Sei sulla pagina 1di 29

Glocale.

Rivista molisana di storia e scienze sociali


(www.storiaglocale.it)

Direzione: Gino Massullo, Rossano Pazzagli


(direttoreglocale@ilbenecomune.it)

Comitato di direzione: Letizia Bindi, Norberto Lombardi, Gino Massullo, Roberto


Parisi, Rossano Pazzagli, Ilaria Zilli

Comitato di redazione: Rossella Andreassi, Letizia Bindi, Antonio Brusa, Chiara


Cancellario, Oliviero Casacchia, Renato Cavallaro, Raffaele Colapietra, Gabriella
Corona, Massimiliano Crisci, Marco De Nicolò, Paolo Di Lella, Roberto Evangelista,
Antonella Golino, Giuseppe Iglieri, Norberto Lombardi, Sebastiano Martelli, Massimiliano
Marzillo, Gino Massullo, Florindo Palladino, Roberto Parisi, Rossano Pazzagli,
Antonio Ruggieri, Saverio Russo, Lorenzo Sallustio, Bice Tanno, Ilaria Zilli

Segreteria di redazione: Chiara Cancellario, Paolo Di Lella, Roberto Evangelista,


Antonella Golino (coordinatrice), Giuseppe Iglieri, Florindo Palladino, Lorenzo Sallustio,
Bice Tanno

Direttore responsabile: Antonio Ruggieri

Progetto grafico e impaginazione: Silvano Geremia

Questo numero della rivista è andato in stampa grazie al contributo


della Banca Popolare delle Province Molisane

Redazione e amministrazione: c/o Il Bene Comune, via Gorizia, 3 – 86100 Campo-


basso, tel. 0874 422422, glocale@ilbenecomune.it

Abbonamento annuo (due numeri): € 25,00. Per abbonamenti internazionali: paesi


comunitari, due numeri, € 37,00; paesi extracomunitari, due numeri, € 43,00. I ver-
samenti in conto corrente postale devono essere effettuati sul ccp n. 25507179 inte-
stato a Ass. Il Bene Comune, Campobasso

Garanzia di riservatezza per gli abbonati. L’editore fornisce la massima riservatezza nel trattamento
dei dati forniti agli abbonati. Ai sensi degli artt. 7, 8, 9, D. lgs. 196/2003 gli interessati possono in ogni
momento esercitare i loro diritti rivolgendosi a: Il Bene Comune, via Gorizia, 3 – 86100 Campobasso,
tel. 0874 422422, glocale@ilbenecomune.it
Il garante per il trattamento dei dati stessi ad uso redazionale è il direttore responsabile
14

Agricoltura e neoruralità
Dicembre 2018

Bindi / Bonini / Broccolini / De Lisi / Di Iacovo / Di Maria / Fanelli /


Giagnacovo / Ibba / Iglieri / Lettino / Lombardi / Manocchio /
Marzillo / Mastronardi / Musci / Padiglione / Pazzagli / Petrella /
Quadraccia / Ruggieri / Safonte / Silvaroli / Zilli
In copertina:
Foto di Rossano Pazzagli, Coltivazione di mele a Castel del Giudice (IS)

© 2019 Glocale. Rivista molisana di storia e scienze sociali, Edizioni Il Bene Comune
Tutti i diritti riservati
Registrazione al Tribunale di Campobasso 5/2009 del 30 aprile 2009
/ 14 / 2018

Indice

9 Agricoltura e neoruralità
di Rossano Pazzagli

FACCIAMO IL PUNTO

15 Percorsi rurali Euro-mediterranei. Armature territoriali e governance


multilevel in una prospettiva di valorizzazione
di Fabiola Safonte
1. Introduzione
2. Sul patrimonio territoriale e la sua valutazione
3. La metodologia di ricerca
4. Risultati
5. Conclusioni

37 Paesaggi instabili. Il ruolo dell’antropologia tra spopolamento, saperi


tradizionali agrari e processi di patrimonializzazione
di Alessandra Broccolini, Daniele Quadraccia, Vincenzo Padiglione
1. Un paese ci vuole. Aree rurali tra spopolamento e prospettive di riscatto
2. È il postagricolo, Bellezza
3. Lenticchie
4. Il ruolo dell’antropologia negli scenari agrari contemporanei

47 Nuovi contadini e prodotti in un nuovo paesaggio agrario italiano


di Gabriella Bonini
1. Introduzione
2. La Pianura padana, luogo di millenaria sperimentazione agricola, verso un
lento e inesorabile declino
3. I nuovi contadini
4. Nuovi prodotti alimentari sulle nostre tavole
5. Il lavoro agricolo straniero in Italia: dati statistici
6. I lavoratori stranieri a Reggio Emilia
7. Conclusioni per un nuovo paesaggio agrario

5
/ 14 / 2018

57 Città neorurali: tra auspici e timide realtà


di Francesco Di Iacovo
1. Introduzione: la responsabilità urbana alla prova della sostenibilità
2. Sostenibilità sociale urbana e risorse rurali
3. Sostenibilità sociale e città neorurali: percorsi di prosperità

IN MOLISE

71 Il bio-distretto: un modello virtuoso di sviluppo per le aree rurali


di Rosa Maria Fanelli
1. Il bio-distretto: alcune note introduttive
2. Bio-distretto e sviluppo endogeno delle aree interne e rurali
3. La dislocazione e le tipologie dei bio-distretti sul territorio nazionale
4. Molise: il bio-distretto “Laghi Frentani”
5. Alcune considerazioni di sintesi

93 Tintilia e tintòrie. Storia e prospettive di un vitigno autoctono in Molise


di Sebastiano Di Maria
1. Premessa
2. La Te(i)nturier d’Espagne
3. La Tintilia e le sue proprietà
4. Il DNA della Tintilia
5. Conclusioni

107 Una rotta da invertire. Le trasformazioni dell’agricoltura del Molise


negli ultimi sessant’anni
di Luigi Mastronardi
1. Introduzione
2. Il tessuto aziendale
3. Le produzioni vegetali, zootecniche e le attività connesse
4. Le risorse umane
5. I cambiamenti a valle dell’ultimo Censimento
6. Conclusioni

125 Territori multidisciplinari. Comunità agro-pastorali, patrimoni bio-


culturali e nuove metodologie della ricerca
di Letizia Bindi
1. La questione neo-rurale
2. Esperienze multidisciplinari
3. Logiche del nuovo ruralismo
4. La scelta di un centro

6
Indice

IERI, OGGI E DOMANI


139 Per una rinascita dell’agricoltura molisana
Tavola rotonda a cura di Antonio Ruggieri
Incontro con Filippo De Curtis, Maurizio Marino e Tiziana Verlengia

STUDI E RICERCHE
163 Tra paure e speranze: il ruolo del web nella primavera libica
di Benedetta De Lisi
1. Introduzione
2. La società libica tra oppressione e povertà: la caduta del velo della paura
3. “La giornata della collera” e l’inizio della rivolta
4. Il doppio volto del World Wide Web: arma della rivolta e strumento di
divulgazione sociale e letteraria
5. Conclusioni
185 Il gruppo dirigente comunista e il centro-sinistra «organico»
di Massimiliano Marzillo
1. Prologo
2. La scelta moderata democristiana e la strategia del Pci
3. Longo e la strategia delle alleanze
4. Il Pci tra la Dc e il Terzo polo
205 L’arte bianca in Molise: una storia infinita?
di Ilaria Zilli
1. Alcune considerazioni introduttive
2. Le fonti
3. L’Arte bianca nel Mezzogiorno
4. “Maccaronai” e “pastai” molisani: una storia da reinventare
5. Campobasso e dintorni: storie di imprese ed imprenditori
6. Alcune considerazioni conclusive
227 Note sulla tradizione del pesce in Molise. Un itinerario storico-
geografico attraverso le carte d’archivio, secoli XVIII-XIX
di Maria Giagnacovo e Marco Petrella
1. Alcune riflessioni metodologiche
2. Alla ricerca di una tradizione del pesce attraverso le fonti
3. Una visione d’insieme: la Statistica Murattiana
4. I consumi privati
5. Per concludere…
243 Guido Vincelli ed il Fondo librario dell’ASCOM (Associazione
comuni molisani) della Biblioteca Albino di Campobasso
di Vincenzo Lombardi

7
/ 14 / 2018

DIDATTICA

255 Orientamento o Disorientamento? Una scelta per la vita


di Stefania Silvaroli
1. Introduzione
2. Guerra tra poveri
3. Marketing scolastico
4. Le transizioni scolastiche
5. Il ruolo dell’orientatore
6. Didattica orientativa ed orientamento motivazionale
7. L’insuccesso e la dispersione scolastica

265 Dovì va al Museo: un’esperienza didattica tra scuola, nuove


tecnologie e territorio
di Cosmo Manocchio e Maria Donatella Lettino

275 Cittadini di uno spazio vissuto, un progetto di conoscenza del


paesaggio dal punto di vista storico e di educazione alla cittadinanza
di Elena Musci
1. Il paesaggio negli effetti del Buongoverno di Siena
2. Il paesaggio nel vissuto dei bambini
3. Il paesaggio urbano. Un laboratorio fotografico
4. Le categorie del paesaggio urbano
5. Uscita didattica nel paesaggio urbano
6. Analisi dei risultati dell’uscita e confronto con i disegni dei bambini
7. Elaborazione di una presentazione multimediale del percorso svolto
8. Realizzazione di un prodotto grafico relativo al buon governo del
paesaggio urbano del proprio quartiere
9. Termine e presentazione del lavoro svolto

