fondo di scatole e
scomparti, a scorrimento o apribili con la pressione di semplici pulsanti… Spiccano in modo particolare i
dodici cassettini di un piccolo mobile-nel-mobile, capace di apparire come per magia grazie a un sistema di
contrappesi. E come gran finale, una superficie di scrittura fuoriesce dal frontale e si apre in pochi secondi,
con modalità che sarebbero difficili da riprodurre persino oggi, con servomeccanismi e corrente elettrica a
disposizione. Il mobile, insieme a molti altri capolavori, è attualmente in mostra presso il Metropolitan
Musem of Art nella mostra Extravagant Inventions – The Princely Furniture of the Roentgens.

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il corteo si dispose davanti al palazzo, il re si avvicinò con i
membri più importanti del seguito. La sua incantevole figlia gli corse
incontro trascinandomi con sé, ci gettammo ai suoi piedi, lui mi
rialzò molto benevolmente, e quando mi trovai davanti a lui mi resi
conto che in questo piccolo mondo la mia era la statura più
considerevole. Andammo insieme verso il palazzo, e il re in presenza
della sua Corte, con un discorso ben studiato in cui esprimeva il suo
stupore di trovarci in quel posto, si degnò di darci il benvenuto, mi
riconobbe come genero e dispose la cerimonia nuziale per l'indomani.
Provai all'improvviso una sensazione di spavento, quando sentii
parlare di matrimonio: infatti finora l'avevo temuto più della stessa
musica, che pure mi sembrava quanto di più odioso vi fosse sulla
Terra. Quelli che fanno della musica, ero solito dire, almeno
immaginano di essere in accordo fra di loro e di agire in armonia:
infatti quando hanno accordato gli strumenti abbastanza a lungo e ci
hanno lacerato le orecchie con stonature di ogni tipo, si ostinano a
credere di esserne ormai venuti a capo e che uno strumento si accordi
perfettamente all'altro. Perfino il direttore d'orchestra è partecipe
di questa felice illusione e quindi attacca gioiosamente, e intanto a
noi altri continuano a rintronare le orecchie. Invece nel matrimonio
non è neppure questo il caso: infatti, malgrado si tratti solo di un
duetto, e dunque si dovrebbe pensare che due voci, o due strumenti,
potrebbero trovare un relativo accordo, questo capita invece
raramente; se l'uomo dà un tono la donna lo prende subito più alto, e
l'uomo più alto ancora; allora si passa dal la al tono corale, e poi
sempre più in alto, finché gli stessi strumenti a fiato non riescono
più a seguirli. E quindi, poiché la musica armonica mi dà fastidio,
tanto meno mi si può dar torto se non posso soffrire quella
disarmonica.
Non posso e non voglio raccontare tutti i festeggiamenti in cui si
esaurì la giornata; infatti vi feci molto poco caso. Il cibo
raffinato, il vino eccellente, niente riuscì a piacermi. Pensavo e
ripensavo a cosa avrei fatto. Ma non c'era molto da escogitare. Decisi
che, appena fosse stata notte, per farla breve, me ne sarei andato,
per nascondermi da qualche parte. Raggiunsi felicemente una fenditura
nella roccia in cui riuscii a introdurmi a forza e a nascondermi come
potei. La mia preoccupazione fu quella di liberarmi il dito dal
disgraziato anello, cosa che non mi riuscì assolutamente, anzi sentii
che diventava sempre più stretto appena pensavo di sfilarmelo, e
provavo anche violenti dolori, che però si calmavano immediatamente
appena rinunciavo dal mio proposito.
Mi alzai di prima mattina - infatti la mia piccola persona aveva
dormito molto bene - con l'intenzione di guardarmi di nuovo intorno,
quando sembrò che cominciasse a piovere su di me. Infatti tra erba,
foglie e fiori cadevano una quantità di sabbia e carbone, e come mi
spaventai quando tutto intorno a me si animò e un'interminabile
esercito di formiche mi si gettò addosso. Me ne ero appena accorto,
quando mi attaccarono da ogni parte, e nonostante io mi difendessi
subito vivacemente e con un certo coraggio, alla fine mi ricoprirono
tanto, pizzicandomi e tormentandomi, che fui felice quando sentii
gridare di arrendermi. In effetti mi arresi subito, dopo di che una
formica di statura considerevole mi si avvicinò cortesemente,
addirittura con deferenza, e si raccomandò al mio favore. Seppi che le
formiche erano diventate alleate di mio suocero, e che lui in questa
occasione le aveva richiamate ordinando loro di prendermi. Ero un
piccolo essere nelle mani di esseri ancora più piccoli. Pensai al
24
matrimonio, e dovevo ringraziare Dio se mio suocero non era in collera
e la mia bella non era seccata con me.
Consentitemi di tacere su tutte le cerimonie; per farla breve eravamo
sposati. Eppure, nonostante ci fosse allegria tra noi, c'erano delle
ore solitarie durante le quali si era indotti a riflettere, e mi
capitò quello che ancora non mi era mai accaduto; vi rivelerò cosa e
in che modo.
Tutto intorno a me era perfettamente adeguato alla mia nuova statura e
alle mie esigenze, le bottiglie e i bicchieri erano proporzionati al
piccolo bevitore, anzi, se si vuole, di una misura relativamente
migliore che da noi. Il mio piccolo palato trovava eccellenti i
bocconi prelibati, un bacio dalla boccuccia di mia moglie era davvero
incantevole, e non nego che la novità mi rendeva tutte queste
circostanze molto gradevoli. Ma purtroppo non avevo dimenticato la mia
precedente condizione. Sentivo in me una misura della mia antica
grandezza che mi rendeva inquieto e infelice. Allora capii per la
prima volta quello che i filosofi vorrebbero intendere parlando dei
loro ideali, dai quali sembra che gli uomini siano tanto tormentati.
Avevo un ideale di me stesso, e a volte in sogno mi sembrava di essere
un gigante. Per farla breve, la donna, l'anello, la figura da gnomo,
tanti altri vincoli mi rendevano totalmente infelice, tanto che
cominciai a pensare seriamente alla mia liberazione.
Poiché ero convinto che tutto l'incantesimo fosse nascosto
nell'anello, decisi di limarlo. Perciò sottrassi al gioielliere di
Corte alcune lime. Fortunatamente ero mancino, e in vita mia non avevo
fatto mai niente con la destra. Mi misi a lavorare sodo; non era cosa
da poco: infatti il cerchietto d'oro, per quanto paresse sottile, in
proporzione era diventato più spesso rispetto alla dimensione che
aveva prima di ritirarsi. In tutte le ore libere mi dedicai
inosservato a questa occupazione, e fui abbastanza accorto, quando il
metallo fu segato, da mettermi davanti alla porta. Ci ero riuscito:
infatti di colpo il cerchio d'oro saltò con forza dal dito, e la mia
persona fu lanciata in alto con tale violenza che credetti davvero di
aver toccato il cielo e in ogni caso di aver sfondato la cupola del
nostro palazzo estivo, anzi di aver distrutto con la mia nuova
goffaggine l'intero edificio.
Ero di nuovo in piedi, senz'altro molto più grande ma anche, mi
sembrò, molto più sciocco e maldestro. E quando mi ripresi dallo
stordimento vidi vicino a me il cofanetto; lo trovai abbastanza
pesante quando lo sollevai e lo portai giù per il sentiero verso la
stazione di posta, dove feci subito attaccare i cavalli e partii.
Durante il viaggio feci senza indugio un tentativo con le piccole
borse sistemate ai due lati. Al posto del denaro, che sembrava
esaurito, trovai una piccola chiave; apparteneva al cofanetto, nel
quale trovai un qualche risarcimento. Finché durò, mi servii della
carrozza; poi la vendetti per proseguire con la diligenza di posta. Mi
disfeci del cofanetto solo alla fine, perché pensavo sempre che si
sarebbe potuto riempire un'altra volta, e così alla fine, anche se
facendo un giro piuttosto lungo, arrivai di nuovo in cucina dalla
cuoca, dove mi avete conosciuto prima.

