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1 LA STRADA PER IL CATAI – (A CURA DI) ALVISE ANDREOSE DAI MERCANTI

SOGDIANI A MARCO POLO

A causa della mancanza di testimonianze dirette nelle fonti cinesi, si è sempre discusso se Marco
Polo si sia effettivamente recato in Cina. Gli studiosi cinesi concordano con la conclusione del
professor Zhijiu che, nel 1941, scoprì che i nomi di tre delegati citati in una sezione del “Grande
compendio per governare il mondo” sono identici a quelli registrati dal veneziano: questo dimostra
il suo effettivo viaggio in Cina. Marco Polo si recò in Cina via terra nei primi anni della dinastia
Yuan, nella seconda metà del XIII secolo. Testimonianze di provenienza sia orientale che
occidentale, mostrano che i commercianti sogdiani (la Sogdiana è una regione storica dell’Asia
Centrale) furono i principali protagonisti degli scambi commerciali per via di terra dal III all’VIII
secolo. I mercanti sogdiani e i loro successori, gli uiguri (etnia di religione islamica che vive nel
nord-ovest della Cina), i musulmani e i semu (vari popoli provenienti dall’Asia centrale e
occidentale), continuarono a viaggiare lungo la Via della seta nel periodo compreso tra la dinastia
Tang e quella Yuan. I percorsi dei mercanti sogdiani furono molto ampi ed essi utilizzarono le
piccole e grandi città lungo la Via della seta come trampolini di lancio per fare affari a lunga
distanza: al termine dell’epoca delle Dinastie del Nord (seconda metà del VI secolo), alcuni capi
sogdiani conducevano un’esistenza ricca e agiata in Cina. Un’altra caratteristica distintiva di questi
mercanti era l’organizzazione di carovane che viaggiavano da una regione all’altra per fare affari:
erano generalmente composte da più di duecento persone e guidate dal capo-carovana. I mercanti
sogdiani fondavano delle colonie nel corso del viaggio: alcuni vi si fermavano, altri continuavano a
spostarsi. Il costante allestimento di carovane fece sì che lungo la Via della seta si costituisse una
rete di colonie sogdiane, che servivano come centri per le merci e ostelli per i mercanti: essi
controllavano il commercio sulla Via della seta in questo modo. Allo stesso modo, anche il viaggio
di Marco Polo verso la Cina fu rischioso, anche i Polo erano mercanti, ma la comitiva di cui
facevano parte era qualcosa di più di un semplice gruppo di mercanti: essi avevano anche una
missione diplomatica, affidata loro dal Papa. Dopo il suo arrivo in Cina, Marco ci restò per
diciassette anni e, se non fosse stato per la delegazione come accompagnatore della principessa
Kokacin, probabilmente sarebbe rimasto in Oriente: è un caso analogo a quello dei capi sogdiani
che, una volta sistemati in Cina, vi conducevano una vita agiata senza tornare nella propria patria. È
stato spesso sostenuto che la Via della seta sarebbe stata aperta sotto dinastie unite e prospere,
mentre sarebbe stata interrotta quando il Nord-ovest della Cina era in tumulto. Si crede che
l’occupazione tibetana del Corridoio di Hexi e delle regioni occidentali avesse reso impraticabile
tale collegamento stradale. Ma a un attento esame dei manoscritti di fonti letterarie provenienti dalla
Cina, si notano prove di scambi tra Oriente e Occidente attraverso il Corridoio di Hexi durante il
tardo periodo Tang, quello delle Cinque Dinastie e l’epoca Song (IX-X secoli): è stato dimostrato,
quindi, che la comunicazione lungo la Via della seta non fu mai sospesa in questi anni. Piccole
potenze indipendenti lungo la Via della seta non interruppero le comunicazioni, e soprattutto non
ostacolarono lo spostamento di monaci e mercanti: questi, anzi, funsero spesso da messaggeri tra
diverse potenze. I rapporti diplomatici tra il Nord-ovest della Cina e la Cina vera e propria non
possono, tuttavia, essere considerati criteri per valutare la situazione della Via della seta. Gli inviati
ufficiali non erano gli unici viaggiatori, poiché transitavano anche monaci e mercanti, e, inoltre,
sono da considerare anche i beni materiali e immateriali che la 2 attraversarono: seta, giada, spezie
(qualsiasi tipo di merce) e idee passavano tutte dalla Via della seta.