STORIOGRAFIA

289 Rossano Pazzagli, Gabriella Bonini, Italia contadina. Dall’esodo rurale


al ritorno alla campagna, Aracne, Roma 2018
Recensione di Roberto Ibba

293 La Storia nella visione contemporanea. Silvano Franco, Lezioni di


Storia contemporanea (1915-1945), Armando Caramanica Editore,
Marina di Minturno 2015
Recensione di Giuseppe Iglieri

297 Abstracts
305 Gli autori di questo numero

8
/ 14 / 2018 / Studi e ricerche

L’arte bianca in Molise: una storia infinita?

di Ilaria Zilli

1. Alcune considerazioni introduttive

L’antropologo Mauro Gioielli alcuni anni fa ricordava che la parola mac-


cheroni si ritrovava nel dialetto molisano antico e moderno in forme tali da
confermare – se anche ce ne fosse stato bisogno – la fondamentale rilevanza
di questo genere nella cultura alimentare del territorio1.
Gioielli richiamava, in proposito, le osservazioni del Conforti, che già agli
inizi del ’900 aveva messo in evidenza come i sostantivi “macca” e “macco”
del volgare latino (da cui derivava la parola italiana) erano ampiamente uti-
lizzati nel dialetto di Isernia e Campobasso nella loro forma originaria2. In
particolare il termine macco sarebbe andato a designare non solo il prodotto,
ma anche chi manipolava la macca, cioè la «massa pastosa [...] fatta di farina
di grano, distesa sottilmente in falde e cotta nell’acqua»3.
Un’argomentazione suggestiva visto che il riconoscimento di un legame di-
retto tra i maccheroni e il Molise proveniva da un napoletano come il Con-
forti, che era stato il primo ad attribuire alla città partenopea il ruolo di patria
italiana dei maccheroni, da lì secondo lui poi “esportati” nelle province più
lontane dalla Capitale.
Prendo spunto da questa riflessione per osservare a mia volta come effettiva-
mente l’industria della pasta, ma più in generale l’industria molitoria, abbia
avuto un ruolo importante anche nell’economia del Molise moderno e non solo
in quella della Campania. Con il trascorrere dei secoli, questa sua centralità si è
andata, a differenza del caso campano, più depauperando che consolidando. So-
lo negli ultimissimi anni sembra, infatti, possibile leggere qualche segnale di
una inversione di un trend negativo che ormai durava da alcuni decenni. Resta-
no, tuttavia, ancora molte fragilità in un settore produttivo che invece poteva
contare su di una lunghissima e consolidata tradizione imprenditoriale.
1 Mauro Gioielli, Isernia fra passato e presente, Palladino Editore, Campobasso 2006.
2 Luigi Conforti, L’origine dei Maccheroni e la patria di Pulcinella, in Giambattista Basile,
Archivio di Letteratura popolare, XI, anno 1907, n. 10, pp. 72-75.
3 Ernesto Gianmarco, Dizionario Abruzzese e Molisano, Edizioni dell’Ateneo, vol. II, Roma 1969.

205
/ 14 / 2018 / Studi e ricerche

In questo breve contributo ci si propone quindi di ricostruire, in un’ottica


di lungo periodo, le fasi salienti di questa storia secolare a partire dalla let-
teratura ad oggi prodotta, ma individuando anche quali possibili fonti
d’archivio siano ad oggi disponibili (pochissime purtroppo) per chi voglia
approfondire la storia economica di questo settore produttivo. In Molise
sembra infatti che gli archivi aziendali o anche privati siano andati dispersi
nei passaggi generazionali, nelle fasi successive di crisi e chiusura degli
impianti. Resta perciò fondamentale la documentazione conservata presso
l’Archivio di Stato di Campobasso e i frammenti di notizie che si riescono
a ricavare dagli archivi comunali o dalle cronache locali. Le voci dei pro-
tagonisti di questa storia, di queste storie, finiscono per diventare così una
ulteriore quanto necessaria fonte aggiuntiva.

2. Le fonti

È indubbio che della presenza di “maccheronai” prima, di “pastai” poi e


ancora successivamente di imprenditori e di imprese pastarie di varie dimen-
sioni si ritrovino tracce nelle carte d’archivio. Il problema è – come si ac-
cennava in precedenza – che si tratta di notizie frammentarie e non solo per
gli anni più lontani, ma purtroppo anche per quelli più vicini a noi.
Per l’età moderna, periodo in cui muove in fondo i primi passi questa tipo-
logia di attività produttiva, sono essenziali le fonti catastali più antiche, che
per il Settecento si organizzano nel famoso Catasto onciario voluto nel 1742
da Carlo di Borbone e che fu redatto faticosamente e in tempi lunghi dalle
Università meridionali (i comuni molisani non fanno eccezione). Per questo
periodo sono importantissime anche le fonti di natura feudale, come i relevi
e gli apprezzi, che rappresentano un’ulteriore possibilità di individuare so-
prattutto i mulini, ma anche i forni e le “maccaronerie” sparsi sul territorio.
Per l’800 le fonti a cui si può far riferimento incominciano ad essere più
ricche e soprattutto strutturate in modo da fornirci un maggior numero di dati
quantitativi sulla produzione, sugli addetti, etc. Sono fonti che come è noto
derivano in gran parte dal processo di riorganizzazione delle strutture politi-
che, amministrative ed economiche del Mezzogiorno voluto e realizzato du-
rante il Decennio francese e conservato dopo la Restaurazione borbonica. Si
tratta di statistiche, relazioni, dibattiti interni ai Consigli Provinciali o alle
Società Economiche locali contenuti, nel nostro caso, prevalentemente nel
Fondo dell’Intendenza di Molise e in quello del Ministero di Agricoltura, In-
dustria e Commercio (MAIC).
Per la seconda metà del secolo, ovvero dopo l’unificazione nazionale, le
fonti di riferimento cambiano e assumono rilevanza, ad esempio, le inchieste
statistiche promosse sia dall’amministrazione centrale che da quella locale.

206
Zilli, L’arte bianca in Molise: una storia infinita?

Di particolare interesse, a partire dal primo decennio del Novecento, la do-


cumentazione prodotta dalle Camere di Commercio4, ma anche le fonti do-
cumentarie dell’ente camerale di Campobasso presentano però delle lacune
che non rendono agevolissima la ricostruzione puntuale delle dinamiche im-
prenditoriali del settore5.
Di grande utilità possono risultare anche le fonti notarili, con tutti i limiti e
i problemi che questa tipologia di fonte tuttavia comporta e che, in particola-
re nel caso molisano, non è stata mai utilizzata per questo tipo di ricerca.
In questa fase, per capire da vicino quali fossero i problemi degli imprendi-
tori molisani preziosissimi sarebbero ovviamente stati gli archivi privati del-
le imprese che operavano sia in provincia di Campobasso sia in quella di
Isernia. Imprese che le statistiche e soprattutto le cronache locali ci dicono in
via di consolidamento, di meccanizzazione e più in generale di modernizza-
zione degli impianti produttivi. È sintomatico che la produzione di energia
elettrica venga realizzata in molti casi in questi anni proprio su sollecitazione
di questi imprenditori, che stanno modernizzando i loro impianti per rispon-
dere alla domanda crescente di questo genere alimentare6.
Ed è proprio a cavallo fra ’800 e ’900 che si determinerà anche quella sorta
di concentrazione/specializzazione nelle mani di poche famiglie imprendito-
riali delle attività molitorie e pastarie della regione. Eppure non si è riusciti
ad oggi a ritrovare una documentazione che ci aiuti a spiegare le ragioni
dell’involuzione determinatasi nel corso del ’900 in un settore che, ancora
agli inizi del secolo scorso, sembrava essere uno dei più dinamici nel pano-
rama industriale locale7.
Ed è questa assenza di fonti dirette che ha costretto coloro che si sono oc-
cupati della storia industriale del Molise contemporaneo a ricorrere ai lavori
sulla provincia e le sue comunità redatti negli anni dagli scrittori coevi. Per il
Settecento e l’Ottocento pensiamo alle pagine di autori come Francesco
Longano, Giuseppe Maria Galanti o Nicola De Luca sulle manifatture locali;
ma anche ai lavori di Domenico Bellini e Giovan Battista Masciotta, per ci-
tare solo i più noti.

4 Per una disamina dei documenti afferenti all’Anagrafe economica degli enti camerali si ri-
manda a Concetta Damiani, Un repertorio di fonti per la storia dell’industria molitoria a Napoli
nella prima metà del secolo XX, «Quaderni dell’Archivio Storico», Napoli 2016, pp. 65-88.
5 Elisabetta Bidischini, Leonardo Musci, (a cura di), Guida agli archivi storici delle Camere

di commercio, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, Ufficio centrale per i beni
archivistici, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Strumenti, CXXVII, 1996, pp. 31-32.
6 Ilaria Zilli, Dall’energia idraulica all’energia idroelettrica: le trasformazioni tecnologiche

nel Molise fra ’800 e ’900, in Massimo Franco (a cura di), La flessibilità per l’Europa del
sud, FrancoAngeli, Milano 2002.
7 Id., Le economie dell’acqua. Risorse idriche e sviluppo nel Molise moderno (secc. XVIII-

XIX), Cacucci, Bari 2012.

207
/ 14 / 2018 / Studi e ricerche

Poiché la penuria di documentazione si riscontra anche nel passaggio al se-


colo successivo, soprattutto per raccontare gli ultimi cinquant’anni di questa
storia, il ricorso alle fonti orali, ovvero le interviste a quelli che sono stati i
protagonisti o i testimoni del declino del settore8, ha reso possibile dare pro-
fondità ai numeri e comprendere, almeno in parte, le cause del fallimento di
molti dei pastifici storici della regione.

