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Alessandro Amadori

METAFORE, MESSAGGI E SIMBOLI


COME SILVIO BERLUSCONI HA CONQUISTATO
IL CONSENSO DEGLI ITALIANI

LIBRI SCHEIWILLER
Qual è il segreto del successo di Silvio
Berlusconi come uomo politico? Perché Forza
Italia è diventata in pochi anni il primo partito
italiano? Quali sono i punti di forza di una for-
mula politico-imprenditoriale che sembra inar-
restabile? E' possibile un'alternativa al berlu-
sconismo? Il volume cerca di dare una risposta
a tutte queste domande analizzando l'uomo e
il leader con gli strumenti della psicologia,
della semiologia e della ricerca di mercato.
L'analisi, incentrata sul "prodotto Berlusconi",
è basata soprattutto sull'ormai celebre fascico-
lo elettorale Una storia italiana, oltre che sulle
dichiarazioni pubbliche del presidente del
Consiglio.
M i consenta analizza con oggettività e rigore
tutti gli strumenti comunicativi di Berlusconi,
dal linguaggio verbale a quello non verbale,
dalle simbologie ai messaggi, alle metafore
contenute nelle sue parole, ai suoi comporta-
menti. Meccanismi sottovalutati e trattati con
sufficienza da un'opposizione che non sembra
in grado di dominare in maniera altrettanto
efficace i mezzi di comunicazione di massa.
Che in una società come quella in cui viviamo
sono tra le chiavi determinanti del potere.
CONTRASTI - 2

MI CONSENTA
\

i
Alessandro Amadori

MI CONSENTA
M ETA FO RE, M ESSA G G I E SIM BO LI.
C O M E SILVIO BER LU SC O N I
H A C O N Q U IST A T O
IL C O N SE N SO D EGLI ITA LIA N I

L IB R I S C H E IW IL L E R
M IL A N O
“CONTRASTI”

“Contrasti” è una collana di proposta e di intervento, aperta, senza delimi-


tazioni disciplinari né discriminanti ideologiche o politiche. Le scelte sono
dettate esclusivamente dalla qualità del testo, dalla sua originalità, dalla
capacità di anticipare tendenze o di provocare dibattito su temi di attualità
politica, sociale, economica, culturale, di costume.
La collana ospita autori di diverso orientamento. Del resto il fondatore della
casa editrice, Vanni Scheiwiller, pubblicava Ezra Pound, Louis Ferdinand
Céline, Julius Evola, Ferdinando Ritter, così come Romano Bilenchi, Felice
Chilanti, Elio Vittorini, Nanni Balestrini, Padre Turoldo.
E al suo criterio esclusivamente “editoriale”, al di là e al di sopra degli schie-
ramenti, che continueremo a ispirare le nostre scelte.

Progetto grafico: Type Design, Milano


Illustrazione di copertina: Filippo Preti

© 2002 LIBRI SCHEIW ILLER


Via Cosimo Del Fante, 8 - 20122 Milano
e-mail: info@Iibrischeiwiller.it
sito web: www.librischeiwiller.it
ISBN 88-7644-314-2
PRINTED IN ITALY
Som mario

Premessa
Il bisogno di capire 9

Introduzione
Il mestiere dell’entomologo 17

Capitolo primo
Una storia italiana 21

Capitolo secondo
Psicodinamica di un leader 33

Capitolo terzo
Puomo multidimensionale 55

Capitolo quarto
Pamico ideale 73

Capitolo quinto
Pa fabbrica dei desideri 85

Capitolo sesto
Pa democrazia dei sondaggi 95
Capitolo settimo
Il codice del bambino 109

Capitolo ottavo
Il culto della personalità 127

Capitolo nono
Quale futuro? 143

Conclusioni 153

Riferimenti bibliografici 161


A mio padre Nino
a mia moglie,
ai miei figli
Premessa

Il bisogno di capire

L a comunicazione ha assunto un ruolo centrale nelle moderne demo-


crazie occidentali. Accanto al “fare” concreto è indispensabile - per
privati, imprese, governi - la capacità di portare alla conoscenza della più
vasta platea dei cittadini i risultati di quel “fare”.
Senza una valida comunicazione, idee, proposte, azioni e soprattutto
risultati, rischiano di non essere capiti, di venire ignorati o addirittura di
trasformarsi in un boomerang dagli effetti negativi. Paradossalmente, in
Italia, su questo argomento sembrano andare d’accordo governo e opposi-,
zione. Il centrosinistra lamenta di aver governato bene, anzi, di aver rag-
giunto risultati eccezionali in soli cinque anni di potere, ma di essere stato
vittima di una sistematica distorsione dei fatti da parte dell’opposizione. E
di non essere stato capace di comunicare i suoi successi in modo positivo
agli elettori che, anche per questo, lo hanno “punito” alle elezioni del
2001.
Analogamente, il governo Berlusconi dichiara di avere lavorato «mol-
tissimo e benissimo» nei primi mesi della legislatura ma di non essere
riuscito a portare questo lavoro alla conoscenza dei cittadini per mancan-
za di una valida comunicazione e, soprattutto, per una sistematica disin-
formazione attuata dall’opposizione politica e sociale. Tanto che alla fine
del marzo 2002 lo stesso presidente del Consiglio ha annunciato pubbli-
camente la necessità di una sua personale discesa in campo “comunicati-
vo” per spiegare bene agli italiani le proposte e i risultati concreti del
governo.
Non per nulla le posizioni del Premier su vari eventi centrali della vita
politica del paese - dall’assassinio di Marco Biagi alle polemiche sull’arti-
colo 18 e i licenziamenti - non sono state illustrate in Parlamento ma

9
MI CONSENTA

direttamente al pubblico, con un clamoroso intervento televisivo a reti


unificate, senza possibilità di contradditorio (e, successivamente, con una
lunga “conversazione” al Costanzo Show).
Una chiara esemplificazione di come le regole siano cambiate e di come
la comunicazione - soprattutto televisiva - abbia assunto un ruolo cen-
trale nella nostra democrazia.
In verità, l’intreccio fra comunicazione televisiva, politica e democrazia
è tema dominante nel dibattito politico-culturale, non solo in Italia e non
solo da oggi. E universalmente riconosciuto che l’elezione di Kennedy alla
presidenza degli Stati Uniti fu dovuta in misura determinante alla sua
migliore performance nel confronto televisivo diretto con Nixon. E qual-
cosa di analogo si ritiene sia accaduto anche in occasione della campagna
elettorale del 1996 nel confronto televisivo Berlusconi/Prodi con le rispet-
tive squadre. E non è forse un caso che, da allora, Berlusconi non abbia
più accettato confronti diretti, preferendo una comunicazione senza con-
tradditori.
Le mutazioni profonde che una evoluzione dell’uso dei media non
governata da precise regole è in grado di determinare nella qualità della
vita democratica e negli stessi livelli di libertà dei cittadini è largamente
presente nelle coscienze più avvertite. Cercare di capire i meccanismi
“intimi” dei processi più avanzati della comunicazione politica è, quindi,
molto di più che una curiosità. E il tentativo di offrire una chiave di let-
tura critica di un fenomeno che quotidianamente ci coinvolge, o meglio ci
“avvolge”, sia come singoli sia come comunità. Il grande processo media-
tico in cui siamo immersi è una conquista della modernità, ma non è esen-
te da rischi. Più ne siamo avvertiti e più riusciremo a salvaguardare, inte-
gra, la nostra condizione di uomini liberi senza rinunciare allo straordina-
rio beneficio dei progressi della comunicazione.

Berlusconi è unanimemente ritenuto un “grande comunicatore”. La sua


stessa discesa in campo politico nel 1993/94 e i risultati raggiunti in pochi
mesi di campagna costituiscono il più clamoroso esempio di successo
“mediatico” mai verificatosi al mondo. Non solo in politica ma, più in
generale, in qualsiasi mercato, compresi quelli di largo consumo. Un
record da Guinness. Il Cavaliere è anche riuscito a imporre al paese un
nuovo linguaggio, un nuovo modo di fare politica. Luomo del celebre «mi
consenta» ha improntato di sé non solo la scena politica italiana, ma
anche la “grammatica” con cui essa si esprime. Ecco perché questo libro

10
IL BISOGNO DI CAPIRE

ha per titolo proprio quel «mi consenta» che di Silvio Berlusconi è lo sti-
lema più diffusamente riconosciuto, quasi una “bandiera linguistica”.
Questo libro vuole, appunto, analizzare il linguaggio e la comunicazio-
ne “vincente” di Berlusconi col metodo delle ricerche qualitative di mer-
cato, cioè con l’analisi non tanto dei numeri, quanto dei meccanismi psi-
cologici che spingono le persone a “credere” e a “comprare” qualcosa.
Alessandro Amadori non è un politico ma un ricercatore di mercato.
Ha conosciuto dall’interno i meccanismi della comunicazione televisiva
lavorando e partecipando a numerosi programmi televisivi.
Dopo una laurea e un dottorato di ricerca in psicologia, da sempre lavo-
ra all'Istituto CIRM di Milano, coordinando l’area delle ricerche motiva-
zionali, quelle in cui si utilizza appunto la psicologia per analizzare i feno-
meni di mercato.
Un ricercatore che, nell'ormai lontano 1994, in un’indagine commis-
sionata dall’allora PDS, quando i sondaggi quantitativi davano al neodi-
sceso in campo Silvio Berlusconi appena il 3-5% di consensi, fu tra i primi
ad accorgersi che Forza Italia avrebbe raggiunto risultati molto superiori
(almeno il 20%) e avrebbe rappresentato la grande novità dello scenario
politico nazionale.
A otto anni di distanza da quella piccola indagine qualitativa, basata su
soli due gruppi di discussione - indagine che naturalmente non fu credu-
ta dal committente perché i risultati sembravano effettivamente “incredi-
bili” di fronte ai responsi dei sondaggi quantitativi - l’autore di questo
libro può dire di aver visto giusto. Perché il 13 maggio del 2001 non solo
si è insediata una nuova maggioranza “blindata”, ma si è anche avviata
una nuova fase sociopolitica nella storia d’Italia, la fase del berlusconismo.
Una fase che - e questa è una previsione che Amadori ripeterà più volte
nel corso del libro - potrà avere un ciclo di vita “di almeno dieci anni”.
Prepariamoci dunque a vivere per molto tempo in un nuovo sistema
sociopolitico perché, lungi dall’essere un’operazione “di cartapesta”, la
conquista del potere da parte del leader di Forza Italia ha tutti gli elemen-
ti per risultare solida, duratura e capace di incidere profondamente sul
costume nazionale. In altre parole, per diventare un regime, nel senso in
cui lo è stato, per esempio, quello democristiano.
Memore, dunque, di quella prima intuizione del 1994, Amadori ha
deciso di studiare, con l’ottica del ricercatore motivazionale, gli strumen-
ti comunicativi utilizzati da Silvio Berlusconi e dai suoi collaboratori. A
cominciare da Una storia italiana. Questo fascicolo - distribuito a tutti gli

II
MI CONSENTA

italiani in milioni di copie durante la campagna elettorale - è stato snob-


bato dalla critica come una fanzine da villaggio turistico, ma è probabil-
mente quanto di più sincero Silvio Berlusconi abbia voluto scrivere o far
scrivere su se stesso e sul berlusconismo, adoperando naturalmente un suo
codice comunicazionale. E il vero manifesto politico e personale del pre-
mier e della sua concezione del mondo. Per questo il fascicolo va preso sul
serio e considerato attentamente, parola per parola, nei suoi significati
diretti e in quelli indiretti, nelle cose che dice e nei simbolismi cui fa rife-
rimento.
Amadori ha poi esaminato con la stessa ottica altri testi “fondamenta-
li” del nuovo movimento politico: proclami, dichiarazioni, articoli, inter-
venti esterni. Ha quindi preso in considerazione l’intelligente utilizzazione
da parte del leader di Forza Italia dei più raffinati metodi di comunicazio-
ne di massa, delle più collaudate tecniche di marketing e della televisione
come strumento principe della civiltà mediatica.

Sulla base di questi approfondimenti e di una serie di considerazioni e pre-


visioni raccolte in anni di monitoraggio dello scenario politico italiano,
l’autore ha elaborato alcune riflessioni sulla natura e sui possibili sviluppi
della nuova realtà politica.
La prima riflessione è che la “fenomenologia” di Berlusconi, per dirla
alla Umberto Eco*, che associa storia e fiaba (o dà reinterpretazioni favo-
listiche di piccole o grandi storie) nasce dalla intuizione, forse neanche del
tutto consapevole, che la crisi delle ideologie ha prodotto anche la crisi
delle utopie. In questa situazione, la fiaba costituisce il surrogato dell’uto-
pia (il bisogno di fiaba del resto è confermato dai successi di eventi e di
produzioni culturali e di massa nel campo della fiction). Come Amadori
spiega in un successivo capitolo, il sondaggio come intercettazione dei
bisogni e la comunicazione come “fabbrica dei desideri” costituiscono il
mix dell’offerta del “sogno berlusconiano”.
La seconda è che l’operazione politica del leader di Forza Italia nasce
dalla favorevole combinazione di quattro fattori principali: l'animai spirit
del capo come interprete di umori diffusi almeno in una certa parte degli
italiani; la capacità di affidare tali intuizioni alle elaborazioni “scientifiche”
di esperti multidisciplinari in grado di confezionarle con raffinata efficacia;

* II riferimento è alla celebre “Fenomenologia di Mike Bongiomo”, contenuta in Diario


Minimo di Umberto Eco, pubblicato da Bompiani nel 1963 (ultima edizione 1992).

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IL BISOGNO DI CAPIRE

una smisurata disponibilità di risorse economiche; la possibilità di ricorre-


re a una potenza eccezionale di mezzi di comunicazione con la quale nes-
suno in Italia - e forse neppure nel resto del mondo - è in grado di com-
petere.
La terza riflessione è che se la comunicazione ha sempre contato nella
competizione politica, si può dire che “fino a Berlusconi” restava chiara la
distinzione fra mezzi e messaggi. La vera novità è che con lui la comuni-
cazione è diventata, insieme, mezzo e messaggio, strumento e contenuto,
concretizzando così il celebre assioma di Marshall McLuhan: «il mezzo è il
messaggio». Ecco allora che la comunicazione è in grado di risolvere con
disinvoltura qualsiasi contraddizione, semplicemente perché basta martel-
lare, dire e ridire quello che si vuole far passare.
Analogamente, sparisce la distinzione fra sogno e realtà. Cosicché la
dimensione onirica, in sostanza, è il vero progetto politico berlusconiano
capace di rispondere ai desideri di tutti: di chi vuole meno tasse, di chi
cerca un lavoro, di chi punta al successo, di chi ritiene che ognuno di noi
possa essere “lui”.
Dati i caratteri dominanti che l’hanno generata, l’esperienza politica in
corso sarà destinata comunque a incidere profondamente nei costumi
sociali, politici e culturali degli italiani, ben aldilà di quanto l’abbiano già
fatto le televisioni commerciali.
Adesso che il berlusconismo si è affermato, c’è bisogno di capire come
funziona e che cosa lo caratterizzerà. Le pagine che seguono hanno pro-
prio questo obiettivo: spiegare un fenomeno “forte” della recente storia
politica italiana, elaborare previsioni per la sua evoluzione futura e stimo-
lare un dibattito scientifico e non ideologico.
LEditore

13
MI CONSENTA
I
Introduzione

Il mestiere dell'entom ologo

T enuto conto che dall’età comunale in poi l’Italia è tradizionalmente il


paese della contrapposizione tra Guelfi e Ghibellini, per evitare frain-
tendimenti desidero fare alcune precisazioni.
Quanto scrivo in queste pagine è il tentativo di capire i meccanismi psi-
cologici e comunicazionali attraverso i quali un imprenditore, prima edile
poi televisivo, è a riuscito a diventare in appena un decennio il leader
assoluto della politica italiana. E anche il tentativo di interpretare un
fenomeno di così ampia portata e di prevederne l’evoluzione. So che sarà
difficile evitare le critiche di chi vedrà in queste pagine un innalzamento
eccessivo della figura di Silvio Berlusconi e di chi, dall’altro fronte, vi
vorrà leggere un progetto di demonizzazione del personaggio.
In verità, penso semplicemente che il berlusconismo sia un argomento
più che serio, da analizzare non solo in chiave sociale, politica ed econo-
mica, ma anche psicologica. In senso metaforico, potrei dire che ho cer-
cato di rapportarmi al fenomeno - e soprattutto al personaggio Silvio Ber-
lusconi - nello stesso modo in cui un entomologo studia una specie estre-
mamente rara e interessante di farfalla.
Gran parte delle considerazioni svolte nel testo derivano da fonti diret-
te che meglio delle stesse metaricerche possono consentire di capire il
nuovo movimento. In.primo luogo, la pubblicazione Una storia italiana
che, insieme a svariati altri milioni di persone, ho ricevuto in campagna
elettorale 2001. In secondo luogo, le dichiarazioni pubbliche di Silvio Ber-
lusconi e dei suoi principali collaboratori, regolarmente riportate dagli
organi di stampa.
Poiché sono un ricercatore - e in particolare motivazionale - mi è

17
MI CONSENTA

venuto spontaneo fare l’analisi del contenuto (Krippendorf, 1983) di quel-


lo straordinario fascicolo prima, e degli altri “materiali semantici” del lea-
der di Arcore e dei suoi collaboratori poi. Nell’insieme, costituiscono
un’importante massa di informazioni e di spunti che ingiustamente gli
osservatori hanno sottovalutato, liquidando il primo come una forma
minore di “comunicazione pubblicitaria”, e i secondi come discorsi a fini
esclusivamente propagandistici.
In realtà, Una storia italiana, scritto probabilmente da altre persone e
non da Silvio Berlusconi (anche se con frasi del leader di Forza Italia), del
berlusconismo e della stessa personalità del Cavaliere è una specie di “bio-
grafia autorizzata”, utilissima come tale per entrare nei suoi meccanismi
mentali. Del fascicolo pre-elettorale del Cavaliere la maggior parte dei
commentatori ha dato sinora una lettura riduzionistica, come se si trat-
tasse di una “stupidaggine” (dichiarazione testuale di alcuni politici di
centro-sinistra, all’epoca della campagna elettorale). Anche questo ha
contribuito non poco a sottovalutare il berlusconismo e a far continuare
sulla strada di non volere - e non riuscire - a capirlo. La stessa cosa sta
accadendo con le prese di posizione ufficiali di Berlusconi come uomo di
governo: l’opposizione e i vari critici ne danno sempre una lettura “com-
merciale”, come se fossero un semplice prolungamento della campagna
elettorale, mentre a mio parere sono il vero e proprio disvelamento del
Berlusconi-pensiero e, quindi, rappresentano delle straordinarie “chiavi di
accesso” all’uomo.
Spero, con il mio breve lavoro, di colmare una lacuna che è al tempo
stesso psicologica e culturale: di stimolare gli osservatori ad abituarsi a leg-
gere il berlusconismo tra le pieghe delle sue manifestazioni apparente-
mente “minori”. Perché proprio in queste manifestazioni si cela il segreto
del successo dell’uomo, il suo disegno umano e politico. Del resto, ogni
entomologo sa bene che qualunque azione della creatura sotto osservazio-
ne ha il suo preciso significato, e ogni psicologo di mestiere si rende conto
che nel quotidiano, nelle piccole cose, appunto nei gesti minori, si estrin-
seca la personalità. Partendo da questo principio mi sono immerso nell’a-
nalisi di Una storia italiana.

Attraverso l’approccio culturale e metodologico appena descritto (e ben


riportato in testi come Fabris, 1968; Parry, 1973; Quintavalle, 1984), mi
sono fatto un’idea precisa di chi sia l’uomo che presumibilmente governe-
rà l’Italia nei prossimi non cinque, ma dieci anni (o forse più: dieci come

18
IL MESTIERE DELL'ENTOMOLOGO

presidente del Consiglio e sette come presidente della Repubblica). A


meno che non avvengano trasformazioni ed evoluzioni politiche ed eco-
nomiche al momento non ipotizzabili. A meno che le opposizioni non
riescano a elaborare unitariamente un progetto alternativo che incontri il
consenso del paese.
Per il momento, ci troviamo di fronte uno straordinario - e per alcuni
aspetti rischioso - esperimento di psicologia politica e sociale.
Un esperimento che ha per protagonista un personaggio fuori dal
comune che, come la storia insegna (per esempio nel caso di Napoleone,
citato dallo stesso Berlusconi quale modello personale), può facilmente
“innescare”, al di là delle sue stesse intenzioni, meccanismi imprevedibili.

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Capitolo primo

Una storia italiana

S ul fatto che Silvio Berlusconi sia un grande comunicatore tutti sono


d’accordo. In che cosa consista, però, la sua abilità è meno facile spie-
garlo. Meglio, non è immediato stabilire perché la comunicazione del pre-
sidente del Consiglio sia più efficace, per fare un esempio, di quella di
Francesco Rutelli o di Massimo D’Alema che comunque, tecnicamente
parlando, sono ottimi comunicatori.
Secondo me, Berlusconi non è solo un comunicatore, è anche e soprat-
tutto un edulcoratore. E l’equivalente psicologico, in termini comunicazio-
nali, di quelle sostanze che si aggiungono ai cibi per renderne più dolce il
sapore. Quasi mai, nella sua comunicazione, il leader di Forza Italia parla
della realtà che lo riguarda così com’è. Ci racconta piuttosto la realtà
come dovrebbe essere, nel migliore dei mondi possibili. L’analisi del con-
tenuto di alcuni brani tratti da Una storia italiana consente quasi di coglie-
re il particolare sapore che Silvio Berlusconi sa dare alla sua comunicazio-
ne. Non tragga in inganno il fatto che in questo capitolo si faccia riferi-
mento a ricordi, episodi personali o familiari che, tutto sommato, possono
sembrare materiali semantici marginali. Si tratta, invece, di materiali par-
ticolarmente interessanti per lo studioso perché gli consentono di indivi-
duare una serie di “strutture di base” della comunicazione del Cavaliere,
strutture che sarà poi possibile applicare a tutti i suoi interventi.
Prendiamo, per esempio, il riquadrato a pagina 7 intitolato Tutti per
uno..., in cui Silvio Berlusconi rievoca l’atmosfera che caratterizzava la
sua classe liceale.
Questo testo dipinge un mondo scolastico all’insegna della più assoluta
armonia, della più completa dedizione reciproca, del più totale “consen-
so”. Un mondo quasi fiabesco, senza tempo e senza luogo, che appartiene

21
MI CONSENTA

molto più all’universo dell’immaginario che a quello della realtà. Ecco il


testo letterale:

Credo di essere stato fortunato con la mia classe, così viva e unita, e con i miei
professori, tutti di buon livello. Almeno tre, anzi, superlativi. Ma non furono
anni facili. Si studiava molto. Il pomeriggio, la sera dopo cena, il mattino pre-
sto. Una disciplina dura, dal Ginnasio sino all’esame di maturità. Cominciò il
caro don Olmi a martellarci in testa la grammatica latina e greca. Venivamo
interrogati ogni giorno e non c’era scampo: alla fine verbi e declinazioni li
sapevamo davvero. Imparammo così a studiare sul serio, a stare sui libri sino a
capire a fondo e ricordare bene. Al Liceo furono i professori di lettere ad affa-
scinarci. In particolare don Muffatti per il latino e il greco e don Biagini per l’i-
taliano. Ci insegnarono a comunicare. Esigevano chiarezza di contenuti, puli-
zia di linguaggio, “consecutio” delle argomentazioni ed equilibrio della compo-
sizione. Ci è rimasto anche il gusto della parola giusta e l’aspirazione all’etimo,
alla radice del significato. Con i compagni c’erano un’intesa profonda e una
grande carica umana che ci venivano dalle famiglie di provenienza. Di livello
medio-basso, direbbero oggi i sociologi. E naturalmente, nel gruppo contarono
molto alcune individualità. Dobbiamo a questa esperienza quel senso di rispet-
to e simpatia che proviamo per gli altri, specialmente per i più umili. Dopo il
Liceo la “squadra”, professori e compagni, è rimasta davvero molto unita. Con
tutti ci vediamo spesso. Non solo alla ricerca del tempo perduto...

Brevità, linearità, chiarezza


In questo breve scritto troviamo già tutti i “segreti” della comunicazione
berlusconiana e, se vogliamo, anche della mente di Silvio Berlusconi. C ’è
il lato tecnico della comunicazione, letteralmente da manuale, della
costruzione di un messaggio efficace (Mortara Garavelli, 1992):•

• uno scritto breve (per la precisione nel testo originale 21 righe, 237 paro-
le e 1493 caratteri in tutto, spazi inclusi), che illustra chiaramente e sin-
teticamente un determinato argomento;
• entro lo scritto breve, le frasi sono brevi, in media di 10-12 parole cia-
scuna, perché è logicamente più facile capire un pensiero “corto” che
uno “lungo”;
• il lessico utilizzato è quello che il linguista Tullio De Mauro definirebbe
il vocabolario di base: scelto cioè fra le 3000-5000 parole che la maggior
parte dei cittadini sono in grado di capire.

22
UNA STORIA ITALIANA

Indubbiamente, il fatto che la comunicazione di Berlusconi segua sempre


queste regole canoniche (brevità, linearità e chiarezza) è una delle ragio-
ni del suo successo. Ma non è né l’unica né la principale. Anche Furio
Colombo, per fare un esempio, attuale direttore de LUnità ed ex-presi-
dente di FIAT Usa, avendo soggiornato a lungo negli Stati Uniti le usa
altrettanto bene. Ma secondo me il suo modo di comunicare è assai
distante da quello del Cavaliere sotto il profilo della capacità edulcorati-
va. La vera magia di Berlusconi come comunicatore sta nel trasformare
ogni narrazione in una sorta di fiaba.
Il brano Tutti per uno... appena esaminato ha letteralmente, nel senso
morfologico del termine, la struttura di una fiaba, come viene definita nei
migliori manuali di semiologia*. Infatti (Schema 1):

• ce l’esordio felice, da “c’era una volta...” («credo di essere stato fortu-


nato...»);
• subito dopo però il cielo narrativo comincia a oscurarsi, perché in ogni•

• Il lettore interessato può consultare, per esempio, Bellussi Tassinari, 1987; Bettelheim,
1978; Propp, 1966; Tracchi Gatto, 1975; Von Franz, 1995 (vedi bibliografia finale).

23
MI CONSENTA

fiaba c’è un problema da risolvere, uno sforzo da fare («ma non furono
anni facili. Si studiava molto... una disciplina dura...»);
• la risoluzione delle difficoltà sta nella congiunzione di forze amiche,
nella solidarietà tra i co-protagonisti della fiaba («con i compagni c’e-
rano un’intesa profonda e una grande carica umana...»);
• un particolare tocco edulcorativo al racconto sta poi nell’evocare un’at-
mosfera alla Cenerentola, quasi che il Liceo Salesiano Sant’Ambrogio di
Milano, da sempre uno dei più importanti della città, fosse una scuola
per famiglie non abbienti («ci veniva dalle famiglie di provenienza. Di
livello medio-basso, direbbero oggi i sociologi...»);
• grazie all’intervento delle forze amiche le difficoltà vengono superate e
l’immancabile lieto fine può affermarsi in tutta la sua potenza, tanto da
durare per sempre («Dobbiamo a questa esperienza quel senso di rispet-
to e simpatia che proviamo per gli altri, specialmente per i più umili.
Dopo il Liceo la “squadra”, professori e compagni, è rimasta davvero
molto unita. Con tutti ci vediamo spesso. Non solo alla ricerca del
tempo perduto...»).

Concentriamoci sul quinto punto: il Silvio Berlusconi liceale del San-


t’Ambrogio di Milano si definisce come appartenente al ceto sociale
medio-basso. Tuttavia, a pagina 8 scopriamo che suo padre Luigi è entra-
to subito nel mondo del lavoro come impiegato di banca, alla Banca Rasi-
ni (e prima della Seconda Guerra Mondiale lavorare in banca era già di
per se stessa una posizione privilegiata). Sempre dal testo esaminato
veniamo a sapere che, nella sua carriera di bancario, Luigi Berlusconi è
andato in pensione come direttore generale dell’istituto di credito, una
carica che, nell’Italia del dopoguerra, definiva chiaramente l’appartenen-
za alla fascia medio-alta della piramide sociale. Lumile famiglia di Berlu-
sconi, quella che secondo lui i sociologi definirebbero di livello medio-
basso, era dunque la famiglia di un direttore generale di banca - pur pic-
cola - nell’Italia degli anni Cinquanta!
Per riuscire a trasformare una simile situazione oggettiva nella storia di
un bambino di famiglia poco abbiente che cresce fra altri bambini quasi
poveri in un liceo gestito da ammirevoli preti non basta essere un comu-
nicatore, occorre essere un affabulatore. Questa attitudine narrativo-fia-
besca, questa capacità per così dire “trasfigurativa” di Berlusconi, ai con-
fini tra realtà e immaginazione, è una delle sue più formidabili armi perso-
nali e professionali.

24
UNA STORIA ITALIANA

L’edulcorazione fiabesca della realtà


Il meccanismo dell’abbellimento della realtà è una costante della comuni-
cazione pubblicitaria (Fabris, 1968; Pesce, 1980). Berlusconi e i suoi uomi-
ni di comunicazione sono sicuramente dei “maghi” in questa tecnica.
Vediamo, per esempio, come descrivono la fine del primo matrimonio
del Cavaliere.

La vita professionale di Berlusconi si fa sempre più fitta di impegni, giornate e


notti dedicate al lavoro. La famiglia è serena, ma qualcosa nel rapporto con
Carla cambia agli inizi degli anni Ottanta. L’amore si trasforma in sincera ami-
cizia. Silvio e Carla, di comune accordo, decidono di continuare la loro vita
seguendo ognuno le proprie ispirazioni. Ma molte cose continuano a unirli;
innanzitutto, Marina e Dudi...

Partendo dall’ipotesi che questa sia una edulcorazione fiabesca della real-
tà (e non un’invenzione), e assumendo quindi per vere le affermazioni del
testo, proviamo a scrivere il messaggio base, quello “sottostante” la ver-
sione elaborata.

Luomo Silvio Berlusconi, per via della totale immersione nei suoi progetti lavorativi,
dedica sempre meno tempo alla moglie Carla. Quest’ultima alla fine si disinnamora,
e parallelamente lo stesso Silvio Berlusconi se ne disinnamora. La soluzione più civi-
le è separarsi: ognuno va per la sua strada, sistemate le varie pendenze, avendo cura
di minimizzare l’impatto di questa separazione sulla psicologia dei propri figli.

Si badi bene, persino la versione “realistica” appare come qualcosa di edul-


corato rispetto alla media delle separazioni. Ma il testo di Una storia ita-
liana è un classico esempio di manipolazione semantica. Per “manipolazio-
ne semantica” intendiamo quella tecnica che aiuta a pilotare l’interpreta-
zione di un evento (vero) verso una direzione più favorevole (o meno sfa-
vorevole) grazie a tecniche narrative, emozioni e sentimenti evocati (vedi
ancora Fabris, La comunicazione pubblicitaria, 1968). E dunque:•

• non è che Berlusconi trascura la moglie perché decide liberamente di


buttarsi a capofitto sul lavoro, è «la vita professionale di Berlusconi»
che si fa più fitta; il soggetto viene cambiato, non è più l’individuo
responsabile di quello che gli succede ma è il flusso della vita che porta
l’individuo in una certa direzione;

25
MI CONSENTA

• non è che, a causa del trascurarsi reciproco, i due si disinnamorano


l’uno dell’altro: è che «qualcosa cambia nel rapporto con Carla...»;
• non è che, come accade a tutti gli esseri umani, l’amore finisce e viene
sostituito da un altro sentimento, molto meno intenso: nel caso del
Cavaliere l’amore si «trasforma» (cioè rimane ma prende un’altra
forma) in amicizia e i due, Silvio e Carla, non si separano, ma, coeren-
temente con il nuovo tipo di amore che li unisce, continuano una qual-
che forma di vita “unita a distanza” semplicemente per poter meglio
seguire ciascuno le proprie aspirazioni.

Riuscire a presentare la rottura di un matrimonio come la trasfigurazione


di un amore carnale-familiare in un tipo più elevato di amore, spirituale,
immateriale, a distanza, completamente altruistico in quanto cementato
sul desiderio di continuare a seguire i figli, è sicuramente un ottimo esem-
pio di adulterazione semantica, in stile magistralmente pubblicitario
(Gatti, 1988; Seguela, 1986).
Tutto quello che Berlusconi ha scritto (o ha fatto scrivere) sulla rottu-
ra del suo primo matrimonio può essere al tempo stesso vero e falso, rea-
listico e irrealistico, razionale e irrazionale, credibile e assurdo. Il Cavalie-
re nella sua comunicazione viola continuamente il classico principio ari-
stotelico di non contraddizione (secondo cui, appunto, un’affermazione
non può essere contemporaneamente vera e falsa).

Elogio della follia


Mentre la maggior parte delle persone utilizza una tradizionale logica ari-
stotelica, l’uomo di Arcore è un grande applicatore della cosiddetta logica
non-A, non Aristotelica (Phillips, 1983), secondo cui un’affermazione può
benissimo essere contemporaneamente «parzialmente vera» e «parzial-
mente falsa».
Berlusconi crede, dunque, nel principio costitutivo della “follia”: il
superamento delle categorie logiche tradizionali. E infatti, copie si legge a
pagina 27 di Una storia italiana, uno dei suoi libri più amati è proprio Elo-
gio della follia di Erasmo da Rotterdam. Di suo pugno, così commenta Sil-
vio Berlusconi il famoso volume di Erasmo:

Al di là dello stile sempre scintillante... al di là del riuscitissimo gioco degli


specchi fra apparenza e realtà, ragione e assurdo, saggezza e follia, ad affasci-
narmi nell’opera di Erasmo fu in particolare la tesi centrale della pazzia come

26
UNA STORIA ITALIANA

forza vitale creatrice: rinnovatore tanto più è originale quanto più la sua ispi-
razione scaturisce dalle profondità dell’irrazionale, ^intuizione rivoluzionaria
viene sempre percepita al suo manifestarsi come priva di buon senso, addirittu-
ra assurda. È solo in un secondo tempo che si afferma, viene riconosciuta, poi
accettata e persino propugnata da chi prima l’avversava. La vera genuina sag-
gezza sta, quindi, non in un atteggiamento razionale, necessariamente confor-
me alle premesse e perciò sterile, ma nella lungimirante, visionaria pazzia...

È lo stesso presidente del Consiglio, quindi, con la tipica sicurezza di chi è


convinto di essere tanto superiore da potersi permettere di spiegare se
stesso agli altri, nell’assoluta convinzione che gli altri non riusciranno a
imitarlo, a rivelarci di credere profondamente nel meccanismo del gioco
degli specchi fra apparenza e realtà, ragione e assurdo, saggezza e follia. Di
credere cioè nella logica non aristotelica, la logica che non necessaria-
mente deve rispettare il principio di non contraddizione.
In sintesi, il “gioco degli specchi” è proprio uno dei meccanismi costi-
tutivi del processo di edulcorazione che è alla base del “modello affabula-
torio” berlusconiano (appunto perché trasforma ciò che è in ciò che ci piace-
rebbe che fosse). Ne troviamo un’altra significativa applicazione alle pagine
6 e 8 di Una storia italiana, quando Silvio Berlusconi descrive come la
madre ha affrontato il periodo bellico:

La sua vita era così: ogni giorno avanti e indietro su quella strada, prima con
la mia sorellina nella pancia e poi di fretta alla sera per tornare ad allattarla. E
con un ricordo indimenticabile. Quello di vedersi un mitra piantato sul petto
e la quasi certezza di lasciarci la pelle. Accadde quando in treno impedì a un
ufficiale delle SS di portar via una signora ebrea destinata al campo di stermi-
nio. Tutti erano paralizzati dalla paura, ma non mia madre. Afferrò per il bave-
ro l’ufficiale tedesco e si mise a gridare... il tedesco incredulo le dette uno spin-
tone facendola cadere e le puntò addosso il fucile... ma lei ebbe il fegato di
continuare... allora quello si guardò intorno e vide tutte quelle facce spaven-
tate che erano diventate minacciose... il tedesco diventò paonazzo, strinse il
dito sul grilletto, ebbe un attimo di esitazione e poi se ne andò... il treno ripar-
tì, mia madre aveva vinto... non si è mai vantata di quell’episodio. Lo raccon-
tarono i suoi quotidiani compagni di viaggio...

In questo brano è davvero chiaro il gioco degli specchi fra apparenza e


realtà, nonché la mescolanza di pensieri e di emozioni. Inoltre, vi compa-

27
MI CONSENTA

re un altro meccanismo utilizzato sapientemente dai migliori comunicato'


ri (e anche da Silvio Berlusconi) : il principio dell’inverificabilità degli even-
ti, tanto esaminato da Karl Popper (si vedano, per esempio, i saggi del
1969 e del 1972). Il leader di Forza Italia ci parla infatti di un evento che
egli descrive come realmente accaduto, ma mancano completamente i
riferimenti di realtà. In che giorno di che anno è avvenuto? Su quale
treno? Chi erano i testimoni del fatto?
Lui stesso spiega che la madre ne aveva parlato poco, e che a raccon-
tarlo furono i compagni di viaggio di lei. Siamo nella pura aneddotica.
Ecco probabilmente cosa intende Berlusconi quando parla di «gioco degli
specchi fra apparenza e realtà»; un fatto (potenzialmente) reale viene tra-
sfigurato in una (effettiva) apparenza tale al tempo stesso da essere reali-
stica (verosimile) e però da non poter essere verificata oggettivamente
(beffandosi dunque di tutta l’epistemologia popperiana).
Questo tipo di trasformazione semantica dell’apparenza in realtà, e
viceversa della realtà in apparenza (comunque molto “realistica”), è un’o-
perazione di manipolazione simbolica che Silvio Berlusconi utilizza fre-
quentemente nella sua attività comunicativa, come vedremo meglio più
avanti.

Quando gli serve, Berlusconi, infatti, fiabizza la realtà proprio giocando


continuamente di “interscambio” fra realtà e apparenza. L’apparenza viene
data per realtà e la realtà stessa per apparenza, contando sul fatto che
molto spesso nell’apparenza vi è un elemento di verosimiglianza e nella
realtà un elemento di illusorietà. Ciò sta a fondamento, tra l’altro, di tutte
le moderne tecniche di vendita (Goldmann, 1976; Silvano, 1987).
Per esempio (Schema 2), “l’apparenza” di una sinistra italiana che non
è mai stata davvero al governo, se non con l’effimera stagione dell’Ulivo,
diventa la “realtà” di un paese, l’Italia, rovinato da decenni di governo
occulto della sinistra. Sinistra che, dove ha davvero governato per lungo
tempo, come in alcune Regioni, ha contribuito essa stessa, almeno stando
ai dati statistici ufficiali, ad aumentare il benessere e la stabilità economi-
ca e sociale di quelle Regioni.
Allo stesso modo, l’apparenza di un “partito dei giudici” che nessuno ha
mai oggettivamente potuto verificare, attraverso la ripetizione continua,
quasi ossessiva, di un messaggio comunicazionale diventa a sua volta reale.
Quello che consente questo trucco comunicazionale è la verosimiglian-
za dei messaggi: è verosimile che se la sinistra fosse andata negli anni Set-

28
UNA STORIA ITALIANA

tanta al governo avrebbe potuto fare scelte economiche discutibili o con-


troproducenti, mentre sul piano regionale ha operato bene anche per il
minore “potere” a disposizione.
E verosimile che, nell’ambito della magistratura, qualche giudice abbia
fatto mosse “azzardate” contro Berlusconi anche con una più o meno con-
sapevole intenzione politica. Quella di trasformare il “verosimile” in
“vero”, e la parte in tutto, è una delle più grandi arti della comunicazione
pubblicitaria e politica (come afferma Cronkhite, 1989).

29
MI CONSENTA

Ma torniamo all’argomento iniziale, la capacità edulcorativa di Berlusco-


ni che prende la forma della sottile manipolazione semantica in un conti-
nuo rimando fra apparenza e realtà. Abbiamo già visto come la fine del
primo matrimonio sia stata risemantizzata e trasfigurata in una sorta di
«amore platonico a distanza» per far sì che il Cavaliere potesse continua-
re a seguire «il flusso della vita». Adesso vediamo l’altra parte della storia,
l’incontro con la seconda moglie Veronica:

La vita continua. Una sera Berlusconi, al Teatro Manzoni di Milano, vede reci-
tare Veronica Lario. E subito amore. Qualche anno dopo si sposano e nascono
Barbara (1984), Eleonora (1986) e Luigi (1988) che porta il nome del
nonno...

In queste poche righe c’è uno straordinario concentrato di simboli del-


l’immaginario collettivo (Jung, 1965): la donna bella e brava che fa l’at-
trice, l’imprenditore già grande e di successo che casualmente la vede reci-
tare, il colpo di fulmine che scatta istantaneamente, la favola del matri-
monio fra il principe e la sua “Cenerentola” che si realizza qualche anno
dopo... Tutto vero, ma la “forma” in cui la verità è presentata è tale da tra-
sfigurare l’evento, gli dà una valenza magica, quasi sovrannaturale.
Ecco un altro dei segreti della comunicazione berlusconiana, il rivesti-
mento magico degli eventi. Una storia viene sempre caratterizzata come
avente un inizio “normale” e un finale “eccezionale”. E il catalizzatore che
trasforma appunto la normalità in eccezionalità è la magia, l’aleggiare fan-
tasmatico dei poteri di un metaforico Mago Merlino.
Del resto, questo è in estrema sintesi proprio lo schema narrativo di
Una storia italiana: da una partenza “normale” si giunge a uno scenario
“eccezionale” grazie alla magicità del personaggio protagonista: l’uomo di
Arcore.

Nel quadro della presentazione edulcorata della realtà, un ruolo impor-


tante giocano gli amici. Uno dei punti oggettivi di forza di Silvio Berlu-
sconi come uomo, imprenditore e politico è certamente la sua capacità di
dare vita a sodalizi durevoli (a questo argomento ho dedicato uno specifi-
co capitolo). Una delle doti che lo contraddistinguono è il suo senso della
fedeltà reciproca: magari aumentata da interessi vicendevoli, ma sempre
di fedeltà reciproca si tratta. Tanto che tutti gli uomini e tutte le donne
che hanno deciso di “seguirlo” sono stati sistematicamente premiati

30
UNA STORIA ITALIANA

secondo un principio psicologico non dissimile da quello con cui Alessan-


dro Magno premiava gli etairoi, i compagni di avventura. Da Fedele Con-
falonieri a Gianni Letta, da Marcello Dell’Utri a Mike Bongiomo, da Mau-
rizio Costanzo a Ombretta Colli, da Giuliano Ferrara a Vittorio Sgarbi,
tutti gli etairoi di Berlusconi hanno visto lautamente, magnanimamente
ricompensata la loro tiducia.
C'è davvero una grandezza principesca nel modo in cui il Cavaliere
applica le idee evangeliche del «chi mi ama mi segua» e del «chi ha fede
otterrà il Regno dei Cieli». Ridurre questa sua generosità a un mero stru-
mento di gestione del consenso sarebbe, a mio parere, riduttivo. In cuor
suo, il leader di Forza Italia sente davvero di appartenere alla “specie” dei
grandi personaggi della storia. E si comporta di conseguenza: premiando
chi gli è fedele. E trasfigurando ancora una volta, nel continuo gioco degli
specchi fra apparenza e realtà, il rapporto lavorativo e personale con le
figure che gli sono vicine in qualcosa di autenticamente trascendente.
Come si legge in queste righe, riferite appunto ai suoi rapporti di amicizia:

Eravamo forti perché eravamo amici, tra noi c’era un'intesa profonda e una
totale identità di valori, c’era un affidamento reciproco, il senso di un impegno
e di un traguardo comune, la gratificazione di lavorare assieme e di condivide-
re la gioia dei nostri successi...