JEAN LORRAIN (1855-1906)


Decadentismo francese  figura dell’esteta omosessuale
Dedito agli eccessi e alla vita smodata ma “bella”

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Lo stesso concetto di bellezza ed eleganza portato all’estremo del grottesco sfociando così in una poetica e in
un ideale del cattivo gusto.
Romanticismo decadente, il sentimento storico viene attenuato in favore di quello mitico/fantastico
(gusto per il meraviglioso accentuato ancora di più dal crepuscolarismo)
Medievalismo mutuato da un’atmosfera di rifugio rispetto alla realtà presente difficile da affrontare.
Mito e figure medioevali suscitano un notevole fascino nell’uomo decadente, che vi vede non solo l’aspetto
positivo ma, sottotraccia avverte una linea di demonico e dannato.
La fata quindi diventa
 Madrina
 Demonica  sabba e cavalcate notturne
Melusina
Vari sonetti dedicati a delle fate, tutti tradotti da D’Annunzio. Per esempio nel caso della CHIMERA il poeta
esplora il tema del fiero bacio.

Sonetto in cui Melusina vene descritta come una dama vestita all’orientale
(mondo esotico e conseguente esoterismo avvertiti come estremamente suggestivi, mondi lontani e per
questo permeati dalla magia)

Guarda, assisa, la vaga Melusina, tenendo il capo tra le ceree mani,


La Luna in arco da' boschi lontani. Salir vermiglia il ciel di Palestina. Da l'alto de la torre saracina,
Ella sogna il destin de' Lusignani; e innanzi al tristo rosseggiar de' piani,
Sente de 'l suo finir l'ora vicina. Già, già, viscida e lunga, ella le braccia
Vede coprirsi di pallida squama, le braccia che fiorian sì dolcemente.
Scintilla inrigidita la sua faccia. E bilingue la sua bocca in van chiama
Poi che a 'l cuor giunge il freddo de 'l serpente.
MELUSINE NOVECENTESCHE
FRANCESCO CIPRIANI – Melusina sull’altro marciapiede
Opera pensata per far parte del progetto di stampo futurista di BONTEMPELLI, il quale presenta i suoi
giovani collaboratori napoletani, asserendo che avrebbero prodotto un romanzo all’anno per dieci anni.
Il romanzo di Cipriani venne ideato tra il 1925 e il 1928, non fu pubblicato, se non per qualche estratto su
rivista.
Sfondo della vicenda una moderna Napoli metropolitana in cui viene rappresentata una vita intensa e
operosa.
Città rarefatta, moderna con tutte le qualità irreali del cronotopo, viene perseguita da Cipriani la retorica del
“realismo magico”, ovvero la nuova retorica del candore che perseguiva l’idea di una produzione letteraria
alimentata da miti nuovi.
Un suggestivo realismo magico permea il racconto, intrecciando le vicende di Giulio Giovanni e di una
nuova figura melusiniana, una fata che raccoglie in sé lo spirito del tempo ovvero la velocità, la meccanica, il
dinamismo e il mondo cittadino anonimo e immenso.
Romanzo trasferisce in chiave magica il quotidiano, narrando la straordinaria passeggiata del protagonista.
Ogni elemento del paesaggio cittadino è simbolo e celebrazione del nuovo mondo industrioso e
industrializzato, non sono luoghi metaforici ma ben reali e rappresentano il culmine della tecnica e della
scienza umane.