3. L’Arte bianca nel Mezzogiorno

L’importanza del comparto delle farine e delle paste alimentari nel pano-
rama industriale delle regioni meridionali appare in realtà un dato ampia-
mente riconosciuto. La storiografia economica è concorde nel ritenere, tutta-
via, che lo sviluppo dell’industria delle paste alimentari in tutta la penisola, e
nel Mezzogiorno in particolare, fu relativamente lento sia prima che dopo
l’Unità9. Se l’industria molitoria, seppur senza significativi miglioramenti
delle tecniche adottate, registrò infatti già nel corso della seconda metà
dell’800 un notevole incremento sia in termini di volumi prodotti sia, seppu-
re in misura minore, in termini qualitativi, l’industria delle paste alimentari
restò, viceversa, nella maggior parte dei casi, più legata alle produzioni arti-
gianali, di qualità elevata, ma limitate nei volumi e soprattutto nella capacità
di ampliare la propria distribuzione10. Il caso molisano indubbiamente con-
ferma questo tipo di valutazione11.
Le ragioni della diversa dinamica di questi due settori, per altri versi stret-
tamente correlati, sono varie, sicuramente collegate al contesto territoriale in
cui operavano entrambe le tipologie di imprese, ma soprattutto alle diverse
caratteristiche della domanda di queste due produzioni.
Inizialmente il consumo delle paste alimentari, secondo la letteratura, era
peculiare soprattutto dei ceti contadini (come in parte è possibile verificare
anche nel microcosmo molisano), ma se si ragiona in termini di produzione e
commercializzazione di grandi quantitativi di paste, soprattutto secche, que-
sta tipologia di consumi appare viceversa tipica delle realtà cittadine e so-
prattutto di quelle di grandi dimensioni. Realtà queste ultime, ad eccezione
di Napoli, in gran parte assenti nelle regioni meridionali.
8 Maddalena Chimisso, Il caso de La Molisana: conversazione con l’ing. Carlone, «Gloca-

le, rivista molisana di storia e scienze sociali, Economie», 2011, 2-3, pp. 367-372.
9 Cfr. i saggi di Francesco Chiapparino, L‘Industria alimentare dall’unità al periodo fra le

due guerre,; Renato Covino, Gianpaolo Gallo, Roberto Monicchia, Crescita, crisi, riorganiz-
zazione. L’industria alimentare dal dopoguerra a oggi, in AA.VV., Storia d’Italia, Annali 11,
L’alimentazione, Einaudi, Torino 1998, rispettivamente alle pp. 207-268 e pp. 271-324.
10 François Sabban, Silvano Serventi, La pasta. Storia e cultura di un cibo universale, La-

terza, Bari 2000.


11 Sull’industria molitoria molisana si veda anche I. Zilli, Le economie dell’acqua, cit.

208
Zilli, L’arte bianca in Molise: una storia infinita?

Non è dunque un caso che il principale polo pastario del Mezzogiorno mo-
derno e contemporaneo, sia stato e sia il famoso distretto di Torre Annunzia-
ta e Gragnano, in Campania. Un’area che aveva potuto fondare il suo svilup-
po, non solo sulle particolari condizioni climatiche e sulla bravura dei suoi
pastai, ma soprattutto sulla vicinanza alla città di Napoli, che esprimeva una
ingente domanda di consumo di questo genere e con il suo porto consentiva
anche di esportare una parte crescente della produzione locale12.
Anche in questo distretto, comunque, come si osservava in precedenza, è solo
agli inizi del ’900 che si sarebbe avviato, come nel resto del paese, un processo
di vera e propria modernizzazione. Una trasformazione che prendendo le mosse
dall’utilizzo di nuovi macchinari e anche di nuove tecniche di essiccazione, ri-
chiese una trasformazione delle dimensioni delle imprese e dei loro assetti socie-
tari, che tuttavia non tutti i produttori furono in grado di sostenere13.
È interessante rilevare in proposito che è proprio in questi primi decenni
del sec. XX che si avvia, soprattutto nel Mezzogiorno, anche un processo di
internazionalizzazione delle imprese di questo comparto. In molti casi, è sta-
to infatti sottolineato come la spinta verso l’ampliamento produttivo, sia sta-
ta sollecitata dalla richiesta di questo bene da parte delle comunità dei nostri
concittadini emigrati oltreoceano, molti dei quali provenivano proprio dalle
regioni meridionali e non volevano rinunciare a questa loro tradizione ali-
mentare. Una domanda aggiuntiva importante, ma che non tutte le imprese
sarebbero state, per ovvie ragioni, in grado di cogliere.
In generale, quando si parla dello sviluppo dell’industria della pasta del Mezzo-
giorno si finisce quasi inevitabilmente per identificarla con la storia dell’industria
della pasta campana. Ed in effetti – come si è detto – è intorno a Napoli che era
fiorito uno dei distretti pastari più noto e riconosciuto al di fuori dei confini regio-
nali e nazionali. Ed è anche vero che le fasi di crisi e sviluppo di quest’area rappre-
sentano in realtà, nonostante tutto, un buon modo per raccontare le difficoltà che
ha affrontato il settore molitorio e pastario del Mezzogiorno. Tuttavia la storia del-
la pasta non dovrebbe esaurirsi a quella del distretto campano.
La provincia di Napoli vantava certo un’antichissima tradizione, che andava
indietro ai già citati “maccaronari” napoletani, una delle corporazioni attive e
riconosciute nella città alla fine Settecento14. Ma la presenza di “maccaronari”,

12 Enrico Vita, L’industria della molitura e pastificazione in Campania, Detken e Roocholl,

Napoli 1920.
13 Fu proprio il determinarsi di questo processo di meccanizzazione e di aumento delle di-

mensioni aziendali che, più evidente e rapido nelle regioni centro settentrionali della penisola,
avrebbe avuto poi inevitabili effetti di lungo periodo su quelli che possiamo definire gli equi-
libri produttivi fra nord e sud; cfr. Valeria.Giordano, L’arte bianca. Mulini e pastifici dal-
l’Unità al fascismo, in Augusto Vitale (a cura di), Napoli. Un destino industriale, Camera di
Commercio, Napoli 1992.
14 Ma secondo alcuni, addirittura, chi si occupava di arte bianca aveva, sin dal Duecento, un

ruolo quasi sacrale nella vita cittadina, se è vero come ci raccontano le cronache che ad indos-
sare il camice bianco erano, oltre ai sacerdoti ed ai medici, solo i mugnai.

209
/ 14 / 2018 / Studi e ricerche

anche se non tanto numerosi da costituirsi in una corporazione, è documentata in


quasi tutte le altre province del Regno di Napoli, dove la cerealicoltura diffusa e
la presenza di impianti molitori in tante comunità aveva contribuito per altro a
radicare in quasi tutte le province una tradizione culinaria incentrata sulle paste
fresche15. Il settore molitorio e pastaio era poi realmente fiorito nel corso
dell’800, grazie alla politica protezionistica del governo partenopeo, che tuttavia
aveva in mente più obiettivi di ordine pubblico connessi alla gigantesca Capita-
le, che un vero e proprio progetto di sviluppo industriale16. Le conseguenze di
questa politica sono state ben studiate per il polo gragnanese per il quale è atte-
stato che, nella sola Gragnano, nel 1859 erano attivi 100 pastifici, con rispettivi
100 torchi e più di 1000 quintali di pasta prodotti al giorno17.
Dopo l’Unità le cose cambiarono in peggio per i pastifici meridionali, anche
per quelli campani, sia in termini di protezioni commerciali accordate sia soprat-
tutto in termini di tassazione delle loro produzioni. La tristemente famosa tassa
sul macinato emanata nel 1868 (e abolita nel 1884), che rifletteva una valutazio-
ne sulla rilevanza in questo caso fiscale del comparto nell’economia del neonato
Regno d’Italia, comportò di fatto la scomparsa o comunque la crisi di numerosi
mulini medio piccoli in tutto il Mezzogiorno. Anche in realtà affermate come
quelle di Gragnano la chiusura di alcuni mulini determinò a cascata la crisi delle
imprese pastarie che da essi si approvvigionavano18. In positivo si potrebbe tut-
tavia dire che la pressione fiscale di fine Ottocento costrinse gli imprenditori del
settore a modernizzare gli impianti e a rinnovare le loro attività, pena appunto il
fallimento. Ed in effetti le statistiche confermano che si registrò nei decenni a
cavallo fra i due secoli una fusione di antichi pastifici in fabbriche di più grandi
dimensioni. L’area produttiva tra Gragnano e Torre Annunziata riuscì a resistere
proprio grazie alla capacità dei suoi imprenditori di adeguarsi ai nuovi vincoli,
aiutati anche probabilmente dalla vicinanza a Napoli, che restava una delle città
più popolose d’Europa, e al suo porto che, con quello di Torre del Greco, con-
sentiva sia l’approvvigionamento del grano, sia l’esportazione della pasta19.
Negli anni fra le due guerre mondiali la situazione appare ancora favorevo-
le all’industria molitoria e pastaria campana. Torre Annunziata acquista anzi
proprio in questi anni il titolo di “Città della pasta” ed è quest’ultima, più di
Gragnano, che diventa una città industriale, seconda solo a Napoli.
15 Ilaria Zilli, Non di solo pane. I consumi alimentari della famiglia Japoce di Campobasso,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2005.
16 Si veda anche la suggestiva schematizzazione proposta da Benedetto Marzolla, Carta dei

Prodotti Alimentari delle Provincie Continentali del Regno delle due Sicilie, s.t., Napoli 1856.
17 Paola Gargiulo, Lea Quintavalle, L’industria della pastificazione a Torre Annunziata e

Gragnano, in AA.VV., Manifatture in Campania. Dalla produzione artigiana alla grande


industria, Guida, Napoli 1983.
18 Alfonso Liguori, Gragnano: memorie archeologiche e storiche, Pompei 1955.
19 Silvio Di Maio, I pastifici di Gragnano e Torre Annunziata nei secoli XIX e XX, in Franco

Amatori, Andrea Colli (a cura di), Sistemi locali in Italia tra Ottocento e Novecento, Il Muli-
no, Bologna 2001.

