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Sessione 1: Presentazione corso

Go to market → Tutte le attività per portare il prodotto sui mercati finali.


Se sono bravo nel go to market posso vincere con prodotti medi; gli italiani in questo sono
deboli, per colpa di una distribuzione tradizionalmente debole; vedi Rossopomodoro che ha
200 punti vendita, Pizza Hut 10.000. Questo perché hanno capito l’importanza della rete
distributiva.
In questo corso analizzeremo i processi per raggiungere i mercati finali e arrivare
all'acquirente.
Il corso si divide in una parte analitica, per capire gli elementi chiave dell’ambiente
competitivo e come si comportano i soggetti che compongono il canale (distributori e
acquirenti). Produttore, tramite uno o più livelli di distribuzione vende allo shopper
(acquirente finale).
Capire prima micro e macro ambiente, poi attenzione su distributore e acquirente (prima
parte del corso).
Poi seconda parte, impostare strategie di go to market, 3 cose:
- Disegnare canale (lungo, tanti distributori o corto?, tanti distributori o distribuzione
esclusiva?)
- Gestire la relazione, channel management, (trade marketing)
- Con questi soggetti si deve anche co produrre e co creare, creare partnership
distributive.
Libro di riferimento, go to market, Castaldo (no cap 4 da par 4.3 a 5.9 e 11)
Caso è su Lee, riposizionamento di un brand attraverso la gestione dei canali distributivi,
avevano due brand (Lee e Wrangler), posizionati in modo simile, Lee doveva diventare più
simile a Diesel che a Levi’s come era prima.
Alla luce di questo riposizionamento dovevano cambiare la rete distributiva e la politica di
go to market.

Sessione 1 : Il macro-ambiente
Processo di go to market: Azienda deve essere orientata al mercato e alla fiducia (customer
centric), deve essere sensibile a cliente e concorrenti. Obiettivo è soddisfare il cliente,
comprenderne le esigenze, soddisfarlo e conquistarne la fiducia per avere passaparola
positivo e riacquisto.
Per essere vincenti non basta fiducia del cliente, bisogna essere percepiti come diversi dai
concorrenti e i migliori sul mercato. Far si che il cliente mi percepisca come il più capace nel
soddisfarne le esigenze. Così creo distanza dai concorrenti, una barriera, in modo che il
cliente non consideri la concorrenza.
Processo di marketing management tipico:
1) Analisi, di valore ambiente, concorrenza, domanda
2) Progettazione del valore (segmentazione, targeting positioning, definisco prodotto,
prezzo)
3) Comunicare ai distributori e go to market, fare advertising, public relation,channel
design e come veicolare il prodotto sul mercato
4) Innovare valore (nuovi prodotti, digital marketing, marketing esperienziale, marketing
non convenzionale, customer solution)
5) Controllo e pianificazione del valore
Cosa vuol dire fare go to market? Prendiamo alcuni pezzi di questo processo, partiamo
dall’analisi, macro ambiente, concorrenza, domanda e canali distributivi (dimensioni
relazionali, economica sociale competitiva e collaborativa..)
Una volta definito ambiente ed esigenze degli attori del canale si definisce strategia di go to
market, quali canali userò per entrare nel mercato, poi gestire il canale e partnership e infine
fare controllo (conto economico di canale, per vedere i più redditizi).

Analisi dell’ambiente.

Analisi macro ambiente:


Oggi le aziende si trovano in un ambiente sempre più articolato e dinamico, si parla di
complessità:
a) sincronica
b) diacronica.

L’ambiente che abbiamo oggi è composto da sempre più pezzettini, che sono sempre di più
e sempre più connessi (sincronica), le relazioni mutano, a volte in modo imprevedibile,
questi pezzettini mutano nel tempo (diacronica).

Devo analizzare ambiente tenendo conto di questa complessità, prima cosa che si fa è
scremare, si usano quindi dei sistemi.
- Isolare fenomeni con una probabilità di manifestazione più alta e mi concentro su
questi.
- seleziono poi quelli con impatto maggiore, ovvero con conseguenze maggiori sull
impresa. Mi focalizzo su quelli con maggiore impatto e maggior probabilità.

Esempio auto che si guidano da sole e entrata nel settore farmaceutico delle catene di
farmacie.

4 Strati ambientali del macro ambiente:


- Territorio e demografia; trend popolazione e struttura territorio
- Economia e imprese: Variabili economiche
- Scienza, tecnologia e innovazione
- Politica e normativa

Microambiente, concorrenza:
- Analisi delle caratteristiche del settore (S-C-P)
- Analisi del settore allargato (5 forze); confini del settore sempre meno definiti
- Analisi in profondità dei concorrenti diretti:
- Analisi dei gruppi strategici
- Visione della concorrenza customer based

Modello SCP, Struttura - Condotta - Performance


Modello da cui nasce l'analisi della concorrenza
1) Struttura:
- Concentrazione (concentrato o frammentato? C4 del 2%, le prime 4 aziende
controllano il 2% del mercato)
- Barriere all’entrata (collegate spesso alla concentrazione)
- Livello di differenziazione, i vari player possono essere distintivi? Un mercato
in concorrenza perfetta ha concentrazione bassa, non ci sono barriere
all’entrata e la differenziazione è inesistente.

2) Condotta:
- Prezzo, se sono monopolista sarà alto, se frammentato il prezzo sarà basso e
redditività anche.
- Politiche di comunicazione
- Orientamento al cliente

3) Performance:
- Redditività
- Competitività
- Quota di mercato

A questo modello si è ispirato Porter, ha preso il modello e lo ha testato in una serie di


settori. Questo modello però in molti settori non funzionava; ha fatto quindi degli studi e
scoperto che per capire funzionamento di mercati e settori non basta analisi SCP ma devo
considerare anche la distribuzione, devo fare SCP anche del settore distributivo.
Fa un database con dati SCP dei settori industriali americani e accanto applica dati SCP dei
distributori.
Scopre con un’analisi di correlazione che per spiegare analisi aziende, la performance
dipende dalla distribuzione. Performance aziende 1, non dipende da struttura settore ma da
struttura distribuzione. La maggior correlazione è tra struttura distribuzione e performance
dell’industria. Ovvero, se sono Barilla e vendo a piccoli distributori frammentati, le mie
performance saranno elevate perchè loro non hanno potere. Se sono Barilla e vendo a
grande distribuzione, ovvero settore concentrato, i profitti saranno più bassi. Performance
aziende non dipendono da quello che succede dentro il settore ma dal settore distributivo.
Nasce modello della concorrenza allargata (5 forze). Per fare una buona analisi della
concorrenza bisogna partire dalle caratteristiche del settore, poi concorrenti diretti (gruppi
strategici e analisi customer based, ovvero prodotti sostitutivi nella mente del cliente).

Sessione 2: Analisi degli attori del canale: la distribuzione

Processo distributivo
“Tutti i passaggi di natura materiale e immateriale che collegano la produzione al consumo”.

Go to market è insieme dei passaggi che i prodotti seguono per passare dal produttore al
consumatore,
canale distributivo → Insieme dei passaggi che possono essere sia fisici (spostamento
nello spazio e nel tempo, prodotto consumato qui in un momento ma prodotto altrove in un
altro momento) che giuridici (distinguere possesso da proprietà, possesso ad esempio
Glover, ha possesso ma non proprietà, se sono Esselunga e compro il prodotto da Barilla
ho sia possesso che proprietà, aumenta il rischio, se non vendo perdo.

Distributori sono imprese di servizi. Distinzione sul livello nel canale, Grossisti (Metro) Vs
Dettaglianti (Esselunga).
Diversa lunghezza del canale distributivo, se ho entrambi è un canale lungo, se non ho
nessuno è diretto. Esistono anche gli ausiliari del commercio/distribuzione, sono aziende
addette alla conservazione, trasporto o assicurazione della merce, agevolano gli scambi ma
non assumono la proprietà e il rischio della merce.

“Settore commerciale: Cos’è? è l’insieme delle imprese che svolgono come attività
prevalente la compravendita di beni. Il loro prodotto è il punto vendita. Rendono disponibili i
beni nei tempi, luoghi e modi desiderati dai consumatori finali ⇒ Utilità di tempo, luogo e
possesso”

Modernizzazione: Nascita delle formule moderne, tutte quelle formule che vanno verso
self-service. Formula tradizionale prevede il banco, in passato tutta la distribuzione era così,
quando è diventata moderna? Quando ha aggiunto il self service, componi il tuo carrello.
Nasce negli Usa, primi del ‘900. UK, prima metà del ‘900, città più piccole, importano
formula USA, rimpiccioliscono e adattano a formula europea, Germania anni ‘60 nasce
discount e Francia anni ‘70-’80 ipermercato e GDO. In Italia, situazione più articolata, legge
comparto merceologico ha lasciato congelati per molto tempo, quando si è aperta la
concorrenza le imprese non erano competitive.
La modernizzazione del settore ha portato ad un aumento della concentrazione, a maggior
liberalizzazione e ad internazionalizzazione.
Le imprese commerciali hanno autonomia commerciale; marketing d’insegna (potendo
condizionare le preferenze della domanda), marche commerciali (concorrendo con
l’industria), sviluppo dei loyalty programs (sistemi reward, per sapere cosa compra il
cliente), orientamento all’innovazione.

Azienda commerciale: Cosa fanno e offrono questi distributori? Li analizziamo per capire
come gestirli, ogni volta che compriamo un prodotto acquistiamo un binomio
(merci-servizi) di prodotti e servizi commerciali, paghiamo un prezzo per i prodotti che
include il prezzo per i servizi commerciali.

I servizi commerciali hanno le stesse caratteristiche di tutti i servizi, (interazione tra chi eroga
e chi fruisce del servizio (irripetibilità), immaterialità, non può essere messo a scorta
Servizi centrali e servizi periferici.