 BAR
 PARCO CITTADINO  nebulizzazione dell’acqua: richiamo al mondo acquatico di Melusina
 LA GOCCIA  epifania: lei stessa sembra sciogliersi con la goccia
 MAGAZZINO  iter tenebricosum: tempio del materialismo, religione del mondo moderno
 VARIETE’  refrain di 100 anni: esperienza dionisiaca e ritorno alla giovinezza
 LATTERIA  caffellatte: tempio del quotidiano > esperienza al limite dell’erotismo
 UFFICIO  meccanizzazione: terzo sesso temuto da Melusina, perdita dei poteri di donna e
seduttrice ormai nullificata rispetto alla realtà meccanizzata si sente
svilita nel suo essere donna
 ALBERGO DIURNO
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INSEGUIMENTO E APPOSTAMENTO AL BAR
Mondo del bar raccontato dal punto di vista di un bambino, libera descrizione di una realtà onirica composta
da immagini e sensazioni, queste ultime connotate nel senso della chiarità, animazione, movimento, riflessi.
Chiaro rimando alla favola di Bontempelli “la scacchiera davanti allo specchio” e alla sua poetica della
fanciullezza.
Bambino osserva da sotto il tavolo, punto di vista deformante della realtà: disposizione al fantastico, allo
stupore propria dell’infanzia.

CORRADO ALVARO (1895-1956) – L’amata alla finestra


Corrado Alvaro, scrittore di origine calabrese, nelle sue opere si avvicina ad un romanticismo decadente
colorato da impressioni espressionistiche (corrente con cui era entrato in contatto in Germania).
Un affastellamento di immagini vaghe e suggestive connotate però dal vivido realismo del quotidiano e del
concreto e soprattutto ricco di riflessioni di tipo storico-sociologico.
Contrasto che nel suo stridente straniamento provoca inquietudine e tensione esistenziale e morale.
Vediamo quindi due aspetti della sua poetica che sono in apparenza contraddittori

 Sublimazione lirica del mondo  immagini vaghe, linguaggio metafisico


 La realtà circostante  vita come vicende di padri e figli e quindi perdita di beni e di valori

Il realismo “sociale” di Alvaro è quindi impregnato di suggestioni poetiche, nella sua raccolta di racconti,
L’amante alla finestra, ve ne è uno in particolare intitolato Il ritratto di Melusina, nel quale appunto utilizza
la figura della fata medievale, rielaborata in chiave moderna, per rappresentare parte della sua terra natale. La
descrizione del suo mondo è in bilico tra una dura e concreta realtà e un surrealismo magico che in qualche
modo viene emanato dalla Melusina. In questa storia la fata è una semplice ragazza, figlia di contadini,
estremamente bella.
Ciò che viene rappresentato in modo particolare è uno scorcio di vita quotidiana interrotto da un brusco
avvenimento, l’arrivo di un pittore straniero; ciò provoca un senso di scompiglio nell’animo della giovane
perché il ragazzo è intenzionato a farle un ritratto. In questo modo viene alla luce un ritegno primordiale
che è insito nelle donne del suo paese (secondo lui, ovviamente questa cosa del pudore è un’idea insita nella
cultura patriarcale nda.)
Melusina è quindi alla mercè del pittore, il quale la possiede attraverso la sua immagine: diviene un dio che
ricrea le sue forme.
La richiesta al padre di compiere tale delitto, viene fatta tramite l’intervento del signore del luogo, in questo
modo Alvaro ricalca le dinamiche presunte medievali di tipo feudale ricreando un novello ius primae noctis,
inoltre sono messe anche in campo, dall’autore, riferimenti alla magia analogica (spilli negli occhi, baci sul
volto). La sua terra quindi appare un desolante locus horridus in cui le generazioni stanno per estinguersi, un
barlume di magia, estremamente flebile, è emanato dalla giovane Melusina che ha il materno compito di
allevare i fratellini (non i suoi stessi figli) e la fecondità tipica della fata sembra solamente una distante
utopia.
DINO BUZZATI – Poema a fumetti
Mito di Orfeo rivisitato in chiave surrealista, la figura della Melusina appare in modo fugace, ma tutta
l’opera è intessuta di magia e richiami ad un certo tipo di immagini che di certo sono eredi della tradizione
melusiniana (quantomeno in parte)

Inoltre lo stesso Buzzati stava lavorando, come co-sceneggiatore, ad un film di Fellini, dal titolo di G.
Mastorna, tratto tra l’altro da un racconto di Buzzati. Il film non fu mai realizzato per problemi di diversa
natura ma lo scrittore produsse un’opera su un innovativo mezzo, quello del fumetto (all’epoca rilegato alla
letteratura bassa o per bambini)
Disegni di Buzzati (stile molto vicino a quello di Milo Manara) portano sulla scena erotismo spinto in
un’atmosfera infernale e allucinata.

27
Quindi il Poema a fumetti buzzatiano è una variazione del progetto del Mastorna (il nome del protagonista,
secondo quanto ipotizzato da affermazioni di Fellini, non confermate da buzzati, sarebbe stato proposto
dallo scrittore, interpellato dall’amico regista)
Quando lo stesso film era basato su un racconto di Buzzati lo strano caso di Domenico Molo, poi
pubblicato con il titolo di Sacrilegio. Nel caso del Mastorna, Fellini aveva pensato ad una soluzione
prettamente dantesca, quindi con una catabasi iniziale ma una conseguente ascesa. Ascesa accompagnata
da una hostess in blu, lettura contemporanea della Beatrice di Dante, che lo porterà fino alle porte del
Paradiso.
I riferimenti visivi di Buzzati sono ben chiari, FRIEDRICK, BELLMER, DALI’ o a registi quali
MURNAU, FELLINI.
Alcuni punti della narrazione di Buzzati sono estremamente interessanti da analizzare per la loro salienza
intertestuale

