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Si tratta dell’autore più complesso del ‘500, un poeta che ha subito due traumi: la malattia
mentale e la violenza della Controriforma.
L’ambiguità e l’indecisione sono due caratteristiche forti del pensiero di Tasso: egli
galleggia sempre tra la bellezza dell’arte e la sua sensualità classica e l’esigenza di
rispondere ai valori integralisti della controriforma. Si parla, infatti, del “bifrontismo” (una
specie di doppia faccia) di Tasso: un volto classico e libertino, un volto chiuso e
ultracattolico.
Nasce a Sorrento nel 1544, viaggiò per diverse corti: Salerno, Napoli, Roma, Urbino,
Venezia. Il suo amore per la letteratura lo porta a lasciare gli studi di giurisprudenza, così si
trasferisce a servizio degli Estensi a Ferrara. Lì scrive i capolavori: L’Aminta e
Gerusalemme Liberata. Ma proprio quest’ultima opera lo rende inquieto, egli teme di aver
violato qualche norma cattolica e si sottopone volontariamente all’Inquisizione, dalla quale
viene assolto.
Le nevrosi, tuttavia, iniziano a condizionargli la vita: le sue manie lo portano anche a
raffreddare i rapporti con i duchi D’Este. Scappò da una casa di cura mentale e iniziò a
girare per le corti, finché ritornò a Ferrara e fu chiuso un ospedale perché aveva insultato
pesantemente il duca d’Este. In isolamento scriverà ancora: lettere e le rime. Ricomincia a
girovagare per le corti e per fare un atto di sottomissione al Papa, a Roma riscrive in chiave
ancora più cattolica la Gerusalemme Liberata che diverrà Gerusalemme conquistata. Morì a
Roma nel 1595.
L’atteggiamento di Tasso nei confronti della vita non poteva che essere di totale pessimismo
e sfiducia. La malattia, il timore dell’Inquisizione e il continuo spostarsi di corte in corte gli
provocherà una serie di traumi e uno sguardo doloroso nei confronti dell’esistenza. Si
sposterà da quel modello rinascimentale ricco di fiducia.
Egli scrisse dei trattati “I Discorsi” in cui esalta il genere epico eroico, sul modello di
Ariosto e aggiunge il fortissimo elemento cristiano. L’arte, secondo lui, deve dilettare il
lettore ed avere contemporaneamente un insegnamento morale. Deve esserci anche un limite
alle invenzione e agli elementi fantastici, perché comunque anche nella poesia c’è l’esigenza
del vero e dell’armonico. Ma devono comunque trovare spazio i miracoli della religione
cristiana.
Da giovane scrisse dei poemi minori in cui s’intravedono i suoi ideali. Soprattutto il
contrasto tra il piacere e il dovere morale. Nelle lettere, oltre 2000, troviamo informazioni
sulla sua vita, anche se spesso poco attendibili perché aveva la tendenza a romanzare gli
avvenimenti per renderli più interessanti
La seconda opera più importante è sicuramente L’Aminta. È una favola pastorale, resa
come le tragedie greche in atti con la conclusione del coro. La trama gira intorno alla storia
d’amore tra il pastore Aminta e la ninfa Silvia, all’inizio ella non corrisponde i sentimenti,
ma dopo che il pastore la salva e, credendola morta, tenta il suicidio, la ninfa si innamorerà
di lui e finiranno insieme con un lieto fine. Si tratta di un’opera ben riuscita, che vede ancora
un po’ di serenità nell’animo di Tasso che si rifà al mondo classico bucolico.
Le rime sono 2000 componimenti poetici, divisi per argomento amoroso, laudi (per principi
e signori) e cose sacre. Di ispirazione petrarchesca, ci sono elementi come metafore,
musicalità, linguaggio vario e regionale, con un ritmo così preciso da poter essere anche
cantate. I temi sono i suoi classici dissidi spirituali ma anche il racconto della bellezza.