Classificazione servizi commerciali:


Core service:
- Logistici (prossimità, risparmio tempo, stoccaggio, ovvero legato al non dover
sostenere oneri di stoccaggio, estensione apertura, ampiezza assortimento, numero
categorie, esempio ipermercato Vs Wine store, mi permette di sprecare meno tempo
e costi di trasporto con lo one stock shopping, andando ciò in un solo punto di
vendita a comprare tutto)
- Informativi, (Preselezione; riduce i costi di ricerca delle informazioni e la complessità
delle scelte selezionando un set di prodotti che costituisce l’assortimento,
profondità assortimento, informazione diretta)
- Altri (Post-vendita, velocità servizio, comfort)
Classificazione dei punti di vendita in base all’assortimento in base ad ampiezza e
profondità,

“Assortimento: l'insieme dei prodotti offerti da un'impresa commerciale al mercato, è uno


degli elementi fondamentali del retailing mix perché è l’aspetto che più incide sul profilo
d'immagine e sul posizionamento dell'impresa.”

AMPIEZZA: quantità di categorie merceologiche commercializzate;

PROFONDITÀ’: espressione della varietà dell'assortimento con riferimento a ciascuna


categoria merceologica → numero di varianti all’interno della categoria.

La classificazione dei punti vendita in base alle scelte


assortimentali

- PDV Specializzati
- Pdv Plurispecializzati (raccolta di specializzati, Harrod’s e grandi magazzini,
importante quando ci sono esigenze di informazione che di logistica)
- Pdv marginali/di nicchia (bassa estensione e bassa profondità, piccoli empori che
danno servizi di prossimità)
- Pdv despecializzati
Un processo importante è quello di formazione dell’assortimento; 4 step:
- Definire ampiezza assortimento punto di vendita (quali prodotti ti voglio vendere?)
Ovvero famiglie merceologiche e categorie.
- Definire le tipologie di prodotti per ogni categoria: Struttura in termini di marche
leader, follower e marche commerciali.
- Marche e referenze per ciascuna tipologia di prodotto; questo determinerà anche il
posizionamento del punto vendita e le politiche di rapporti con i fornitori.
- Allocazione spazio espositivo in base a spazio disponibile, redditività, frequenza di
rifornimento.
Come si inseriscono nuovi prodotti in assortimento?
- Condizioni economiche (prezzo, termini di pagamento, sconti, listing fee)
- Servizio logistico (frequenza e puntualità consegne,etc.)
- Politiche promozionali
- Potenziale di vendita
- Valore del prodotto per il consumatore
- Caratteristiche del produttore
- Considerazioni di natura competitiva

3. La definizione dell’offerta: Il pricing commerciale


Il prezzo dei prodotti è definito in maniera funzionale alla vendita del prodotto commerciale
nel suo complesso (assortimento).
Determinanti dell’immagine di convenienza:
I prodotti di marca, quando pubblicizzati, hanno un potere segnaletico maggiore ai fini della
formazione delle percezioni di convenienza. Quelli di marca commerciale sono meno
vincolanti perché di più difficile confronto. Altri elementi che influiscono sono affollamento,
passaparola, atmosfera.

4. Comunicazione:
Si distingue in più pubblici:
- la domanda finale con la comunicazione esterna,
- Il personale di vendita con la comunicazione interna,
- I fornitori e i concorrenti (coopetition). Esempio lobbying commercianti contro
Amazon per regime fiscale.
Strumenti usati dal retail per comunicare:
Il retail ha il vantaggio di essere molto vicino al mercato finale, le aziende industriali, per
esempio, non hanno contatto diretto con il cliente (perché lo ha il retailer), per questa
ragione Apple ha aperto i propri store fisici. I(loyalty cards)l retailer può conoscere uno ad
uno i propri clienti .
Il primo strumento è l’advertising,
Il secondo sono le promozioni (iniziative che portano a scegliere il punto di vendita e
acquistare, solitamente sono tagli prezzo), il loro problema è che riducono margini e fedeltà
(sempre minore nel retail).
Poi marche commerciali,
Direct marketing (grazie a loyalty cards, newsletters, numero verde),
Flyer (si comunicano caratteristiche e promozioni)
Relazioni esterne (con giornalisti per avere articoli favorevoli); il retail può comunicare
attraverso il punto di vendita (è un macro touch point che ne comprende molti altri)
importante perché si comunica nel momento della verità, cioè quando il cliente sceglie ⇒ è
quello con riscontri più diretti sulle vendite.

5. Innovazione.
Sempre più anche nel punto di vendita e non solo nel prodotto, (carrefour con blockchain) si
fa nei processi organizzativi, interorganizzativi, nei processi di approvvigionamento, nel
format distributivo, nel marketing, nella relazione con la clientela; tuttavia, vi è impossibilità
di ottenere una copertura brevettuale e di mantenere «riservato» il contenuto innovativo del
prodotto distributivo.
Marketing evoluto del retail:
1. Marche commerciali, i punti di vendita diventano produttori, ci sono diverse
tipologie di marche commerciali classificate come segue:

Sulla base della value proposition:

1. Generic private label: Brand name generico, è l’alternativa indifferenziata,


packaging poco curato, brand name generico e, solitamente, primo prezzo.
2. Copycat: prodotto un po’ più vicino al leader (copia), stessa qualità e prezzo
inferiore, sono imitazioni di prodotti proposti con altri brand.
3. Premium store brand: Può essere prodotto premium-price, di altissima qualità e
con prezzi più alti rispetto al leader o premium-lite, miglior qualità e prezzo inferiore
al leader.
4. Value innovator: Prodotto con miglior rapporto performance-prezzo, perché il
cliente, quando ha un prodotto di grande qualità è sensibile ad alcuni aspetti e meno
ad altri. (imballaggio rispetto qualità).

Altra classificazione:
1. Prodotti in esclusiva: Marchio di proprietà dell’industria dato in esclusiva ad un
retailer
2. Generici: Senza marchio
3. Marchio di fantasia non riconoscibile: Non permettono l’identificazione del
distributore
4. Marchi di fantasia riconoscibili

2. Loyalty program:
Sistemi per premiare la loyalty, sistema più famoso è quello di Tesco, ha sviluppato dal
1995 il sistema di loyalty ma anche quello di Amazon (Prime). I retailer oggi puntano molto
sulla marca commerciale e sulla base clienti con i loyalty programs.

Sessione 4: Analisi degli attori del canale: l’acquirente


Comportamento? Coinvolgimento psicologico e processo di scelta? Sistema cognitivo?
In-store behavior (comportamento nel punto di vendita)?
Acquirente: Consumatore (come sceglie i servizi commerciali e il punto di vendita?) da una
parte e dall’altra parte l’acquirente (chi acquista, come sceglie prodotto/brand?). Prima cosa
da capire è che tra scelta di un punto di vendita e la scelta del prodotto ci sono molte
interrelazioni, ovvero, la prima è tra bisogno di servizi commerciali e bisogno di merci.
Tradizionalmente il primo step del processo è la percezione del bisogno; percepisco un
bisogno relativo ad un prodotto. Poi percezione di un bisogno relativo ad un punto di
vendita (bisogno di merce determina bisogno di servizi commerciali, che sono un bisogno
derivato). Oggi, sempre di più, durante la ricerca di informazioni (secondo step) avviene che,
ricercando informazioni, si hanno altri bisogni, un prodotto spinge al punto di vendita e
questo poi sollecita altri bisogni. Poi valutazione delle alternative e infine scelta del prodotto
e del punto di vendita. Scelta del punto di vendita condiziona set evocato e alternative tra
cui scegliere. Processo non finisce qui, continua con la valutazione post acquisto
(soddisfazione o meno), come terza valutazione importante, la valutazione influenza la
soddisfazione relativa al punto di vendita (contento del prodotto, contento del punto di
vendita). Se valutazione è positiva ho fedeltà al prodotto e al punto di vendita, questo
influenza il comportamento; se siete fedeli ad un prodotto cercate il punto di vendita che lo
abbia. Molto fedeli ad un punto vendita e non ad una marca (andate ad Esselunga e
scegliete quello che trovate, Esselunga condiziona e vice versa, nella situazione di doppia
fedeltà, in genere, vince la fedeltà sul punto vendita per la massimizzazione del tempo,
bisogna considerare se shopping expedition è multiproduct o monoproduct, nel primo caso
ha poca influenza e vice versa).

Processo d’acquisto è strutturato su percezione del bisogno, raccolta informazioni, sistema


valutativo. Cercheremo di capire questi 3 sistemi nel caso della scelta dei punti di vendita.
Ultimo punto, dimensione comportamentale del cliente nello store.
Processo d’acquisto e coinvolgimento:
Prima ricordiamo coinvolgimento psicologico; alto coinvolgimento Vs basso
coinvolgimento. Nel primo caso rischio percepito elevato, abbiamo bisogno di informazioni,
parto con la raccolta di informazioni e al retail le ricerco. Prodotti a basso coinvolgimento,
bisogni relativi alle merci, non ho bisogno di valutazione pre acquisto, cerco servizio di
prossimità, sulla base di questi scelgo il punto di vendita (prima scelgo questo e poi la
marca).
Le variabili che influenzano il coinvolgimento:
Da cosa dipende il coinvolgimento? Rischio percepito, rilevanza categoria, visibilità sociale,
di consumo e contesto di utilizzo.