VIAGGIATORI E TESTI TRA EUROPA ED ESTREMO ORIENTE AL TEMPO DI MARCO


POLO

Non è possibile stabilire quanti viaggiatori europei, approfittando della stabilità politica che si era
creata con la pax mongolica, intrapresero il viaggio in Oriente, giungendo fino in Mongolia o in
Cina. Certo, se da un punto di vista diplomatico e commerciale la crisi della dinastia degli Yuan e
l’ascesa della dinastia Ming arrestò questa fase di relazioni, a livello culturale gli effetti della pax si
fecero sentire in Europa per tutto il secolo XIV e fino al XV. Le informazioni trasmesse dai
viaggiatori contribuirono progressivamente a delineare una nuova immagine dell’Estremo Oriente,
del tutto diversa da quella che la cultura occidentale aveva ereditato dall’antichità. Il contesto
storico in cui si ebbe questo ricco scambio tra Oriente e Occidente è segnato dalla fondazione
dell’Impero dei Mongoli, che comportò l’eliminazione delle barriere politiche ed economiche, e
consentì ad ambasciatori, missionari e mercanti di raggiungere l’Estremo Oriente con facilità. I
viaggiatori che lasciarono memoria delle loro esperienze mancavano di uno specifico genere
testuale per dar conto in modo adeguato dei mirabilia di cui erano stati testimoni e delle avventure
che avevano vissuto: questi testi presentavano una compresenza di una parte narrativa, quindi del
viaggio vero e proprio, e di una parte informativa, di carattere geografico ed etnografico. L’epistola
fu il primo strumento che i missionari utilizzarono per informare l’Europa della loro esperienza, ma
si rivelò poco idoneo a raggiungere un pubblico più ampio. I primi scritti a veicolare informazioni
sull’Asia furono le lettere del domenicano Giuliano d’Ungheria, che durante due viaggi negli Urali
meridionali e in Russia aveva raccolto notizie sull’imminente invasione tartara. La prima opera
dotata di organicità e di una specifica finalità testuale è la Historia Mongalorum del francescano
Giovanni da Pian del Carpine: si tratta di un testo che riporta un’esperienza di viaggio attraverso
l’Europa orientale e l’Asia centrale, che culminò con l’incontro con Güyük (signore dei Mongoli)
presso Karakorum nel 1246. L’impresa era dettata innanzitutto da motivazioni diplomatiche: il papa
Innocenzo IV aveva incaricato Giovanni da Pian del Carpine e Benedetto Polono di consegnare una
lettera (prodotta dal Concilio di Lione 1345) con cui invitava il sovrano mongolo a cessare le
persecuzioni contro la cristianità e gli proponeva un trattato di pace. Ma non meno importanti erano
le ragioni esplorative: si trattava di raccogliere informazioni su quell’ignoto popolo guerriero che
aveva seminato distruzione in Russia, Ucraina, Polonia, Ungheria, Balcani e non solo. uno degli
obiettivi dei delegati papali era quello di essere d’aiuto ai cristiani o potergli riferire le intenzioni
dei Tartari, affinché non si trovassero impreparati in caso di un improvviso attacco. Non stupisce,
quindi, che l’opera che Giovanni compose nel 1247 si presenti per due terzi come un trattato
storico-etnografico, con lo scopo di fornire un’immagine dettagliata di dati elementi della civiltà
mongola. La parte informativa dell’Historia si articola in due macrosezioni: nella prima si
descrivono i caratteri dei Mongoli sotto vari aspetti, segue poi una parte di argomento storico
militare, e si conclude con un lungo capitolo autobiografico, dove l’autore descrive le esperienze
vissute. Il tentativo di unire lo schema del trattato (capitoli I-VIII) con quello dell’itinerario
(capitolo IX), sembra essere il riflesso di un processo che si è articolato in due fasi distinte: è lo
stesso capitolo IX a offrirci informazioni a tal proposito. La circolazione dell’opera cominciò prima
che la versione finale fosse redatta e, nella redazione finale, il racconto diverrà più ricco e corretto.