I. STRUMENTO MUSICALE  anche il Giuseppe Mastorna di fellini è un musicista, sempre


Accompagnato dal simulacro femminile del violoncello
II. GIACCONE-DIAVOLO  cerbero circondato da nudi femminili: fa riferimento a una
dichiarazione
di Fellini (ma anche la giacca stregata)
per cui il giaccone rappresenta un doppione fantoccio del regista
III. ANELLO SCAMBIATO  scambio anello-orologio: quest’ultimo voluto da Eura per poter
tener conto del tempo (nonostante sia costretta a rimanere in un luogo
in cui il tempo non scorre ed è eterno e pallido)
IV. DUPLICE SGUARDO  Due paia sovrapposte di occhi: esistono due tipi di occhi -
attivi/emittenti
-
passivi/ricettivi
Il racconto è ambientato in una Milano metropolitana e sporca, le vicende si svolgono
principalmente in una via inventata, Via Saterna dove si trova l’entrata per l’inferno (non tanto
quello Dantesco, ma è più un mondo infero paganeggiante)  locus horridus lugubre, gotico e
liquido
Protagonisti della vicenda sono una coppia di giovani che rappresentano Orfeo (Orfi Baltazano) ed Euridice
(Eura Storm-Mors)
Racconto si dispiega in quattro fasi

 Mistero di Via Saterna  Eura scompare misteriosamente: Orfi, cantante rock, la segue fino a
Giungere alle porte dell’Aldilà, sorvegliate da un demone-cerbero
 Spiegazione dell’Aldilà  natura e composizione di un mondo ultraterreno e dei suoi pallidi
abitanti:
ingresso controllato da un demone-guardiano in forma di GIACCONE
VUOTO che lo mette alla prova della poesia e del canto
 Canzoni di Orfi  in forma di enigmatici testi poetici (tra cui anche La storia delle Melusine)
 Eura ritrovata  supera la prova: si addentra nell’Averno e riesce a ritrovare Eura e prova a
Ricondurla nel mondo dei viventi con lui, ma come nel mito tradizionale, il
tentativo
Orfico fallisce

CUORE MANGIATO – EROS E THANATOS


Tema variato in diversi modi nel corso del tempo ma sottese rimangono caratteristiche costanti

 Triangolo amoroso
 Gelosia del marito
 Atroce vendetta
 Inganno
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 Atto cannibalico (forti connotazioni apotropaiche)

La prima attestazione
Lai de Guirun – ROMAN DE TRISTAN di Thomas
Motivo che si diffonde in tutta Europa

o ZONA D’OC - Ensenhamen del cavalier di Arnaut Guilhem de Marsan 1170


- Vidas e Razos sul trovatore Guilhem de Cabestany metà XIII secolo
o ZONA D’OÏL - Lai d’Ignaure di Renaut d Beaujeu inizi XIII
- Le Roman du Châtelain de Coucy
o ITALIA - Novella LXII del Novellino fine XIII secolo
- Vita Nova, sonetto A CIASCUN’ALMA PRESA E GENTIL CORE fine XIII secolo
- XI Novella, IV giornata, Decameron: Giovanni Boccaccio
o GERMANIA -Das Herzmäre di Konrad von Würzburg XIII secolo
-Minnesänger di Reinmar van Brennenberg

IGNAURE
Ignaure, cavaliere di Bretagna ama 12 donne (ignare le une delle altre) che lo ricoprono d’amore e di doni.
Un giorno le dame scoprono di essere state ingannate, ma riesce a farsi perdonare da loro che però esigon
che il cavaliere ne scelga solo una tra tutte.
La coppia per un po' continua a vivere tranquilla fino a quando, a causa della loro imprudenza verrà scoperta
da un invidioso che racconterà tutto ai mariti.
Prasi da una cocente gelosia questi ultimi pattuiscono d vendicarsi del don Giovanni ante-litteram e lo
rinchiudono. Per far in modo che venga liberato le amanti decidono di fare un digiuno, ma i mariti trovano il
modo di dar loro in pasto il fallo e il cuore del loro amante. Dopo aver scoperto l’inganno, esse si danno
veramente la morte per inedia.

GUILHEM DE CABESTANY

 Vidas – brevi narrazioni pseudo-biografiche sull’autore, introducevano i componimenti


 Razos – affiancavano i componimenti, indicando occasione storica e significato

Su Guilhem abbiamo vari Razos (H,R,P) e Vidas(AB,I,K,N2)  AB la più corretta


Che però differiscono per alcun particolari

 Nome della dama - Soremonda (vida I; AB)


- Sermonda (K)
- Margarida (razo P)
 Decapitazione - vidas AB, N2
- razo P
 Re d’Aragona: vendica e beatifica gli amanti - vida AB
- razo N2
Gentils  nobile
Mais  forte
Braus  cattivo
Fers  feroce
Nus  orgoglioso
Marito della dama, ovvero Raimondo di Rossiglione è nobile ma non di animo

Sirventes  argomenti politici


Chanssos  argomenti amorosi
Cor  cuore
Cors  corpo
Ira (in provenzale)  adirato
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 addolorato
Vianda  carne
LAUSENGIERS  maldicenti/invidiosi

Nel Decameron Boccaccio parla proprio della vicenda di Guilhem de Cabestany, il cui nome viene
italianizzato in Guglielmo Guadastagno/Guardastagno che si innamora della moglie del suo caro amico
Guglielmo di Rossiglione (nella versione occitana il nome del marito era Raimondo e non era amico di
Guglielmo, anzi ne era estremamente invidioso)
Comunque esistono varie versioni del racconto originale che differiscono in numerosi punti.
La versione boccaccesca è più complessa, dal punto di vista formale. Ma anche nella caratterizzazione dei
personaggi che non sono monodimensionali, ma possiedono più sfaccettature, non sono o solo positivi o solo
negativi. In particolar modo i due amici, i due Guglielmi sono estremamente interessanti; mentre della dama
non è accennato neppure il nome.
Il motivo del cuore mangiato viene ripreso e declinato anche da altri autori più tardi, non solo
provenzali