In definitiva, uno dei motivi di successo di Silvio Berlusconi come uomo,


come comunicatore, come imprenditore e come politico sta in quella che
in semiologia si definisce «capacità di manipolazione semantica della real-
tà». Cioè l’attitudine e l’abilità a presentare la versione ideale di una situa-
zione come se in effetti fosse la situazione reale. In psicologia questo mec-
canismo si chiama principio della realtà immaginata, e consiste nel fatto che,
se davvero ci immergiamo nella percezione idealizzata di una situazione,
aumenta la probabilità che gli eventi evolvano proprio verso la situazione
idealizzata (Bateson, 1984). Berlusconi ha applicato con assoluta convin-
zione e determinazione questo principio e sinora i fatti gli hanno dato
ragione. Perciò, quando dice che «si immagina un’Italia diversa, profonda-
mente trasformata», c’è da prenderlo sul serio. Lui l’Italia la cambierà
davvero, nel bene o nel male, passo dopo passo, quasi senza che ce ne
accorgiamo e soprattutto senza possibilità di opporsi. Perché la sua capa-
cità di edulcoratore impedirà appunto che molti si accorgano per tempo di
eventuali effetti collaterali del processo.

31
Capitolo secondo

Psicodinamica di un leader

er spiegare il successo di un leader politico i fattori razionali non sono


P mai sufficienti (Alberoni, 2002). Quasi sempre, per non dire sempre,
un leader diventa tale agli occhi dell’opinione pubblica quando sa utiliz-
zare meccanismi psicologici che toccano corde profonde dell’inconscio
collettivo (Fabris, 1992). Ciò, naturalmente, vale anche per Silvio Berlu-
sconi o, meglio, per la sua comunicazione. Il leader di Forza Italia è vera-
mente molto abile nell’adoperare tre noti meccanismi psicodinamici: l’i-
dealizzazione del Sé, Yidentificazione proiettiva e la proiezione vera e propria
(vedi al riguardo Brenner, 1976). La loro azione e le conseguenze cui por-
tano sono visualizzate nello Schema 3.

Lidealizzazione del Sé. E il processo per cui, sfruttando al meglio le leve


della comunicazione, si costruisce agli occhi propri e del proprio pubblico
una versione “perfetta”, ideale, eroica, “narcisistica” di se stessi. E l’attitu-
dine ad autodescriversi in termini di perfezione idealizzata.

Lidentificazione proiettiva. È un meccanismo molto più sottile. Consiste nel


portare il pubblico a identificarsi con il leader, facendogli pensare che il
leader stesso rappresenti semplicemente la versione “potenziata” di un
uomo comune, di un cittadino qualsiasi. Diciamo che con l’idealizzazione
del Sé è come se Berlusconi dicesse a se stesso e agli altri: «Guardate come
sono perfetto!», mentre con l’identificazione proiettiva è come se comple-
tasse la frase precedente con questa: «Però io sono come voi, vi rappre-
sento, sono la versione perfetta di quello che voi stessi siete già o vorreste
essere».
Il gioco di equilibrio fra amplificazione del Sé e invito all’uomo comune

33
MI CONSENTA

Schem a 3 - 1 m eccanism i psicodinam ici

Idealizzazione del sé

Identificazione proiettiva Proiezione all’esterno

Tu sei come me

La divinità che viene dal basso

a identificarsi proiettivamente è certamente un’altra delle chiavi interpre-


tative dello straordinario successo del Cavaliere come personaggio pubbli-
co: egli, infatti, riesce a stimolare una sorta di invidia costruttiva nel pub-
blico, perché gli dice al tempo stesso che lui è superiore a qualunque altra
persona e però anche che è «alla portata di qualunque altra persona».
Paradossalmente, per fare un esempio, Massimo D’Alema è, per l’im-

34
PSICODINAMICA DI UN LEADER

maginario collettivo, molto più elitario e irraggiungibile del leader di Forza


Italia, anche se quest’ultimo ha uno status personale e sociale che è ogget-
tivamente irraggiungibile per la maggior parte degli italiani di oggi e di
domani. Eessere riuscito a “posizionarsi”, psicologicamente, come una
«divinità che viene dal basso» è indubbiamente uno dei capolavori comu-
nicazionali di Silvio Berlusconi.

La proiezione. E il meccanismo che consente di allontanare dal Sé ogni eie-


mento negativo o critico e la sua attribuzione (proiezione) all’esterno, al
nemico, agli antagonisti.
Ognuno di noi ha una “parte buona” e una “parte cattiva”, e spesso
queste due parti sono in conflitto tra loro. Berlusconi ha realizzato la
magia comunicativa di isolare psicologicamente la sua parte negativa e di
proiettarla in blocco sugli avversari. Da qui la creazione di un mondo nar-
rativo irreale, fiabesco, virtuale, ma sicuramente affascinante appunto
come una fiaba, una storia di fiction, un videogame. Un mondo in cui i
“buoni” stanno chiaramente da una parte e sono identificabili da un pre-
ciso colore (l’azzurro), e i cattivi (il nemico) stanno altrettanto chiara-
mente da un’altra parte, e hanno il loro proprio codice-colore (il rosso).
Alla tradizionale dialettica cromatica fra bianco e nero Berlusconi ha in
pratica sostituito una più moderna, e forse ancora più seducente, dialetti-
ca pittorica fra il mondo degli Azzurri (i buoni, da lui capitanati) e quello
dei Rossi (i cattivi, i comunisti, i nemici della libertà, con i loro “capetti”,
nessuno dei quali naturalmente ha la statura personale per contrapporsi,
da pari a pari, al torreggiante Eroe Azzurro).

Una volta definiti questi tre importanti meccanismi psicodinamici, vedia-


moli concretamente in azione nella narrazione di Una storia italiana.

Costruire un impero. Una storia da sogno americano, quella di Silvio Berlu-


sconi. Una favola moderna che, come tutte le storie, rivela l'impegno, le incer-
tezze, gli sforzi, il rischio, l’avvedutezza e la lungimiranza imprenditoriale di un
uomo che, dal nulla, ha dato vita a uno dei più importanti gruppi imprendito-
riali d’Europa... (idealizzazion e: «io sono colui che ha fa tto ciò che agli altri è risul-
tato im possib ile»).

Le sue origini medio borghesi ne sono la prova. Non una famiglia di grandi pos-
sibilità e tantomeno un impero da conservare. All'inizio c'è solo un padre che

35
MI CONSENTA

investe tutta la sua liquidazione, il frutto di un'intera vita di lavoro, nella prima
società del figlio... E Silvio ha mantenuto il suo impegno. Tutti i successi di
Berlusconi sono la realizzazione di sfide che ai più sembravano impossibili...
(identificazione proiettiva: «lo sono come voi, sono partito dalla vostra stessa situa-
zione, sono un uomo comune.»).

Ma nulla mi è stato facile... per arrivare, da figlio di impiegato di banca, ho


dovuto lavorare, lavorare, lavorare e ancora lavorare. Mia madre mi ripete
sempre: “E una condanna pesante la tua: non c’è niente di facile per te, devi
conquistarti tutto con enorme fatica, con tanti sacrifici”. E io rispondo. E vero,
mamma, è così: sempre sangue, sudore e lacrime. Ma questa è l’unica ricetta
che conosco... (identificazione proiettiva: «lo sono come voi, se ce l’ho fatta è stato
solo a prezzo di enormi sacrifici»)

Ammettiamolo, c'è della genialità in quest’ultimo brano. Il dialogo sur-


reale fra la madre del Cavaliere e Berlusconi stesso potrebbe tranquilla-
mente riferirsi a uno scambio di battute, a fine Ottocento, nella Torino
della prima vera industrializzazione italiana, fra un operaio della neonata
FIAT di allora e appunto sua madre, preoccupata per la vita disagiata e
sacrificata del figlio. Invece ha per protagonisti una madre e un figlio che,
comunque, nel giro di pochi anni ha ottenuto grandissimi successi econo-
mici e personali, quindi con un rapporto impegno/risultato che fa suonare
come una sublime manipolazione semantica l’espressione «condanna
pesante» applicata alla vita di Silvio Berlusconi.
Per quanto impegno abbia indubbiamente messo nelle sue attività,
tutto si può dire del leader di Forza Italia tranne che la sua vita sia stata
una «pesante condanna». Eppure, la sua comunicazione lo fa, lo dice quasi
con la noncuranza della “pazzia” (nel senso dell’amatissimo Erasmo da
Rotterdam). Propone un’iperbole tanto surreale quanto affascinante pro-
prio perché è talmente improponibile che fa sorgere il sospetto di essere
vera (Avens, 1985)!
Chi ridicolizza questo modello di comunicazione dicendo che si tratta
di “scemenze”, non ha capito nulla della sua forza, della sua capacità di
mandare in cortocircuito l’immaginario collettivo agendo a livello profon-
do, toccando cioè le corde e i meccanismi non della mente razionale, del-
l’Io cosciente, bensì dell’inconscio collettivo.
Altro che scemenze: qui ci troviamo di fronte a un uso efficacissimo
non solo della comunicazione, ma più in generale della psicologia applica-

36
PSICODINAMICA DI UN LEADER

ta a una società di massa come la nostra*. Un geniale uso che di strada ne


ha già fatta fare tanta a Berlusconi e che in futuro gliene farà fare altret-
tanta. Almeno sino a che qualcuno non capirà la raffinatezza del suo dise-
gno comunicazionale, la necessità di prenderlo sul serio e di “svelarlo” nei
suoi dettagli. Ma torniamo alle prove concrete, testuali, “semiologiche”
direbbero i ricercatori, dell’impiego scientifico dei tre importanti mecca-
nismi psicologici che abbiamo indicato.

Berlusconi il Costruttore. Probabilmente se non ci fosse stata la consacrazione


dell’editoria televisiva a determinare il soprannome di “Sua Emittenza”, quel-
lo di “Sua Residenza” sarebbe stato l’appellativo più calzante per colui che,
negli anni Sessanta e Settanta, ha giocato un ruolo di primo piano nel pano-
rama dell’urbanistica e dell’edilizia italiana... Lavora sodo: acquista terreni in
Milano, progetta le case, le realizza, le vende e si prepara a un progetto di gran-
de respiro...

C ’è da notare che nel testo non si dice che Berlusconi «fa progettare... fa
realizzare... fa vendere le case»; si dice proprio «progetta... realizza...
vende...», a comunicare quasi subliminarmente l’idea di un uomo, un
Super Uomo, che fa tutto da solo, dalla progettazione tecnica alla costru-
zione alla vendita degli edifici. Altro bellissimo esempio di manipolazione
semantica (Antonietti, 1994; Scarpitti Brocchieri, 1991)1

Il processo continua con un chiaro esempio di identificazione proiettiva.

Questa immagine del Milan Campione d’Europa e del Mondo allo scoccare dei
suoi novant’anni, si fonde e si confonde in me con tanti ricordi della mia infan-
zia. Le dispute con i compagni di scuola, le lunghe ore di studio, l’attesa di mio
padre che tornava tardi dal lavoro e si affacciava sulla porta col suo sorriso. Era
come se in casa fosse entrato il sole... E poi la liturgia della Messa insieme la
domenica mattina, i commenti e le riflessioni sulla predica, la puntata a com-
perare le meringhe per la mamma che ci aspettava a casa, in cucina, a prepa-
rare il pranzo della festa, l’unico che si consumava in sala con la tovaglia rica-
mata e i fiori in mezzo al tavolo...

* Per un’introduzione ai principali temi della psicologia sociale e alla problematica della
leadership, si possono consultare, tra gli altri testi: Adorno, 1973; Arcuri, 1995; Gardner,
1995; Quaglino, 1999.

37
MI CONSENTA

Nuovamente, troviamo un quadretto narrativo applicabile, molto più che


al Cavaliere, a qualunque appartenente alla piccolissima borghesia italia-
na del dopoguerra. Il problema non è se questo quadretto sia vero o falso:
il problema è che Berlusconi lo propone sapendo benissimo che il nostro
inconscio reagisce positivamente a tale comunicazione. Perché esso fa leva
sui sentimenti più teneri e profondi che un essere umano possa provare:
l’amore padre-madre-figlio nella sua versione pura, idealizzata.
Il Cavaliere, in termini psicoanalitici, non vuole parlare all’Io coscien-
te, all’istanza razionale della personalità: vuole parlare all’Es, all’inconscio,
all’irrazionale che dorme in noi, e ci riesce innegabilmente (Brenner,
1976).

Ecco un esempio del terzo meccanismo psicologico della comunicazione


berlusconiana, la proiezione.

Nasce Forza Italia. Berlusconi ricorda così quei momenti: “C’era nell’aria una
grande paura, un grande timore, si pensava che il futuro dell’Italia potesse esse-
re un futuro illiberale e soffocante se i comunisti di prima e di dopo fossero
andati al governo... Era la fine del ’93. CItalia aveva conosciuto il fenomeno di
Tangentopoli e aveva visto penalizzata tutta o quasi la classe dirigente dei par-
titi democratici occidentali. La Procura di Milano aveva colpito indirizzando
molto bene i suoi colpi. Erano stati eliminati praticamente tutti i piccoli parti-
ti. .. La sinistra aveva fatto approvare una nuova legge elettorale, della quale si
fecero le prove con le elezioni amministrative dell’autunno. Con il 34% dei voti
la sinistra riuscì a conquistare l’80% dei Comuni e chiese quindi al Capo dello
Stato di sciogliere le Camere e di indire nuove elezioni. Le ottenne, e in molti
cominciammo a preoccuparci... Ci sentimmo quasi costretti, in quel frangente,
a cercare una soluzione. Era difficile trovare il coraggio: mi ricordo ancora di
quanti dubbi, di quanti interrogativi, di quante discussioni, di quante notti pas-
sate a occhi aperti e questo coraggio non ci veniva, dobbiamo confessarlo. Poi
lo trovammo, fu con noi, è rimasto con noi in questi anni, è ancora qui presen-
te e sarà con noi da qui in avanti!”... Quella parte della società italiana... che
affolla la platea del Palafiera è immediatamente conquistata da un uomo che,
rinunciando a tante sicurezze, si mette in gioco e rischia in prima persona per
evitare al suo Paese un futuro soffocante e illiberale...

Secondo questo testo, senza Berlusconi politico avremmo avuto in Italia


un futuro «soffocante e illiberale». Grazie al Cavaliere l’Italia è libera e

38
PSICODINAMICA DI UN LEADER

«respira», senza di lui saremmo stati prigionieri e senza ossigeno. Descri-


zione più in bianco e nero di così non si potrebbe immaginare: tutto il
bene da una parte, tutto il male dall’altra.
Ecco il meccanismo della proiezione: il “male”, anzi il Male, sta fuori di
noi. Se lo identifichiamo e lo combattiamo, diventiamo perfettamente
buoni. Come nelle fiabe. Come nelle parabole religiose, cui Berlusconi cer-
tamente si ispira.

Realtà proiettiva e realtà “reale”


La natura fiabesca della narrazione proiettiva e il suo carattere di altera-
zione semantica della realtà risultano evidenti dal semplice confronto tra
la versione appena riportata della nascita di Forza Italia, tutta all’insegna
dell’eroismo epico, della grande sfida emotivamente connotata, e la ver-
sione molto più realistica narrata da Marcello Dell’Utri in un’intervista
comparsa sul Corriere della Sera e altre testate venerdì 1 febbraio 2002.
Vi ricordate il senso di costrizione di cui parla Berlusconi, la difficoltà
di trovare l’impulso, i dubbi, gli interrogativi, le molte notti insonni, il
coraggio che comunque non veniva? Bene, confrontateli con quanto scrit-
to in un articolo a pagina 5 del citato numero del Corriere della Sera:

Settembre 1993. Silvio Berlusconi e alcuni dei più stretti collaboratori, tra cui
Marcello DeH’Utri, discutono per la prima volta delle elezioni che si sarebbe-
ro tenute nella primavera successiva... «Servivano alcune centinaia di candi-
dati - racconta oggi Dell’Utri - e serviva un lavoro sul territorio. Berlusconi
mi disse: “Dobbiamo fare un partito e tu hai Publitalia”. Io chiamai il capo del
personale e mi feci mandare la lista dei dipendenti. Da lì individuammo 27
persone che potevano essere distratte da Publitalia per l’organizzazione senza
danneggiarla; era pure importante non perdere fatturato. Così fu scelto chi
non faceva danno se mancava! Un partito azienda? Sì, ma per forza... chia-
mammo quel progetto “Botticelli” - ricorda ancora Dell’Utri - perché erava-
mo riuniti nella sala Botticelli del Jolly Hotel di Milano. Oggi alla procura di
Milano c’è un procedimento denominato “Progetto Botticelli” contro Publi-
talia per falso in bilancio. Viene da ridere ma la spesa effettuata, dall’affitto
della sala alla cancelleria, fu di poche decine di milioni, decidemmo di fattu-
rarla al futuro soggetto politico, ed effettivamente quando Forza Italia nacque
pagò tutto...» [...] Può esistere Forza Italia senza il suo leader? Che cosa
avverrà del movimento il giorno in cui Berlusconi fosse eletto a incarichi isti-
tuzionali super-partes (il Quirinale)? Secondo Antonione, senza Berlusconi

39
MI CONSENTA

non esisterà più Forza Italia... è nata con Silvio Berlusconi e senza di lui
diventerà un altro partito, anche se magari manterrà il nome...

Il confronto fra la versione proiettiva e quella reale della nascita di Forza


Italia illustra con chiarezza la potenza della manipolazione semantica. Un
evento di per se stesso normale, una riunione in stile perfettamente azien-
dale in cui si tratta di decidere, nel modo meno dannoso possibile per l’a-
zienda, chi destinare a un’impresa di marketing politico, svoltasi in una
sala del Jolly Hotel di Milano, nella narrazione proiettiva viene trasfigura-
to in un evento eroico, in un “parto” concettuale e spirituale altrettanto
faticoso e travagliato della nascita di Minerva dalla testa di Giove.
La realtà in quanto tale non ha più un valore costrittivo, non è un dato
di cui tenere necessariamente conto. Non esiste un’unica realtà, ne esi-
stono molte anche diversissime tra loro, ciascuna adatta a una differente
funzione comunicativa (si sceglie di volta in volta quella più confacente
alla situazione). Da variabile indipendente, cui le altre variabili si devono
adeguare, la realtà “fisica” delle cose diviene una sorta di variabile dipen-
dente, funzione cioè dello scopo della comunicazione. Se sulla nascita di
Forza Italia Berlusconi e i suoi collaboratori ci raccontano due versioni
diverse, è perché se ne parla (o fa parlare) in circostanze differenti e con
diversi fini comunicazionali.
Un ulteriore esempio si può rinvenire nel confronto fra due diverse
dichiarazioni dello stesso Cavaliere in merito alla sua adesione alla Loggia
P2. Ecco come, a distanza di una decina di anni, Berlusconi ha racconta-
to in due versioni differenti l’episodio in questione:

Tutti sanno che non sono mai stato iscritto (alla P2). Che un giorno arrivò una
tessera di iscrizione dove mi si classificava “apprendista muratore” e io, che
allora ero il più importante costruttore di case in Italia, scoppiai in una sono-
ra risata davanti a tutti i miei collaboratori. La mia segretaria provvide a far
restituire la tessera al mittente: non a stretto giro di posta, ma all’istante...
Comunque, essere piduista non è un demerito... (dichiarazione di Silvio Ber-
lusconi a II G io rn a le , marzo 2000)

Mi sono iscritto alla P2 nei primi mesi del 1978, su invito di Licio Celli che
conoscevo da circa sei mesi e che avevo visto solo due volte... Fu Roberto
Gervaso, mio amico, a presentarmi a Celli, dicendomi che questi aveva vivo
desiderio di conoscermi, poiché era stato bene impressionato dalla mia inter-

40
PSICODINAMICA DI UN LEADER

vista apparsa sul libro di Gervaso II dito n ell’o c c h io ... Celli mi chiarì che, tra-
mite la massoneria, avrei potuto avere dei canali di lavoro e contatti interna-
zionali utili per la mia attività di presidente del Consorzio per l’Edilizia Indu-
strializzata... il mio grado era quello di apprendista... (dichiarazione di Silvio
Berlusconi al giudice istruttore di Milano, 26 ottobre 1981, riportata da EE-
spresso, 16 marzo 2000)

Non bisogna essere degli esperti di comunicazione per capire cosa signifi-
chi, in questo caso, «manipolazione semantica della realtà» e per vederla
in azione, con una evidenza straordinaria, nel passaggio dalla dichiarazio-
ne berlusconiana al giudice a quella, sempre berlusconiana, al suo giorna-
le di fiducia. La grandezza del Cavaliere come comunicatore sta nella bra-
vura - e nella disinvoltura - con cui riesce a rendere egualmente credibi-
li due dichiarazioni che sono, letteralmente, l’una la negazione dell’altra.

Ma tornando a parlare più strettamente di proiezione, prima abbiamo


visto come Berlusconi ha descritto in termini “propagandistici” i suoi mor-
tali nemici comunisti («si pensava che il futuro dell’Italia potesse essere un
futuro illiberale e soffocante se i comunisti di prima e di dopo fossero
andati al governo...»). Uno di questi comunisti “di prima e di dopo” è
sicuramente Armando Cossutta, capo del partito denominato PDCI, Par-
tito dei Comunisti Italiani. Leggiamo allora cosa ha fatto pubblicare in un
avviso a pagamento Silvio Berlusconi sulla stampa italiana (Corriere delia
Sera del 3 febbraio 2002) :

L’Onorevole Silvio Berlusconi nella trasmissione televisiva P orta a P orta del-


l’Aprile 2000 ha dichiarato che l’Onorevole Armando Cossutta “gestiva bande
armate negli anni non lontani del dopoguerra e aveva continuato fino a pochi
anni fa a tenere in piedi un’organizzazione armata in Italia”. A seguito dell’a-
zione giudiziaria intentata, l’Onorevole Berlusconi ha tenuto a precisare che
tali affermazioni erano conseguenza dell’esasperato clima elettorale allora esi-
stente e che va escluso in modo inoppugnabile anche in base alla successiva
verifica delle fonti storiche, giudiziarie e parlamentari, il compimento da parte
dell’Onorevole Cossutta di attività siffatta. EOnorevole Berlusconi ha tenuto
a confermare i sentimenti di stima sempre avuti nei confronti dell’Onorevole
Cossutta la cui vita è stata interamente dedicata alla creazione in Italia del
regime democratico e alla difesa della democrazia. EOnorevole Cossutta, a
seguito di tale precisazione, ha rimesso la querela...

41
MI CONSENTA

Se volete per così dire stamparvi nella mente cosa vuol dire “manipola-
zione semantica” attraverso il meccanismo della proiezione, tenete sempre
ben presenti queste due frasi: «Se i comunisti di prima e di dopo fossero
andati al governo il futuro dell’Italia poteva essere illiberale e soffocan-
te...» (versione proiettiva). «EOnorevole Cossutta [sicuramente uno dei
più rappresentativi comunisti italiani di prima e di dopo] ha interamente
dedicato la vita alla creazione e alla difesa in Italia della democrazia...»
(versione non manipolata).
Tutte e due sono frasi prodotte dalla comunicazione berlusconiana,
eppure sono una l’esatto contrario logico, emotivo e valutativo dell’altra.
Per mezzo della proiezione il Cavaliere parte dalla realtà per trasformarla
in un veicolo di “concentrazione” di valenze negative sul proprio avversa-
rio. In questo modo “noi” siamo sempre buoni e puri mentre “gli altri”, i
nemici, gli avversari, sono appunto un concentrato di negatività assoluta.
In contesti diversi, con funzioni diverse, si affermano cose diverse. E,
ovviamente in momenti temporalmente differenti, di una stessa persona si
possono dire cose diverse, anche opposte fra loro, perché il gioco degli
amici e dei nemici è mobile e mutevole nel tempo, come le onde del mare
e le nubi del cielo.

Vediamo alcuni altri esempi:

Il consenso popolare per Forza Italia, espresso nelle consultazioni politiche del
marzo 1994, viene confermato alle Europee del giugno successivo. Il partito di
Silvio Berlusconi si rafforza ulteriormente e ottiene il 30,6 per cento dei voti
che, sommati a quelli delle altre forze del Polo, arrivano al 51,8 per cento.
La seconda sconfitta consecutiva porta alle dimissioni dei segretari di tre par-
titi della coalizione progressista. Ma, a dispetto degli ottimi risultati elettora-
li, il Governo Berlusconi è costretto a difendersi dai durissimi attacchi delle
opposizioni, mentre cominciano a fischiare intorno al Presidente del Consi-
glio le pallottole delle Procure politicizzate che iniziano indagini a tappeto sul
suo passato, andando a scovare persino le fotografie e i filmati di Berlusconi
presidente di calcio..., mobilitano tutto l’esercito dei pentiti di allevamento
per cercare di ottenere qualunque dichiarazione possa in qualche modo coin-
volgere il Presidente del Consiglio.
Ancora oggi, aprile 2001, dopo sette anni di una persecuzione giudiziaria che
non ha precedenti nella storia dei paesi democratici, Silvio Berlusconi risulta
indenne da ogni condanna...

42
PSICODINAMICA DI UN LEADER

La traversata del deserto. Dopo il golpe giudiziario del ’94 per Forza Italia si
apre la lunga stagione dell’opposizione. A dispetto degli avversari, il movi-
mento di Berlusconi non si dissolve, non si scioglie ma continua a crescere e a
vincere...

Rutelli è fasullo, preso in affitto dalla sinistra, è un simil-leader, cambia idea


continuamente, passando da una posizione all’altra. Un confronto TV con lui?
Ma perché dovrei declassarmi scendendo al livello di un professionista della
pubblica opinione preso a contratto dall’Ulivo... (Silvio Berlusconi, 25 feb-
braio 2001, su tutti i principali quotidiani nazionali)

Come si può vedere, il Male sta tutto dall’altra parte: Procure politicizza-
te che «sparano pallottole»; pentiti manipolati; giudici che «iniziano»
indagini (in realtà alcune erano già avviate prima della “discesa in
campo”) disposti a tutto pur di tirar fuori qualcosa di falso ma plausibile
contro di lui; avversari politici che attendono seduti lungo la sponda del
fiume che «passi il cadavere di Forza Italia»; il leader designato della coali-
zione avversaria alle elezioni del 13 maggio 2001 (Francesco Rutelli) che
si vede costantemente negato il diritto a essere riconosciuto come lea-
der...
E l’altra faccia della comunicazione berlusconiana, quella che come
detto proietta sull’avversario ogni negatività, ogni meschinità. In modo
che ne risultino per contrasto amplificate la “pulizia” e la bontà di Forza
Italia e dei suoi alleati, come nel più classico schema della narrazione favo-
listica:

Su queste coordinate sbocciarono migliaia di Club Forza Italia e, da Milano a


Trapani, da Bari a Trieste, l’Italia si scoprì azzurra. Un successo unico, impre-
visto, che sorprese gli avversari...

Ma, anche in quest’occasione e ancora una volta, il pensiero di Berlusconi va


ai più deboli, alle vittime. Il punto più sofferto del suo appassionato discorso al
Paialido di Milano è dedicato alle vittime dei reati e ai loro familiari, poiché lo
Stato non li assiste...

Il secondo scalo è altrettanto significativo. Livorno è la città rossa per eccel-


lenza, qui è nato nel 1921 il PCI. Anche a Livorno, cuore della Toscana rossa,
migliaia di persone vengono ad ascoltare Berlusconi. Quel giorno il leader di

43
MI CONSENTA

Forza Italia... discute di giustizia e “giusto processo”. Domenica 2 aprile una


Napoli entusiasta accoglie A zzurra-, una flotta di imbarcazioni attende nel
Golfo la grande nave e nel cielo gli aerei “della libertà” salutano l’ammiraglia
di Forza Italia. Davanti al calore dei partenopei Berlusconi si emoziona...

Ma, e Berlusconi lo sa bene, le regionali segnano anche l’inizio della lunga


campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento, una scadenza che allarma
la sinistra e i suoi alleati. Non a caso, proprio dopo la vittoria di primavera
ricomincia la campagna contro il leader di Forza Italia. Come e più che in pas-
sato, vengono mobilitati tutti gli strumenti, tutti i mezzi per attaccare, demo-
nizzare e criminalizzare il fondatore di Forza Italia che, ancora una volta,
risponde con ferma determinazione. Con i fatti, contro le parole vuote...

Azzurro e Rosso, Bene e Male


Insomma, in accordo con la formula della comunicazione proiettiva (Sche-
ma 4) il mondo si divide in Azzurri e Rossi. I primi sono nel giusto e si com-
portano sempre correttamente, i secondi sono nel torto e si comportano
sempre scorrettamente. Una visione quasi fumettistica della realtà, che
però funziona. Perché tutti noi, nel nostro inconscio, abbiamo in realtà
bisogno di una lettura semplificata dei fatti (Malz, 1965). E il Cavaliere ce
la propone impeccabilmente, nitida e facilmente leggibile come un film
americano (e non a caso sono proprio i film di produzione americana a
sbancare il botteghino anche in Italia).
Chi si limiti a ironizzare su tutto ciò e sulle sue conseguenze, dimostra
di non capire che il XXI secolo sarà dei cervelli «semplici e veloci». Dei
cervelli cioè che applicano sistematicamente proprio la ricetta dell’uomo
di Arcore.
Può non piacere che le cose stiano così, può fare paura l’idea che un’a-
zione «rozza ma veloce» sia migliore di un’azione «elegante ma lenta».
Però, di fatto, il mondo sta andando in questa direzione, e Berlusconi lo ha
colto perfettamente. Si può rimanere storditi, frastornati, di fronte all’ir-
ruenza con cui un uomo di governo attacca un potere indipendente dello
Stato, quello giudiziario, e chiedersi come sia possibile. Intanto, tutto ciò
non solo è possibile, ma viene fatto, giorno dopo giorno, inesorabilmente.
Mentre il Cavaliere «rozzo ma veloce» agisce, i suoi avversari «eleganti ma
lenti» segnano il passo e incassano colpi su colpi.

Un’osservazione a margine sull’uso della proiezione concerne la scelta del


PSICODINAMICA DI UN LEADER

colore azzurro come cromatismo connotativo di Forza Italia e delle sue ini-
ziative. Perché proprio l’azzurro?
Il dizionario dei simboli* ci viene in aiuto. Ci dice infatti che l’azzurro
(Schema 5) è il colore più profondo: lo sguardo vi affonda senza incontra-
re ostacoli e vi si perde all’infinito, come se il colore si sottraesse indefini-
tamente. Inazzurro è il colore più immateriale: in natura è presente solo
come trasparenza, fatto cioè di vuoto: vuoto dell’aria, vuoto dell’acqua,

* Jean Chevalier, Alain Gheerbrant, Dizionario dei simboli, BUR-Rizzoli, Milano 1986.

45
MI CONSENTA

vuoto del cristallo o del diamante. Il vuoto è esatto, puro e freddo. L’az-
zurro è il colore più freddo e il più puro in valore assoluto, a eccezione del
vuoto completo del bianco neutro. Eazzurro alleggerisce le forme di un
oggetto, le apre, le disfa. Una superficie dipinta d’azzurro non è più una
superficie, un muro azzurro cessa di essere un muro. I suoni e i movimen-
ti, come le forme, svaniscono nell’azzurro, vi annegano, si dileguano come
un uccello in cielo. In sé immateriale, l’azzurro smaterializza tutto ciò che
si avvolge in esso. E la via deH’infinito dove il reale si trasforma in imma-
ginario. È il colore dell’uccello della felicità, l’uccello azzurro, inaccessibile
eppure così vicino. Entrare nell'azzurro è «passare dall’altra parte dello
specchio», un po’ come Alice nel paese delle meraviglie. Tutto questo ci
racconta un qualunque dizionario dei simboli. E poi c’è qualcuno che ha
il coraggio di dire che le trovate di Berlusconi sono delle «semplici sce-
menze»!

Sempre in tema di proiezione (“noi siamo buoni, gli avversari sono catti-
vi”), in perfetta coerenza con la «psicologia del colore azzurro», Berlusco-
ni non perde occasione per sottolineare l'importanza degli aspetti formali
nel comportamento di un uomo pubblico (che deve appunto essere sem-
pre leggero ma anche profondo, vicino ma anche “perfetto”, insomma
capace di “smaterializzare” la realtà).
Subito dopo la rottura con il ministro degli Esteri Renato Ruggiero, il
presidente del Consiglio in visita alla Farnesina ha insistito su parecchi
temi connessi con la leggerezza (come riportato da tutta la principale
stampa quotidiana, per esempio da La Repubblica il 10 gennaio 2002):

Come giovani diplomatici dovrete presentarvi bene. Mi raccomando: alito fre-


sco e niente mani sudate... Dovete essere ambiziosi, mirate in alto, datevi tra-
guardi precisi. E soprattutto tenete alta l’immagine del nostro Paese...

Un argomento costante, quello del modo di presentarsi e di comportarsi,


che Berlusconi ha ripetuto a tutti i suoi candidati nelle varie elezioni.
Dunque, quelle del Cavaliere non sono affatto scemenze. Sono appli-
cazioni “industriali” di scoperte ormai consolidate della psicologia dinami-
ca e della psicologia della comunicazione (Kuhn, 1988; Levitt, 1985). Il
leader di Forza Italia sa benissimo che alcune intuizioni cruciali del pen-
siero di Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, sono vere, nel senso
che «funzionano nella realtà».

46
PSICODINAMICA DI UN LEADER

La mente umana, secondo Freud, si adatta abbastanza bene ai quattro


principi della cosiddetta filosofia utilitaristica, ossia:

1. tutti quanti non desiderano altro che poter essere il più possibile felici,
ovvero di portare al massimo la propria “felicità percepita”;
2. moralmente, per costoro, è un bene spingere al massimo la propria felicità
percepita, nel più efficace e intelligente dei modi di cui sono capaci;
3. la società dev’essere organizzata in modo che per i suoi componenti spin-
gere al massimo la propria felicità sia sempre la cosa più vantaggiosa;
4. è possibile almeno in linea di principio calcolare la quantità di piacere
e di dolore che ci si deve attendere dai diversi generi di comportamen-

47
MI CONSENTA

to, e di conseguenza occorre organizzare la società in maniera tale da


produrre il massimo grado di felicità percepita per il m a g g io r n u m e r o p o s -
sib ile d i in d iv id u i.

Inoltre, sa altrettanto bene che anche le comunicazioni di massa seguono


leggi precise, dotate di una validità media non troppo inferiore a quella
delle leggi della fisica (vedi ancora Cronkhite, 1989).
Per esempio, è noto che l’alta considerazione che le persone danno al
fatto di essere coerenti con se stesse, c o n e n e lle proprie opinioni, ci forni-
sce un’ottima leva per cercare di persuaderle e di modificare appunto le
loro opinioni. La formula è grosso modo la seguente: se vogliamo che X
riveda la sua opinione A, dobbiamo trovare un’altra sua opinione, B, e
convincerlo che A e B discordano fra loro. La naturale tendenza umana a
eliminare le incoerenze lavorerà implacabilmente a nostro favore, se
offriamo a X una soluzione semplice al problema ingenerato dal cambia-
mento dell’opinione A.
Esemplificando concretamente: se qualcuno pensa che il presidente del
Consiglio sia una persona ricca e potente, e per questo lontana dai citta-
dini comuni, dobbiamo dimostrargli che Berlusconi “viene dal basso” e
non dall’alto, mettendo in crisi la sua opinione precedente e stimolando-
lo a cambiarla. E infatti, tutto il fascicolo U n a s t o r i a i t a l ia n a è una sequen-
za, scientifica, di “prove” per far pensare che Berlusconi è uno di noi, uno
come noi, che andava a comperare le meringhe alla mamma la domenica,
che non è stato aiutato da nessuno se non dal padre, e così via.
Insomma, u n o d i n o i “ c h e c e l ’h a f a t t a ” (anche perché aveva in sé delle
doti eccezionali), e in cui possiamo pertanto trovare un modello al tempo
stesso «vicino e irraggiungibile», proprio come il colore azzurro che sim-
boleggia Forza Italia. Inoltre, l’uomo di Arcore sa davvero bene, molto
bene, quanto in psicologia delle comunicazioni di massa la rip e tiz io n e del
messaggio produca un cambiamento e aumenti le vendite. Il successo della
pubblicità televisiva suggerisce che questo principio è valido anche quan-
do si tratti di argomenti non particolarmente importanti per il ricevente.
Sa che la c r e d ib ilità della fonte che lancia il messaggio rappresenta un fat-
tore cruciale: fonti di alta credibilità producono più cambiamento di atteg-
giamento di quelle di bassa credibilità. Sa che le caratteristiche sociode-
mografiche e psicologiche del ricevente influenzano la sua disponibilità
alla persuasione, e che quindi occorre sempre modulare il messaggio in
funzione delle caratteristiche del destinatario. Tutti questi principi scien-

48
PSICODINAMICA DI UN LEADER

tifici della psicologia e delle comunicazioni di massa si trovano applicati


appunto in Una storia italiana (secondo un perfetto modello di proiezione
del Bene alPinterno, e di proiezione del Male all’esterno). Ripetitivo nei
concetti, perché la ripetizione del messaggio produce persuasione. Teso a
sottolineare la credibilità del leader di Forza Italia come fonte, sino a con-
notarlo in termini quasi magico-soprannaturali. Giustamente semplice,
elementare, quasi fumettistico nel linguaggio ma avvincente e coinvol-
gente nella narrazione, perché su oltre cinquanta milioni di italiani adul-
ti almeno quaranta reagiscono di più e meglio appunto a messaggi sem-
plici ma interessanti, comprensibili e avvincenti (e soprattutto miranti a
«eliminare le incoerenze» presenti nel nostro pensiero).
Infine, Berlusconi è profondamente convinto che l’uomo agisca secon-
do i principi della filosofia utilitaristica, cercando cioè una strada (di pen-
siero, di azione, di vita) che gli consenta di «massimizzare la felicità per-
cepita». Ecco perché il mondo semiologico berlusconiano è sempre all’in-
segna del “benessere”, della felicità. Come nelle fiabe, immancabilmente
concluse con la formula «e vissero tutti felici e contenti...» (tranne i mal-
vagi, sconfitti e giustamente puniti per le loro malefatte).

Dal G8 di Genova al caso Ruggiero


Un punto cruciale da rimarcare è che il modello di comunicazione proiet-
tiva viene adoperato dal Cavaliere non solo in campagna elettorale, ma
più in generale ogni volta che è in gioco una questione importante. Pren-
diamo, per esempio, in considerazione i fatti di Genova, legati alle conte-
stazioni al G8 del luglio 2001. Anche in questa occasione Berlusconi non
ha mancato di utilizzare il suo schema di comunicazione preferito, basato
sui processi di idealizzazione del sé, di identificazione proiettiva e di proie-
zione all’esterno della componente negativa.
In particolare, in quella vicenda la proiezione ha preso la forma dell’as-
similazione della parte con il tutto. Più o meno le cose sono andate così.
Attorno al Genoa Social Forum, insieme con decine di migliaia di giovani
pacifici e idealisti, si sono raccolti manipoli di facinorosi, Black Block e
simili (da poche centinaia ad alcune migliaia). Da un lato il GSF non è
stato sufficientemente deciso nel prendere le distanze da queste frange
estremiste, dall’altro lato il ministero dell’Interno ha faticato a tenere
sotto controllo la situazione, e soprattutto a bloccare gli estremisti.
Ne è risultata una tre giorni di devastazioni da una parte e di manga-
nellate alla rinfusa dall’altra. Per la prima volta il governo Berlusconi si è

49
MI CONSENTA

trovato in difficoltà comunicative, travolto dal protagonismo dei conte-


statori e soprattutto da certe immagini, riprese dalle televisioni di tutto il
mondo, non proprio adatte a celebrare l’efficienza del ministero dell’In-
terno nel gestire il pur difficile evento.
Dopo un opportuno silenzio, l’uomo di Arcore ha trovato la soluzione
giusta sul piano della comunicazione. Visto che indubbiamente erano stati
malmenati anche dei giovani apparentemente pacifici, l’unica via di uscita
era di creare un’equazione, un’identità, fra pacifici e violenti. Da qui le
dichiarazioni del 22 luglio 2001, in cui il capo del Governo ha affermato
che, in accordo con le informazioni fornitegli dal suo ministro dell’Interno,
c'era appunto una sostanziale identità tra il Genoa Social Forum e le frange più
violente. La parte per il tutto: essendoci alcuni violenti ai margini del GSF,
l’intero GSF diventa violento. Per cui sia le forze dell’ordine, sia il ministro
dell’Interno, sia l’intero governo Berlusconi hanno agito correttamente,
“menando” chi dovevano “menare”, senza che una sola manganellata fosse
andata neppure per sbaglio a una persona che non se la meritava.
E in ogni caso, ancora una volta, la responsabilità doveva essere attri-
buita al governo precedente: quello di Berlusconi si era infatti limitato ad
applicare i piani di ordine pubblico predisposti dal governo Amato.
Di nuovo vediamo in azione il fondamentale meccanismo della proie-
zione: tutto il male sta dall’altra parte, nel centro-sinistra, nel governo
Amato, nel GSF. Neppure la minima responsabilità, il minimo errore di
preparazione, la minima mancanza di precisione, può essere attribuita al
presidente del Consiglio e ai suoi uomini di governo.

Alcuni mesi dopo le vicende di Genova, il leader di Forza Italia deve


affrontare una seconda circostanza difficile: le dimissioni del ministro degli
Esteri Renato Ruggiero. Pure in questa situazione lo schema comunicazio-
nale viene ripetuto: idealizzazione del Sé, invito al pubblico a identificarsi
con lui, proiezione sull’altro, sul nemico, di ogni negatività.
Lunedì 7 gennaio 2002, sul Corriere della Sera, compare un lungo arti-
colo-intervista al premier (a firma del direttore Ferruccio De Bortoli), in
cui mi pare si possano trovare precise conferme di quanto appena detto.
Scrive testualmente De Bortoli:

Fluviale e imprevedibile come sempre, Silvio Berlusconi, al suo debutto come


ministro degli Esteri ad interim, reagisce alla prima seria crisi del suo governo
raddoppiando gli sforzi e, se possibile, lavorando ancora di più. Al telefono...

SO
PSICODINAMICA DI UN LEADER

liquida il caso Ruggiero dopo il “divorzio consensuale”, parlando della politica


estera senza mai nominare il suo predecessore: “Non era possibile andare avan-
ti così, noi costretti a fare un esame di europeismo ogni giorno, via...”.
Il Cavaliere rivendica la pienezza della scelta europea... maturata in tempi in
cui gli avversari dell’Ulivo, spiega, dubitavano di Maastricht e dello Sme (il
sistema monetario europeo...). Del resto il giovane Berlusconi attaccava per le
strade di Milano i manifesti di De Gasperi... quando in piena guerra fredda la
sinistra sognava un’altra integrazione internazionale. Con Mosca capitale...
Il neoministro degli Esteri ci tiene a difendere e spiegare l’ampiezza e la solidi-
tà della politica estera italiana. “In sei mesi di governo ho sostenuto 72 incon-
tri ufficiali e oltre 120 conversazioni telefoniche... Due grandi progetti mon-
diali portano la nostra firma... Con il ministro per l’Innovazione Lucio Stanca
stiamo mettendo a punto quello che io chiamo il Modello Universale per la
gestione digitale delle principali funzioni della pubblica amministrazione; vi
collaborano sei grandi gruppi mondiali della consulenza agli stati”...