Tale duplice processo è rispecchiato dalla tradizione manoscritta dell’Historia: dei dodici
manoscritti otto tramandano un testo più breve e inesatto, tre portano 5

3. TIGRI In tutti gli altri sedici passaggi sui “leoni” che riguardano la Cina, Marco non si riferisce
in realtà a leoni, ma a tigri. 3.1 CLASSIFICAZIONE DEI BRANI DI MARCO POLO SULLE
TIGRI I passi in cui Marco Polo parla delle tigri in Cina si classificano in tre tipologie principali:
raffigurazioni di motivi e significati cosmologici, magici, artistici e politici collegati alle tigri;
presenza artificiosa di tigri; manifestazioni naturali di tigri.

3.2 RAFFIGURAZIONI DI MOTIVI E SIGNIFICATI COSMOLOGICI, MAGICI, ARTISTICI E


POLITICI COLLEGATI ALLE TIGRI Questa categoria di descrizioni di tigri si può suddividere in
cinque sottotipi: o La tigre come animale dello zodiaco. o Le tigri raffigurate sui tatuaggi degli
indigeni della provincia di Annam: oltre a costituire un’espressione di eleganza, la ragione per cui si
tatuavano tigri derivava da esperienze con questi animali. o Le tigri raffigurati in dipinti sui muri
del Palazzo del Gran Khan a Khanbalik. o Il disegno della tigre sulle tavolette dell’autorità. o La
tenda in pelli di tigre della spedizione di caccia del Gran Khan.
3.3 PRESENZA ARTIFICIOSA DI TIGRI Questa categoria di descrizioni di tigri si concentra sul
tema della caccia: per le battute di caccia del Gran Khan, sicuramente tra i felini furono utilizzate le
tigri. Marco Polo notò anche che le tigri venivano trasportate in un carro coperto e ciascuna di esse
era accompagnata da un cane di piccola taglia, che forse doveva essere di supporto alla tigre nella
caccia o era addestrato a ricondurre la tigre al padrone. La tigre era il re delle centinaia di bestie che
si trovavano in natura in Cina: un’immagine che simboleggiava la supremazia del Gran Khan sulle
centinaia di nazioni dominate. La tigre rappresenta la potente autorità politica e la feroce forza
militare. 3.4 PRESENZE NATURALI DI TIGRI La Cina è senza dubbio terra di tigri: la maggior
parte delle testimonianze storiche proviene dalla Cina centrale, centrorientale e sudorientale. 4.
ALCUNE CONCLUSIONI PROVVISORIE Il resoconto che Marco Polo fa delle tigri è neutro,
oggettivo, realistico e corretto: per lui, questi animali costituiscono un fenomeno naturale che deve
essere descritto con una certa precisione. Va sottolineato il fatto che la sua opera contiene
informazioni uniche che non si troveranno in nessun altro testo, come i metodi per allontanare le
tigri col rumore delle canne di bambù incendiate o l’utilizzo delle tigri per la caccia. Un altro
elemento importante da sottolineare è che Marco Polo fu il primo europeo a fornire dettagli rilevanti
sul significato naturale, politico, economico e culturale delle tigri asiatiche. CONFINI. NOTE
SULLA RELAZIONE FRA STORIA E DESCRIZIONE GEOGRAFICA NEL DEVISEMENT
DOU MONDE La scrittura propone un’enciclopedia geografica, la formula adottata dalla rubrica
della maggior parte dei capitoli descrittivi. L’enciclopedia deve la sua forma discorsiva a una
retorica articolata in 6 tre passaggi: nominare e classificare i luoghi del mondo, descriverli, e, infine,