I. Stendhal  traduzione in francese del razo P (motivo del cuore mangiato ne il rosso e il nero)
II. Robert Lafont  La Manjacòr (1978): Parodia del racconto, donna costantemente affamata, in
tutti i sensi (come Nicole)
sorvola sulla storia e parte direttamente dal momento del pasto, quando la donna
se ne accorge sviene pr poi gettarsi dalla finestra, ma non muore, cade su del
fieno
e da lì continuerà ad avere numerosi amanti (tutti vengono eliminati dal marito)
III. Cesare Segre  Delitto d’amore: Soremonda e Gullem de Cabestanh (2004)
LANGUE D’OC

STORIA DELLA LINGUA


Dall’XI secolo: usata in ogni ambito della scrittura
XIII-XIV secolo: utilizzata anche istituzionalmente al posto del latino
1209-1229: crociata contro i catari; emigrazione
Dal XIII: monarchia di Francia conquista territori occitani  oscurata la lingua e la cultura occitana in
favore
di quella francese
1539: ordinanza di Villers-Cotterêts  imposizione della lingua francese in tutti i documenti ufficiali
declassamento dell’occitano a dialetto (patois)
rivoluzione francese: stato nazionalista e centralista, ulteriore oscuramento dell’occitano
Metà XIX secolo: FRE’DE’RIC MISTRAL e altri intellettuali fondano <<Le Fèlibrige>>, movimento
letterario
regionalista
1878: Mistral unifica le diverse varianti regionali della lingua d’oc  Lou Tresor dòu Fèlibrige
(vocabolario)
1945: fondazione dello IEO istituto per lo studio dell’occitano
1951: è permesso l’uso facoltativo dell’occitano per l’insegnamento
1968: rivendicazioni culturali si uniscono a quelle politiche-civili

VIAGGIO IN OCCITANIA

La Bèstio dòu Vacarés (1926) – d’Arbaud VIÈO DANSO


Incontro pieno d’orrore e ammaliamento tra un gardian della Camargue “la vecchia che danza”
ed una sorta di dio Pan derelitto, decrepito e languente, privo orma di ogni Miraggi frequenti in Camargue,
forza vitale che ha trovato come ultimo rifugio questa landa palustre: lo soprattutto nella zona del Vaccarès
stagno del Vacarés. La potenza silvana sul regno animale del fauno si
risveglierà in una sorta di animalesco sabba notturno, dai tratti diabolici e
spettrali.
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La storia celebra e insieme compiange la fine di un’epoca dominata dalla natura con il suo pantheon, causata
dall’avanzare del progresso.
La sovranità della Natura, in d’Arbaud assume le sembianze di un essere totemico, il dio Pan, inquietante e
misterioso ibrido: metà uomo e metà capro. Il capro in più è da sempre stato associato al diavolo, prima
animale sacro al dio Dioniso che, con l’avvento della religione cristiana viene crocifisso e ucciso in nome di
un dio padre duro e severo. Quindi il simbolo per eccellenza del mondo pagano, della lussuria delle orge
dionisiache (che nell’immaginario cristiano divengono misteriosi sabba notturni di streghe e esseri
mefistofelici) incontra un quieto e credente gardian. Un di reietto che fugge dalla violenza umana che viene
soccorso da un uomo roso dai dubbi e dal senso di colpa per questo suo atto di pietà verso un essere tanto
orrido e misterioso.
Lettura freudiana della reazione dell’uomo
Qualcosa, un tempo familiare, e per lungo tempo dimenticata, quando viene alla luce nuovamente genera
un senso di straniamento ed orrore ancestrale
Oltretutto la religione del Padre trasforma i vecchi dei del pantheon greco-romano in mostri e demoni che
conducono al peccato, prima tra tutte, ad essere estirpata e considerata estremamente pericolosa, ovviamente
è Venere.

Nel caso del Bèstio abbiamo a che fare con il ritorno degli dei titanici, ovvero quelle creature mitologiche e
quegli dei considerati, in passato minori, fauni, driadi, centauri. Il pantheon dei semidei viene esaltato
rispetto agli dei grandi e terribili. Rovesciamento gerarchico nei gradi della mitologia predispone verso classi
sociali più umili, vi è un rovesciamento anche dei valori eroici. Atteggiamento che in un certo modo aveva
adottato lo stesso Virgilio, previlegiando gli sconfitti
Tolkien, nella sua magnifica opera di tipo fantastico-cavalleresco, renderà eroi e protagonisti della vicenda i
più umili e pacifici degli esseri che popolano il suo mondo, gli Hobbit.
Contrapposizione tra mondo pagano e mondo cristiano, una religione in declino rispetto ad una in netta
ascesa che in più adotta un atteggiamento di pura violenza nei confronti del paganesimo.
D’Arbaud ne LI CANT PALUSTRE rappresenta al meglio l’antica paganità e l’avvento della cristianità
I. Satiri ebbri che dormono distesi all’ombra dei pini, al canto delle cicale
II. Barca senza remi che portano Sara e le Sante Marie che approdano in quella terra
terra del levante già pagano
La Bèstio è il planctus sulla morte di Natura, fauni e centauri morenti, proprio perché così vicini alla terra
e ai mortali, suscitano un sentimento di comunione e di pietà negli esseri umani con cui entrano in contatto.
La Camargue è il luogo ideale per rappresentare questo decadimento, in quanto è una terra ancipite, dalle
qualità meravigliose ma con aspetti di orrido e abbandonato. Non è un locus amoenus, o quantomeno non
solo. D’Arbaud, per cantare di una morte di questo tipo, nell’abbandono, nella dimenticanza, nello sporco e
nel decrepito, necessitava di un luogo adeguato, la sua Camargue triste e solitaria che viene sopraffatta dal
progresso.