210
Zilli, L’arte bianca in Molise: una storia infinita?

La guerra tuttavia ferma la crescita del settore, anche se i pastifici campani


sono chiamati a pastificare per l’esercito e riescono così a sfuggire in parte ai
problemi posti dalle politiche annonarie all’acquisizione delle materie prime
sia durante la prima che la seconda guerra mondiale. Alla fine del primo
conflitto si evidenzieranno, anche in questo settore, i problemi tipici del do-
poguerra (obsolescenza degli impianti, necessità di riorganizzare la produ-
zione, necessità di ricostruire la rete dei fornitori, riorganizzazione dei canali
commerciali, etc.) e solo lentamente che, nel corso degli anni Venti, si ri-
prenderanno, e anzi si incrementeranno le esportazioni. Sono queste ultime
che consentono in effetti a molte imprese del settore di ritornare ai livelli
produttivi di fine Ottocento. Le difficoltà del polo campano si sarebbero però
riacutizzate dopo la crisi del 1929 per le scelte di politica autarchica adottate
dal regime fascista, che avrebbero determinato, tra le altre cose, una drastica
riduzione delle esportazioni sulle quali come si è detto si era viceversa fon-
data parte della ripresa postbellica20.
La crisi più ampia però verrà vissuta dopo la seconda guerra mondiale a
causa dei bombardamenti e dei sabotaggi tedeschi, che colpirono molti im-
pianti industriali del circondario di Napoli (oltre il 40% delle fabbriche risul-
tarono a guerra finita distrutte o comunque non in grado di funzionare)21.
Dopo la guerra tra i problemi più gravi vi fu per altro anche la scarsità di
grano duro, meno coltivato nel Mezzogiorno rispetto al passato, che andava
perciò importato a costi elevati. Ma altrettanto difficile quanto cruciale per
gli imprenditori del settore fu anche la necessità di procedere ad un ammo-
dernamento tecnologico, sempre più necessario se si voleva tenere il passo
con le imprese che operavano al centro e al nord della Penisola. Gli aiuti
previsti nell’ambito del piano Marshall vennero invece solo in misura ridot-
tissima destinati a questo settore produttivo determinando un non sempre fa-
cile accesso alle risorse necessarie.

4. “Maccaronai” e “pastai” molisani: una storia da reinventare

Le dinamiche del settore delle paste industriali appena descritto per la real-
tà campana, vale nelle grandi linee anche per il Molise e per i pastai molisa-
ni, anche se ovviamente, mancando ai produttori locali un grande mercato
come quello napoletano e mancando un grande porto, in generale la produ-
zione era molto più limitata e destinata a soddisfare soprattutto la domanda
del territorio.
20 Augusto De Benedetti, Il tempo dell’industria, in Augusto Vitale (a cura di) Napoli, un
destino industriale, CUEN, Napoli 1992.
21 Cfr. Statistiche. Le statistiche sull’industria molitoria, in “Informazioni SVIMEZ” 28/1953.

211
/ 14 / 2018 / Studi e ricerche

In comune le due realtà avevano certo avuto, nel passaggio fra età moderna
e contemporanea, la presenza capillare di piccoli mulini e pastifici artigianali
legati ad una sfera di consumo strettamente locale, e soprattutto la disponibi-
lità di una materia prima a buon mercato grazie alla diffusione della cereali-
coltura nelle campagne22.
La secolare tradizione cerealicola aveva, infatti, nei secoli, soprattutto in
Molise, determinato uno sviluppo di numerosi piccoli impianti molitori in
quasi tutte le comunità (anche se con significative concentrazioni in alcune
aree), così come di botteghe artigiane che producevano inizialmente in pre-
valenza pasta fresca.
Per l’età moderna le fonti che si possono utilizzare per documentare la pre-
senza di questi impianti produttivi sono essenzialmente gli apprezzi feuda-
li23, i relevi24 e i catasti onciari25, che ci riportano appunto di mulini, forni,
panetterie e di qualche “maccheroneria” nelle comunità del Contado di Mo-
lise, come allora era denominata la futura provincia e poi regione Molise.
Nel corso del secolo XVIII, come documentano queste fonti, è sempre più
Campobasso con il suo circondario ad affermarsi come il cuore della produ-
zione granaria locale e di conseguenza anche dell’industria molitoria. Essen-
do anche uno dei centri più importanti dell’area non stupisce neanche che fra
le sue numerose botteghe vengano menzionate anche quelle dei primi pastai.
A partire dai primi dell’800 le notizie sulla produzione delle paste alimen-
tari aumentano grazie al massiccio impegno statistico dei nuovi governanti
francesi del Regno. Come è noto, a partire dalla Statistica Murattiana del
1811, i dati raccolti dalle Intendenze, soprattutto al fine di valutare le risorse
economiche e produttive delle province, si moltiplicarono.
Per quanto riguarda il Molise, neonata provincia proprio grazie al nuovo
Governo, sappiamo, ad esempio, che il numero di «maccaronaj» censiti tra
22 Michele Tanno, Grano e società rurale nel Molise: prodotti e valori da scoprire, Studio

Enne, Campobasso 2006.


23 Ilaria Zilli, Per una storia dell’economia molisana attraverso gli apprezzi feudali, in Valeria

Cocozza, Elisa Novi Chavarria (a cura di), Comunità e territorio. Per una storia del Molise mo-
derno attraverso gli apprezzi feudali (1593-1744), Palladino, Campobasso 2015, pp. 31-41.
24 Maria Natalina Ciarleglio, I feudi del Contado di Molise. Inventario analitico dei relevi

molisani nell’Archivio di Stato di Napoli (sec. XV-XVIII), Palladino, Campobasso 2013.


25 Sebbene siano disponibili presso l’Archivio di Stato i catasti di molti comuni molisani, ad

oggi sono pochi gli studiosi che si sono dedicati alla loro analisi, le prime indagini risalgono
agli inizi degli anni Ottanta, si vedano i contributi di: Angela Annarumma, I massari e le mas-
serie in Capitanata (vol. II, pp. 487-503); Liborio Casilli, Una vigna a Campolieto (vol. II,
pp. 379-386) e Id., Patrimonio zootecnico ed emergenze sociali in una zona del Molise (vol.
II, pp. 505-515); Marco Colucci, Attività agricola e classi sociali a Larino e Casacalenda nel-
la seconda metà del Settecento (vol. II, pp. 515-526), in Mirella Mafrici (a cura di), Il Mezzo-
giorno Settecentesco attraverso i catasti onciari, Esi, Napoli, 1986. In anni più recenti alcuni
studiosi locali hanno pubblicato qualche altro catasto (v. Pietro Mario Pettograsso, Clorinda
Colalillo, Il catasto onciario di Bojano del 1743 – Note socio-demografiche, economiche e
culturali, Sepino 2010), ma molti restano inediti e comunque non utilizzati appieno.

212
Zilli, L’arte bianca in Molise: una storia infinita?

gli artieri locali era pari a 40 unità26. Un numero indubbiamente significativo


in una realtà, come quella molisana, ancora demograficamente poco svilup-
pata, con centri abitati di piccole dimensioni, con una struttura produttiva
poco articolata soprattutto per quanto atteneva alle attività extra-agricole.
Nella Descrizione di Giuseppe Del Re, di pochi decenni successiva alla
summenzionata Statistica, i numeri che si ricavano sono ancora più impres-
sionanti, anche se riferiti a tutto il settore dell’arte bianca e non solo ai pa-
stai. In una tavola riassuntiva dei negozianti ed addetti a professioni liberali
arti e mestieri nel corso del 1835, inserita nell’opera di Del Re, si apprende
infatti che all’epoca sarebbero stati attivi quasi settecento fra «molinari, for-
nari, panettieri e maccaronari»27. È chiaramente un dato non comparabile
con quello precedentemente citato, perché in esso vengono inclusi non solo i
mugnai, categoria già estremamente diffusa nella provincia, ma anche i for-
nai e i panettieri, si tratta tuttavia comunque di un dato significativo del peso
che il settore dell’arte bianca aveva nella prima metà del sec. XIX nella zo-
na. La vera difficoltà sta nel passare dai dati generali a quelli più specifici sui
singoli impianti e produttori.
In questo potrebbero essere utili i protocolli notarili. Come di recente ha evi-
denziato Maria Iarossi l’attività di produzione della pasta in Molise viene
menzionata, ma si tratta di un filone di ricerche ancora tutto da approfondire28.
La pasta prodotta nei pastifici campobassani era comunque prevalentemen-
te destinata al consumo locale, ma proprio la Iarossi ci ha segnalato appunto
che la voce “paste lavorate” compare anche nei carichi di alcune navi dirette
verso il medio-alto Adriatico alla metà degli anni Trenta dell’800. Si tratta
tuttavia di una voce minima (e soprattutto sporadica) rispetto a quelle ben
più consistenti relative alle esportazioni di grani e altri cereali.
Per l’Ottocento forse più utile, almeno per ricostruire i nomi degli im-
prenditori coinvolti, è la lettura delle numerose monografie municipali
prodotte dagli studiosi locali29, attraverso le quali è possibile integrare, a
livello dei singoli comuni, questi numeri sparsi su pastifici e mulini. Sco-
priamo così, ad esempio, che a Sepino tra il 1853 e il 1858 operavano tre

26 Stefania Martuscelli, La popolazione del Mezzogiorno nella statistica di Re Murat, Gui-


da, Napoli 1979.
27 Giuseppe Del Re, Descrizione della Provincia di Molise, (fascicolo I, tomo III, della De-

scrizione topografica fisica economico-politica de’ reali dominj al di qua del faro nel Regno
delle Due Sicilie), Napoli 1836, p. 39.
28 Maria Iarossi, Oltre il grano, Palladino, Campobasso 2015, pp. 113-114.
29 Cfr. sul tema Giorgio Palmieri, Le monografie municipali molisane. Una rassegna della

recente produzione (1990-1995), «Rivista storica del Sannio», 1995, 3, pp. 247-255; Id.,
Aspetti della storiografia molisana nella seconda metà dell’Ottocento, «Almanacco del Moli-
se», 2003, 31, pp. 27-62; Id., La storiografia molisana alla metà del Settecento: alcuni punti
di riferimento, in Renata De Benedittis (a cura di), Verso la modernità. Il Molise nel tardo
Settecento, Vereja Edizioni, Benevento 2009, pp. 505-517.