organizzarli in una struttura che da una parte utilizza i principi della dispositio e dall’altra funziona
come manifestazione degli schemi di organizzazione dello spazio che governano l’esperienza di
Polo. La versione latina redatta dal domenicano Francesco Pipino nel primo ventennio del Trecento
divide il testo in tre libri: il primo dedicato alle regioni asiatiche tra Costantinopoli e la Mongolia, il
secondo all’impero cinese di Kubilai, il terzo alle Indie. Questa divisione è giustificata nel sistema
di transizioni con cui lo scrittore annuncia la conclusione di un tema e l’inizio del successivo:
Pipino, quindi, divide in tre parti la descrizione geografica dell’Asia perché riconosce l’importanza
di queste due “cerniere” di passaggio. È importante considerare che solo la seconda “cerniera”
coincide effettivamente con un dato geografico, ovvero il confine tra terra e mare; la prima, invece,
è fissata dalla storia perché riguarda le grandi imprese di Kubilai. La partizione interna del
Devisement suggerisce che l’interesse geografico di Marco Polo riguardi più i territori (cioè come
luoghi che gli uomini acquistano e trasformano) che i luoghi in sé e per sé, più la descrizione delle
relazioni tra uomini che la definizione di una geografia fisica. Disegnare una mappa richiede
innanzitutto nominare i luoghi e nel Devisement sono riconoscibili due tipi di nomi: quelli relativi a
luoghi noti, e quelli relativi a luoghi dell’Asia fino ad allora incogniti. La forma grafica dei nomi
del secondo gruppo dipende dall’esperienza diretta di Polo, attinta da informatori locali:
l’esperienza diretta sembra essere sempre la fonte privilegiata, anche quando la tradizione culturale
fornisce un’alternativa. Marco deve fare anche i conti con i limiti della propria competenza
linguistica, soprattutto con i toponimi cinesi. Le parole di Marco definiscono un paesaggio, che non
si compone di cose ma è soltanto una maniera di vedere e rappresentare le cose del mondo: il
paesaggio è l’immagine mentale di un luogo. In generale, nel Devisement l’indicazione di luoghi
naturali è poco frequente e la descrizione serve solo a indicare la reazione che a loro contestano gli
esseri umani. La descrizione del deserto di Lop, ad esempio, si concentra più sulla difficoltà
dell’attraversamento che sulla natura dei luoghi. E ancora, del fiume Karamoran si enfatizzano
larghezza e profondità solo in funzione della descrizione della grande quantità di navi imperiali. Si
può dire, quindi, che la natura per Marco è un elemento indifferente, perché intermedio tra un
territorio e un altro. Allo stesso modo, la descrizione delle città insiste meno sulle loro
caratteristiche corografiche (corografia: studio di una regione sotto il punto di vista fisico e
antropico con la ricerca dei rapporti di interdipendenza tra i fatti osservati) che sulle qualità della
loro antropizzazione: lo sguardo di Marco si sofferma per lo più sulle attività degli abitanti, sulle
pratiche funerarie, sui prodotti. Nella rappresentazione prende forma una mappa dell’Asia pensata
da Marco Polo in termini lineari: essa è il promemoria della successione delle tappe, il tracciato di
un percorso, è un’immagine lineare dove convivono il tempo e lo spazio, la geografia e la storia.