Motivazioni di acquisto:
Prima cosa da capire, motivazioni, la ricerca manageriale aveva due obiettivi:
- Definire la natura delle motivazioni (perché persone vanno nei punti di vendita,
prossimità? competenza? o bisogni ricreativi?), questo mi permette di:
- Segmentare la domanda (alcuni vogliono stare nel punto di vendita, altri fare la
spesa rapidamente).
“Acquirenti ricreativi Vs acquirenti funzionali”
La classificazione delle motivazioni d’acquisto/bisogni di tipo ricreativo:
1. Bisogno di identificazione: Essere riconosciuti a livello individuale, assumere un
determinato status, lifestyle (vado lì, quindi me lo posso permettere).
2. Bisogno di affiliazione: Non basta essere identificati, vogliamo stare con gli altri, sta
emergendo problema della solitudine (per l’aumentare dell’età media), ricercare
contatti sociali, appartenere ad una comunità.
3. Bisogno di affermazione: Mercanteggiare, bisogno di conferme, acquisire stato di
superiorità grazie all’ottimizzazione della scelta.
4. Bisogno di rinvenire nuovi stimoli: Uscire dalla monotonia, dalla routine.
La classificazione delle motivazioni per la segmentazione della domanda
Orientamento allo shopping come fattore in grado di modellare il comportamento
dell’acquirente; avremo:
- Acquirenti funzionali: Che considerano l’acquisto in una prospettiva esclusivamente
funzionale
- Acquirenti ricreativi: Vivono il processo d’acquisto come esperienza coinvolgente e
grazie alla quale soddisfare una serie di bisogni di ordine psicologico e sociale.
La ricerca delle informazioni
Nella fase di raccolta delle informazioni forte interrelazione tra scelta del prodotto e scelta
del servizio commerciale; avremo 2 tipologie di modelli di ricerca delle informazioni:
a) Modelli di matrice economica:
- assunto di perfetta razionalità dell’acquirente;
- assunto di informazione come «bene che ha un costo» ottimizzazione delle fonti
informative;
b) Modelli di marketing: ricerca delle modalità seguite dagli acquirenti per reperire le
informazioni.
Modelli economici; Teoria della ricerca ottimale

Modelli di marketing:

Valutazione delle alternative, approccio economico Vs approccio marketing. Quando


andiamo in un punto di vendita i criteri cui l’acquirente ricorre nella valutazione delle
alternative possono essere ricondotti a caratteristiche dell’area commerciale, del punto
vendita e variabili personali.
a) Modelli economici: Come sceglie il punto di vendita un soggetto razionale?
Teoria del central place: Scelgo il punto di vendita più vicino.
Modello razionale, l’acquirente seleziona quel pdv che gli consente di minimizzare tutti i
costi connessi all’approvvigionamento.
Modelli gravitazionali: Trade off tra due variabili; attrazione del punto di vendita, attraction
di un punto di vendita è qualcosa che è funzione diretta del punto di vendita e funzione
inversa della distanza.
b) Modelli multi attributo: ipotesi che l’acquirente, attraverso la scelta di un pdv,
ricerchi la soddisfazione di un articolato insieme di bisogni.
Devo considerare ulteriori caratteristiche, nascono sistemi multi attributo (Fishbein)
applicato a punti di vendita.
Strategie non valutative, decisione semplice per evitare il processo valutativo
Strategie valutative, (top-down, ovvero valutazioni globali e bottom-up, ovvero valutazioni
basate su attributi specifici).
Le valutazioni bottom-up
Modelli compensativi o processi per punti vendita: valutazione simultanea da parte
dell’acquirente di tutti gli attributi determinanti → valutazioni negative compensate da
valutazioni positive:
- Modello di atteggiamento multi-attributo: somma della valutazione degli attributi del
pdv ognuno moltiplicato per l’importanza assegnata a ciascun attributo;
- Modello del punto vendita ideale: tanto più un negozio si avvicina all’ideale, tanto
maggiore è la probabilità di essere scelto
Modelli non compensativi o processi per attributi: l’acquirente individua uno specifico
attributo e confronta ciascuna alternativa disponibile sulla base di tale attributo → una
valutazione sfavorevole su una variabile influenza negativamente la valutazione globale:
- Modello congiuntivo: scelta delle insegne che contemporaneamente presentano i
diversi attributi a livelli superiori a quella soglia;
- Modello disgiuntivo: scelta dei pdv che presentano una o più caratteristiche con
punteggi superiori a certi livelli, senza curarsi degli altri attributi;
- Modello lessicografico: attributi classificati in ordine di importanza confronto pdv
sulla base dell’attributo dal peso più elevato.

Dimensione comportamentale del processo d’acquisto.


Comportamento nel punto di vendita del cliente. I clienti entrano con l’intenzione di
comprare un prodotto ed escono con un altro prodotto, si è cercato di capire il ruolo del
punto di vendita nell’influenzare il comportamento.
a) Atmosfera: La situazione che mi trovo a gestire nel punto di vendita,
i) Flussi di traffico (ricerca etnografica ha rilevato che le persone tendono a
seguirne il perimetro); circolazione, punti di attrazione, congestione e aree
poco trafficate
ii) Atmosfera: Modelli di psicologia comportamentale, se atmosfera è positiva
ho scontrini medi più elevati.
iii) Affollamento: Strategie per fronteggiare affollamento eccessivo e monitorare
il livello di insoddisfazione
b) In-store marketing
i) Display; Se usato in modo speculativo, genera effetti non positivi
sull’immagine del pdv. È uno degli strumenti di comunicazione più rilevanti a
disposizione delle imprese commerciali.
ii) Spazio espositivo
iii) Assortimento: Attrarre su punto di vendita con un prodotto in promozione ma
venderne il meno possibile, vendo ma pianifico stock o lo tengo in una zona
poco visibile perché ci perdo.
iv) Promozioni:
1) Effetto di brand switching e store switching
2) Incentivo all’acquisto di prodotti complementari non in promozione
v) Prezzo: La maggioranza degli acquirenti possiede soltanto un’idea
approssimativa del prezzo effettivamente pagato.
c) Attraction e compromise effect: Dovuti alla scarsa conoscenza della categoria da
parte dei clienti.
i) Compromise, prodotto a e b, primo qualità 10 e prezzo 10, b qualità 15 e
prezzo 15. Se aggiungo terza alternativa c qualità 20 e prezzo 20, venderò
molto di più il prodotto b.
ii) Attraction, se a e b come su compromise, si deve inserire c, qualità simile,
ma un poco inferiore (qualità 14 e prezzo 16), creo attraction in una parte
dell’assortimento, porto il cliente ad attrarre la sua attenzione in una parte
dell’assortimento.

Caso LEE:
Azienda parte di vf corporation, vende abbigliamento. Prodotto con posizionamento
tradizionale, simile a Brandler, vogliono renderlo più fashion, simile a Diesel.

14/01/2020

Sessione 7: Channel Design

Recap go to market:
Fasi ⇒ Analisi di macro, microambiente soprattutto distribuzione e acquirente.
Poi strategia ⇒ In termini distributivi chiamato Channel design (o disegno del canale
distributivo).
Segue la gestione ⇒ (da domani) Gestire le relazioni con i distributori (lavorando su alcune
variabili di natura sociale) focalizzandoci sul trade marketing, per cercare di condizionare il
comportamento dei distributori in modo che il loro messaggio si allinei al nostro, potendo,
in prospettiva, sviluppare delle partnership.
Ultimo step ⇒ Controllo

Oggi lavoreremo sul punto 2 (channel design). Introduzione necessaria però a capire le
complessità delle strategia distributive.
Evoluzione degli studi:
Nella maggior parte delle situazioni non saremo soli a gestire la distribuzione (adotteremo il
punto di vista di azienda industriale che deve distribuire, il problema è che non siamo soli,
dovremo interfacciarci alle imprese commerciali). Dovremo gestire non una relazione
distributiva ma n relazioni (con relazione intesa come diade composta da impresa e
distributore). Relazioni sono dette multi-faced, hanno n dimensioni. Dobbiamo guardare
contenuto della relazione e il processo messo in atto per gestirla.
- Contenuto, avremo alcuni elementi detti economici (ci sarà un contratto di
compravendita, che fa passare la proprietà da un’azienda all’altra). Non è però solo
economica, ci sono anche aspetti sociali nell’interfacciarsi con l’altra parte (fiducia,
conflitto di potere, etc.)
- Seconda dimensione, processo, riguarda l’ottica che adottiamo (collaborativa o
competitiva), spesso queste due dimensioni coesistono perché alcuni elementi sono
per natura competitiva (due aziende con obiettivi diversi), incrociando queste due
dimensioni otteniamo una matrice (multidimensionalità delle relazioni distributive).
La multidimensionalità delle relazioni distributive

1. Elemento più semplice; contenuto economico e competizione, quando imprese


commerciali sono nate sul mercato, studi si concentrarono su perché sono nati
(creare efficacia ed efficienza), siamo nella parte della relazione dettata dal contratto
di scambio (contenuto economico e competizione, perché una delle due parti avrà
condizioni migliori). Si studiò istituzionalismo, ovvero caratteristiche imprese della
distribuzione, modello dell’efficienza, modello SCP, focalizzandosi su funzioni
distributive ⇒ Tutte le attività che permettono al canale di funzionare. Canale che ci
permette di minimizzare i costi e garantire la soddisfazione del cliente. Focus poi su
aspetto competitivo, e come gestirlo evitando che questo diventi troppo eccessivo
(distruggerebbe l’efficienza).
2. SI è rimasti sull’aspetto competitivo, però si è capito che per migliorare l’efficacia
possiamo dare una dimensione di collaborazione (teoria dei giochi), studi sulla
relazione che si sono focalizzati su variabili che permettono la collaborazione
3. Seconda dimensione di contenuto (sociale), ciò che regola la relazione, approccio
sottostante ad essa. Variabile sociali sono legate a competizione (filone del
comportamentismo ⇒ come variabili sociali impattano sul canale)
4. Collaborazione e partnership.
Studi in ordine temporale della matrice (da dimensione economica fino a poi dimensione
sociale). All’inizio focus su efficienza e ora su efficacia.

Strategia distributiva:
Prima vedremo come sono cambiati i ruoli dell’impresa produttrice nel processo di go to
market.