213
/ 14 / 2018 / Studi e ricerche

«Fabbricanti di maccheroni» con proprie «industrie […] di fabbricar mac-


cheroni», che a Casacalenda erano presenti altri sei «Fabbricanti di mac-
cheroni»30. Realtà così piccole da perdersi tuttavia molto spesso nel corso
dei decenni successivi all’Unità.
E se alcuni di questi lavori considerano che solo dopo il 1860 sia iniziata la
produzione delle paste alimentari in area molisana, lo fanno probabilmente
avendo in mente i più “moderni” impianti di produzione, che a quella data
sono, ad esempio, attivi di certo nella città di Isernia31. A fine ’800 fabbriche
di paste alimentari sono citate in varie località molisane quali Campobasso,
Ferrazzano, Baranello, Montagano, Riccia, Jelsi, Trivento, Agnone, Bojano,
Colli a Volturno, Larino, Guglionesi32.
In un quadro agricolo che vedeva un prevalere delle coltivazioni di gra-
no e cereali, con un sistema di fiumi, torrenti e torrentelli che da secoli
muovevano le macine dei mulini, non stupisce, d’altro canto, che il setto-
re delle paste alimentari trovasse nella provincia un ambiente favorevole
al suo sviluppo. La documentazione redatta dagli ispettori del Ministero
delle Finanze al momento dell’emanazione della già menzionata tassa sul
macinato ci conferma la consistenza e diffusione dell’arte bianca nella
provincia (anche se contestualmente ce ne evidenzia l’arretratezza)33. Co-
sì come le fonti d’archivio ci raccontano anche delle forti resistenze dei
mugnai ad applicare le disposizioni del governo. Emblematico può essere
considerato il caso di Sepino: il 18 maggio 1871 l’assise civica deve far
fronte al rifiuto di tutti e dodici i mulini esistenti nell’agro di Sepino di
esigere la tassa e alla conseguente chiusura degli impianti. E deve soprat-
tutto far fronte alla sollevazione della popolazione che forza addirittura i
portoni di alcuni mulini34.
La produzione pastaia in impianti moderni si sarebbe tuttavia avviata, se si
presta fede a quanto riportano i contemporanei, solo tra la fine del XIX secolo
e gli inizi del XX secolo. Giambattista Masciotta, nei suoi quattro volumi pub-
blicati fra il 1914 e il 1952, ci conferma che i pastifici non erano solo a Cam-

30 Celestino Mucci, Sepino, in Filippo Cirelli (a cura di), Il Regno delle Due Sicilie descritto

ed illustrato, Stab. Tip. di Tiberio Pansini, Napoli 1856, si cita dalla ristampa anastatica a cura
di S. Abita, Paparo, Napoli 2006, pp. 8-9.
31 Gustavo Strafforello, La Patria. Geografia dell’Italia, “Abruzzi e Molise”, vol. IV, parte 2ª,

Circondario di Campobasso (pp. 316-327) e Circondario di Isernia pp. 331 e sgg., Torino 1899.
32 Cfr. Id., La Patria. Geografia dell’Italia, cit.; G. Mancini, Casacalenda, in F., Cirelli (a

cura di), Il Regno delle Due Sicilie descritto ed illustrato, cit.


33 Ilaria Zilli, Acqua, energia e macchine in Molise fra età moderna e contemporanea, in Fa-

bio Bettoni, Augusto Ciuffetti (a cura di), Energia e Macchine. L’uso delle acque nell’Appenino
centrale in età moderna e contemporanea, quaderno monografico di «Proposte e ricerche»,
35/2009; I Quaderni di «Patrimonio Industriale/Industrial Heritage», 2/2010, Crace, Terni 2010.
34 Pietro Rescigno, Diario Sepino 1800-1900. Fatti personaggi e frammenti di vita, tra cro-

nache storia nella Sepino del XIX secolo, Sepino 2001.

214
Zilli, L’arte bianca in Molise: una storia infinita?

pobasso o Isernia, ma in diversi comuni di tutti e tre i circondari (di Campo-


basso, di Isernia e di Larino). Già nel primo volume, dedicato all’intera Pro-
vincia di Molise, lo storico molisano, nel registrare l’accelerazione dello svi-
luppo industriale avvenuta appunto in età giolittiana, scriveva ad esempio:

«Sono sorti ovunque molini, frantoi e pastifici, che non hanno nulla da invi-
diare ai congeneri preesistenti altrove e piazzano il supero della propria pro-
duzione soprattutto nell’Italia centrale. Importantissimi fra i pastifici e i mo-
lini, quello dello Scarano (Trivento), del Maddalena, del Milano, del Giovi-
nazzi (Isernia); del Colagrosso (Boiano); del Battista e del Colagiovanni (La-
rino); del Guacci (Campobasso); del Luciani (Monenero di Bisaccia); del
Banch e C.i (Sepino); della ditta Barnello e del Ranaudo (Casacalenda); del
De Cosmo e C. (Ripabottoni) […]»35.

Nei successivi tre volumi, dedicati rispettivamente ai tre circondari di Cam-


pobasso, Isernia e Larino il Nostro avrebbe poi aggiunto altre notizie, ma non
molte, sulla presenza di pastifici nelle diverse realtà della provincia36.
Così nuovamente sappiamo qualcosa in più dei soci del pastificio Blanch
di Sepino, impiantato nel marzo 1912 su iniziativa dei signori Augusto
Blanc, Amato Volpe, Enrico Franchella e Nicolangelo Sanzò37. O possia-
mo avere notizia dell’energia utilizzata per muovere gli impianti o dei
quintali di pasta prodotti38.
Negli anni Venti del ’900, il comparto della pastificazione era in effetti l’uni-
co veramente fiorente della provincia di Campobasso; e si andava perfezio-
nando e specializzando, incoraggiato dalla crescente richiesta di questo pro-
dotto, non solo dalle altre province del Regno, ma anche dall’estero.
In Molise, secondo la statistica industriale del 1929, erano operativi ben
211 molini e 36 pastifici. Due anni dopo, nel 1931, i pastifici sarebbero stati
40, ma l’anno successivo si sarebbero ridotti a 37 unità39. Un dato che tutta-

35 Gianbattista Masciotta, Il Molise dalle origini ai nostri giorni, voll. I, L. Pierro e Figlio,

Napoli 1914, p. 333.


36 Ilaria Zilli, Per una storia delle città e della città in Molise, in Giuseppe Galasso (a cura di),

Le città del Regno di Napoli. Studi storici dal 1980 al 2010, Editoriale Scientifica, Napoli 2011.
37 Lo stabilimento era situato in prossimità della stazione ferroviaria e veniva azionato da un

motore ad olio pesante. La produzione quotidiana non eccedeva i 6 quintali.


38 In realtà il Masciotta nel secondo volume della sua opera ricorda solo l’esistenza di muli-

ni a Casalciprano, Castropignano, Matrice, Riccia, S. Elia a Pianisi, Sepino, Trivento nel cir-
condario di Campobasso; nel terzo volume menziona analoghi impianti a Capracotta, Chiauci,
Isernia, Monteroduni e Rocchetta al Volturno, località appartenenti al Circondario di Isernia. I
soli pastifici citati in questi volumi sono quelli esistenti di Sepino, Trivento ed Isernia già ri-
portati nel primo volume (Giambattista Masciotta, Il Molise dalle origini ai nostri giorni, voll.
II, Il Circondario di Campobasso, L. Pierro e Figlio, Napoli 1915, p. 356)
39 M. Chimisso, La tradizione dei pastai, in Renato Lalli, Norberto Lombardi, Giorgio Palmie-

ri (a cura di), Campobasso capoluogo del Molise, vol. I, Palladino Editore, Campobasso 2008.