Questa mappa, anche se statica, presuppone un’idea narrativa, è concepita in funzione di un
itinerario. I COLLEGAMENTI MARITTIMI TRA LA CINA E IL GOLFO PERSICO AL TEMPO
DI MARCO POLO Marco fu uno dei tanti che, nel XIII secolo, navigarono tra la Cina e il Golfo
Persico, viaggiatori che possono essere divisi in tre categorie: inviati ufficiali, mercanti e immigrati,
missionari cattolici. 7 1. INVIATI UFFICIALI Nel 1291, l’alto funzionario e potente mercante Abu
Ali fuggì dal suo paese a causa di conflitti politici e arrivò in Cina. Dopo che i Mongoli ebbero
sottomesso i Song meridionali, Abu Ali inviò ogni anno doni preziosi al governatore Yuan. Quando
gli ambasciatori della dinastia Yuan e i due principi dell’Ilkhanato arrivavano via mare nel Ma’abar,
Abu Ali predisponeva sempre vascelli per la loro tappa conclusiva: questo dimostra che i contatti
diplomatici tra la dinastia Yuan e l’Ilkhanato attraverso l’Oceano Indiano iniziarono molto presto, e
il primo periodo può essere fatto risalire agli anni tra il 1279 e il 1291. 2. MERCANTI E
IMMIGRATI I collegamenti marittimi tra la Cina e il Golfo Persico non si limitavano alle relazioni
ufficiali: va, infatti, ricordato che numerosi mercanti e immigrati provenienti dall’Iran si erano
stabiliti nelle città della Cina sudorientale. Dal momento che i centri in cui risiedevano erano porti
marittimi, almeno una parte di loro doveva esservi arrivata per mare. 3. MISSIONARI CATTOLICI
Nei secoli XIII e XIV alcuni missionari cattolici europei raggiunsero la Cina via mare. Il primo
religioso ad arrivarci fu il francescano Giovanni da Montecorvino, poi ci fu anche Odorico da
Pordenone, poi il francescano Giovanni de’ Marignolli (a capo di una missione diplomatica su
incarico papale). In genere, agli inizi del XIV secolo, le rotte marittime erano una valida scelta per i
missionari cattolici europei che decidevano di recarsi in Cina. Nel 1320, Giordano da Sévérac, frate
domenicano, insieme a quattro francescani e a un mercante genovese, decise di raggiungere la Cina
via mare. Egli racconta di essersi imbarcato per Quilon ma, sorpresi da una tempesta, insieme ai
quattro missionari, fu trascinato a Tana (India), dove fu accolto dai cristiani nestoriani del luogo.
Giordano si separò dai compagni e partì per Bharuch, dove sperava di predicare con successo, ma
venne a sapere che i quattro francescani erano stati arrestati a Tana: egli tornò indietro, ma arrivò
quando erano già stati messi a morte. Giordano riuscì a recuperare i corpi grazie all’aiuto del
mercante genovese e, dopo averli trasportati a Surat, li seppellì in una chiesa. In seguito, Giordano
si trattenne in India, poi si trasferì nel Sud, prima a Malabar e poi nel Regno di Quilon: tornò in
patria nel 1328. 4. MOTIVI DELLA FORTUNA DEI COLLEGAMENTI MARITTIMI Benché
sotto i Song meridionali il commercio d’oltremare conoscesse una fortuna senza precedenti, tuttavia
solo raramente i mercanti cinesi si spingevano fino al Golfo Persico: molti si fermavano a Quilon o
a Calicut. Gli Yuan ereditarono la politica marittima e l’arte della navigazione dai Song meridionali,
ma sotto il loro impero i collegamenti via mare tra Cina e Golfo Persico conobbero un grande
sviluppo. Uno dei motivi principali va ricercato nella situazione in cui vennero a trovarsi l’Impero
cinese e l’Ilkhanato tra XIII e XIV secolo. Dopo il collasso dell’Impero Mongolo, i regni
sopravvissuti si divisero in due domini: uno sotto il controllo della dinastia Yuan e l’Ilkhanato,
l’altro governato dai discendenti di Ögödei e Chagatai. I principi della dinastia Yuan e
dell’Ilkhanato avevano legami di sangue più stretti e si unirono in una forte alleanza politica: dagli
anni Sessanta del XIII secolo al 1300, il protrarsi del conflitto tra i due domini impedì i contatti via
terra tra gli Yuan e l’Ilkhanato. Così, per mantenere i rapporti politici ed economici, i due regni
potenziarono i collegamenti marittimi: in questo periodo, i marinai cinesi compirono grandi