Step 1: Imprese commerciali sono frammentate, situazione non più realistica in Europa.
Obiettivo principale è creare valore per il cliente finale.
Step 2: Da piccole e tante diventano poche e grandi. Contropartita, prima imprese piccole
avevano bisogno di brand importanti, ora faranno selezione molto più attenta. Problema
principale è che ora possono dire di no. Priorità quindi, non è solo trovare il miglior modo di
distribuire ma soprattutto convincere i distributori a comprarci (trade marketing).
Step 3: Distributori fanno marketing direttamente sfruttando la loro prossimità al cliente che
noi non abbiamo. Oltre a creare valore per le due tipologie di clienti dobbiamo creare valore
CON il trade. Identificare distributori migliori per creare delle partnership per soddisfare
cliente finale.
A seconda di azienda e mercato, non siamo per forza all’ultimo stadio.
Nel caso Lee, distribuzione frammentata (step 1), nessun distributore permette di sviluppare
partnership efficienti.

Le decisioni di architettura del canale


1. Estensione della rete di distribuzione;
2. Articolazione della struttura dei canali: organizzazione della loro dimensione
orizzontale e verticale;
3. Tipologia di integrazione del canale;
4. Gestione della relazione con il trade.

1. Prima cosa da fare, estensione della rete distributiva, detta anche scelta
sull’approccio distributivo. Due estremi che guardano all’estensione, sarà semplice per il
cliente trovarci o ci dovrà cercare?
- Vendita esclusiva: Massima difficoltà di trovarci, scelta di essere presenti in un solo
distributore, ci leghiamo con un contratto al distributore. La chiave è la definizione di
quest’area geografica (in un’area scarsamente popolata può essere una città o un
capoluogo, in un’area molto popolata un quartiere o una via addirittura)
- Vendita selettiva: Non in tutti i punti di vendita, ma solo in alcuni che hanno
determinate caratteristiche
- Vendita estensiva: Collocare il prodotto in tutti i possibili punti vendita

Come scegliamo? Dipende; da caratteristiche del bene e coinvolgimento psicologico


dell’acquirente. Questo influenza il bisogno di servizi commerciali (e di conseguenza
informativi)
Classificazione dei prodotti:
- Red, acquistati frequentemente, il cliente vuole prossimità, accorciare il processo di
acquisto ⇒ Distribuzione estensiva.
- Orange: Tutte le caratteristiche su valori medi
- Yellow,
acquistati meno
frequentemente,
maggior margine,
maggior richiesta
di servizi e di
conseguenza
l’acquirente avrà
un processo di
acquisto più
lungo per
valutare le
informazioni, avrò
bisogno di una distribuzione selettiva
Altre classificazioni in beni
convenience, shopping e
specialty. Convenience,
facilità d'acquisto, shopping
maggior ricerca e specialty
molto articolata. Imprese
commerciali classificate allo
stesso modo, negozi
convenience ⇒ Meno
scelta, rispondono ad un
bisogno di logistica. Negozi
shopping ⇒ Visti più volte.
Specialty store ⇒ Più
raramente.
Tra i negozi cambieranno assortimento.

Altra classificazione tra beni credence, experience e search.


Classificazione involvement.

2. Channel design: Le scelte di architettura dei canali


1. Canale diretto o indiretto? Nel primo caso, tra noi e il cliente non c’è nessuno (siamo
proprietari dei negozi) e non c’è un passaggio di compravendita.
Nel canale indiretto, tra noi e il cliente c’è almeno un passaggio (e almeno un distributore e
un passaggio di proprietà). Nel caso diretto non ci sarà trade marketing, per questo ci
focalizzeremo sul canale diretto. Due dimensioni del canale, verticale e orizzontale.
Verticale: Numero di stadi (breve vs lungo) e integrazione contrattuale.
Orizzontale: Sbocchi distributivi e intermediari commerciali per sbocco.
2. Mono-canale Vs multi-canale
Distribuzione diretta: donea per beni complessi, a elevato livello di coinvolgimento
psicologico e con un mercato finale concentrato o comunque disposto a raggiungere i punti
di approvvigionamento del prodotto.

Scelta tra i due canali? Guardiamo una serie di variabili:


- Variabili di mercato: (L’oreal in India ha creato i propri negozi per la situazione del
mercato, gli intermediari non avevano le caratteristiche ricercate) Per esempio,
comportamento, dimensione, densità, geografia.
- Tipo di prodotto: Ingombro, deperibilità, valore unitario, etc.
- Variabili dell’impresa: Capacità di creare il punto di vendita, distribuirlo ma anche
dimensioni, capacità finanziarie
- Variabili legate alle relazioni con i distributori, esistenza di questi, costo.
- Variabili ambientali: Ambiente economico, tecnologico, giuridico, competitivo.
- Comportamentali: Potere, conflitto, comunicazione
Canale diretto:
Implica forti costi fissi che dovrò sostenere sia che venda molto sia che venda poco
(maggior rischio), costi fissi nel diretto e variabili nell’indiretto.
Il vantaggio è il controllo dei mercati di sbocco, in modo da avere una penetrazione stabile
nel tempo; la gestione diretta di immagine e posizionamento e l’accumulazione di
conoscenza dall’osservazione diretta dei comportamenti.
Dimensione verticale (top-down): Ovvero la quantità di stadi di intermediazione (un solo
dettagliante? O anche un grossista?)

La relazione tra rischi economici e grado di controllo del mercato:


Infatti, maggiore lunghezza del canale, minore il livello di controllo del mercato. Tuttavia,
maggiore la lunghezza, minori anche i costi.

Dimensione orizzontale: …
“Prima scelta tra canale breve e lungo, canale lungo ha minimo due stadi, almeno
due passaggi di proprietà, tra noi e un grossista che a sua volta vende ad altre
aziende commerciali (almeno uno stadio all’ingrosso).

All’aumentare della lunghezza diminuisce il livello di rischio ma anche di controllo.

Dimensione verticale del canale indiretto;


integrazione contrattuale (accordi di distribuzione in esclusiva o contratti di
franchising) e integrazione proprietaria (impresa industriale controlla direttamente
funzione di intermediazione).
Integrazione contrattuale: Accordi di distribuzione in esclusiva o contratti di
franchising, con questo ho più controllo di un canale breve e sono sugli stessi livelli
di costo.
Arm’s length, quella con minor livello di controllo (non assenza), se ho potere come
variabile sociale posso comunque esercitare controllo. Può essere un canale
controllato (sbilanciamento di potere) o individualistico (bilanciamento”

Dimensione orizzontale:
Sbocchi distributivi: tipologia di impresa commerciale (intermediario) a livello distributivo
che andrò a scegliere (grossisti o distributori in base alla lunghezza del canale). Mi
interessano i clienti del grossista? Nel canale breve invece, capire quale intermediario
commerciale è più adatto. Settori con format sviluppati e standard, sceglierò il format
prioritario per me, alimentare per esempio (grandi, medi o di prossimità?). All’interno del
format dovrò dare una priorità sull’insegna (scegliere Coop piuttosto che Carrefour), guardo
livello di servizi commerciali e affinità al mio posizionamento per decidere. Per decidere;
dove si aspetta il cliente di trovare il mio prodotto?
Criteri per la selezione degli sbocchi:
- Tipo di servizio commerciale richiesto dal cliente.
- Abitudini di shopping del cliente.
- Tipo e natura del prodotto.
- Profilo della struttura distributiva.

Ultima scelta da fare riguarda la mono rispetto la multi canalità.


Si possono infatti generare diverse tipologie di conflitto, sia tra canali (orizzontale) che tra
stadi (verticale)
Come viene gestito dalle aziende il problema distributivo?
Politica Push Vs Pull Vs Twin. La prima spinge a valle, convinco i retailer che spingerà a
valle e consigliare il prodotto, la seconda spinge sul desiderio da parte del cliente, che lo
richiederà al distributore che a sua volta lo richiederà a noi. Storicamente competizione tra
le due aree (o approccio pull o push in base al direttore marketing), oggi nella maggior parte
delle aziende prevale un’ottica di tipo twin, che cerca di bilanciare le due aree. Se siamo
troppo push, rischiamo che i nostri clienti intermedi siano pieni di prodotti che non riescono
a vendere, generando insoddisfazione. Saranno più restii a comprare nelle occasioni
successiva. Nella situazione troppo pull, il cliente vuole il prodotto, va nel negozio ma non lo
trova. Il cliente è sommerso da messaggi da parte di molti brand e poi si stancherà di
cercarlo. Troppo pull ⇒ insoddisfazione del cliente che non ha trovato il prodotto ⇒
insoddisfazione del distributore che lo ha acquistato e poi non è riuscito a rivenderlo.
Sessione 8:Multicanalità

(E-commerce può essere sia diretto che indiretto) L’E-commerce ha portato ad alcune
difficoltà di gestione. Partiamo però prima dalla multicanalità, la facciamo per:
- raggiungere il livello di estensione desiderato ed aumentare i volumi di vendita, è
una scelta che si fa dopo la scelta di estensione della distribuzione (è un’ottima
opzione per aumentare i volumi).
- Più sono presente più aumenta l’awareness e la possibilità di entrare in contatto
con il cliente.
Fattori che hanno favorito la multicanalità: Caduta licenze (contesto legislativo) e
liberalizzazione dei canali, nascita di nuovi format distributivi (e-commerce ma anche
vending machines), imprese industriali anche hanno iniziato una distribuzione estensiva e
ricercare nuovi sbocchi. Lo sviluppo tecnologico fa si che anche la domanda si comporti in
ottica multicanale, se voglio rispondere ad un cliente multicanale devo rispondere in ottica
multicanale.
Tuttavia, se non adeguatamente gestita, può creare:
- Conflitti orizzontali e verticali
- Riduzione delle performance
- Peggioramento delle relazioni con il trade
- Riduzione del patrimonio di fiducia

Tipologie di multicanalità:

Matrice su due
dimensioni,
multicanalità a livello di
mercato, mercati
diversi e strategie
distributive diverse. A
livello gruppo è
multicanalità, che non
porta grandi problemi
(se in Europa
distribuisci in un modo
e in India in un altro
come L’Oreal), anche
se dipende dal prodotto (esempio alcolici, producono in Africa perché è troppo caro portare
i prodotti, problema se il grossista poi vende in Italia ha un prezzo inferiore a quello della
stessa Campari), alcune aziende evitano di entrare in certi mercati per evitare poi
concorrenza in altri mercati da parte di quei grossisti internazionali.
Forme di multicanalità:
- Monocanale, (vendo solo ai supermercati)
- Multisbocco, Tiene ferma dimensione verticale ma cambia gli sbocchi, L’Oreal che
vende solo sul canale indiretto breve ma in più sbocchi (farmacie, profumerie, etc.)
- Multicanale, vendo solo a boutique, però, alcune le apro io, altre le identifico in
distributori, etc. (stesso sbocco ma più canali)
- Multisbocco e multicanale

Più siamo multicanale più però aumenta il rischio di conflitto, ovvero:


“Una percezione di non riuscire a raggiungere i propri obiettivi per colpa di qualcun’altro,
l’altro canale è un ostacolo o una minaccia alla mia attività.”
Il conflitto non è per forza negativo, si è pensato che all’aumentare del conflitto
diminuissero le performance e viceversa. In realtà, quando conflitto aumenta aumento
performance, ci deve esserne un po’ (chiamato conflitto funzionale), poi c’è un livello
soglia, dopo il quale il conflitto fa ridurre le performance (conflitto disfunzionale).
Dobbiamo capire perché si può creare conflitto; 3 cause:
- Obiettivi diversi
- Aspettative di ruolo (un canale si sente più importante dell’altro e percepisce di
vendere meno)
- Divergenza nelle percezioni

Questo punto soglia comporta il comportamento del nostro cliente[...], problema se si


comporta da free rider (grazie all’online, andare in negozio, trovare il modello e poi
acquistarlo online). Più il cliente può fare free riding (stesso prodotto, presente in sbocchi
specializzati, che forniscono informazioni e in sbocchi despecializzati che praticano prezzi
inferiori) più aumenta insoddisfazione per il negozio, che spingerà un brand che non si può
acquistare online. Si deve quindi differenziare il prodotto, posso cambiare alcuni elementi
tecnologici o estetici, livello di servizio.

Strategie di gestione della multicanalità:

Classificando se
differenzio prodotto o
servizio (matrice).
Multicanalità, se ben
strutturata porta a
coopetition, posso
sfruttarla per avere
partnership.

Lee, multicanale,
approccio distributivo è a
metà tra estensivo ed
esclusivo, dobbiamo
renderlo più esclusivo,
essere meno accessibili e comunicare maggior qualità. Abbiamo canale diretto, 8 outlet, 2
franchising e un indiretto breve con 1384 negozi. Cambiare strategia distributiva, dovremmo
considerare dimensione verticale. Abbiamo un canale indiretto, collezioni hanno un ciclo di
vita di due mesi, si dovrà lavorare sul breve indiretto, non si può cambiare (anche se diretto
sarebbe ideale, ma il tempo è troppo poco). Nel caso Lee, lavorare su dimensione
orizzontale. Si devono sostituire i distributori indiretti, quindi database.
Chi gestiva le relazioni? Delle agenzie, ovvero dei facilitatori. Strategia di lungo periodo,
nella dimensione orizzontale 3-5 anni ⇒ Sbocchi ideali.
Step 2, strategia di breve periodo che passa per una segmentazione, 1384 negozi da
segmentare in base ai criteri definiti come sbocchi ideali, poi targeting.

Canale come sistema sociale: Sessione 9


Elementi relazionali; considerare dimensione sociale che può influire anche nella migliore
strategia. Dobbiamo applicare al canale le stesse logiche che applichiamo ad
un’organizzazione. Dobbiamo capire come questo sistema lavora.
Consideriamo canale breve: Ieri avevamo disegnato, oggi vedremo come farlo funzionare.
Importante aver chiaro che il sistema può funzionare meglio se non siamo noi a gestirlo,
quello che è meglio per il sistema può non essere quello che vogliamo noi (difficile per certe
aziende). Tutto questo sistema DEVE funzionare, perché a valle c’è l’acquirente che va
soddisfatto e chi ci guadagna così sono entrambe le aziende a monte, focus nel far
funzionare il canale. Ci interessa un approccio socio organizzativo con particolare
attenzione al comportamentismo, ovvero focalizzandoci sui comportamenti dei soggetti
appartenenti al canale distributivo.

Variabili chiave:
➔ Potere: Un modo per far funzionare il canale; si osserva nella diade ed è definito
come la capacità di un soggetto ad influenzare (e condizionare) l’attività di un altro
soggetto. Nel canale un soggetto ha potere quando può influenzare le politiche di
marketing di un altro soggetto. (per capire chi ha il potere, guardare a chi influenza il
marketing dell’altro). Come si può misurare? Su 3 dimensioni, ovvero:
◆ Dominio: (ricordiamo che è una relazione diadica ⇒ n distributori ed n
aziende produttrici) Quanti distributori a valle fanno quello che diciamo noi in
termini di marketing? È detto relation-specific. Ovvero, quante aziende a
monte vengono influenzate da quello che diciamo noi?
◆ Ampiezza: Ovvero, che cosa sono in grado di influenzare? Cosa posso fargli
fare? Per esempio è molto semplice condizionare dove voglio che venga
posizionato il prodotto, più difficile condizionare prezzo di sell-out perché
influisce sui margini (come anche politiche di acquisto/vendita, o possibilità
di dare materiale nel punto vendita/gestire una parte del negozio come se
fosse un monomarca). Si riferisce agli ambiti in cui è possibile far valere il
potere, è detta issue-specific.
◆ Peso: Quanto è forte questa capacità di influenza? Dico cosa fare ⇒ Lui può
accettare e io dedurre che ho potere ⇒ Ma, se un’altra azienda dice di fare
l’opposto? è una variabile detta firm specific
Queste 3 dimensioni ci permettono di capire se il potere è più o meno forte, ci
permette di fare uno screening; sono in una posizione di forza? Una volta che so
quanto è il mio potere posso cercare di condizionarlo (aumentarlo)

Determinanti del potere:


- Dipendenza: Avrò più potere se distributori sono dipendenti da me (hanno bisogno
dei miei prodotti). Un’azienda che usa la dipendenza è Apple (non è lei ad avere
bisogno dei distributori, ma più il contrario, ora sta facendo pagare ai distributori di
essere stata trattata male in passato) ⇒ Esempio di potere basato sulla dipendenza.
Linee guida su come esporre i prodotti (attività di marketing che Apple si aspetta),
se non rispetti Apple può non venderti poi i prodotti. In altri casi è dal lato
distributori, che spesso non hanno bisogno di altri prodotti (i loro punti di vendita
sono pieni di prodotti ⇒ Vedi caso Esselunga Vs Barilla)
- Fonti del potere: Come aumento il potere?
- Ricompensa: un premio a cambio di fare una determinata cosa (sconti o
premio di fine anno), chiamato potere di ricompensare
- Potere di coercizione: Togliere qualcosa, questi prime due fonti sono
chiamate fonti deboli⇒ Se qualcuno da maggior premio o punizione vi è
switch
- Potere da reputazione: Faccio quello che dici perché impresa è brava a fare
marketing, quindi miglior risultato di canale (è il primo dei poteri forti), la
costruisco lanciando prodotti di successo, politiche a basso investimento e
alto ritorno. Un’azienda così è Lavazza, che spesso rispetto che spingere
eccessivamente il prodotto suggeriva al distributore di fare modifiche contro
Lavazza ma negli interessi del distributore. I distributori ormai credono che se
Lavazza fa qualcosa è qualcosa di buono. Più forte di ricompense perché di
lungo termine; Lavazza mi fa crescere. Questa forma di potere è legata
anche a conoscenze e abilità
- Potere di legittimazione: È dato dal contratto, come franchising, dove
politica di marketing franchisee deve essere allineata a quella del franchisor.
- Potere di identificazione: Il più forte, legato a componente psicologica;
distributori si identificano con quel brand, distributori aspirano a diventarlo e
ascolta quello che viene detto dal brand quando accade (per essere in linea
con i valori; spesso capita con il green).

A cosa serve il potere?


A minimizzare il conflitto (che è una percezione di non riuscire a raggiungere i nostri obiettivi
per colpa dell’altro; uno stato derivante da una situazione in cui un componente del canale
reputa il comportamento di un altro soggetto tale da impedirgli di conseguire i propri
obiettivi o di svolgere in modo efficiente il proprio ruolo nel sistema distributivo; genera
insoddisfazione;, ieri era multicanale ora a livello verticale, quando il distributore dice non
riesco a fare qualcosa per colpa tua; non si può azzerare, c’è sempre competizione legata
alla negoziazione, non si può eliminare ma mantenerlo al livello funzionale).

Potere aiuta a smorzare queste differenti percezioni. Lo vediamo perché ci interessa come
coordinare il canale. Quello che vogliamo è far funzionare il sistema. Per capire come
coordinarlo, guardare a come si sviluppano le relazioni, c’è potere o no? Se si, situazione è
sbilanciata (detta “a coordinamento centralizzato”, ovvero quando una parte è più forte
dell’altra), quindi teoria ci dice che metodo migliore è che chi ha il potere lo usi (dica all’altro
cosa fare); questo ci permette di raggiungere l’obiettivo del canale che è efficienza (ti dico
cosa fare e lo fai, rapidamente) e efficacia.