Giovedì 10 gennaio si legge invece su La Repubblica, in un articolo a firma


di Gianluca Luzi:

Ma gli echi e le critiche, anche internazionali, per il “divorzio” con l’ex mini-
stro Ruggiero sono ancora nell’aria. Berlusconi nega che le Cancellerie euro-
pee siano preoccupate... e attacca con violenza l’opposizione. Ma tutti quegli
articoli della stampa internazionale? Berlusconi li spiega con l’esistenza di una
Rete, di una vera e propria Spectre della “disinformazione” e della “menzogna”.
Che secondo il premier funziona così: “C ’è una centrale italiana della sinistra
che, ad ogni accadimento italiano su cui si può costruire una critica, si mette
in contatto con amici situati nei vari Paesi. Amici che attivano, anche con
veline, i giornalisti e i giornali amici... ”.

Non so se esista o meno una «centrale della disinformazione» comandata


dalla sinistra italiana. Quasi sicuramente esiste invece un gruppo di esper-
ti comunicatori che ha come obiettivo quello di creare «immagini negati-
ve» da incollare addosso ai già abbastanza indeboliti leader del centro-
sinistra.
Silvio Berlusconi ci ha fatto insomma entrare nella comunicazione poli'
tica del XXI secolo: messaggi semplici, che fanno leva sulla ricerca dell’u-
tile individuale, vengono ripetuti all’infinito, e tendono a caratterizzare in
senso negativo l’avversario.

51
MI CONSENTA

Lo ripeto, può piacere o non piacere, ma è la realtà. Bisognerebbe finir-


la di dire che quelle di Berlusconi sono, in senso dispregiativo, «trovate da
telenovela».
Sono trovate che agiscono sui processi profondi dell’essere umano, pro-
prio come i prodotti della fiction televisiva, che non a caso hanno molto
successo. Luomo è una creatura molto meno razionale e linguisticamente
evoluta di quello che ci piace pensare. Una creatura che ha un bisogno
etologico, profondo, di essere guidato da un leader, da un “capobranco”. E
lo ha trovato in Silvio Berlusconi, almeno per quanto riguarda quel pic-
colo pezzo di mondo che si chiama Italia.

Sull’uso della proiezione, tanto importante per svelare i segreti dell’uomo di


Arcore, un'ultima considerazione. Essa agisce sempre contro il nemico di
oggi, non quello di ieri. E i due nemici possono non coincidere, così come
può capitare che l’amico di oggi sia il nemico di ieri e viceversa. Per esem-
pio, oggi Umberto Bossi, che ha un ruolo chiave nel mantenimento della
maggioranza politica che sostiene Silvio Berlusconi, gode della piena fidu-
cia e della dichiarata stima del premier (brani tratti da La Padania, Il Gior-
nale, Corriere della Sera).•

• «Sarebbe ora di rivalutare il leader della Lega perché è un vero anima-


le politico, coraggioso, tenace e coerente» (2000).
• «Ripensandoci riesco ancora a emozionarmi: mentre Umberto parlava
benedivo il momento in cui decisi di unire i nostri due popoli, Forza Ita-
lia e Lega» (2001).
• «Nel 1984 l’intesa con Bossi naufragò perché il Senatur è stato ingan-
nato e per questo motivo aveva abbandonato la coalizione: prima o poi
ci dirà anche chi sono stati i suggeritori malevoli che lo hanno consi-
gliato in tal senso spargendo menzogne sul mio conto. Oggi Bossi ha
ammesso i suoi errori e ha compreso che soltanto con la Cdl può rea-
lizzare l’obiettivo del federalismo» (2001).
• «Tra me e Bossi la fiducia è totale» (2001).
• «Ho lavorato molto bene con Bossi in questi giorni, in letizia e senza
alcuna difficoltà» (2001).
• «Dal nostro incontro del ’99 è nata una fiducia che mai, in nessun
momento, in nessuna occasione, è venuta meno» (2002).
• «Mia mamma mi disse: “Dai un bacino a Bossi e digli di fare il bravo,
che glielo mando a dire io”» (2002).

52
PSICODINAMICA DI UN LEADER

È impressionante confrontare questa fiducia e questa stima con le opinio-


ni espresse da Silvio Berlusconi soli alcuni anni fa:

• Umberto Bossi è un alleato pazzo e paradossale. Se potessi tornare


indietro, correrei da solo senza stringere alleanze... (La Scampa, 6 marzo
1994).
• Mi viene il sospetto che l’Onorevole Bossi voglia guidare un Polo non
della libertà ma delle parole in libertà... (La Stampa, 8 marzo 1994).
• Bossi parla solo per insulti, ridicolizza il valore dei sondaggi ma pare ter-
rorizzato dai loro risultati... (Il Messaggero, 8 marzo 1994).
• Bossi gioca col fuoco, se pensa di tradire l’alleanza dopo le elezioni, i
suoi deputati non lo seguiranno... (Corriere della Sera, 9 marzo 1994).
• Bossi dice tutto e il contrario di tutto (Ansa, 13 marzo 1994).
• Io Bossi l’ho capito dieci minuti dopo averlo incontrato. Sa che facen-
do lo sfasciacarrozze, il movimentista, il barricadero, il Che Guevara,
riesce a essere visibile e a resistere... (Ansa, 16 dicembre 1994).
• Chiunque voglia fare un governo con Bossi fallirà. Con lui non si può
far nulla... (La Stampa, 18 dicembre 1994).

53
Capitolo terzo

L'uomo m ultidim ensionale

C he uomo è Silvio Berlusconi? In che cosa consiste il segreto del suo


carisma? Un breve excursus biografico sul personaggio può aiutare a
inquadrarne nella giusta prospettiva l’evoluzione personale e professionale.
Silvio Berlusconi nasce a Milano il 29 settembre del 1936. Si laurea nel
1961, in legge, alPUniversità di Milano. Si sposa una prima volta con Carla
Dall’Oglio, da cui divorzia dopo aver avuto due figli, Marina e Pier Silvio;
e la seconda volta con Veronica Lario (da cui ha avuto altri tre figli). Nel
1962 fonda la società Cantieri Riuniti Milanesi, e nel 1963 l’Edilnord,
entrambe impegnate nelle costruzioni edili. Nel 1969 finanzia e realizza la
costruzione della città satellite di Milano 2 e, nel 1976, di Milano 3.
Nel 1974 dà vita alla televisione via cavo Telemilano, e nel 1980 fonda
il network televisivo Canale 5; nel 1983 compera il network concorrente
Italia 1 e, nel 1984, Rete 4. Panno dopo, nel 1985, acquista una catena di
cinema e nel 1986 l’AC Milan Football Club. La sua espansione prosegue
nel 1988 con l’acquisto della catena di grandi magazzini e supermercati
Standa, e nel 1990 con l’acquisizione della casa editrice Arnoldo Monda-
dori Editore Spa.
Nel 1993 inizia l’attività politica con la fondazione del partito Forza Ita-
lia; nel 1994 va al governo, come Primo ministro, ma nove mesi dopo
passa all’opposizione. Nel 1996 perde le elezioni per poi vincerle nuova-
mente nel 2001. A completare il quadro vi sono titoli, onorificenze e
appartenenze. E membro di Confindustria, anche se nei primi tempi il
“salotto buono” di viale dell'Astronomia lo snobbava un po’ (ricambiato
con una certa indifferenza da parte di Berlusconi). Ha ottenuto una lau-
rea ad honorem in ingegneria gestionale dall’Università della Calabria, nel
1991. Dal 1977 è cavaliere del lavoro. Sempre nel 1991 è stato nominato

55
MI CONSENTA

uomo dell’anno dall’International Film and Programme Market of TeleV i -


sion, Cable and Satellite.

Una biografia americana di Silvio Berlusconi


Ma vediamo più in dettaglio come è descritta la carriera del leader di Forza
Italia sul più autorevole sito Internet in lingua inglese specializzato nel-
l’informazione televisiva e radiofonica, il Museum of Broadcast Commu-
nications (www.mbcnet.org: la sede del museo è a Chicago, Illinois).
Secondo il Museum, quando era ancora uno studente il giovane Silvio
Berlusconi, figlio di un funzionario di banca milanese, mostrava già di pos-
sedere le due principali qualità che avrebbero segnato la sua carriera come
tycoon dei media: l’intuizione negli affari e l’attitudine al lavoro. Mentre
stava preparando la tesi di laurea all’Università di Milano su II contratto
nella pubblicità su stampa, si autofinanziò gli studi lavorando come intrat-
tenitore sulle navi da crociera.
Dopo la laurea, colse immediatamente le opportunità imprenditoriali
aperte dalla fase di sviluppo economico che caratterizzò l’Italia degli anni
Sessanta. In particolare, si rivolse subito al settore edilizio, in forte cresci-
ta, e nel 1969 investì tre miliardi di lire nella costruzione di una prestigio-
sa “città dormitorio” (così la definisce testualmente il citato Museum),
Milano 2, giusto alle porte della metropoli lombarda. La decisione, nel
1974, di installare un sistema televisivo via cavo proprio nel complesso di
Milano 2 rappresentò la sua prima “entrata” nel mercato televisivo, che
stava per andare incontro a sua volta a una forte espansione.
Lo storico monopolio delle trasmissioni radiotelevisive detenuto dall’o-
peratore pubblico RAI era stato confermato con la Legge 103 del 1975.
Ma l’anno dopo la Corte Costituzionale stabilì che esso non si estendeva
all’ambito locale. Questa decisione legittimò il proliferare degli operatori
televisivi prima definiti “pirati” e attrasse nuovi investitori, grazie ai circa
700 canali commerciali che spuntarono come funghi per l’intero paese.
Berlusconi fu rapido nel vedere l’enorme potenziale insito in questa
esplosione di attività e nel 1975 fondò Fininvest, una holding destinata
alla cura dei suoi crescenti interessi. Nel 1979 si dotò di un grande magaz-
zino film, per noleggiare titoli alle stazioni televisive a condizione che
mandassero in onda la pubblicità acquisita tramite la sua concessionaria,
ossia Publitalia. Egli divenne così, rapidamente, la forza dominante in un
mercato che aveva visto la televisione crescere in quota, nel settore della
pubblicità, dal 15% del 1976 al 50% circa di dieci anni dopo. Nel 1983 la

56
L'UOMO MULTI DIMENSIONALE

raccolta pubblicitaria di Publitalia aveva superato quella di RAI e alla fine


degli anni Ottanta concentrava su di sé circa il 70% di tutta la spesa pub-
blicitaria televisiva.
Il suo potere nel nuovo mercato della televisione commerciale venne
ulteriormente consolidato da una riuscita strategia di acquisizione di reti
televisive. Fra il 1977 e il 1980 creò Canale 5, un network nazionale, capa-
ce di dare l’illusione di essere un singolo canale grazie alla messa in onda
in contemporanea di una serie di videocassette, consegnate per mezzo di
corrieri (meccanismo denominato tecnicamente “interconnessione”).
La programmazione del network fu sin dall’inizio volutamente popolare,
contando soprattutto su film d’importazione, fiction e soap operas, e game
show prodotti autonomamente. Nel 1981 la Corte Costituzionale rivide la
sua precedente decisione esprimendosi questa volta a favore della possibi-
lità di azione per network privati nazionali, a patto che fossero presi oppor-
tuni provvedimenti anti-trust. Berlusconi si avvantaggiò prontamente di
questa apertura, comperando nel 1982 uno dei suoi maggiori competitor,
Italia 1 e, nel 1984, l’unica stazione davvero concorrente, cioè Rete 4-
Queste mosse confermarono il suo dominio della televisione commerciale,
facendogli guadagnare l’appellativo cardinalizio di Sua Emittenza.
A questo punto cominciò l’opposizione al potere di Berlusconi. Nell’ot-
tobre del 1984 la magistratura decise che, con la trovata dell’interconnes-
sione, i suoi canali avevano di fatto inficiato il diritto monopolistico di
RAI di erogare un servizio televisivo nazionale in simultanea, e li oscura-
rono. Ma - continuano i redattori del Museum - Berlusconi aveva impor-
tanti amicizie politiche, incluso il Primo ministro Bettino Craxi, che con
singolare decisione fece ritorno anticipato da un viaggio all’estero proprio
per firmare un decreto di riapertura dei canali Fininvest.
Nonostante il clima europeo di crescente entusiasmo per i processi di
deregulation e privatizzazione, nessun altro governo continentale consentì a
un singolo operatore di accumulare un controllo così “concentrato” sulle
emissioni televisive. Grazie al supporto politico si venne a creare in Italia un
effettivo duopolio nel sistema televisivo nazionale per il resto della decade,
con tre canali commerciali a Fininvest e tre canali pubblici a RAI, e con uno
share complessivo, per ciascuno dei due operatori, del 40-45%.
Sullo sfondo di questa situazione, nel 1988 la Corte costituzionale
avvertì il Parlamento dell’urgenza di introdurre forti misure anti-trust, il
più presto possibile. Il Parlamento rispose parzialmente con la legge tele-
visiva del 1990, detta Legge Mammì (dal nome del ministro delle Teleco-

57
MI CONSENTA

municazioni che la presentò). Vi fu un aspro dibattito parlamentare anche


perché la Corte costituzionale osservò che la legge in questione aveva
sostanzialmente eluso le indicazioni anti-trust della Corte stessa e appari-
va troppo favorevole all’operatore della televisione privata. Ma alla fine la
nuova legge si limitò appunto a legittimare lo status quo. Berlusconi venne
autorizzato a tenersi i suoi tre network di trasmissione, e il dominio di
Publitalia nel mercato della pubblicità televisiva rimase inalterato.
Tuttavia, le nuove regole sul possesso incrociato costrinsero Berlusconi
a cedere il 90% delle sue quote nella prima pay-TV italiana, Telepiù, e a
trasferire il controllo del quotidiano milanese II Giornale al fratello Paolo
Berlusconi. Le critiche a questa concentrazione di potere comunicaziona-
le continuarono, ma niente mise più in seria discussione il dominio da
parte di Fininvest del mercato pubblicitario.
Un riacutizzarsi delle pressioni verso norme anti-trust più restrittive
coincise con 'una fase di crisi finanziaria di Fininvest, per via dell’assorbi-
mento da parte del gruppo dei costi delle recenti acquisizioni. Del resto,
nel 1986 Berlusconi aveva comperato la società calcistica AC Milan, inve-
stendovi grandi quantità di denaro per farne il club italiano di maggiore
successo di tutti i tempi. Nel 1988 aveva comperato Standa, importante
catena di grandi magazzini, e nel 1990, dopo una dura battaglia con Carlo
De Benedetti, patron di Olivetti, si era preso anche l’Arnoldo Mondado-
ri Editore, conquistando così il controllo di una quota pari circa al 20% del
mercato editoriale nazionale. Tutto ciò aveva fatto crescere esponenzial-
mente i debiti del gruppo Fininvest, portandoli nel 1994 a circa due miliar-
di di dollari.

Pressato dalle continue richieste di spezzare il suo impero televisivo, Ber-


lusconi scese in campo in politica nel 1994, annunciando che avrebbe par-
tecipato alle imminenti consultazioni elettorali. Le cronache di allora
riportano le perplessità di molti, ben espresse dall’opinione di Luciano
Benetton secondo cui «l’amore per la politica di Silvio Berlusconi è moti-
vato dal timore di perdere i suoi interessi televisivi».
Il veicolo della sua discesa in campo fu un partito completamente
nuovo, Forza Italia (nome modellato - secondo i redattori del Museum -
sull’identica incitazione calcistica), in alleanza con la Lega Nord e i post-
fascisti dell’ex-MSI, ridenominato Alleanza Nazionale. Durante la campa-
gna elettorale egli si avvalse del supporto delle sue reti televisive e dei suoi
giornali, cosa che portò il celebre giornalista Indro Montanelli ad abban-

58
L’UOMO MULTI DIMENSIONALE

donare in segno di protesta II Giornale da lui diretto. Come strategia di


comunicazione politica, Berlusconi puntò sull’idea di un uomo rimasto
esente dalla vecchia corruzione, in sintonia con le aspirazioni della nuova
Italia, e favorevole alla riduzione delle tasse, al libero mercato e all’incre-
mento delle opportunità per il singolo individuo.
La sua coalizione di destra ottenne il 43% del voto popolare nel marzo
del 1994, e formò un governo con Berlusconi Primo ministro. Ci fu un’im-
mediata recrudescenza del dibattito sul conflitto di interessi. Egli peraltro
aveva tentato di risolvere la questione all’inizio della campagna elettorale
abbandonando tutti i ruoli manageriali e nominando presidente del grup-
po il suo vecchio “accompagnatore al pianoforte”, Fedele Confalonieri.
Ma poiché la sua famiglia possedeva ancora il 51% delle quote del grup-
po, le critiche non furono messe a tacere. Questi sospetti, abbinati alla
defezione dalla coalizione della Lega Nord, portarono alla caduta del suo
primo governo dopo nove mesi.
In coincidenza con questi eventi Berlusconi prese altre misure. Nel
luglio del 1995 annunciò che aveva venduto una quota del 20% della sua
nuova holding, Mediaset (cui afferiscono tuttora i suoi interessi in campo
televisivo, pubblicitario, filmico e discografico), a tre investitori esteri, tra
cui il magnate tedesco dei media Leo Kirch. Ulteriori quote sarebbero
state vendute più avanti a banche e altri investitori istituzionali, riducen-
do la sua quota di controllo al 72%. Poi, due giorni prima delle elezioni
dell’aprile 1996, diede l’annuncio della quotazione in Borsa che avrebbe
eliminato il suo controllo maggioritario.
Sul piano politico iniziò per Berlusconi una nuova sfida. La sua imma-
gine accuratamente coltivata di uomo al di fuori del sistema di corruttele
della Prima Repubblica venne intaccata dalla rivelazione che nel 1978 egli
si era affiliato alla potente loggia massonica Propaganda 2, una specie di
“Stato parallelo” con connessioni nelle forze armate, nei servizi segreti, nel
sistema bancario e finanziario e persino nel governo. Quindi, nel gennaio
1996 fu chiamato in causa dai magistrati di Milano per rispondere all’ac-
cusa di aver corrotto la Guardia di Finanza inducendola a presentare un
resoconto favorevole sulla situazione fiscale delle sue aziende. Tutto ciò -
continua la scheda del Museum - lo spinse a tornare in politica alle ele-
zioni dell’aprile 1996. Venne eletto membro del Parlamento, ma al gover-
no andò l’Ulivo, la prima coalizione di successo della sinistra dalla Secon-
da Guerra Mondiale in poi.
Il resto è storia attuale: il lungo periodo passato all’opposizione, la rico-

59
MI CONSENTA

struzione dell’originaria coalizione Forza Italia più Lega Nord più Allean-
za Nazionale (e alcuni alleati minori), la campagna elettorale 2001 e il
ritorno al potere come Primo Ministro.
La biografia di Silvio Berlusconi sul Museum of Broadcast Communi-
cations si conclude così:

Che rimanga o meno una figura centrale nel business e nella politica italiana
del futuro, Berlusconi verrà ricordato come l’uomo che nello spazio di soli ven-
ticinque anni è riuscito a dare vita a un conglomerato economico capace di
dominare la televisione commerciale italiana, di diventare il secondo impero
europeo dei media (dopo il tedesco Bertelsmann) e il terzo più grande gruppo
privato italiano, e ad adoperare il suo potere comunicativo e la sua attitudine
per lo show business come volano per il lancio di un nuovo partito politico in
grado di guadagnare abbastanza voti da farlo eleggere Primo ministro in soli
quattro mesi.
In definitiva, la sua carriera nel corso degli ultimi venticinque anni si staglia
come un’impressionante illustrazione delle opportunità ma anche dei pericoli
connessi a una eccessiva concentrazione di potere nel settore dei media, in un
contesto di mercato regolato da norme deboli...

Impressionante, vero? Soprattutto perché la biografia appena citata mette


chiaramente in luce che se Berlusconi ha potuto diventare Berlusconi, è
anche perché ha saputo sfruttare al meglio le opportunità offerte da un
contesto di mercato senza regole, o con regole deboli, in cui la mediazio-
ne politica è stata essenziale. Non a caso, sabato 9 febbraio 2002, in un’in-
tervista a La Repubblica, Enzo Biagi ha fatto, tra le altre, queste dichiara-
zioni:

Negli ultimi venti anni nessuno ha avuto la forza e il coraggio di intervenire


sui monopoli televisivi. Si tratta di interessi di migliaia di miliardi all’anno.
Berlusconi, che si scrive da solo le biografie, si presenta come il più grande
imprenditore della storia. Ma quando uno ha per amico un presidente del Con-
siglio come Craxi, che ti garantisce il monopolio delle concessioni e molla i
vertici internazionali per proteggere i tuoi interessi, diciamo che le cose riesco-
no meglio. Per tornare alla tua domanda, credo che gli italiani lasceranno fare
al Premier tutto quello che vorrà, almeno fino a quando dureranno le illusioni
di nuovo boom economico e l’attesa di veder realizzati i miracoli promessi
durante la campagna elettorale...

60
L'UOMO MULTI DIMENSIONALE

Schem a 6 - L’uomo polifunzionale

Energia costruttiva

Ottimismo

Convinzione

Narcisismo SILVIO BERLUSCONI Dissimulazione

Sorpresa

Bilanciamento
emisferico

Risorse integrate

Ciò premesso sul piano biografico, quando il Cavaliere afferma che al


mondo ci sono pochi leader con le sue stesse caratteristiche, in termini
psicologici ha perfettamente ragione. Silvio Berlusconi è infatti un uomo
che potremmo definire polifunzionale (Schema 6) cioè capace di usare alter-
nativamente, e con pari efficacia, svariati registri psicologici (vedi anche
Caprara e Luccio, 1992; Carotenuto, 1991).

L’ottimismo
Un primo tratto significativo di personalità (registro mentale) di Silvio
Berlusconi è l’ottimismo, la capacità che ha di pensare il futuro a sua

61
MI CONSENTA

immagine e somiglianza. Sull’esistenza dentro di lui di questo «serbatoio di


energia costruttiva» il Cavaliere stesso ha dato numerose testimonianze
dirette, come, per esempio, in questo brano di Una storia italiana:

«Sono un sognatore pragmatico... altri fanno sogni che restano sogni, io cerco
di trasformare i sogni in realtà...». Questa è la chiave fondamentale del succes-
so di Berlusconi imprenditore, del fondatore di aziende, del creativo che ha sapu-
to coltivare grandi progetti, accendere grandi speranze, lanciare grandi sfide, rea-
lizzare quelle che sembrano solo utopie... «In tutte le attività in cui mi sono
impegnato ho dimostrato che si può arrivare a risultati che possono apparire
irraggiungibili. Occorre sapersi dare degli obiettivi ambiziosi, quasi delle missio-
ni impossibili. E ci vuole del coraggio. Certo il traguardo non deve essere proibi-
tivo. Bisogna essere obiettivi nella valutazione dei propri mezzi...»

Lottimismo berlusconiano assume un’intensità tale da diventare un vero e


proprio strumento di sfida creativa nei riguardi della vita e del mondo
(Pagnin e Vergine, 1977), come se il leader di Forza Italia cercasse di alza-
re continuamente, all’infinito, la posta in gioco, per dimostrare appunto
che il suo ottimismo è giustificato, e che non esistono in realtà «missioni
impossibili». Lui stesso ce lo rivela in questo brano:

«Quando un imprenditore entra in un settore nuovo, tutti i protagonisti di quel


settore e i soliti soloni lo guardano con diffidenza e molti ne sorridono. Quan-
do entrai nell’edilizia e intorno alle case costruivo asili, scuole, chiese, impianti
sportivi, centri di ricreazione, e mi preoccupavo della qualità della vita degli abi-
tanti e dell’ambiente che li circonda, mettendo a dimora centinaia di alberi, i
vecchi costruttori fecero questa previsione: “Quello lì non può durare, poveri-
no fallirà! Perché non capisce che così non si guadagna, che non si devono
viziare così gli acquirenti.” Quando entrai nella televisione tutti si misero a dire:
“Ma come può uno che viene dall’edilizia darsi alla grande informazione pen-
sando di reggere alla concorrenza della Mondadori, della Rizzoli, della Rusco-
ni?”. E tutti si fecero delle gran risate. Quando sono entrato nel calcio mi suc-
cesse la stessa cosa. “Il calcio è un mondo diffìcile, sono in tanti a partire ma
vince una sola squadra. Uno che non ha esperienza, per vincere deve aspettare
almeno dieci anni.” In tutti e tre i casi non è andata come i vecchi del mestie-
re avevano pronosticato. Al contrario, entrando in settori legati a vecchie con-
suetudini, chi sa innovare, chi sa domandarsi perché si deve fare sempre nello
stesso modo, può inventare nuove soluzioni e conseguire grandi risultati...»

62
L’UOMO MULTI DIMENSIONALE

Silvio Berlusconi è sempre lo stesso: la sua capacità di accendere speranze e di


saperle trasformare in fatti concreti, il suo talento nel creare e motivare squa-
dre vincenti, il suo entusiasmo contagioso, la sua attitudine a non adeguarsi ma
a resistere e a ribellarsi, sono rimaste anche oggi le stesse di allora...

Il bilanciamento emisferico
In secondo luogo, Silvio Berlusconi rivela una notevole capacità di alter-
nare, o integrare, intuito e immaginazione da una parte, e spirito critico-
analitico dall’altra. Come è noto, il cervello umano si compone di due
emisferi, quello sinistro (sede del pensiero verbale e logico-analitico) e
quello destro (sede del pensiero visivo, deU’immaginazione, delle abilità
artistiche). Normalmente gli individui adoperano prevalentemente un
emisfero, chiamato appunto “dominante” (e nei destrimani, che rappre-
sentano il 95% della popolazione, questo emisfero è proprio quello sini-
stro). Mancini e soggetti particolarmente creativi hanno una situazione di
“lateralizzazione emisferica” meno netta, più distribuita, e ciò consente
loro di adoperare in maniera più “bilanciata” le proprietà funzionali di
entrambi gli emisferi (Gazzaniga, 1989). Bene, è probabile che Silvio Ber-
lusconi sia proprio uno di questi soggetti, un individuo capace quindi di
utilizzare in modalità integrata il codice logico-analitico del cervello sini-
stro e il codice sintetico-spaziale dell’emisfero destro.
Il modo in cui ha consolidato le sue reti televisive è indicativo di que-
sta attitudine a combinare creativamente analisi logica e immaginazione:

La costruzione di una concreta alternativa al monopolio RAI, però, non pote-


va prescindere da una condizione essenziale: la possibilità di trasmettere in
contemporanea sull’intero territorio nazionale. E lo stesso Berlusconi a sotto-
linearlo in un’intervista del 22 aprile 1981: “Non si può fare vera televisione se
non si è collegati in diretta con tutto il Paese e con il mondo”. E allora Berlu-
sconi ha un’idea geniale. Registra su un master, in anticipo di un giorno, tutti
i programmi, compresi gli spot pubblicitari, e invia il master con tutto il palin-
sesto di uriintera giornata alle televisioni locali che li trasmettono il giorno
dopo in contemporanea. Per fare un esempio, B u o n a D o m en ica, la trasmissione
dei pomeriggi domenicali, viene registrata il sabato. Nello studio un grande
cartello ricorda a tutti «oggi è domenica» e quando il programma va in onda
la domenica alla stessa ora su tutte le televisioni locali, si ha l’impressione che
sia in diretta. È una diretta virtuale che può far concorrenza ai programmi
R A I... Davvero geniale... (Dna sto ria italian a)

63
MI CONSENTA

L’attitudine dissimulativa
Una terza grande caratteristica di personalità di Silvio Berlusconi come
leader è l’attitudine dissimulativa. Per “dissimulazione” si intende in que-
sta sede la capacità di cogliere di sorpresa gli interlocutori agendo in modo
diverso da come questi si aspettavano che le cose andassero (Salvini,
1977).
Su questo punto, sull’abilità a costruire piani di azione “sorprendenti”
(e naturalmente a tenerli nascosti sino al momento della loro realizzazio-
ne, cosa che costituisce l’altra faccia, necessaria, della dissimulazione), il
Cavaliere stesso ha dato un preciso esempio a proposito della nascita di
Forza Italia:

26 gennaio 1994. Tutti i telegiornali trasmettono il messaggio di Silvio Berlu-


sconi che annuncia di avere rassegnato le dimissioni da tutte le cariche socia-
li del Gruppo che ha fondato, per «mettere la mia esperienza e tutto il mio
impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con assoluta convinzione
e con la più grande fermezza». La sfida è lanciata, Berlusconi è sceso in campo.
L’effetto è enorme. La decisione ha l’impatto di un terremoto: improvvisamen-
te gli scenari della politica italiana vengono sconvolti, tutte le previsioni elet-
torali si rovesciano, la «invincibile macchina da guerra» della sinistra si trova
sulla strada del potere un ostacolo imprevisto, i moderati e i democratici, rima-
sti privi di una rappresentanza politica, trovano un nuovo punto di riferimen-
to ... ( U n a sto ria ita lia n a )

Il narcisismo
Infine, ovviamente, c’è la dimensione “narcisista”, su cui le forze di oppo-
sizione al Cavaliere e al suo movimento hanno lungamente insistito. Il
vocabolario definisce come narcisismo «l’amore eccessivo dell’individuo
per la propria immagine, che deriva dall’investimento esclusivo dell’ener-
gia libidica sull’Io... nel bambino costituisce uno stadio normale dello svi-
luppo affettivo della personalità; per estensione, l’eccesso di ammirazione
o compiacimento per se stessi o per i propri meriti, reali o presunti...».
Che esista un lato “narcisista” nella personalità di Silvio Berlusconi è
poco più di una tautologia, ma questo concetto, di per sé, non ci aiuta a
capire le differenze fra l’uomo di Arcore e gli altri leader, italiani o stra-
nieri. Per aspirare a diventare presidente del Consiglio per definizione ci
deve essere una buona presenza di «narcisismo» nella struttura della per-
sonalità (Sassanelli, 1992).

64
L'UOMO MULTI DIMENSIONALE

La verità è che nei paesi ricchi viviamo in un’autentica società del «nar-
cisismo collettivo». Dunque, il concetto di narcisismo in quanto tale non
è sufficiente a caratterizzare davvero la personalità di Silvio Berlusconi né
rispetto ad altri leader né, tutto sommato, rispetto alla maggior parte delle
persone comuni.
Il fatto è che il fondatore di Forza Italia non è un narcisista “qualunque”.
E un narcisista realizzativo, una persona cioè che ha la forza, la costanza, la
determinazione, di passare dalla dimensione “onirica” a quella “reale”,
dalla visione all'azione. Come altri grandi “ispirati” della storia, compresi in
effetti l'imperatore Giustiniano e Napoleone Bonaparte, che proprio il
Cavaliere cita come modelli di riferimento. Questo gli dà una valenza per
così dire “messianica” che sta, al pari dei fattori di personalità prima citati,
alla base del suo successo personale e aziendale (Freud, 1969).
Se Berlusconi ha vinto le elezioni è proprio perché molti italiani hanno
visto e sentito in lui non un narcisista qualsiasi, uno dei tanti, tantissimi,
che vogliono “apparire” o “essere”. Hanno visto e sentito in lui uno che
vuole “costruire”, realizzare, agire. E come mille altre volte prima, nella
storia, la combinazione di narcisismo e praticità, voglia di essere e capaci-
tà di fare, è risultata vincente. La miscela esplosiva si è innescata e, sor-
retta da adeguati mezzi (televisioni, radio, giornali eccetera), ha dato
luogo a una vera e propria «esplosione sociopolitica».
In aggiunta, come ha giustamente osservato Enzo Biagi nel brano prima
riportato, in questa fase gli italiani sono disposti a perdonare anche gli
eccessi del narcisismo perché sono in attesa dei miracoli e dei successi pro-
messi in campagna elettorale. Persino le “coma” fatte dal Premier in testa
al ministro degli Esteri spagnolo in una foto ufficiale a un vertice europeo,
immortalate sui giornali di tutto il mondo, vengono accettate con bene-
volenza da una larga fetta dell’opinione pubblica italiana, ancora sotto gli
effetti “seduttori” del pressing comunicazionale pre e post-elettorale di Sil-
vio Berlusconi.

Insomma, non vi sono dubbi che il Cavaliere, sotto il profilo psicologico,


abbia un notevole grado di narcisismo. Ma il suo è un narcisismo che con-
quista, che prende, che persuade, perché ha il crisma della verosimiglianza,
della supportabilità attraverso le gesta, le azioni. Affermazioni e azioni
che, fatte da altri leader, provocherebbero una reazione critica all’insegna
del «narcisismo fine a se stesso», messe sulle labbra dell’uomo di Arcore
suonano come forme di compiacimento forse esibitivo, ma mai del tutto

65
MI CONSENTA

inverosimili. Ciò mette il Cavaliere nella straordinaria posizione di un


politico che può fare praticam ente qualunque affermazione su di sé, senza
tema di apparire eccessivo agli occhi dei suoi sostenitori. Laddove un’altra
figura sembrerebbe ridicola e volta al puro culto della propria personalità,
Berlusconi si configura come un ragionevole e realistico “narratore” di se
stesso. Proviamo, per esempio, a esaminare questo brano di U n a s t o r i a i t a -
lia n a :

Di hobby, Berlusconi non ne riconosce nessuno in particolare: «Gli unici veri


hobbies sono lo studio e il lavoro.» E infatti, come smentirlo? Se da studente di
ginnasio, nell’ora di italiano, scriveva non uno ma tre temi, e poi passava gli
altri due ai compagni meno dotati... «Mi picco di essere un esperto di parchi
e di giardini, credo di aver messo a dimora più alberi io di qualunque altro pae-
saggista “laico”, che non faccia cioè il vivaista di mestiere.» Conosce e ricono-
sce tutte le specie di alberi, fiori e cespugli. Ama indicarli con il nome botani-
co in latino. E come esperto è intervenuto in numerose trasmissioni televisive.
Dopo parchi e giardini, ecco un altro hobby semiufficiale, l’arredamento, come
racconta uno che lo conosce bene, Giuliano Ferrara... Ama da sempre la musi-
ca. Canta, suona il piano, la chitarra e il contrabbasso. Conosce decine e deci-
ne di canzoni francesi, i suoi autori preferiti sono Charles Trenet, Gilbert
Becaud, Charles Aznavour. Ha inciso Q u e r e ste - t- il des n os am o u rs, D a n s mon
ile e altri capolavori francesi in un cd per sua figlia Marina... Berlusconi è da
sempre un lettore appassionato. I suoi interessi spaziano dai saggi storici alla
politica, dall’economia alla filosofia. Con una predilezione per i classici della
letteratura... Nelle sue biblioteche... trovano un posto particolare i libri di cui
ha personalmente curato l’edizione...

Limmagine che esce da queste righe è quella di una persona che definire
«genio» sarebbe riduttivo. A scuola riusciva a scrivere, in un’ora, non uno
ma tre temi: uno per sé e due da distribuire «ai compagni meno capaci».
Conosce e riconosce tutte le specie di alberi, di fiori e di cespugli, con il
relativo nome in latino (credo che neppure il più grande esperto m ondia-
le di biologia vegetale sia in grado di fare altrettanto, visto che le specie
vegetali sinora censite sono all’incirca 50 m ila). Conosce decine e decine
di canzoni francesi, e ha anche inciso un cd per sua figlia. Infine, è riusci-
to a curare come “editor” l’edizione di svariati saggi di filosofia e lettera-
tura. A nche ammettendo che tutto questo sia vero e, quindi, che Silvio
Berlusconi sia una delle più grandi menti di tutti i tempi, ce n’è abbastan-

66
L’UOMO MULTIDIMENSIONALE

za per parlare di culto della personalità. Giustificato, se vogliamo, ma sem-


pre culto della personalità. La riprova è che se riferissimo le stesse identi-
che cose a un qualunque altro uomo politico italiano, l’effetto risultante
sarebbe perlomeno di incredulità, forse di ilarità. E invece il presidente del
Consiglio può permettersi persino questi eccessi, indubbiamente esagerati
(senza nulla togliere al valore dell’uomo), di auto-valorizzazione. Per il
semplice motivo che l’ “ ir r e a lis t ic o ” , r it a g lia to s u d i lu i, s u o n a c o m e “ r e a lis ti -
co”. Proprio perché è un narcisista realizzatore.

In sostanza, cinque sono i fattori differenziali di successo nella personalità


di Silvio Berlusconi, uno più generale e quattro più particolari:

• l’aspetto generale consiste nella sua capacità di essere “polifunzionale”, di


suonare con eguale abilità registri mentali e comportamentali differenti,
adattandoli al momento, alla situazione e all’interlocutore specifici;
• gli aspetti particolari sono nell’ordine l’ottimismo, l’equilibrio emisferi-
co sinistra-destra (bilanciamento cerebrale), l’attitudine dissimulativa e
il narcisismo realizzativo (vedi ancora S c h e m a 6 ) .

Psicoanalisi e genio
Eultimo tratto, quello del «narcisismo realizzativo», ci spinge a una
domanda: il leader di Forza Italia può davvero essere considerato, come
egli stesso per molti versi fa, un genio? In psicologia si ammette che per
essere riconosciuto come un genio l’individuo deve manifestare in misura
insolita il talento, o le abilità, richiesti e socialmente premiati dalla cultu-
ra e dalla società in cui vive. Inoltre, sussiste una relazione speciale fra
g e n ia lit à e c e le b r ità .
Molti psicologi, soprattutto in passato, hanno sostanzialmente identifi-
cato i due concetti con il semplice espediente di definire la condizione
della “genialità” appunto come il possesso di ciò che è necessario per
diventare celebre nella società di appartenenza. Insomma, l'uomo famoso,
molto famoso, ip so f a c t o sarebbe un “genio” nella sostanza, e vi sarebbero
tanti tipi di “geni” quanti sono i modi di avere successo nella nostra socie-
tà. Un abile manager, non a caso, può essere premiato con un titolo uni-
versitario ad honorem per il suo “genio finanziario”; un generale vittorio-
so per il suo “genio militare”, e così via. In definitiva, spesso la società crea
o attribuisce il carattere di “genio” allo scopo di razionalizzare il modo in
cui essa distribuisce la fama.

67
MI CONSENTA

Anche senza voler assumere questa posizione piuttosto radicale sulla


natura sociale della genialità, dobbiamo riconoscere che la maniera più
semplice e “logica” di definire l’essere geni consiste nel parlare di individui
che superano notevolmente la media della popolazione nelle realizzazioni
in qualsiasi campo. Quindi, in ogni caso, nella definizione del concetto
entra in gioco la dimensione della valutazione relativa.
Il genio viene, insomma, definito secondo criteri sociali e in uno speci-
fico sistema culturale di valori. E la mia idea è che nel contesto della socie-
tà italiana post-industriale di oggi, fortemente orientata ai valori dell’indi-
vidualismo, deH’edonismo e del benessere, un personaggio come il Cava-
liere, proprio per la sua forte componente di “narcisismo realizzativo”, sia
più o meno inconsciamente vissuto dai cittadini come un autentico genio.
Un essere nettamente superiore alla media che può fare cose eccezionali e
cui sono concesse libertà di azione maggiori di quelle dei «normali» citta-
dini. E in effetti, almeno in apparenza, gran parte dell’opinione pubblica
italiana accetta qualunque affermazione di Silvio Berlusconi, qualunque
esagerazione, qualunque “narrazione”, anche contraddittoria. E, per certi
versi, anche qualunque comportamento.
Ecco perché egli può permettersi di essere, con il consenso della mag-
gioranza dei cittadini, Premier e magnate dell’economia, tycoon e presi-
dente di una squadra di calcio, sostenendo però di non avere in corso
alcun conflitto di interessi. Può permettersi di portare in Parlamento - e
magari di elevare al rango di ministri - amici, dipendenti, collaboratori e
avvocati, sempre affermando di essere un paladino della meritocrazia e di
un nuovo modo di fare politica, diverso dalle consuetudini del passato. Di
essere inquisito dalla magistratura e nel medesimo tempo di tuonare con-
tro la magistratura stessa (o almeno una sua parte). Di controllare di fatto
sei grandi reti televisive e però di dire, con principesca noncuranza, che
non è affatto vero o che le sue stesse televisioni “remano” contro di lui.
Tutto questo colloca il presidente del Consiglio in una posizione psicolo-
gica superiore rispetto agli altri uomini politici dell’Italia di oggi. Percepito a
livello emotivo profondo come un genio della realizzazione, Berlusconi assu-
me nell’immaginario collettivo connotati “magici” che gli consentono di
rendere credibili alle orecchie degli interlocutori anche gli intendimenti, i
progetti, i pensieri e le azioni più ambiziosi e, magari anche, discutibili.

Comunque stiano le cose, non mi sembra di intravedere, sulla scena poli-


tica italiana attuale, altri leader dotati di un simile cocktail psicoenergeti-

68
L'UOMO MULTI DIMENSIONALE

co (in perfetto accordo con la Psicoanalisi del genio tracciata da Sigmund


Freud). Piaccia o no, Silvio Berlusconi è (come dice lui stesso) l’attore più
bravo sulla scena. Anche perché rappresenta l’irruzione in scena di fatto-
ri non strettamente politici (affari, sport, comunicazione) che gli altri atto-
ri non possono di certo esibire.
La mia è una valutazione “tecnica” che prescinde da qualsiasi conside-
razione di ordine politico o morale: ma proprio per il suo essere «una span-
na sopra gli altri», il Cavaliere rischia inevitabilmente, al di là delle sue
stesse intenzioni, di costruire una forma nuova di “regime”*. Perché chi si
eleva troppo sopra la media spesso utilizza forze psicologiche che possono
sfuggirgli di mano.

Ma torniamo a parlare dell’autodichiarata genialità dell’uomo di Arcore.


Dai primi studi di Sigmund Freud in poi, le concezioni psicoanalitiche del
genio hanno sempre sottolineato le caratteristiche motivazionali più che
quelle intellettuali. Secondo gli psicoanalisti, insomma, il genio non
necessariamente differisce, per quel che riguarda la capacità intellettuale
in senso stretto, dall’uomo ordinario, ma si distingue principalmente per
ciò che egli riesce a fare con la sua capacità sotto una forte spinta moti-
vazionale. Spinta che produce quasi uno “stato di trance”.
Come spiega Anne Anastasi nel volume Psicologia differenziale (1965),
vi sono dei creatori che provvedono personalmente a descrivere e spiega-
re le proprie esperienze creative. Alcune di queste spiegazioni parlano di
produzione appunto «in stato di trance», e di manifestazione automatica,
apparentemente non controllata, proprio di idee creative. Gli psicoanali-
sti hanno preso queste spiegazioni, continua Anastasi, a dimostrazione
della loro teoria dell’importanza dei “processi inconsci” e della parte che
questi processi hanno nell’opera creativa.
Sia per il numero e le dimensioni delle sue realizzazioni (nell’edilizia,
nelle televisioni, nell’editoria tradizionale e innovativa, nel calcio, nel
mondo finanziario, nella politica e così via), sia per la grande carica moti-
vazionale di cui lui stesso parla frequentemente, Silvio Berlusconi può
essere considerato a tutti gli effetti un “genio”, nel senso in cui abbiamo
definito questo concetto. La “furia motivazionale” che lo caratterizza tra-
spare con chiarezza nel fascicolo Una storia italiana:

* Termine più volte adottato da Silvio Berlusconi per definire il governo della passata legis-
latura.