progressi nelle tecniche di navigazione oceanica e, grazie agli stretti rapporti tra Yuan e Ilkhanato,
incrementarono la loro conoscenza dell’Asia occidentale e sudoccidentale. 10 4. LA TOAILLE In
base alla testimonianza di Plinio, la stoffa d’asbesto era utilizzata per avvolgere i corpi dei re
durante la cremazione, per non contaminare le ceneri. I manufatti di asbesto erano regali di grande
prestigio perché molto rari. L’ITINERARIO DI MARCO POLO IN PERSIA NEL SUO VIAGGIO
DI RITORNO Marco Polo è stato il primo europeo a lasciarci un resoconto del suo soggiorno in
Cina: il suo libro, il Devisement dou monde, non è solo la prima dettagliata testimonianza europea
sul mondo cinese, ma costituisce anche la più ricca raccolta di informazioni sulla geografia asiatica
nel Medioevo. Poco spazio è, però, dedicato alla descrizione dell’itinerario vero e proprio: per
ricostruire il suo tragitto è necessario ricorrere ad altri documenti dell’epoca. 1. RICERCHE
PRECEDENTI Come ha osservato Yang Zhijiu, all’inizio del 1291 Marco partì da Quanzhou alla
volta della Persia per scortare la principessa Kokacin presso l’il-khan Arghun. Dopo tre mesi di
navigazione, Marco si trattenne cinque mesi a Sumatra a causa delle condizioni del tempo. Doveva
essere l’inizio del 1293 quando Marco raggiunse Hormuz, ma Arghun era ormai morto. 2. I
CONFLITTI TRA GAIKHATU E GHAZAN Era in corso una lotta tra i due signori mongoli
Gaikhatu, fratello di Arghun, e Ghazan, figlio di Arghun, per il titolo di Ilkhan e la questione del
levirato (istituzione secondo la quale un uomo ha il diritto di sposare la vedova del proprio fratello).
2.1 LA RIVALITÀ PER IL TITOLO DI ILKHAN Occorre ricordare che dopo la morte di Arghun
(1291) il figlio Ghazan, il fratello Gaikhatu e il cugino Baidu erano tutti potenziali Ilkhan. Al
termine di una serie di cospirazioni e conflitti, fu il fratello a salire al trono il 23 luglio 1291. Ma
Ghazan non aveva intenzione di arrendersi a Gaikhatu e Marco apprese, persino dopo essere
rientrato a Venezia, che Ghazan era in collera per la morte di Gaikhatu perché non avrebbe potuto
vendicarsi di lui. 2.2 LA QUESTIONE DEL LEVIRATO Il levirato era un’importante istituzione
nel sistema matrimoniale dell’Impero Mongolo, secondo la quale una donna vedova doveva sposare
il fratello o il figlio (avuto da un’altra donna) del marito defunto, e garantiva che la donna e i suoi
beni rimanessero all’interno della famiglia. Quando Arghun morì, una delle sue mogli, Khatun
Bulughan, fu costretta a sposare Gaikhatu, e ciò infastidì molto Ghazan. Questo perché per ordine di
Arghun la giovane era già stata la sposa di un altro uomo, che faceva di Arghun il secondo sposo,
che le aveva fatto crescere Ghazan come se fosse suo figlio e decise che l’orda (palazzi delle
Khatun) di sua proprietà sarebbe passata nelle mani di Ghazan. Inoltre, Arghun stabilì che l’orda
toccasse a Ghazan quando avrebbe sposato la giovane Bulughan Khatun. Questo è anche il motivo
per cui Ghazan sposò Kokacin, legittima erede dell’orda. 11 4. GLI SPOSTAMENTI DI
GAIKHATU E DI GHAZAN NEL 1293 Secondo le abitudini delle popolazioni nomadi, i Mongoli
non si stabilivano in un solo luogo, ma sceglievano località differenti in inverno e in estate. Anche
gli Ilkhan avevano due accampamenti: durante il suo regno, Gaikhatu trascorreva l’inverno
nell’Arran e l’estate nell’Ala Tagh. 5. L’ITINERARIO DI MARCO POLO All’inizio del 1293,
Marco Polo sbarcò a Hormuz e da lì si spinse fino all’estremità nordoccidentale della Persia. Poiché
Ghazan giunse a Tabriz all’inizio dello stesso anno e vi si trattenne per un mese, dovette incontrare
Marco sulla via del ritorno. Si può dire che nel marzo o aprile 1293 Marco incontra Ghazan e
assiste alle sue nozze con Kokacin; mentre verso marzo incontra Gaikhatu a Tabriz e nell’agosto
dello stesso anno arriva all’accampamento invernale di Gaikhatu. Lascerà la sua corte prima
dell’aprile 1294, proseguendo il suo viaggio di ritorno.

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