Se non c’è potere, situazione è bilanciata (non è detto ci sia potere), in questo caso tutti e
due dobbiamo gestire il canale attraverso un coordinamento bilaterale (detto diffuso) basato
sulla collaborazione. Prima dobbiamo capire cosa vuol dire usare il potere come
meccanismo di coordinamento. Potere spesso visto come negativo, (ti dico cosa fare e lo
fai), però spesso semplifica il processo decisionale alla parte debole dicendogli cosa fare
per il bene del sistema. Spesso è stato usato in modo sbagliato, ti dico cosa fare perché io
abbia un vantaggio che a volte non si trasferiva sul distributore; quando questi sono
cresciuti hanno deciso di farla pagare ai produttori usando il meccanismo in modo
sbagliato, ma, se usi il potere solo per te non funzionerà, va fatto quello che è meglio per il
sistema.

“Coca cola, si comporta diversamente tra Horeca e GDO. Siamo Coca-Cola, stiamo
lavorando con un piccolo grossista della Liguria, che ha come caratteristica la stagionalità,
poca gente durante l’anno e tanta d’estate. Anno in cui Coca-Cola lancia acqua Lidia; acqua
da poco margine ai grossisti, poco margine e molto spazio; però è categoria più richiesta.
Account manager di Coca-Cola dice, mi comprerai x quantità perché la devo vendere, come
lo convinci? O mi compri x quantità di acqua o non ti do la Coca-Cola. Il distributore,
verifica se può farsi consegnare dalle altre marche con maggior frequenza, ha chiamato
tutte le sedi europee di Coca-Cola per sapere il prezzo; quando ha chiamato la Spagna, gli
hanno detto, ti facciamo un prezzo buono ma ti arrangi con la consegna. Distributore ha
chiamato aziende di logistica, e ha trovato un buon prezzo, poi ha fatto etichettare in
Romania ed evitato di comprare altri prodotti di Coca-Cola guadagnando in marginalità e
l’account è stato licenziato”
Esempio di usare negativamente il potere, quando usato male ci perdono tutti.

Potere come elemento di coordinamento:


Componente socio organizzativa ⇒ Dalla forza che una ha rispetto all’altra (di tipo coeso,
maggior potere l’industria) o solo componente di marketing, sistemi a connessione debole.
Aggiungere meccanismi di coordinamento nei canali distributivi.

“Francia ⇒ Brand di nicchia di pasticceria confezionata (Michel et Augustin), brand


sviluppato da degli studenti che per gioco hanno sviluppato questo brand, alternative a dolci
confezionati molto più sani e naturali. Registrano il marchio, fanno partnership, prodotto
entra nei bar e mense, gente li prova e piace, diventa logica pull con domanda alta, arriva
ordine di Carrefour; hanno dovuto aprire fabbriche e ora sono uno dei marchi locali più
famosi erodendo quote a brand famosi. è possibile fare un’ascesa dal basso anche con solo
componente di marketing.”

Se guardiamo le diadi, sempre più assetti bilanciati che sbilanciati. Si cambia da concetto di
scambio a concetto di gestione della relazione a 360 gradi, ha determinato cambio della
domanda, ruolo di distributore, offrono sempre più servizio, tecnologia e che imprese
commerciali facciano marketing. Focus su relazione e gestione in ottica collaborativa,
obiettivo è ridurre conflitto disfunzionale.
I meccanismi di coordinamento nei canali distributivi dipendono da elementi quantitativi
(ovvero l’estensione del mercato controllato direttamente dalle imprese e dalle dimensioni di
queste) e qualitativi, ovvero quanto una condiziona le preferenze del consumatore rispetto
alla controparte.
Le relazioni al giorno d’oggi, tendono ad essere bilanciate a causa di:
- Complessità della domanda tale da richiedere contributo dell’impresa commerciale.
- Rilevanza della dimensione immateriale nel binomio merce-servizio (spesso erogata
dall’impresa commerciale)
- Nuove tecnologie e dati raccolti da imprese commerciale (e conseguente potenziale
informativo)
- Competenze di marketing dell’impresa commerciale.
Tutto ciò ha fatto si che si passasse dallo scambio ad una relazione.

Ultima variabile sociale è la fiducia:


Collaborazione funziona con fiducia: Una percezione che si ha adesso su quello che sarà
fatto dall’altro in futuro, certezza che si comporterà nel modo migliore per me in situazioni di
rischio.
Più propriamente: Sintesi cognitiva che indica la convinzione circa la capacità della
controparte (trustee) di mantenere gli impegni assunti nei confronti di uno specifico trustor,
perché caratterizzata da alcuni elementi distintivi.
È un antecedente fondamentale, e una pre-condizione essenziale per attivare working
partnership di canale oltre che essere un riduttore dell’incertezza ambientale. Per questo, è
necessario un orientamento al ⇒ Trust management⇒ Ovvero ad una gestione del
management della fiducia, come aumentare il patrimonio di fiducia e come implementarlo
(implementato da Castaldo, maggior esperto di trust management). Fiducia è cosa
complessa, impermea tutte le relazioni, si può misurare (è stimata nel valore dell’azienda
nelle acquisizioni)

“Concorrenza verticale e orizzontale ⇒Quella orizzontale si svolge tra imprese appartenenti


al medesimo stadio di intermediazione; quella verticale invece, tra stadi di intermediazione
diversi”
Sessione 13: Trade Marketing
(SLIDE SESSIONE 13 )

Il trade marketing può essere definito come un approccio gestionale che si propone di
contribuire all’efficacia dell’azione di marketing aziendale attraverso il completo
soddisfacimento delle specifiche esigenze dei propri clienti commerciali. Consiste
nell’applicare una logica di creazione del valore alle imprese distributive. Come soddisfare il
distributore considerandolo un cliente? Se non lo soddisfiamo in un canale non
raggiungeremo il cliente finale. Si è passati da una logica iniziale di creazione di valore per il
cliente finale ad una di creazione di valore per cliente finale ma anche cliente intermedio.
Come lo facciamo? è un processo di 4 fasi (già viste, cambia quello che facciamo
all’interno):
➔ Analisi: Supporto decisioni fasi successive, focus parte analitica è sullo studio dei
clienti intermedi. Studieremo:
◆ Canali attuali e potenziali; valutando i comportamenti di acquisto
dell’acquirente, identificando canali migliori in termini di soddisfazione del
cliente finale, applica logica del marketing; non tutti i clienti sono uguali,
dovremo differenziare quello che proponiamo a vari distributori.
◆ Il settore commerciale; non tutti avranno la stessa rilevanza in termini di
distribuzione.
◆ La situazione competitiva e le performance distributive.
◆ I comportamenti di queste.
◆ I bisogni dei clienti intermedi e i criteri che questi hanno per inserire prodotti
nuovi. Per capire i più importanti per noi, capire quali più importanti per il
cliente. Cerchiamo di capire settore commerciale, trend che lo condizionano,
capire in cosa i clienti si differenziano in termini di bisogni.
➔ Strategia: L’obiettivo è definire le linee strategiche, ovvero, come nel marketing
strategico, segmentazione, targeting (non scegliere il solo gruppo prioritario ma a più
gruppi, non solo un target, per Lee, non è detto che quelli che acquistavano il
vecchio Lee siano quelli che acquisteranno il nuovo; si lavora o su scheda cliente o
su cluster), posizionamento (posizione che occupiamo nella mente del trade,
rapportarci il più possibile ad un ideale, il loro fornitore ideale e competitor in termini
di differenziazione, è la posizione sul trade e, di conseguenza, sui mercati finali)
➔ Fase gestionale: Azioni di trade marketing per il sell-in Vs Sell-out. Sell-in per
convincere i distributori a comprare il più possibile da noi (logica push) riempire i loro
magazzini e punti di vendita, per principio della proprietà cercheranno di portare a
valle i loro prodotti. Se li lasciamo solo rischiamo di generare insoddisfazione, quindi
servono azioni di sell-out, che hanno l’obiettivo di aiutare i distributori a vendere il
nostro prodotto (pull).
Principali attività di sell-in e sell-out:

Sell-in:
Come convincere a comprare il più possibile? Contratto di compravendita e aspetti
economici, azioni canvass (attività per stimolare gli acquisti in alcuni periodi),
promozioni al trade e innovazione (nuovi prodotti o packaging)
⇒ Aspetti economici:
- Prezzo di listino a cui è venduto il prodotto, prezzo del catalogo (non prezzo pagato
dai distributori che dipende da una serie di sconti);
- termini di pagamento (distributori vogliono pagare in più in là possibile);
- sconti (determinano vero prezzo di sell-in),
- possono essere incondizionati (senza motivo preciso, non molto business
oriented, vanno, anzi, evitati, per evitare il crearsi di conflitto).
- condizionati (per esempio ai termini di pagamento, alle quantità, alle
condizioni logistiche, all’acquisto della linea completa penetrando così molto
di più il distributore, sconti di fine fattura e premi a fine anno, collegati a
obiettivi di vendita);
- Contributi per iniziative promozionali o per l'inserimento di nuovi prodotti.
⇒ Azioni canvass: Ovvero, un’operazione promozionale fondata sulle condizioni
contrattuali. Strumento che si può usare quando c’è necessità e le vendite calano, offerte
con una certa periodicità, attenzione a che il distributore aspetti la promozione per ordinare
e che questi anticipi il sell-in. Questo permette loro di fare promozioni a valle.
⇒ Promozioni al trade: Come le raccolte punti al consumer, incentivi perché abbiano
voglia di vincere il premio, le applichiamo al buyer, possono essere continuative o una
tantum, gli diamo vantaggi di vario tipo, intangibili (club, Luxottica club star, per entrarci si
deve aver vinto una specie di concorso) o tangibili (soldi, formazione; attenzione all’aspetto
legislativo per evitare sia considerato corruzione se è alla persona rispetto che all’azienda),
certi o incerti.
⇒ Nuovi formati e packaging in assortimento: Offrire ai singoli distributori sistemi di
prodotto coerenti sotto il profilo delle esigenze espresse da ciascuno di essi e dai mercati a
cui essi si rivolgono.