Tema del ritorno degli dei affrontato da un altro autore provenzale (che scrive però in francese)
IL CENTAURO – De Guérin (1840)
«Ebbi la nascita negli antri di queste montagne. Come il fiume di
questa valle le cui gocce primitive stillano da qualche masso che Neil Gaiman – American Gods
piange in una grotta profonda, il primo istante della mia vita cadde
nelle tenebre d’un soggiorno remoto e senza turbarne il silenzio. Il labirinto del fauno – Guillermo del
Quando le nostre madri son prossime a sgravarsi, si ritirano verso le Toro
caverne, e in fondo alle più selvagge, nel più fitto dell’ombre,
partoriscono senza levare un gemito frutti com’esse silenziose… Il The ancient magus bride
fondo della mia dimora era così addentro nello spessore del monte
che la parte da cui era l’uscita mi sarebbe rimasta ignota se, svoltando Jean Giono – Trilogie de Pan
a tratti per quella bocca, i venti non ci avessero spinto frescure e (allievo di d’Arbaud)
turbamenti improvvisi. A volte poi, rientrava mia madre, intrisa del animal-totem: Cinghiale, il cui sacrificio
profumo delle valli o sgocciolante d’acque in cui s’immergeva. Ora sacrilego scatena rappresaglie da parte
questi ritorni, di lei che non mi descriveva né valli né fiumi, ma era della natura
seguita dai loro effluvi, rendevano i miei spiriti inquieti, e tutto
agitato andavo su e giù per la mia oscurità»
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Ma non solo, studio tematico che ha interessato
Heinrich Heine nel suo Gli dei in esilio (1978)

D’Arbaud si ispira all’opera di FOLCO DE BARONCELLI, allievo di Mistral, BLAD DE LUNO


In cui essenzialmente stabilisce e canonizza il
Costume del gardian camarguese, di cui è rappresentante lui stesso, in quanto si trasferì in quelle zone alla
ricerca di un luogo in cui vivere la vita da allevatore di bestiame, lontano dal resto del mondo.

L’Istòri dóu Rèi mort qu’anavo à la desciso (1961) – Delavuët


Rifonda l’epica breve in versi alessandrini, cantando il percorso notturno della nave-feretro di un re alla
volta degli Alyscamps, noto sepolcreto della città di Arles.

DESCISO E REMONTO DEL RODANO


Celebrazione non solo della figura regale e dell’onore
“A chi, pur miserevole, il gran Rodano cavalleresco e di tutto ciò che il re rappresenta, ma soprattutto
offre del suo volto, il riflesso coronato celebrazione imponente del maestoso fiume Rodano, da sempre
di luce” fondamentale fonte di sostentamento del mondo occitano.
Rievoca nella sua opera un altro grande poema che raccontava
leggende medievali sul celebre camposanto trobadorico: Lou
Pouèmo dóu Rose (il Poema del Rodano) di Mistral, capolavoro di fine XIX secolo
Nel suo poema emergono i tratti dell’industriosità e della vita che arricchivano il percorso del fiume Rodano,
della sua utilità di via fluviale per gli abitanti della regione.
Eroi di una volta che solcavano la corrente, come moderni argonauti. Desciso da Lione della flottiglia delle
navi mercantili, conclusasi la fiera, la difficoltosa remonte all’alaggio dei cavalli  celebrazione di una
vita dura e rischiosa compromessa dalla tecnologa e dal progresso
Prima i battelli a vapore scalzano queste conoscenze secolari e poi l’avvento delle vie ferroviarie eliminano
l’utilità del fiume. Quel fiume che aveva tanto contribuito alla vita e alla produzione provenzali.
Quello di Delavuët è un omaggio alla tradizione leggendaria radicata nel comune fiume identitario.
Suggestione del Rodano come mezzo per un’esperienza iniziatica ad una vita elementare. Il re morto nella
sua discesa acquisisce nuova vita, ed è pronto a risorgere nella maestà del mondo naturale.
Per l’autore inoltre, è estremamente importante la simbologia dell’albero della vita
Albero che con la verticalità del tronco e l’orizzontalità dei rami è la figura che si fa ipostasi della croce per
la passione di Cristo. Per Delavuët la figura allegorica unificante è l’albero: quello del giardino dell’Eden e il
fusto della croce di Cristo.
L’esperienza iniziatica a cui è sottoposto il cors del re sconosciuto è composta da una catabasi iniziale e da
una conseguente anabasi
Re adagiato su di una lettiga di rami e imbalsamato come selvaggina  re decaduto scambiato, dai suoi
stessi cani per un cinghiale (mito di Atteone)
Iniziale decadenza, anche della figura regale che poi viene innalzata e portata verso una nuova vita mistica

L’Istòri dóu Rèi mort qu’anavo à la desciso


Dóu piue lou mai pounchu, pèr un camin de nèu,
an davala lou rèi sus ‘no brèsso de ramo
e li chin embarra, mountant fin qu’i carnèu,
idoulon coume autour de la bicho que bramo,
que jamai gibié sènt plus fort
que ço que sènt soun mèstre à l’ouro de la mort.

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Dalla vetta più aguzza, su una pista di neve,
hanno calato il re su lettiga di rami  barcaccia sgangherata
e i cani alla catena, saltando fino ai merli,
ululano come attorno alla cerva in bramiti:
mai selvaggina odorò più forte
come il loro padrone nell’ora della morte.