69
MI CONSENTA

Ama la puntualità: non sopporta di arrivare in ritardo a un appuntamento ma


non sopporta neppure chi arriva in anticipo... all’una di notte legge i giornali
del giorno dopo e lavora alla scrivania sino alle 2 e mezza. Sono le sole ore in
cui non è perseguitato dalle telefonate e può preparare le “scalette” per i suoi
discorsi a braccio o i testi per i suoi interventi scritti in Parlamento... Da ado-
lescente sognava di fare il direttore d’orchestra, scriveva poesie per far colpo
sulle ragazze, leggeva G ia m b u r r a sc a e le T igri di M o m p r a c e m ...

Più avanti, nello stesso fascicolo, è il Cavaliere in persona che parla e che
rivela davvero se stesso in queste poche frasi ormai celebri e citatissime
(tanto che le avevamo già considerate un po’ di pagine fa). Frasi cruciali
per capire la sua personalità:

Sono un sognatore pragmatico... altri fanno sogni che restano sogni, io cerco
di trasformare i sogni in realtà... in tutte le attività in cui mi sono impegnato
ho dimostrato che si può arrivare a risultati che possono apparire irraggiungi-
bili. Occorre sapersi dare degli obiettivi ambiziosi, quasi delle missioni impos-
sibili. E ci vuole del coraggio...

Ancora più indicativo del carattere “visionario” del leader di Forza Italia
è poi questo passo, in cui lui stesso descrive il suo primo intervento da lea-
der politico:

Mentre venivo qui, ho pensato che c’era un matto che stava andando a incon-
trarsi con altri matti... ebbene, pensando a questa follia che sembra aver con-
tagiato tutti noi, e tanti altri insieme a noi, io pensavo che si era verificato
ancora una volta quel che avevo scritto nella prefazione a un bellissimo libro,
l’Elogio della fo llia di Erasmo da Rotterdam. In quella prefazione dicevo: è vera
la tesi che viene fuori da queste pagine. Le decisioni più importanti, le deci-
sioni più sagge, le decisioni più giuste non sono quelle che scaturiscono dal
ragionamento, non quelle che vengono dal cervello, ma quelle che scaturisco-
no da una lungimirante, visionaria follia...

Infine, ancora una volta a testimonianza della incredibile “carica energe-


tica” del leader della Casa delle Libertà nonché presidente del Consiglio e
ministro degli Esteri ad interim, c’è il suo racconto su come è riuscito a
sconfiggere un nemico insidioso e pericolosissimo: il cancro. Sentiamo la
viva voce di Berlusconi:

70
L'UOMO MULTI DIMENSIONALE

C ’è stato un momento della mia vita in cui ho dovuto sfoderare tutta la mia
voglia di resistere, la mia forza d’animo... ho avuto un cancro. Ho vissuto mesi
da incubo, ma ho continuato a lavorare senza far trasparire nulla. Poi sono stato
operato, ho affrontato le dovute terapie e ce l’ho fatta. E ho ricominciato con
ancora più grinta... per fortuna il tumore era localizzato ed è stato possibile vin-
cerio. Sono riuscito a venir fuori dal tunnel e a superare un periodo terribile. Fu
dura, eppure mi battei con coraggio per tutta la campagna elettorale. Erano in
gioco le elezioni amministrative, ma più ancora il sogno di iniziare a cambiare
l’Italia... da allora ho impresso un indirizzo diverso alla mia vita...

Noi siamo abituati a rappresentarci mentalmente il “genio” come un indi-


viduo dall’intelligenza straordinaria e, magari, dalla personalità poco rea-
lizzativa. Pensiamo che debba essere come Albert Einstein: coi capelli lun-
ghi e arruffati, il maglione di lana sul petto nudo, i pantaloni e le ciabatte,
intento a scrivere complicatissime formule matematiche che solo lui può
comprendere.
Non riusciamo a immaginare coscientemente che “genio” possa essere
un uomo di bassa statura, dall’aspetto medio, con una forte stempiatura da
età, suadente, ben vestito, curato, che parla con una punta di inflessione
lombarda, che abita in Brianza e che ha cominciato la sua carriera facen-
do l’animatore musicale su una nave da crociera. E invece “genio” non è
né solo né principalmente chi ha una straordinaria forma di intelligenza
particolare. Genio piuttosto è anche e soprattutto chi possiede una gran-
de carica vitale, idee chiare, obiettivi precisi, determinazione profonda,
sicurezza in se stesso, motivazioni d’acciaio, capacità persuasiva, ascen-
dente sul prossimo. Tutte features, tratti o caratteristiche, come dicono gli
inglesi, che l’uomo di Arcore possiede in grande quantità. E che l’incon-
scio collettivo gli riconosce “a pelle”, al di là di quello che la stessa mente
cosciente può percepire. Da qui il suo straordinario successo di “genio”
travestito da uomo comune (o, se si preferisce, di “uomo comune trave-
stito da genio”).

Un uomo con simili caratteristiche rappresenta suo malgrado un pericolo.


Un pericolo di monopolio della leadership, un pericolo (parafrasando il
nome di un celebre movimento “antagonista” degli anni Settanta) di “Vit-
toria Continua” per manifesta superiorità rispetto agli avversari. Superio-
rità di personalità, di mezzi, strumenti, denaro e linguaggio. Il tutto accen-
tuato dalla grande capacità che possiede di adoperare la comunicazione

71
MI CONSENTA

come tecnica di persuasione collettiva. Anche perché quest’uomo associa


al profilo multidimensionale di cui abbiamo detto in questo capitolo una
notevole capacità di tessere relazioni amicali e un’attitudine veramente
scientifica a controllare e influenzare l’opinione pubblica.
A tutto questo bisogna aggiungere una forma di “narcisismo” 'sicura-
mente costruttivo, ma anche caratterizzato dalla tendenza a identificare il
bene personale con il bene nazionale.
In fondo, da quasi un decennio, i problemi personali di Silvio Berlusco-
ni sono diventati i problemi collettivi di un intero paese. E proprio in que-
sto consiste il maggiore “colpo di genio” dell’uomo di Arcore: nazionaliz-
zare il suo caso personale, facendolo “adottare” da un’intera nazione. Se
non è multidimensionalità questa...

72
Capitolo quarto

L'amico ideale

T utto quanto abbiamo detto sulle capacità cognitive e psicodinamiche


del Cavaliere contribuisce sicuramente a spiegarne il successo come
leader. Ma non basta ancora. Se Berlusconi è Berlusconi, se ha potuto otte-
nere i successi che tutti gli riconoscono, è perché quest’uomo ha uno
straordinario senso dell’amicizia.
Mi rendo conto che la tesi è paradossale e per molti versi controcorren-
te. Normalmente i commentatori vedono in Berlusconi un uomo abituato
a muovere le persone utilizzando più le tradizionali leve di potere dell’op-
portunismo che quelle dell’amicizia. Se il Cavaliere difende i personaggi
che gli stanno intorno, li valorizza, dà loro modo di raggiungere posizioni
elevate, si dice, è perché gli fanno comodo, è perché deve ricambiare favo-
ri ricevuti o pagare comunque un qualche tipo di “pegno”, o ancora difen-
dere se stesso attraverso di loro.
Io non sono di questo avviso. Penso piuttosto che anche il presidente del
Consiglio, come tutti gli uomini di potere, utilizzi a suo favore meccanismi
opportunistici, ma anche che sappia combinare all’opportunismo un senso
sincero dell’amicizia intesa come appartenenza reciproca.

A questo punto è necessaria una breve digressione sul concetto di amicizia.


Che cos’è l’amicizia? Quanti tipi diversi di amicizia esistono? E quella di Sil-
vio Berlusconi nei riguardi dei suoi “compagni d’avventura”, e viceversa,
che forma di amicizia è?*

* Sulla psicologia e sulla dinamica affettiva e relazionale dell’amicizia si possono consulta-


re per maggiori ragguagli i testi di Alberoni, 1984; Bombi e Pinto, 1993; Pietropolli Char-
met, 1997.

73
MI CONSENTA

Il sentimento autentico dell’amicizia, psicologicamente parlando, si può


definire come una forma di amore “de-erotizzato”, cioè privo della carica
erotico-passionale che appunto caratterizza l’amore. Nell’amicizia è fonda-
mentale l’aspetto della condivisione affettiva, come viene efficacemente
espresso nel detto popolare «l’amicizia raddoppia le gioie e divide a metà i
dolori» (e, in versione ancora più intensa, nell’evangelico «ama il tuo pros-
simo come te stesso»). Ma, accanto alla condivisione, una seconda dimen-
sione cruciale del rapporto di amicizia è l’onestà, intesa come trasparenza
reciproca di intenti e di pensieri derivante dall’affinità del sentire, volere e
agire, e perciò anche come disinteresse e attitudine “altruistica”. Il primo a
descrivere magistralmente questo aspetto dell’amicizia è stato Cicerone:
«La prima legge dell’amicizia è di chiedere agli amici cose oneste, e di fare
per gli amici cose oneste»; «Lamico certo si riconosce nei pericoli»; «I simi-
li si uniscono volentieri con i simili.»
Insomma, nell’amicizia “profonda" si fondono assieme condivisione,
empatia, sincerità, solidarietà, che determinano uno dei sentimenti più
intensi che l’essere umano possa provare (Prager, 1995).
Tuttavia, accanto all’amicizia profonda, basata sulla comunanza di valo-
ri e di risonanze emotive, vi è anche l’amicizia intesa, sì, come rapporto di
fedeltà reciproca, ma in vista del raggiungimento di un obiettivo comune.
Questo secondo modo di vivere l’amicizia è stato ben interpretato nell’af-
fermazione di La Rochefoucauld secondo cui: «Gli uomini chiamano ami-
cizia una società di interessi, uno scambio di aiuti, un commercio insomma,
in cui l’amor proprio spera di poter guadagnare qualcosa...»
Questo «commercio di interessi reciproci» può a sua volta declinarsi in
due direzioni differenti: quella del rapporto simmetrico, in cui entrambi gli
amici hanno eguale potere e analoga possibilità di “scambio”; e quella del
rapporto asimmetrico, in cui invece una delle due parti, uno dei due amici,
ha un potere contrattuale e di scambio maggiore rispetto all’altro. Laned-
dotica storica e letteraria è piena di citazioni che fanno riferimento a que-
sta seconda concezione per così dire “utilitaristica” dell’amicizia. Per esem-
pio, vanno proprio in questa direzione i motti popolari:

Che l’amore abbia le sue spine, sia pure: è un fiore. Ma perché dovrebbe aver-
ne l’amicizia, che è appena un legume?

Impara a conoscerti: ti amerai di meno. Impara a conoscere gli altri: non li ame-
rai più!

74
L'AMICO IDEALE

Un amico è come una tratta di cui non ricordiamo più l’ammontare, e non sap-
piamo la scadenza...

In definitiva, esistono sicuramente due forme di amicizia: quella nobile e


disinteressata basata sull’identico sentire, sulla vicinanza affettiva e valo-
riale, e quella pragmatica e opportunistica fondata sulla comunanza di inte-
ressi, sul vantaggio reciproco.
Bene, ciò premesso, credo che l’uomo di Arcore abbia un suo proprio
culto dell’amicizia: il culto del legarsi l’un l’altro in un vero e proprio indis-
solubile “patto di fedeltà”. Un’amicizia che parte dal vantaggio reciproco,
ma che poi sa anche andare al di là dell’opportunismo, della convenienza
dell’uno e dell’altro. Sa trasfigurarsi in un legame simbiotico-fusionale che, su
un piano metaforico e simbolico, configura quasi una “psicologia della
setta”. E come se il Cavaliere avesse bisogno di sentire gli altri «completa-
mente dalla sua parte» e che, in cambio di ciò, fosse disposto a compensa-
re questa «fedeltà nell’anima», se necessario, offrendo in contropartita
anche il «paradiso in terra».
Un’importante chiave di lettura dell’uomo Berlusconi, a mio parere, è
dunque il bisogno di essere amato incondizionatamente. Chi gli concede
questo, anche se non è poco, ottiene in premio letteralmente il Paradiso
Terrestre. Questo scambio «amore contro Paradiso» rappresenta l’essenza
più o meno inconsapevole del rapporto fra il Cavaliere e i suoi “seguaci”, e
spiega bene le forme di “idolatria” di cui egli è oggetto (universalmente
nota, e peraltro autodichiarata, è quella che prova per lui Emilio Fede, ma
in realtà è molto comune notare, frequentando ambienti a lui vicini, un
livello di investimento affettivo verso il Capo che ha pochi eguali sia nel
campo imprenditoriale sia in quello politico). Sul lato ambivalente di un
simile rapporto simbiotico-funzionale, su quello che potremmo chiamare il
suo “lato oscuro”, sempre presente nella dinamica profonda dell’amicizia
(Klein e Riviere, 1969), nel caso del presidente del Consiglio niente ci è
dato sapere perché egli lo tiene accuratamente nascosto nella propria inti-
mità.

Nel suo celebre libro sull’amicizia (Garzanti, 1984), Francesco Alberoni


scrive testualmente:

Nell’amicizia, la distanza tra ideale e reale deve essere breve. Nell’amicizia noi
non possiamo proclamare una cosa e farne un’altra. I patti vanno rispettati, la

75
MI CONSENTA

fiducia meritata. Eamicizia deve essere leale, sincera, limpida. Lamico deve
volere il bene dell’amico non a parole, ma concretamente. Deve essere presen-
te nel momento del bisogno. Nell’amicizia non si può ingannare, non si può fare
del male. Mai, neppure una volta. Nell’amicizia bisogna saper vedere la virtù
dell’altro e valorizzarla. Cantico deve essere aperto, pieno di vita, divertente.
Non deve annoiare, non deve seccare. Camicizia deve essere sempre fresca, leg-
gera, anche quando è eroica. Camicizia esisteva al tempo di Confucio ed esiste
oggi. Non c’è alcun motivo di pensare che debba scomparire nel futuro...

Almeno nella sua veste esteriore, l’amicizia berlusconiana va in questa


direzione, completata da una dimensione quasi “settaria” di indissolubilità
del legame. Le testimonianze del fatto che il Premier ha una concezione
sacrale dell’amicizia, soprattutto perché assume la forma dell’appartenenza
psicologica reciproca, sono numerose. Non a caso un intero capitolo di Una
storia italiana è dedicato a Gli amici di sempre. Come si legge in questo capi-
tolo, dai tempi del Liceo e dell’Università si è formato attorno al Cavaliere
un piccolo, fidatissimo nucleo di amici. Assieme a loro ha affrontato molte
battaglie, vincendole tutte.
La squadra di Silvio è costituita innanzitutto da tre persone chiave:
Gianni Letta, l’ambasciatore (e oggi vice Premier), Marcello Dell’Utri, lo
sviluppatore di Publitalia ’80, Fedele Confalonieri, l’alter-ego silenzioso. Di
tutto l’opuscolo in questione, il capitolo sulle amicizie di Berlusconi mi
sembra per certi versi quello meno propagandistico. Vari brani tratti da
questo capitolo consentono di cogliere nel profondo il vissuto fusionale che
dell’amicizia ha il leader di Forza Italia.
Bisogna appartenersi reciprocamente, bisogna darsi l’un l’altro completa-
mente, per rientrare nel concetto berlusconiano dell’amicizia (che sfocia
quasi nel sentimento dell’amore, come trattato in Alberoni, 1979; 1982).
Dei vari motti evangelici, uno dei più adatti al pensiero dell’uomo di Arco-
re potrebbe essere: «Chi mi ama mi segua». Ecco uno stralcio emblematico.

Molti anni più tardi, parlando ai suoi collaboratori Berlusconi ricorderà che
«eravamo forti perché eravamo amici, tra noi c’era un’intesa profonda e una
totale identità di valori, c’era un affidamento reciproco, il senso di un impegno
e di un traguardo comune, la gratificazione di lavorare insieme e di condivide-
re la gioia dei nostri successi». Dice Gianni Letta: «Per Silvio la famiglia e gli
amici sono i valori principali. Ama avere accanto le persone a cui vuole bene,
che ricambiano la sua stima e il suo affetto.»

76
L’AMICO IDEALE

Queste parole hanno sicuramente anche il fine propagandistico di conno-


tare il Capo come uomo di umanità e sentimento, ma bisogna dire che il
comportamento esteriore di Berlusconi spesso conferma questo posiziona-
mento psicologico. Tutti ricordiamo la partecipazione con cui il leader di
Forza Italia si recò ai funerali di Bettino Craxi, suo grande compagno di
avventura umana e politica, anche se qualche commentatore obietta che
in realtà negli anni della disgrazia il Cavaliere non fece poi molto per aiu-
tare l’amico in difficoltà.
In ogni caso, Forza Italia si è quasi “piccata” di candidare alle ultime ele-
zioni il figlio di Bettino Craxi, quel Bobo Craxi di cui l’Italia si era pratica-
mente dimenticata e che tuttora non rappresenta in alcun modo un
«modello di identificazione» per l’elettore medio.
La candidatura di Bobo Craxi non era un atto dovuto: è stata probabil-
mente una scelta con cui Silvio Berlusconi ha voluto pubblicamente riaf-
fermare il suo legame con un personaggio che l’Italia non ama più e che
probabilmente non ha mai amato (ma che ha avuto una funzione impor-
tantissima nel “garantire” la tutela degli interessi berlusconiani).
I commentatori più maliziosi obiettano che i rapporti fra il Premier e la
famiglia Craxi non sono poi così idilliaci; sta di fatto che alcune scelte
potenzialmente impopolari Berlusconi le ha compiute in nome del legame
di appartenenza reciproca.
In realtà, il mondo berlusconiano è pieno di personaggi non amati dal-
l’immaginario collettivo ma ampiamente valorizzati dal presidente del Con-
siglio in persona (e per così dire psicologicamente “rivitalizzati” dal suo
“tocco magico” comunicazionale).
Sono figure troppo distanti dal vissuto dell’uomo comune per essere
oggetto di amore o identificazione, troppo diverse dal modo di vivere
comune (Marcello Dell’Utri, Cesare Previti), o in alternativa troppo
irruente per suscitare sentimenti veramente positivi (Giuliano Ferrara, Vit-
torio Sgarbi). Eppure, il Cavaliere ha dato loro ampio spazio, non solo nella
cogestione delle sue imprese e iniziative, ma anche nella comunicazione
pubblica, nei rapporti con l’esterno.
Avrebbe potuto farne a meno, invece ha reso queste figure protagoniste
“nonostante” certe loro “spigolosità”. Al riguardo, molti dicono che il lea-
der di Forza Italia lo ha fatto per interesse: perché i Ferrara e gli Sgarbi, pro-
prio in quanto personalità “spigolose”, vanno benissimo come «mastini da
combattimento» da gettare nell’arena mediatica per «sbranare» gli avver-
sari, e i DeH’Utri e i Previti perché hanno seguito troppo da vicino l’ascesa

77
MI CONSENTA

economica e politica di Berlusconi per non esserne premiati successiva-


mente (e per non rimanere “in eterno” organicamente centrali nel suo
sistema di potere).

Amicizia come appartenenza


Non nego la componente utilitaristica dei legami personali e professionali
berlusconiani ma, ribadisco, sono al tempo stesso convinto che il presiden-
te del Consiglio abbia davvero un grande senso dell’amicizia intesa come
«appartenenza reciproca». Cinterà galassia economica del Cavaliere - che
è tra le maggiori aziende italiane - manifesta un tasso sorprendentemente
basso di conflittualità e di abbandoni.
Visto dall’esterno, l’universo Fininvest-Mediaset è una sorta di “pianeta
felice” in cui tutti sembrano mediamente molto soddisfatti. In tanti anni di
discussa attività, ben poche persone se ne sono andate da Fininvest e deri-
vati in termini fortemente conflittuali. Sostenere che ciò è accaduto solo
per motivi di complicità, cointeressenza o timore, sarebbe sbagliato. Biso-
gna avere l’onestà intellettuale di ammettere che il sistema berlusconiano,
sul piano delle relazioni umane interne, funziona, e funziona a tutti i livel-
li, in quelli alti come in quelli bassi.
La mia tesi è che il sistema funziona perché riesce appunto a creare un
senso di appartenenza reciproca, esattamente come accade in una “tribù” o
in una “setta”, e il Cavaliere (che di questa setta o tribù è il capo indiscus-
so) per primo ne dà l’esempio.
E emblematica al riguardo la vicenda della sua amicizia con Fedele Gon-
falonieri. Entrambi crescono nel quartiere Isola-Garibaldi. Si incontrano,
in una Milano semidistrutta dai bombardamenti, nell’oratorio del patrona-
to di Sant’Antonio. Come ci racconta Una storia italiana, per qualche
tempo le loro strade si dividono. Ma la riunione è alle porte. Quando Ber-
lusconi, con la sua società Cantieri Riuniti Milanesi, costruisce alcune case,
una delle prime acquirenti è proprio la madre del suo vecchio amico Fede-
le Confalonieri.
Dopo questo episodio il sodalizio riprende e si consolida. La costruzione
di Milano 2 e di Milano 3 vede Fedele Confalonieri nel ruolo di braccio
destro e principale consigliere del futuro presidente del Consiglio. Per
quanto si possa pensare che il sodalizio sia stato rafforzato da reciproci van-
taggi economici e gestionali, non si può non rimanere affascinati dalla
durata e dall’intensità di un’amicizia professionale che ha pochi eguali nel
panorama imprenditoriale italiano.

78
L'AMICO IDEALE

Indubbiamente il Cavaliere dà molto a tutti coloro che sanno credere in


lui: questa pare essere una vera e propria “legge di funzionamento” del ber-
lusconismo. Date e vi sarà dato, credete e sarete premiati. Se il Vangelo
dice «beati coloro che credono, perché loro sarà il regno dei cieli», il leader
di Forza Italia sembra a sua volta dire «beati coloro che credono in me, per-
ché loro sarà il successo in terra».
Molti personaggi già finiti in qualche modo ai margini del “grande cir-
cuito” (televisivo, economico, politico o di altra natura) sono stati ripresi e
rilanciati dall’uomo di Arcore anche perché avevano avuto fiducia in lui.
La capacità che egli ha di premiare la fedeltà, l’appartenenza, il fatto di cre-
dere in lui e nelle sue potenzialità, è sicuramente ammirevole. Uno di colo-
ro che meglio l’hanno capito è, come detto, Emilio Fede, un personaggio su
cui è fiorita una ricca aneddotica all’insegna dell’ironia e del sarcasmo. In
realtà, Emilio Fede ha centrato perfettamente uno dei caratteri fondativi,
uno dei maggiori punti di forza sul piano psicologico, del berlusconismo: la
sicurezza matematica che chi ha Fede (in questo caso, si può veramente
dire nomen amen, un nome un destino), ed è Fedele (altro nomen omeri!),
prima o poi, inevitabilmente, viene premiato.
Invece di ironizzare su questa dimensione del berlusconismo, bisogne-
rebbe imparare dal Premier. Per lui, nel legame di appartenenza reciproca
“tribale” la distanza tra idealità e realtà è breve. In materia di amicizia,
quando Berlusconi proclama una cosa è quella. I patti li rispetta, nei com-
portamenti concreti è leale con chi crede in lui. In materia di amicizia, per
il Cavaliere valgono davvero le parole di Francesco Alberoni:

Non esiste alcuna amicizia duratura che nasca solo dall’abitudine e dalla con-
venienza. La stabilità, la serenità, la profonda fiducia reciproca, l’affidamento
delle amicizie familiari hanno la loro base nel fatto che c’è stato un momento,
nel passato, in cui ciascuno dei due amici si è installato nell’orbita vitale del-
l’altro. Anche dopo moltissimi anni questo legame profondo non scompare e
può, di quando in quando, riapparire e rinnovarsi. Gli amici che si incontrano
in modo abitudinario e per scopi pratici per anni e anni sanno, nel profondo del
loro animo, che possono ritrovarsi sull’altro piano, quello delFintimità spiritua-
le. Se ne accorgono, a volte, da uno sguardo, uno sguardo fugace che si scam-
biano mentre sono in mezzo agli altri o quando stanno per lasciarsi. In quel
momento, per una infinitesima frazione di secondo, essi sono rimasti soli, si
sono separati da tutti, e hanno ripreso il dialogo interrotto...

79
MI CONSENTA

A mio parere la concezione berlusconiana dell’amicizia come appartener


za reciproca asimmetrica (ossia con una delle due parti che è in una posi-
zione di «superiorità di mezzi e di possibilità» rispetto all’altra) è talmente
forte che credo che il Cavaliere non disdegnerebbe di applicare al suo caso
queste parole del Vecchio Testamento: «Orsù, chiedete al Signore la piog-
gia al tempo delle acque tardive. Egli ha preparato le folgori, manda le piog-
ge abbondanti, dà il pane all’uomo, fa crescere l’erba nei pascoli. Gli indo-
vini dicono il falso, e i profeti vedono menzogne, raccontano sogni falsi e
danno consolazioni vane. Così il popolo va errando come un gregge, ed è
oppresso perché non ha un pastore...» (Zaccaria, 10, 1-2), «Per voi, inve-
ce, che temete il mio nome, sorgerà un sole di giustizia con la salvezza nei
suoi benefici raggi, e voi sarete liberi e salterete, come vitelli che escono
dalla stalla...» (Malachia, 3, 20).

Un indubbio vantaggio “collaterale” dell’attitudine berlusconiana al lega-


me preferenziale di appartenenza reciproca è rappresentato, come accen-
nato prima, dalla disponibilità, per il leader di Forza Italia, di un vero e pro-
prio esercito di personaggi pronti a battersi a spada tratta per difendere le
sue tesi o almeno a testimoniare circa le sue doti umane e professionali.
Tanto per ricordare qualcuno, accanto al “votivo” Emilio Fede, abbiamo
il “pragmatico” Mike Bongiorno, il “possente” Giuliano Ferrara, il “biparti-
san” Maurizio Costanzo, il “dannunziano” Vittorio Sgarbi, e tutta una
schiera di paladini parlamentari (ben esemplificati dal ministro per gli Affa-
ri Regionali Enrico La Loggia o dal capogruppo forzista Renato Schifani).
Ciascuno con un suo specifico stile comunicazionale (più o meno aggressi-
vo, più o meno conciliante, più o meno affabulatorio) da utilizzare per così
dire “alla bisogna”.

Naturalmente, l’altra faccia di una concezione così stretta dell’amicizia è il


rischio della degenerazione nella psicologia del “clan”, del gruppo chiuso,
blindato contro il pericolo di contaminazioni esterne. Non conosco suffi-
cientemente a fondo dal di dentro l’universo berlusconiano per potermi
esprimere al riguardo. Credo però che con l’aumentare del potere politico
del Cavaliere, dopo la vittoria alle elezioni del 13 maggio 2001, e il conse-
guente inevitabile effetto band wagon (tendenza a saltare in massa sul carro
del vincitore), aumenteranno per il presidente del Consiglio le situazioni in
cui avrà intorno a sé gente fintamente amica. Essendo un uomo di notevo-
le intuito (bilanciamento emisferico sinistra-destra), egli se ne renderà pro-

di?
L'AMICO IDEALE

babilmente conto e cercherà di mettere in atto dei meccanismi protettivi


contro nuovi e vecchi “cortigiani”. È possibile allora che un certo grado di
“paranoia” si diffonda all’interno del sistema di potere berlusconiano,
soprattutto in relazione ad alcune attività cruciali nel funzionamento dello
Stato (per esempio quelle dipendenti dal ministero dell’Interno, dove non a
caso il Premier ha voluto come titolare il fidatissimo organizzatore Claudio
Scajola). E possibile dunque che il capo del Governo si faccia più diffiden-
te e meno “fusionale” nei rapporti di amicizia, come quasi sempre succede
agli uomini di potere. Per il momento, il Cavaliere resta a mio parere un
convinto assertore dell’amicizia “tribale” come valore. Nel suo comporta-
mento sembra quasi di cogliere direttamente i consigli che il consulente
aziendale Bob Briner dà nel libro Gesù come manager (Oscar Mondadori,
1996), basato sull’idea che gli insegnamenti di Cristo siano fondamentali
anche per il business di oggi:

Dimostrate la vostra gratitudine... Avrete certamente notato che Gesù rende-


va sempre grazie per il cibo prima di mangiare. Si dimostrò inoltre molto grato
a suo Padre per il potere conferito ai suoi discepoli quando li aveva mandati a
due a due ad annunziare il regno di Dio. E i suoi apprezzamenti sulle dimostra-
zioni d’amore delle donne che gli bagnavano la testa con olii preziosi e gli lava-
vano i piedi con le loro lacrime non sono che un altro esempio di come sapeva
sempre essere riconoscente... Nel mondo degli affari, come del resto in genere
nella vita, non si ringrazia mai abbastanza...

Siate corretti con tutti, generosi con chi lo merita. A volte, nella nostra azien-
da, non abbiamo ricompensato giustamente una persona per paura di quello
che avrebbero potuto pensare gli altri... Gesù ci ha spiegato con chiarezza que-
sto principio nella parabola del padrone della vigna che pagò allo stesso modo
coloro che avevano lavorato tutto il giorno e coloro che invece erano arrivati
più tardi, lavorando quindi molto meno. Di fronte alle lamentele di un uomo
che aveva faticato l'intera giornata, il padrone replicò: “Amico, io non ti ho
imbrogliato.. . prendi la tua paga e sta’ zitto. Io voglio dare a questo, che è venu-
to per ultimo, quel che ho dato a te. Non posso fare quello che voglio coi miei
soldi? O forse sei invidioso perché io sono generoso con loro?”... Siate corretti
con tutti e generosi con chi lo merita...

Sostenete i vostri collaboratori. Quando qualcuno dall’esterno critica il vostro


staff, sta indirettamente criticando voi. Così, nel sostenere i vostri collaborato-

81
MI CONSENTA

ri, oltre ad alimentare lealtà e cameratismo difenderete anche voi stessi. Gesù
difese sempre i suoi discepoli. Quando i farisei li criticavano, Gesù sapeva di
essere lui il vero obiettivo del loro disprezzo. Il fatto che il Maestro li difendes-
se deve aver creato fra i discepoli un’atmosfera di grande serenità. Se i vostri
collaboratori fanno del loro meglio e sono onesti nel loro sforzo per essere al ser-
vizio vostro e dell’azienda, sosteneteli di fronte alle critiche provenienti dall’e-
sterno.
Se non riuscite a difendere i vostri collaboratori e il loro operato dagli attacchi
esterni, allora qualcosa, in voi o in loro, non va e va cambiato. Questo non
significa che dobbiate arrivare a negare gli errori, ma è possibile ammetterli one-
stamente senza per questo denigrare la sfortunata persona che ne ha commes-
si... Gesù dimostrò grande lealtà. Seguite il suo esempio...

Gratitudine, generosità, coesione


Non so se in cuor suo Berlusconi si paragoni a Gesù Cristo. Sono però con-
vinto del fatto che, sul piano del comportamento, in tre cose almeno gli
assomigli:

• nella gratitudine, nella capacità di essere grato a coloro che hanno con-
tribuito al successo della sua impresa;
• nella generosità, nel ricompensare sistematicamente chi lo segue;
• nella coesione, cioè nel sostegno al proprio gruppo contro gli attacchi
esterni.

Secondo me, il Cavaliere applica in massimo grado questi tre principi.


Infatti, basta avere fede in lui, mettersi al suo servizio e dimostrare qualche
capacità, e la carriera è assicurata (gratitudine). La ricompensa che viene
data è più che proporzionale all’impegno profuso: per fare un esempio,
Claudio Scajola è stato sì un ottimo organizzatore, ma di colpo è stato pre-
miato forse con la carica operativamente più importante e delicata dello
Stato, quella di ministro dell’Interno (generosità). Infine, il Premier è sem-
pre molto deciso nel ribaltare all’esterno gli attacchi contro i suoi collabo-
ratori (coesione), anche perché spesso lascia che i collaboratori stessi si assu-
mano l’incarico ingrato di farsi portavoce degli aspetti spiacevoli dell’azio-
ne di maggioranza o di governo (come è stato evidente nel caso del sotto-
segretario Carlo Taormina).
Sotto questi tre profili, da Silvio Berlusconi c’è tutto da imparare, e ciò
vale soprattutto per il centro-sinistra che, sempre osservato dall’esterno,

82
L'AMICO IDEALE

sembra difettare abbondantemente di spirito di gratitudine, generosità,


coesione. Il caso Romano^ Prodi d o c e t.

In conclusione, il berlusconismo vive anche, e non marginalmente, di una


concezione al tempo stesso opportunistica e idealistica dell’amicizia. In cui
c’è dell’interesse, c’è dell’opportunismo, come in tutti i gruppi di potere
umani, ma c’è pure un senso profondo di a t t a c c a m e n t o re c ip r o c o , ampia-
mente valorizzato nella comunicazione interna, in accordo con le più
moderne tecniche di presidio del “morale di gruppo” (D'Ambra, 1992). Se
l’uomo di Arcore ha potuto realizzare ciò che ha realizzato, è stato anche
perché ha saputo circondarsi di persone veramente fedeli. E un aspetto
della sua personalità che dovrebbe provocare, persino nei detrattori, curio-
sità e ammirazione. Può darsi che lo spirito di amicizia del Cavaliere dipen-
da dalla teoria di Bacone, secondo cui «vi è poca amicizia nel mondo, e
men che mai tra eguali». A significare che in realtà la vera amicizia impli-
ca che una delle due parti sia superiore all’altra (è il concetto di r a p p o r to
f u s io n a le a s im m e tr ic o cui abbiamo accennato prima).
Poiché il leader di Forza Italia è sotto quasi tutti i profili, a iniziare da
quello economico, superiore alle persone di cui si circonda, può darsi che
le sue amicizie funzionino per il citato principio di Bacone. Può darsi. Sta
di fatto che, nell’anno di grazia 2002, visto dall’esterno il berlusconismo
sembra un sistema sociale e di potere in cui la coesione da “amicizia” gioca
un ruolo importante. Quanto poi quest’amicizia sia opportunismo, quanto
sentimento vero, quanto legame “settario-tribale”, è impossibile dire (e
forse non ci riuscirebbero neppure i diretti interessati).

Con un’interpretazione finale un po’ forte, potremmo addirittura avvicina-


re fra loro il modello berlusconiano dell’amicizia e lo schema f a u s t ia n o del
rapporto col Diavolo (inteso in questo caso semplicemente come “essere
superiore”) .
Il berlusconismo vive intrinsecamente di “patti”, il primo dei quali è
quello del Cavaliere con la Sorte: «Io, S ilv io , m i im p e g n o a g io c a r e se m p r e il
tu tto p e r tu tto , a d a lz a r e c o n tin u a m e n te la p o s t a . T u , S o r te , ti im p eg n i, s e n e s s u -
n o d egli a v v e r s a r i h a il m io ste s s o c o r a g g io , a f a r m i o tte n e re s e m p r e l ’o b ie tt iv o ...
io, S ilv io , d o a Te, S o r te , tu tto m e ste s s o , e T u , S o r te , d a i a m e , S ilv io , il P a r a d i -
s o in T e r r a . . . » .
A sua volta il Capo ripropone verso il “basso” questo meccanismo ai suoi
“adepti”, assumendo egli stesso i panni della Sorte: « I o , a d e p to , m i im p e g n o

83
MI CONSENTA

a lavorare sempre al meglio per Te, Silvio, a seguirTi e servirTi fedelmente. Tu,
Silvio, ti impegni a farmi ottenere le massime soddisfazioni materiali, professionali
e personali possibili, compatibilmente con il mio incarico; io adepto do a Te, Sii
vio, tutto me stesso, e Tu, Silvio, dai a me, adepto, un angolo di Paradiso in
Terra...».
Quindi, quella di Silvio Berlusconi è, per così dire, una visione faustia-
na dell’amicizia, fondata sul reciproco patto imperituro di appartenenza,
una visione in cui l’utilitarismo conta, ma che va al di là di esso, sino a tra-
scendere in una specie di romantica e metaforicamente mefistofelica
“appartenenza di anima”. Cioè in un rapporto psicologicamente molto
complesso, in una specie di “triangolo trascendente” composto da amicizia,
fedeltà e adorazione al tempo stesso.

84
Capitolo quinto

La fabbrica dei desideri

S e l’amicizia è uno dei collanti interni del berlusconismo, come elemen-


to di attrazione per l’esterno, c’è un altro fattore che agisce potente-
mente: il fatto che il Cavaliere non sia un imprenditore qualsiasi. È un
imprenditore che ha a che fare con i desideri più profondi della gente. Per
capire questo punto, bisogna riflettere sul fatto che nelle opulente società
occidentali i veri oggetti del desiderio non sono più gli oggetti materiali
(Augè, 1998).
Il reddito medio familiare in Italia è oggi di circa cinquanta milioni Tan-
no. Sufficienti per avere quasi tutti gli oggetti che solo vent’anni fa faceva-
no la differenza tra i ricchi e i poveri. Anche una famiglia con reddito medio
può oggi permettersi un’automobile, un telefono cellulare, una vacanza al
mare, vestiti di tutti i tipi, uno o due televisori a colori, e così via.
Come sostiene il filosofo tedesco Hans Magnus Enzesberger (il cui pen-
siero è riassunto nel bel libro di Carlo Bandiera e Laura Marozzi intitolato
Comunicare nel 2000), usciti dal decennio dell’ostentazione e dello status
Symbol, quando il lusso era chiaramente identificato (e identificabile) nel-
l’oggetto prezioso ed esclusivo (orologi di marca, gioielli, abiti firmati e
così via), la fine degli anni Novanta e ancora di più l’inizio del terzo mil-
lenio procedono verso un’inversione della logica del desiderio.
L’inarrestabile globalizzazione dei mercati e dei consumi di cui è prota-
gonista l’attuale società massificata ha reso accessibile a molti ciò che
prima costituiva un privilegio di pochi, facendo così perdere a tali oggetti
il loro carattere distintivo. Si è passati, quindi, dalle evidenze materiali a
quelle immateriali, dalle cose ai contenuti. I parametri della ricchezza si
sono spostati su piani di maggiore raffinatezza e complessità. Sono nati
nuovi criteri del lusso.

85
MI CONSENTA

Secondo Enzesberger, nel pianeta iper-connesso e mediologico il più


importante tra i nuovi «criteri del lusso» è l’a tte n z io n e . Intesa in un dupli-
ce senso, ossia come possibilità di scegliere a che cosa dedicare la propria
attenzione, liberandosi dalla “tirannia” del surplus di sollecitazioni infor-
ma tivo-pubblicitarie; ma anche come possibilità di ottenere l’attenzione
degli altri. E l’emergere della società del n a r c is is m o c o lle ttiv o : ricco è colui
che, se lo vuole, può essere al centro dell’attenzione collettiva, può rag-
giungere l’ubiquità mediatica.
Il recente successo televisivo planetario del programma G r a n d e F r a te llo
è una dimostrazione della forza motivante che può avere la spinta al nar-
cisismo c o lle ttiv o . Se noi chiedessimo a un ragazzo medio se preferisce otte-
nere in regalo una bella automobile oppure essere selezionato per parteci-
pare al G r a n d e F r a t e llo , otterremmo come risposta prevalente la scelta di
partecipare al programma televisivo. A ogni edizione del quale, in ciascu-
no dei paesi in cui è messo in onda, si candidano migliaia e migliaia di gio-
vani (con share, cioè percentuali di ascolto fra il pubblico, mai inferiori al
20%). Per l’edizione 2001 del programma in Italia si sono effettuati, dopo
le prime selezioni, circa 8000 provini.

Il potere della televisione come fattore di successo


Insomma, la televisione (mercato in cui eccelle il Cavaliere) non è un
business come tutti gli altri, un mercato qualsiasi. Oggi essa è una vera e
propria f a b b r i c a d e i d e sid e r i. È il luogo in cui, e attraverso cui, si forma e si
esprime il desiderio, individuale e collettivo, di apparire, emergere, essere
amati. Chi governa la televisione, in definitiva, governa alcuni dei bisogni
più profondi e dei sentimenti più intensi dei nostri tempi*.

Benché in termini strettamente economici Gianni Agnelli sia forse più


ricco di Silvio Berlusconi, o meglio il gruppo Fiat sia più ricco di quello
Fininvest/Mediaset, in termini di capacità di presa sull’immaginario col-
lettivo vale esattamente l’opposto: l’uomo di Arcore ha un potere immen-
samente più percepibile, più diretto, più riconosciuto, più desiderato,
rispetto a Gianni Agnelli (e non a caso gli stili comunicazionali di questi
due imprenditori sono altrettanto profondamente diversi dei loro business.

* Per una discussione più approfondita sulla natura e sul funzionamento della televisione
come “medium dinamico” si vedano, per esempio: Baudrillard, 1996; Capucci, 1993; Fron-
tori, 1986; Oliviero Ferraris, 1997.

86
LA FABBRICA DEI DESIDERI

Tanto Berlusconi è estroverso, protagonista e appariscente, quanto Agnel-


li è introverso, moderato e riservato nei suoi processi di comunicazione
all’esterno).
Un ingrediente essenziale del successo del Cavaliere è il fatto, indub-
biamente anomalo nei paesi occidentali, che un importante uomo politi-
co controlli non tanto e non solo i mezzi di informazione, ma anche e
soprattutto la fabbrica dei desideri.
Persino Una storia italiana riconosce il potere della televisione come fat-
tore di successo del berlusconismo, nel momento in cui intitola un para-
grafo del capitolo dedicato alla televisione proprio La scatola magica del
Cavaliere. Se la televisione di Berlusconi è una fabbrica dei desideri è per-
ché il leader di Forza Italia è stato il primo a capire che, se usata adegua-
tamente, la televisione oggi parla direttamente all’anima della gente, al
suo inconscio, al luogo in cui sono contenuti i desideri più profondi, più
intimi, più intensi (Maslow, 1973; Ortoleva, 1995; Volli, 1994). Ma sen-
tiamo la voce stessa di Berlusconi (o meglio di Una storia italiana):

Il motivo dei successi di ascolto delle televisioni Mediaset? Aver puntato sul
rapporto diretto con il pubblico attraverso i volti più noti e'simpatici. In oltre
vent’anni di vita, le reti del “Biscione” hanno portato nelle case degli italiani
migliaia di ore di programmi, con un’offerta ricca e articolata... Dagli schermi
di Canale 5, Italia 1 e Rete 4 hanno parlato e sorriso agli italiani personaggi
vecchi e nuovi che sono diventati “veri e propri amici di famiglia”. Tentare di
stilare un elenco completo di questo personaggi sarebbe impresa impossibile.
Ma anche volendone ricordare solo alcuni, non si può che cominciare da Mike
Bongiorno, autentica icona della TV nazionale... fu tra i primi, sul finire degli
anni Settanta, a credere al sogno berlusconiano tra l’incredulità dei più...