Leve per il sell-out:


Gestione dello spazio espositivo, category management, comunicazione e promozione,
logistica.
⇒ Azioni di merchandising, materiale Pop che serve ad evidenziare un brand, sono stati
fatti dal brand e messi ed installati dal brand (fatti dal merchandiser); migliorano
l’esposizione del prodotto in-store.
⇒ Space allocation e category management:
Attività che dovrebbe fare il distributore, alcuni produttori però si propongono di farlo per il
distributore, quando faccio merchandising gestisco solo il mio brand, category
management per tutta la categoria; quali prodotti mettere nel punto vendita, come
presentarli in base ai criteri valutativi della domanda; fanno degli studi e testano la risposta
dei consumatori. Si espongono però al rischio che se Danone fa l’opportunista,
spingerebbe troppo i propri prodotti. Distributore si basa sui dati o da la categoria per 3
mesi ad un brand e poi per 3 mesi al competitor, quindi ognuno ha interesse nel gestirlo in
modo equilibrato per evitare conflitto disfunzionale. Alternativa è farlo insieme (molte
partnership in questo), mettere insieme competenze consumer e a livello acquisto; si può
fare solo allo stadio successivo della relazione.
Space allocation: Gestisco solo lo spazio (display), fa parte del category management.
Esempio vini, se faccio display li sposto solo, category management è riposizionare
completamente la category. Viene fatto attraverso software che ottimizzano lo spazio a
scaffale considerando ingombro, margini e rotazione.
Promozioni in-store: Campagne promozionali, anche esclusive, come sampling, premi
immediati e buoni sconto.
Comunicazione in-store: Come materiale POP, direct marketing ed eventi.
Logistica: Supportare l’efficienza della supply chain e dell’impresa commerciale con
consegne puntuali e frequenti, imballaggio standard (e ottimizzazione di magazzino),
programmazione delle consegne.
Co-advertising e Co-branding: Vedi Philadelphia e Milka, Nutella e Estathe; Tesco e
Disney.

➔ Controllo: Misurando risultati e valutando l’efficacia.

Sessione 16 23/11/2020

Partnership di canale

Contenuti:
- La base della partnership: la fiducia
- La sintesi tra dimensione competitiva e collaborativa
- ECR
- Esempi di partnership

Come fare una relazione di marketing congiunta? E passare da una relazione verticale ad
una orizzontale? Abbiamo n concorrenti che probabilmente distribuiscono a tutti i nostri
distributori; quando isoliamo un distributore con la partnership ⇒ creiamo un blocco,
questa azienda con questo distributore, anche se, sono due stadi diversi del canale, le
blocchiamo in un’entità più forte, leghiamo a noi questo distributore che abbiamo scelto,
creiamo un grande blocco fatto da nostra azienda e partner. Fondamentale la scelta del
distributore (migliore) e la rapidità, devo legarlo a me prima del concorrente, che se vuole
fare la stessa cosa lo farà con un altro distributore. Con una partnership cambiamo le
dinamiche competitive, abbiamo blocchi industria + distribuzione che competono tra loro.
Obiettivo partnership è legare a noi il distributore che riteniamo migliore. Partnership gioca
con relazioni bilanciate, obiettivo è che 1+1>2.
Può crearsi solo se viene a crearsi la fiducia, che ricordiamo:
“La fiducia è una sintesi cognitiva che indica la convinzione circa la capacità della
controparte (trustee) di mantenere gli impegni assunti nei confronti di uno specifico trustor,
perché caratterizzata da alcuni elementi distintivi (e.g., competenze, motivazioni, valori).
(Crediamo che la persona in cui riponiamo fiducia domani farà il meglio per noi in una
situazione in cui non è tenuta a farlo)
Nonché un antecedente fondamentale e pre-condizione essenziale per attivare working
partnership di canale e riduttore dell’incertezza ambientale.
Per cui è importante un orientamento al trust management⇒ Sviluppatosi negli anni ‘80 ”
Da cosa deriva la fiducia?
Gli antecedenti della fiducia nelle relazioni distributive
- abilità e competenze della controparte;
- passate esperienze relazionali con la medesima controparte;
- motivazioni che spingono il comportamento del soggetto;
- assenza di comportamenti opportunistici;
- comportamenti e caratteristiche personali del soggetto che gestisce la relazione (il
gatekeeper), certe persone sono più o meno propense a fidarsi;
- trasparenza della comunicazione;
- soddisfazione ricavata in occasione di passate interazioni con la controparte;
- comportamento collaborativo.

Le conseguenze della fiducia nelle relazioni distributive


- ridurre il grado di incertezza decisionale
- accrescere il grado di commitment dei soggetti coinvolti
- diminuire il livello di conflitto
- garantire una maggiore continuità della relazione
- Accrescere il livello delle vendite, del profitto o delle performance competitive dei
soggetti
Antecedenti e conseguenze della fiducia riassunte:

La fiducia non è stabile, si accumula nel tempo, se non abbiamo mai interagito, prima non
ci conoscevamo, la fiducia è pari a 0. Poi ci sono degli elementi cognitivi che aumentano la
fiducia, e poi elementi comportamentali che la aumentano (esperienza passata).
L’esperienza passata condiziona una serie di antecedenti cognitivi, l’obiettivo è costruire la
nostra immagine di fiducia perché il distributore accetti di lavorare con noi. Ogni punto di
contatto della nostra azienda con il distributore è un driver della fiducia (un account, il
category management al distributore, i nostri merchandiser, così come gli addetti alla
logistica). Prima cosa da fare è all’interno dell’azienda, massima attenzione a qualsiasi
attività facciamo con questo distributore, regola dice che un’esperienza negativa richiede 5
per essere annullata, quindi tutti lavoro in modo opportuno al relazionarsi con il partner.
Segnale dal top management⇒ chiunque entri in relazione deve fare la massima attenzione.
Antecedenti cognitivi, quello che succede influenza percezioni che l’altro avrà e che
andranno ad aumentare (diminuire) il suo livello di fiducia.
Per farle funzionare serve un approccio top-down dal management che decide di fare la
partnership e la deve trasferire al resto dell’azienda. Fiducia inter organizzativa (tra
organizzazioni) e tra singole persone (interpersonale), a livello di modello non distinguiamo
tra le due.
Soddisfazione = aspettative t0 ≤ esperienza t1; è un calcolo fatto ex-post t1.
Fedeltà è di due tipi:
Cognitiva: Volontà di lavorare con noi, intenzioni.
Comportamentale: Effettivamente passo all’azione.

DINAMICHE EVOLUTIVE:

Differenti stadi che ha la fiducia? Più arriviamo in alto più isoliamo il distributore. La prima
fiducia è basata sul calcolo (che al tempo 0 faccio) che l’esperienza sarà positiva. Posto che
la possibilità di essere insoddisfatti c’è, il nostro distributore, farà un calcolo, cosa succede
se mi fido e sarò soddisfatto? Stima risultati e perdita di potenziale nel caso in cui non vada
bene. La scelta di fidarsi avviene quando i risultati attesi sono maggiori delle perdite
eventuali. [...]
LA SINTESI TRA DIMENSIONE COMPETITIVA E COLLABORATIVA

Co-opetition
La capacità delle imprese nella gestione dei rapporti industria-distribuzione sta nell’abilità di
coniugare e rendere compatibili le due dimensioni relazionali:
competitiva e collaborativa. Non è che non ci sarà competizione sui margini, però la
relazione sarà collaborativa.
Questa è la sfida che attende tutti coloro che operano nel contesto dei canali distributivi in
qualsiasi settore di riferimento.

ECR -efficient consumer response


Quando azienda fanno partnership la risposta per il consumatore è positiva. L’aiuto per le
partnership è l’ECR, un’associazione no profit, un’associazione globale divisa in:
- 21 ECR nazionali che fanno parte di:
- ECR Europe –ECR South Africa –ECR Brasil –ECR Australasia –ECR Asia Pacific
- 1800 aziende membri
Mettono insieme i principali gruppi di industria e distribuzione con l’obiettivo di farli
collaborare.
Quasi tutti i grandi brand né sono associati, Italia unica nazione in cui esteso non solo al
grocery ma anche i brand associati ad Indicod, infatti in Italia si chiama Indicod-ECR.
Indicod è la società che gestisce il codice a barre. Su cosa lavorano? Fanno assemblee
annuali e trovano a queste assemblee dei problemi chiave all’interno del canale e fanno
formazione su soluzioni sviluppate, lavorano su gruppi di lavoro che si focalizzano su 4
dimensioni:

AREE DI FOCALIZZAZIONE

Cosa ci serve per gestire la domanda? Creare valore in modo collaborativo ottimizzando
assortimenti, promozioni e lancio di nuovi prodotti. Si lavora sull’offerta che do ai clienti,
perché questa arrivi al punto vendita lavoriamo sulla logistica, poi lavoriamo sugli elementi
di tecnologia (integrators) che ci permettono di lavorare (componente marketing +
logistica⇒ dipende da tecnologia ⇒ funziona meglio con linguaggio comune).

Alcuni progetti ECR: ECR ha inventato il category management. Ha identificato un


problema, il cliente di fronte lo scaffale è perso, troppa offerta, merchandising non curato,
soluzione ⇒ dovremmo gestire meglio le categorie, industria sa cosa vuole il cliente e
distribuzione sa come compra. Si lancia il tema, serve gente che lavori nel category ⇒ Si
crea un gruppo di rappresentanza mutua (gdo e industria), capire come si fa e quali sono gli
errori comuni, problemi del consumatore? Come dare una soluzione insieme? Output è
manuale di category management.
Progetto 2, come ottimizzare lanci nuovi prodotti. Cosa sono innovazioni vere e cosa
innovazioni incrementali (che distributore già ha), in modo da calcolare contributi di
referenziamento.
PARTNERSHIP:
In diversi settori.