Imbalsamazione o bassa cucina?


Amoulounas, servicialo, lou pebre-d’ai
emai la ferigoulo au mitan di cousino,
que ié van destapa la ventresco d’un tai
pèr la faire raja dins uno grand bacino:
fau que lou bourron d’aroumat
pèr counserva soun cors pèr sèmpre embausema.

Ammucchiate, serventi, dell’erba santoreggia  Salagione del porco


e del timo selvatico in mezzo alle cucine
gli si va a scoperchiare con un taglio le viscere  corpo flaccido, zampe poste in croce
per farle poi colare in un grande bacino:
va imbottito d’aromi
per conservarne il corpo per sempre imbalsamato.  vivanda – eucarestia che corrisponde ad un
cannibalismo rituale
Lo abbigliano da re
Ié bouton dins la man soun grand estramassoun,
i’estacon soun arquiero au-dessus de l’espalo,
l’acoton d’un blouquié pintourla d’escussoun,
lou plegon tout entié dins sa jargo pourpalo
e ié pauson, autour dóu su
la courouno de ferre e si flouroun pounchu.

L’enorme stramazzone, glielo fanno impugnare  mano prima flaccida che ora regge la falce longobarda
e la faretra sua gli affibbiano alla spalla,
gli accostano uno scudo, pitturato di stemmi.  decadenza regalità terrena
Tutto quanto lo avvolgono nel manto porporato
e sul capo gli posano,
la corona di ferro, a fioroni appuntiti

la dozzina di tavole di una


vecchia barcaccia
Landon lis esparvié vers li tourre e li ro,
la niue revèn vira sus li rode de casso…
Ras de l’aigo, vaqui, de la poupo à la pro,
li douge pan de bos d’uno vièio barcasso
que servié pèr miés aproucha
li vòu d’aucèu bajas avans de li flecha

Volano gli sparvieri verso torri e le rocce,  Re che abbandona la sua sovranità mondana per
torna a planar la notte sui paesi di caccia… trovarne una spirituale, in un viaggio catartico nella mistica
a pelo d’acqua, ecco, dalla poppa alla prora, notte lungo il corso del Rodano
la dozzina di tavole di una vecchia barcaccia
che serviva da posta
per quegli uccelli d’acqua, prima di bersagliarli.

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c’è chi prende i tesori e chi prende il re morto
Sul fronte del tuo esilio, gente della
città,
dalle torri sortite, lanciano a te le
gaffe
arpionando la barca e quello che
contiene
salvandola dai mari dove ogni fiume
annega…
la barca tirano a riva:
c’è chi prende i tesori e chi prende il
re morto.

Lo darrier daus Lobaterras (1987) – Ganhaire


Storia di un medioevo sperduto nel priorato di Merlanda. Guerra in una foresta in cui si assiste al conflitto
tra uomini disboscatori e lupi, antichi dominatori di quel luogo ancestrale. Alla fine sarà proprio la foresta a
riscattare il suo dominio vegetale, cancellando le tracce di tutto quel sangue versato

Natura che si ribella allo sfruttamento intensivo a cui è sottoposta dagli Princess Mononoke – Hayao
uomini, ribellione violenta e sanguinosa. Nessuna delle due parti è
Miyazaki
esente dalla colpa di esercitare violenza appunto, se da una parte l’uomo
disbosca e dissoda, dall’altra la natura vegetale e animale si rivolta, Il signore degli anelli - Tolkien
uccide demolisce ciò che mano umana ha creato.
Animale-totem di Ganhaire è il grande lupo grigio, feroce protettore
della foresta e del suo popolo che riesce a sconfiggere in combattimento
la mai que loba (la più che lupa)
Una volta sconfitta si suicida e il grande lupo le
divora budella e utero
La storia principale vede come due protagonisti una coppia di amici, cresciuti insieme come fratelli
Joan e Arnaud il quale ha una storia maledetta, erede della stirpe dei lobaterras, la sua stessa nascita è stata
cruenta e mostruosa: addenta il ventre materno
Recupero della sua natura attraverso Viene poi addomesticato e la sua parte ferina viene molto
limata e arginata, fino a quando non si riscopre di nuovo parte
una macabra metamorfosi bestiale
di quel mondo naturale: richiamo della foresta mistico e
Danza notturna in cui uomini e lupi
potente.
sono uniti fisicamente Jean-Claude Forêt, accosta in Sang e saba, visioni di guerra
Unione bestiale > IBRIDAZIONE e natura incontaminata, è proprio il sangue versato dalla
e riconoscimento guerra degli uomini che si sublima in linfa delle piante, nella
erotico cui immagine il protagonista riconosce il ciclo continuo della
vita spezzata dei suoi cari.

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Portavo come un tesoro il lutto del mio primo amore. Quel lutto lo porto ancora. Non posso vedere una pervinca al
bordo del sentiero senza sentire nel cuore una puntura di dolore e di delizia. Quei fiori di un blu d’oltremare o
d’oltrecielo sono lo sguardo che lei mi manda dal di là del tempo, un sorriso dal suo nulla. Accarezzo le foglie
risalendo lo stelo e la sua cintura sottile viene a collocarsi nel cavo del mio braccio. Quasi ne sento il peso. Risento
il suo odore ferino […] Pervinca vive ancora in mille piante. Morta, si è reincarnata, per così dire, prendendo le
dimensioni di una specie. Anche qui cozzo contro il sempiterno scandalo vegetale, la vita senza coscienza. Pervinca
vive ma non lo sa. Come un tesoro portavo, porto ancora il lutto di sette o otto esseri cari che fanno del mio cuore
il mausoleo di una dinastia sontuosa. Del mio cuore e della natura intera
Mia sorella vive, ma neanche lei lo sa. Si è fatta erba delle stelle, Myosotis hispida, che sembra dirmi di non
dimenticarla. E io mi siedo al suo fianco per mormorarle agli orecchi di topo i vecchi, vecchi ricordi di un’infanzia
condivisa, quando ci bisticciavamo per un giocattolo sbreccato o un pezzo di biscotto. I miei genitori sono
risuscitati in melograni e Aslan in lentischio. Nessuno può immaginare le ragioni della mia emozione davanti a un
cespuglio o in mezzo alla garriga, quando sono immerso nella loro presenza innumerevole. Fra di loro, in un posto
privilegiato, il soldatino nemico per il quale il mio rimorso rinascente intrattiene sempre sul suo capo corone di
rose, e ai suoi piedi mazzi di gelsomino. Il mondo per me è un cimitero fiorito dove i defunti sono i fiori stessi che
adornano le loro tombe assenti