215
/ 14 / 2018 / Studi e ricerche

via fa riflettere sul carattere, probabilmente semi-artigianale, di molti degli


impianti che venivano classificati come industrie in questi censimenti.
Quello che emerge chiaramente dalle statistiche redatte dalla Camera di
Commercio è la piccola dimensione media dei pastifici, dunque ancora più
botteghe artigiane che veri e propri impianti industriali (all’interno di cia-
scun pastificio lavoravano in media 5 operai).
Quasi tutti i pastifici erano di proprietà individuale ed erano gestiti diretta-
mente dai rispettivi proprietari, che partecipavano in prima persona al pro-
cesso produttivo40. Negli anni Trenta le tecniche di essiccazione della pasta
cd. “artificiali” non avevano soppiantato del tutto i metodi tradizionali di es-
siccazione delle paste alimentari, che rimanevano i più utilizzati in Molise.
Alla vigilia della II Guerra Mondiale a Campobasso operavano, tuttavia,
ben cinque grandi pastifici industriali: quello di Domenico Ferro e figli, con
una potenzialità di 300 quintali giornalieri ed un’assegnazione di grano, te-
nero e duro, pari a 7.474 quintali; quello di Andrea Martino, con una poten-
zialità di 100 quintali giornalieri e con 1.981 quintali di assegnazione di gra-
no; quello di Ferdinando Guacci con 300 quintali di potenzialità giornaliera e
1.639 di assegnazione di grano tenero; la Società Anonima Fontanavecchia
con 150 quintali giornalieri e 1.596 di assegnazione di grano tenero ed infine
l’impianto di Nicola Carlone41. Impianti che verranno tutti danneggiati nei
mesi finali del conflitto, se non rasi al suolo dai tedeschi in ritirata, ma che
oramai erano destinati a rappresentare il nucleo industriale dell’arte bianca
nella città e nella futura regione.
Nel corso degli stessi anni ad Isernia la situazione appariva invece molto
meno florida rispetto a passato. In questo caso preziose, in assenza delle fon-
ti aziendali, appaiono le riflessioni di Antonio M. Mattei che nella sua Storia
di Isernia ci parla dei pastifici isernini ricordando addirittura un primato che
la città pentra avrebbe raggiunto (e rapidamente perso) sul volgere
dell’Ottocento in tema di paste alimentari:

«Sembra che il primo pastificio fosse impiantato nel 1860 dalla famiglia
Maddalena, di origine carovillese; seguirono a breve distanza i pastifici Cri-
scuoli e Passarelli. [...] Alla fine del secolo scorso [XIX] la forte richiesta in-
dusse le varie ditte a migliorare le attrezzature con macchine veramente ra-
zionali: il che portò uno straordinario miglioramento qualitativo che fece en-
trare le nostre paste alimentari sui mercati delle principali città italiane»42.

40 Tra i più importanti impianti della provincia di Campobasso figuravano il pastificio di Nico-
la Carlone (con 8 operai e 20 HP di forza motrice); quello di Andrea Martino (con 5 operai e 20
HP di forza motrice) e quello dei fratelli Pavone (con 6 operai e 120 HP di forza motrice).
41 ASCb, Camera di Commercio I, b. 41, fsc. 895.
42 Antonio M. Mattei, Storia d’Isernia, vol. III, Dai Borboni alla II guerra mondiale, Athe-

na Mediterranea, Napoli 1978, pp. 365-366.

216
Zilli, L’arte bianca in Molise: una storia infinita?

Questo è in particolare vero per il pastificio dei Fratelli Maddalena che viene
menzionato per i riconoscimenti ottenuti in occasione della Fiera Campionaria
di Milano del maggio 1923, dove, nel Padiglione del Molise, visitato anche dal
Re Vittorio Emanuele III, erano in mostra «le eccellenti paste alimentari (che
sovrastano, nel confronto, sui generi analoghi di altre case, favorite da maggior
fortuna) del Cav. Sciarra e dei fratelli Maddalena»43.
In effetti l’esistenza di questi impianti e la qualità superiore delle paste da
essi prodotte trova riscontro anche in altre cronache locali precedenti. Ad
Isernia tra le principali industrie «si impone, per importanza di produzione
qualitativa e quantitativa, quella delle paste alimentari», scriveva Turco alla
fine degli anni Quaranta, e, per meglio supportare questa sua affermazione,
in una nota, specificava:

«L’industria delle paste alimentari si ebbe nella nostra città poco dopo il 1860
e fin dall’inizio la produzione dei primi tre pastifici – Criscuoli, Passarelli,
Maddalena – fu unanimemente considerata ottima dai consumatori. In pro-
gresso di tempo vennero impiantati gli altri pastifici Sciarra, Fantini, Milano
e Orlando, che consentirono di raddoppiare la produzione. Questa subì mag-
giore incremento alla fine del secolo scorso [XIX] e fu avvertita la necessità
di costruire edifizi appositi al fine di attrezzarli con impianti veramente ra-
zionali. La produzione aumentò ancora, migliorando anche qualitativamente,
per soddisfare le continue commissioni di moltissime ditte domiciliate nelle
principali città italiane. Dal 1920 al 1935 le nostre paste alimentari acquista-
rono rinomanza all’estero – specie negli Stati Uniti d’America –, ove vennero
esportate frequentemente in casse, per forti quantitativi, il che determinò la
creazione di speciali tipi di esportazione. I pastifici oggi esistenti – sette in
tutto – sono di proprietà dei sigg. Fantini, Maddalena, Milano (gestito dalla
ditta Carile & d’Apollonio), Rossi e Sciarra»44.

Sono proprio queste notizie che vengono riprese e confermate anche dal
Mattei: «In prosieguo di tempo, si ebbero altri stabilimenti impiantati dagli
Sciarra di Fara S. Martino (Ch), Fantini, Milano, Orlando e Rossi provenien-
ti da Pettoranello»45.
Proprio Antonio M. Mattei cercò di individuare gli elementi che avevano
determinato il sorgere, il fiorire e poi il declinare della produzione pastaria
isernina. Il declino, a suo avviso iniziato dopo la II Guerra Mondiale e con-
clusosi con la chiusura dell’ultimo pastificio, uno dei più antichi della città,

43 Ibidem.
44 Ermanno Turco, Isernia in cinque secoli di storia, Miccoli, Napoli 1948, p. 99.
45 Queste notizie vengono riprese anche dal Mattei: «In prosieguo di tempo, si ebbero altri

stabilimenti impiantati dagli Sciarra di Fara S. Martino (Ch), Fantini, Milano, Orlando e Rossi
provenienti da Pettoranello», A.M. Mattei, Storia di Isernia, cit., pp. 365-366.

217
/ 14 / 2018 / Studi e ricerche

quello dei Maddalena negli anni Settanta, era infatti secondo lui dovuto a più
fattori, non tutti controllabili da parte degli imprenditori locali.
Le ragioni della crisi delle industrie della pasta molisane andava inquadra-
ta, infatti, nelle difficoltà complessive registrate da tutta l’economia locale
nel corso degli anni Cinquanta46. Difficoltà che si erano protratte anche negli
anni del Miracolo economico e che in effetti avevano determinato – come è
noto – anche la ripresa dei flussi migratori dalla regione verso altre aree47.
Nel caso specifico delle industrie della pasta, a questa ragione più generale,
ne andavano aggiunte altre connesse alle caratteristiche del settore. La mag-
gior parte dei pastifici isernini era di ridotte dimensioni e utilizzava macchi-
nari e tecniche produttive tradizionali48. Queste imprese non sarebbero state
in grado di affrontare la concorrenza sempre più spietata da parte dei grandi
produttori delle paste industriali attivi nelle regioni centro-settentrionali, che
si andava ad aggiungere a quella dei pastifici della vicina Campania, dove il
settore era in continua, anche se non sempre facile, espansione.
La guerra aveva, dunque, inferto un primo colpo ai pastifici storici isernini e
campobassani, perché, a conflitto finito, essi si erano ritrovati nella necessità
di sostenere i costi di ricostruzione degli stabilimenti industriali danneggiati
durante la guerra. Nei primi anni dopo la guerra divenne inoltre più difficile e
costoso procurarsi le materie prime necessarie ai processi di lavorazione, no-
nostante la diffusione della cerealicoltura nella zona. Quello che emerge, tutta-
via, chiaramente, se si guarda con attenzione alle vicende di questo periodo, è
che il nodo di fondo di questo comparto risiedeva soprattutto nelle dimensioni
aziendali ridotte, che condizionavano la capacità produttiva e soprattutto la ca-
pacità di proiettarsi verso mercati diversi da quello locale.
Il censimento industriale del 1951 confermava nella allora provincia di
Campobasso l’assenza di una grande industria e il carattere spiccatamente
artigianale delle piccole attività presenti. Ma forniva anche una indicazione
interessante sui processi di ammodernamento e di ampliamento di impianti
nelle industrie operanti nel campo molitorio e delle pastificazione49.
Solo negli anni Sessanta, superati i problemi connessi all’approvvigiona-
mento della materia prima (il grano duro), si sarebbe però realmente avviato
un più rapido sviluppo del settore molitorio e pastaio nella provincia. L’en-
trata in vigore del Piano Regolatore del Comune di Campobasso, sul finire
46 Cfr. Giorgio Palmieri, Lo sguardo sul Molise negli anni Cinquanta: indagini, studi, rap-
presentazioni, «Rivista giuridica del Molise e del Sannio», 2017, 1, pp. 251-289.
47 Cfr. Norberto Lombardi, I molisani tra vocazioni transoceaniche e richiami continentali,

«Glocale», 2011, 4, pp. 5-106.


48 Rossella Andreassi, Gianna Pasquale, Le mani in pasta: mulini e pastifici nella storia del

Molise, L’arte bianca. Mulini e pastifici dall’Unità al Fascismo, «Glocale, rivista molisana di
storia e scienze sociali, Economie», 2011, 2-3, pp. 399-410.
49 ASCb, Camera di Commercio II, b. 89, fasc. 1.500.