Quando si dice che esiste un’anomalia nella politica italiana, si dice indub-
biamente una verità. Nel caso del Cavaliere infatti coincidono tre ruoli:
quello del grande imprenditore, quello del grande capo politico e quello del
controllore del rubinetto dei desideri degli italiani. Per dirla con una meta-
fora, sarebbe come se nel ’600, ai tempi della peste di Milano, a candidar-
si Premier prima e a condurre il Governo poi fosse stato colui che posse-
deva il vaccino o la medicina contro la peste stessa. Oppure, ai tempi delle
carestie nell’antico Egitto il candidato faraone fosse il più grande fornaio
dell’epoca, disposto oltretutto a «regalare il pane».
Sì, perché il paradosso magico del berlusconismo televisivo è proprio

87
MI CONSENTA

questo: non solo è una fabbrica dei desideri, ma è anche accessibile gra-
tuitamente. Ogni sera possiamo accendere la televisione senza spendere
(apparentemente) una sola lira, e vedere in azione, appunto, i nostri desi-
deri. Possiamo mandare una lettera di partecipazione a un programma e
magari, qualche mese dopo, ritrovarci ricchi e famosi.
Nessun altro uomo politico italiano è in questa felice condizione: di
poter proporre agli elettori un modello di riferimento, di poterne amplifi-
care i desideri e, soprattutto, di poterli realizzare. La maggior parte dei
commentatori politici insiste sul conflitto di interessi economici, sull’idea
che Silvio Berlusconi al potere è anomalo perché con le sue decisioni può
favorire se stesso. E così, ma la vera anomalia sta nel fatto che colui che
decide è colui che ha nelle proprie mani i maggiori oggetti del desiderio del
nuovo Millennio (Giaccardi, 1996; Greenfield, 1985). Come si fa a dirgli
di no, a rifiutarlo? Come si fa a competere con un avversario che agli occhi
della gente appare come un mago, un realizzatore di sogni?
Se la bacchetta magica è lo strumento di realizzazione dei desideri, nelle
società occidentali essa ha preso la forma dell’antenna televisiva. Chi con-
trolla la televisione ha nelle sue mani la bacchetta magica. Cioè il potere,
lo strumento di individuazione e manifestazione di forze “sovrannaturali”.
Quella bacchetta che da sempre è attributo di maghi e sciamani e che si
associa simbolicamente alla mazza, allo scettro, al tridente e al pastorale,
ha preso in Italia la forma dell’antenna televisiva ed è saldamente collo-
cata nelle mani di un uomo ben preciso: il Cavaliere di Arcore.
E questa associazione simbolica tra bacchetta magica e antenna televi-
siva che spiega il modo appunto quasi magico in cui è percepito il presi-
dente del Consiglio. Che ne è, a mio avviso, perfettamente consapevole.
Se Una storia italiana appare persino eccessiva nell’osannare le imprese del
Premier, ciò è voluto e pienamente giustificato.

Immagini e simboli
Quello che molti osservatori non sembrano aver compreso è che Silvio
Berlusconi è realmente percepito, dall’immaginario collettivo italiano, in
termini magici, sciamanici. Il Cavaliere non fa altro che rimandare al citta-
dino quello che il cittadino pensa di lui. Sapendo di essere percepito come
una figura demiurgica, si autodescrive in termini demiurgici. Sapendo di
essere l’arbitro dei desideri profondi dei telespettatori, si configura meta-
foricamente come uriautentica divinità (si vedano al riguardo Greimas,
1974; 1975; Semprini, 1997).

88
LA FABBRICA DEI DESIDERI

L’interprete di questo meccanismo è quella Mity Simonetto, responsa-


bile della fotografia di Una storia italiana, che da anni cura l’immagine per-
sonale di Silvio Berlusconi. Sue, di Mity Simonetto, sono alcune geniali
trovate iconografiche del fascicolo, degne veramente della più attenta
considerazione e ammirazione semiologiche. Facciamo alcuni esempi. Alle
pagine 4 e 5 vediamo una grande fotografia in cui il Cavaliere, nel giardi-
no di Arcore, è accucciato in mezzo ai fiori e ne tiene uno in mano. Una
autentica immagine da giardino dell’Eden (la stessa foto è stata pubblica-
ta dal Corriere della Sera del 28 marzo 2002).
Quello del fiore è un importante simbolismo sia in Occidente sia, e
soprattutto, in Oriente. Nella cultura cristiana il fiore simboleggia la
purezza, la delicatezza d’animo, la nobiltà delle intenzioni, la capacità di
essere altruisti. Per il taoismo, invece, lo sbocciare di un fiore è lo svilup-
po del potenziale spirituale dell’essere umano. La grande foto, in termini
semiologici, ci dice insomma che l’uomo di Arcore tiene nella mano destra
il segreto dello sviluppo dell’essere umano.
Qualche pagina più in là, per la precisione a pagina 11, vediamo una
foto di Silvio con il piccolo Luigi, il “cucciolo” della famiglia Berlusconi.
In quest’altra centratissima immagine, egli appare completamente vestito
di bianco, dalle scarpe alla maglietta. Tiene nella mano destra la mano
sinistra di Luigi, e ha lo sguardo rivolto verso destra, verso il figlio (quasi
in una metafora del suo rapporto con il popolo italiano, che “conduce per
mano” verso traguardi di maggiore benessere e felicità).
A cavallo delle pagine 12 e 13, in posizione centrale, di nuovo una foto
con il Cavaliere vestito di bianco, circondato dai bambini: il piccolo Luigi
alla sua sinistra, e le due sorelle Barbara ed Eleonora. Che cosa ci vuole
dire Mity Simonetto con questo simbolismo del bianco?
Secondo il dizionario dei simboli, il bianco indica la perfezione trascen-
dente, l’innocenza, la purezza, la semplicità, la castità, la santità, la sacra-
lità, la redenzione, l’autorità spirituale. Vuole significare il trionfo dello
spirito sulla carne e, in accordo con le concezioni mistiche, anche la
padronanza di se stessi. Nel simbolismo cristiano il bianco designa l’anima
purificata, la gioia, la semplicità, la verginità, l’innocenza: è il colore dei
santi che non hanno subito il martirio, il colore delle vergini sante e della
Pasqua.
Quando dico che Silvio Berlusconi si autodescrive in termini demiurgi-
ci, mi riferisco proprio a questo: al suo utilizzo della comunicazione per
riconfermare all’immaginario collettivo che egli possiede quasi un potere

89
MI CONSENTA

trascendente. Il potere di conoscere e realizzare i desideri degli uomini,


purché essi abbiano fede in lui. Il potere di adoperare secondo il suo vole-
re la “bacchetta magica” dei tempi moderni. Questo ci vuole dire il Cava-
liere in primo piano a pagina 24 di Una storia italiana mentre annusa deli-
catamente un fiore. E sempre questo egli ci vuole dire a pagina 42, sedu-
to su una regale poltrona (e infatti il titolo del capitolo è Costruire un impe-
ro) . Ancora questo ci vuole dire a pagina 99, mentre si staglia apparente-
mente minuscolo, ma comunque unica figura umana percepibile, su un
colossale cielo azzurro, il cielo azzurro di Forza Italia. Oppure a pagina 105,
di nuovo su sfondo azzurro con tanto di nuvole paradisiache*.
E certamente questa comunicazione sembra avere lo scopo di presen-
tarcelo come un essere superiore, incarnato nella fisicità di un uomo
comune. Un essere che ha il potere supremo di appagare o meno i nostri
più reconditi impulsi.

In conclusione, la maggiore anomalia di Berlusconi sta nel suo essere a


capo del Governo potendo nel contempo controllare i nostri desideri più
narcisistici, e in particolare il desiderio di gloria, di successo, di ammira-
zione da parte degli altri, che domina l’inconscio collettivo di questo ini-
zio del terzo Millennio.
Aver trasferito il fascino come appagatore di desideri in campo politico
è stato uno dei più grandi colpi di genio dell’uomo di Arcore. Questa è una
delle ragioni della sua superiorità su tutti gli altri concorrenti, e in questo
consiste la difficoltà dei concorrenti stessi. Non si confrontano con un
uomo normale, per quanto ricco e potente, non si confrontano con un
“qualsiasi” Gianni Agnelli o Carlo De Benedetti. No, si confrontano con
una vera e propria figura semi-mitologica. O, meglio, con un individuo in
carne e ossa che riesce a far risuonare, nella mente di molti cittadini, i miti
dell’antica Grecia. Riesce a bypassare la mente razionale e a parlare diret-
tamente a quello che in psicoanalisi si chiama Es, al serbatoio dei nostri
desideri, delle nostre pulsioni (si veda ancora Brenner, 1981).
La mente razionale dei suoi avversari politici, il loro “Io” (sempre uti-
lizzando il linguaggio della psicoanalisi), guarda prima Una storia italiana,
e poi gli altri materiali a mano a mano prodotti dalla comunicazione ber-
lusconiana, e ritiene di avere a che fare con una specie di fumetto, di foto-

* Per approfondimenti sull’analisi simbolica consultare anche Bettetini, 1993; 1994; Car-
magnola, 1988; Monachesi, 1993.

90
LA FABBRICA DEI DESIDERI

romanzo, di polpettone. Guarda e non riesce a capire di trovarsi di fronte


invece a uno strumento sofisticatissimo, a una specie di codice di accesso,
rivolto alla parte irrazionale di noi stessi. Guarda e non capisce. Guarda,
non capisce e perde.
Come consulente di marketing, posso dire che chi vuole costruire un’al-
ternativa al Cavaliere deve cambiare prospettiva. Avere il coraggio di
ammettere che le sue iniziative di comunicazione non sono carnevalate da
«svendita della politica». Sono un modo sottile, raffinato, intelligente,
subliminale, di influenzare le decisioni di chi legge o guarda. Giocando
oltretutto a carte scoperte: tutto si può dire del leader di Forza Italia, tran-
ne che cerchi di nascondere il suo vero intento, che è quello di posizio-
narsi nell’immaginario collettivo come un vero e proprio Uomo della Prov-
videnza. In definitiva, alla capacità subliminale del Cavaliere di «aprire i
codici della mente» degli elettori, inserendovi i suoi messaggi, chi lo vuole
combattere deve contrapporre qualcosa di diverso - proposte, idee, valori
alternativi - ma di altrettanto efficace in termini comunicazionali, altri-
menti l’Italia rischia di andare incontro a un processo di impoverimento
politico.
Un paese civile, un paese moderno, non può vivere senza un’opposizio-
ne dinamica e competitiva (anche sotto l’aspetto comunicativo). Non può
vivere senza alternanza politica di governo. Altrimenti si trasforma in un
organismo sociale privo di “anticorpi” e, quindi, di capacità difensiva nei
confronti di eventuali derive autoritarie.

Cattiva maestra televisione


In un capitolo sulla televisione come fabbrica dei desideri non può man-
care un accenno al discusso e stimolante libro di Karl Popper e John
Condry intitolato Cattiva maestra televisione. La tesi di Popper e Condry è
che la televisione come strumento ha un’influenza profonda sulla struttu-
ra mentale degli spettatori, specialmente in età evolutiva. C ’è dunque il
rischio, se i contenuti inseriti nei palinsesti sono qualitativamente medio-
cri, di produrre appunto un’influenza nel pubblico all’insegna della medio-
crità. Perché la televisione non è un mezzo qualsiasi, è uno schermo magi-
co che entra direttamente nel cervello delle persone.
Secondo Popper e Condry, l’influenza della televisione dipende da due
fattori: l’esposizione e i contenuti. Quanto maggiore è l’esposizione dello
spettatore allo spettacolo televisivo, tanto maggiore è in genere l’influen-
za esercitata dal mezzo.

91
MI CONSENTA

In una certa misura, sostengono gli autori, la natura di tale influenza


sarà determinata dai contenuti. Tuttavia, l’esposizione basta da sola a
influenzare lo spettatore, indipendentemente dai contenuti.
Popper e Condry ci dicono, in sostanza, che la televisione ha una tale
capacità di «penetrazione delle barriere» che anche rimanendo semplice-
mente seduti davanti allo schermo a fissare un monoscopio se ne subisce
un’influenza.
A differenza di altri mezzi, la televisione ha avuto uno sviluppo non solo
rapido ma anche caratterizzato da una crescita ponderale impressionante
del consumo, tanto da diventare il mezzo dominante nel processo di
costruzione dell’immaginario collettivo odierno. Negli Stati Uniti, ci ricor-
dano Popper e Condry, la televisione è nata negli anni Cinquanta. Nel
primo anno di quel decennio, solo il 10% delle famiglie americane aveva
un televisore. Nel 1960 la percentuale era salita al 90%, e quasi tutti colo-
ro che possedevano un apparecchio guardavano regolarmente la televisio-
ne. Cintroduzione di quest’ultima, sostengono Popper e Condry, ha provo-
cato un vasto mutamento nel modo di passare il tempo degli americani:
«Mentre l’invenzione dell’automobile ha determinato un aumento dei
tempi di viaggio pari soltanto al 6%, sebbene su distanze maggiori, l’av-
vento della televisione ha provocato, secondo alcune stime, un aumento
del 58% del tempo trascorso a contatto con i mezzi di comunicazione...».
Anche senza voler affrontare la complicata questione della valutazione
qualitativa dell’impatto della fruizione televisiva, basta il solo aspetto
quantitativo a far prendere coscienza di come la TV sia un mezzo straor-
dinariamente potente nella società moderna. Alcuni dati citati da Popper
e Condry sono illuminanti al riguardo:

A partire dal 1950, il tempo durante il quale la famiglia americana media tiene
acceso l’apparecchio televisivo, attualmente oltre 7 ore al giorno, è costante-
mente aumentato... l’americano medio guardava la televisione per circa 4 ore
al giorno, un po’ di più durante il week-end... Negli anni Ottanta, quando
sono divenuti largamente disponibili la TV via cavo e i videoregistratori, la
quota di audience delle tre principali reti americane ha cominciato a calare,
passando dal 90% circa delle famiglie americane al 60% di oggi... In ogni caso,
la quantità di tempo trascorso a guardare la televisione è rimasta approssima-
tivamente costante, solo che adesso è suddivisa su più emittenti. Questi dati
statistici sono altrettanto rilevanti per i bambini quanto per gli adulti... Il bam-
bino americano medio guarda la televisione per circa 4-5 ore al giorno duran-

92
LA FABBRICA DEI DESIDERI

ce la settimana e per circa 7-9 durante il week-end, per un totale approssima-


tivo di 40 ore a settimana...

Che la televisione sia una fabbrica dei desideri è un’ipotesi. Che sia una
delle principali agenzie di socializzazione e di formazione delle strutture
mentali è un dato di fatto che scaturisce semplicemente dai numeri con-
cernenti il tempo passato davanti alla TV. Non per niente nella quarta di
copertina del libro di Popper e Condry si legge questo monito, su cui anche
in Italia, a maggior ragione, varrebbe la pena di riflettere con la massima
attenzione:

Una democrazia non può esistere se non si mette sotto controllo la televisio-
ne, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della
televisione non sarà pienamente scoperto. Dico così perché anche i nemici
della democrazia non sono ancora del tutto consapevoli del potere della tele-
visione. Ma quando si saranno resi conto fino in fondo di quello che possono
fare la useranno in tutti i modi, anche nelle situazioni più pericolose. Ma allo-
ra sarà troppo tardi...

Di questa macchina meravigliosa e pericolosa al tempo stesso, e del suo


impiego di massa, il presidente del Consiglio è uno dei protagonisti mon-
diali. Ciò gli conferisce un potere senza eguali nel panorama politico ita-
liano. E spiega anche la forza e al tempo stesso la rigidità del Berlusconi
comunicatore, abituato ad adoperare appunto un approccio televisivo alla
comunicazione.
Un approccio fortemente «centrato su di lui», come se fosse il condut-
tore di un programma. Ecco perché tende a evitare i dibattiti, anche tele-
visivi (dove, psicologicamente parlando, sarebbe non più conduttore ma
ospite); a snobbare la stampa estera (ovviamente meno propensa a rico-
noscergli il ruolo “cruciale” nel contesto comunicativo che invece la stam-
pa italiana gli attribuisce, nel bene come nel male); a non andare su “ter-
reni comunicativi” su cui non si è preparato; ad adoperare un format sti-
listico assolutamente uniforme (per esempio lo stesso tipo di doppiopetto,
del medesimo colore e così via) ; a fare uso di strumenti (grafici, diagram-
mi, supporti vari) che gli consentono di guidare da protagonista il gioco
televisivo.
O Mago Merlino, o nulla: questo potrebbe essere il motto del Cavalie-
re come personaggio televisivo.

93
Capitolo sesto

La democrazia dei sondaggi

U no dei molti campi in cui il Cavaliere è stato un innovatore è quello


dell’utilizzo dei sondaggi per finalità politiche. Da decenni in tutti i
paesi più evoluti si adoperano sondaggi e ricerche demoscopiche in senso
lato per “controllare” l’opinione pubblica (per esempio in Francia uno dei
maggiori committenti di indagini d’opinione è la presidenza della Repub-
blica). Eltalia, invece, faceva eccezione: un sistema politico bloccato,
tenuto artificiosamente in piedi dalla contrapposizione Est-Ovest, come se
un invisibile muro attraversasse anche il nostro paese, rendeva inutili i
sondaggi d’opinione.
Prima di ogni elezione si era sicuri, quasi matematicamente sicuri, del
fatto che la Democrazia Cristiana sarebbe stata il primo partito italiano e
avrebbe avuto almeno il 30% di voti, e che il Partito Comunista Italiano
ne avrebbe avuti pochi di meno. Soltanto con il crollo del muro di Berli-
no - e con la conseguente caduta dell’invisibile “muro italiano” - anche
l’Italia è diventata un paese normale sotto il profilo del monitoraggio del-
l’opinione pubblica. Da cui l’emersione di un nuovo mercato, quello dei
veri sondaggi demoscopici.
Con pronta intuizione, il Cavaliere ha immediatamente capito le op-
portunità offerte dalla possibilità di utilizzare finalmente in modo moder-
no lo studio dell’opinione pubblica per orientare i contenuti politici di un
partito. Da sempre abituato all’impiego di ricerche di mercato per risolve-
re problemi di marketing (per esempio, per affinare un programma televi-
sivo affinché ottenga il massimo ascolto possibile), Berlusconi non ha
avuto difficoltà a “traslare” questo approccio al campo politico.
Conoscere l’opinione degli elettori equivale, in ambito politico, a cono-
scere l’opinione dei propri consumatori in campo commerciale. Come

95
MI CONSENTA

un’azienda può aumentare la sua quota di mercato migliorando prodotti e


servizi in accordo con le indicazioni dei consumatori, così un partito poli'
tico può crescere in quota se “sintonizza” la propria proposta politica sui
principali desiderata degli elettori*.
In se stesso questo ragionamento è elementare, non dovrebbe né sor-
prendere né scandalizzare. Eppure, nell’Italia di inizio anni Novanta il
Cavaliere è stato il primo a farlo, forse perché non cristallizzato nella men-
talità politica allora dominante, che era basata sulla logica del «confronto
ideologico a priori».
Le ideologie precedono i “consumatori” e le loro opinioni; il compito di
un partito è di persuadere i “consumatori” che la propria ideologia è
migliore delle altre, utilizzando gli strumenti classici della propaganda
politica.
Il leader di Forza Italia ha rovesciato questa linea di ragionamento por-
tando davvero il marketing in politica. Sono i bisogni dei consumatori che
precedono le ideologie; il compito di un partito è di riuscire a raccogliere,
incanalare, elaborare e soddisfare i principali bisogni rilevati. Se Berlusco-
ni ha avuto successo come politico, è perché ha capito al volo che si stava
passando, nel mercato della politica, da una fase dominata dall’offerta (i
partiti precedono gli elettori, sono questi ultimi che devono scegliere) a
un’altra fase, del tutto nuova, dominata dalla domanda (gli elettori prece-
dono i partiti, sono questi ultimi che si devono adattare). Il tutto condito
con la variabile base del berlusconismo, il “carisma”, il fascino magnetico
emanato da un personaggio che, come abbiamo visto prima, è in grado di
lavorare direttamente sui sogni e sui desideri più profondi, più intimi, degli
individui.
Vi sono però buone ragioni per credere che la tendenza alla misurazio-
ne delle opinioni da parte del Cavaliere vada al di là della semplice, clas-
sica, rivoluzione di marketing. In altre parole, è probabile che l’uomo di
Arcore utilizzi in modo massiccio i sondaggi per fini politici sia perché ha
compreso che una fase storica della politica italiana è finita e se ne è aper-
ta un’altra all’insegna del concetto di marketing (la domanda orienta l’of-
ferta, e non viceversa), sia perché la visione stessa del rapporto fra leader
politico ed elettori, in Berlusconi, è centrata sul meccanismo della sinto-
nizzazione diretta fra vertice politico e base elettorale.

* Per una discussione su queste tematiche, consultare, per esempio, Brown, 1971; Gavaz-
za, 1997; Folliet, 1965; Piattelli Paimarini, 1996.

96
LA DEMOCRAZIA DEI SONDAGGI

Penso cioè che esista un suo preciso e cosciente orientamento a conce-


pire la politica come filo immediato tra un capo e il relativo popolo, utiliz-
zando da un lato il sondaggio d’opinione come strumento di ascolto e dal-
l’altro la comunicazione mediatica come strumento di influenza (Losito,
1994).
Sotto questo profilo, si può affermare che in Italia è in atto un vero e
proprio esperimento di politica consistente nel tentativo di sostituire al tra-
dizionale modello di democrazia parlamentare un nuovo tipo di modello
democratico che potremmo chiamare “misto” (in quanto formato sia da
elementi di parlamentarismo sia da componenti presidenzialiste da una
parte e “populiste” dall’altra).
Insomma, Berlusconi adopera massicciamente i sondaggi in politica
perché essi sono uno dei tre vertici del «triangolo della gestione del pote-
re» (Schema 7) che egli, con ogni probabilità, ha in mente come nuovo
modello di politica. Un leader carismatico, un sistema ricco e articolato
per le comunicazioni di massa e, appunto, un sistema continuativo di
ascolto basato sui sondaggi di opinione (Petty e Cacioppo, 1986).

97
MI CONSENTA

Il “ buco” di Tremonti
Un esempio emblematico della tendenza al rapporto diretto con l’eletto-
rato si può trovare nell’episodio del ministro dell’Economia, Giulio Tre-
monti, che la sera di giovedì 12 luglio 2001, in diretta al TG1, dà all’inte-
ra opinione pubblica italiana l’annuncio dell’esistenza di un “buco” nei
conti dello Stato, saltando il metodo consolidato della “concertazione”, in
funzione del quale l’annuncio stesso avrebbe (preferibilmente) dovuto
essere dato prima al Parlamento e ai rappresentanti delle parti sociali e,
solo dopo, al resto dell’opinione pubblica. In questo episodio vediamo in
azione tre meccanismi tipicamente berlusconiani:

• la proiezione sul nemico (la sinistra) di ogni male passato, presente e


futuro. In questo caso, il male è consistito nella creazione di un buco
segreto di bilancio, a causa del quale il governo Berlusconi avrà qual-
che difficoltà in più a mantenere le promesse elettorali. Un ottimo
modo, come hanno osservato vari commentatori, di «mettere le mani
avanti» e di proteggersi dalle conseguenze negative in termini di imma-
gine dell’eventuale mancato raggiungimento di alcuni obiettivi.
La natura proiettiva del buco è confermata dal fatto che, nei mesi
immediatamente successivi, non se ne è praticamente più parlato. La
verità è piuttosto che esisteva la necessità comunicazionale di annun-
ciare un presunto “buco”, che è stata prontamente soddisfatta dall’in-
tervento mediatico del ministro;
• l’utilizzo integrato della squadra. Lo scomodo annuncio è stato fatto, con
una buona dose di coraggio, appunto dal ministro Tremonti, che in que-
sto modo ha funto da “parafulmine” al posto del Cavaliere stesso, pre-
servandone intatto il capitale di “carisma” (e il ruolo simbolico di pater
bonus, di entità benevola).
Se si preferisce, in termini di “psicologia da film”, si può dire che Tré-
monti ha giocato la parte del “poliziotto cattivo” per lasciare al capo del
Governo quella del “poliziotto buono”.
Una delle ragioni per cui Berlusconi si circonda di figure fedeli e dal
carattere il più possibile variegato è che in questa maniera egli dispone
davvero di una task force di cui modulare l’impiego a seconda delle cir-
costanze, minimizzando sempre i rischi di «ritorno negativo» per la pro-
pria immagine personale;
• il contatto diretto fra il leader, o chi per lui, e il pubblico, per il tramite
del sistema mediatico (probabilmente dopo averne verificato l’accetta-

98
LA DEMOCRAZIA DEI SONDAGGI

bilità, da parte dell’opinione pubblica, per mezzo di un apposito son-


daggio). Con tanto di “supporti di comunicazione”, le ormai famose
pagine di lavagna a fogli mobili, riportanti macroscopici grafici fatti a
mano, e non al computer, per rendere al tempo stesso più leggibile e più
“calda” la comunicazione (Debord, 1997).

Un’ottima analisi dell’uso dei media come forma di rapporto diretto fra
potere e cittadino è riportata nell’articolo scritto, il giorno dopo (ovvero il
13 luglio), su La Repubblica, da Ezio Mauro, direttore del quotidiano roma-
no. Mauro è del parere che, con l’uscita pubblica di Tremonti, sia andato
in onda il «nuovo populismo». Egli ritiene, infatti, che il primo vero atto
del governo Berlusconi sia stato questo pronunciamento televisivo, e che
tale pronunciamento sia stato molto efficace in un’ottica di populismo
mediatico, in mezzo a una politica che parla ormai soltanto linguaggi cifra-
ti, curiali e distanti. Dice testualmente Mauro:

Tremonti non era seduto alla solita immensa scrivania deserta, con la penna
d’ordinanza in primo piano, infilata obliquamente in quei tristi sostegni mini-
steriali indifferenti al cambio di regime. No. In piedi, rapido e anzi “tacitiano”
come l’aveva visto a Bruxelles il socialista francese Fabius, aveva davanti a sé
un tabellone berlusconiano gigantesco, con tre cifre, tre istogrammi e in alto il
vero messaggio subliminale da trasmettere agli italiani, naturalmente in maiu-
scolo: “Buco 2001. Centrosinistra - Eredità”. Quattro parole e una telecame-
ra, che rappresentano insieme l’ultima trasformazione della politica, nelle mani
della destra italiana... Per mesi il superministro dell’Economia aveva lavorato
in silenzio, in mezzo agli allarmi di Berlusconi sul “buco”, appena arrivato a
palazzo Chigi, e ai rumori disordinati di molti altri ministri e sottosegretari per
la prima volta con tanti microfoni a disposizione. Il ministro taceva, come per
tenere il tavolo di Quintino Sella, a cui sedeva, fuori dalla polemica contin-
gente... Il ministro taceva, perché avrebbe parlato soltanto alle Camere, come
vuole la funzione delicata a cui presiede... Improvvisamente, il ministro ha
invece deciso di compiere un vero e proprio strappo... In un colpo solo, ha sal-
tato l’Europa, cui non aveva fornito cifre, il Parlamento e il tavolo della con-
certazione, dove i sindacati erano seduti ad attenderlo, e si è presentato alla
televisione per svelare in tre minuti alla popolazione il “buco” nei conti pub-
blici... Siamo di fronte a un’operazione mediatica e politica che non può esse-
re nata nell’urgenza, perché sembra preparata con cura... Alla fine di quei tre
minuti politicamente lunghissimi, dopo aver indicato il grafico enorme dei 62

99
MI CONSENTA

mila miliardi di “buco”, Tremonti ha potuto voltarsi, guardare direttamente


dentro la telecamera e sospirare: “Ecco l’eredità che ci hanno lasciato!”.
Eoperazione era compiuta... Evidentemente c’è un risultato meno immediato,
per la coppia Berlusconi-Tremonti, ma più importante. Il “buco”, nella sua
dimensione più ampia possibile, dilatato ancora dalla denuncia televisiva,
diventa il vero atto fondativo di questo governo. Tutto nascerà da quella cifra
trasformata in idolo rovesciato, tutto vi sarà riferito, in termini di eredità nega-
tiva e di risultati positivi. Il governo si è creato un suo parametro di Maastricht
domestico, un totem politico-economico che le sei reti televisive sotto il suo
controllo si incaricheranno di replicare all’infinito, finché diventerà una cosa
reale, come tutto ciò che passa in televisione. A quel “buco” mediatico tre-
mendo... la destra impiccherà l’immagine definitiva dell’eredità lasciata dal
centrosinistra, e per contrasto a quello stesso “buco” misurerà ogni suo risulta-
to, ogni progresso, ogni passo avanti: che confrontato con l’abisso gonfiato sotto
i piedi di Amato e Visco, sembrerà ogni volta un miracolo. Un’operazione poli-
tico-mediatica che ha pochi precedenti...

Anche se i toni sono certamente un po’ accesi politicamente, nella sostan-


za Mauro ha ragione, ^episodio Tremonti è un punto di svolta nella poli-
tica italiana. Rappresenta un modo nuovo e diretto di rivolgersi, da parte
del potere, all’opinione pubblica, con l’intento di agire “persuasivamente”
nei suoi confronti. Ricordiamoci che i tre cardini della visione berlusco-
niana della politica sono il leader carismatico, le comunicazioni di massa,
il meccanismo d’ascolto. Tremonti ha magistralmente interpretato il ruolo
dell’alter ego del leader carismatico nel fornire direttamente all’opinione
pubblica un elemento di valutazione sull’operato di un governo passato.
Si può ragionevolmente supporre che, nel corso dell’attuale legislatura,
in più circostanze si potrà nuovamente assistere a questo impiego diretto
del sistema mediatico come tramite tra il leader (o chi per lui) e il pubbli-
co cui il leader stesso intende rivolgersi. A partire, per esempio, dal con-
flitto con i sindacati sull’ormai famoso Articolo 18 dello Statuto dei lavo-
ratori*.

Il sistema dell’ascolto
Tal tra faccia della medaglia, l’altra leva del meccanismo, è come detto l’a-
scolto sistematico dell’opinione pubblica.

* Sui pericoli del “mediatismo”, si consulti, per esempio, Pratkanis, 1996.

100
LA DEMOCRAZIA DEI SONDAGGI

Da svariati anni ormai il Cavaliere monitore, direttamente o indiretta-


mente, gli atteggiamenti degli italiani. Un grande istituto specializzato in
sondaggi, Datamedia di Milano, è da qualche tempo nella sua orbita. Non
è fantascienza immaginare che, direttamente o indirettamente, nei prossi-
mi anni il presidente del Consiglio consolidi la leadership che ha già nel
campo della misurazione dell’opinione dando vita a un vero e proprio polo
di ricerca nazionale, ossia che uno dei progetti “minori” su cui Silvio Ber-
lusconi sta lavorando sia proprio l’ottenimento di una posizione dominan-
te nel campo delle inchieste demoscopiche.
Perché lo studio dell’opinione pubblica ha davvero una funzione di
tutto rilievo nel suo “mondo mentale”. E la conoscenza della pubblica opi-
nione infatti che gli consente di applicare al meglio la prima legge della
comunicazione di massa: «dire alla gente ciò che la gente vuole sentirsi
dire» (Puggelli, 2000).
Tutto il linguaggio politico del Cavaliere è intriso di “materiale seman-
tico” proveniente dall’ascolto dell’opinione pubblica. Se la televisione ber-
lusconiana è un’autentica fabbrica dei desideri, la demoscopia del Biscione
e dei suoi derivati è una sorta di fabbrica delle opinioni*.
Il punto di partenza del meccanismo è il «materiale semantico di base».
Le varie categorie di cittadini hanno un certo modo tipico di pensare e un
certo linguaggio altrettanto tipico con cui si esprimono. Sotto questo pro-
filo, si può dividere l’Italia in tanti «recinti d’opinione», quante sono le
categorie sociodemografiche (caratteri anagrafici) e psicografiche (stili di
vita) rilevanti. I giovanissimi hanno determinati pensieri e un determina-
to linguaggio; gli anziani altri pensieri e altro linguaggio; lo stesso vale per
casalinghe, lavoratori autonomi, dipendenti dello Stato e così via.
Speculare al Parlamento della Repubblica vi è un invisibile «parlamen-
to delle voci dei cittadini». Con apposite tecniche sociopsicologiche di
indagine, e in particolare col metodo dei focus group (gruppi di discussio-
ne), un buon istituto di ricerca può procurarsi gli elementi lessicali fonda-
mentali del linguaggio di ciascuna categoria e i pensieri rappresentativi
della categoria stessa. E come reperire una materia prima che, opportuna-
mente elaborata, alla fine del processo si può trasformare in un contenu-
to propagandistico.
Non dimentichiamo, infatti, che, come detto, ognuno di noi vuole sen-

* Per ulteriori ragguagli sulle metodologie per influenzare l’opinione pubblica consiglio la
lettura di Altieri Biagi, 1990; Casetti, 1986.

101
MI CONSENTA

tirsi dire ciò che egli stesso pensa, soprattutto se proviene da una fonte
autorevole. Vari studi scientifici (Folliet, 1994; Piattelli Paimarini, 1996;
Testa, 1988) in tema di persuasione hanno dimostrato che un’importante
dimensione in base alla quale l’ascoltatore giudica il comunicatore è quel-
la della somiglianza con se stesso.
Ricerche in materia di psicologia della comunicazione hanno provato
sin dagli anni Settanta che l’attrazione interpersonale è maggiore quando
gli atteggiamenti delle due persone in gioco sono simili. In parole povere,
parlare alle persone nel medesimo modo in cui queste persone di solito
parlano, adoperando concetti simili al loro stesso pensiero, significa
aumentare le probabilità di persuaderle della bontà del punto di vista di
chi sta parlando. Questo è certamente uno dei segreti dell’efficacia della
propaganda (e vale in politica come, per esempio, nel cinema e persino
nella psicoterapia; si vedano, per esempio, Manfrida, 1988; Metz, 1972).
La fabbrica delle opinioni del sistema berlusconiano (Schema 8) parte
con la rilevazione del materiale semantico utilizzato dalle singole catego-
rie demografiche e psicografiche. Questo materiale, valutato, pesato, svi-
luppato, “ripulito” e perfezionato stilisticamente, unitamente ai principali
bisogni e desiderata individuati nei cittadini, combinato con i contenuti
salienti del progetto politico di Forza Italia, prende a fine processo la forma
della comunicazione al pubblico.
L’ascolto delle opinioni e la modificazione degli atteggiamenti per mezzo
del sistema mediatico sono due facce della stessa medaglia. Runica diffe-
renza è che la comunicazione è visibile, mentre la rilevazione delle opi-
nioni lo è molto meno.
Interi istituti di ricerca stanno silenziosamente lavorando per alimenta-
re la comunicazione di massa del Cavaliere con l’opportuno materiale
semantico. In prossimità di qualunque appuntamento elettorale fioccano
le indagini qualitative e quantitative, con focus group e interviste telefo-
niche, per individuare le componenti fondamentali degli atteggiamenti
degli elettori e trasformarle, misurandole, in indicazioni di propensione al
voto. Del resto, ciò è avvenuto anche in tutti gli anni in cui il leader di
Forza Italia è stato all’opposizione, e a maggior ragione è accaduto in pre-
parazione delle elezioni del 13 maggio 2001 (e accadrà con tutte le torna-
te elettorali future).

La fiducia di Silvio Berlusconi nel sondaggio come strumento per cono-


scere direttamente le opinioni delle persone, sulle quali poi “modulare” la

102
LA DEMOCRAZIA DEI SONDAGGI

propria offerta politica, è tale che, molto probabilmente, egli darà impul-
so e sviluppo prima all’elaborazione di metodologie telematiche di rileva-
zione dell’opinione, poi alla realizzazione del “voto elettronico”.
Più in generale, quello verso la «consultazione permanente» dei citta-
dini è un trend che appare inevitabile e inarrestabile nelle moderne socie-
tà post-industriali, e il Cavaliere lo ha importato e solidamente radicato
anche in Italia. La combinazione ascolto sistematico-comunicazione sistema-
dea costituisce una “tenaglia” informativa che può creare nuove opportu-
nità, ma anche nuovi pericoli per le società democratiche. A questo punto
è necessaria una breve parentesi sui rischi delle democrazie dei sondaggi, al
di là del discorso sul berlusconismo in senso stretto.
Con la diffusione e l’ulteriore progresso delle tecnologie telematiche, le
possibilità di controllo e misurazione capillare delle opinioni aumenteran-
no esponenzialmente. C ’è il concreto pericolo che l’uso non opportuno
delle nuove tecnologie comporti nuove forme di limitazione della libertà,
come ci spiega Domenico Campana nel libro II voto corre sul filo*. Tanto
che, forse anticipando e amplificando tale pericolo, negli Stati Uniti c’è da
tempo chi raccomanda di raccontare una “piccola bugia” agli intervistato-
ri che, all’uscita dei seggi, richiedono ai cittadini la ripetizione del voto per
effettuare gli exit poli (i sondaggi appunto all'uscita dei seggi, che consen-
tono, l’attimo successivo alla chiusura dei seggi stessi, di dare, con buona
approssimazione, i risultati elettorali).
Quando le metodologie di esplorazione telematica delle opinioni, e di
espressione anch’essa telematica del voto, saranno una realtà diffusa (cioè

* Edizioni Seat.

103
MI CONSENTA

entro cinque-dieci anni al massimo, secondo dati ufficiosi del ministero


dell’Interno), la consultazione continua di larghe fasce di cittadini riusci'
rà alquanto agevole, sino a configurare l’instaurarsi di una vera e propria
“democrazia elettronica” o “democrazia dei sondaggi”, come appunto la
chiama Campana.
Secondo il giurista e garante della privacy Stefano Rodotà, continua
Campana, avverrà uno spostamento d’attenzione dalla singola e specifica
occasione elettorale alle rilevazioni di opinione effettuabili in qualunque
momento. In altre parole, perderanno importanza i momenti consultivi
istituzionali (le vere e proprie elezioni) e assumeranno maggiore impor-
tanza i momenti consultivi informali, rappresentati appunto dai sondaggi.
Ciò determinerà una maggiore dipendenza delle istituzioni dalle opinioni
degli aggregati collettivi, modificando il concetto stesso di democrazia rap-
presentativa.
La mia personale ipotesi è che Silvio Berlusconi incentiverà in tutti i
modi questo passaggio da una democrazia prevalentemente parlamentare
a una democrazia diretta intermediata dalla tecnica del sondaggio, sul
modello di quanto sta già avvenendo in effetti negli Stati Uniti. È nota la
dipendenza assai stretta delle decisioni dei presidenti statunitensi, soprat-
tutto nell’ultima fase del loro mandato, dalle opinioni dei cittadini rileva-
te dai sondaggi. Al punto che Campana ritiene di poter parlare del pro-
gressivo instaurarsi, negli Stati Uniti, di un vero e proprio «contratto
sociale continuo», che influenza notevolmente l’operato degli eletti e fa
nascere il problema di come trattare l’eventuale scarto tra le decisioni
politiche e le indicazioni derivanti dai sondaggi.
Per alcuni, la democrazia diretta indotta dal crescente utilizzo dei son-
daggi di opinione è un fatto positivo. Su ciò concordano due guru statu-
nitensi della ricerca d’opinione, Stan Greenberg, responsabile dei sondag-
gi per la presidenza Clinton, e Frederick Steeper, responsabile dei sondag-
gi per il presidente Bush senior. Per entrambi, con l’affermarsi della demo-
crazia dei sondaggi si dà vita a una forma di democrazia diretta più vicina
all’ideale greco di democrazia della Pòlis, la città-Stato. Ciò perché, nelle
moderne società post-industriali, i cittadini vogliono contare di più, indi-
pendentemente dal fatto di essere di destra o di sinistra. Soprattutto,
vogliono poter influenzare direttamente le decisioni che riguardano il loro
portafoglio.
Negli Stati Uniti quasi 70 elettori su 100 si sono dichiarati favorevoli,
nelle ultime rilevazioni, al passaggio a una democrazia più diretta, tramite

104
LA DEMOCRAZIA DEI SONDAGGI

le consultazioni di opinione. È per questo motivo che la Casa Bianca ha


creato qualche anno fa l’Istituto Nazionale Indipendente per la Pubblica
Opinione, controllato dal Parlamento, con il compito di fare sondaggi e
comunicarne i risultati al governo. A volerlo è stato l'ex-presidente Bill
Clinton, dichiaratosi convinto che «con i nuovi sondaggi elettronici si può
tornare alla democrazia diretta e coinvolgere i delusi. La gente vuole par-
tecipare. Inutile preoccuparsi dei politici che scimmiotteranno i sondaggi.
Consultando gli elettori ogni giorno ne rispetteremo a fondo la volontà».
La soluzione americana è, come abbiamo visto, quella dell’Istituto
Nazionale controllato dal Parlamento. Di certo il Cavaliere utilizzerà a
fondo il metodo del sondaggio d’opinione. Ricorrerà anche lui a una solu-
zione all’americana? Vedremo. Per il momento è più probabile che cerchi,
come detto, di costituire un grande polo privato delle ricerche d’opinione,
per mezzo del quale avere il controllo diretto e personale, possibilmente
con una posizione dominante sul mercato, degli atteggiamenti elettorali dei
cittadini.
Se le cose stanno così, andiamo indubbiamente incontro a qualche
pericolo, a prescindere dal berlusconismo. È il fatto stesso di utilizzare
sempre di più i sondaggi di opinione che crea dei rischi, e questo vale per
il “conservatore” Silvio Berlusconi come per il “progressista” Bill Clinton.
Nel suo volume, Campana ci illustra con chiarezza i pericoli di questa ten-
denza. Il punto chiave è che dove non c'è dibattito non c’è democrazia, e che
l’opinione popolare non coincide necessariamente con la democrazia,
come dimostra tragicamente, per dirla con Campana, la storia dell’ascesa
al potere di Adolf Hitler sostenuto dalla stragrande maggioranza dei citta-
dini tedeschi.
Un pregiudizio collettivo è altrettanto limitativo di un pregiudizio per-
sonale, pertanto la democrazia non può risolversi nella rilevazione e misu-
razione delle opinioni e dei pregiudizi negativi: deve bensì consistere nella
loro elaborazione e gestione attraverso il valore aggiunto del pensiero di
chi governa e con il metodo della discussione.
I critici dei sondaggi affermano insomma che, per definizione, in un
sondaggio non c’è confronto con gli altri (cosa che li differenzia netta-
mente dal vero esercizio della democrazia). Fare un sondaggio è aggrega-
re, sommare una serie di infinitesimi: senza dialettica, senza interazione.
Per questo il risultato di un sondaggio non è che il punto di partenza - e
non di arrivo - di un processo decisionale democratico. Pensare di rende-
re più democratica una società solo perché ciascuno può esprimere diret-

105
MI CONSENTA

tamente un infinitesimo di opinione è un errore logico. Peggio, un perico-


lo pratico. Sognare di adoperare l’elettronica per dare vita come dice
Campana a una specie di «Atene statistica» è un’illusione e anche un
rischio, perché al capo opposto si profila l’ipotesi di un governo dipenden-
te dall’audience né più né meno degli attuali programmi televisivi.
Finché il “regista dei palinsesti” è una personalità carismatica come
quella del Cavaliere la cosa può avere anche un suo senso, ma il pericolo
di un’involuzione demagogica è significativamente più elevato se a gover-
nare non sono figure di altrettanto carisma popolare. In altre parole: Ber-
lusconi ha una tale immagine personale che può anche permettersi di
andare eventualmente contro l’opinione pubblica rivelata dai sondaggi, ma
una volta instaurato un meccanismo di democrazia sondaggistica chi viene
dopo di lui potrebbe non ritrovarsi in questa stessa fortunata situazione.
Le scelte che farà il presidente del Consiglio, il modo in cui svilupperà
anche in Italia un concetto di democrazia diretta attraverso il metodo dei
sondaggi prima, e del voto elettronico poi, avranno conseguenze notevoli
sul futuro del nostro paese, al di là della sua personale permanenza al pote-
re. Sempre nel libro II voto corre sul filo, Domenico Campana cita in mate-
ria di controllo dell’opinione pubblica anche le parole del giurista Gusta-
vo Zagrebelsky. Vale la pena di leggerle, perché spiegano con chiarezza
esemplare i pericoli insiti nel sondaggismo:

La formula attuale della demagogia sono i sondaggi, che eliminano il confronto


orizzontale, la discussione, nell’Agorà. La democrazia dei sondaggi è verticale,
mette direttamente i singoli in contatto con il capo. Un sistema democratico
presuppone la responsabilità, e questa presuppone l’alterità fra governanti e
governati. Con i sondaggi i governanti sono in grado di governare senza mai dis-
taccarsi dall’opinione dei governati. Potrebbe sembrare l’optimum ed è invece
il pessimum, perché così non ce li toglieremo mai. E se aggiungiamo che chi
commissiona i sondaggi di opinione è quello stesso soggetto politico che ha in
mano il potere di condizionare le opinioni con i media, il cerchio si chiude...