Sessione 19
L’analisi delle performance distributive

Contenuti:
- La valutazione delle performance distributive
- L’analisi della quota di mercato
- L’interpretazione dei dati
- L’approccio network-based
- Il conto economico di canale

L’ANALISI DELLE PERFORMANCE DISTRIBUTIVE


Analisi su tutti gli indicatori di performance distributive; quota di mercato, network e conto
economico di canale.

La valutazione delle performance


- Fase centrale della gestione dei canali ⇒ porta a riconfermare o a rivalutare le
decisioni prese.
- Il problema principale in questa fase è l’individuazione di indicatori validi che
rappresentino in modo esaustivo i risultati competitivi a livello distributivo.
⇒ varie tipologie di indicatori
Ci permette di capire se quello che abbiamo fatto porta risultati, o confermiamo o
individuiamo dove fare dei cambiamenti. In alcuni settori abbiamo molti più dati di quello
che ci servirebbe, dobbiamo usare gli indicatori migliori per capire cosa correggere.
Le principali categorie di indicatori di performance
Possono essere divisi in 3 gruppi:
1. Misurazione delle performance distributive (e.g. quota di mercato); network analysis
e quota di mercato. Quanto e come copriamo il mercato con la nostra distribuzione.
2. Misurazione delle risorse customer based (e.g. customer loyalty); i nostri clienti sono
i distributori - clienti intermedi, ci sono tutti gli indicatori che ci permettono di
dirigere le nostre attività, soprattutto in termini di fiducia, etc. Possiamo fare studi
consumer ma anche sulla distribuzione, per capire se indicatori funzionano e se no,
cosa crea problemi nella nostra offerta ai distributori, quindi guardiamo le altre due
tipologie di indicatori. Qualitativo ⇒ ... Quantitativo ⇒ Soddisfazione e fedeltà.
3. Misurazione delle performance economiche (e.g. conto economico di cliente -
canale); si focalizza su risultati economici ed indicatori di bilancio.

L’ANALISI DELLA QUOTA DI MERCATO


La quota di mercato assoluta
L’ammontare delle vendite realizzato dall’impresa i-esima (Qi) espresso in percentuale sulle
vendite complessive rilevate nel suo mercato di riferimento (Q):
𝑄 𝐼
𝑄𝑀 𝐼
= 𝑄
- I termini del rapporto possono essere espressi sia a volume (unità, tonnellate, metri,
litri ecc.) sia a valore (unità di misura monetaria).
ESERCITAZIONE ALFATRON
Come scegliamo il mercato? (B) perché è più attrattivo (più grande).
Per Alfatron, il mercato A è poco performante, la copertura ponderata è buona ma la
penetrazione è bassa; nel mercato B la situazione è opposta.
Nel mercato B, scomponiamo ⇒ in modo da vedere dimensione e copertura numerica: N e
n. Dimensione media nel mercato B ⇒ Tot Acsi / ni (ovvero 175k /15k = 11,67% VS 9%) ;
Copertura numerica ⇒ n/N (15k/25k = 60% VS 80%)
Altri è il problema nel mercato B (probabilmente si tratta di private label)
[Copertura ponderata= peso medio x copertura numerica x grado di dispersione]

La quota di mercato relativa


Rapporto fra la quota di mercato dell'impresa i-esima e quella del principale (dei principali)
concorrente.
Il denominatore del rapporto può corrispondere:
- alle vendite della maggiore impresa operante nel mercato (si calcola così la quota
rispetto al leader dominante);
- alle vendite dei primi due tre concorrenti principali (quota di mercato relativa ai
leader);
- al concorrente più"vicino" in termini di dimensioni.
Offre utili indicazioni sulla distanza competitiva dell'impresa rispetto al leader di mercato o
al più diretto concorrente dell'impresa.

La rilevazione dei dati per la determinazione della quota di mercato


La scomposizione della quota di mercato (1/3)
La quota di mercato può essere espressa come prodotto di due indici:
- grado di penetrazione (quota trattanti);
- grado di copertura ponderata (o ponderata).
- La scomposizione della quota di mercato è operata introducendo un ulteriore fattore
denominato Acsi= Tutti gli acquisti totali della categoria di prodotto effettuati dalla
clientela servita dall’azienda i-esima.
- Si procede poi alle seguenti operazioni:
- Si moltiplica il rapporto che rappresenta la quota di mercato Qi/Q per il
rapporto AcsiI/Acsi

L’indice di penetrazione
- Esprime la percentuale delle vendite della marca i-esima in rapporto alle quantità
totali della categoria di prodotto acquistate dai clienti dell’impresa i-esima
(distributori o consumatori finali)
- Tale indice rappresenta, in sostanza, un ulteriore modo di esprimere la quota di
mercato, considerando come mercato di riferimento solo quello costituito dalle
vendite effettuate dalla propria clientela.

L’indice di copertura ponderata


- Espresso come rapporto fra gli acquisti totali del genere di prodotto effettuati dalla
clientela servita dall'azienda i esima e le vendite totali del genere di prodotto nel
mercato di riferimento.
- Tale indice rappresenta in sostanza l'entità, in termini di consumi o di fatturato
relativi al genere di prodotto, della clientela dell'azienda i-esima.

L’indice di copertura ponderata: scomposizione (1/3)


- La ponderata è ulteriormente scomponibile, introducendo due nuovi fattori:
- ni = numero dei clienti serviti dall'azienda i-esima;
- N = numero totale di consumatori o di punti di vendita che acquistano o
trattano il genere di prodotto in questione.
- Moltiplicando il numeratore e il denominatore del rapporto Acsi/Q rispettivamente
per le quantità ni/ni e N/N, e operando alcune semplici operazioni algebriche, si ha:
L’indice di copertura ponderata: scomposizione (3/3)
Acsi/ni = peso medio della clientela;
ni/N = copertura numerica % di clienti effettivi dell'azienda sul totale dei clienti potenziali;
N/Q = indice di dispersione il reciproco della dimensione media della clientela ed esprime,
in sostanza, l'inverso della concentrazione della clientela.

L’INTERPRETAZIONE DEI DATI


1. L’ANALISI DELLA DISTRIBUZIONE
L’analisi della situazione complessiva

1. L’ANALISI DELLA DISTRIBUZIONE L’analisi del portafoglio distributori (2/2)


Analisi della situazione di ciascun cliente o gruppi significativi di clienti
1. matrice di portafoglio clienti
1. L’ANALISI DELLA DISTRIBUZIONE: L’analisi del portafoglio distributori (2/2)
2. matrice di dipendenza

1. L’ANALISI DELLA DISTRIBUZIONE L’analisi dell’atteggiamento dei distributori


Utile alla comprensione di risultati non positivi/soddisfacenti:
- Customer satisfaction
- Fiducia
2. L’ANALISI DEI CONSUMATORI
La causa delle performance negative può essere legata ai comportamenti dei
consumatori finali!
⇒ Stesse analisi a livello consumer

I limiti della quota di mercato


- Analisi relativa a valori medi scomposizione per segmenti di mercato (vale il limite)
- Non coglie le interdipendenze competitive tra i vari livelli del canale
- Non permette di cogliere l’intervento della distribuzione sulle dinamiche competitive
dei produttori
L’APPROCCIO NETWORK BASED
- Basato sull’analisi delle interazioni competitive;
- Si ha una interazione competitiva tra una diade di marche ogni volta che entrambe
sono presenti nello stesso pdv
Si fa con un software, si studia in una matrice le interazioni competitive; chi è in
competizione con chi. Interazione competitiva ⇒ Quando due marche sono sullo stesso
negozio.

Rappresentazione strutturale delle interazioni competitive


MATRICE DELLE ADIACENZE
Contiene le frequenze con cui si manifestano le interdipendenze

Nella prima matrice non ci sono interdipendenze, succede quando tutte le marche hanno
una distribuzione esclusiva. Nella seconda, nei tre negozi ci sono sempre le 3 marche, tutti
dappertutto, massima estensione.

Analisi delle relazioni del network


Indici che misurano:
1. La struttura del network nel suo complesso
2. La posizione dei singoli attori

1. La struttura del network nel complesso


INDICE DI DENSITÀ’ = % di connessioni dei singoli soggetti sul totale delle connessioni
possibili attivabili nel network
𝑍 𝑖𝑗𝑘
𝑂< 2 <1
𝑁 −𝑁
⇒ Misura del grado di intensità delle interdipendenze competitive
Hp. No possibili relazioni riflessive

2. La posizione dei singoli nel network


INDICE DI CENTRALITÀ = numero totale di interdipendenze in cui è coinvolto il singolo

Totale delle colonne delle matrici delle interdipendenze

2. La posizione dei singoli nel network


QUOTA DI MKT - INDICE DI CENTRALITÀ
⇒ Indica la capacità di generare vendite della marca
- > 0 forza competitiva della marca
(volumi > alla % di interazioni in cui essa è coinvolta)
- < 0 debolezza competitiva della marca
(forza competitiva inferiore al n° di confronti competitivi in cui essa è coinvolta)

2. La posizione dei singoli nel network


Analisi delle direzioni delle singole relazioni competitive
- INDICE DI ASSORBIMENTO (INDEGREE): Forza competitiva subita dalla marca
- INDICE DI CESSIONE (OUTDEGREE): Forza competitiva generata dalla marca
- OUTDEGREETOT – INDEGREETOT: Forza/debolezza competitiva tot. della marca

Quota di mercato come indicatore della pressione competitiva esercitata dalla singola
marca

L’analisi dei raggruppamenti competitivi (1/2)


CLUSTER ANALYSIS: Segmentazione dei competitors in gruppi composti da imprese con la
stessa struttura di interdipendenze competitive

Max omogeneità interna


L’analisi dei raggruppamenti competitivi (2/2)
MULTIDIMENSIONAL SCALING
Analisi innovativa dei raggruppamenti strategici ⇒ Mappa delle interdipendenze competitive

Similarità e distanze euclidee

IL CONTO ECONOMICO DI CLIENTE - CANALE

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