218
Zilli, L’arte bianca in Molise: una storia infinita?

degli anni Sessanta, rappresentò tuttavia un ulteriore problema per le imprese


almeno del Capoluogo della appena rifondata regione: i pastifici furono in-
fatti costretti a trasferire la sede aziendale in nuove strutture presso la na-
scente zona industriale e di fatto a convertire la propria produzione da arti-
gianale a industriale, pena la chiusura degli impianti.
Non tutti i pastifici storici furono in grado di trovare le risorse finanziarie
per effettuare questa delocalizzazione, soprattutto in un momento in cui le
conseguenze dello shock petrolifero del 1973 si stavano facevano sentire su
tutta l’economia italiana e la crisi iniziava a far tremare anche le grandi im-
prese delle regioni settentrionali che avevano trascinato nei decenni prece-
denti lo sviluppo del paese.
Il comparto delle paste alimentari molisano entra di fatto anch’esso in una
fase di stagnazione della produzione che sarebbe stata superata solo nel cor-
so degli anni Ottanta. Fra il 1981 e il 1991 si sarebbe, infatti, registrata una
fase di espansione testimoniata dall’aumento del numero degli addetti del
settore e dell’incremento dei volumi prodotti.
Il numero dei pastifici si era tuttavia oramai ridotto notevolmente: a Cam-
pobasso erano attivi solo quattro pastifici, con un numero maggiore degli
addetti per pastificio e con una maggiore capacità produttiva. Un fenomeno,
che se rifletteva le difficoltà dei decenni precedenti, era anche in linea con la
tendenza manifestatasi nello stesso periodo a livello nazionale sia verso una
razionalizzazione e concentrazione delle imprese del comparto, sia verso un
aumento della potenzialità produttiva.
In questi anni di apparente prosperità si vengono tuttavia a determinare le
cause delle successive difficoltà del settore. Innanzitutto continuò ed anzi si
aggravò la discrasia fra l’attività di trasformazione industriale e quella di
produzione regionale di grano: le campagne molisane producevano in questi
anni sempre meno grano duro, ma soprattutto tale produzione veniva preva-
lentemente destinata al rifornimento di mercati extraregionali ed extranazio-
nali50. A questo si aggiunsero poi scelte di politica industriale non sempre
felici da parte degli imprenditori locali, come meglio si proverà ad eviden-
ziare nelle pagine successive.

5. Campobasso e dintorni: storie di imprese ed imprenditori

Si è visto nelle pagine precedenti come, negli anni Venti, il comparto della
pastificazione era considerato tra i più fiorenti della regione, e come, soprat-
50 Angelo Belligiano, Annamaria Tartaglia, La Filiera del grano duro in Molise, «Economia

agro-alimentare», 1998, 2, Angela Mariani, Agricoltura e industria agroalimentare, in Gino


Massullo (a cura di), Storia del Molise in età contemporanea, Donzelli, Roma 2006, pp. 511-534;
M. Tanno, Grano e società rurale nel Molise, cit.

219
/ 14 / 2018 / Studi e ricerche

tutto nella provincia di Campobasso si stesse rapidamente modernizzando,


incoraggiato dalla crescente richiesta proveniente non solo dalle altre pro-
vince italiane, ma anche dall’estero51.
Nella sola provincia di Campobasso negli anni Trenta funzionavano ben
37 pastifici. Si trattava – come già osservato, di piccole realtà produttive,
con un livello di innovazione tecnologica basso. Quasi tutti i pastifici erano
di proprietà individuale ed erano gestiti direttamente dai rispettivi proprie-
tari, secondo la tradizione consolidata dalla generazione precedente52. Si
distinguevano fra i tanti quelli di “Domenico Ferro e figli”, di “Andrea
Martino”, di “Ferdinando Guacci”, della “Società Anonima Fontanavec-
chia” e di “Nicola Carlone”53.
Tra il 1943 e il 1944, quando i tedeschi si ritirarono dal Molise, la maggior
parte di questi pastifici fu minata e rasa al suolo. L’entità dei capitali neces-
sari per la ricostruzione degli immobili determinò – come si è visto – la
chiusura definitiva di alcuni impianti e solo i pastifici che riuscirono a supe-
rare questa criticità riuscirono poi ad avvantaggiarsi della rapida ripresa
dell’economia italiana del decennio successivo.
Un ulteriore problema sarebbe stato determinato dalla scelta dell’ammini-
strazione di Campobasso di delocalizzare alla fine degli anni Sessanta gli
impianti industriali ancora presenti nel cuore della città. Anche in questo ca-
so il difficile accesso al credito, che caratterizzava il territorio54, in un perio-
do in cui per altro i margini delle imprese erano stati molto ridotti dal-
l’aumento dei costi della materia prima, contribuì incrinare la solidità delle
aziende. Fu questo il caso dello storico pastificio creato agli inizi del ’900 da
Andrea Martino, ubicato in pieno centro in via Mazzini a ridosso della ferro-
via e che negli anni Settanta, che, non riuscendo a reperire le risorse necessa-
rie ad attuare le prescrizioni del nuovo Piano regolatore, fu costretto a liqui-
dare l’attività. Ma le stesse difficoltà spinsero il pastificio Ferrante, che ave-
va negli anni Cinquanta appena ricostruito il suo impianto in via Principe di
Piemonte, a sospendere la produzione negli anni Sessanta.
I pastifici campobassani erano a quella data tutti, anche quelli di più grandi
dimensioni, imprese familiari, così lo erano quelle del settore della trasfor-
mazione degli sfarinati in pasta, che potevano sintetizzarsi, per la provincia
di Campobasso, nelle famiglie Martino, Ferrante, Guacci, Carlone e Colavi-
ta55. Un elemento quest’ultimo che, come la storiografia ci ricorda, aggiun-

51 ASCb, Camera di Commercio I, b. 85, fasc. 1.618, Relazione statistica per l’anno 1929.
52 Ivi, b. 89, fasc. 1.634.
53 Ivi, b. 41, fasc. 895.
54 Ilaria Zilli, L’economia nell’Ottocento, in Gino Massullo (a cura di), Storia del Molise in

età contemporanea, cit.


55 M. Chimisso, La tradizione dei pastai, cit.

220
Zilli, L’arte bianca in Molise: una storia infinita?

geva un ulteriore elemento di vulnerabilità al comparto al momento degli


inevitabili passaggi generazionali della leadership aziendale.
Potrebbe essere in parte anche questa una delle ragioni della chiusura del
più antico pastificio di Campobasso, quello fondato nel 1890 da Ferdinando
Guacci e che aveva operato ininterrottamente fino agli esordi della seconda
guerra mondiale. Lo stabilimento aveva ripreso a funzionare già nel 1947 per
poi fallire nel 2004, in circostanze rese drammatiche dal suicidio del suo ul-
timo proprietario Massimo Pallante.
Così come a diverse visioni del futuro dell’azienda fra gli eredi del fonda-
tore fu dovuta la cessione del pastificio Colavita, insediatosi nel capoluogo
quando la famiglia Colavita, che lo aveva fondato nel 1912, si è spostata da
Sant’Elia a Pianisi, alla Famiglia Scasserra. E che oggi continua a produrre,
ma prevalentemente per il mercato internazionale.
Tra gli impianti che concorrevano a costituire il disegno dell’industria pa-
staia di Campobasso vi era infine La Società Anonima Fontanavecchia che
dopo aver superato le varie fasi di crisi del secondo dopoguerra smise la sua
produzione nel corso degli anni Novanta perché anch’essa non riusciva a so-
stenere i costi di produzione.
E veniamo in ultimo alle vicende de La Molisana, dalla storia altrettanto
segnata da alti e bassi, che sembra oggi essere rimasta l’ultima grande azien-
da in grado di difendere con successo, in Italia e all’estero, la tradizione dei
pastai campobassani.
Si tratta di una azienda che può vantare radici lontane. Nel 1912, Nicola Car-
lone fondò infatti a Campobasso in via Mazzini, la Ditta Carlone Nicola per la
sola produzione di paste alimentari, dopo aver deciso di sciogliere la società
Fabbrica di Ghiaccio e Pastificio, creata alcuni anni prima con la famiglia
Ciotoli56. L’impianto sarebbe stato poi ristrutturato e modernizzato negli anni
Trenta, ma anche questo il pastificio era stato fatto saltare dalle truppe tede-
sche in ritirata. Ricostruito rapidamente nel dopoguerra dai fratelli Nicola e
Martino Carlone, negli anni Cinquanta si era trasferito, per ragioni di spazio,
nella sede di via Crispi a Campobasso, l’ultima sede produttiva in centro città.
Il notevole accrescimento della produzione nel corso degli anni Sessanta aveva
determinato la necessità di ampliare l’impianto spostandolo anche in ottempe-
ranza del più volte citato nuovo Piano regolatore della città57.
Dal 1969, l’attività produttiva de La Molisana veniva dunque già svolta nel
grande e moderno stabilimento di Colle delle Api. Tra il 1977 ed il 1979,
l’impianto venne poi ulteriormente ampliato e l’azienda si dotò anche di un
mulino proprio con l’idea di abbattere i costi della materia prima e di meglio

56Maddalena Chimisso, Il caso de La Molisana: conversazione con l’ing. Carlone, cit.


57Id., Pastifici, in Roberto Parisi, Ilaria Zilli (a cura di), Il Patrimonio Industriale in Molise,
Crace, Città di Castello 2012.