Ecco, in questo consiste veramente l’anomalia di Silvio Berlusconi al pote-


re. Egli possiede, nel senso letterale del termine, tre grandi reti televisive
nazionali e private; inoltre, può condizionare politicamente l’azione delle
altre tre grandi reti televisive nazionali, quelle pubbliche. Possiede una
grande casa editrice, un grande quotidiano e così via. Insomma, ha una
formidabile «potenza di fuoco mediatico» (Romano, 1988). Nel momento

106
LA DEMOCRAZIA DEI SONDAGGI

in cui riesce a costituire un forte polo di misurazione del consenso, diret-


tamente o indirettamente controllato da lui stesso, il leader di Forza Italia
può effettivamente chiudere il cerchio e dare vita a un modello di demo-
crazia diretta centrata sul capo carismatico. Infatti, gli ingredienti fonda-
mentali di un simile modello politico sono, come detto, tre (e lui li pos-
siede ormai tutti e tre) :

• un capo carismatico, un leader riconosciuto universalmente come tale


daU’immaginario collettivo;
• un meccanismo di comunicazione diretta al pubblico;
• un meccanismo di ascolto continuo del pubblico.

In sintesi, credo che in un modo o nell’altro, direttamente o indiretta-


mente, esplicitamente o implicitamente, Silvio Berlusconi spingerà l’acce-
leratore della cosiddetta democrazia diretta, puntando a quattro obiettivi
strategici:

• scavalcare sempre di più le mediazioni tradizionali, come insegnano il


caso Tremonti del luglio 2001 e quello Ruggiero del gennaio 2002 (le
improvvise dimissioni del ministro degli Esteri, trattate mediaticamen-
te in prima persona dal Cavaliere e seguite dall’assunzione, da parte
sua, del relativo interim);
• modificare in senso presidenzialista diretto l’ordinamento della Repub-
blica Italiana: dopo una o al massimo due legislature come presidente
del Consiglio, l’uomo di Arcore mirerà sicuramente a salire sul colle del
Quirinale, ma non come semplice “notaio super partes”; piuttosto,
come una specie di “Re Democratico” d’Italia;
• implementare il più presto possibile, attraverso la modernizzazione del
ministero dell’Interno, un modello di voto elettronico, versione eletto-
rale del meccanismo, ormai già telematizzato, dei sondaggi demoscopici;
• consolidare sul piano pratico, nel modo meno evidente possibile, la sua
leadership nei sondaggi d’opinione rafforzando ulteriormente gli istitu-
ti che ruotano attorno al suo conglomerato economico, oppure acqui-
sendone altri indirettamente.

Alla fine del processo (Schema 9), il “triangolo magico” del nuovo potere
sarà pienamente operativo:
Il rischio di tutto ciò, e specificamente del considerare la politica come

107
MI CONSENTA

una variante di marketing, è quello di vanificare due fondamenti del pen-


siero occidentale: il principio della convinzione e il principio della respon-
sabilità, secondo cui l’azione politica si basa in primo luogo, appunto, sulla
convinzione delle proprie idee in quanto distinte dall’opinione collettiva
in senso lato, e poi sul coraggio di assumersene la responsabilità. E un
rischio, non una situazione già verificatasi. Le prossime mosse del Cava-
liere in materia di “democrazia sondaggistica” potranno far aumentare
oppure diminuire tale rischio.

108
Capitolo settimo

Il codice del bam bino

U n buon esempio dell’output, cioè del prodotto finale, che la fabbrica


delle opinioni produce consiste nel discorso sulla «discesa in campo»
o, meglio ancora, nella dichiarazione con cui, il 26 gennaio 1994, il leader
di Forza Italia ha annunciato alla nazione la sua decisione di entrare in
politica. Ogni periodo di questo breve discorso può essere commentato in
maniera tale da metterne in luce i legami con la “semantica della gente
comune”. Ciò ci permette, fra l’altro, di esaminare il modo in cui la comu-
nicazione berlusconiana agisce a livello profondo, andando ad attivare il
“codice del bambino”.

Testo. L’Italia è il paese che amo, qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei
orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di
imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà.

Commento. Sin dall’inizio, si evoca l’identificazione tra il cittadino comu-


ne e l’uomo politico. Tutti noi che viviamo in Italia abbiamo radici, spe-
ranze e orizzonti in Italia. Tutti noi abbiamo imparato, dalla famiglia e
dalla vita, il mestiere di cittadini. In questo incipit ciascuno può sentirsi
rappresentato, nessuno escluso, grazie al fatto che è stato utilizzato mate-
riale semantico così di base che chiunque vi si può, appunto, riconoscere.

Testo. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica per-


ché non voglio vivere in un paese illiberale, governato da forze immature e da
uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fal-
limentare.

109
MI CONSENTA

Commento. Anche il secondo periodo conferma la tendenza all’impiego di


universali semantici (Eco, 1975): chi di noi vorrebbe vivere in un paese illi-
berale, governato da forze immature e uomini legati al fallimento dell’i-
deologia comunista?

Testo. Per poter compiere questa nuova scelta di vita, ho rassegnato oggi stes-
so le mie dimissioni da ogni carica sociale del gruppo che ho fondato. Rinun-
cio dunque al mio ruolo di editore e di imprenditore per mettere la mia espe-
rienza e tutto il mio impegno a disposizione di una battaglia in cui credo con
assoluta convinzione e con la più grande fermezza. So quel che non voglio e,
insieme con i molti italiani che mi hanno dato la loro fiducia in tutti questi
anni, so anche quel che voglio. E ho anche la ragionevole speranza di riuscire
a realizzarlo, in sincera e leale alleanza con tutte le forze liberali e democrati-
che che sentono il dovere civile di offrire al paese un’alternativa credibile al
governo delle sinistre e dei comunisti.

Commento. Dopo i due primi periodi all’insegna dell’identità totale tra lea-
der politico e uomo comune, il terzo periodo è impregnato di un maggiore
eroismo. Il Cavaliere si presenta al pubblico come il faro e la guida di un
nuovo schieramento, impegnato in una dura battaglia. Sono perciò abbon-
danti gli aggettivi e i sostantivi “eroici” (impegno, battaglie, assoluta, con-
vinzione, grande, fermezza, alleanza, dovere). Sempre però cercando di
mantenere vivo il “filo diretto” con l’uomo comune: «insieme con i molti
italiani che mi hanno dato la loro fiducia in tutti questi anni...». Insomma,
il leader di Forza Italia non va “alla guerra” da solo, ma lo fa accompagna-
to dall’esercito dei cittadini che non vogliono finire i propri giorni sotto l’a-
troce “tirannia” dei comunisti di Achille Occhetto e Walter Veltroni.

Testo.La vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai
tempi. Cautoaffondamento dei vecchi governanti, schiacciati dal peso del
debito pubblico e dal sistema di finanziamento illegale dei partiti, lascia il paese
impreparato e incerto nel momento difficile del rinnovamento e del passaggio
a una nuova repubblica.

Commento. In questo periodo vediamo in azione alcuni dei meccanismi


costitutivi del “virtuosismo comunicazionale” berlusconiano. La classe
politica è già definita vecchia, e il Cavaliere parla esplicitamente di autoaf-
fondamento dei vecchi governanti, di debito pubblico e di finanziamento

110
IL CODICE DEL BAMBINO

illecito. È come se lui, che comunque ha avuto rapporti di amicizia perso-


nale con alcuni dei maggiori esponenti appunto della vecchia classe poli-
tica, prendesse in termini di immagine le distanze da quest’ultima, per
potersi proporre credibilmente come rappresentante del «nuovo che avan-
za». Inoltre, lo fa toccando due tasti a forte coinvolgimento emotivo per
la pubblica opinione: il debito statale, che minaccia l’avvenire dei nostri
figli, e la corruzione dei partiti, che all’epoca (siamo nel 1994) suscitava
ancora l’indignazione di molti cittadini.

Testo. Mai come in questo momento l’Italia, che giustamente diffida di profeti
e salvatori, ha bisogno di persone con la testa sulle spalle e di esperienza con-
solidata, creative e innovative, capaci di darle una mano e di far funzionare lo
Stato. Il movimento referendario ha condotto alla scelta popolare di un nuovo
sistema di elezione del Parlamento.

Commento. In questo periodo viene ulteriormente fuori il Berlusconi cam-


pione della comunicazione. Da un lato egli afferma che l’Italia diffida di
profeti e salvatori, dall’altro lato si propone lui stesso proprio nei panni del
“salvatore”, sia pure ritratto “modestamente” come una persona con la
testa sulle spalle, di grande esperienza, creativa, innovativa, capace di dare
una mano all’Italia stessa e di fare funzionare lo Stato. Se non è un Salva-
tore questo!
Il Cavaliere usa insomma sapientemente gli schemi retorici addirittura
del rapporto psicoterapeutico, portando il lettore ad auto-convincersi di
stare “incubando” una pericolosa “malattia sociale” che richiede l’affida-
mento totale e convinto a un bravo terapeuta: lui stesso (sul modo in cui
si innesca un “contratto psicoterapeutico” consultare, per esempio,
Musatti, 1977; Rogers, 1970).

Testo. Ma affinché il nuovo sistema funzioni, è indispensabile che al cartello


delle sinistre si opponga un polo delle libertà che sia capace di attrarre a sé il
meglio di un paese pulito, ragionevole, moderno. Di questo polo delle libertà
dovranno far parte tutte le forze che si richiamano ai principi fondamentali
delle democrazie occidentali, a partire da quel mondo cattolico che ha gene-
rosamente contribuito all’ultimo cinquantennio della nostra storia in Italia.
L’importante è saper proporre anche ai cittadini italiani gli stessi valori che
hanno fin qui consentito lo sviluppo delle libertà in tutte le grandi democrazie
occidentali.

Ili
MI CONSENTA

Commento. Adesso entra in gioco il meccanismo della proiezione, unita-


mente con quello dell’identificazione totale nella parte buona del Sé. Il
Cavaliere chiama l’alleanza di sinistra “cartello”, adoperando un termine
che normalmente ha un significato dispregiativo (celebre è l’espressione
“cartello di Medellin” per indicare l’associazione fra le bande di narcotraf-
ficanti della Colombia).
Al “cartello” si oppone un polo delle libertà (e quanta positività c’è
nella semantica del termine “libertà”!). Dunque, da una parte i mafiosi, i
narcotrafficanti, i delinquenti alleati tra loro; dall'altra il mondo libero,
che non può che attrarre il meglio di un paese pulito, ragionevole, moder-
no (mentre i “comunisti”, dal canto loro, devono limitarsi ad attirare il
peggio di un paese sporco, irragionevole e antiquato).
Da una parte abbiamo dunque appunto la sporcizia, l’irragionevolezza,
la follia, il passato, la vecchiezza, dall’altro lato la pulizia, la ragionevolez-
za, la modernità, la giovinezza. Da una parte l’Orco, dall’altra il Gatto con
gli Stivali. Da una parte i barbari, i primitivi, i distruttori, dall’altra le forze
positive, evolute, costruttrici.
Se le cose stanno così, è inevitabile che le forze politiche liberali aderi-
scano al progetto berlusconiano. E, infatti, il leader di Forza Italia, in que-
sto periodo, dice che del Polo «dovranno far parte» tutte le forze che si
richiamano a certi principi. Non «potranno far parte, se lo vorranno», ma
proprio «dovranno» (a sottolineare l’inevitabilità dell’evento).

Testo. Quegli obiettivi e quei valori che invece non hanno mai trovato piena
cittadinanza in nessuno dei paesi governati dai vecchi apparati comunisti, per
quanto riverniciati e riciclati. Né si vede come a questa regola elementare
potrebbe fare eccezione proprio l’Italia. Gli orfani e i nostalgici del comuniSmo,
infatti, non sono soltanto impreparati al governo del paese. Portano con sé
anche un retaggio ideologico che stride e fa a pugni con le esigenze di un’am-
ministrazione pubblica che voglia essere liberale in politica e liberista in eco-
nomia. Le nostre sinistre pretendono di essere cambiate. Dicono di essere
diventate liberal-democratiche. Ma non è vero. I loro uomini sono sempre gli
stessi, la loro mentalità, la loro cultura, i loro più profondi convincimenti, i loro
comportamenti sono rimasti gli stessi. Non credono nel mercato, non credono
nell’iniziativa privata, non credono nel profitto, non credono nell’individuo.
Non credono che il mondo possa migliorare attraverso l’apporto libero di tante
persone tutte diverse luna dall’altra. Non sono cambiati. Ascoltateli parlare,
guardate i loro telegiornali pagati dallo Stato, leggete la loro stampa. Non cre-

112
IL CODICE DEL BAMBINO

dono più in niente. Vorrebbero trasformare il paese in una piazza urlante, che
grida, che inveisce, che condanna. Per questo siamo costretti a contrapporci a
loro. Perché noi crediamo nell’individuo, nella famiglia, nell’impresa, nella
competizione, nello sviluppo, nell’efficienza, nel mercato libero e nella solida-
rietà, figlia della giustizia e della libertà. Se ho deciso di scendere in campo con
un nuovo movimento, e se ora chiedo di scendere in campo anche a voi, a tutti
voi - ora, subito, prima che sia troppo tardi - è perché sogno, a occhi bene
aperti, una società libera, di donne e di uomini, dove non ci sia la paura, dove
al posto dell’invidia sociale e dell’odio di classe stiano la generosità, la dedizio-
ne, la solidarietà, l’amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la vita.

Commento. Il periodo appena riportato è lungo, ma veramente illuminan-


te circa le principali caratteristiche del modo berlusconiano di fare comu-
nicazione*. Le cose da osservare sono tre: l’utilizzo di molti termini collo-
quiali, la demonizzazione dell’avversario, l'idealizzazione del Sé.
La capacità di adoperare termini colloquiali, il linguaggio della “gente”,
è uno dei punti di forza della comunicazione del leader di Forza Italia. Nei
suoi discorsi politici ufficiali del 1994 non era raro sentir usare parole
come “riverniciati”, “riciclati”, “orfani”, “nostalgici” e così via. E evidente
la derivazione di questo linguaggio dai sentimenti che allora provava una
parte dell’opinione pubblica italiana, quella non orientata a sinistra.
Il Cavaliere ha colto questi sentimenti grazie anche alle sue sofisticate
tecniche di esplorazione dell’opinione pubblica, ha capito per primo che
l’Italia era cambiata, era diventata una società ricca, narcisista, individua-
lista. Che erano milioni le persone che volevano più iniziativa privata, più
orientamento al profitto, più valorizzazione dell’individuo, che si contrap-
ponevano alla logica dei telegiornali pagati dallo Stato, dei posti di lavoro
protetti e inefficienti, dell’estenuante mediazione politica per prendere
qualunque decisione.

Azioni e reazioni: la schismogenesi


Il Cavaliere ha colto questo bisogno/cambiamento e lo ha elaborato in una
nuova proposta politica. Resa credibile dal suo carisma, amplificata nel
suo valore dalla demonizzazione dell’avversario.
A proposito di demonizzazione, Berlusconi afferma spesso di essere lui

* Per ragguagli sui concetti psicologici qui adoperati si consulti, per esempio, Dember e
Jenkins, 1977.

113
MI CONSENTA

oggetto di demonizzazione. In realtà, è stato il primo a utilizzare un lin-


guaggio politico aggressivo, suscitando come spesso succede (e voluta-
mente) una controreazione talvolta eccessiva.
La strategia del tranello (l’equivalente comunicazionale della tattica mili-
tare dell’imboscata) è un altro mirabile accorgimento berlusconiano che
funziona anche per la scarsa applicazione, da parte dei suoi avversari, dei
principi e dei metodi dell’epistemologia moderna (come sono trattati per
esempio in Popper, 1989). La sua struttura logica è la seguente: si lancia,
possibilmente in modo informale, un segnale di attacco; si ottiene in que-
sto modo una controreazione spesso spropositata; si nega di aver voluto
attaccare; si lascia alla fine l’avversario impantanato nel suo stesso ecces-
so di controreazione.

Esempio pratico, simulando un litigio fra due persone (Schema 10) :

• io dico che tu sei un ladro imbroglione;


• tu ti indigni e mi rispondi che io sono un pazzo provocatore;
• io nego di aver mai asserito che sei un ladro imbroglione, e se l’ho detto l’ho
fatto solo perché esasperato o per fare un esempio;
• rimane a te il problema di spiegare perché mi hai dato del pazzo provocatore.

Infinite volte il centro-sinistra è caduto in questo tranello: l’uomo di


Arcore fa una dichiarazione provocatoria, per esempio sul caso Zoff
(quando Dino Zoff, allora commissario tecnico della nazionale, venne cri-
ticato da Berlusconi per le sue decisioni). La reazione a questa dichiara-
zione, anche perché presa troppo sul serio, è stata tanto decisa da diven-
tare persino “rigida” (giustamente dal punto di vista di chi reagisce, per-
ché ha preso “alla lettera” le dichiarazioni del Cavaliere). Una volta otte-
nuta la netta risposta della controparte, Berlusconi fa rapidamente marcia
indietro («non volevo offendere nessuno, ho solo espresso un parere come
appassionato di calcio»). Alla fine del processo, paradossalmente, a essere
spiazzato è chi ha reagito alla “provocazione”.
Altro esempio più recente: nella conferenza stampa del 26 marzo 2002,
dopo l’assassinio di Marco Biagi e in risposta alle manifestazioni della
CGIL, il presidente del Consiglio dichiara in una conferenza stampa
immediatamente ripresa da tutte le televisioni e da tutti i giornali: «Resi-
steremo ai colpi di piazza e di pistola». Il 27 marzo, come riporta il Corrie-
re della Sera: «Mai detto, ma vi pare che associavo la piazza alle pistole, ma

114
IL CODICE DEL BAMBINO

siamo matti?» Cunico modo per disinnescare questo meccanismo è non


prendere troppo sul serio, troppo “alla lettera”, le dichiarazioni dell’uomo
di Arcore: capire che si tratta di provocazioni, capire che il loro scopo è
attivare il meccanismo della schismogenesi (azione e reazione a catena, sino
a che una delle due parti in gioco resta “bruciata”).

Cidea di schismogenesi è stata introdotta dall’antropologo Gregory Bateson


(di cui è noto anche a un pubblico allargato il libro Mente e natura*). Essa
indica come interagiscono tra loro due parti, entrambe componenti di un
sistema complesso. Ciò che fa una parte, per esempio A, determina nella
seconda, B, un inasprimento del comportamento, che induce a sua volta
la prima parte a reagire con un comportamento consequenziale.
Esistono, secondo Bateson, due varianti di schismogenesi: quella simme-
trica e quella complementare. Nella schismogenesi simmetrica le due parti si

* Edito da Adelphi, Milano 1984.

115
MI CONSENTA

comportano sostanzialmente nello stesso modo. Per esempio, il politico A


critica il politico B, che a sua volta reagisce con una critica ancora più
intensa e così via.
Nella schismogenesi complementare, invece, le due parti agiscono in
maniera opposta. Ne è un esempio la relazione fra autorità e sottomissio-
ne. Il partner dominante assume un certo atteggiamento di prepotenza, e
l’altro lo accetta così umilmente da determinare nel primo la tendenza a
divenire ancora più autoritario, il che accresce ulteriormente la sottomis-
sione dell’altro, e così via.

Il Cavaliere usa molto bene entrambe le forme di schismogenesi. Teniamo


conto che nella schismogenesi simmetrica, chi è più forte vince. E come un
incontro di pugilato in cui se uno picchia di più, anche l’altro picchia di
più. Alla fine vince il più forte. Quando ha la sensazione di essere il più
forte in campo, il Cavaliere non teme la schismogenesi simmetrica, anzi la
provoca volutamente. Se l’avversario abbocca, la sua vittoria è sicura. Pu-
nico modo di salvarsi, per un avversario, è non cedere alla tentazione/pro-
vocazione berlusconiana.
Nella schismogenesi complementare, una volta ottenuta la sottomissione
dell’altro la si rafforza esercitando un’autorità ancora maggiore. Nel berlu-
sconismo, il meccanismo della schismogenesi complementare è utilizzato
prevalentemente all’interno, con i partiti alleati (per mantenere la coesio-
ne/sottomissione al leader), mentre quello della schismogenesi simmetrica
è adoperato all’esterno per attirare in un’imboscata comunicazionale gli
avversari.
Ma la vera specialità del presidente del Consiglio, quella descritta nello
schema precedente, è un terzo tipo di schismogenesi che potremmo chia-
mare autolimitata. Questa forma di schismogenesi inizia con una schisino-
genesi simmetrica, solo che a un certo punto la parte A, quella che ha
innescato il conflitto, si blocca di colpo, negando addirittura di aver volu-
to entrare in conflitto. Pawersario viene spiazzato, perché si trova come
un pugile che mena fendenti a vuoto, contro un nemico che nega di esse-
re suo nemico. Chi cade nel ruolo di vittima di un meccanismo di schi-
smogenesi autolimitante in sostanza risulta ridicolo a se stesso.
Questa è la grande bravura berlusconiana: innescare un conflitto, por-
tarlo al giusto grado di intensità, senza eccedere, poi bloccarsi di colpo,
dire di essere stato frainteso, rovesciare quindi il problema del conflitto
sull’altro e lasciare a lui l’ingrato compito di dimostrare di non essere nel

116
IL CODICE DEL BAMBINO

torto. Il gioco della demonizzazione è stato proprio questo: innescare un


conflitto ideologico-verbale con le forze di sinistra, portarle alla contro-
reazione eccessiva, bloccarsi di colpo per spiazzare gli avversari, poi ripren-
dere il conflitto, poi bloccarsi di nuovo, e così via, aU’inflnito, sino a «man-
dare in confusione» la controparte (che oltretutto ha finito per sembrare
quella veramente orientata a demonizzare l’avversario: la vittima si è tra-
sformata in persecutore!).
Nella campagna elettorale del 2001, Berlusconi ha insistito a lungo sul
fatto di essere stato demonizzato dagli avversari. In realtà, il 26 gennaio
del 1994, nella sua dichiarazione di “discesa in campo”, è proprio il Cava-
liere a descrivere gli uomini politici del centro-sinistra come degli auten-
tici “mostri”, che non credono nel mercato, nell’iniziativa privata, nel pro-
fitto, nell’individuo. Che non credono più in niente. Che vorrebbero tra-
sformare il paese in una «piazza urlante» che inveisce, che condanna. Una
società dominata dalla paura, dall’invidia sociale, dall’odio di classe. Wal-
ter Veltroni sarebbe, giusto per fare un esempio, un valido rappresentante
di tutto questo: di politici che non credono in nulla, che incitano alle
grida, alla condanna, all’invidia, all’odio.
Se non è demonizzazione questa! In realtà è stato il primo atto di una
lunga strategia della schìsmogenesi che ha avuto pieno successo, tanto che
oggi il presidente del Consiglio può raccoglierne i frutti continuando a dire
che i veri demonizzatori stanno nel centro-sinistra (e molti gli credono, in
base al principio popolare secondo cui «a furia di entrare in chiesa, anche
il cane diventa credente»). Egli la utilizza a piene mani, ma con l’intelli-
genza di chi non vuole in realtà demonizzare, vuole piuttosto «essere
demonizzato lui» per poter poi mandare in fuorigioco l’altro e approfittare
dello smarrimento deH’avversario. Credo che a Napoli il detto per indica-
re questo comportamento in generale sia qualcosa di simile a «chiagni e
fotti», e rende bene l’idea di un lamentarsi dietro cui c'è invece proprio il
raggiungimento dell’obiettivo.

L’idealizzazione del Sé
Lultimo meccanismo comunicazionale tipicamente berlusconiano presen-
te nel discorso sopra riportato è l’idealizzazione del Sé, complemento natu-
rale della demonizzazione dell’altro. Da una parte, in quel periodo, abbia-
mo le orde dei comunisti, gente che non crede più in nulla, che riempie
piazze «urlanti, gridanti, condannanti». Gente che vuole la paura, che ha
l’invidia e l’odio come motivazioni nella vita. Dall’altra, invece, abbiamo

117
MI CONSENTA

la Città dei Giusti, o meglio la “Città della Gioia” berlusconiana, presumi-


bilmente esemplificata da Milano 2 e da Milano 3 (i quartieri satelliti di
lusso costruiti dal Cavaliere imprenditore edile) che lo stesso leader di
Forza Italia ha magnificato in televisione. Una città linda, tranquilla, ordi-
nata, popolata da persone profondamente generose, pronte a fare a gara a
chi è più solidale, a chi è più dedito ai meno abbienti, amanti del proprio
lavoro, tolleranti verso tutto e verso tutti, rispettose verso la vita in tutte
le sue manifestazioni.
Mi rendo conto dell’ironia messa in queste frasi, ma la contrapposizione
bene/male dipinta dal presidente del Consiglio è talmente “pittorica” che, se
presa alla lettera, potrebbe suscitare appunto ironia. Presa invece in forma
più subliminale, come una specie di messaggio pubblicitario, funziona. E la
capacità di Berlusconi di portare il suo target in una situazione “pre-ipnoti-
ca”, qual è del resto quella in cui normalmente si fruisce di uno spettacolo
mediatico (televisivo, cinematografico, teatrale e così via), è la condizione
preliminare perché questo genere di stile comunicazionale sia efficace.

In sintesi, nel lungo brano esaminato possiamo osservare in azione quasi


allo stato puro tre leve-chiave della comunicazione berlusconiana: l’utiliz-
zo del linguaggio della gente, la demonizzazione dell’avversario, l’idealiz-
zazione del Sé. Il tutto in una cornice narrativa in cui l’interlocutore è sti-
molato ad assumere uno stato di coscienza leggermente pre-ipnotico*.
Si badi bene: nessuno sostiene che il Cavaliere ipnotizzi il pubblico: è
che tutti noi, quando assistiamo a uno spettacolo, alteriamo leggermente
il nostro stato di coscienza. E il fatto che il presidente del Consiglio utiliz-
zi un linguaggio da fiction nel parlare di politica ci porta a cambiare par-
zialmente il nostro stato di coscienza, a essere più ricettivi verso i suoi
messaggi comunicazionali, proprio come succede per gli spot pubblicitari
(Frontori, 1992).

Ma riprendiamo l’esame del discorso berlusconiano.

Tèsto. Il movimento politico che vi propongo si chiama, non a caso, Forza Ita-
lia. Ciò che vogliamo farne è una libera organizzazione di elettrici e di elettori
di tipo totalmente nuovo: non l’ennesimo partito o l’ennesima fazione che
nascono per dividere, ma una forza che nasce invece con l’obiettivo opposto:

* Si veda il già segnalato testo di Frontori, 1988.

118
IL CODICE DEL BAMBINO

quello di unire, per dare finalmente all’Italia una maggioranza e un governo


all’altezza delle esigenze più profondamente sentite dalla gente comune. Ciò
che vogliamo offrire agli italiani è una forza politica fatta di uomini totalmen-
te nuovi. Ciò che vogliamo offrire alla nazione è un programma di governo
fatto solo di impegni concreti e comprensibili. Noi vogliamo rinnovare la socie-
tà italiana, noi vogliamo dare sostegno e fiducia a chi crea occupazione e
benessere, noi vogliamo accettare e vincere le grandi sfide produttive e tecno-
logiche dell’Europa e del mondo moderno. Noi vogliamo offrire spazio a chiun-
que ha voglia di fare e costruire il proprio futuro, al Nord come al Sud. Voglia-
mo un governo e una maggioranza parlamentare che sappiano dare adeguata
dignità al nucleo originario di ogni società, alla famiglia, che sappiano rispet-
tare ogni fede e che suscitino ragionevoli speranze per chi è più debole, per chi
cerca lavoro, per chi ha bisogno di cure, per chi, dopo una vita operosa, ha
diritto di vivere in serenità.

Commento. Nelle righe appena riportate compare l’apoteosi del pensiero di


Tutti Noi, del pensiero dell’ Uomo Comune, inteso non in senso dispregiati-
vo, ma in senso universalistico. Non sarebbe, infatti, possibile immagina-
re obiettivi più universalmente condivisibili: una libera organizzazione di
persone, una forza che vuole unire, l’attenzione ai bisogni della gente
comune, la possibilità per volti nuovi di emergere; un programma concre-
to e comprensibile per sostenere chi crea occupazione e benessere; tenere
il passo dell’evoluzione e del cambiamento in Europa e nel mondo; dare
possibilità a chi ha voglia di fare e di costruire il proprio futuro; protegge-
re la famiglia; rispettare ogni fede; suscitare speranze in chi è più debole,
senza lavoro, malato, anziano.
Questa non è politica, è dichiarazione dei diritti universali, è qualcosa
su cui possono convergere cristiani e musulmani, ebrei e buddisti, taoisti e
scintoisti, giovani e vecchi, ricchi e poveri, buoni e cattivi, bianchi e neri,
miti e litigiosi e così via. Ancora una volta l’ironia sorge spontanea, ma
solo per rafforzare la paradossalità della comunicazione berlusconiana, e
quindi la sua genialità. Chi mai prima aveva osato essere tanto generico,
generalista, universalista?
Chi mai prima aveva osato sfidare la paura del ridicolo, in realtà
cogliendo, amplificando e “nobilitando” i discorsi della “gente comune”?
Confrontando queste parole berlusconiane con i normali discorsi politici,
si ha davvero la sensazione di trovarsi di fronte a due pianeti differenti.
Quello della politica tradizionale è un pianeta serio ma anche pesante,

119
MI CONSENTA

noioso, grigio, spesso incomprensibile, popolato da persone che sembrano


non condividere nulla con la gente comune. Quello della politica del
Cavaliere è, invece, un pianeta leggero, allegro, colorato, in cui ciascuno
di noi può identificarsi.
E il pianeta delle favole, ma commetterebbe un sicuro errore chi inter-
pretasse questo come un punto di debolezza o di inconsistenza della sua
proposta politica. La verità è che Berlusconi ha da tempo intuito che nelle
società ricche riprende vigore e importanza l’archetipo del Bambino, inte-
so come “stato mentale”, come componente inconscia della personalità, e
non, ovviamente, come condizione anagrafica, come fascia d’età.

L’archetipo del Bambino


In ciascuno di noi, nel nostro inconscio, alberga un Bambino* (cioè una
parte della personalità che “ragiona” in base al principio di piacere e non
al principio di realtà), più ricche e viziate diventano le nostre società, più
questo Bambino conta. Il Cavaliere lo ha capito e ha avuto il coraggio di
parlare al Bambino utilizzando il codice del Bambino. Ben lungi dall’esse-
re un elemento di debolezza o di inconsistenza del movimento, il suo
carattere infantile, sostanzialmente onirico, ne è il principale e straordi-
nario punto di forza.
Pochi però, specie fra i suoi avversari politici, sembrano essersi resi
conto di questo fatto.

Nella trasmissione televisiva II Fatto di Enzo Biagi, nella puntata del 17


aprile 2001, sono stati chiesti commenti su Una storia italiana a vari gior-
nalisti italiani, tra cui, per esempio, Furio Colombo (attuale direttore de
LUnità). In un passaggio della trasmissione Furio Colombo dice testual-
mente: «Come si fa a mettersi davvero intorno a un tavolo, a incollare
quelle frasi, a riportare quelle citazioni, senza sentire ed essere sfiorati per
un momento dal senso del ridicolo? Una persona che racconta barzellette
e che sa divertire chi gli sta intorno, è molto strano che non abbia prova-
to un acuto senso del ridicolo nel mettere insieme questo volume...»
Furio Colombo è un uomo intelligente, di cui ho la massima stima, ma
neppure lui ha colto l’essenza psicologica del berlusconismo, che è di saper
parlare al Bambino che è in noi, e che funziona proprio perché, media-

* Per una migliore comprensione di questi concetti, consultare, per esempio, Berne, 1967;
Stewart e Joines, 1990.

120
IL CODICE DEL BAMBINO

mente, nel nostro ricco mondo post-industriale, il Bambino conta sempre


di più. Furio Colombo è un adulto che adopera il codice affettivo dell’A -
dulto.
Per questo non coglie la potenza del codice del Bambino. E direi che
l’atteggiamento mentale di Furio Colombo è abbastanza frequente tra gli
esponenti del centro-sinistra.
E invece, o le forze dell’opposizione si rendono conto che il quadro psi-
copolitico è mutato, e danno atto al Cavaliere della sua “genialità” come
comunicatore cercando di comprenderla a fondo per poi poterla contra-
stare, oppure per alcuni decenni non ci sarà alternativa al berlusconismo
(e quindi si avvererà la profezia di Nanni Moretti: ci vorranno due o tre
generazioni prima di vedere un cambio di maggioranza politica).
Gridare al Berlusconi cabarettista che dice cose ridicole significa met-
tersi in partenza nella condizione dei perdenti. Bisogna avere il coraggio di
riconoscere che l’immaginano collettivo dell’Italia di oggi è dominato dal-
l’archetipo del Bambino, e che il Cavaliere è stato il primo e sinora l’uni-
co a comprendere questo fatto e a sfruttarlo a suo favore. La vera doman-
da da porsi non è: «Come mai Berlusconi ha scritto o ha fatto scrivere
queste stupidaggini?»; ma piuttosto: «Se è vera l’ipotesi del Bambino come
codice affettivo dominante nell’immaginario collettivo odierno, cosa può
fare il centro-sinistra per elaborare un modello di linguaggio politico che
sappia trasferire contenuti propri, in modo efficace, in accordo con il
nuovo orientamento dell’immaginario collettivo stesso?»

Sulla teoria dei codici affettivi potrà essere utile qualche parola in più di
spiegazione. Nel modo in cui è utilizzata in questo testo, essa deriva dal-
l’analisi transazionale, una disciplina psicologica che studia i processi di
comunicazione (Berne, 1967; Stewart e Joines, 1967). Nell’analisi trans-
azionale, per Bambino si intende uno dei tre stati principali dell’Io o strut-
ture latenti di personalità, che sono Bambino, Adulto, Genitore. Nell’ambi-
to del Bambino si distinguono il Bambino Naturale e il Bambino Adattato
(che a sua volta può essere Sottomesso o Ribelle), nonché il Bambino Astu-
to e il Bambino Libero:•

• il Bambino Naturale costituisce la modalità più armonica e integrata di


manifestazione delle forze primordiali che si muovono nell’inconscio
umano;
• il Bambino Adattato obbedisce alle direttive dei genitori anche in loro

121
MI CONSENTA

assenza. Permette al bambino (inteso in questo caso non come struttu-


ra di personalità ma come fase dell’età evolutiva) di diventare socievo-
le però, talvolta, ne soffoca le tendenze naturali;
• il Bambino Astuto è la parte creativa e intuitiva e viene anche chiama-
to “Piccolo Professore”;
• infine, il Bambino Libero mira soltanto alla soddisfazione dei propri desi-
deri senza preoccuparsi degli altri, e rappresenta la fonte di energia vita-
le dell’individuo;

Sempre secondo l’analisi transazionale, gli altri stati dell’Io sono l’Adulto
e il Genitore (Schema 11):

• l'Adulto è lo stato dell’Io che tratta obiettivamente gli elementi a dis-


posizione, valuta possibilità e probabilità, funziona come una specie di
elaboratore. Nella persona pienamente integrata, di norma questo stato
dell’Io tiene conto del funzionamento degli altri due macrostati (Bam-
bino e Genitore) e completa la propria capacità di analisi con l'attitu-
dine alla simpatia, alla solidarietà e al coinvolgimento;
• il Genitore è lo stato dell’Io che riproduce il comportamento e i valori dei
personaggi parentali più caratteristici. Può esercitare la propria influen-
za apertamente su qualcun altro, o interiormente sugli altri stati dell’Io
dell’individuo. Esistono da un lato il Genitore Normativo (che può essere
Protettivo oppure Persecutore) e dall’altro lato il Genitore Affettivo (che
può essere Consigliere o Salvatore). Il Genitore Salvatore, uno dei tre
ruoli di quello che in analisi transazionale si chiama il «triangolo dram-
matico», col pretesto di aiutare gli altri fa in modo di assoggettarli, ren-
dendoli dipendenti e «incapaci di sbrigarsela da soli».

Il potere persuasivo sul Bambino dei due stati dell’Io più evoluti, l’Adulto
e il Genitore, non è uguale: il Genitore Affettivo è molto più potente del-
l’Adulto nell’influenzare le scelte del Bambino.

Queste poche nozioni di analisi transazionale ci consentono di formulare


un’ipotesi, che forse ha il pregio di spiegare molto meglio perché Silvio
Berlusconi “funziona”, rispetto alla teoria degli italiani «succubi, incapaci
di intendere e di volere» che sembra dominare una certa parte del pensie-
ro collettivo di sinistra a proposito della vittoria elettorale del leader di
Forza Italia.

122
IL CODICE DEL BAMBINO

Schem a 11 - Gli stati dell’Io nell’analisi transazionale

Mente

Bambino Adulto Genitore

Naturale Adattato Astuto Libero Normativo Affettivo

Ribelle Protettivo Consigliere

Sottomesso Persecutore Salvatore

Lipotesi che mi sento di formulare è che oggi, nell’inconscio collettivo


italiano, il peso del Bambino, nelle sue diverse varianti, sia molto superio-
re che in passato. Perciò:•

• il Cavaliere si autopropone all’inconscio collettivo degli italiani come il


Genitore Affettivo, nella variante del Salvatore;
• la comunicazione del leader di Forza Italia cerca di attivare nell’ascol-
tatore il codice del Bambino Libero, quello che vuole soltanto soddisfa-
re i propri desideri;
• per rendere ancora più efficace questa comunicazione, il presidente del
Consiglio si “veste” da “Piccolo Professore” (da cui l’ampio utilizzo di

123
MI CONSENTA

grafici, tabelle, grandi opere da costruire e così via, nelle comparizioni


pubbliche prima in campagna elettorale e poi come capo del Governo) ;
• il centro-sinistra continua invece a rivolgersi da Adulto a un pubblico
di Adulti, o nella migliore delle ipotesi da Genitore Normativo a un pub-
blico di Bambini Adattati;
• di conseguenza, la comunicazione berlusconiana è molto più efficace e
seduttiva, anche quando va palesemente contro la realtà (è il caso per
esempio dell’impegno a presentare in Forza Italia «solo e soltanto uomi-
ni e donne totalmente nuovi», non confermato nei fatti dalla presenza
in questo partito di moltissime figure provenienti dal “cuore” stesso
della vecchia politica e della Prima Repubblica).

Ma torniamo, dopo la parentesi sulla psicologia transazionale, a fare l’a-


nalisi del contenuto del discorso di esordio politico di Silvio Berlusconi.

Testo. Un governo e una maggioranza che portino più attenzione e rispetto


all’ambiente, che sappiano opporsi con la massima determinazione alla crimi-
nalità, alla corruzione, alla droga. Che sappiano garantire ai cittadini più sicu-
rezza, più ordine e più efficienza. La storia d’Italia è a una svolta. Da impren-
ditore, da cittadino e ora da cittadino che scende in campo, senza nessuna
timidezza ma con la determinazione e la serenità che la vita mi ha insegnato,
vi dico che è possibile farla finita con una politica di chiacchiere incomprensi-
bili, di stupide baruffe e di politicanti senza mestiere. Vi dico che è possibile
realizzare insieme un grande sogno: quello di un’Italia più giusta, più generosa
verso chi ha bisogno, più prospera e serena, più moderna ed efficiente, prota-
gonista in Europa e nel mondo. Vi dico che possiamo, vi dico che dobbiamo
costruire insieme, per noi e per i nostri figli, un nuovo miracolo italiano.

Commento. È nel periodo finale del discorso del Cavaliere che si vede per-
fettamente in azione quella che abbiamo descritto come la fabbrica delle
opinioni: si raccoglie il materiale semantico elementare, di base, degli elet-
tori, lo si “impasta” opportunamente, lo si condisce con una componente
di sogno ed eccolo pronto, invitante, da consumare e digerire al volo. I
sondaggi dicono che le preoccupazioni maggiori della gente sono la disoc-
cupazione, l’inquinamento, la criminalità, le tasse, la cattiva amministra-
zione, la droga? Ecco subito una promessa forte in tal senso. I cittadini
chiedono sicurezza, ordine ed efficienza? Immediata la garanzia in questa
direzione. I cittadini si lamentano del linguaggio incomprensibile dei poli-

124
IL CODICE DEL BAMBINO

tici? Ecco subito l’invettiva contro la «politica di chiacchiere incompren-


sibili, di stupide baruffe e di politicanti senza mestiere». La gente vuole
sognare? Immediata la promessa di un grande sogno.
Il Bambino domina nell’immaginario collettivo? E allora diamogli ad
abundantiam quello che vuole: più giustizia, più generosità, più prosperità,
più serenità, più modernità, più efficienza. Siamo diventati un popolo di
narcisisti? E allora garantiamo agli italiani che saremo protagonisti in
Europa e nel mondo, e che ai nostri figli daremo un nuovo miracolo ita-
liano. Questa è la fabbrica delle opinioni: dire alla gente quello che la
gente vuole sentirsi dire per conquistarne il consenso e per gestire con il
minore danno possibile eventuali discrepanze tra quanto promesso e
quanto fatto.
Sinora i commentatori hanno insistito sull’importanza che per il Pre-
mier ha la comunicazione; ma altrettanto importante per lui è l’ascolto,
tanto che si potrebbe parlare di una specie di metafisica berlusconiana del
Grande Orecchio, variante per così dire uditiva del Grande Fratello orwel-
liano. Il potere del Cavaliere vive di “impasto semantico”, di “cucina delle
opinioni”. Senza le voci della gente che lo alimentano, il sistema non sta-
rebbe in piedi. La comunicazione del Cavaliere funziona proprio perché
“cucina il cibo” che i frequentatori del ristorante richiedono più intensa-
mente.

C ’è qualcosa di preoccupante e al tempo stesso di affascinante in questo


perfetto congegno, che è nel contempo una fabbrica delle opinioni e una
fabbrica dei desideri. Come ricercatore di mercato, e come psicologo, sono
ammirato della perfezione del meccanismo che è stato messo in piedi.
Tanto che, dal mio punto di vista, il leader di Forza Italia (e con lui ovvia-
mente i suoi strateghi della comunicazione) non è prevalentemente un
uomo politico: è innanzitutto uno psicologo, un grande psicologo pratico.
Un uomo che conosce perfettamente i codici dell’inconscio collettivo e li
utilizza a suo piacere con la stessa abilità con cui un provetto pianista
tocca i tasti del pianoforte per ricavarne sapientemente le melodie che
vuole.
Il presidente del Consiglio utilizza le note musicali dell’inconscio col-
lettivo non solo per portare verso di sé gli elettori e i cittadini, ma anche
per costringere gli avversari a fare sempre il suo gioco. Senza che se ne ren-
dano conto. A inseguirlo arrivando eternamente secondi, a giocare sem-
pre di rimando e mai di prima iniziativa. E mentre osservatori e commen-

di
MI CONSENTA

tatori della parte avversa inveiscono contro la stupidità della gente e l’op-
portunismo di Berlusconi, il suonatore tira dritto per la sua strada, segui-
to da milioni di cittadini, migliaia di veri e propri “seguaci” e centinaia di
avversari sostanzialmente imbambolati, storditi dalla sua melodia.
Altro che ridicolaggini da cabarettista! La verità è che, in ultima istan-
za, il Cavaliere ha fatto dell’affabulazione mediatica il principale strumen-
to della competizione politica: oggi, la stampa e la televisione hanno un
ruolo cruciale ai fini del raggiungimento del consenso nel nostro sistema
democratico.
Da Berlusconi in poi, per i partiti e per i politici italiani, presentarsi in
maniera efficace, seducente, accattivante, affabulante, attraverso i media
in generale e la TV in particolare, parlando “a distanza” a individui il cui
consenso deve essere prima guadagnato e poi mantenuto, è diventato un
imperativo, una caratteristica imprescindibile della politica stessa. Le logi-
che della comunicazione sono ormai dominate dalla legge della visibilità
televisiva da un lato (il politico deve “bucare” il video), e dalla legge del-
l’ascolto continuo delle opinioni dall’altro. Su entrambe l’uomo di Arcore
torreggia come l'incontrastato primo della classe.