Luogo di pace e di silenzio, santuario profondo tappezzato di muschio spesso, dove le piante della brughiera
si aprono davanti alle mani del viandante come l’acqua a quelle del nuotatore. Qui lo sguardo s’imbatte nei
noci e nei rami ritorti dei castagni, oppure fila lungo i tronchi fin dove querce, frassini, faggi e betulle hanno
deciso di lasciar filtrare un poco di sole
«Luòc de patz e de silenci, sanctuari prigond tapissat de mossa espessa, onte brandas e brujas s'entreduebren
a las mans dau permenaire coma l’aiga a las dau nadaire. Aici, lo regard s’acròcha aus nos e a las branchas
torsudas daus chastanhs, o fila au long daus troncs jusca a l’endrech onte jarrics, fraisses, fàias e beçolhaus
an decidit de laissar un pauc entrar lo solelh», Lobaterras, p. 7.
Lo sendareu daus genebres (2000) – Ganhaire
Racconto gotico che rievoca la macabra storia di un rapporto malsano tra un medico e un giovane, ultimo
rampollo di un’aristocrazia putrescente.
Lo scenario di quella morte ciclica è un Grande Bosco, dove tutto inizia all’insegna di una caccia rituale.
Il medico salva il ragazzo, il cui intento però, era proprio quello di suicidarsi. Il giovane è l’erede di una
stirpe nobiliare ormai marcescente (nelle sembianze ricorda un vampiro)
Erede di Poe, Stoker, Lovecraft  ATMOSFERA NEOGOTICA
Incipit dell’opera attraverso un espediente letterario classico: medico deve riaprire una tomba di famiglia e
riapre anche vicende di 4 anni prima, così inizia il flashback di una storia che lo ha segnato profondamente.
Narrazione quindi dell’incontro con il giovane rampollo  caccia selvaggia (sono la tua preda di ieri)
Il medico cerca di porre in oblio tutto ciò che è accaduto, ma allo stesso tempo non riesce a fuggire d nuovo,
come aveva già tentato, per allontanarsi dai suoi sentimenti per il giovane paziente.
La barona, nonna del ragazzo li separa, ma il loro corteggiamento non si interrompe, pur essendo il più
piccolo, il ragazzo è quello che effettivamente guida il gioco e il protagonista ne è ammaliato e allo stesso
tempo spaventato.
Quando il ragazzo lo bacia non ce la fa e scappa via, allora il malato lo insegue, ma date le sue precarie
condizioni, muore.
Dopo la tumulazione della barona, 4 anni dopo, ritorna nel luogo della posta e capisce di essere stato a tutti
gli effetti l’assassino del suo giovane amante.

Ognuno degli autori ha celebrato e cantato la Natura, sfaccettature differenti dello stesso tema, secondo
stilemi e sensibilità diverse e originali.

GLI OCCITANI D’ITALIA


 Antonio Bodrero (1921-1999)  creature guardate con amore e tenerezza, tra cui silvani, signori
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Di quelle montagne, streghe, antenati e i morti, che tornano dal
Cimitero per conversare con i vivi
(interessante l’accostamento della vipera alla figura di madre
Amorevole e non immagine del male)
L’Abà d’Amoun:
sei l’ape del Miele stillato dal Frassino
… fai le ghiande del Rovere
che l’aquila afferra e l’acqua al rivo trascina; gli arnesi della cucina fanno l’alone
alla Tua icona di legno; ora ti vedo
scendere dall’oratorio e raccogliere mirtilli
per i poveri che han fame, i figli dell’aria,
Ti vedo salire lontano tutta sola,
come una farfalla al lume, al sole
sopra i cembri, su dove c’è il meglio
come sull’Alevé fa l’allodola;
e il Tuo respiro ci seduce, è il Tuo dono
di anime che fa tutto fiore e corona
ora i sorbi sorgono e i lamponi lampeggiano … tutto verdeggia per te, l’assillo degli insetti
Tu lo vinci se piangi con la pioggia»

 Claudio Salvagno  L’autra armada: armate vegetali contro le dissennate guerre degli uomini
Regni degli esseri vegetali porosi e fusi in una coscienza unica espressa da un
Sillabario vegetale

Noi siamo il ruggito azzurro della nuvola leone


siamo la tigre che corre nelle coniugazioni del torrente
siamo il balbettare oscuro del fogliame
l’inganno del vento d’aprile.
Noi siamo i verbaschi, siamo gli asfodeli
dentro le radure del bosco

«Mi arriva ora quel canto /


che cantavate muti /
ingrottati dentro i vostri valloni /
dentro quel vostro sudario di neve /
aceri spogli che aspettano maggio»,
ivi, p. 28.
Della stessa fibra vegetale è questo ritratto di un omone grande come un albero, colpito a morte:
«le mani color radice…sembrava una betulla che dondola /
piegata ad ascoltare i racconti dei crochi. /
… è caduto piano, /
con lo stesso soffio che fanno cadendo gli abeti»

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