221
/ 14 / 2018 / Studi e ricerche

sostenere l’ampliamento programmato della sua produzione di paste. Dal


1981 fino ai primi anni Novanta, La Molisana sembrò crescere senza pro-
blemi, ma già nel 1991 cominciarono a evidenziarsi i primi segnali di una
crisi che non era solo di carattere economico ed industriale. Una crisi che sa-
rebbe poi culminata nel 1994 con la definitiva uscita dell’ultimo rappresenta-
te della famiglia Carlone dalla gestione societaria.
Preziosa per comprendere le ragioni di una crisi aziendale di una impresa
che sembrava solida è la testimonianza di uno dei protagonisti raccolta alcu-
ni anni fa da Maddalena Chimisso58. Proprio l’ingegner Carlone ci riporta a
considerare un elemento di criticità cui abbiamo già fatto riferimento per al-
tre fasi della storia del comparto, ovvero quello connesso alle ridotte dimen-
sioni del mercato locale e alla difficoltà anche delle aziende più grandi di
conquistarsi mercati più ampi al di fuori dei confini regionali.
La Molisana a metà degli anni Novanta, nonostante la sua rilevanza a livello
locale, ricopriva solo il 3,5% del mercato nazionale delle paste alimentari e in-
contrava di conseguenza difficoltà enormi a spingere i suoi prodotti oltre que-
sta quota perché, nella fascia dell’alta qualità dove La Molisana operava, il
mercato era saturo. Le altre quote erano ormai da tempo saldamente distribuite
tra la Barilla (35% circa), l’Agnesi (6% circa) e la De Cecco (5% circa).
L’azienda molisana aveva provato – come ha raccontato Carlone – a contra-
stare il monopolio della Barilla, cercando di promuovere la creazione di un
Secondo Polo Pastai Italiani che, mettendo insieme Divella e Amato, imprese
campane, De Cecco, abruzzese59, e La Molisana dei Carlone, avrebbe consen-
tito di raggiungere una quota pari al 18-20% del mercato italiano della pasta.
Le quattro famiglie coinvolte nel progetto sarebbero state a capo di una
holding ed avrebbero continuato a mantenere ciascuna il proprio marchio
e la propria identità. L’idea di un blocco imprenditoriale a Mezzogiorno
sembrò decollare, ma alla fine si potrebbe dire che prevalse l’individua-
lismo a discapito, soprattutto dell’impresa campobassana, che era la più
fragile delle quattro.
Svanita l’idea del Secondo Polo Pastai Italiani e consapevole degli ingen-
ti investimenti necessari per aumentare di un solo punto percentuale le
quote nazionali di mercato, La Molisana avrebbe cercato una soluzione ol-
treoceano nei mercati esteri e puntando nello specifico su quello americano
che apparivano ancora in espansione e dove in parte l’azienda era già pre-
sente. Neanche questo percorso convinse però il Consiglio di Amministra-
zione della Molisana, timoroso di dover sostenere nuovi costi senza rientri

58 Id., Il caso de La Molisana: conversazione con l’ing. Carlone, cit.


59 Cfr. Paola Pierucci, L’impresa famigliare in Abruzzo: il caso della De Cecco, in Ennio
De Simone, Vittoria, Ferrandino (a cura di), L’impresa famigliare nel Mezzogiorno continen-
tale fra passato e presente. Un bilancio, FrancoAngeli, Milano 2009.

222
Zilli, L’arte bianca in Molise: una storia infinita?

immediati di profitti, e che quindi, a maggioranza, nell’estate del 1993, de-


liberò di abbandonare la pista americana puntando prevalentemente ad una
crescita sul mercato nazionale60.
Gli esiti di questa decisione furono le dimissioni del direttore generale e la
successiva decisione di Gianfranco Carlone di liquidare le sue partecipazioni
nella società, perché le insuperabili divergenze con gli altri membri del Con-
siglio di Amministrazione nelle strategie aziendali da perseguire rendevano
impossibile la sua presenza in quella che era stata l’impresa di famiglia. Il
decennio successivo avrebbe visto il lento declino di una delle maggiori
aziende molisane; il periodo di crisi sfociò nel fallimento dichiarato l’11
maggio del 2004. Nello stesso anno, dopo la dichiarazione di fallimento, La
Molisana venne data in affitto al Gruppo Maione di Cicciano (NA), gruppo
che l’avrebbe amministrata senza grande successo fino all’aprile 2009,
quando il giudice optò per la curatela fallimentare.
Sul finire del 2009 si aprì per l’azienda campobassana un nuovo percorso
industriale guidato da un gruppo di investitori locale facente capo alla fa-
miglia Ferro. Con l’acquisizione dello storico brand La Molisana, il Grup-
po Ferro di fatto scelse di integrare verticalmente le sue storiche attività
molitorie con quelle della produzione della pasta. Una scelta che sembre-
rebbe sia stata vincente.
Nel 2012 è stato dunque possibile celebrare il centenario de “La Molisa-
na”. E oggi, a sei anni di distanza, le difficoltà del passato sembrano essere
state ampiamente superate. In pochi anni il brand, è passato infatti dal
0,3% di quota di mercato di febbraio 2011 al 4,5% di febbraio 2015. Gli
investimenti nel rinnovamento degli impianti sono stati importanti e mirati.
Oggi l’azienda possiede 10 linee produttive con una capacità di pastifica-
zione di 444 tonnellate giornaliere, 18 linee di confezionamento che offro-
no tutte le tipologie di packaging e magazzini automatizzati per totali
33.000 posti pallet, creando una piattaforma logistica molto evoluta. La
Molisana offre al momento una gamma di circa 100 formati ed una produ-
zione interna di pasta all’uovo che rappresenta il fiore all’occhiello
dell’azienda, ma la dinamicità è tale che anche questo numero potrebbe es-
sere destinato a cambiare a brevissimo.
L’azienda ha in effetti investito moltissimo nella qualità dei suoi prodotti,
ma anche opportunamente in campagne pubblicitarie che rilanciassero un
marchio un po’ appannato dalla gestione precedente. Il ritorno sulla scena
televisiva italiana e le operazioni pubblicitarie e di fidelizzazione rivolte ai
molisani all’estero hanno avuto evidentemente uno straordinario successo ed
è interessante notare che è nuovamente ai mercati americani che l’azienda
sembra puntare per continuare a crescere. E sembra che questa volta ci sia

60 Ivi.

223
/ 14 / 2018 / Studi e ricerche

riuscita, ma solo nei prossimi anni si potrà valutare l’efficacia di una politica
aziendale che sembra finalmente aver trovato il modo di uscire dalle secche
che il mercato locale hanno nei decenni fatto arenare molte imprese molisane
di questo settore, ma non solo.

6. Alcune considerazioni conclusive

Quanto si è venuti raccontando nelle pagine precedenti ci sembra abbia


fatto emergere alcuni elementi di continuità nella lunga storia del settore
molitorio e pastario molisano, ma anche alcuni interessanti elementi di no-
vità. Gli elementi che hanno caratterizzato la storia della pasta, e più in ge-
nerale dell’arte bianca nell’area corrispondente all’attuale regione Molise
sono stati inizialmente soprattutto la disponibilità della materia prima (gra-
no, sfarinati) e la disponibilità di acqua intesa sia come forza motrice che
come elemento importante nella realizzazione delle paste stesse. La tradi-
zione culinaria locale utilizza ampiamente la pasta anche se ovviamente
prevalentemente nella sua declinazione di pasta fresca. La comparsa dei
primi veri e propri pastifici moderni si realizzò nel corso dell’800 e non a
caso all’interno e in prossimità dei principali centri abitati della provincia,
ovvero Campobasso e Isernia. Si trattava di impianti che riflettevano le ca-
ratteristiche del panorama industriale locale e che quindi erano comunque
caratterizzati dalle piccole dimensioni e da un utilizzo di sistemi di produ-
zione tradizionali (ad esempio si continuava a preferire il processo di essi-
cazione naturale della pasta piuttosto che quello forzato). Con il trascorrere
del tempo il processo di concentrazione e razionalizzazione della produ-
zione della pasta che di fatto si realizzò nella regione fu sollecitato sia da
fattori esogeni (come gli esiti dei due conflitti mondiali, ma anche dalla
crescente concorrenza esercitata dalle grandi imprese del nord), sia da fat-
tori endogeni. La divaricazione tra la tipologia dei grani prodotti dall’agri-
coltura molisana e quella richieste dai suoi pastifici, fu ad esempio una dei
fattori che incise negativamente sull’aumento dei costi produzione. Un al-
tro fattore fu, nel caso delle imprese di Campobasso, la necessità di sposta-
re gli impianti nella nuova area industriale, spostamento che richiedeva una
capacità di procurarsi risorse finanziarie che non tutte le imprese avevano e
che comunque comportava un appesantimento dei bilanci aziendali non
sempre i volumi delle vendite rendevano sopportabili. E veniamo quindi al
terzo e forse più evidente vincolo alla tenuta dei pastifici molisani: la di-
mensione del mercato locale. Un mercato locale e che neanche l’intervento
straordinario degli anni Settanta aveva realmente stimolato e che non la-
sciava alle imprese molti margini di sviluppo. Strette nella morsa di aree
produttive più forti come la Campania, ma in qualche misura anche gli

224
Zilli, L’arte bianca in Molise: una storia infinita?

Abruzzi, i pastai molisani avevano scelto in molti casi di produrre per i


mercati oltreoceanici, dove le numerose comunità di molisani all’estero
rappresentavano spesso una importante occasione per collocare diverse ti-
pologie di prodotti alimentari locali (non solo le paste, ma anche olio, caf-
fè, vino). I numerosi vincoli presenti resero difficile la vita non solo alle
piccole e medie aziende ma anche a quelle di dimensioni più grandi e con
un progetto di crescita aziendale apparentemente ben chiaro in mente. Il
caso de La Molisana appare emblematico anche se per molti versi in fieri.
Speriamo che possa rappresentare un caso di successo dopo tanti, talvolta
inspiegabili per mancanza di fonti, fallimenti.

225

Potrebbero piacerti anche