126
Capitolo ottavo

Il culto della personalità

L ’espressione «culto della personalità» ha un significato profondamen-


te negativo nella nostra società. Perché viene collegata alle dittature
del passato, di quel “secolo terribile” che è stato il Novecento. Viene asso-
ciata all’idea di qualcuno che impone ai cittadini, con la forza, di venerar-
ne la personalità in modo irrealistico, morbosamente narcisistico.
In realtà, esistono due forme di culto della personalità: una dittatoria-
le, imposta dall’alto (top-down), come è accaduto nei regimi fascisti e
comunisti del secolo scorso; e una molto più “democratica”, proveniente
dal basso (bottom-up), su cui solo successivamente si innesta un processo
“top-down” di ulteriore rafforzamento e incanalamento. La Chiesa Catto-
lica Romana è da secoli maestra indiscussa di questo secondo tipo di culto
della personalità: santi e beati sono prima “imposti dal basso”, attraverso
il consenso popolare, e poi ulteriormente “elevati”, nell’immaginario col-
lettivo, attraverso iniziative “dall’alto” (di cui quella emblematica è la bea-
tificazione).
Il Cavaliere adopera da sempre, anche prima di diventare uomo politi-
co e di Stato, una forma intermedia di culto della personalità che potrem-
mo sintetizzare nel modello top-bottom-top. Il processo parte inizialmente
dall’alto, ottiene successivamente una verifica dal basso, e infine viene
definitivamente consolidato e “stilizzato” nuovamente dall’alto.
Concretamente, grazie al possesso di potenti mezzi di comunicazione di
massa, il presidente del Consiglio costruisce una “protoimmagine” che
proietta sul pubblico, poi dal pubblico ricava una serie di “segnali di feed-
back” e, infine, per mezzo di questi segnali egli impone definitivamente
un’immagine «a misura di destinatario» (Schema 12). Il tutto funziona per-
fettamente perché, indubbiamente, il Cavaliere è un grande realizzatore

127
MI CONSENTA

Schem a 12- 1 1 m eccanism o di costruzione dell’im m agine

Protoimmagine Immagine

pratico, e quindi la coerenza fra immagine e verità è sufficientemente ele-


vata da “reggere il gioco” (Canevacci, 1993).

A dimostrazione dell’abilità con cui il leader di Forza Italia costruisce


un’immagine di se stesso al confine fra il culto esplicito della personalità e
la persuasione subliminale stanno numerosi passaggi del fascicolo Una sto-
ria italiana distribuito, è utile ricordarlo, in milioni di copie. Ecco, per
esempio, come una decisione che almeno per metà contiene alla sua base
anche una spinta individualistico-narcisistica (Duruz, 1976), quella di
«scendere in campo» e tentare l’avventura della politica, viene presenta-
ta dal Cavaliere come una specie di «vocazione messianica», di «chiama-
ta divina» a lavorare quasi esclusivamente in favore degli altri:

Ho sentito una specie di responsabilità che non poteva essere elusa e, forse esa-
gerando, mi sono sentito nella condizione di chi, dovendo partire per un bel
viaggio, si è trovato improvvisamente davanti qualcuno bisognoso d’aiuto.
Ecco, nonostante la prospettiva del viaggio, della vacanza programmata, non
sarebbe stato possibile girare la testa dall’altra parte, si sarebbe trattato di una
vera e propria omissione di soccorso. È per questo - perché ci sentiamo tutti

128
IL CULTO DELLA PERSONALITÀ

responsabilmente chiamati a uscire dal nostro egoismo per fare quanto possia-
mo per il nostro paese - che noi siamo qui, che abbiamo risposto a questa spe-
cie di chiamata alle armi. E per questo che noi oggi siamo qui, con la volontà
di cominciare da qui un lungo cammino, un cammino di speranza e di fiducia
nel nostro futuro... credevo di avere finito con i traguardi e con gli obiettivi,
credevo che la mia corsa fosse arrivata finalmente alla meta finale, credevo di
poter fare il nonno, di leggere i libri che non ho letto, di vedere i film che non
ho visto, di ascoltare le musiche che mi piacciono. Ma ecco profilarsi un peri-
colo grande per il nostro paese, qualche cosa che poteva cambiare la nostra
vita e soprattutto la vita delle persone a cui vogliamo bene: un futuro incerto,
soffocante e illiberale. Ecco allora improvvisamente un nuovo irrinunciabile
traguardo: garantire al paese la permanenza nell’occidente, nella libertà, nella
democrazia...

Ammettiamolo, ci vuole della genialità per trasformare la decisione di


intraprendere una nuova carriera in politica (potenzialmente foriera a
priori di oneri e responsabilità ma anche di onori e di gratificazioni) in un
generoso, necessario, ineludibile atto di altruismo!
Berlusconi si stava finalmente apprestando a fare il nonno, a godersi gli
anni della “terza età”, a passare sereno giornate giustamente dedicate a se
stesso, davanti al caminetto della villa di Arcore, intento a leggere buoni
libri e a guardare bei film, in compagnia di Veronica e dei suoi figli e nipo-
ti, quando improvvisamente si è reso conto che una terribile minaccia gra-
vava appunto sui suoi figli, sui suoi nipoti, sui figli e nipoti di tutti noi, su
tutti noi: il passaggio dell’Italia entro un fantomatico “sistema illiberale”.
Dico “fantomatico” perché all’epoca della discesa in campo del Cavaliere
il blocco comunista era già crollato, e non si riesce proprio a capire come
i post-comunisti italiani di allora potessero pensare di “importare” il comu-
niSmo in Italia, dopo che il comuniSmo era caduto in tutti i paesi europei.
Ancora una volta vediamo in azione, in questo brano, lo schema nar-
rativo favolistico dell’uomo di Arcore, l’adattamento della realtà “reale” a
una realtà immaginaria caratterizzata da un sottile gioco degli specchi tra
“apparenza” e “verità”. Perché una pur ridotta componente di «verità
vera» c’è nel ragionamento del Premier: è innegabile che nei pidiessini,
peraltro ormai già allora pienamente convertitisi al sistema democratico,
ci fossero ancora degli elementi di rigidità di pensiero, retaggio storico di
decenni di pensiero politico appunto centralista e dirigista; ma da questo
a parlare dei pidiessini come un’associazione di comunisti nostalgici, che

129
MI CONSENTA

coltivavano l’idea di fare dell’Italia una Corea del Nord del Mediterraneo,
ce ne passa!
La controprova dell’uso strumentale che Berlusconi fa del passato
comunista dei leader DS sta nel fatto che, divenuto premier, egli ha tro-
vato proprio nel presidente russo Vladimir Putin, ex-comunista di ferro e
membro del servizio segreto sovietico, il KGB, un interlocutore privilegia-
to che non perde occasione di descrivere come amico personale. Come è
possibile che gli ex-comunisti italiani, peraltro privi di qualsivoglia respon-
sabilità oggettiva in termini di crimini e misfatti, siano peggio dei postco-
munisti russi, che di crimini e misfatti sono direttamente o almeno indi-
rettamente responsabili, nella misura in cui hanno operato nella struttura
che i crimini e i misfatti li compiva veramente? Che Achille Occhetto sia
più “comunista” di Vladimir Putin è affermazione davvero azzardata, che
solo il Cavaliere può fare senza temere di cadere nel ridicolo.

Ecco un altro esempio di descrizione al confine tra realtà e immaginazio-


ne, sempre in accordo con l’idea del “gioco degli specchi”:

Andammo al Governo con beata innocenza - rammenta Berlusconi - creden-


do che la sovranità fosse veramente del popolo, e che bastasse essere eletti per
poter governare davvero. Vi ricordate tutti cosa si scatenò contro di noi, la
santa alleanza dei poteri forti: mai nessun Governo fu messo di fronte a tante
difficoltà. Governammo ugualmente, impegnandoci a fondo con estrema
coerenza, cercando di trasformare in azione politica quanto avevamo scritto
nel nostro programma. Leconomia prese respiro, fiducia ed entusiasmo con-
quistarono molti imprenditori e i risultati vennero...

Che al formarsi del governo Berlusconi sia avvenuto nel paese un moto di
reazione sociale da parte delle forze, appunto, socialmente avverse al suo
blocco elettorale, è un dato di fatto, ma è anche un fenomeno comprensi-
bile e fisiologico in qualsiasi democrazia. Che tale Governo abbia dovuto
affrontare difficoltà maggiori di quelle incontrate da qualunque altro
Governo nella storia d’Italia è una palese esagerazione. Che poi contro il
Cavaliere imprenditore-politico si siano alleati i “poteri forti”, presumibil-
mente anche e soprattutto economici, è un’ipotesi affascinante ma one-
stamente piuttosto fantasiosa. Se non altro perché il presidente del Con-
siglio è egli stesso uno dei maggiori rappresentanti dei “poteri forti”, pos-
sedendo o controllando direttamente o indirettamente televisioni, giorna-

130
IL CULTO DELLA PERSONALITÀ

li, concessionarie di pubblicità, assicurazioni, una banca, la potente Banca


Mediolanum, il Milan e così via. Come si vede, il gioco di specchi e riman-
di fra verità e immaginazione, apparenza e realtà, è una dimensione cen-
trale e costante della sua comunicazione. Che non è, si badi bene, una
comunicazione “menzognera”: è piuttosto una narrazione che utilizza tec-
niche affabulatorie (Ghiglione, 1988). Una fiaba, in se stessa, non è né
vera né falsa: è una fiaba, ossia uno strumento narrativo fatto apposta per
sviluppare e incanalare determinati sentimenti ed emozioni, a prescinde-
re dal fatto che quanto narrato nella fiaba stessa sia, rispetto al principio
di realtà, vero o falso (si veda al riguardo nuovamente Propp, 1966).

È precisamente attraverso il ricorso massiccio all’affabulazione, al gioco


degli specchi fra immaginazione e realtà, che il berlusconismo diffonde un
nuovo tipo di culto della personalità. Uno studioso che ha colto questo
fenomeno è Roberto Weber, curatore di un volume pubblicato in proprio
dalla società di sondaggi SWG di Trieste e intitolato Miss Melandri e le
parole magiche (1996). Si legge nel volume:

Uno degli elementi più significativi della strategia del racconto del Cavaliere è
costituito dalla collocazione che Berlusconi assume rispetto al destinatario dei
suoi messaggi: egli si pone su un continuum lungo il quale si passa in maniera
impercettibile dall’io narrante all’io-noi inteso come gente... Questo mecca-
nismo di indentificazione con gli elettori, e di rispecchiamento degli elettori
nel leader, viene rafforzato in prima battuta dall’iterazione (“l’ho detto e lo
riconfermo”), quindi da una presunta oggettività (“tutta l’Italia sa che le cose
stanno come dico io”) e, infine, in modo più sostanziale, dall’offerta di se stes-
so a garanzia del messaggio, sottolineata dal ricorso reiterato a verbi e avverbi
modali... La storia collettiva narrata da Berlusconi si caratterizza, inoltre, per
la cornice temporale all’interno della quale si colloca. La genesi della vicenda
ha radici in un passato recentissimo, un quasi-passato che segnala una rottura
epocale e si colora di mito, ovvero la nascita della Seconda Repubblica...

Il culto della personalità del Cavaliere è diverso da quello dei protagonisti


del XX secolo perché mentre questi ultimi sottolineavano comunque
soprattutto la dimensione dell’irraggiungibilità, lui al contrario insiste sugli
elementi di raggiungibilità, di vicinanza con l’uomo comune. Lui si pre-
senta come un noi eccezionale, un elevamento a potenza dell’Uomo Comu-
ne, come qualcuno e qualcosa di lontanissimo e al tempo stesso di vici-

131
MI CONSENTA

nissimo. Ecco perché in Una storia italiana ci si sofferma così a lungo e


ripetutamente sulle vicende della famiglia di origine, gli amici, la scuola.
I grandi protagonisti del Novecento erano in fondo personaggi psicologi-
camente irraggiungibili, creature apparentemente ventite dal nulla, incar-
nazioni improvvise di potenze soprannaturali catapultate sulla terra per rea-
lizzare il proprio disegno di potere. Chi sa qualcosa della madre di Hitler o
di Stalin? Persino nel caso di Mussolini i riferimenti personali e familiari
sono stati attentamente centellinati dalla propaganda. Stalin, Lenin, Mus-
solini, dovevano essere visti dalla gente come figure appartenenti a un altro,
superiore, ordine di cose e di esistenza. Come figure comunque lontane dal
“noi” in cui tutti ci riconosciamo. Noi siamo noi, loro erano loro.
II culto della personalità di Berlusconi è molto più evoluto, raffinato,
efficace. Lui sa bene che la logica del “noi” contrapposto a “loro” alla fine
porta aH’abbattimento dell'idolo (Grumberger, 1977; Kohut, 1976): appe-
na le cose vanno male “noi” ci coalizziamo contro “loro” e cerchiamo di
fargliela pagare. La strada giusta, quella che porta alla gratitudine “eter-
na”, è di presentarsi come un io-noi in cui non c’è contrapposizione, bensì
integrazione reciproca. La strada di dire «io sono voi e voi siete me, siamo
la stessa cosa e insieme siamo completi».
Se ci pensate, questa è la strada comunicazionale anticipata dal Cristo.
Nato in una grotta/capanna, deposto su una mangiatoia. Profondamente
legato alla sua Famiglia. Umili origini, grande destino. Un compito
immenso: salvare l’umanità dal Male. Cristo è in noi e noi siamo in Cri-
sto. Con la fede possiamo ottenere la salvezza.
Laffabulazione del Cavaliere è proprio su questa falsariga. Uno come
noi, nato in una metaforica grotta, deposto su una metaforica mangiatoia.
Uomo e super-uomo al tempo stesso. Legatissimo alla sua Famiglia. Umili
origini, grande destino. Un compito immenso: salvare l’Italia dal Male
Comunista. Berlusconi è «uno come noi» e noi siamo, in potenza, «uno
come Berlusconi». Con la fiducia in lui possiamo ottenere la salvezza. Se
non è culto della personalità questo...

Le mosse future del Cavaliere


Ecco perché la mia personale idea è che il berlusconismo sia, psicologica-
mente parlando, un “regime” di tipo nuovo, che si andrà consolidando nel
corso degli anni attraverso l’impiego di vecchi e nuovi strumenti di comu-
nicazione, con fasi di accelerazione di questo processo alternate a periodi
di normalità e normalizzazione.

132
IL CULTO DELLA PERSONALITÀ

Il Cavaliere è riuscito a portare a termine con successo la scalata al ver-


tice dello Stato. Da questo momento in poi tutti i suoi sforzi saranno tesi
al mantenimento del potere, ma il suo “regime” sarà molto dissimile da
quelli precedenti. Sarà un regime estremamente duttile, in grado di gesti-
re il proprio consolidamento e il proprio sviluppo con una notevole spre-
giudicatezza tattica. Ma, come tutti i regimi, si baserà anch’esso sull’azio-
ne di sorveglianza, di ascolto, di controllo delle opinioni e del loro inca-
nalamento verso la mitologia dell’efficacia e dell’efficienza del Capo al
Potere.
Lo Stato sarà progressivamente modellato secondo un disegno di carat-
tere presidenzialista, che cercherà di ridurre il peso e il prestigio di alcune
attuali istituzioni della Repubblica (del resto il presidente del Consiglio
non ha mai nascosto il suo intendimento di «rivoluzionare l’architettura
dello Stato»). In quest'azione “ristrutturativa” Berlusconi però farà atten-
zione a non provocare conflitti sociali troppo espliciti - salvo il caso in cui
non sia necessario creare dei capri espiatori - e soprattutto a rimanere in
buoni rapporti con i due veri “poteri forti” del nostro paese: Confindustria
e Chiesa.
Nei loro riguardi, il suo regime si comporterà in maniera estremamente
flessibile. Il Cavaliere ha già rapidamente trovato, e troverà anche in futu-
ro, modo di intendersi con la Confindustria, tanto da servirsene per il
mantenimento del potere. Pure nei riguardi della Chiesa egli mostrerà
sempre un atteggiamento conciliante, per legittimare il suo potere sia
all’interno sia all’esterno, caricandolo di una serie di contenuti valoriali
capaci di stemperare gli eccessi “efficientisti” del suo movimento.
Linvestitura da parte di Confindustria e la legittimazione vaticana per-
metteranno al berlusconismo di avviarsi, dopo i primi due anni che saran-
no necessariamente più “ruvidi”, su una strada di normalizzazione, che
tenderà a far dimenticare le sue origini “rivoluzionarie” e i toni accesi della
campagna elettorale 2001 e del primo biennio di Governo (caratterizzato
dall’attacco ai baluardi del contropotere che si oppone al Premier, a
cominciare dalla magistratura e dalle organizzazioni sindacali).
Fatto questo, l’uomo di Arcore cercherà di accreditare se stesso come
l’ideatore di una terza via tra logica del profitto e logica della solidarietà,
in grado di superare i limiti dell’una e dell’altra, anche per potersi credi-
bilmente proporre come il primo presidente della nuova Repubblica presi-
denziale italiana. Di conseguenza, l’impiego degli strumenti di comunica-
zione sarà ancora più intenso e innovativo.
MI CONSENTA

La strategia chiave del Cavaliere sarà quella della politica del coinvolgi-
mento. Grazie alla sua esperienza come imprenditore mediatico e alle sue
doti oratorie, il leader di Forza Italia gode di una capacità naturale di uti-
lizzare i mass media ben più articolata rispetto agli altri protagonisti dello
spettacolo politico europeo.
Partendo da se stesso e dai suoi più stretti collaboratori, il Cavaliere
implementerà un modello di coinvolgimento a cascata: fioriranno micro e
macro testimonial sulle positività nell’Italia berlusconiana, in una combi-
nazione di “cultura alta” e “cultura di massa” che non avrà eguali nella sto-
ria passata. Nella “macchina del consenso” troveremo l’accademico, il
romanziere di successo, il critico d’arte, il regista cinematografico, l’auto-
re teatrale, lo sceneggiatore, il cantante, il giornalista, il grande attore
della scena e dello schermo, la casalinga, lo studente, il manager, il pen-
sionato. Tutti a testimoniare la positività del «vivere nell’epoca di Berlu-
sconi». Tutti a testimoniare che il merito di queste positività dipende
innanzitutto dalla lungimiranza e al tempo stesso dalla carica umana del
Capo. In questo consisterà il “culto della personalità” del regime berlu-
sconiano (a scanso di equivoci, continuo a precisare che utilizzo la parola
regime più o meno come l’avrei adoperata per parlare del “regime demo-
cristiano”) .
Sul Corriere della Sera di sabato 19 gennaio 2002 abbiamo due diversi
esempi della “logica dei testimonial”. In prima pagina, una lettera-artico-
lo di Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, si intitola
Ma i Savoia torneranno grazie a noi e intende sottolineare che se l’ex-casa
reale italiana potrà fare ritorno in patria, sarà appunto per l’interessamen-
to del Premier e della sua maggioranza parlamentare. A pagina 19 un arti-
colo a firma di Alessandra Arachi ci informa che, sempre dietro lo stimo-
lo di Silvio Berlusconi, il capo della polizia ha ordinato più controlli sulle
strade, in funzione anti-prostituzione. E ricorda un incontro avvenuto
pochi giorni prima fra il presidente del Consiglio e don Benzi, un sacerdo-
te attivo sul fronte del recupero di giovani prostitute costrette in schiavi-
tù dai loro sfruttatori. Re e prostitute come testimonial! Racconta testual-
mente l’articolo di Arachi:

Il presidente del Consiglio ha discusso nuovi provvedimenti con il ministro


degli Interni Claudio Scajola, dopo un incontro con don Oreste Benzi, il prete
che da anni è impegnato nella lotta alla prostituzione. Un incontro che ha
suscitato echi polemici. A Palazzo Grazioli dal premier, infatti, don Benzi si è

134
IL CULTO DELLA PERSONALITÀ

presentato con due giovanissime prostitute. “Si è commosso, il presidente,


vedendo le ragazze. E ha voluto regalare loro dei soldi, cinque milioni a testa
(circa 2600 Euro)”, ha raccontato don Benzi dopo l'incontro. Ma quel dono in
lire contanti ha suscitato più di un’indignazione, molte critiche. E l'amarezza
del Premier che ieri mattina si è sfogato con i giornalisti: «È stato un gesto nor-
malissimo di vicinanza che doveva rimanere riservato. È stato invece trasfor-
mato in ostentazione. Veramente non ho parole di fronte alla cattiveria di chi
non riesce a capire che ci sono dei gesti che si fanno perché si devono fare...»

Ecco, in questo piccolo episodio di cronaca c'è tutto Berlusconi. Il suo lea-
derismo, l'affrontare in prima persona i problemi come “taumaturgo” in
grado di risolverli, la ricerca del contatto diretto con gli “umili”, la capa-
cità, volontaria o inconsapevole, di trasformare ogni evento in testimo-
nianza, la trasversalità (casa reale da una parte, prostitute dall’altra), l’a-
bilità nel mettere in scacco comunicazionale l’avversario (ancora una
volta la parte dei cattivi l'hanno fatta, inevitabilmente, i “comunisti” inca-
paci di capire i gesti che si fanno perché si devono fare), l’attenzione ai
sondaggi d’opinione (che da anni segnalano che in cima alle preoccupa-
zioni dei cittadini vi sono i problemi del degrado urbano e del pubblico
decoro, insieme con le tematiche della sicurezza).
Proprio la questione della prostituzione consente un ulteriore appro-
fondimento sul collegamento fra le decisioni del leader e l’opinione pub-
blica, dal momento che esistono precisi riferimenti di ricerca dell’Istituto
CIRM in materia. Quando, nel gennaio 2002, il presidente del Consiglio
ha lanciato la sua “campagna anti-prostituzione”, agli osservatori a digiu-
no di dati demoscopici la cosa può essere apparsa come una sorta di diver-
sivo per spostare l’attenzione del dibattito politico da temi potenzialmen-
te pericolosi per la Casa delle Libertà (caso Genova, caso Ruggiero, con-
flitto di interessi e così via) ad argomenti da un lato poco rilevanti e dal-
l’altro meno problematici. In realtà, il fatto è che a Berlusconi il diversivo
è riuscito proprio perché l’opinione pubblica da tempo considerava peri-
coloso il fenomeno della prostituzione. Ma vediamo qualche dato empiri-
co.

Già a luglio 2000 l’Istituto CIRM aveva realizzato un sondaggio sulla pro-
stituzione per conto dell’allora ministro dell’Interno, Enzo Bianco, nel-
l’ambito di una ricerca più generale sulla percezione della sicurezza da
parte dei cittadini. Vennero intervistate, con metodologia telefonica corn-

is i
MI CONSENTA

puterizzata, 2000 persone, rappresentative dell’universo degli italiani


adulti. Larea di approfondimento del sondaggio riguardava, come detto,
l'atteggiamento della popolazione nei confronti del fenomeno della prosti-
tuzione. Alla domanda: «Quanto ritiene pericoloso il fenomeno della pro-
stituzione?», il 77% degli intervistati ha risposto «molto» o «abbastanza»,
indicando un giudizio appunto di pericolosità in relazione alla prostituzio-
ne. Quindi, un anno e mezzo prima delle uscite berlusconiane erano già
disponibili dati di ricerca che dimostravano l’allarme sociale destato dalla
prostituzione.
Quanto poi alla domanda: «Quale anello della catena della prostituzio-
ne va represso con maggiore forza?», l’opinione pubblica si è espressa nel-
l’estate del 2000 decisamente per la repressione degli «organizzatori del
racket della prostituzione» (77%), sottolineando che la maggiore perico-
losità è associata non tanto alle prostitute in se stesse, quanto a chi gesti-
sce il traffico che si cela dietro a questa attività (da rimarcare che il 16%
degli intervistati ha comunque detto che sarebbe meglio «reprimere i
clienti», che fanno sì che la prostituzione abbia un mercato).
Alla domanda: «Quale potrebbe essere la strada migliore per arginare il
fenomeno della prostituzione in Italia?», il 33% ha risposto che una solu-
zione positiva potrebbe essere quella di «legalizzare la prostituzione rego-
lamentandola in qualche modo», ma tale percentuale non si discosta
molto da quella del «contrastare l’immigrazione clandestina» (30%). In
altre parole, secondo gli intervistati il fenomeno della prostituzione era
direttamente e strettamente connesso con quello dell’immigrazione clan-
destina, tanto che si poteva pensare che contrastando il secondo si riuscis-
se ad arginare anche il primo.
Sempre nell’ambito del sondaggio, si è appurato che il 64% del cam-
pione si è detto «molto o abbastanza d’accordo» con la riapertura delle
case chiuse, e il 47% con la liberalizzazione della prostituzione e con la sua
regolamentazione fiscale, in modo che sia possibile per le prostitute stesse
organizzarsi singolarmente o in cooperative.
Insomma, la maggioranza della popolazione è già da tempo favorevole
alla riapertura delle case chiuse, al di là dell’orientamento politico, men-
tre un po’ meno decisa è la maggioranza di coloro che sono d’accordo con
la liberalizzazione della prostituzione e con la sua regolamentazione (forse
perché, notavano i ricercatori CIRM, «si andrebbe incontro a un’incogni-
ta, non essendosi mai verificato nulla del genere in Italia»).
In chiusura di sondaggio venne chiesto al campione se fosse o meno

136
IL CULTO DELLA PERSONALITÀ

d’accordo con l’istituzione di task force anti-tratta che combattessero il


«commercio delle donne» e con il dispiegamento delle polizie municipali
in funzione anti-clienti. Nessun dubbio in proposito, visto che l’85% degli
intervistati si è dichiarato favorevole a queste iniziative. Lo studio CIRM
consegnato al ministro Bianco traeva alcune considerazioni conclusive:

In sostanza, si è constatata una prevalente uniformità di opinione per ciò che


riguarda il fenomeno della prostituzione, non solo in merito alla sua pericolo-
sità ma anche a proposito delle soluzioni che potrebbero portare a un even-
tuale contenimento del fenomeno stesso, rendendolo maggiormente control-
labile... Importante è notare che le prostitute vengono per lo più considerate
delle vittime, che quasi mai scelgono consapevolmente e razionalmente di pro-
stituirsi... Infatti, le donne, soprattutto se immigrate clandestine, vengono
sfruttate e ridotte in schiavitù da chi poi gestisce un vero e proprio racket della
prostituzione... Vista e considerata questa uniformità di atteggiamenti nei
confronti del fenomeno della prostituzione, non restano dubbi sulle soluzioni
a cui si dovrebbe tendenzialmente arrivare nei prossimi mesi, rendendo sem-
pre più operativa l’idea di una task force anti tratta delle donne che vengono
poi costrette a prostituirsi...

Neanche a farlo apposta, sia il livello di sensibilità nei confronti del pro-
blema sia la tipologia delle risposte e soluzioni avanzate dall’attuale mag-
gioranza vanno proprio nella direzione dei dati demoscopici appena rias-
sunti.
Il mito berlusconiano del “presidente operaio” che sa intuire e sentire
gli umori profondi dell’opinione pubblica si fonda - e non potrebbe essere
diversamente - sull’ascolto continuativo dei cittadini per mezzo dei son-
daggi.
Il caso prostituzione è, come detto, emblematico. Il sondaggio commis-
sionato dal ministro ulivista Enzo Bianco è rimasto nel cassetto per più di
un anno. Il Cavaliere, invece, quei dati (o altri dati analoghi derivanti da
propri sondaggi) li ha tirati fuori e subito utilizzati. Eepisodio “don Benzi”
è infatti perfettamente in sintonia con le opinioni della gente (che vede la
prostituzione come un pericolo, collega il fenomeno all’immigrazione clan-
destina, vuole che sia combattuto il racket ma al tempo stesso fiaccata la
domanda mettendo i bastoni fra le ruote ai clienti).
Persino la proposta di riaprire le case chiuse in realtà trova la sua “base”
negli umori profondi dell’immaginario collettivo, che si dichiara favorevo-

137
MI CONSENTA

le al riguardo.
Berlusconi è un maestro del dire alle persone quello che vogliono sentirsi
dire. In pratica, «se la gente vuole le case chiuse, anche noi siamo per le
case chiuse; se la gente pensa che le tenute provocanti delle prostitute
sulle strade siano indecorose anche noi la pensiamo così, come del resto
abbiamo sempre fatto». Che poi, come qualcuno ha giustamente osserva-
to, sulle reti Mediaset vadano in onda ballerine e show girl in tenute non
meno succinte e provocanti di quelle “stradali”, è un dettaglio del tutto
trascurabile.
Ben lungi dall’essere stato applicato soltanto nel caso del problema
della prostituzione, questo “schema” di sondaggio-propaganda fa organi-
camente parte, fin dalle origini, della strategia di comunicazione politica
del Cavaliere. Per esempio, poco dopo il suo ingresso in politica, ossia nel
dicembre 1993, l’Istituto CIRM eseguì una ricerca sul consenso elettorale
del fondatore di Forza Italia. Seicentoquarantasei italiani residenti sull’in-
tero territorio nazionale vennero intervistati per esprimere il proprio pare-
re sul Cavaliere e sul suo futuro nella vita politica del paese.
La prima domanda riguardava la simpatia o l’antipatia di Silvio Berlu-
sconi, che è risultato simpatico al 52%, in particolare al Nord e tra gli abi-
tanti dei grandi centri, le donne e le fasce di età più elevata. Per capire
quale poteva essere il bacino potenziale di voti per il partito del Cavalie-
re, agli intervistati è stato chiesto se gli avrebbero dato il proprio voto. Il
9% ha dichiarato di essere «certamente propenso», il 20% ha detto che
«probabilmente» lo avrebbe votato. In termini di intenzioni di voto, quin-
di, il Cavaliere godeva, a un anno circa dalla sua “discesa in campo”, dei
favori del 29% degli intervistati.
Invece, in termini di potenziale effettivo (non semplice propensione,
ma “voto certo probabile”), la percentuale si attestava, sempre a dicembre
1993, intorno al 10%. E i maggiori consensi sarebbero venuti dalle donne,
dalle persone più adulte, dai residenti nei grandi centri urbani. E, infatti,
tutta la fase di ascesa di Forza Italia ha avuto per destinatari delle iniziati-
ve di comunicazione e propaganda proprio le persone di età più adulta,
meglio se donne dei grandi centri urbani. Persino Una storia italiana, mon-
tato quasi come un settimanale femminile, a circa un decennio di distan-
za mantiene la stessa impostazione!
Un altro esempio dell’aderenza fra orientamenti dell’opinione pubblica
e linee di azione governativa si ha sul problema dell’immigrazione. Un
sondaggio SWG già nel luglio 1994 indicava che oltre la metà degli ita-

138
IL CULTO DELLA PERSONALITÀ

liani riteneva che la direttiva dell’Unione Europea, che invitava gli Stati
membri a «chiudere le porte» ai cittadini extracomunitari in cerca di lavo-
ro, fosse «adeguata» alla situazione, a fronte del 42% della popolazione
che la giudicava invece «eccessiva». Per i tre quarti degli intervistati già
nel 1994 le persone di colore presenti nel nostro paese erano «tante»,
anche se una percentuale praticamente analoga era disposta a riconosce-
re che, più che portare via il lavoro agli italiani (tesi sostenuta dal 19%),
essi in realtà svolgevano lavori che gli italiani da tempo rifiutavano.
Il 27% del campione era anche del parere che gli immigrati fossero i
principali responsabili del degrado delle nostre città. Per arginare un’im-
migrazione incontrollata, il 45% avrebbe consentito l’ingresso nel nostro
paese soltanto a chi fosse stato in possesso di un lavoro. Infine, la soluzio-
ne prevalente nel campione, contro il problema degli irregolari, era quel-
la della sanatoria per chi risultasse in grado di mantenersi economica-
mente (54%) -
Otto anni dopo, gli orientamenti del governo Berlusconi II sembrano la
fotocopia di questi risultati demoscopici.

Gli esempi potrebbero proseguire all’infinito, ma questi due bastano a


chiarire come funziona il circuito ascolto-comunicazione: le tendenze di
pensiero che caratterizzano l’opinione pubblica, Costantemente rilevate,
vengono “amalgamate” con le scelte politiche di fondo, affinché in sede di
comunicazione al pubblico queste ultime appaiano il più possibile vicine
appunto al «pensiero della gente». La gente stessa ci si ritrova, le ricono-
sce come proprie, e questo da un lato fa sentire “vicino” il leader e dal-
l’altro gli dona un connotato semi-magico di onniscienza e onnipresenza,
come se egli fosse davvero sempre in grado di capire come per magia gli
“umori” dell’elettorato. E così il culto del Capo si rafforza.

Un ultimo punto va rimarcato, sul culto della personalità berlusconiano.


A differenza di quello di altre figure politiche, esso viene sostanzialmente
accettato dai destinatari. E proposto (attraverso almeno tre canali televi-
sivi e un buon numero di giornali e settimanali), ma non imposto (come
provato dagli alti ascolti spontanei delle trasmissioni delle reti del Cava-
liere) .
Perché dunque la gente, in una frazione considerevole del totale della
popolazione, dimostra di accettare e condividere le idee del Cavaliere, o
almeno di stare al gioco? Rispondere a questa domanda non è facile, e ci

139
MI CONSENTA

porta a riflessioni sulla natura stessa dell’essere umano.


E probabile che la chiave di risposta stia nell'etologia umana, nel nostro
codice genetico*. Eattuale specie Homo Sapiens Sapiens rappresenta l’ulti-
mo anello (per ora) di una lunga catena evolutiva. Ominidi a noi simili
sono comparsi almeno settecentomila anni fa. Allora come oggi eravamo
(e siamo) creature fisicamente deboli, costrette - per sopravvivere - ad
aggregarsi in branchi prima, e tribù dopo, guidate da un capo. E ad ascol-
tare con grande attenzione le indicazioni appunto del “capo”. Il leaderi-
smo, e soprattutto la tendenza ad accettarlo, a diventarne consapevol-
mente partecipi, è un tratto tipico della struttura di personalità umana.
Per questo la democrazia afl’“ateniese” è tanto fragile: centinaia di
migliaia di anni di storia evolutiva non si cancellano in due migliaia di
anni di civilizzazione. E ancora oggi, infatti, quando ci imbattiamo in un
“capo” che faccia risuonare in noi il ricordo ancestrale della lotta per la
sopravvivenza nella foresta pluviale piuttosto che nella savana, tendiamo
a cedere consenzientemente il potere.
Tutto il potere, nelle sue mani, anche a costo di correre qualche rischio.
E lo facciamo tanto più volentieri quanto più questo Capo in fondo ci dice
proprio le cose che vogliamo sentirci raccontare, quasi con le stesse paro-
le che utilizziamo noi.

A conclusione del capitolo sul culto della personalità di Silvio Berlusconi,


che potremmo definire una personalità di tipo “imperiale”, credo interes-
sante riportare un articolo comparso su La Stampa di mercoledì 6 febbraio
2002. Il titolo è Ecco perché l’idea di rispolverare la vecchia favola reale piace
al presidente del Consiglio.
Il testo è il seguente:

Il Re Vittorio Emanuele, quello dal sangue blu, con lo stemma dei Savoia e gli
antenati che hanno costruito l’unità d’Italia, sta a Gstaad, nella villa di fami-
glia, e anche se non ha più al suo fianco un ministro di Realcasa, dopo aver
giurato fedeltà alla Repubblica si prepara a tornare nel suo Paese. Ealtro Re,
Silvio Berlusconi, quello «di fatto», che per la debolezza dell’opposizione sta
trasformando l’Italia di nuovo in un reame, si divide nei due nuovi palazzi reali
di Roma, Palazzo Chigi e la dépendance di Palazzo Grazioli, circondato dalla
sua corte ossequiosa quanto e come quella Sabauda, con Gianni Letta al posto

* Vedi, per esempio, Eibl-Eibesfeldt, 2001; Chiarelli, 1983; Wilson, 1975.

140
IL CULTO DELLA PERSONALITÀ

di Falcone Lucifero e Paolo Bonaiuti nel ruolo di gran Ciambellano.


Proprio il Re che governa secondo i sondaggi, cioè il Cavaliere (l'ultimo che ha
in tasca, commissionato a Datamedia, indica che il 73,7% degli italiani è favo-
revole al ritorno dei Savoia in Italia), benedice il ritorno dell’altro Re, quello
blasonato: “La maggioranza dei concittadini vuole porre fine a questo esilio
che non ha più giustificazione". Non poteva essere altrimenti. In fondo l’idea
di rispolverare la vecchia favola reale non può non far piacere al Cavaliere che
interpreta, a suo modo, un’altra favola che come l’altra spopola sui rotocalchi
e in TV. LItalia di oggi affamata di leader si esalta in questi sogni e magari
invidia l’Inghilterra che si appassiona ai flirt del principino William e agli scan-
dali del fratello Harry. E chi non ha un capo, un leader, magari un Re da sogna-
re, come la sinistra, se ne lamenta: Nanni Moretti insegna.
Inutile nasconderselo, tramontate le ideologie è tornato l'insidioso fascino del
capo. “La sinistra non se ne rende conto - spiega Beppe Pisanu - ma se qual-
cuno promuove il referendum sul ritorno dei Savoia, mette le basi per la nasci-
ta di un nuovo partito monarchico. Un ritorno del Re? Non ne abbiamo biso-
gno. Guardate Berlusconi, lui governa una maggioranza che è plasmata sulla
sua persona, sulla sua immagine di capo. Tanto che, secondo me, è impossibi-
le immaginare qualcuno che gli succeda. Anzi, se la sinistra fosse capace, se
avesse la stessa perizia di quella di un tempo, organizzerebbe un colpo di mano
per mandarlo al Quirinale e lasciarci senza capo. Scherzo, ma quella è l’unica
ipotesi che può salvarli, che può rimettere in moto tutto, di lì può passare -
dico per ipotesi - anche il ritorno a una legge elettorale proporzionale”. Eh già,
il Cavaliere al Quirinale, magari con il nome di Silvio primo.
Del resto tra i seguaci del Premier non sono pochi quelli che hanno un passa-
to monarchico. Tajani, il fedelissimo di sempre, se ne è sempre vantato e Gior-
gio Lainati, portavoce dei deputati azzurri, lo confessa oggi: “Io sono stato
monarchico da giovane. Mi è sempre piaciuto il carattere di Umberto II e di
Maria Josè, gli attuali reali invece lasciano a desiderare”. Non potrebbe pen-
sarla diversamente Lainati per non commettere un delitto di lesa maestà con-
tro il suo attuale Re. Ma nel Polo c'è chi non sottovaluta l’ipotesi che Vittorio
Emanuele tornato in Italia si cimenti nella politica. E se non fosse lui, potreb-
be essere l’erede al trono, Emanuele Filiberto, a tentare l’avventura. «In que-
sto vuoto di leadership - osserva Teodoro Buontempo - se il giovane principe
si buttasse in politica potrebbe riscuotere un enorme successo. Un paio di
apparizioni su Q u elli che il C a lc io e qualche amore da rotocalco e, oplà, il gioco
è fatto. Questo è un paese che si è innamorato anche di Di Pietro, figuratevi
se non può innamorarsi del suo Re... In fondo, anche Berlusconi è percepito

141
MI CONSENTA

dalla gente come se fosse un monarca. È questo uno degli elementi determi-
nanti del suo successo. Ecco perché il potenziale politico insito nel ritorno dei
reali non va sottovalutato. Berlusconi non può durare in eterno e non ha suc-
cessori. E di là, nell’Ulivo, per come stanno messi, sono pronti ad accogliere
anche loro Emanuele Filiberto.»
Il paradosso di Buontempo calza. In fondo, in un Ulivo targato Veltroni l’ere-
de di Casa Savoia potrebbe tranquillamente starci, magari accanto a Idris, a
Borrelli e a un Daniele Luttazzi a cui qualcuno addebita un passato monarchi-
co. «Quelli - ridacchia Giuseppe Ayala - per evitare che Berlusconi salga al
Quirinale sono capaci di abrogare la Repubblica e far salire al trono Vittorio
Emanuele.»
Ovviamente una battuta, ma non bisogna dimenticare che il mito della sini-
stra europea, Blair, è un convinto difensore delle teste coronate inglesi. E tanto
scherzare sul tema dimostra che nel nostro paese in cui si è visto di tutto e in
cui si è stanchi di tutto può rinascere una voglia di Re. «A essere dei convinti
anti-monarchici siamo rimasti solo noi - si lamenta il capo dei deputati di
Rifondazione, Giordano - l'altra sinistra, quella dell’Ulivo, è capace di tutto.»
In sintesi, adesso che in Italia torna l’ex famiglia reale, il nostro paese non ha
più bisogno di un re. Se non altro perché ce l'ha già, ed è Silvio I d’Arcore.

Come si vede, non sono solo i ricercatori di mercato a parlare, nel caso del
Cavaliere, di vero e proprio “culto della personalità”.

142
Capitolo nono

Quale futuro?

S e le cose stanno come le abbiamo descritte nelle pagine precedenti, se


cioè il presidente del Consiglio è una vera e propria “macchina da
guerra politica” dotata di capacità e “armamenti” nettamente superiori a
quelli degli avversari, cosa sarà della politica italiana negli anni a venire?
Quanto durerà il berlusconismo? Come può l’opposizione costruire una
ragionevole possibilità di alternativa a questo nuovo sistema dominante, o
almeno resistere il più onorevolmente possibile?

La domanda su quanto durerà l’impero del Cavaliere merita uno specifico


approfondimento. Bisogna, infatti, comprendere quelle che potremmo
chiamare le correlazioni fra il Berlusconi imprenditore e il Berlusconi poli-
tico. È probabile che, sia nell’uno sia nell’altro ruolo, proprio per via di tali
correlazioni, il presidente del Consiglio continuerà a essere per molto
tempo un grande protagonista della scena nazionale e internazionale.
Le ragioni della potenziale “eternità” del Cavaliere imprenditore, e di
riflesso del Cavaliere politico, sono chiaramente spiegate in un articolo a
firma di Giuseppe Turani, apparso su La Repubblica del 28 gennaio 2002.
Scrive testualmente, e molto acutamente, Turani:

Mediaset è semplicemente una sorta di macchina infernale per fare denaro. È


costruita con tanta precisione e semplicità che, probabilmente, farà soldi
anche nel 2370, quando nessuno di noi sarà più qui per raccontarlo. La sua
struttura portante è di una semplicità disarmante. Nel senso che quando uno
la guarda pensa che sarebbe facilissimo farne un'altra. Ma poi scopre che non
è vero. Di macchine come questa in un paese ce ne può essere al massimo una,
non di più. Ma come è fatta la macchina Mediaset? Da un lato c’è la pubblici-

143
MI CONSENTA

tà, gli spot. E qui, lira più, lira meno, potete scrivere 2500 milioni di euro o cin-
quemila miliardi di lire. Se c’è crisi si va un po’ giù, se invece la congiuntura e
i consumi tirano si va un po’ più su. Per non sbagliare, segnate cinquemila
miliardi di lire di incassi per pubblicità. E questa è la riga delle entrate. Non ce
ne sono altre. Poi segnatevi la riga delle uscite, grosso modo duemila miliardi,
un miliardo di euro. Sono i soldi che servono per pagare il palinsesto, cioè per
acquistare o produrre tutta la roba che serve per trasmettere, per riempire di
qualcosa il vostro televisore. E, naturalmente, per metterci dentro la pubblici-
tà. Anche qui potete avere qualche variazione in più o in meno, ma grosso
modo la cifra è quella indicata: duemila miliardi. Restano tremila miliardi, un
miliardo e mezzo di euro. Con i quali si pagano i dipendenti (pochissimi), le
spese generali, gli ammortamenti, le tasse, e gli azionisti (per metà costituiti
dalla Fininvest, cioè dalla famiglia Berlusconi). Il risultato finale, che è quello
più interessante, è che prima delle imposte Mediaset snocciola un profitto
intorno ai 650 milioni di euro, cioè circa 1300 miliardi di lire. Poiché ne aveva
tremila da parte (pubblicità meno spese per il palinsesto), questo significa che
ne ha usati 1600-1700 (di miliardi) per pagare tutto il resto. T E alla fine si arri-
va all’utile vero, quello di esclusiva competenza degli azionisti. Si tratta, gros-
so modo, di una cifra che oscilla ossessivamente sopra i 400 milioni di euro,
cioè intorno agli 800 miliardi di lire.
La macchina, come si vede, è assolutamente perfetta. E il segreto sta nella
capacità di spendere solo duemila miliardi per costruire il palinsesto di una TV
che poi ne porta a casa cinquemila di pubblicità. Certo, è anche una TV che
magari non soddisfa molto certi palati. I Tg non hanno nemmeno un corri-
spondente dall’estero, tutto è fatto un po’ in famiglia (in genere quella di Mau-
rizio Costanzo, che occupa ore e ore del famoso palinsesto), si abbonda solo
nelle ragazze in costume (tanto costano pochissimo), le repliche e le proiezio-
ni di vecchi serial occupano forse anche un terzo del palinsesto, ma che cosa
importa? Gli ascolti sono comunque buoni e garantiscono appunto l’arrivo di
quei famosi cinquemila miliardi di pubblicità...
Gli unici difetti che si riesce a vedere in questa macchina sono: la macchina
stessa e Silvio Berlusconi. Perché la macchina sia un difetto è evidente. È tal-
mente perfetta, redditizia, facile da usare, che chi ha voglia di cambiarla?
Mediaset, insomma, ha un po’ la tendenza a sedersi su Mediaset. Perché è una
specie di pozzo petrolifero che ogni ora spinge fuori denaro (più di due miliar-
di al giorno di utili). Meno evidente perché Berlusconi sia un difetto, visto che
tra l’altro, oltre a esserne il proprietario, è anche l’inventore e il costruttore di
una simile macchina. Eppure oggi il Cavaliere è un difetto, è un ostacolo...

144
QUALE FUTURO?

Visto il mestiere che fa, è evidente che qualsiasi espansione di Mediaset all’e-
stero, in altri paesi, acquisterebbe subito una valenza politica*... E quindi
Mediaset, ammesso che abbia davvero voglia di crescere in Europa, deve muo-
versi con prudenza e stando ben attenta a non sollevare troppi polveroni. Si
consoli, Mediaset, contando giorno dopo giorno i soldi che guadagna in Italia
e in Spagna, che sono tanti. E si consola anche sapendo che questa specie di
pioggia d’oro, di denaro, non finirà m ai...

LIarticolo di Turani è davvero illuminante sulla reale potenza finanziaria


del sistema berlusconiano, e ci fa capire che esiste una specie di “pompa
economica” capace di produrre centinaia di milioni di euro di utili all’an-
no, e quindi di alimentare virtualmente all’infinito non solo le ambizioni
di espansione imprenditoriale del Cavaliere, ma anche, inevitabilmente, le
sue ambizioni politiche.

Fa pure capire due cose importanti: la centralità di Publitalia come model-


lo sia gestionale sia di organizzazione politica (almeno nella fase iniziale di
crescita di Forza Italia), dato che il vero motore, la “trivella” del pozzo
petrolifero della macchina Mediaset, è la vendita degli spazi pubblicitari;
e poi la ragione della gratitudine del presidente del Consiglio verso Betti-
no Craxi (che, con il famoso “decreto Berlusconi”, ha posto le basi affin-
ché il “pozzo petrolifero” che l’Uomo di Arcore aveva impiantato rima-
nesse saldamente nelle sue mani).
Insomma, sino a che rimarrà concessionario dello sfruttamento del
“pozzo”, il Premier vedrà moltiplicarsi di anno in anno il “serbatoio mone-
tario” al quale attingere per finanziare i suoi progetti. Di conseguenza, anche
l’unicità politica, e perciò il ruolo dominante, del Cavaliere, dureranno nel
tempo, poiché egli potrà essere indefinitamente l’unico uomo politico italia-
no capace di autofinanziarsi in misura praticamente illimitata.

La mia personale idea è dunque che il berlusconismo, se le forze che gli si


oppongono non avranno il coraggio di allearsi seriamente assieme e di
“allevare” o perfezionare nel più breve tempo possibile un nuovo leader
dotato di pieni poteri e di idee, entusiasmo, cultura, proposte alternative

* La riprova di queste osservazioni di Turani è avvenuta rapidamente, con la crisi del grup-
po Kirsch e le dichiarazioni del capo del governo tedesco sulla improponibilità di un’e-
spansione televisiva betlusconiana in Germania.

145
MI CONSENTA

valide per la gente, durerà da dodici a diciassette anni, longevità di Silvio


Berlusconi permettendo. Una o due legislature col Cavaliere presidente
del Consiglio, nell’ambito delle quali completare come detto una riforma
in senso presidenzialista dello Stato italiano, e sette anni con Silvio Ber-
lusconi primo presidente della neotrasformata Repubblica (presidenziali-
sta) italiana.
Ecco perché ho affermato, all’inizio del volume, che dovremo abituarci
ad avere per molti anni l’Uomo di Arcore come leader politico assoluto.
Se l’opposizione non troverà la forza di compattarsi e rianimarsi sia in Par-
lamento sia all’esterno, nella società, chi non si riconosce nel messaggio
berlusconiano dovrà fare lunghi anni di “resistenza umana”, per dirla col
linguaggio di Cuore.
In fondo la cosa è più facile di quel che può sembrare. Il segreto è pren-
dere sul serio le parole di Berlusconi che sembrano finte, e non prendere troppo
sul serio le parole di Berlusconi che sembrano vere. Perché il berlusconismo
vive di affabulazione, di rimando continuo (gioco degli specchi) fra appa-
renza e realtà. Di solito, invece, la gente fa l’opposto con il Cavaliere:
prende troppo sul serio cose apparenti e per niente sul serio cose sostan-
ziali. Come è appunto il caso di Una storia italiana.

Viceversa la maggior parte delle volte si prendono troppo sul serio le ester-
nazioni del Premier, che assai frequentemente hanno una funzione volu-
tamente provocatoria, di innesco della schismogenesi. Per esempio, quando
il Cavaliere dice che considera Rutelli un semplice portavoce e non un
vero leader, tende in realtà un tranello comunicativo. Sa di fare una for-
zatura, e la fa apposta per suscitare “ira” nella controparte. Per invitare alla
“demonizzazione”, e poterla poi ribaltare come accusa sugli avversari.
Quando fa dire ai suoi ministri che il centro-sinistra ha lasciato in ere-
dità al paese e al Governo un buco finanziario immenso, sa di fare una for-
zatura e la fa apposta per provocare una reazione. Quando dice che la scel-
ta di Genova per il G8 è stata sbagliata, sa di fare una forzatura (Dio solo
sa, per esempio, perché mai Genova avrebbe dovuto essere più difficile da
gestire e controllare di Napoli o Roma, di Firenze o Palermo, in relazione
a un grande evento mediatico internazionale). La fa volutamente, per
innescare uno pseudo-conflitto e spiazzare gli avversari indirizzando le
loro energie verso un falso obiettivo.
Il segreto per “sopravvivere” al berlusconismo è di essere altrettanto
paradossali di Silvio Berlusconi, è di elogiare la follia proprio come fa lui:

146
QUALE FUTURO?

se mi dici una cosa “folle” ti credo, ti prendo sul serio, se mi dici una cosa
“normale” ti lascio perdere; per esempio, se mi dici che in fondo in fondo
ti reputi un Demiurgo ti credo e parto dal presupposto che ti comporterai
di conseguenza. Se mi dici che il centro-sinistra ha lasciato un buco
immenso ti rispondo: «Beh, chi se ne frega, se proprio ne sei convinto vai
pure a dirlo in giro, noi diremo esattamente il contrario!».
Lo so che è difficile ragionare così, ma è l’unico modo di neutralizzare
l’incantesimo comunicativo del Cavaliere. Che, al libro di Erasmo da Rot-
terdam, ci crede veramente. Del resto, venticinque anni fa, chi se non un
folle nel senso di Erasmo avrebbe detto che, venticinque anni dopo, in Ita-
lia avremmo avuto un partito di nome Forza Italia al posto della Demo-
crazia Cristiana, un imprenditore edile-televisivo come presidente del
Consiglio, la cantante Ombretta Colli presidente della più importante
provincia italiana, il televenditore Cesare Cadeo assessore alla medesima
provincia, la Farnesina trasformata in agenzia di promozione del commer-
cio, i Savoia in procinto di tornare in Italia, una parente stretta di Benito
Mussolini deputato di maggioranza, il focoso critico d’arte Vittorio Sgarbi
sottosegretario ai Beni Culturali, l’ex-separatista Umberto Bossi ministro
della Repubblica, e chi più ne ha più ne metta, di situazioni “folli”, se viste
dall’angolo di osservazione di venticinque anni fa...

Già, ma cosa farà nei prossimi mesi e anni proprio lui, il Cavaliere-Pre-
mier? Che cosa ha in mente di fare, che cosa vuole davvero realizzare? Se
le mie idee sulla psicologia del leader sono giuste, ne possiamo ricavare
alcune previsioni:

1. Egli vuole davvero trasformare l'Italia, e più precisamente la vuole far


diventare una repubblica presidenziale alla francese, di cui essere il
primo e indimenticato Presidente. Un uomo come lui non cessa mai di
porsi obiettivi, e ogni volta il nuovo obiettivo deve essere più elevato
del precedente.
2. Per fare questo ha bisogno di tempo, e infatti ha già parlato della neces-
sità di rimanere in carica come presidente del Consiglio per due legis-
lature, ossia per dieci anni; nel frattempo deve sviare l’attenzione degli
elettori dalle promesse più difficili da realizzare, e cercare da subito un
capro espiatorio per eventuali non raggiungimenti di obiettivi promessi.
E andata in questo senso la querelle, annunciata dal ministro dell’Eco-
nomia Giulio Tremonti, circa il “buco” nei conti pubblici lasciato in

147
MI CONSENTA

eredità dal precedente governo Amato; nella stessa direzione sono


andate le polemiche sugli incidenti al G8 di Genova e quelle sulle
dimissioni di Renato Ruggiero: tutti eventi che Berlusconi ha giocato,
e giocherà ancora di più in futuro, come prove dell’esistenza di un’invi-
sibile “Spectre comunista”, ramificata su scala internazionale, che
avrebbe come principale obiettivo proprio quello di mettergli costante-
mente i bastoni fra le ruote impedendogli di lavorare come vorrebbe.
Del resto, già nel 1994 il Cavaliere utilizzò efficacemente la tecnica del
«non mi lasciano lavorare» per uscire sul piano comunicativo dall’im-
passe in cui si era arenata l’azione di governo.
3. Siccome però fare marcia indietro è sempre un po’ sgradevole, l’Uomo
di Arcore non si esporrà di certo in prima persona in questo spiacevole
compito. Manderà perciò avanti alcuni dei suoi mastini da combattimen-
to, tra cui proprio il ministro Tremonti, buon tecnico ma talmente “sco-
lastico” e freddo nella comunicazione da essere in grado di portare
avanti qualunque discorso “scomodo” senza subirne sostanziali danni
d’immagine (anche perché ha un’immagine personale appunto all’inse-
gna della freddezza e del tecnicismo esasperato). In generale, Berlusco-
ni cercherà il più possibile di far giocare i ruoli scomodi alle personalità
più “aggressive” che ha nel suo entourage.
4. Poiché sa che le parole volano mentre le pietre rimangono, il Cavaliere
darà effettivo impulso alla costruzione di nuove grandi infrastrutture nel
nostro paese; basterà la realizzazione del solo ponte sullo Stretto di Mes-
sina per colpire profondamente l’immaginario collettivo e dare la sensa-
zione di aver «cambiato il paese». C ’è da scommettere che sul ponte
dello Stretto fioriranno, prima, durante e dopo la costruzione, special
televisivi, serie di fiction, film, inchieste giornalistiche, e via dicendo.
Mentre il pubblico seguirà l’epopea dello storico ponte, egli potrà con
calma concentrarsi sul vero lavoro che gli interessa, cioè la modifica in
senso presidenzialista dell’architettura costituzionale italiana.
5. Sul fronte interno, il Cavaliere manterrà saldamente la leadership del
suo schieramento mentre su quello esterno si guarderà bene dal rico-
noscere, nello schieramento avversario, un leader. La negazione del
diritto più che legittimo di Francesco Rutelli di essere accettato da Ber-
lusconi proprio come il leader (più o meno duraturo, più o meno tem-
poraneo) del centro-sinistra rientra nella strategia generale di lasciare
acefalo il fronte opposto, impedendone il ricompattamento di immagine
sotto la guida di un’unica, e ben precisa, personalità politica.

148
QUALE FUTURO?

6. Se la campagna elettorale è principalmente comunicazione, la gestione


del potere è anche manipolazione del consenso attraverso l’ascolto. In
campagna elettorale il Premier aveva bisogno di “gridare”, adesso ha
necessità di conoscere istante per istante l’andamento dell’opinione
pubblica nei suoi atteggiamenti di fondo; per questa ragione sicura-
mente Berlusconi incrementerà le attività di rilevazione dell’opinione
pubblica, ma lo farà senza dare troppo nell’occhio. Con tutta probabili-
tà cercherà di costituire un polo esterno di ricerca di grandi dimensio-
ni, diciamo la versione privata dell’Istituto Nazionale dell’Opinione
Pubblica voluto dalla Casa Bianca. A poco a poco spingerà anche verso
l’utilizzo del voto elettronico. Non mancheranno ricerche molto riser-
vate se non addirittura segrete che, se dovessero trapelare, verranno
puntualmente “negate” e bollate come “propaganda denigratoria” degli
avversari. E per questa ragione che il Cavaliere ha bisogno di un polo
esterno controllato di fatto ma formalmente indipendente.
7. Tenendo conto che il principale movente della sua discesa in campo in
politica non è solo, come sostengono i suoi avversari, la tutela dei pro-
pri interessi, bensì anche l’assunzione del ruolo di Genitore Salvatore agli
occhi dei cittadini, dopo gli eccessi schismogenetici della campagna
elettorale Berlusconi si orienterà verso l’applicazione del principio del-
l’optimum paretiano, ossia tenterà di accontentare il maggior numero
possibile di persone, ricorrendo solo in casi molto “mirati” al conflitto
esplicito (come sembra essere quello con i sindacati, ai fini del cambia-
mento di scenario nel mercato del lavoro). Prepariamoci, insomma, a
vedere un Cavaliere in versione pseudo-democristiana, almeno formal-
mente pronto a mediare, a sentire le ragioni di tutti. In realtà, egli tire-
rà dritto per la sua strada e perseguirà il più a fondo possibile il suo pro-
getto di mutagenesi dello Stato, ma nella forma lo farà attraverso il mag-
giore utilizzo possibile della “diplomazia apparente”. Egli vuole, come e
più della maggioranza degli esseri umani, sentirsi dire “grazie”, apparire
come il realizzatore di sogni, il Taumaturgo, il Salvatore della collettivi-
tà; per questo cercherà di trasformare ogni situazione in un successo
suo e del governo. Non radicalizzerà troppo i conflitti, ma provocherà
una adeguata e costante dose di conflitto, come per suscitare la paura di
qualcosa di negativo e dimostrare poi che il pericolo è stato sventato
grazie alla sua abilità.
8. In economia il Cavaliere stimolerà certamente l’iniziativa privata e
l’impresa, ma senza adottare una politica davvero penalizzante per le

149
MI CONSENTA

fasce più deboli, perché altrimenti violerebbe il principio dell’optimum


paretiano. Naturalmente, per dare un colpo al cerchio e un colpo alla
botte, egli dovrà poter sforare rispetto a determinati vincoli di bilancio;
attendiamoci allora alcuni colpi di scena (qualche volta negativi, qual-
che volta positivi) sui conti dello Stato, non solo per screditare i gover-
ni precedenti e per mettere le mani avanti sul non raggiungimento di
alcuni obiettivi, ma anche perché il populismo berlusconiano è neces-
sariamente keynesiano in economia.
Il Cavaliere vuole fare girare la maggior quantità possibile di soldi, non
praticare un rigido «misticismo di bilancio». Eimpresa vincente per lui
non è quella senza debiti ma, proprio al contrario, è quella che si inde-
bita costruttivamente per continuare a crescere all’infinito. Gli even-
tuali sforamenti rispetto ai vincoli, e le misure successive, saranno
gestiti col Cavaliere nel ruolo di chi è costretto a certe decisioni nel-
l’interesse del popolo, e la parte sgradevole del lavoro verrà affidata ai
“mastini da combattimento”.
9. Uunico punto su cui Berlusconi faticherà davvero a essere democri-
stiano è il rapporto con le parti sociali. Fa parte del DNA del Cavalie-
re il fatto di proporsi come super-interlocutore in qualunque vicenda.
Dare lo spazio tradizionalmente riservato a ciò alle consultazioni con
gli esponenti di sindacati e altre associazioni o parti sociali sarebbe uno
smacco per il Premier, perché significherebbe essere un semplice primus
inter pares. Berlusconi incarna il simbolismo del Sovrano, dell'Impera-
tore: concedere udienza è un conto, mettersi al pari degli altri è un
altro. Periodicamente ci saranno quindi gaffe in materia di “rapporti
formali di potere” fra la presidenza del Consiglio e, appunto, rappre-
sentanti delle parti sociali.
10. Infine, un’altra categoria che farà eccezione all’ecumenismo imperiale
berlusconiano è quella degli alti funzionari dello Stato, i grand commis.
Si tratta di figure poco visibili ma con molto potere, in grado di mette-
re degli effettivi «bastoni tra le ruote» all’implacabile macchina del
“presidenzialismo” in azione. Una specie di casta dei mandarini contro
cui sarà inevitabile per il Cavaliere fare un po' di propaganda (mai
diretta, mai troppo riconoscibile, preferibilmente supportata da son-
daggi che esprimono il disagio della gente nei confronti deU’inefficien-
za e dell’attaccamento al potere di questi “mandarini”). Una prima
avvisaglia di azione in tale direzione si è avuta con l’assunzione del-
l’interim degli Esteri e l’annunciata rivoluzione della Farnesina.

ISO
QUALE FUTURO?

Più o meno, queste dovrebbero essere le mosse future del nuovo presi-
dente del Consiglio. Che, come detto, cercherà soprattutto di ottenere
una serie di “grazie”. Difficilmente lo vedremo assumere direttamente il
ruolo del «cattivo della situazione». All’interno del suo “esercito” molte
sono le figure pronte a far questo per lui. Berlusconi starà dietro le quin-
te, vigilerà sui suoi ministri. Perdonandone le intemperanze, le eventuali
cadute di stile, gli occasionali scatti di aggressività. In fondo, sono uomini
anche loro...

Quello esposto è lo scenario previsionale rebus sic stantibus, cioè ipotizzan-


do che non avvengano particolari “fenomeni caotici” nei prossimi anni.
Tuttavia, è possibile formulare anche uno scenario previsionale diverso,
nel caso in cui il presidente del Consiglio dovesse affrontare una seria con-
giuntura negativa: per esempio, una crisi economica oppure un inaspri-
mento dei rapporti con le fasce estreme dei suoi oppositori (e per certi
versi gli episodi G8 e “caso Ruggiero” sono andati proprio in questa dire-
zione) .
Se il gioco si facesse “duro”, come reagirebbe il Cavaliere? La mia idea
è che applicherebbe in massimo grado il principio della schismogenesi,
ricreando l’archetipo del Nemico Assoluto contro cui cercare di catalizzare
l’opinione pubblica. Avremmo, cioè, un Silvio Berlusconi non in versione
democristiana ma in versione “Alleanza Nazionale”, proteso a convincere
l’opinione pubblica dell'esistenza in Italia di frange terroristiche da com-
battere se necessario anche con mezzi eccezionali.
E infatti, con l’entrata in guerra dell’Italia a fianco degli Stati Uniti e di
altri paesi, a seguito dei tragici fatti dell’11 settembre 2001, e con lo scon-
tro con i sindacati lo stile berlusconiano si è fatto di colpo più rigido, più
duro, più intransigente. In una parola, potremmo quasi dire più “missino”
(o se si preferisce, più “alla Bush”).

151
Conclusioni

erché ha vinto Silvio Berlusconi? Su un piano più razionale, superfi-


P ciale, ha vinto perché la sua coalizione ha definito molto chiaramente
il proprio ruolo, la funzione che avrebbe ricoperto nei confronti delle altre
forze politiche, gli obiettivi politici, sociali ed economici, lo stile di gover-
no. Ha vinto perché ha capito esattamente chi avrebbe votato la Casa
delle Libertà e ha indirizzato al target messaggi costruiti scientificamente.
Ha vinto perché la sua coalizione si è mostrata coesa, con un capo unico
e autorevole, quasi con “mansioni specifiche” per ciascun partito dentro la
coalizione (pur perseguendo l’obiettivo comune di portare avanti il
“nuovo”, contro il “vecchio” rappresentato dai partiti di centro-sinistra):
AN e FI che “bloccano” i comunisti, la Lega che si occupa di federalismo
e devolution, AN che fa da garante dell’unità dello Stato e della tutela
sociale del Mezzogiorno e delle fasce deboli, FI che cura le ragioni e gli
interessi della nuova classe media e di chi vuole uno stato più leggero e più
moderno, il Biancofiore che si erige a nume tutelare dei valori religiosi*.

Una parte significativa del paese esprime da tempo un bisogno di cambia-


mento nel linguaggio e nei contenuti della politica: la Casa delle Libertà
ha colto e interpretato efficacemente questo bisogno (Catellani, 1997).
Anche radicalizzando i toni, semplificando i termini della contesa secon-
do un modello nettamente bipolare (destra contro sinistra, buoni contro
cattivi, colti contro ignoranti, belli contro brutti e così via) e, soprattutto,
sottolineando il valore aggiunto costituito da una leadership forte e cari-
smatica.

* Si veda nuovamente Weber, 1996.

153
MI CONSENTA

Anche utilizzando una strategia comunicativa d’attacco, basata sul


continuo lancio e richiamo di parole d’ordine e immagini guida: dal look
berlusconiano rigorosamente fisso e immutabile, proprio come nella tradi-
zione della rappresentazione iconica sacra, al vero e proprio martellamen-
to comunicazionale, in tutte le forme, sulla grandezza del leader, sulla sua
capacità di “risolutore di problemi”, sulle sue abissali differenze rispetto ai
politici tradizionali, sul suo coraggio di contrapporsi in maniera vincente
alle nefandezze passate, presenti e future della sinistra e così via.
In aggiunta a ciò, la Casa delle Libertà ha vinto per la frammentazione
e la litigiosità dello schieramento avversario e per la non piena credibilità
di Francesco Rutelli (che comunque ha ottenuto alla fine un risultato più
che onorevole) come leader nazionale nonché come vero avversario,
unico, condiviso e “forte”, del Cavaliere (e questa provocatoria posizione
berlusconiana col passare del tempo ha attecchito anche a sinistra, alme-
no a giudicare dalla querelle sorta a febbraio 2002 proprio sulla leadership
di Rutelli).
Il tutto, in un quadro socioeconomico nazionale profondamente muta-
to rispetto a dieci o quindici anni fa*. LItalia di oggi è un paese netta-
mente diverso da quello in cui le forze di sinistra hanno avuto il loro mas-
simo sviluppo.
Tante cose sono cambiate nell’economia, nella società e quindi anche
nella politica. Siamo molto più ricchi di un quindicennio fa. Il mercato del
lavoro è radicalmente diverso: gli operai sono sempre meno numerosi,
mentre è aumentato a dismisura il numero dei piccoli e piccolissimi
imprenditori (il cosiddetto “popolo della partita IVA”, teorizzato proprio
dall’attuale ministro dell’Economia Tremonti). Siamo più alti di statura, e
più colti. Consumiamo molto di più, e con maggiore consapevolezza. Non
crediamo più nelle macro-istituzioni e preferiamo chiuderci nella rassicu-
rante protezione della famiglia. Siamo assai più individualisti di un tempo,
e abbiamo preso coscienza delle grandi differenze che caratterizzano le sin-
gole zone d’Italia l’una rispetto all’altra.
Non ci sentiamo più rappresentati da nessuno e vogliamo semplice-
mente maggiore libertà dazione, soprattutto negli affari.
Siamo diventati un paese disilluso, in cui l’obiettivo di ciascuno è di
vivere il meglio possibile, magari senza forti valori in cui credere ma con
un ragguardevole tenore di vita da difendere. Eimpresa è diventata il

* Si vedano al riguardo i Rapporti Annuali Censis del 1996, 1997, 1998, 1999, 2000.

154
CONCLUSIONI

modello di gestione delle cose, e l’imprenditore il nuovo personaggio


“trendy”, l’idolo da imitare. Insomma, il substrato degli atteggiamenti
maggiormente diffusi nella popolazione era ed è tuttora molto più ricetti-
vo nei confronti del messaggio trionfale berlusconiano che delle opache
“predicazioni” della sinistra*.

Certo, la Casa delle Libertà ha vinto per tutte queste ragioni. Ma non solo
per queste. Ha vinto anche, a mio parere, perché a un livello più profon-
do il Cavaliere ha fatto risuonare nell’immaginario collettivo italiano
archetipi, simboli, immagini, molto forti emotivamente.
Innanzitutto, ha evocato il mito del Superuomo, del leader etologica-
mente forte, del Cesare dei tempi moderni.
LItalia ha una lunghissima tradizione storica di fascino nei confronti
dell’Uomo con gli Attributi, appunto da Cesare in poi, dalla trasformazio-
ne di Roma repubblicana in Roma imperiale. E in associazione al primo
mito, ha evocato anche quello del Sovrano, del Re Sole dagli infiniti
mezzi. Finendo per “posizionarsi” nell’immaginario collettivo nazionale
come una sorta di Re Superuomo. Una combinazione assolutamente tra-
volgente di soldi e di potere, di carisma personale e di invincibilità, di
“codice maschile” (il combattente che vince sempre) e di “codice femmi-
nile” (il figlio buono che porta le meringhe, la domenica a pranzo, alla
mamma dopo essere stato a messa).
Il Re Superuomo che diventerà il primo Imperatore dell’Italia post-indu-
striale, una volta che questa sarà stata trasformata in una repubblica pre-
sidenziale. Un Imperatore sul modello dei Re Celtici, che erano eletti dai
nobili fra i rappresentanti della classe militare, ma sotto il controllo e l’a-
vallo religioso dei Druidi. Guerriero per origini e per ruolo, il Re Celtico era
affine al sacerdote e aveva come colore simbolico il bianco (ricordate le
foto di Berlusconi vestito di bianco?). Non combatteva, ma la sua presen-
za era necessaria (e, infatti, un proverbio irlandese recita ancora: «Non si
vince una battaglia senza il Re»).
Il suo ruolo essenziale non era propriamente militare, bensì quello di
assicurare la prosperità dei sudditi (ricordate il discorso della “discesa in
campo”?). Al Re Celtico pervenivano le imposte e i tributi, ed egli le ridi-

* E a cercare di stimolare la società ad assumere atteggiamenti più orientati a valori pro-


fondi ha provveduto con ammirevole buona intenzione Francesco Alberoni (1993; 1994;
1998).

155
MI CONSENTA

stribuiva in donazioni e benefici. La sua funzione principale era quella di-


stributiva (ricordate l’ipotesi dell’approccio keynesiano al bilancio dello
Stato?). E, infatti, “cattivo Re” era colui che riceveva le imposte ma non
concedeva alcun corrispettivo (e sotto un tale Re leggenda vuole che la
fecondità della terra, delle piante e degli animali scomparisse completa'
mente: ricordate la descrizione berlusconiana dei comunisti?).
Nelle leggende sui Re Celtici spesso vi è un usurpatore cui si richiede la
restituzione del trono e il cui regno finisce di solito molto male (e nella
nostra metafora si tratta dei governi dei “comunisti” D’Alema e Amato).
Solo quando al posto dell’usurpatore arriva un Re Buono l’ordine natura-
le delle cose è ripristinato e la terra può essere nuovamente fecondata. L’I-
talia ha finalmente il suo “Re Buono”, il ciclo della negatività è stato spez-
zato.

Se Silvio Berlusconi ha vinto, è anche perché il Bambino di milioni di ita-


liani ha scommesso su questa “favola metaforica”, resa credibile dall’in-
credibile curriculum imprenditoriale del Cavaliere. Come ha fatto il lea-
der della Casa delle Libertà ad attivare il “bambino” che è in noi? Dicia-
mo che ha sfruttato abilmente alcuni meccanismi propri della mente
umana (descritti molto bene da Laura Frontori nel già citato libro II mer-
cato dei segni: consumi e comunicazione pubblicitaria). Secondo Frontori, è
nella natura stessa della pubblicità di collocarsi tra quei fenomeni comu-
nicativi in cui l’esperienza della mente vigile si caratterizza per l’alternarsi
di percorsi «centrati sulla realtà» e di percorsi «centrati sulla dimensione
onirica». In questo senso, la pubblicità è una tecnica più di persuasione
che di informazione. La magia della pubblicità, la sua capacità di parlarci
come se stessimo sognando, scaturisce dalle condizioni stesse di fruizione
del mezzo televisivo. Scrive testualmente Frontori:

Le persone si abbandonano alla televisione proprio in quelle situazioni quoti-


diane che rimandano agli stati crepuscolari... ascoltano la radio e la televisio-
ne in uno stato di suggestionabilità connesso al fatto che le persone stesse sono
presenti soltanto a metà... la trasmissione finisce per costituire un polo ipno-
tico... per l’uomo e/o la donna che la sera, stanchi della giornata, si siedono
comodamente davanti al televisore, questa consuetudine rappresenta spesso
un rituale di passaggio dalla veglia al sonno... in questo contesto ipnoide, in
cui si crea un vuoto di coscienza che lascia “libero il trono” alla prima rappre-
sentazione che capita, la comunicazione pubblicitaria sembra imporsi come

156
CONCLUSIONI

“rappresentazione suggerita” proprio grazie alla marcata seduttività del suo


tono...

Una prova che la fruizione di un messaggio pubblicitario avviene in uno


“stato crepuscolare” in cui la capacità critica della mente è fortemente
attenuata è riscontrata da Frontori nella spiccata insensibilità alla incon-
gruenza nei comunicati pubblicitari. Fu eseguito nell’ormai lontano 1971
un esperimento basato sulla somministrazione di una sequenza di cinque
radiocomunicati, riferiti tutti a prodotti di fantasia e incisi su nastro
magnetico da una voce di donna. La sequenza venne preparata in due ver-
sioni, ciascuna delle quali era portatrice di un’incongruenza nel secondo
radiocomunicato. Ebbene, l’incongruenza sfuggì al 50% dei soggetti per
una delle due versioni, e all’80% per l’altra versione. Giustamente Fron-
tori ne deduce una tendenza alla ricezione acritica dei messaggi, sostenen-
do che in pubblicità gli aspetti di relazione tendono a prevalere su quelli
di contenuto.
Nel linguaggio della pubblicità, e nel modo in cui lo decifriamo, preva-
le la componente onirica. Tutto questo è stato scritto e argomentato da
Frontori nel 1986, molto prima che nascesse Forza Italia e appena agli
albori del fenomeno-Cavaliere. E Frontori scrisse da ricercatrice di mer-
cato, non da contestatrice del sistema. Se vogliamo capire come ha fatto
Berlusconi ad attivare l'archetipo del “bambino” in milioni di italiani, dob-
biamo tenere bene a mente i concetti di stato crepuscolare e fruizione oni-
roide. Quando guardiamo la pubblicità non lo facciamo con l’occhio della
mente critica, ma con quello molto più indulgente della “mente sognan-
te”. Il Cavaliere (che del resto aveva dedicato alla pubblicità la sua tesi di
laurea) è stato il primo a sfruttare a suo vantaggio in politica questo mec-
canismo. Bisogna esserne pienamente consapevoli, e ricordare l’invito di
Frontori a capire:

La disponibilità consumistica degli oggetti non è in sé né buona né cattiva. Ci


sembra di poter dire che quello dei consumi è un linguaggio che va imparato
come ogni altro linguaggio e che solo attraverso il parlarlo i consumatori ne
diverranno padroni... Cevoluzione professionale dei tecnici pubblicitari farà
sempre di più della pubblicità una manifestazione di cultura a pieno titolo, che
investirà molti settori della vita pubblica, oltre quello dei consumi...

«Investirà molti settori della vita pubblica»: le parole di Frontoni sono

157
MI CONSENTA

state veramente profetiche. Otto anni dopo la pubblicazione del suo libro,
Silvio Berlusconi è sceso in politica e ha utilizzato il linguaggio della pub-
blicità per parlare ai cittadini di politica. Per padroneggiare questo lin-
guaggio dobbiamo, appunto, analizzarlo e capirlo. O ci si rende conto che
le cose stanno così, senza disprezzare né criticare, e si cerca di creare una
valida alternativa anche e soprattutto sul piano dei simbolismi sottostanti
(e della loro credibilità), o non solo tutti «moriremo berlusconiani», ma
può darsi che anche i nostri figli e nipoti muoiano berlusconiani.
Sabato 2 febbraio, l’attore e regista Nanni Moretti, intervenendo fuori
programma a una manifestazione di piazza dell’Ulivo a Roma, organizzata
da Massimo D’Alema, Piero Fassino e Francesco Rutelli sul tema della giu-
stizia, ha detto che se il centro-sinistra non cambia i leader è destinato a
perdere non per una o due elezioni di fila, ma addirittura per due o tre
generazioni. Moretti è uno che di comunicazione, comunque, se ne inten-
de. Sia pure da angoli visuali diversi, il suo intervento e le conclusioni di
questo libro coincidono notevolmente.

Eanalisi semiologica della comunicazione berlusconiana, a partire da Una


storia italiana e proseguendo per tutte le successive manifestazioni, porta a
pensare che il successo dell’Uomo di Arcore trovi il suo fondamento pro-
fondo nella capacità di Silvio Berlusconi di accedere direttamente ai codi-
ci emotivi dell’inconscio collettivo. Lui, a differenza degli altri, riesce a
oltrepassare i filtri e gli schemi mentali di elaborazione “razionale” della
realtà e si rivolge senza mediazioni al nostro inconscio, al “bambino” che
è in noi. Lo fa adoperando sapientemente il mezzo televisivo, che in se
stesso possiede un certo potere “ipnotico”, e utilizzando massicciamente
gli strumenti della manipolazione semantica della realtà, dell’affabulazio-
ne e dell’edulcorazione narrativa degli eventi.
Nel corso del testo abbiamo esaminato diversi esempi di impiego com-
binato dei citati meccanismi (affabulazione, ossia racconto favolistico
della realtà; edulcorazione, ovvero trasformazione in positivo di un fatto o
elemento anche negativo; manipolazione semantica, cioè alterazione del
dato reale per fornire una versione a se stessi favorevole).
A questo punto anche il lettore più scettico dovrebbe ammettere che il
modo in cui il presidente del Consiglio comunica ha veramente il fascino
dell’illusionismo semantico. E, piaccia o no, questo è uno dei suoi maggiori
fattori di successo, perché l’elettorato italiano non solo non lo rigetta ma
mostra anzi di accettarlo volentieri, di “stare al gioco”.

158
CONCLUSIONI

Quando il Cavaliere afferma che la legittimazione del suo potere deri-


va dal mandato popolare, egli ha perfettamente ragione. Ciò non di meno,
si profilano aU’orizzonte alcuni effettivi pericoli per la democrazia e la
libertà in Italia, nell'ipotesi che il berlusconismo sia un sistema di potere
destinato a durare per parecchi anni.

La domanda di fondo da porsi è, infatti, a mio parere la seguente: che cosa


vuol dire “libertà” oggi, in una società dominata, per volontà della stessa
“base”, dall’edulcorazione semantica? Stiamo davvero guadagnando liber-
tà, oppure la stiamo perdendo? Lipotesi che mi sento di formulare è che,
sia pure consenzientemente, noi stiamo andando verso una società meno
libera che in passato, meno disposta cioè ad accettare tutte le differenti
manifestazioni del pensiero, meno capace di accogliere ed elaborare la
diversità, meno pronta ad affrontare la realtà in tutti i suoi aspetti, positi-
vi ma anche negativi.
Stiamo cedendo in massa al principio del piacere: piuttosto che soffrire
prendendo atto della realtà, che spesso non coincide con i nostri desideri,
preferiamo immergerci nella virtualità di una società a misura di desiderio.
E se il prezzo da pagare per questo è appunto di essere meno liberi e più,
se proprio non “controllati”, almeno “indirizzati”, pazienza, quel prezzo lo
pagheremo. Richiesti di scegliere fra beatitudine da una parte, e libertà
dall’altra, stiamo orientandoci verso la prima, a costo di rimetterci sulla
seconda. Del resto, lo aveva già intuito Friedrich Schiller, nel lontano
1795, quando scrisse queste parole:

La beatitudine è uno stato di passività: quanto più beati noi siamo, tanto più
passivi ci manteniamo verso il mondo obiettivo. Viceversa, quanto più liberi
noi diventiamo, tanto più ci avviciniamo al raziocinio e tanto meno abbiamo
bisogno di una felicità, cioè d’una beatitudine, che non dobbiamo a noi stessi,
ma alla fortuna...

Dunque, può darsi che stia nascendo un nuovo tipo di autoritarismo, un


autoritarismo “dolce”, basato non sulla coercizione bensì sulla manipola-
zione del consenso, sulla trasformazione semantica della realtà, sul con-
trollo delle opinioni, sulla persuasione e sulla pressione sociale attraverso
quei nuovi oggetti del desiderio collettivo che sono i mezzi di comunica-
zione di massa. Può darsi che tutto questo sia vero, e che il berlusconismo
sia una specie di “esperimento sociale” in una simile direzione. In fondo, a

159
MI CONSENTA

pensarci bene, non è del tutto improponibile la tesi di chi sostiene che le
somiglianze con il mondo descritto nel libro 1984 di George Orwell sono
molte: nel berlusconismo, proprio come nella società orwelliana, la televi-
sione, in versione interattiva, gioca un essenziale ruolo di controllo socia-
le; il partito di Governo, Forza Italia, ha per colore definente l'azzurro, che
è lo stesso colore del partito unico del mondo di Orwell, il cui nome è
Socing, ovvero Socialismo Inglese (anch’esso nome composto da due
parole, di cui una, la seconda, ha un riferimento nazionalistico) ; il Capo è
unico nell’uno e nell’altro caso, Grande Imprenditore in Italia, Grande
Fratello nell’Inghilterra del Socing; e la tendenza a manipolare la seman-
tica è analoga in entrambi i sistemi di potere (tant’è vero che, nel mondo-
Socing, il ministero che si occupa di condanne ed esecuzioni è denomina-
to ministero dell’Amore, quello che si occupa di guerra si chiama ministe-
ro della Pace, quello che presiede ai razionamenti alimentari prende il
nome di ministero dell’Abbondanza e così via).
“A” diventa “non-A”, e “non-A” si trasforma in “A”. Ciò vale nel roman-
zo orwelliano e nella realtà italiana di inizio XXI secolo. Per ora, le analo-
gie finiscono qui.
Speriamo che nei prossimi anni non vadano oltre.

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165
Ringraziamenti

U n libro è sempre il prodotto di molte menti, anche se viene scritto


da una sola persona. Questo vale, e soprattutto, anche per questo
libro. Voglio pertanto ringraziare le persone che più hanno contribuito
alla concezione e alla stesura del testo. Innanzitutto l’Editore e i suoi
collaboratori. Poi due amici, che di professione fanno i dentisti, e che
per loro richiesta di riservatezza indicherò solo con le sigle A.C. e C.T..
Gli sono debitore di alcune brillanti intuizioni sulla natura del berlu-
sconismo. Infine due colleghi, Luigi Tua e Valeria Targa: il primo per lo
stimolo e l’incoraggiamento a proseguire nel progetto, la seconda per la
scrupolosa digitazione e correzione del testo. Grazie a loro, e ad altri
che sarebbe troppo lungo citare qui, ho sentito anch’io la verità delle
parole di un grande scrittore, Hemingway (in un’intervista sul New York
Times Book Review, del 7 novembre 1954): “Uno scrittore dovrebbe
sforzarsi di scrivere una cosa in modo tale da farla diventare parte dell’espe-
rienza di coloro che la leggono... ”
‘CONTRASTI1’

n. 2

QUESTO VOLUME A CURA DELLA LIBRI SCHEIWILLER


È STATO STAMPATO DA TIPLECO DI PIACENZA
NEL MESE DI APRILE 2002
Collana “ Contrasti”

1. G iuseppe L anzavecchia - M assimo N egrotti , In difesa della scienza. Etica della


razionalità e senso comune, presentazione di Umberto Colombo, 2002.
2. ALESSANDRO A madori, M i consenta. Metafore, messaggi, simboli. Come Silvio Berlu-
sconi ha conquistato il consenso degli italiani, 2002.
3. M arco V itale -G ian Paolo O rmezzano , Fenomeno Chievo. Economia, costume,
società. Una squadra di quartiere contro il calcio miliardario, 2002.

Di prossima pubblicazione:
G razia F rancescato -G iuseppe D e M arzo - F rancesco M artone - F abrizia Pratesi,
No global. Da Seattle a Porto Aiegre, prefazione di Alfonso Pecoraro Scanio.
Alessandro Amadori (1960), dottore di ricerca '
in Psicologia sperimentale, dal 1988 dirige il Di-
partimento Ricerche motivazionali dell'Istituto
CIRM. E' inoltre presidente di Eureka!, società
specializzata in corsi di formazione alla creativi-
tà e alle tecniche di comunicazione. Ha pubbli-
cato oltre dieci testi di successo, tra cui Come
conquistare un posto di lavoro (Il Sole 24 Ore
Libri), Come essere creativi e Creatività in azio-
ne (Sperling & Kupfer). Conosce dal di dentro
i meccanismi della televisione: ha collaborato a
numerose trasmissioni nazionali ed è stato il su-
percampione di "Superflash" di Mike Buon- <
giorno nel 1985. /

€ 12,50 \ ISBN 88-7644-314-2


Alessandro Amadori

CDnSenta

u esto libro studia la comunicazione di Silvio

Q Berlusconi nello stesso modo in cui un entomologo


studia una specie estremamente rara e interessante di
farfalla. E' il tentativo di capire, in chiave prevalentemen-
te psicologica, il fenomeno del "berlusconismo" che,
lungi dall'essere un'operazione "di cartapesta" come
molti sostengono, appare solido e duraturo e destinato a
incidere profondamente nella vita politica e sociale del
nostro paese. Un'analisi il più possibile scientifica e ogget-
tiva dei meccanismi attraverso i quali un imprenditore è
diventato in appena un decennio il leader indiscusso
della scena politica italiana. E promette (o rischia, a
seconda dei punti di vista) di rimanerlo a lungo.

ISBN 8 8 -7 6 4 4 - 3 1 4 - 2

88876%43 45

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